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1 Progetto di ricerca finanziato ai sensi della L.R. N.5 del 28.03.2002 Logistica Economica e Distretti Produttivi della Regione Campania Responsabile scientifico: Prof. Ennio Forte Gruppo di ricerca: (per la Prima parte) Dott. Fedele Iannone Dott. Gese Milone Dott. Luca Maisto Dott. Lucio Siviero (per la seconda parte) Dott.ssa Rosaria Rita Canale Dott. Oreste Napoletano Dott.ssa Roberta Pellicanò Hanno inoltre collaborato alla realizzazione dell’indagine di campo per la prima parte: Dott.ssa Claudia Jekel Dott.ssa Marcella Triunfo Napoli, settembre 2005 Università degli studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali

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Progetto di ricerca

finanziato ai sensi della L.R. N.5 del 28.03.2002

Logistica Economica e Distretti Produttivi della Regione Campania

Responsabile scientifico: Prof. Ennio Forte

Gruppo di ricerca: (per la Prima parte) Dott. Fedele Iannone Dott. Gese Milone Dott. Luca Maisto Dott. Lucio Siviero (per la seconda parte) Dott.ssa Rosaria Rita Canale Dott. Oreste Napoletano Dott.ssa Roberta Pellicanò Hanno inoltre collaborato alla realizzazione dell’indagine di campo per la prima parte: Dott.ssa Claudia Jekel Dott.ssa Marcella Triunfo

Napoli, settembre 2005

Università degli studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali

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INDICE INTRODUZIONE AL LAVORO DI RICERCA: I FONDAMENTI CONCETTUALI DELLA LOGISTICA ECONOMICA 5 Ennio Forte

Bibliografia 12

PARTE PRIMA L’ECONOMIA DISTRETTUALE

(INFRASTRUTTURE, IMPORT-EXPORT REGIONALE, TRASPORTI, TERRITORIO E SERVIZI LOGISTICI) CAPITOLO I ANALISI INVESTIGATIVA SULLA SITUAZIONE INFRASTRUTTURALE ED ECONOMICO-PRODUTTIVA DELLA REGIONE CAMPANIA Gese Milone

1.1 - Il sistema delle infrastrutture a servizio dell’industria e dei distretti in Campania 15

1.1.1 - Il sistema infrastrutturale della Campania 21 1.1.2 - Il sistema stradale 21 1.1.3 - Il Trasporto su ferro 26 1.1.4 - Il Sistema aeroportuale 27 1.1.5 - Il sistema portuale 28 1.1.6 - Gli interporti 29

1.2 - I flussi merceologici della regione Campania 30 1.3 - L’economia produttiva della regione Campania: lo “stato dell’arte” dell’export campano e i settori strategici 37 Bibliografia 38

CAPITOLO II DISTRETTI INDUSTRIALI IN CAMPANIA E PROBLEMATICHE DEL TRASPORTO MERCI Fedele Iannone

Introduzione 39 2.1 - Logistica e problematiche distrettuali 39 2.2 - I distretti industriali e i sistemi locali del lavoro in Campania 42 Conclusioni 64 Bibliografia 66

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CAPITOLO III ANALISI GEOGRAFICO-TERRITORIALE DEI DISTRETTI PRODUTTIVI IN CAMPANIA Luca Maisto

3.1 - I Distretti Industriali in Campania e il ruolo dei sistemi informativi territoriali come strumento di analisi 67 3.2- Accessibilità dei distretti produttivi campani – Distanze “isocrone” 72 Bibliografia 80

CAPITOLO IV INDAGINE SETTORIALE SULLA DOMANDA E SULL’OFFERTA DI SERVIZI DI LOGISTICA E TRASPORTI IN CAMPANIA Lucio Siviero

4.1 - Un settore produttivo campano in espansione sui mercati mondiali: la filiera vitivinicola 81 4.2 - Indagine sulla domanda e l'offerta di servizi di logistica e trasporti nell'ambito della filiera vitivinicola campana 86

4.2.1 - Indagine dal lato della domanda: principali aspetti della logistica e dei trasporti 86 4.2.2 - Indagine dal lato dell'offerta di servizi di logistica e trasporto 92

4.3 - Infrastrutture e strutture per la logistica, portualità e servizi per l’export in Campania 100

4.3.1 - Reti infrastrutturali regionali ed innovazione logistica 100 4.3.2 - Terminali marittimi, aree logistiche speciali e funzioni di supporto alla nuova economia dei territori costieri ed interni 102 4.3.3 - Reti logistiche e relazioni territoriali: la regionalizzazione portuale 106 4.3.4 - Zone Franche portuali e altre forme di "localizzazione di vantaggio" 109 4.3.5 - Casi ed esperienze internazionali 111 4.3.6 - Alcune esperienze in Estremo Oriente 113

4.4 - Linee generali per l’attivazione di strumenti urbanistici, fiscali e finanziari per la realizzazione di aree logistiche nella Regione Campania 115 Bibliografia 120

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PARTE SECONDA INFRASTRUTTURE ED ECONOMIA DEI DISTRETTI TURISTICI:

a cura del gruppo di ricerca della Dott.ssa Rosaria Rita Canale composto dai dottori Oreste Napoletano e Roberta Pellicanò

CAPITOLO I LA TEORIA ECONOMICA

1.1 - Introduzione 123 1.2 - La teoria economica della divergenza regionale 123 1.3 - La teoria economica dell’investimento in infrastrutture 124

CAPITOLO II INFRASTRUTTURE E CRESCITA DELLA DOMANDA TURISTICA: QUADRO NAZIONALE E REGIONALE

2.1 - Lo scenario a livello nazionale 126 2.2 - Le infrastrutture e lo sviluppo economico: alcune considerazioni generali 126 2.3 - Domanda e offerta di infrastrutture 130 2.4 - Lo scenario a livello regionale 130 2.5 - Analisi di accessibilità dei tre aeroporti della Campania 132 2.6 - Misure di accessibilità trasportistica 132 2.7 - Un nuovo aeroporto a Pontecagnano: l’idea giusta di sviluppo territoriale e decongestionamento dell’area della provincia di Napoli 132 2.8 - Stimolo alla crescita territoriale, sociale ed economica 134 2.9 - Il nuovo sistema integrato aeroportuale campano 135 2.10 - Il sistema della portualità regionale 136

CAPITOLO III TURISMO E INFRASTRUTTURE IN CAMPANIA

3.1 - Infrastrutture e crescita economica 138 3.2 - Infrastrutture e domanda turistica: il caso della Campania 138 3.3 - La dotazione di infrastrutture nel Mezzogiorno e in Campania 139 3.4 - Investimenti in infrastrutture nell’area areoportuale di Napoli e il traffico passeggeri 142 3.5 - Il porto di Napoli 144 Bibliografia 148

CONCLUSIONI 149 Ennio Forte

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Introduzione al lavoro di ricerca: I fondamenti concettuali della logistica economica Ennio Forte

Si sostiene da più parti che sussiste un legame tra prodotto interno lordo e livello del mercato dei servizi logistici di un determinato paese. Così, ad esempio, si afferma che in Inghilterra il 40% dell'economia è immerso in un ambiente logistico. In Italia, si parla a stento del 15-16%, cioè di livelli che allontanano certamente dalla competitività. Bisogna allora capovolgere il ragionamento, vale a dire promuovere sull’onda della mano pubblica l'avvento e il consolidamento dei princìpi della Logistica Economica, i quali provocheranno l'esplosione di mercati logistici privati efficienti e sostenibili. In particolare, formazione culturale a tutti i livelli, innovazione informatica, tecnologie, infrastrutture dedicate e piastre logistiche (spazi interstiziali), raccordi e connessioni, ecc., creeranno le condizioni per la crescita dei mercati della Contract Logistics, che per definizione hanno nell'outsourcing il proprio centro propulsivo e considerano il fattore trasporto alla stregua di tanti altri fattori della produzione da terziarizzare. I fondamenti della Logistica Economica possono essere identificati proprio attraverso lo studio dell'evoluzione che sta vivendo il settore dei trasporti nell'epoca dei mercati globali, che di fatto ha determinato il superamento di gran parte delle teorie classiche di allocazione delle risorse e di localizzazione delle attività produttive. Dalla teoria ricardiana dei vantaggi comparati, si è ora giunti allo studio dello spostamento (riallocazione) degli input e dell'invarianza del valore degli stessi nello spazio globale. Vi è una nuova geografia mondiale della produzione industriale: la localizzazione delle attività non è più funzione della produzione ma della distribuzione “logisticizzata”. Gli esempi più spettacolari di localizzazione nel mondo di oggi sono infatti basati più sui servizi che sulla produzione manifatturiera: Tokio, Londra, Silicon Valley e Route 128 a Boston sono, in effetti, più centri che offrono servizi ai produttori che veri luoghi di produzione fisica. Ed è in particolare grazie alle nuove tecnologie che ci si sta movendo in una direzione che promuove una concentrazione nel settore dei servizi, e in particolare di quelli logistici, mentre l'industria manifatturiera si sta movendo in senso più segmentato e dispersivo. L'intera filiera trasportistica si inserisce nella formazione del valore dei beni e servizi logisticizzati, partendo dalla teoria della invarianza del valore dei beni nello spazio “glocale” (mutuata dalla teoria finanziaria dell'invarianza dei capitali nel tempo), in presenza di una minore incidenza del costo di trasporto e di disponibilità competitive di input da localizzare in diverse aree geografiche. Questo processo di globalizzazione dei beni nello spazio conduce il moderno sistema economico a rilocalizzare i fattori della produzione in base al minor costo di acquisizione dei beni. I processi logistici possono sfruttare al meglio tale rilocalizzazione, integrando fattori reperiti al minor costo sui mercati internazionali (manodopera, materie prime, semilavorati, ecc.) e combinarli in modo economico ed efficiente per l'ottenimento di prodotti finiti, a prescindere dalla loro differente collocazione geografica. Così, ad esempio, razionalizzando in maniera ottimale la supply chain (partendo dall’approvvigionamento di materie prime e semilavorati, con l’eventuale supporto del just in time nel punto di assemblaggio dei vari componenti, allo stoccaggio nei nodi strategici, alla distribuzione commerciale, fino ad arrivare all’assistenza post-vendita) si possono sfruttare differenziali di costo dei fattori della produzione tra i vari paesi per rendere competitivo, ad esempio, sulla piazza di Milano un capo d’abbigliamento di alta moda prodotto con lana acquistata in Australia, tessuta in Indocina, confezionato in Ungheria e poi distribuito in tutta Europa da un unico polo logistico in Olanda. Siamo al primato della logistica: consegnare un bene è paradossalmente più importante che produrlo! Si affermano, quindi, forze attrattive che rendono in qualche modo ubiquitarie le scelte localizzative in funzione esclusivamente delle risorse logistiche esterne e della disponibilità dei fattori a minor costo

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unitario, per lo più risorse interne ai paesi ospitanti. Il confronto fra “senza” e “con”, fra “vecchio” e “nuovo”, e letto nei dati reali del commercio internazionale, comporta di certo l'aumento dei profitti per le imprese investitrici. In realtà da questo processo ci guadagnano tutti, perché i territori conquistati in poco tempo, grazie anche a processi di apprendimento collettivo, diventano essi stessi attori del processo produttivo “importato” e comunque conquistatori di standard consumistici omologhi. Alla base della Logistica Economica, quindi, c’è una diversa impostazione del rapporto tra impresa e mercati logisticizzati nel contesto spazio-territoriale, in una cornice di sviluppo economico locale e globale. Assistiamo, infatti, a grossi cambiamenti che vedono come principale oggetto il territorio, il quale si evolve in relazione alle esigenze di sviluppo e ai nuovi sistemi di produzione e localizzazione delle attività economiche che via via si vanno ad affermare. Tali cambiamenti sono iniziati nei secoli scorsi, così come ha individuato Rostow nella sua opera “Gli Stadi dello Sviluppo Economico” (1960), ma si sono rafforzati sempre più con il passar degli anni, quando l’industrializzazione ed il commercio si sono diffusi ed affermati enormemente a scala mondiale. Ed ecco, allora, che la nascita di quelle che potremmo definire le “leggi” della Logistica Economica, ancora da sviluppare e completare (tranne alcuni contributi di autori nord-americani e, comunque, più in ottica aziendalistica e matematico-ingegneristica che economico-territoriale), ha determinato la partecipazione ai processi produttivi di Paesi prima emergenti ed ora, in pochi anni, divenuti attori principali dello sviluppo mondiale (Cina, India, Taiwan, Filippine, ecc.). La “vecchia” Europa, invece, così come altri paesi ricchi ed industrializzati, sta subendo un rapido processo di deindustrializzazione e di conseguente terziarizzazione dell’economia. Purtroppo da tale circuito sono, allo stato, esclusi ancora moltissimi Paesi del continente africano e di quello americano centro-meridionale, molti Paesi dell'Asia centrale e del Medio Oriente. La testimonianza di ciò ci viene dalle aree industriali dimesse e non ancora riconvertite, e che nella loro ampia dimensione rafforzano quel modello di industrializzazione in via di sparizione dalla scena dei paesi più evoluti. Il meccanismo proposto e valutato è allora quello di una espansione dello sviluppo “a macchia di leopardo”, vale a dire che qualora un paese emergente raggiunga lo stadio del consumo di massa (Rostow), il libero mercato e il consolidamento della Logistica Economica a scala mondiale convoglierà gli investimenti verso quei territori in grado di compiere il take off verso lo sviluppo. E' auspicabile che ciò avvenga, in particolare, per qualche paese africano, in quanto a sua volta esso potrebbe fare da traino ad altri paesi ad esso prossimi. Studiare scientificamente queste sequenze e parallelismi, e addivenire a quantificazioni neutrali ed accettabili, costituisce il principale obiettivo della Logistica Economica. In particolare, quindi, non è da sottovalutare un concetto fondamentale, ovvero che in qualunque Paese si voglia raggiungere il take off, esso dovrà essere simultaneamente implementato mediante reti e connessioni trasportistiche ed informatiche. In generale, quindi, tutti i paesi si collocano in un diverso punto di un sentiero costituito da quella sequenza di stadi che i paesi ricchi hanno tracciato e che prima o poi anche i paesi in ritardo dovranno seguire. Si tratta, in pratica, di una visione che vede lo sviluppo come un cammino inevitabile, una sequenza progressiva di eventi che accadono indipendentemente dalle azioni di qualcuno, una sorta di storiografia economica a cui possono associarsi, anche se forzatamente, stadi corrispondenti di teoria economica. E allora, piccoli eventi accidentali danno il via ad un processo cumulativo in cui la presenza di un gran numero di imprese e di lavoratori in un particolare ambito territoriale agisce come un incentivo alla concentrazione di un numero ancora maggiore di imprese e di lavoratori. L'assetto finale può essere determinato dalle risorse sottostanti e dalla tecnologia a livello aggregato, ma a livello di base un ruolo importante è riservato alla storia e alla causalità. Per Krugman, il ruolo cruciale della storia dipende da tre parametri: forti economie di scala (rendimenti crescenti), quota alta di produzione non più vincolata

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alla vicinanza di risorse naturali, economie esterne positive risultanti dall'interazione delle decisioni di queste imprese e soprattutto da bassi costi di trasporto. In tali condizioni, la conseguente concentrazione di attività economiche, una volta avviata, tende a perpetuarsi nel tempo, riguardando tanto singole industrie o settori quanto grandi agglomerati. Credere in questo genere di dinamiche significa, di fatto, avere una visione lineare ed ottimistica della storia, dello sviluppo e della globalizzazione, a condizione però, lo si ribadisce, di una diffusione ad ampia scala dei presupposti della Logistica Economica. Si sostiene che è stato possibile l'avvento del mercato globale grazie alla banalizzazione del costo di trasporto. Questa affermazione quanto meno deve essere spiegata, in quanto genera molti dubbi nel trasportista-logistico economico. Intanto, si può affermare che in questi ultimi 20 anni sono decollati e poi affermati contestualmente diversi network caratterizzati da immense innovazioni tecnologiche. In particolare, i sistemi di trasporto, specie marittimi ed aerei, hanno visto il consolidamento della unitizzazione dei carichi con mutamenti corrispondenti nelle infrastrutture terminali, e cioè l'avvento di una rete di terminali di elevato livello tecnologico rispetto ai quali sono rimasti esclusi i paesi che non si sono adeguati. Il processo di trasporto, pertanto, ha invaso sempre più il mondo dell'industria e del commercio e la tecnologia dei trasporti è di certo divenuta molto più onerosa rispetto a prima se considerata nel suo complesso, cioè somma di mezzi, terminali ed attività complementari. Tutto ciò ha comportato una riduzione-banalizzazione del costo unitario di trasporto, ma nel senso che i network delle rotte marittime ed aeree, impiantati sulla struttura ed architettura “Hub & Spoke” hanno ridimensionato il peso storico del costo-distanza, sovrapponendogli l'effetto rapidità, puntualità e affidabilità nelle consegne e nelle forniture. Sono addirittura stati progettati, e continuamente si evolvono, mezzi e tecnologie di trasporto funzionalmente dedicate ad uno specifico settore industriale e/o distributivo . Pertanto, e viceversa, è aumentato considerevolmente il costo degli altri servizi logistici. Ed allora, a fronte di una riduzione teorica del costo del trasporto, dovuta alla maggiore competitività degli stessi mercati di trasporto, oltre che telematici e finanziari, è corrisposto in via generale l'aumento del costo unitario dei servizi logistici in un quadro di decisa espansione del mercato della Contract Logistics. Occorre dunque riflettere sul ruolo del trasporto dal punto di vista della sua integrazione nella catena logistica. La bassa incidenza del costo dei trasporti rispetto agli altri costi del servizio logistico è testimoniata dalla tendenza attuale alla riduzione dei volumi delle singole spedizioni e dall’aumento della frequenza delle consegne. Le imprese, il cui scopo è naturalmente quello di massimizzare i propri utili anche mediante una riduzione dei costi, hanno rilevato che è possibile ottenere una maggiore efficienza del sistema distributivo diminuendo il numero dei magazzini, con un netto aumento quantitativo del trasporto (sistema transport intensive). Ed è proprio a causa dei costi di trasporto troppo bassi che oggi assistiamo con sempre maggior frequenza a notevoli paradossi, come il trasporto, su distanze considerevoli, di merci a basso valore aggiunto (ad esempio carichi di ortaggi dall’Inghilterra a Salerno). Il trasporto, fondamentale anello della supply chain, si sta dunque ormai sempre più configurando come il più debole: pur essendo una risorsa scarsa, a causa delle inadeguatezze delle reti infrastrutturali nazionali, è paradossalmente il costo che meno incide sugli operatori. Inoltre, tale costo è tenuto artificiosamente basso, anche attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche, col risultato di produrre rilevanti diseconomie. Intervenire però solo sul costo del trasporto non basta. Viceversa, occorre interagire con le imprese convincendole che il trasporto è una risorsa che non va sprecata ma tutelata, ricercando l’equilibrio tra esigenze aziendali e azioni pubbliche finalizzate ad una razionalizzazione e diminuzione dei traffici. I flussi di traffico indotti dalle attività logistiche producono, infatti, esternalità positive diffuse ed esternalità negative concentrate. Obiettivo dell’intervento pubblico deve essere quindi quello di recuperare risorse da chi abbia ottenuto benefici, per redistribuirle in maniera da indennizzare chi abbia al contrario dovuto sopportarne i principali effetti negativi. Sul fronte della conoscenza effettiva dei problemi, bisogna tentare di pervenire ad una comprensione degli effetti generati dalla presenza di

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impianti per la logistica sulle comunità locali, e di conseguenza fornire indicazioni di linee di azione da parte del soggetto pubblico. Si avverte pertanto la necessità di una maggiore attenzione teorico-scientifica, da una parte, e di una maggiore applicazione e verifica empirica dall'altro, riguardo le tematiche della Logistica Economica. Questo vuol dire che l'affermazione di nuovi mercati, anche nel senso del sapere, vanno a sostituire nelle funzioni i vecchi mercati. Probabilmente, quindi, una gran parte della letteratura trasportistica dell'Economia Applicata deve essere rimossa perché oramai non più in grado di rappresentare la realtà nella sua evoluzione tecnologica, organizzativa e gestionale. Infatti, i mercati dei trasporti hanno subito profondi mutamenti nello scenario mondiale, e se è vero che il “vecchio” e il “nuovo” convivono sempre, anche se su spazi diversi, è evidente, comunque, che sarà il “nuovo”, in quanto maggiormente efficiente ed efficace, ad affermarsi. Nel linguaggio sintetico, la Logistica Economica, intesa altresì come metodo di analisi, contiene le “5 P”, cioè il progetto, il processo, il piano, il programma e il prodotto/servizio logisticizzati. In questo senso gli strumenti diventano concettualmente diversi dai concetti originali dell’Economia Applicata. Discorso analogo vale anche per le “3 T” della Logistica Economica, dove in particolare la terziarizzazione deve essere letta in un'ottica spaziale e dove le funzioni infrastrutturali di trasporto diventano strategiche per lo sviluppo. “Logisticizzare” le “5 P” e le “3 T” comporta un salto di qualità nell'impostazione dei problemi e nella loro organizzazione e soluzione. Ad esempio, a livello del PGTL, ormai quasi compianto, c'è stato solo un piccolo tentativo di affrontare la pianificazione con gli strumenti della Logistica Economica, ma in realtà si rimane ancora legati ad una ferrea logica di settore. Da molto tempo, infatti, non si considerano pienamente le reti terrestri, ferroviarie e stradali, in diretto rapporto dipendente dalla localizzazione dei terminali dei network marittimi ed aerei, ma ci si è mossi sempre nell'ottica dei compartimenti stagni. Anche se recentemente i temi dell’intermodalità sembrano essere tornati alla ribalta con la definizione di incentivi al trasporto combinato (L. 216/2002) e l’annuncio di un imminente “patto per l’autotrasporto e la logistica” (accordo di Palazzo Chigi sull’autotrasporto del 5 settembre 2002), esistono tuttavia ancora notevoli difficoltà legate al lento e debole sviluppo di un mercato italiano dei servizi di logistica integrata sia sul versante dell’offerta che su quello della domanda. Tale ritardo è confermato da due dati significativi: il differenziale di inflazione tra servizi e industria (con un tasso alla produzione vicino allo zero, cioè con l’inflazione dovuta principalmente ai servizi) e il deficit della bilancia dei pagamenti del trasporto (decuplicato in 10 anni e superiore, ormai, ai 5 miliardi di Euro). Logisticizzare un processo industriale vorrà dire segmentare le diverse fasi-filiere delle produzioni in corrispondenti segmenti trasportistico-territoriali che prevedano la localizzazione di piastre ed infrastrutture funzionalmente legate al processo e ai cicli di lavorazione, e l’implementazione di programmi informatici e reti telematiche dedicate. La Logistica Economica, quindi, vede nell'innovazione in senso schumpeteriano, e nell'uso funzionale del trasporto, la giustificazione alla sua esistenza. Altro fondamento della Logistica Economica è il concetto-strumento di analisi riguardo la compensazione dei processi di trasporto, produzione e distribuzione che possono dar luogo ad altrettanti mercati di servizi e prodotti da compensare. Il presupposto è che ciascun processo nasce dalla fusione di più input gestiti ed organizzati differentemente dal management di impresa. Dove tuttavia emerge l'aspetto maggiormente innovativo è nella possibilità di sfruttare fasi di processo, segmenti di prodotti e sottoutilizzazioni varie, che si definiscono “vuoti marginali valori” (residui di lavorazioni industriale, ritorni a vuoto, aree industriali dismesse). In definitiva, le compensazioni sono anch'esse processi di ottimizzazione volti alla eliminazione di sprechi e fasi morte. Questo spazio di ricerca e “manovra” non è di certo irrilevante se si pensa che, ad esempio, nella Pubblica Amministrazione si stima intorno al 30% la dispersione che potrebbe essere recuperata grazie

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a processi compensativi dei “vuoti marginali valori”. Il mercato più facilmente leggibile in questa chiave è il mercato dei rifiuti solidi urbani (RSU) e dei residui industriali che molto di recente sembrano rientrare in un unico comparto produttivo, anche se con tecniche di smaltimento diverse. Occorre allora inserire nei cicli produttivi nuove figure di operatori logistici che si dedichino esclusivamente ai processi compensativi con appositi sistemi di “reverse logistics” ed infrastrutture dedicate (isole ecologiche, stazioni di trasferenza, ecc.), e attraverso questa via sicuramente raggiungere un più efficace equilibrio ecologico. Non va sottovalutata, inoltre, la potenzialità offerta altresì dalle fasi di processo che possono essere compensate annullando i “vuoti marginali valori”, ad esempio il potenziamento di quelle tecnologie viaggianti volte ad abbinare un ciclo produttivo ad una fase di trasporto, ad esempio nel settore dei generi alimentari, nel pescato, nella trasformazione dei prodotti agricoli, ma anche più semplicemente nell'attività di spostamento dei singoli viaggiatori (ad esempio l'uso di Internet o di strumenti di comunicazione durante la fase del viaggio). Altra problematica fondamentale della Logistica Economica è l'equilibrio spazio-territoriale tra flussi. In effetti, la Logistica Economica è, in senso macro-territoriale, la disciplina che studia proprio l'equilibrio dei flussi di merci, persone, veicoli, ecc. Tuttavia, per raggiungere l'equilibrio paretiano, espressione puramente idilliaca e spesso fuorviante nelle analisi economiche, è necessario approfondire gli strumenti di analisi da un lato e i provvedimenti di regolamentazione dall'altro. I flussi dovranno essere, quindi, intesi in due accezioni diverse: - il flusso come movimento; - il flusso come stock. Il flusso che si concentra in un determinato punto, infatti, dovrà essere a sua volta smistato in altrettanti punti di destinazione. Si comprende agevolmente che i flussi possono essere rappresentati da matrici che diventeranno vistosamente asimmetriche qualora dalle tradizionali unità di traffico si trasformino in unità di tempo. Sono infatti proprio i tempi di smistamento-smaltimento a risultare incongruenti rispetto alle concentrazioni degli stock. Si tratta, pertanto, di ottimizzare le capacità infrastrutturali e le potenzialità d'uso adeguandole reciprocamente alla dimensione del flusso che, in definitiva, esprime la dimensione della domanda intesa come componente del mercato, laddove capacità e potenzialità ne costituiscono l'offerta. Questo spazio di ricerca è certamente di competenza della Ricerca Operativa che notevole rilievo assume nei contributi di Logistica Economica, soprattutto di matrice nord americana. Tuttavia, non vanno sottovalutati in questa problematica gli aspetti ed i problemi di natura territoriale che il suddetto equilibrio comporta e che ne fanno un fondamento di Logistica Economica. Entrano infatti in gioco le architetture delle reti, le tariffazioni d'uso delle infrastrutture, le dimensioni delle infrastrutture, e in definitiva le politiche dei trasporti ai diversi livelli con i loro risvolti emblematici sul fronte dell’eco-sostenibilità e del benessere sociale. In generale, le fasi della vita umana dove 1/3 del tempo si dorme e 2/3 si vive sono divisibili in due parti: o si sta fermi o ci si muove. La Logistica Economica si occupa in primis della mobilità, nutrendola ed arricchendola di altre funzioni, dando cioè al diritto alla mobilità un orizzonte ben più ampio. Altro concetto fondamentale della Logistica Economica è la cosiddetta trasversalità, cioè lo studio della fattibilità economico-sociale di itinerari alternativi che in genere sostituiscono al tutto-strada una sequenza multimodale/intermodale di trasporto. Questo presupposto è il leit-motiv storico, soprattutto in Italia, del drammatico squilibrio modale nelle incidenze del trasportato di persone e merci. Domina, infatti, il trasporto su gomma nei mercati domestici dei trasporti. Tale disarmonia è la causa della cosiddetta catena delle diseconomie esterne, cioè esternalità negative che si riflettono nella incidentalità, congestione, perditempo, inquinamento, danni alla salute, ai mezzi e alle infrastrutture di trasporto.

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Purtroppo dobbiamo rilevare che, mentre altri Paesi evoluti hanno attivato politiche volte al riequilibrio modale (Olanda, Austria, ecc.), l'Italia resta ferma al palo, anzi registra ulteriori incrementi nel comparto stradale, fino a coprire più dell’80% del fabbisogno di trasporto. Il dato è ancora più allarmante in presenza della valenza geografica dell'Italia, la quale è una quasi-isola con una fitta rete di porti commerciali. Bene intesi che longitudinalità e trasversalità vanno lette nello stesso senso di uso alternativo agli itinerari convenzionali. Così lo schema che vede un segmento trasversale tra Milano e Genova o tra Milano e Venezia, e quindi un prolungamento longitudinale al sud verso Napoli e Catania o Ravenna-Termoli-Bari-Taranto, per poi trasversalmente inoltrare il flusso verso destinazioni interne rientra nella Logistica Economica nel concetto di trasversalità. Trasversalità vuole dire allora il ricorso ad itinerari integrati resi possibili dalla presenza di corrispondenti infrastrutture dedicate e scelte di investimento di natura pubblica o mista. Ad esempio, a livello intermediterraneo, il collegamento tra la Spagna e la Yugoslavia attraverso i porti di Barcellona, Civitavecchia, Termoli e i porti di Rijeka o Skopje comporta il potenziamento del porto di Termoli, l'adeguamento di quello di Fiumicino, nonché la trasversale sia ferroviaria che autostradale che valichi l'Appennino. Bisogna dire che da questo punto di vista le lacune del PGTL sono vistose, in quanto si consolida attraverso il potenziamento stradale e ferroviario (TAV ed Autrostrada del Sole a 3 corsie) senza le necessarie connessioni trasversali volte all'avvento di itinerari alternativi voluti e promossi dagli operatori di trasporto e multimodali. Altra tematica della Logistica Economica è sicuramente la competitività nel quadro dei mercati cosiddetti “contendibili” e quindi nella liberalizzazione regolata dei vari mercati dei trasporti. In realtà, la Logistica Economica vede con preoccupazione, in un orizzonte storico, il ruolo propulsivo e liberalizzante del trasporto mortificato da continue misure protezionistiche e restrittive che spesso producono effetti ritorsivi a cascata con danni irreparabili per lo sviluppo. La recente storia dei mercati, specie quelli marittimo ed aereo, è segnata da eventi oscillanti da fasi di regulation, cioè di restringimento della concorrenza, e fasi di deregulation volte all'ampliamento della concorrenza e degli attori del mercato. L'intero comparto dei prezzi e delle tariffe regolate da accordi, spesso veri e propri cartelli, hanno avuto ed hanno funzioni diverse, forse a volte necessarie per riequilibrare i mercati dei beni e dei servizi. In tal senso si possono cogliere taluni aspetti positivi delle pratiche di price-cap, cioè prezzi ottimizzanti, e il ricorso a strumenti di tariffazione sociale, quali ad esempio gli strumenti di prezzo ispirati al costo marginale all'interno di una variabilità sistematizzata ricondotta a fasi precise. In definitiva, strumenti che possiamo definire di “autoregolazione”. Tali strumenti costituiscono un risultato di eccellenza dell'intelligence applicata ai sistemi produttivi, di trasporto in particolare, con notevoli ricadute sul sociale e che possono leggersi in mutamenti di comportamento e alla fine in nuovi modelli di mobilità intesi anche come nuovi modelli culturali. E qui entrano in gioco sicuramente anche aspetti sociologici e psicologici che possono costituire oggetto di valutazione. La legge di autoregolazione, in definitiva, significa l'introduzione di una regola-norma che, alla stregua di una sorta di “termostato”, risulti in grado di condurre ad un più accettabile equilibrio di second best, in grado comunque di avviare un processo di riequilibro. Il punto di forza è proprio nel tentativo di un “motore” che spinga verso un riequilibrio, nella consapevolezza ovvia di non poterlo raggiungere mai pienamente. Ed è in questa visione di partenza dal tetto che spesso è crollata la costruzione di molti teoremi economici basati sull'equilibrio economico generale e che certamente risultano validi per spiegare i processi ma al tempo stesso appaiono incapaci di portare a soluzioni concrete. Un esempio netto può essere la tariffazione d'uso dell'autostrada sulla base di una preliminare conoscenza della struttura della domanda nelle elasticità rispetto al prezzo, al reddito ed al tempo di percorrenza, capace di distribuire il flusso più uniformemente nelle fasi di morbida e di punta. Questo comporterà un'autoregolazione nell'uso delle infrastrutture, con positivi effetti sulla catena delle esternalità negative.

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La catena logistica coinvolgente il territorio ed i trasporti quale motore dello sviluppo, e i processi di ottimizzazione analizzati con gli strumenti della Logistica Economica possono essere però estesi, oltre ai già citati casi dell’igiene urbana e dei residui industriali, anche ai mercati turistici, ai sistemi sanitari, scolastici e alle tematiche dell’incidentalità multimodale, ed in particolare stradale, conseguendo quindi obiettivi di settore più specifici. In definitiva, è auspicabile che lo studio dell'Economia Applicata alla logistica si concentri sempre di più su queste problematiche per fornire al decisore pubblico concreti strumenti di intervento e stimolare nuovi investimenti da parte del settore privato. La presente ricerca si articola in due parti. La prima parte, prevede un'attenta analisi della letteratura relativa a: dotazione infrastrutturale, distretti industriali, logistica economica, politiche del territorio, trasporti intermodali, regolamentazione degli assi multimodali e delle reti logistiche regionali, nazionali, internazionali e intercontinentali. Una volta inquadrato il fenomeno dei distretti e della logistica da un punto di vista teorico e politico, si passa all'esame della mobilità (merci ed informazioni) e alla ricostruzione di un quadro, per lo più quantitativo e statistico, dei flussi logistici e di trasporto riguardanti i principali distretti campani. E’stata dedicata, inoltre, particolare attenzione alla filiera viti-vinicola, analizzando, sulla scorta delle informazioni recenti riguardanti le “performance” di un settore che pur non essendo “riconosciuto” formalmente, mostra da anni grande dinamismo sui mercati, in particolare nei flussi export, ed al contempo evidenzia carenze sotto l’aspetto organizzativo-distributivo che potrebbero trovare valide soluzioni migliorative in processi a maggior contenuto di attività logistiche, anche in prospettiva di sviluppo di forme di partenariato, collaborazione, cooperazione, ecc., interaziendale lungo la filiera, finalizzate ad una più efficiente gestione delle catene trasportistiche e logistiche, per la affermazione dei prodotti sui mercati mondiali La seconda parte del lavoro prende i esame il comparto turistico, evidenziandone gli aspetti infrastrutturali e quelli connessi alla misurazione della domanda turistica, partendo dal più vasto contesto nazionale, calandosi, poi, nel dettaglio regionale.

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Parte Prima L’economia distrettuale

(Infrastrutture, import-export regionale, trasporti, territorio e servizi logistici)

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Capitolo I Analisi investigativa sulla situazione infrastrutturale ed economico-produttiva della Regione Campania Gese Milone

1.1 - Il sistema delle infrastrutture a servizio dell’industria e dei distretti in Campania Premessa (inquadramento della Campania nel più vasto contesto dell’Italia meridionale) In tutti gli ambiti infrastrutturali presi in esame, da ultimo, nel recente rapporto Svimez risalente al mese di luglio 2005, (strade, ferrovie, porti, aeroporti e interporti, acqua, ambiente e energia) il Mezzogiorno continua ad evidenziare livelli di dotazione e di servizi inferiori al resto del Paese; ciò rappresenta un evidente limite per le possibilità di convergenza delle nostre aree “deboli”, vista la centralità che i fattori di contesto, non solo di ambiente fisico, rivestono nei processi di sviluppo all’interno di uno scenario economico sempre più basato su competitività e integrazione. L’infrastrutturazione stradale del Mezzogiorno si caratterizza per una carente dotazione di grandi reti autostradali in rapporto al territorio; l’indice di dotazione, posto pari a 100 l’Italia, risulta pari a 77,7 a fronte del 115,4 per il Centro-Nord . Un limite solo in parte compensato da una dotazione più rilevante di strade statali e provinciali, categoria stradale di minori dimensioni a scala di comunicazione. (tab 1)

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Le reti ferroviarie nel Mezzogiorno presentano nel complesso livelli qualitativi e quantitativi nettamente più bassi rispetto al resto del Paese. La complessiva dotazione territoriale di reti ferroviarie nel Mezzogiorno (elettrificata e non, a binario singolo e doppio) è più bassa (86,5%) rispetto alla media nazionale (solo il Nord-Est, con 91,5, ha un livello relativamente vicino a quello meridionale). Particolarmente deficitaria risulta la dotazione di reti elettrificate (70,4) e, ancor più di quelle a doppio binario (55,3) (Tab. 2).

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Nel caso della portualità, la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno risulta notevolmente superiore a quella del Centro-Nord. Il numero di porti è quasi quattro volte quello del Centro-Nord, mentre il numero degli accosti è quasi il triplo e la loro superficie più che doppia (Tab. 3).

Quanto alle infrastrutture maggiormente centrate sulla capacità di movimentazione, la situazione di elevata dotazione del Mezzogiorno si conferma per le superfici dei piazzali (107,8 a fronte di 95,6 nel Centro-Nord). Un deficit significativo si rileva, invece, nella dotazione di magazzini, 26,1 per il Mezzogiorno contro il 142,2 per il Centro-Nord. La portualità meridionale, basata su numerose infrastrutture prevalentemente di piccole dimensioni, si caratterizza soprattutto per il traffico passeggeri e non è riuscita invece a sfruttare adeguatamente le potenzialità del traffico merci. I porti più grandi sono fortemente orientati al transhipment, cioè alla movimentazione di merci e container provenienti da grandi porti internazionali da trasbordare su navi per il cabotaggio interno e mediterraneo. In sostanza, è una dotazione infrastrutturale quasi esclusivamente dedicata al “transito” e meno alla movimentazione e ancor meno alla manipolazione delle merci. Le oggettive difficoltà di movimentazione e stoccaggio “nei” porti del Mezzogiorno potrebbero essere agevolmente compensate da interporti di terra prossimi agli attracchi marittimi. Ma è proprio questo il settore infrastrutturale maggiormente deficitario in tutto il Sud (Tab. 4).

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Nel complesso la presenza di infrastrutture interportuali nel Mezzogiorno non supera il 40% del valore medio nazionale. Se si prendono in esame le superfici degli interporti, l’indice di dotazione cala drasticamente (6,6), e la capacità di movimentazione risulta praticamente inesistente (1,1), mentre la disponibilità di binari è comunque molto bassa (29,6). Il Mezzogiorno presenta una accettabile dotazione di infrastrutture aeroportuali, sia nel numero di impianti (101,9), sia nel numero di piste (102,9) e relative superfici (94,6), nonostante il fatto che due regioni (Molise e Basilicata) ne siano completamente sprovviste. Quanto alle altre dotazioni infrastrutturali rilevanti per la capacità di servizio degli aeroporti (come l’area di sedime ed i parcheggi), gli indici si riducono rispettivamente a 71,7 e 54,5 (Tab.5).

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La dotazione di reti idriche di adduzione risulta particolarmente carente nel Mezzogiorno (51,2) rispetto al dato medio nazionale. Nelle reti di distribuzione, la sottodotazione del Sud risulta solo relativamente più contenuta (62,8). La dotazione di infrastrutture di depurazione risulta essere, come per le risorse idriche nel complesso, fortemente deficitaria nel Mezzogiorno (43,2) rispetto al dato medio nazionale. Per le infrastrutture di incenerimento (o termovalorizzazione) dei rifiuti, la dotazione del Mezzogiorno (85,9) risulta, nel complesso, non molto distante dal valore medio nazionale. La disponibilità di discariche speciali risulta assolutamente deficitaria in tutte le regioni meridionali. Le reti di distribuzione del gas sono scarsamente diffuse nell’area (38,2) rispetto al dato medio nazionale, con solo due regioni su livelli relativamente accettabili: Abruzzo (78,5) e Campania (84,5). Per quanto riguarda l’energia elettrica, la dotazione di reti di trasmissione e distribuzione risulta relativamente meno deficitaria a livello di Mezzogiorno (con un indice rispettivamente pari a 74,0 nella trasmissione ed a 89,1 nella distribuzione). I progetti che, nell’ambito delle procedure della legge obiettivo, hanno ricevuto finanziamenti CIPE sono 86 a livello nazionale, e di questi 45 riguardano il Mezzogiorno, per un costo complessivo di 14.423 milioni di euro. Dall’analisi effettuata sui progetti del Mezzogiorno emergono alcune specificità che in parte rischiano di modificare l’impostazione originaria dell’intervento stesso: una elevata presenza di progetti di completamento di opere già avviate in passato; una dimensione media dei progetti (321 milioni di euro) pari a circa la metà di quella del Centro-Nord (613 milioni); scarsa presenza di finanziamenti privati, ad eccezione del Ponte sullo Stretto di Messina (altre ipotesi di finanziamento da parte di privati si riscontrano soltanto nei settori dei porti e degli interporti). L’esame dello stato di attuazione delle grandi opere mostra, inoltre, ancora un quadro complessivamente deludente. I lavori cantierati relativi ai progetti realizzati nel Mezzogiorno (per

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complessivi 2.168,8 milioni) sono pari a circa il 23% del totale dei finanziamenti disponibili, a dimostrazione di un “potenziale realizzativo” che, seppur superiore a quello medio nazionale (16,4%), risulta ancora complessivamente piuttosto insoddisfacente rispetto agli andamenti previsti in sede programmatica. A livello nazionale gli investimenti in opere pubbliche a prezzi costanti, in base alle stime effettuate dalla SVIMEZ per il periodo 1996-2004 sui dati di contabilità economica del settore delle costruzioni, hanno manifestato, in valore assoluto, un andamento crescente. Nella prima parte del decennio in corso la crescita ha mostrato un tendenziale rallentamento culminato con la stagnazione del 2003, nel 2004 si rileva una apprezzabile ripresa. A scala territoriale emergono, invece, tendenze differenti. Nel Centro-Nord, gli investimenti in opere pubbliche mantengono una dinamica costantemente positiva in valore assoluto, anche se con un ritmo calante (Fig. 1).

Nel novennio 1996-2004 la crescita in quest’area si è commisurata comulativamente nel 51%. Nel Mezzogiorno, invece, dopo un triennio (1995-1998) di consistenti cali, gli investimenti mostrano un sostanziale comportamento asintotico che sembra interrompersi nel 2004. Il livello degli investimenti di opere pubbliche del Mezzogiorno nell’ultimo anno risulta di circa 20 punti percentuali inferiore rispetto a quello del 1995. Il rapporto degli investimenti in opere pubbliche sul PIL risulta nel Mezzogiorno in calo tra il 1995 ed il 2000 (dal 3,8% al 2,6%) e tende a stabilizzarsi negli ultimi quattro anni. Nel resto del Paese, invece, la dinamica è costantemente (anche se moderatamente) positiva in tutto il novennio (dall’1,6% al 2,1%).

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1.1.1 - Il sistema infrastrutturale della Campania Il sistema infrastrutturale esistente in Campania, con particolare riferimento alla porzione dedicata (anche) al trasporto merci, non presenta una connotazione equilibrata: né per quanto concerne la sua estensione a rete - o di dislocazioni puntuali sul territorio in rapporto alle esigenze di accessibilità - né per quanto riguarda la possibilità di utilizzazione delle diverse modalità di trasporto in rapporto alle loro caratteristiche. Tuttavia, la Campania - con l’Emilia Romagna, il Nord-Ovest d’Italia e la Lombardia - risulta tra le regioni meglio dotate in riferimento alla superficie, anche se “penalizzata” dalla alta densità di popolazione (419,6 ab per Km2). Il resto del Mezzogiorno dispone invece di una rete stradale piuttosto “debole”. Sia le infrastrutture a lineari che quelle puntuali si presentano con una maggiore concentrazione nella parte centrosettentrionale e costiera della Campania, dove sono localizzati i capoluoghi di provincia, in particolare nella zona costiera. L’uso intermodale dei trasporti, ai vari livelli di fruizione, risulta difficoltoso, anche se sarà sempre più favorito da alcuni interventi già attuati e in corso di attuazione. Va notato inoltre che se si considerano solo le autostrade, la posizione relativa delle regioni meridionali rispetto a quelle europee migliora notevolmente. Da queste indicazioni si può dunque affermare che nel Mezzogiorno sono state favorite soprattutto le infrastrutture di collegamento di lunga o media-lunga distanza, ovvero quelle infrastrutture che hanno notevoli riflessi sulla dimensione delle aree di mercato, piuttosto che infrastrutture di collegamento interno più capillari (che agiscono soprattutto sull’efficienza interna del sistema produttivo regionale). 1.1.2 - Il sistema stradale. Il sistema stradale attuale della Regione Campania non presenta una gerarchia chiara dei tracciati, in parte perché è in continua evoluzione, in parte per la mancanza di collegamenti adeguati a livello interregionale e regionale, che determinano un sovraccarico in strade di interesse diverso. Risulta carente il reticolo delle strade di collegamento tra la viabilità primaria nazionale e autostradale con quella regionale e interprovinciale. La rete nazionale riesce ad assolvere al suo compito di collegamento, mediante una direttrice nord-sud, costituita dall’A2, dall’A30, il raccordo autostradale fra Mercato S.Severino e Salerno e l’A3 fino a Reggio, e due direttrici trasversali, costituite dall’A16 e dalla Basentana. La maggiore offerta infrastrutturale ricade nell’area “pentagonale” dei cinque capoluoghi provinciali,

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poli gravitazionali per le attività produttive ed insediative, mentre i collegamenti fra di essi risultano poco agevoli. Altri due percorsi diagonali consentono di collegare in modo incrociato i capoluoghi cioè la Napoli-Nola-Avellino e la Caserta-Nola-Mercato S.Severino-Benevento continua ad essere un nodo stradale importante con il raccordo autostradale dell’A16 Napoli-Bari, la strada a scorrimento veloce Caianello-Telese-Benevento-Avellino-Lioni-Contursi, la fondovalle Tammaro in direzione Campobasso e l’anello di circumvallazione dell’abitato, senza presentare i problemi di congestione degli altri due importanti nodi stradali di Napoli e Salerno.

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Sistema delle strade di grande comunicazione (Campania) L’area napoletana è il luogo dove si concentra la massima offerta di infrastrutture di trasporto della regione, ma anche dove maggiormente si verificano fenomeni di congestione, soprattutto a mano a mano che ci si avvicina al centro di Napoli, su cui confluiscono autostrade, strade statali, strade provinciali. Altre strade, di realizzazione più recente o in corso di completamento, con andamento est-ovest costituiscono un sistema di anelli di scorrimento trasversale rispetto alle suddette direttrici di penetrazione, formando con il precedente sistema una griglia a maglie quasi rettangolari che copre soprattutto il territorio settentrionale ed occidentale della conurbazione, consentendo al traffico di transito di non attraversare il capoluogo, mentre restano congestionate i collegamenti nella zona costiera ed orientale, dove sono carenti le strade secondarie ed il traffico è intenso. Una scarsa accessibilità presenta la parte meridionale della regione, in particolare la zona del Cilento. I processi in atto, che consistono principalmente, ma non solo, nell’intervento ai sensi della L.219/81 hanno realizzato una griglia di collegamento rapido tra i territori a nord di Napoli, il porto, gli svincoli autostradali ed il centro direzionale, mediante tre assi in direzione est-ovest:

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Sistema stradale (provincia di Napoli) 1 - l’asse di supporto alle Aree ASI, quasi al confine con la provincia di Caserta, che collega la variante alla Domitiana all’altezza di Villa Literno con Nola, dove si innesta l’autostrada A30; il prolungamento di tale asse veloce potrebbe costituire il collegamento primario tra Caserta e Benevento e potrebbe servire anche l’interporto di Marcianise-Maddaloni; 2 - la circumvallazione esterna Lago Patria-Cercola che, nata come strada a scorrimento veloce per il collegamento del litorale domitio e la rete autostradale con i comuni di Qualiano, Villaricca, Mugnano, Melito, Arzano, Casavatore e Casoria, poi prolungata fino a Cercola, è ormai inglobata nel tessuto edificato con fenomeni di commistione di traffici di diverso livello e problemi di forte congestione e degrado, che hanno resa necessaria una sua ristrutturazione; 3 - l’asse mediano, in posizione intermedia fra le due strade descritte precedentemente, che ha origine ad Acerra e attraversa i comuni di Afragola, Frattamaggiore, Grumo Nevano, Casandrino e Giugliano. Il tracciato che attraversa una delle zone più urbanizzate dell’area napoletana, dovrebbe costituire un’alternativa alla congestionata Circumvallazione esterna. Tali strade sono poi collegate da alcuni raccordi trasversali. Altri interventi riguardano l’area orientale con il citato prolungamento della Circumvallazione esterna fino a Cercola, il collegamento fra Centro Direzionale ed autostrada Napoli-Bari ed il completamento della variante alla SS 268 da San Giuseppe Vesuviano a Pompei.

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Sistema stradale (radiante nord di Napoli) Le strade a scorrimento veloce che collegano fra loro gli agglomerati ASI, i centri abitati con più alta densità demografica e le autostrade, tentano di modificare lo schema radiocentrico con un sistema rettangolare favorendo i collegamenti est-ovest esterni al capoluogo. A ciò bisogna aggiungere che, rispetto alle aree fortemente urbanizzate che attraversano, sono infrastrutture difficilmente integrabili nel contesto in cui sono inserite e spesso con gravi problemi di impatto ambientale. Infatti si è avuto un processo di inserimento della nuova viabilità, in nuove aree urbanizzate, con risultati pessimi sia per quanto riguarda la qualità urbana delle nuove zone edificate, sia per ciò che concerne la stessa efficienza delle strade, dove si crea una commistione di traffici urbani ed extraurbani. Fra i più recenti interventi stradali, ve ne sono alcuni che hanno interessato le aree interne con lo scopo di migliorarne l’accessibilità: fra queste vi è il grande asse di scorrimento Caianello-Benevento-AvellinoLioni- Contursi, che si congiunge alla fondovalle Ofanto per arrivare in Puglia, la strada a scorrimento veloce Benevento-Campobasso, la Basentana e la fondovalle Agri verso la Basilicata ed i collegamenti fra Battipaglia-Agropoli-Buonabitacolo-Policastro che collegano più agevolmente il Cilento con la A3. Manca un reticolo di strade provinciali cui dovrà essere affidato il compito di drenaggio del traffico proveniente dalle grandi arterie a scorrimento veloce e autostradale in via di completamento come la Fondovalle del Trignino, quella di Contursi, l’Ofantina e la Caianello-Telese.

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1.1.3 - Il Trasporto su ferro. Come è noto, della rete ferroviaria emerge soprattutto la buona dotazione delle regioni settentrionali, mentre quelle meridionali si evidenziano per la loro consistente carenza. Circa il 60% della rete è localizzato nel Centro-nord e il rimanente 40% nel Sud. Nel Centro-nord, le linee ferroviarie a doppio binario raggiungono il 45% circa del totale, mentre nel Mezzogiorno sono soltanto il 19%. Alla leggera riduzione dell’estensione complessiva della rete ha poi corrisposto, già da un ventennio, una estensione, per quanto non particolarmente rilevante, dell’elettrificazione. Tuttavia, anche in questo caso il Mezzogiorno risulta piuttosto svantaggiato, con una quota di linee elettrificate sul totale che si ferma al 35%, circa la metà di quella del Centro-nord (69% circa). L’immagine che traspare è dunque l’immagine di un sistema ferroviario che è la sommatoria di tratte (più o meno lunghe), ma che sono ben lontane dal configurarsi come un reticolo interconnesso, sia internamente (cioè tra linee ferroviarie) che con gli altri modi di trasporto. Una situazione analoga a quella stradale si verifica con le infrastrutture ferroviarie che sono costituite da due direttrici nazionali nord-sud, quella costiera Roma-Napoli-Salerno-Reggio Calabria e quella interna Roma-Cassino-Caserta-Cancello-Nocera collegata alla prima, e due trasversali, la Napoli-Caserta-Benevento-Foggia e la Battipaglia-Potenza-Taranto. L’offerta al trasporto è concentrata sulla linea Roma-Napoli-Salerno-Reggio Calabria sulla quale si sovrappongono servizi locali, regionali ed a lungo percorso. Tale condizione causa notevoli ripercussioni negative alla regolarità e alla velocità dei servizi a lungo raggio. Le concentrazioni delle destinazioni su Napoli centrale non consente una specializzazione dei servizi per cui si verifica che i treni nell’avvicinarsi al capoluogo sono soggetti al pesante condizionamento dell’accesso alla stazione terminale. La sovrapposizione di intensi servizi locali tra Napoli e Caserta rende problematica la marcia dei treni che sono costretti a percorrere una infrastruttura “a collo di bottiglia”. Difficili risultano i collegamenti interregionali, soprattutto con il Molise e quelli regionali dei capoluoghi fra loro, come quello fra Avellino e Salerno, servito da treni scarsi e lenti e quello fra Avellino e Benevento per il quale esiste un solo treno diretto al giorno, ed quello fra Napoli ed Avellino o, ancora, fra Napoli e Benevento. La maggior parte della rete ferroviaria si concentra nell’area metropolitana di Napoli, mentre la parte meridionale ed orientale della regione è quasi sprovvista di tali infrastrutture. Nell’area napoletana si concentra una parte consistente delle infrastrutture su ferro, soprattutto nella parte orientale, ma spesso da ammodernare ed interconnettere: ci sono tre sottoinsiemi di interesse metropolitano, ad occidente la Cumana e la Circumflegrea, a settentrione la Alifana e a oriente la Circumvesuviana; a livello urbano è in via di completamento la Metropolitana collinare ed è prevista lungo l’arco costiero la Linea Tranviaria Rapida (rivista e corretta rispetto al progetto originario). L’insieme delle ferrovie in concessione ed in gestione governativa della Campania ha uno sviluppo lineare di soli 282 Km pari all’8% dell’intero sistema nazionale il cui sviluppo è di Km 3527.

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Ferrovie in concessione

93%

7%

ItaliaCampania

Fonte: elaborazioni su dati Istat

Per quanto riguarda la rete ferroviaria, gli interventi in corso di realizzazione, se si esclude l’Alta Velocità, di interesse nazionale, riguardano prevalentemente la provincia di Napoli, con rafforzamento dello schema radiale, con direttrici che partono dal capoluogo. In effetti per le ferrovie, anche se si può parlare di una estensione delle reti, l’addensarsi del traffico su pochi corridoi e gli elevati rapporti costi/ricavi di una infrastruttura insufficientemente utilizzata, provocano una riduzione, non una estensione dell’attuale rete ed un potenziamento delle direttrici fondamentali. 1.1.4 - Il sistema aeroportuale. La Campania dispone attualmente di due infrastrutture aeroportuali utilizzabili al traffico commerciale: Capodichino e Pontecagnano. Capodichino, impianto militare aperto al traffico civile, rappresenta tutt’ora per numero di passeggeri serviti il terzo polo nazionale. Le sue carenze strutturali non consentono un adeguamento conveniente alle esigenze del settore e possono essere così riassunte: - la lunghezza della pista è insufficiente e non modificabile per la presenza di zone urbanizzate; - ostacoli naturali ed artificiali che penalizzano le procedure di atterraggio e decollo; - i piazzali hanno un’ampiezza modesta non solo per la sosta degli aerei ma anche per l’agibilità dei percorsi a terra dei veicoli ausiliari; - i parcheggi, anche se ampliati di recente, sono di gran lunga insufficienti a soddisfare la domanda di sosta di breve e lunga durata per uno scalo di elevato livello. La valutazione urbanistica della collocazione dello scalo di Capodichino evidenzia alcune peculiarità che lo rendono però gradito all’utenza: - la modesta distanza dal centro urbano; - la centralità rispetto alla rete stradale primaria regionale; - il progettato collegamento ferroviario Piscinola-Napoli Centrale che connetterà l’aeroporto alle infrastrutture di trasporto di massa regionali. Di contro la stessa centralità dello scalo presenta l’inconveniente, non secondario, di un impatto sia acustico che di sicurezza dell’esercizio nelle fasi di decollo e atterraggio oltre la soglia di compatibilità ambientale. Considerato tutto quanto esposto, si può concludere che Capodichino è uno scalo ottimale per servizio di linee di carattere nazionale e internazionale con un carico complessivo di traffico limitato.

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1.1.5 - Il sistema portuale. Il sistema portuale della regione Campania presenta una distribuzione irregolare lungo la linea litoranea, in relazione alla presenza di ripari naturali ed aree urbanizzate. Mentre il tratto litoraneo della Provincia di Caserta risulta privo di approdi di rilievo, quello di Salerno presenta porti in corrispondenza del capoluogo, di Sapri e del golfo di Policastro, nel golfo di Napoli c’è una concentrazione di approdi che da Baia a Castellammare, si susseguono ad una media inferiore a 10 Km. Tra questi, di una certa importanza nell’area napoletana sono quelli di Pozzuoli e Torre Annunziata; in quest’ultimo è presente un silos e sono concentrati nelle immediate adiacenze vari impianti molitori e di pastificazione e gran parte del traffico riguarda i prodotti cerealicoli; a Baia la pozzolana proveniente dalle cave flegree incide per circa il 90% di merci trasportate, qui sono presenti inoltre attività cantieristiche sia artigianali, che industriali. Anche questi porti minori del sistema napoletano presentano gravi problemi di collegamento con la rete viaria e ferroviaria, soffocati come sono da una conurbazione densamente edificata, mentre per il porto di Torre Annunziata è previsto un raccordo con l’autostrada A30 a Sarno, l’A3 a Pagani e la grande viabilità nella zona vesuviana. Oggi la congestione verificatasi lungo la costa ha finito con il creare non pochi problemi per il trasporto marittimo, rendendo difficili i collegamenti fra le zone portuali e le parti più interne della regione; infatti il sistema portuale napoletano risente molto sia di questa difficoltà di collegamento con l’entroterra, che di una flessione del traffico commerciale e industriale. Per il porto di Napoli si è tentato da un lato di ampliare le strutture portuali e dall’altro di migliorare il grado di efficienza, cercando di sopperire al limitato numero di ormeggi disponibili con l’utilizzo di più capaci attrezzature di sollevamento e modificando gli usi di alcuni moli o sistemando le aree interne al porto. Insieme a Napoli, Salerno è oggi lo scalo marittimo campano che riesce ad avere un traffico di genere vario, infatti il suo sviluppo, nonostante anche qui ci siano problemi di collegamento con l’entroterra, è stato consistente negli ultimi anni, anche se in crescita oscillante per i passeggeri e più consistente per le merci (movimentazione containers), poichè l’area servita è quella limitata della provincia, per cui risente molto dell’andamento della produzione dei vari comparti. Il porto di Salerno si propone quale importante polo sbarco/imbarco per i traffici di Campania, Basilicata e Puglia, rappresentando, per questo ruolo privilegiato, tra i quattro scali marittimo commerciali dell’Italia Meridionale con Taranto, Gioia Tauro e Napoli. Per il porto di Salerno si è realizzato un consistente prolungamento del vecchio porto con la realizzazione di tre nuove darsene ed un nuovo molo. Ci sono inoltre dei progetti per la costruzione di banchine in alcuni approdi per imbarcazioni da diporto, come Agropoli, Camerota e Castellabbate, che potranno migliorare l’accessibilità ai fini turistici del litoraneo cilentano. Il sistema portuale in Campania è caratterizzato dalla prevalenza di porti che nel tempo hanno visto drammaticamente affievolire la loro attività commerciale e peschereccia. Fra i motivi vi sono sicuramente l’inadeguatezza di queste infrastrutture al nuovo tipo di traffico commerciale, che ha bisogno di grandi spazi a terra per lo stoccaggio delle merci e dei containers, e la carenza di una rete di collegamenti a terra adeguata. Emblematici gli esempi di Torre del Greco e Baia che hanno azzerato, nel primo caso, e dimezzato, nel secondo, il traffico commerciale in soli tre anni. Ma questo fattore lungi dal determinare una crisi irrimediabile del sistema, ha messo in evidenza potenzialità e vocazioni prima soffocate. Si è assistito ad una spontanea riconversione di gran parte dei porti che se fosse riorganizzata e razionalizzata, potrebbe essere sicuramente volano di sviluppo e riqualificazione per l’intera fascia costiera. Sinteticamente, la funzione di porto commerciale, in effetti può attribuirsi solo ai porti di Pozzuoli, Torre Annunziata e Castellammare mentre la pesca continua ad avere un ruolo preminente per i porti di Pozzuoli, Torre del Greco, S.Maria di Castellabate, Acciaroli, Marina di Camerota e Sapri.

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I restanti porti del sistema hanno trovato nuova vita nella fortissima richiesta di spazi destinati alla nautica di diporto che ha determinato in breve tempo la saturazione delle poche strutture disponibili. Ciò ha spinto molti comuni campani a puntare sulla riconversione dei loro porticcioli in chiave turistica, considerandoli non solo elemento indispensabile per un rinnovato input turistico ma anche una occasione non trascurabile di incrementare i livelli occupazionali. Attualmente tutto è affidato ad iniziative spontanee e mal organizzate; gli spazi d’ormeggio sono in gran parte attrezzati fruibili solo nei tre mesi estivi e nella maggioranza dei casi la loro gestione è affidata a personale non qualificato ed abusivo, e spesso tali strutture riescono a soddisfare solo la richiesta di un tipo di turismo stanziale. 1.1.6 - Gli interporti. L'interporto di Nola è l'unico di rilevanza nazionale, operativo nel centro-sud Italia, che permette - grazie all'interconnessione tra i vettori - di utilizzare con efficienza tutte le quattro modalità di trasporto (aria, gomma, acqua, ferro). E' stato, infatti, concepito come una struttura finalizzata a catalizzare lo sviluppo di un distretto logistico integrato, che mira ad abbracciare ed ottimizzare tutte le fasi del ciclo produttivo e distributivo quali lo stoccaggio, la manipolazione e la movimentazione delle merci. L’interporto Sud Europa di Maddaloni-Marcianise, situato a 15 Km a Nord di Napoli e a 4 Km a Sud Est di Caserta, confina ad Ovest con l'autostrada A1 Napoli-Milano e a Nord Est con l'autostrada A30 Caserta Salerno, con le quali a breve sarà direttamente collegata tramite svincoli dedicati. L'interporto si estende su di una superficie di 6 milioni di mq. situata lungo la dorsale ferroviaria tirrenica in stretta adiacenza e connessione con il più importante scalo ferroviario di smistamento merci d'Italia. L’interporto è situato a ridosso dello scalo merci RFI di Maddaloni, principale infrastruttura ferroviaria di composizione e smistamento dell’Italia meridionale, con il quale è prevista l’integrazione funzionale al terminal intermodale dell’interporto.

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1.2 - I flussi merceologici della regione Campania. Il monitoraggio e l’analisi dei flussi logistici generatisi in un qualsivoglia contesto territoriale, sia esso di matrice distrettuale, sia esso riflettente la mera localizzazione territoriale dei flussi stessi, scaturisce senz’altro dalla ricognizione dei dati statistici diffusi dalle istituzioni inquadrate dal SISTAN (Sistema Statistico Nazionale) quali fonti ufficiali produttrici dei dati. Il contesto territoriale e, pertanto, la regione ospitante le realtà distrettuali oggetto del presente lavoro di ricerca (la Campania) evidenzia, a ben vedere, una serie di aspetti di non trascurabile interesse, sia in ordine alla comprensione dei dati quali-quantitativi dei flussi merceologici inter-regionali, sia con riferimento al tourneround logistico interno alla stessa regione. La presente sezione ha come obiettivo quello di investigare la dinamica dei flussi merceologici (su gomma) in entrata, in uscita, ed interni, alla regione Campania, evidenziando alcuni aspetti particolarmente interessanti riguardanti il cosiddetto “saldo” logistico regionale, ovvero la differenza tra i flussi aventi origine nel contesto regionale e quelli aventi destinazione nello stesso, nel più significativo contesto dell’autotrasporto. E’ appena il caso di anticipare un dato di particolare rilievo: circa il 68% dei flussi merceologici logisticizzati, originatisi in ambito regionale, esauriscono il proprio “percorso” logistico nel medesimo contesto regionale. Quest’ultimo dato, lo si ribadisce, è relativo al traffico “su gomma”. I flussi merceologici generati nella Regione Campania Nella tabella seguente è possibile verificare l’incidenza dei traffici originatisi all’interno della regione, sia con riferimento al trasporto effettuato con mezzi propri, sia con riferimento al trasporto terziarizzato (conto terzi). Trasporti complessivi per titolo di trasporto originati nella regione Campania - Anno 2001 REGIONI DI ORIGINE Tkm Km Tkm Km Tkm Km (migliaia) medi (migliaia) medi (migliaia) medi Campania 16.658.226 891.858 53,5 25.386.009 7.403.820 291,6 42.044.235 8.295.678 197,3% 3,71 3,30 3,57 4,64 3,62 4,45ITALIA 447.569.679 26.678.641 59,6 694.167.383 144.176.379 207,7 1.141.737.062 170.855.020 149,6ESTERO 1.083.277 363.897 335,9 17.120.350 15.290.662 893,1 18.203.627 15.654.559 860,0TOTALE 448.652.956 27.042.538 60,3 711.287.733 159.467.041 224,2 1.159.940.689 186.509.579 160,8

CONTO PROPRIO CONTO TERZI TOTALE

Tonnellate Tonnellate Tonnellate

I flussi merceologici destinati alla Regione Campania Nella tabella seguente è possibile verificare l’incidenza dei traffici destinati alla regione, sia con riferimento al trasporto effettuato con mezzi propri, sia con riferimento al trasporto terziarizzato (conto terzi). Trasporti complessivi per titolo di trasporto destinati alla regione Campania - Anno 2001 REGIONI DI DESTINAZIONE Tkm Km Tkm Km Tkm Km (migliaia) medi (migliaia) medi (migliaia) medi Campania 17.186.665 1.167.862 68,0 27.067.222 8.619.827 318,5 44.253.887 9.787.689 221,2

3,83 4,32 3,81 5,41 3,82 5,25ITALIA 447.290.177 26.574.014 59,4 693.030.276 142.672.837 205,9 1.140.320.453 169.246.851 148,4ESTERO 1.362.779 468.524 343,8 18.257.457 16.794.204 919,9 19.620.236 17.262.728 879,8TOTALE 448.652.956 27.042.538 60,3 711.287.733 159.467.041 224,2 1.159.940.689 186.509.579 160,8

CONTO PROPRIO CONTO TERZI TOTALE

Tonnellate Tonnellate Tonnellate

Nelle tabella seguenti, invece, con riferimento all’anno 2002, e con dati disaggregati mensilmente, si riporta la composizione quantitativa del traffico containerizzato interessante il porto di Napoli, nonché le variazioni percentuali rispetto al 2001.

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Traffico containers, in numero e Teu, del porto di Napoli - Anni 2002 (mesi)

MovimentoContainers da 20" da 40" Totale da 20" da 40" Totale

in Teu in Teu

Sbarchi 1.861 2.649 7.159 4.533 4.636 13.805 13.679 20.964Imbarchi 288 770 1.828 3.977 4.537 13.051 9.572 14.879Totale 2.149 3.419 8.987 8.510 9.173 26.856 23.251 35.843

Sbarchi 1.655 1.532 4.719 3.038 3.584 10.206 9.809 14.925Imbarchi 258 462 1.182 4.949 4.777 14.503 10.446 15.685Totale 1.913 1.994 5.901 7.987 8.361 24.709 20.255 30.610

Sbarchi 1.959 2.823 7.605 4.351 4.645 13.641 13.778 21.246Imbarchi 1.417 670 2.757 5.325 6.708 18.741 14.120 21.498Totale 3.376 3.493 10.362 9.676 11.353 32.382 27.898 42.744

Sbarchi 2.050 1.878 5.806 4.012 4.148 12.308 12.088 18.114Imbarchi 1.215 1.173 3.561 4.803 4.547 13.897 11.738 17.458Totale 3.265 3.051 9.367 8.815 8.695 26.205 23.826 35.572

Sbarchi 2.501 2.301 7.103 4.230 4.281 12.792 13.313 19.895Imbarchi 1.298 1.071 3.440 5.062 4.820 14.702 12.251 18.142Totale 3.799 3.372 10.543 9.292 9.101 27.494 25.564 38.037

Sbarchi 1.522 2.170 5.862 4.022 3.780 11.582 11.494 17.444Imbarchi 329 558 1.445 4.916 5.092 15.100 10.895 16.545Totale 1.851 2.728 7.307 8.938 8.872 26.682 22.389 33.989

Sbarchi 2.120 2.629 7.378 3.694 4.223 12.140 12.666 19.518Imbarchi 1.294 1.190 3.674 5.369 5.577 16.523 13.430 20.197Totale 3.414 3.819 11.052 9.063 9.800 28.663 26.096 39.715

Sbarchi 1.762 2.338 6.438 3.095 4.240 11.575 11.435 18.013Imbarchi 647 1.364 3.375 4.416 4.721 13.858 11.148 17.233Totale 2.409 3.702 9.813 7.511 8.961 25.433 22.583 35.246

Sbarchi 1.536 1.523 4.582 3.669 5.149 13.967 11.877 18.549Imbarchi 639 1.740 4.119 4.114 4.513 13.140 11.006 17.259Totale 2.175 3.263 8.701 7.783 9.662 27.107 22.883 35.808

Sbarchi 1.860 2.124 6.108 5.289 6.789 18.867 16.062 24.975Imbarchi 1.110 1.790 4.690 5.006 5.245 15.496 13.151 20.186Totale 2.970 3.914 10.798 10.295 12.034 34.363 29.213 45.161

Sbarchi 1.178 1.634 4.446 4.730 4.439 13.608 11.981 18.054Imbarchi 597 749 2.095 4.509 4.372 13.253 10.227 15.348Totale 1.775 2.383 6.541 9.239 8.811 26.861 22.208 33.402

Sbarchi 1.439 1.744 4.927 5.116 4.107 13.330 12.406 18.257Imbarchi 702 1.738 4.178 5.586 5.550 16.686 13.576 20.864Totale 2.141 3.482 9.105 10.702 9.657 30.016 25.982 39.121

Sbarchi 21.443 25.345 72.133 49.779 54.021 157.821 150.588 229.954Imbarchi 9.794 13.275 36.344 58.032 60.459 178.950 141.560 215.294Totale 31.237 38.620 108.477 107.811 114.480 336.771 292.148 445.248

Sbarchi 350 1.088 2.526 5.163 4.773 14.709 11.374 17.235Imbarchi 224 714 1.652 5.526 4.795 15.116 11.259 16.768Totale 574 1.802 4.178 10.689 9.568 29.825 22.633 34.003

Anno 2002

di cui movimentazione containers in transito - anno 2002

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Gennaio

Febbraio

Marzo

Aprile

TotaleTraffico containers

Numero Teu

Vuoti Pieni

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MovimentoContainers da 20" da 40" Totale da 20" da 40" Totale

in Teu in Teu

Sbarchi 25.956 26.323 78.602 47.797 47.180 142.157 147.256 220.759

Imbarchi 8.011 7.154 22.319 60.735 63.142 187.019 139.042 209.338

Totale 33.967 33.477 100.921 108.532 110.322 329.176 286.298 430.097

Sbarchi 424 620 1.664 5.303 3.778 12.859 10.125 14.523

Imbarchi 413 418 1.249 5.096 3.828 12.752 9.755 14.001

Totale 837 1.038 2.913 10.399 7.606 25.611 19.880 28.524

Sbarchi 21.443 25.345 72.133 49.779 54.021 157.821 150.588 229.954

Imbarchi 9.794 13.275 36.344 58.032 60.459 178.950 141.560 215.294

Totale 31.237 38.620 108.477 107.811 114.480 336.771 292.148 445.248

Sbarchi 350 1.088 2.526 5.163 4.773 14.709 11.374 17.235

Imbarchi 224 714 1.652 5.526 4.795 15.116 11.259 16.768

Totale 574 1.802 4.178 10.689 9.568 29.825 22.633 34.003

Sbarchi -4.513 -978 -6.469 1.982 6.841 15.664 3.332 9.195

Imbarchi 1.783 6.121 14.025 -2.703 -2.683 -8.069 2.518 5.956

Totale -2.730 5.143 7.556 -721 4.158 7.595 5.850 15.151

Sbarchi -74 468 862 -140 995 1.850 1.249 2.712

Imbarchi -189 296 403 430 967 2.364 1.504 2.767

Totale -263 764 1.265 290 1.962 4.214 2.753 5.479

Sbarchi -17,4 -3,7 -8,2 4,1 14,5 11,0 2,3 4,2

Imbarchi 22,3 85,6 62,8 -4,5 -4,2 -4,3 1,8 2,8

Totale -8,0 15,4 7,5 -0,7 3,8 2,3 2,0 3,5

Sbarchi -17,5 75,5 51,8 -2,6 26,3 14,4 12,3 18,7

Imbarchi -45,8 70,8 32,3 8,4 25,3 18,5 15,4 19,8

Totale -31,4 73,6 43,4 2,8 25,8 16,5 13,8 19,2

Traffico containers, in numero e Teu, del porto di Napoli Variazioni (assoluta e percentuale)

TotaleTraffico containers

Numero Teu

Vuoti Pieni

Anno 2001

Anno 2002

Variazione assoluta

Variazione percentuale

di cui movimentazione containers in transito - anno 2001

di cui movimentazione containers in transito - anno 2002

di cui movimentazione containers in transito

di cui movimentazione containers in transito

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Dall’esame delle tabelle precedenti, è appena il caso di evidenziare le variazioni più sensibili siano state registrate con particolare riferimento al traffico dei “vuoti”. Si è ritenuto opportuno elaborare le precedenti tabelle, di modo da costruire i seguenti diagrammi che illustrano la composizione del traffico complessivo di contenitori transitante per il porto di Napoli.

Ripartizione percentuale, per condizione e grandezza, del traffico complessivo dei containers (numero) nel porto di Napoli - Anno 2002

39,2%

36,9%

23,9% 76,1%

Containersvuoti

Containerspieni

Containersda 20"

Containersda 40"

Fonte: elaborazioni su dati Autorità portuale di Napoli

Nel diagramma seguente, invece, si riporta quella che potremmo definire l’equa ripartizione tra sbarchi e imbarchi di contenitori nel porto di Napoli, con un saldo lievissimo a favore degli sbarchi (+3%).

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Ripartizione percentuale, per movimento, del traffico complessivo dei containers (numero ) nel porto di Napoli - Anno 2002

51,5%48,5%

Containers sbarcatiContainers imbarcati

Fonte: elaborazioni su dati Autorità portuale di Napoli

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Anche i flussi interessanti l’aeroporto di Napoli, pur essendo a dir poco modesti quanto a numerosità, completano il quadro investigativo, fornendo, in ogni caso importanti spunti di riflessione, specialmente se si osserva grafici riportanti le serie storiche (1986-2002) delle merci sbarcate e imbarcate. Movimento aeroporto Internazionale di Napoli - Anni 2001 - 2002

Voli in Arrivo Voli in Partenza Passeg

Nazio Inter Aviazione Totale Passeg Posta Merci Nazio Inter Aviazione Totale Passeg Posta Merci geri innali nazio Generale geri (q.li) (q.li) nali nazio Generale geri (q.li) (q.li) transito

nali (1) nali (1)

2001 17.716 8.444 4.284 30.444 1.926.896 16.328 19.913 17.712 8.434 4.326 30.472 1.938.530 16.763 11.361 137.5752002 20.100 8.486 3.183 31.769 2.024.665 19.035 30.839 20.110 8.469 3.340 31.919 2.044.301 16.654 33.771 63.908

Assoluta 2.384 42 -1.101 1.325 97.769 2.707 10.926 2.398 35 -986 1.447 105.771 -109 22.410 -73.667

Percentuale 13,5 0,5 -25,7 4,4 5,1 16,6 54,9 13,5 0,4 -22,8 4,7 5,5 -0,7 197,3 -53,5

Gennaio 1.563 390 106 2.059 89.348 1.680 2.283 1.567 387 106 2.060 103.959 1.198 2.066 9.631

Febbraio 1.439 355 97 1.891 103.124 1.763 2.677 1.441 362 97 1.900 103.831 1.449 2.486 6.641

Marzo 1.532 492 190 2.214 145.361 1.861 3.302 1.533 488 190 2.211 130.015 1.538 2.739 8.539

Aprile 1.529 691 213 2.433 169.462 1.523 3.459 1.532 687 212 2.431 172.947 1.225 2.687 2.847

Maggio 1.715 904 486 3.105 209.986 1.604 3.098 1.705 902 486 3.093 196.724 1.385 2.874 4.399

Giugno 1.668 907 556 3.131 200.406 1.485 2.357 1.667 901 555 3.123 204.389 1.311 2.499 4.930

Luglio 1.679 930 472 3.081 198.728 1.465 2.112 1.685 929 472 3.086 201.100 1.346 3.245 8.768

Agosto 1.555 1.107 301 2.963 219.252 1.248 1.173 1.553 1.106 324 2.983 223.180 1.240 1.766 7.793

Settembre 1.779 912 266 2.957 220.350 1.481 2.208 1.783 906 266 2.955 219.769 1.337 2.810 5.485

Ottobre 2.058 816 258 3.132 198.089 1.840 2.731 2.062 815 258 3.135 215.038 1.601 4.219 2.894

Novembre 1.831 495 134 2.460 132.485 1.534 2.776 1.827 502 212 2.541 143.532 1.414 4.778 592

Dicembre 1.752 487 104 2.343 138.074 1.551 2.663 1.755 484 162 2.401 129.817 1.610 1.601 1.389

Anno 20.100 8.486 3.183 31.769 2.024.665 19.035 30.839 20.110 8.469 3.340 31.919 2.044.301 16.654 33.770 63.908

1) Comprende tutti i voli privati (aerofotografia, taxi, voli privati). Fonte : Circoscrizione Aeroportuale di Capodichino

MOVIMENTO GENERALE AEROPORTO

Variazioni anno 2002 - 2001

Anno 2002 (mesi)

ANNI MESI

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10.000

15.000

20.000

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30.000

35.000

1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

Merci sbarcate

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1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

Merci imbarcate

Movimento merci (q.li) nell'aeroporto Internazionale di Napoli dal 1986 al 2002

Fonte: elaborazioni su dati Gesac

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1.3 - L’economia produttiva della regione Campania: lo “stato dell’arte” dell’export campano e i settori strategici Dai dati emersi dal Rapporto "L'Italia nell'economia internazionale - Rapporto ICE 2004-2005" sull'interscambio di beni e servizi tra il nostro paese ed il resto del mondo, le esportazioni italiane nel 2004 sono state pari a 280,7 miliardi di euro (+ 6,1% rispetto al 2003), a fronte di importazioni per 282,2 miliardi di euro (+ 7,3%). Nel 2004, la quota di mercato dell'Italia è stata pari al 3,9%. Dopo aver subìto un netto calo (complessivamente di quasi il 20%) nel precedente biennio, l'anno scorso le esportazioni di merci della Campania hanno mostrato segni di ripresa. La loro crescita (+3,8%) è dipesa quasi per intero da quella ottenuta in Europa, poiché in altre importanti aree, come l'Africa, le Americhe e l'Asia orientale, si sono ancora riscontrate variazioni negative (la quota della regione rispetto all'Italia è risalita nell'Unione europea ma ha continuato a diminuire nell'insieme dei paesi extra-UE). Nel 2004 le esportazioni campane sono state pari a 7,1 miliardi di euro, a fronte di importazioni per 8,1 miliardi di euro. Il numero di esportatori campani, relativamente più alto di quello delle altre regioni, si è di nuovo fortemente ridotto, a riflesso del fatto che, pure dal punto di vista settoriale, si sono verificate dinamiche divergenti delle loro vendite: ad un netto recupero nei mezzi di trasporto (sia autoveicoli che velivoli) ad elevate economie di scala, si è contrapposta una ulteriore pesante contrazione, anche e soprattutto in Europa, nei comparti di specializzazione a maggiore numerosità di imprese, cioè agro-alimentare (in particolare sughi di pomodoro e prodotti lattiero-caseari), cuoio ed abbigliamento. La situazione dei settori tradizionali nella regione è forse complessivamente meno grave di quanto appaia nel distretto industriale di Solfora (AV), la cui crisi è tuttavia da tenere presente perché si tratta dell'unica realtà distrettuale campana di dimensioni significative: le sue vendite all'estero di cuoio conciato si sono ridotte in 4 anni di circa il 60%, da 503 a 210 milioni di euro, a causa di continue variazioni negative nei loro principali mercati, particolarmente in Corea, Hong Kong e Cina, che invece hanno aumentato le loro importazioni dal mondo e dove peraltro le esportazioni italiane del settore hanno tenuto. Nei servizi a non residenti, la posizione della Campania è migliore che nelle esportazioni di merci: l'anno scorso la sua quota in rapporto all'Italia (3%), nettamente la più alta tra quelle delle regioni meridionali, è salita grazie ai guadagni ottenuti nei servizi non finanziari alle imprese e malgrado un calo nelle costruzioni e nel turismo. La Campania presenta anche un discreto grado di internazionalizzazione produttiva: la sua quota sul fatturato delle imprese estere a partecipazione italiana è apprezzabile (e crescente) sia nel settore logistica e trasporti che nelle "macchine elettriche" (elettrotecnica, elettronica, strumenti di precisione), dove nel 2003 ha raggiunto rispettivamente l'8,6% ed il 3,8%; gli IDE in entrata sono complessivamente più consistenti e risultano, in termini di addetti delle imprese partecipate dall'estero, meglio distribuiti (nei servizi, logistica e telecomunicazioni-informatica, nell'industria alimentari, prodotti in metallo, "macchine elettriche" e mezzi di trasporto). Dall’analisi dei dati è emerso, poi, chiaramente che tra i settori strategici relativi alla regione Campania, quello che riporta gli indicatori di performance più interessanti è quello viti-vinicolo.

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Bibliografia: Forte E., Logistica Economica e strumenti di analisi: obiettivi e condizioni per l'ottimo , in ''Atti della VII Riunione Scientifica della Società Italiana degli Economisti dei Trasporti'', Università di Genova, 18-20 Novembre 2004. Forte E., Trasporti Politica Economia, Cedam, Padova, 1994. ISTAT, 8° Censimento generale dell’industria e dei servizi - 2001, Roma, 2004. ISTAT, 8° Censimento generale dell’industria e dei servizi - 2001, Roma, 2004. Istituto di Ricerche Economiche e Sociali della Campania - Nota sul Piano Regionale dei Trasporti della Regione Campania da Seminario Filt-Cgil Campania- novembre 1998 Istituto Guglielmo Tagliacarne – Indici di dotazione infrastrutturale SVIMEZ – Rapporto 2005 sull’economia del Mezzogiorno

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Capitolo II Distretti industriali in Campania e problematiche del trasporto merci Fedele Iannone

Introduzione Il fenomeno più interessante dell’industria italiana moderna è rappresentato, a partire dagli anni Settanta-Ottanta, dai “distretti industriali”. Secondo i dati IPI-Ministero delle Attività Produttive, a settembre 2004 ben 166 risultano i distretti ufficialmente riconosciuti dalle Regioni. Tra i più noti ed importanti nel meridione d’Italia, si ricordano ad esempio i lanifici di Barletta, le concerie di Solofra, i salotti di Santeramo, i conservifici di pomodoro a Salerno e in numerosi comuni in provincia di Napoli. Secondo diversi studiosi, i distretti industriali sembrerebbero la soluzione più idonea per coinvolgere in un vasto processo d’industrializzazione anche il Mezzogiorno d’Italia, nel quale, invece, la politica economica dei grandi “poli di sviluppo”, proseguita sino a tutti gli anni Ottanta, non ha dato gli esiti sperati. La Puglia, ad esempio, ha già un buona specializzazione nel settore dell’arredamento, e sembrerebbe attualmente la regione del Mezzogiorno meglio avviata ad uno sviluppo dei distretti industriali. Per quanto riguarda la Campania, si registrano significative situazioni di aggregazione locale di piccole e medie imprese che hanno portato la Regione a individuare sette distretti industriali. In questo capitolo, dopo una breve introduzione sulle principali problematiche logistiche dei distretti industriali in Italia, viene fornita una breve panoramica dei distretti e dei sistemi locali del lavoro campani, soffermandosi in particolare sulle peculiarità di ciascuno dei sette distretti e delle principali criticità dovute all’attuale organizzazione del trasporto merci. Infine, si è cercherà, dove possibile, di quantificare per grandi linee il fabbisogno merci dei distretti campani, individuando delle possibili linee di intervento future.

2.1 - Logistica e problematiche distrettuali I distretti industriali vengono analizzati principalmente come un possibile modello di politica per le piccole e medie imprese. Inoltre, il fatto che in aree circoscritte siano insediati molti operatori specializzati in determinati settori e collegati tra loro in filiera ha portato alla conclusione teorica che alla struttura organizzativa dei distretti sia possibile applicare perfettamente i princìpi della logistica e dell’analisi delle reti. Nella realtà pratica, invece, i progetti innovativi di successo, soprattutto nel Sud del Paese, sono stati finora molto pochi (Iannone, 2004)1. I distretti industriali si contraddistinguono per la forte divisione del lavoro tra numerose imprese locali specializzate nella produzione di beni caratterizzati da elevata varietà e variabilità della domanda, mostrando quindi un bisogno elevato, anche se tuttora spesso solo di tipo implicito, di servizi logistici. In particolare, l’insieme di materiali in ingresso e in uscita dai distretti genera la domanda di logistica, a cui occorre sommare anche le quantità di merci che si movimentano nei territori di riferimento per effetto di subforniture, lavorazioni speciali, ecc. Le imprese tendono però ancora ad utilizzare prevalentemente mezzi propri per effettuare la consegna dei prodotti, per lo più in circuiti locali e con un gran numero di viaggi a vuoto o a carico parziale, determinando considerevoli diseconomie

1 Iannone F. (2004), “Logistica di distretto, distretti logistici e tecnologie di rete”, Il Giornale della Logistica, n. 2, Marzo.

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ambientali e gestionali. Qualora, invece, le produzioni siano destinate a mercati nazionali o esteri è diffusa l’abitudine a stipulare contratti “franco fabbrica”, in base ai quali è il compratore ad occuparsi dell’organizzazione del trasporto e dell’eventuale sdoganamento della merce. Diverse ricerche svolte negli ultimi anni sulla logistica di distretto (Corò, D’Agostino, 2001; D’Agostino, 2001, 2002; Civiero, D’Agostino, 2003; D’Agostino, Iannone, 2004; D’Agostino, Iannone, 2005; Forte, Siviero, 2004; Iannone, 2004; Ottimo, Vona, 2001) hanno evidenziato le grandi difficoltà che le imprese distrettuali hanno nel momento in cui decidono di realizzare investimenti in standard logistici, informatici ed organizzativi, dato che tali strumenti di condivisone potrebbero avere durata minima, considerata la velocità di progresso dei mercati, ed impedire la realizzazione di un ritorno sufficiente a coprire gli investimenti iniziali. La caratteristica innovativa di un moderno modello distrettuale dovrà essere perciò quello di creare alleanze flessibili con società esterne allo scopo di ridurre i costi e ripartirli fra più imprese, ottenendo un maggior livello di soddisfazione dei clienti mediante servizi aggiuntivi rispetto alla sola attività tradizionale a forte contenuto di lavoro manifatturiero, che trova però nella qualità artigianale una fonte difficilmente sostituibile di vantaggio competitivo sui mercati internazionali. Procacciatori di commesse ma anche amministratori delle forniture per conto delle PMI, gli operatori logistici di distretto dovrebbero deconsolidare nelle loro basi operative i materiali provenienti da ogni parte del mondo e raccogliere le produzioni locali, curandone la commercializzazione comune attraverso tutta una serie di altri intermediari e di corrispondenti in altri territori. Tali ruoli consentiranno ai distretti industriali di muoversi in ambiti operativi flessibili, in quanto dipende soprattutto dall’azione di questi intermediari definire il bacino di utenza al quale indirizzare i prodotti. La progettazione e realizzazione di infrastrutture logistiche e di trasporto, nonché il conseguente sviluppo di operatori specializzati, sono solo alcune delle fasi che contribuiscono ad un’efficace politica per la logistica distrettuale, certamente le più importanti, ma non le uniche. Fondamentale per i distretti italiani sarà anche l’adozione delle moderne tecnologie di comunicazione basate su Internet e la loro proiezione nel modo di lavorare tradizionale delle imprese. L’abbassamento dei costi tecnologici permesso dalla Rete e dagli standard sviluppati dalle grandi organizzazioni del settore, unitamente alle nuove esigenze di aziende stimolate da scenari competitivi sempre più complessi, hanno creato infatti le condizioni perché anche alle PMI venissero proposte soluzioni di gestione integrata della catena del valore, in particolare attraverso applicativi forniti in modalità ASP (Application Service Providing) e quindi senza costi di installazione, manutenzione ed aggiornamento. Peraltro, attraverso lo sviluppo delle Information and Communication Technologies (ICT) l’applicazione dell’outsourcing logistico amplia ancora di più le sue potenzialità, dato che la creazione di standard comunicativi permetterebbe integrazioni migliori tra imprese distrettuali e tra queste e fornitori di servizi logistici, in particolare attraverso piattaforme virtuali di approvvigionamento (e-procurement), e-fullfillment, e-Crm, servizi di pallet/container pooling, ecc. Con il passare del tempo, sempre più le infrastrutture logistiche necessarie ai distretti industriali italiani saranno sia materiali, che immateriali soprattutto, trasformando lentamente ma inequivocabilmente i cluster produttivi regionali in veri e propri e-districts. Le ICT rivoluzionano il concetto di distretto industriale, dato che Internet sovrappone ad una rete territoriale una rete che non ha fine e che riassorbe il distretto stesso, il quale, da sistema chiuso, diventa sempre più un sistema aperto ed interattivo. Lo sviluppo del Web tende quindi ad indicare la necessità ed un grado di apertura e adattamento all’esterno ancora maggiore, attraverso un rapporto più stretto tra ricerca ed impresa, innovazione tecnologica e produzione, o meglio tra imprese produttive e logistiche distrettuali e Centri Servizi Specialistici Territoriali (CSST), i quali, sebbene ampiamente incentivati dal Fondo Sociale Europeo (FSE), sono ancora in un numero ridotto, specie nel Mezzogiorno, e oltretutto concentrati in poche parti dei territori regionali. In particolare, dato che solitamente le piccole e medie imprese distrettuali non sanno o non possono intercettare da sole la domanda globale dei propri prodotti e l’offerta globale di materiali e servizi vari

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necessari alle loro attività, i distretti industriali costituiranno i principali destinatari di soluzioni innovative di commercio elettronico, mediante la combinazione di portali verticali specializzati su un tipo particolare di filiera e dedicati agli scambi di beni e servizi tra aziende (business to business), e di portali territoriali con funzione di fonte di informazione sul distretto di appartenenza e dedicati al commercio business to consumer di particolari categorie merceologiche (ad es. prodotti tipici, creazioni artigiane in legno, ceramica, vetro, pelletteria e così via). Entrambe le tipologie di portali potrebbero essere gestiti appunto da Centri Servizi Specialistici Territoriali (CSST), o meglio da Centri Servizi Logistici Territoriali (CSLT), ovvero figure metamanageriali intermedie tra pubblico e privato (ad es. Università in collaborazione con Comitati di distretto, Associazioni dei produttori e dei venditori, Camere di Commercio, società di servizi ed altre associazioni no profit, quali Enti regionali o governativi) ed occasioni di confronto reale, scambio d’informazioni e diffusione di buone pratiche tra la logistica pubblica, accademica e/o consulenziale ed il tessuto imprenditoriale locale, mediante reti interconnesse in grado di supportare il cambiamento delle aziende verso l’integrazione di tutta la catena di offerta, realizzando distretti produttivi capaci di rispondere in modo agile, flessibile, rapido ed economico alle esigenze del mercato “glocale”. Così facendo si acquista una visibilità altrimenti irragiungibile e si ha la possibiltà di verificare in tempo reale i risultati. Comunque, sarà proprio la logistica “fisica”, ed i servizi di trasporto in particolare, ad influenzare la dimensione e l’estensione geografica di tali mercati elettronici, passando via via da mercati territorialmente limitati a mercati sempre più ampi e ad una maggiore partecipazione delle imprese alle attuali dinamiche di divisione globale del lavoro. Questa, per le PMI distrettuali, dovrebbe essere la nuova ottica di un processo che diversi studiosi hanno già definito come “District chain management” e che potrebbe ulteriormente rafforzare i tradizionali fattori contestuali del vantaggio competitivo della formula distrettuale stessa. Solo se le cose andassero in questo modo, si potrebbe sicuramente affermare che per la New economy sono decisamente più adatti i distretti che le singole imprese che li popolano. La globalizzazione e l’avvento delle nuove tecnologie, infatti, non hanno sganciato completamente le imprese dal territorio, ma hanno semplicemente contribuito a fornire loro una nuova dimensione operativa, in maniera aggiuntiva e non sostitutiva rispetto alla scala locale. Piuttosto che parlare di de-territorializzazione dell’impresa, sarebbe più opportuno parlare di mutamento della scala territoriale in cui il distretto nasce e si sviluppa: le imprese possono ora localizzare parti della stessa impresa in un’area molto più vasta e discontinua rispetto alla semplice corona di comuni del proprio circondario. Ma al di là di tutto quello che si scrive sulle magnifiche sorti delle nuove applicazioni tecnologiche, per molti distretti si affaccia un percorso di lavoro tutt’altro che agevole e lineare. Ogni distretto dovrà effettuare investimenti in ricerca e progettazione, aggregare gruppi di imprese, convincerle a fornire informazioni e ad investire in software, hardware ed interconnessioni (piattaforme logistiche e cablaggi informatici), assistendole nelle fasi di sperimentazione. D’altra parte, la realizzazione di progetti innovativi nel campo della logistica è indubbiamente favorita dalla costruzione di sistemi informativi comuni. In tal senso, le piattaforme logistiche potrebbero inizialmente essere solo virtuali, e con bassi investimenti, non perdendo però il loro significato reale, ovvero quello di migliorare la qualità e l’efficienza degli scambi tra imprese, e di avvicinare i produttori al consumatore finale. Piattaforme virtuali potrebbero dunque precedere per poi andarsi in seguito a sovrapporre ed interagire con quelle reali, e tale intelligenza terziaria impiegata nella gestione dei flussi logistici potrebbe anche risolvere, a favore delle PMI localizzate in aree periferiche rispetto ai grandi flussi di traffico, il problema della gerarchizzazione dei sistemi logistico-trasportistici basati sul modello “Hub and spoke”. Per quanto riguarda le modalità, i costi, i tempi ed i promotori delle iniziative innovative di logistica distrettuale finora indicate, si può in genere consigliare una analisi congiunta ed un lavoro di gruppo tra componenti imprenditoriali ed istituzionali del distretto (imprese leader, consorzi, operatori logistici vecchi e nuovi, Agenzie di marketing territoriale, Comitati di distretto e Centri servizi

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specialistici) che permetta di sviluppare standard conoscitivi e comunicativi creatori di legami deboli tra imprese e di varietà produttiva. “Logisticizzare” un distretto industriale significherà, allora, segmentare le diverse fasi produttivo-distributive in corrispondenti segmenti trasportistico-territoriali a scala locale e globale, che prevedano la localizzazione di piastre ed infrastrutture nodali funzionalmente legate ai cicli di lavorazione, nonchè l’implementazione di reti ed applicativi telematici dedicati, condivisi e a basso costo. In linea con le evoluzioni in atto, bisognerà investire prevalentemente sui meccanismi e sui ruoli che possano garantire il funzionamento di un sistema di flussi, lungo il quale sia la movimentazione delle merci che il trasferimento delle informazioni abbiano luogo con rapidità ed efficienza.

2.2 - I distretti industriali e i sistemi locali del lavoro in Campania La descrizione dell’assetto produttivo della Campania non può prescindere dalla conoscenza dei distretti industriali e dei sistemi locali del lavoro (SLL)2. I sette distretti industriali ufficialmente riconosciuti dalla Regione Campania nel 1997 interessano complessivamente 98 comuni (tab. 1), quasi il 18% del totale dei comuni della regione3.

2 I SLL rappresentano una partizione funzionale del territorio effettuata dall’ISTAT e possono essere intesi come raggruppamenti di comuni fra loro interdipendenti, territorialmente contigui e che soddisfano il principio dell’autocontenimento dei flussi comunali di pendolarismo tra località di residenza e località di lavoro, ovvero il principio che richiede che in una determinata area territoriale vi sia un equilibrio tra la domanda e l’offerta di lavoro. Ciò al fine di individuare delle aree in cui la maggior parte delle persone può trovare lavoro senza cambiare residenza e le imprese hanno, nello stesso tempo, la possibilità di soddisfare le proprie necessità di forza lavoro ricorrendo a risorse locali. Pertanto, all’interno di ognuno dei circa 800 sistemi che coprono l’intero territorio nazionale si registra la massima “densità” di spostamenti interni rispetto a quelli che avvengono all’esterno del sistema locale stesso. L’attribuzione di un sistema locale ad una regione o ad una provincia è stata effettuata sulla base della localizzazione del comune che ne assegna il nome (comune capoluogo del sistema locale) e che è anche, dal punto di vista del pendolarismo luogo di residenza-luogo di lavoro, il comune “attrattore” (D’Agostino, Iannone, 2004, 2005). 3 Nei comuni del distretto risiedono oltre 1 milione di persone. Il totale regionale dei residenti è di oltre 5 milioni e mezzo. Il totale dei residenti nei Capoluoghi di Provincia più il Comune di Torre del Greco è di oltre 1 milione e mezzo. Questo significa che circa un abitante su 4 dei Comuni non capoluogo è appartenente a Comuni facenti parte di distretti industriali (Regione Campania, 2003).

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Tabella 1 - Elenco dei Comuni che costituiscono i distretti industriali individuati dalla Regione Campania*

1

15064061 MONTORO INFERIORE 15064099 SERINO15064062 MONTORO SUPERIORE 15064101 SOLOFRA

2

15064003 ANDRETTA 15064013 CAIRANO 15064041 LACEDONIA15064004 AQUILONIA 15064015 CALITRI 15064060 MONTEVERDE15064011 BISACCIA 15064030 CONZA DELLA CAMPANIA 15064089 SANT'ANDREA DI CONZA

3

15062007 BASELICE 15062036 GINESTRA DEGLI SCHIAVONI 15062056 REINO15062016 CASTELFRANCO IN MISCANO 15062041 MOLINARA 15062057 SAN BARTOLOMEO IN GALDO15062020 CASTELVETERE IN VAL FORTORE 15062042 MONTEFALCONE DI VAL FORTORE 15062059 SAN GIORGIO LA MOLARA15062031 FOIANO DI VAL FORTORE 15062046 PAGO VEIANO 15062064 SAN MARCO DEI CAVOTI15062033 FRAGNETO L'ABATE 15062050 PESCO SANNITA15062034 FRAGNETO MONFORTE 15062052 PIETRELCINA

4

15062010 BUCCIANO 15062038 LIMATOLA15062027 DUGENTA 15062040 MOIANO15062028 DURAZZANO 15062070 SANT'AGATA DE' GOTI

15061004 ARIENZO 15061032 CURTI 15061078 SAN NICOLA LA STRADA15061018 CASAGIOVE 15061047 MACERATA CAMPANIA 15061081 SAN PRISCO15061021 CASAPULLA 15061062 PORTICO DI CASERTA 15061082 SANTA MARIA A VICO15061022 CASERTA 15061067 RECALE 15061083 SANTA MARIA CAPUA VETERE15061026 CASTEL MORRONE 15061075 SAN FELICE A CANCELLO

5

15061005 AVERSA 15061054 PARETE 15061092 TEVEROLA15061029 CESA 15061077 SAN MARCELLINO 15061094 TRENTOLA-DUCENTA15061037 FRIGNANO 15061085 SAN TAMMARO 15061098 VILLA DI BRIANO15061046 LUSCIANO 15061087 SANT'ARPINO15061053 ORTA DI ATELLA 15061090 SUCCIVO

15063005 ARZANO 15063023 CASORIA 15063045 MELITO DI NAPOLI15063020 CASANDRINO 15063032 FRATTAMAGGIORE 15063073 SANT'ANTIMO15063021 CASAVATORE 15063036 GRUMO NEVANO

6

15063015 CARBONARA DI NOLA 15063055 POGGIOMARINO 15063081 STRIANO15063051 OTTAVIANO 15063066 SAN GENNARO VESUVIANO 15063082 TERZIGNO15063052 PALMA CAMPANIA 15063068 SAN GIUSEPPE VESUVIANO

7

15063035 GRAGNANO 15063074 SANT'ANTONIO ABATE15063039 LETTERE 15063090 SANTA MARIA LA CARITA'

15065007 ANGRI 15065078 NOCERA INFERIORE 15065130 SANT'EGIDIO DEL MONTE ALBINO15065013 BARONISSI 15065079 NOCERA SUPERIORE 15065135 SARNO15065016 BRACIGLIANO 15065088 PAGANI 15065137 SCAFATI15065034 CASTEL SAN GIORGIO 15065108 ROCCAPIEMONTE 15065151 TRAMONTI15065047 CORBARA 15065122 SAN MARZANO SUL SARNO15065067 MERCATO SAN SEVERINO 15065132 SAN VALENTINO TORIO

Sant'Agata dei Goti-Casapulla: Tessile - Abbigliamento

Provincia di Napoli

Provincia di Napoli Nocera Inferiore: Alimentare

Provincia di Avellino

San Marco dei Cavoti: Tessile - Abbigliamento

San Giuseppe Vesuviano: Tessile - Abbigliamento

Provincia di Salerno

Provincia di Napoli

Grumo Nevano-Aversa-Trentola Ducenta: Tessile - Abbigliamento

Provincia di Caserta

Provincia di Caserta

Provincia di Benevento

Provincia di Benevento

Calitri: Tessile - Abbigliamento

Provincia di Avellino Solofra: Concia

* Il numero accanto ad ogni comune si riferisce alla codificazione Istat per l’identificazione amministrativa territoriale: le prime due cifre si riferiscono alla Regione (da 01 a 20), le successive tre cifre si riferiscono alla Provincia (da 001 a 103) e le ultime tre cifre si riferiscono al Comune Fonte: Istituto per la Promozione Industriale (IPI), 2004

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In particolare, i settori di specializzazione dei distretti campani sono il tessile/abbigliamento, il conciario e l’agroalimentare (fig. 1).

Figura 1 – Le specializzazioni produttive dei distretti industriali campani

Fonte: Ministero delle Attività Produttive e IPI, 20024

4 Ministero delle Attività Produttive, Istituto per la Promozione Industriale (IPI) (2002). L’esperienza italiana dei distretti industriali.

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Come rivelano però alcuni dati inediti forniti dall’ISTAT sul numero di addetti ed unità locali per settori ATECO aggregati, sul territorio dei distretti campani, oltre alle produzioni che costituiscono la specializzazione manifatturiera di ciascun distretto, hanno luogo anche altre importanti produzioni. Tali dati costituiscono delle elaborazioni effettuate dall’ISTAT nel 2005 sulla base del Censimento Industria e Servizi del 2001.

Tabella 2 - Numero di addetti suddivisi per settore di attività economica nei distretti campani

N° Distretto Specializzazione01 -

ALIMENTARI

02 - TESSI

LI

03 - VESTIARIO E ABB

04 - PELLI, CUOIO, CALZ

05 - MOBILI E

LEGNO

06 - METALLUR

GICHE

07 - MACC

NON ELETT E

CARPENT

08 - MACC

ELETT, MECC

DI PRECIS

09 - COSTR

DI MEZZI

DI TRASP

10 - LAV MINERALI NON

METALLIFERI

11 - CHIMICA,

FIBRE ART,

GOMMA, PLAST

12 - CARTA

E CARTOTECNIC

A

13 - POLIGRAFICHE ED EDITORI

ALI

14 - OREF,

STRUM MUS,

GIOCATTOLI

15 - MANIFATTURIE

RE VARIE

ALTRO Totale addetti

1 Solofra CONCIA 462 16 231 4333 61 0 301 17 0 77 138 0 27 6 10 3959 96382 Calitri T-A 99 285 275 3 97 0 451 22 0 182 52 14 12 7 21 1991 3511

3 San Marco dei Cavoti T-A

232 53 1148 86 2 7 200 50 0 76 54 1 11 19 03232 5171

4Sant'Agata dei Goti-Casapulla T-A

1267 894 53 517 365 198 152 2403 85 460 474 35 166 21 76 3302640192

5

Grumo Nevano-Aversa-Trentola Ducenta

T-A 1 309 1974 3600 941 157 1829 2533 685 620 692 382 265 47 192 35286

49513

6San Giuseppe Vesuviano T-A

982 136 2442 16 235 194 797 58 31 326 274 3 55 18 9 1244318019

7 Nocera Inferiore ALIMENTARE 6007 264 1612 199 1259 213 4134 1181 100 747 1131 150 438 40 110 39700 57285

TOTALE 9050 1957 7735 8754 2960 769 7864 6264 901 2488 2815 585 974 158 418 129637 183329 Fonte: ISTAT, 2005

Tabella 3 - Numero di unità locali suddivisi per settore di attività economica nei distretti campani

N° Distretto Specializzazione01 -

ALIMENTARI

02 - TESSI

LI

03 - VESTIARIO E ABB

04 - PELLI, CUOIO, CALZ

05 - MOBILI E

LEGNO

06 - METALLUR

GICHE

07 - MACC

NON ELETT E

CARPENT

08 - MACC

ELETT, MECC

DI PRECIS

09 - COSTR

DI MEZZI

DI TRASP

10 - LAV MINERALI NON

METALLIFERI

11 - CHIMICA,

FIBRE ART,

GOMMA, PLAST

12 - CARTA

E CARTOTECNIC

A

13 - POLIGRAFICHE ED EDITORI

ALI

14 - OREF,

STRUM MUS,

GIOCATTOLI

15 - MANIFATTURIE

RE VARIE

ALTROTotale unità locali

1 Solofra CONCIA 42 2 80 451 34 0 53 10 0 10 23 10 2 2 2 1.758 2.4792 Calitri T-A 37 4 38 2 33 0 41 8 0 30 8 2 6 1 2 1.184 1.396

3 San Marco dei Cavoti T-A

83 11 78 8 53 1 79 11 0 23 5 1 8 1 01.850 2.212

4Sant'Agata dei Goti-Casapulla T-A

241 80 128 84 168 18 326 249 6 107 39 6 61 12 33 13.45015.008

5

Grumo Nevano-Aversa-Trentola Ducenta

T-A 339 53 451 456 335 13 465 147 9 154 73 41 32 11 47 15.453

18.079

6San Giuseppe Vesuviano T-A

137 47 688 3 98 14 164 36 4 43 33 3 27 5 5 6.8118.118

7 Nocera Inferiore ALIMENTARE 707 49 329 32 355 16 669 204 19 172 92 22 114 21 28 17.559 20.388

TOTALE 1.586 246 1.792 1.036 1.076 62 1.797 665 38 539 273 85 250 53 117 58.065 67.680 Fonte: ISTAT, 2005 Per quanto riguarda invece i sistemi locali del lavoro che insistono esclusivamente sul territorio regionale, questi risultano essere pari a 65, mentre 3 sono quelli che, pur appartenendo a regioni diverse, contengono uno o più comuni campani5; infine, 2 sono i SLL campani che contengono comuni appartenenti ad altre regioni e precisamente il sistema locale di San Bartolomeo in Galdo (dove sono presenti i comuni di Tufara e di Volturara Appula che appartengono rispettivamente alla provincia di Campobasso e di Foggia) e di Calitri (dove è presente il comune di Rapone, in provincia

5 Si tratta dei sistemi di Cassino nel Lazio (che assimila i comuni di Rocca d’Evandro e San Pietro Infine), di Pescopagano in Basilicata (che contiene i comuni di Conza della Campania e Sant’Andrea di Conza) e di Venafro in Molise (che contiene i comuni di Capriati a Volturno, Ciorlano, Fontegreca, Gallo Matese e Letino).

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di Potenza) (Regione Campania e SVIMEZ - Osservatorio Economico Regionale, 2004)6. Tra i sistemi locali del lavoro campani riconosciuti dalla Regione come distretti industriali vi sono, ad esempio, San Marco dei Cavoti (tessile-abbigliamento) in provincia di Benevento e Solofra (pelli, cuoio e calzature) in provincia di Avellino. Nelle tabelle che seguono si riporta la ripartizione per numero di addetti e unità locali per settori ATECO aggregati realtivi ai sistemi locali del lavoro campani.

Tabella 4 - Numero di addetti suddivisi per settore di attività economica –

Provincia di Napoli

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO totale addettiAGEROLA 181 30 95 42 17 2 9 3 715 1.094

CAPRI 74 6 19 10 31 12 3 4 8 36 1 1 3.490 3.695CASTELLAMMARE

DI STABIA 1.316 40 500 10 221 28 1.145 416 749 119 79 5 140 11 26 13.412 18.217FORIO 60 1 4 35 16 4 4 14 10 6 3.132 3.286ISCHIA 109 2 28 0 103 0 60 17 8 36 9 0 24 4 3 7.329 7.732NAPOLI 8.535 933 6.412 8.730 4.336 1.714 13.366 10.896 16.584 3.174 4.023 1.943 3.310 1.148 1.198 318.071 404.373NOLA 1.440 81 863 123 515 80 1.142 171 206 329 252 55 108 8 47 19.722 25.142

S. GIUSEPPE VESUVIANO 982 136 2.442 16 235 194 797 58 31 326 274 3 55 18 9 12.443 18.019SORRENTO 566 15 66 17 518 3 181 56 65 115 7 10 38 12 13 12.059 13.741

TORRE ANNUNZIATA 1.465 127 544 143 332 40 974 367 129 295 754 373 94 9 52 14.448 20.146

TOTALE 14.728 1.371 10.973 9.049 6.368 2.059 17.710 11.988 17.778 4.421 5.416 2.389 3.814 1.211 1.349 404.821 515.445 Fonte: ISTAT, 2005

Tabella 5 - Numero di unità locali suddivisi per settore di attività economica – Provincia di Napoli

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO totale unità locali

AGEROLA 44 4 27 0 19 0 9 0 1 5 0 0 2 0 0 372 483CAPRI 22 3 14 3 22 0 10 3 0 4 3 0 10 1 1 1.200 1.296

CASTELLAMMARE DI STABIA 245 12 150 6 78 3 189 85 11 41 17 2 43 10 10 5.803 6.705

FORIO 17 1 4 0 23 0 12 4 3 11 2 0 3 0 0 1.231 1.311ISCHIA 43 1 18 0 55 0 40 9 8 18 2 0 12 2 2 2.689 2.899NAPOLI 1.967 192 1.624 1.214 1.634 118 2.671 1.306 220 807 493 192 819 455 324 112.733 126.769NOLA 287 9 174 11 155 9 285 70 16 83 37 7 47 3 22 8.230 9.445

SAN GIUSEPPE VESUVIANO 197 47 688 9 98 14 164 36 4 43 33 3 27 5 5 6.811 8.184SORRENTO 183 5 42 11 177 1 87 29 20 23 4 2 20 9 6 4.595 5.214

TORRE ANNUNZIATA 218 20 140 33 108 5 208 70 6 58 38 26 36 9 10 6.488 7.473

TOTALE 3223 294 2.881 1.287 2.369 150 3.675 1.612 289 1.093 629 232 1.019 494 380 150.152 169.779 Fonte: ISTAT, 2005

6 Regione Campania, SVIMEZ - Osservatorio Economico Regionale (2004), Rapporto sugli aspetti economico-sociali e sulla situazione della finanza degli Enti territoriali in Campania.

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Tabella 6 - Numero di addetti suddivisi per settore di attività economica – Provincia di Caserta

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO totale addettiAVERSA 731 114 691 2.300 316 72 641 2.256 6 187 177 107 103 2 54 22.557 30.314

CASERTA 2.233 740 830 582 794 801 3.436 6.011 1.247 1.041 1.894 213 243 427 138 47.503 68.133PIEDIMONTE

MATESE 436 82 56 8 116 199 465 13 142 40 81 30 3 4.778 6.449SESSA

AURUNCA 165 7 26 2 33 101 460 1 35 438 20 2 3.376 4.666TEANO 788 78 178 3 72 436 46 126 78 1 14 2 11 5.716 7.549

TOTALE 4.353 1.021 1.781 2.895 1.331 873 4.813 9.238 1.267 1.531 2.627 402 410 431 208 83.930 117.111 Fonte: ISTAT, 2005

Tabella7 - Numero di unità locali suddivisi per settore di attività economica –

Provincia di Caserta

SLL01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO

totale unità localiAVERSA 219 14 134 225 140 5 220 44 1 62 35 13 41 2 11 9.578 10.744

CASERTA 369 54 166 97 236 30 518 270 20 167 90 15 85 86 51 18.825 21.079PIEDIMONTE

MATESE 89 11 20 20 57 0 85 63 3 28 4 5 13 0 3 2.637 3.038SESSA

AURUNCA 53 3 5 2 27 0 41 9 1 19 17 0 11 0 1 1.826 2.015TEANO 87 3 20 2 56 0 88 23 0 26 8 1 7 2 3 3.075 3.401

TOTALE 817 85 345 346 516 35 952 409 25 302 154 34 157 90 69 35.941 40.277 Fonte: ISTAT, 200

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Tabella 8 - Numero di addetti suddivisi per settore di attività economica – Provincia di Benevento

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO totale addettiAIROLA 115 53 49 151 54 179 89 48 62 108 16 10 1.833 2.767APICE 11 7 109 51 1 27 32 529 767

BENEVENTO 837 54 316 4 334 52 534 137 100 306 194 9 194 8 54 14.731 17.864

CERRETO SANNITA 76 16 26 2 72 1 100 27 4 5 929 1.258CIRCELLO 23 2 209 14 12 2 6 2 2 1 1 710 984

FRASSO TELESINO 38 19 12 24 17 1 42 1 37 980 1.171

GUARDIA SANFRAMONDI 46 17 11 10 32 2 26 3 590 737

MONTESARCHIO 225 18 86 76 124 3 291 22 6 421 37 5 13 14 4 3.909 5.254MORCONE 29 108 26 150 2 154 36 16 17 888 1.426

PIETRELCINA 70 13 282 17 23 96 30 10 8 6 957 1.512

SAN BARTOLOMEO IN GALDO 52 11 324 69 56 7 43 18 38 46 7 1.453 2.124

SAN MARCO DEI CAVOTI 123 32 561 23 62 4 29 1 1 19 929 1.784

SANT'AGATA DE' GOTI 299 376 50 46 13 209 584 21 16 4 1.683 3.301

TELESE 307 96 33 75 225 132 3 126 48 29 21 3.268 4.363

TORRECUSO 78 1 276 25 80 221 50 10 57 31 24 6 1.283 2.142TOTALE 2.329 715 2.426 368 861 157 2.170 1.074 321 1.312 521 47 348 74 59 34.672 47.454

Fonte: ISTAT, 2005

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Tabella 9 - Numero di unità locali suddivisi per settore di attività economica – Provincia di Benevento

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO

totale unità localiAIROLA 27 7 7 11 11 0 27 15 3 13 6 2 4 0 0 885 1.018APICE 8 4 11 1 1 0 15 0 0 7 0 0 0 0 0 273 320

BENEVENTO 135 15 52 4 67 7 135 47 2 44 22 3 49 7 11 5.741 6.341

CERRETO SANNITA 32 4 0 0 19 1 21 1 0 23 1 0 3 2 0 515 622CIRCELLO 16 1 15 0 8 0 5 2 0 4 1 0 2 1 1 385 441

FRASSO TELESINO 23 3 2 0 12 0 11 1 0 11 1 0 2 0 0 526 592GUARDIA

SANFRAMONDI 19 3 3 0 6 0 11 1 0 4 1 0 0 0 0 351 399

MONTESARCHIO 64 7 16 9 61 1 56 9 1 34 9 2 8 2 3 1.912 2.194MORCONE 15 0 15 0 13 0 15 1 1 5 0 3 2 0 0 459 529

PIETRELCINA 29 3 24 2 18 0 31 2 0 3 1 0 4 0 0 558 675

SAN BARTOLOMEO IN GALDO 29 5 25 6 21 1 27 6 0 10 4 0 5 0 0 824 963

SAN MARCO DEI CAVOTI 37 5 33 0 14 0 22 4 0 11 0 1 1 1 0 535 664

SANT'AGATA DE' GOTI 31 36 12 0 17 3 42 70 0 8 3 0 4 0 0 844 1.070

TELESE 70 12 9 0 34 0 38 18 2 23 8 0 10 2 0 1.526 1.752

TORRECUSO 28 1 16 0 9 3 22 12 1 12 8 0 7 2 0 577 698TOTALE 563 106 240 33 311 16 478 189 10 212 65 11 101 17 15 15.911 18.278

Fonte: ISTAT, 2005

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50

Tabella 10 - Numero di addetti suddivisi per settore di attività economica – Provincia di Salerno

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO totale addetti

AGROPOLI 273 1 62 5 83 99 318 112 278 62 31 38 2 12 3.461 4.837AMALFI 59 2 1 9 11 8 2 10 11 7 1 2.189 2.310ASCEA 125 3 6 88 11 41 7 2 48 41 5 2.099 2.476

BATTIPAGLIA 722 83 653 1 532 27 1.073 1.416 84 365 1.176 92 138 38 14 14.568 20.982BUCCINO 210 106 45 32 64 196 3 141 354 1 1 1.976 3.129

CAMEROTA 57 2 29 33 3 5 37 3 2 2.070 2.241CAPACCIO 240 11 43 10 98 37 200 22 2 105 36 1 16 1 4.255 5.077

CASTELLABATE 84 4 2 44 28 1 20 38 26 4 1.209 1.460CASTEL SAN

LORENZO 22 19 8 55 3 4 10 508 629EBOLI 825 59 557 12 97 12 355 57 51 182 57 16 7 9 6.429 8.725

LAURINO 41 23 1 16 11 4 6 652 754MAIORI 84 2 13 2 33 30 2 2 9 21 54 8 1.691 1.951

MONTANO ANTILIA 26 5 16 14 2 1 1 632 697NOCERA

INFERIORE 2.962 140 587 85 668 159 2.560 782 80 537 784 57 244 18 74 22.537 32.274

OLIVETO CITRA 140 41 25 16 62 256 11 5 125 34 17 21 1 1.956 2.710PALOMONTE 47 22 21 20 24 13 68 20 2 808 1.045

POLLICA 49 3 2 10 7 7 5 680 763POSITANO 5 302 7 26 6 7 2 1 1.574 1.930

POSTIGLIONE 29 12 32 14 21 1 5 24 5 589 732

SALA CONSILINA 481 47 129 338 262 55 377 119 242 153 21 29 6 24 8.529 10.812SALERNO 1.932 431 819 90 921 154 2.984 798 135 1.888 668 586 860 92 182 47.492 60.032

SAPRI 94 2 4 110 74 70 13 6 45 1 2 8 2 3.128 3.559SARNO 728 3 164 35 56 239 49 9 44 31 27 3 3.878 5.266

VALLO DELLA LUCANIA 67 3 9 25 82 29 20 2 12 3 1 2.492 2.745TOTALE 9.302 967 3.502 722 3.224 618 8.987 3.463 688 3.932 3.508 861 1.456 173 331 135.402 177.136

Fonte: ISTAT, 2005

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Tabella 11 - Numero di unità locali suddivisi per settore di attività economica – Provincia di Salerno

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO totale unità locali

AGROPOLI 57 1 17 3 33 1 51 20 6 19 4 0 20 2 2 1.692 1.928AMALFI 20 0 2 1 6 0 6 5 2 8 0 2 3 0 1 809 865ASCEA 44 0 3 1 35 1 24 6 1 11 3 0 4 0 0 1.152 1.285

BATTIPAGLIA 181 14 62 1 153 4 165 91 9 65 43 9 44 12 9 6.066 6.928BUCCINO 59 2 12 0 21 1 36 2 0 19 7 0 1 0 1 992 1.153

CAMEROTA 34 0 2 0 18 0 19 2 4 11 0 0 2 0 2 1.274 1.368CAPACCIO 72 3 15 2 44 4 70 15 1 25 4 1 9 0 1 2.196 2.462

CASTELLABATE 14 0 3 1 21 0 15 1 10 9 4 0 2 0 0 664 744CASTEL SAN

LORENZO 14 0 3 0 8 0 12 0 0 1 0 0 2 0 2 334 376EBOLI 135 11 69 2 54 1 81 23 5 36 8 0 11 4 6 2.800 3.246

LAURINO 22 4 1 0 13 0 10 4 0 0 0 0 1 0 0 398 453MAIORI 34 2 5 2 20 0 10 2 1 4 3 4 5 0 0 824 916

MONTANO ANTILIA 17 0 3 0 13 0 11 2 0 1 1 0 0 0 0 385 433NOCERA

INFERIORE 349 27 110 5 183 12 345 112 10 94 60 5 64 9 20 9.443 10.848

OLIVETO CITRA 53 1 10 1 27 0 37 8 1 21 2 2 6 1 0 1.101 1.271PALOMONTE 16 0 6 0 11 0 12 3 0 2 2 1 2 0 0 406 461

POLLICA 19 1 0 1 9 0 7 0 3 2 0 0 0 0 0 414 456POSITANO 2 0 82 2 12 0 4 0 0 3 0 0 1 1 0 439 546

POSTIGLIONE 21 1 5 0 10 0 14 1 0 1 1 0 2 0 0 392 448

SALA CONSILINA 140 8 36 36 119 6 119 32 0 65 24 5 16 3 6 4.124 4.739SALERNO 312 28 161 35 314 16 360 219 25 255 62 29 148 28 39 18.651 20.682

SAPRI 48 2 4 12 46 0 32 13 4 15 1 1 4 1 0 1.647 1.830SARNO 75 3 41 6 30 0 57 7 2 21 3 0 13 2 0 1.851 2.111

VALLO DELLA LUCANIA 31 3 6 0 21 0 27 9 0 6 2 0 5 2 1 0 113TOTALE 1.769 111 658 111 1.221 46 1.524 577 84 694 234 59 365 65 90 58.054 65.662

Fonte: ISTAT, 2005

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Tabella 12 - Numero di addetti suddivisi per settore di attività economica –

Provincia di Avellino

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO totale addettiARIANO IRPINO 408 61 337 1 100 6 500 74 1.090 223 18 22 29 13 24 6.442 9.348

AVELLINO 1.296 52 416 186 541 91 2.026 576 2.763 541 166 97 197 10 67 25.542 34.567CALITRI 89 286 182 3 101 367 21 112 52 139 11 7 1 1.791 3.162

LIONI 27 1 27 47 25 3 61 8 3 1 5 1.524 1.732MONTECALVO

IRPINO 45 16 75 4 38 1 32 2 516 729MONTELLA 277 17 8 84 54 34 718 117 158 43 35 1 2.176 3.722

MONTEMILETTO 165 11 115 121 65 304 32 92 154 6 8 2 1.377 2.452SANT'ANGELO DEI

LOMBARDI 507 10 77 116 34 1 284 271 14 75 130 5 2.010 3.534SOLOFRA 158 1 227 4.304 45 248 14 62 133 26 6 10 3.244 8.478TAURASI 116 1 11 1 21 9 337 2 72 23 2 814 1.409VALLATA 58 124 26 15 51 12 12 4 1.112 1.414TOTALE 3.146 456 1.599 4.842 1.027 141 4.898 1.108 3.870 1.440 739 264 322 39 108 46.548 70.547 Fo

nte: ISTAT, 2005

Tabella 13 - Numero di unità locali suddivisi per settore di attività economica – Provincia di Avellino

SLL 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 11 12 13 14 15 ALTRO

totale unità localiARIANO IRPINO 115 13 66 1 57 3 98 20 1 48 6 2 13 3 6 2.951 3.403

AVELLINO 244 11 99 37 178 10 203 100 7 65 23 10 56 7 20 9.128 10.198CALITRI 32 5 25 2 36 0 35 7 0 24 8 1 5 1 1 1.055 1.237

LIONI 14 1 5 0 17 0 0 15 1 10 2 0 2 1 1 544 613MONTECALVO

IRPINO 13 2 16 0 3 0 16 1 0 7 0 0 1 0 0 324 383MONTELLA 49 2 7 9 30 1 48 5 0 14 6 0 7 0 1 1.116 1.295

MONTEMILETTO 41 4 13 7 25 0 39 12 0 11 9 2 3 1 0 718 885SANT'ANGELO DEI

LOMBARDI 27 3 14 8 23 1 40 11 1 12 5 0 2 0 0 1.090 1.237SOLOFRA 25 1 79 448 23 0 37 8 0 8 22 0 9 2 2 1.384 2.048TAURASI 30 1 6 1 11 1 28 2 0 15 1 0 1 0 0 504 601VALLATA 32 0 20 4 14 0 18 0 0 6 2 0 2 0 0 673 771TOTALE 622 43 350 517 417 16 562 181 10 220 84 15 101 15 31 19.487 22.671 Fo

nte: ISTAT, 2005

Il distretto industriale di Solofra

Il distretto conciario di Solofra, in provincia di Avellino, è stato individuato nel 2000. I comuni appartenenti al distretto sono: 1. Solofra 2. Montoro Superiore 3. Montoro Inferiore 4. Serino Il tipo di produzioni, inizialmente limitato alla lavorazione di pellami per calzature, si è successivamente esteso e diversificato con la lavorazione di pellami per abbigliamento. Inoltre, la concentrazione territoriale ha favorito processi di integrazione orizzontale tra le imprese, attraverso il decentramento produttivo, e di integrazione verticale, con la nascita di numerose attività di confezioni in pelle. Le produzioni effettuate sono :

pelli nappa per abbigliamento pelli camosciate per abbigliamento

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pelli per calzature a pieno fiore pelli camosciate per calzature pelli per fodere di calzature montoni con pelo per abbigliamento

Le unità locali del settore sono 726 su un totale provinciale di 854: si tratta in maggioranza di aziende medie (oltre 100 le imprese conciarie con oltre 10 addetti) a testimonianza dell’impatto positivo del distretto solofrano sul fronte occupazionale provinciale (ISTAT, VIII Censimento Industria e Servizi – 2001, 2004). Inoltre, Solofra, insieme a S. Croce sull’Arno in Toscana e ad Arzignano (in Veneto fa parte dei tre Poli industriali della concia in Italia ed in Europa. Tale distretto occupa dunque un ruolo importante non solo in Italia, ma anche in Europa, come dimostrano i seguenti dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate (2004): 4.000 – 4.500 dipendenti; 160 concerie (con ciclo intero di produzione); 200 piccole aziende che seguono solo una fase di lavorazione; 50 laboratori e rivenditori di prodotti chimici destinati al settore; 25 aziende di confezioni; capacità produttiva di 40-45 milioni di mq annui; fatturato di 1.500 milioni di euro; percentuale di produzione venduta all’estero: 70-80%. La produzione di pellami per calzature è destinata quasi esclusivamente al mercato nazionale, mentre quella per abbigliamento è destinata prevalentemente ai mercati internazionali ed in particolare Germania, Hong Kong, Cina, Stati Uniti, Corea del Sud e Turchia. La clientela è composta da calzaturifici, per quanto riguarda il mercato nazionale, e da intermediari o aziende di confezione per quanto riguarda i mercati esteri. Negli ultimi anni si riscontra per l’abbigliamento un maggiore interesse verso il mercato nazionale. Il settore risente quindi fortemente dei cicli di favore dell’industria della moda, ma ha dimostrato nel tempo di saper interagire con il mercato introducendo nuove soluzioni organizzative e adottando innovazioni nei processi produttivi che hanno favorito la competitività sui mercati esteri e reso più bassi i costi di produzione. Ma la forza economica di quest’area è data anche dalle risorse umane. Accanto alla produzione, che nasce storicamente come un’attività artigianale a struttura familiare, vanno ricordate le professionalità collegate alla lavorazione; in particolare quella dei selezionatori della pelle. Sopravvivono inoltre anche attività legate ad una lavorazione più povera ed arcaica, cosiddetta “delle inchiodatrici”, che consiste nella inchiodatura delle pelli (dopo la scuoiatura) per ottenerne l’allungamento e la morbidità. Per quanto riguarda il ciclo di produzione, il processo complessivo è inm genere diviso in tre fasi (Ambiente Italia, Rapporto Ecodistretti 2003. Politiche ambientali innovative nei sistemi produttivi locali italiani):

1) preparazione delle pelli (riviera); 2) concia; 3) post-concia (tintura, rifinitura e rifinizione).

Per quanto riguarda la preparazione delle pelli, queste ultime arrivano in azienda generalmente conservate con il sale, in quanto la materia prima che giunge ai macelli è caratterizzata dalla presenza di sostanze putrescibili. Il sale facilita la disidratazione della pelle, riducendone in peso e inibendo lo sviluppo dei batteri. La prima fase prevede il lavaggio e rinverdimento, dove le pelli sono trattate ad umido in bottali rotanti, con tensioattivi e solfuro sodico per eliminare le sostanze estranee (polvere, terra e sale). Dopo il primo trattamento, le pelli vengono sottoposte ad un ulteriore lavaggio ad umido con solfuro sodico e calce (depilazione – calcinazione) per l’eliminazione dei peli e di una parte del carniccio. Successivamente la pelle subisce le operazioni meccaniche di scarnatura, rifilatura e spaccatura in cui precisamente viene eliminato il carniccio mediante raschiatura a secco e viene suddiviso lo spessore della pelle in due parti, lato fiore e lato carne. Infine, attraverso la decalcinazione viene rimossa la calce assorbita durante le operazioni precedenti. Per quanto riguarda la fase della concia in senso stretto, la prima operazione necessaria è lo sgrassaggio cioè l’eliminazione del grasso mediante utilizzo di solventi e tensioattivi, anche se l’uso di solventi è sempre meno frequente. Successivamente, la pelle subisce il piclaggio, in cui si abbassa il

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pH ai valori più opportuni per la concia utilizzando soluzioni saline acide. A questo punto la pelle può subire tre tipi di concia, la concia al cromo – in cui il pellame viene posto in soluzione acquosa di sali di cromo trivalente, lavato con acqua e neutralizzato – la concia vegetale – che è effettuata utilizzando tannini vegetali di origine varia, per la produzione di cuoi pesanti e suole – e la concia sintetica – in cui le pelli vengono conciate o con aldeidi o con tannini sintetici. Le diverse tipologie di concia prevedono, poi, alcune lavorazioni di tipo meccanico finalizzate soprattutto all’eliminazione del contenuto di acqua della pelle e all’ottenimento dello spessore voluto della pelle conciata. La fase di post-concia, infine, prevede il completamento delle lavorazioni, mediante un eventuale trattamento di riconcia, tintura, risciacquo, pressatura e rifinitura. La riconcia serve a modificare le caratteristiche della pelle lavorata per tessuti. Le pelli possono essere immesse in soluzioni per ottenere prodotti colorati. Dopo tali trattamenti le pelli vengono pressate. Per creare la dimensione e lo spessore voluto le pelli vengono tagliate, suddivise, rasate e lucidate. Si procede poi alla rifinizione, cioè la nobilitazione dell’aspetto estetico delle pelli, attraverso sistemi di verniciatura (spruzzatura e/o velatura). A livello più strettamente logistico, si rileva che più del 50% dei flussi di merce del distretto di Solofra ha come origine/destinazione paesi d’oltremare. L’approvvigionamento delle materie prime e di prodotti semilavorati avviene quasi esclusivamente dall’estero, in particolare dall’Africa e dal Medio Oriente. Negli ultimi anni tali paesi hanno realizzato delle politiche per lo sviluppo di concerie in loco e questo ha avuto qualche ripercussione sulle dinamiche competitive delle imprese di Solofra. Per fronteggiare la situazione, alcuni imprenditori hanno iniziato a stabilire accordi di joint venture o acquisizioni di partecipazioni con imprese extracomunitarie. Ulteriori paesi fornitori sono la Gran Bretagna e la Nuova Zelanda. Per quanto riguarda le esportazioni, i prodotti sono in prevalenza destinati all’Estremo Oriente. In particolare, considerando l’elevato valore del prodotto della concia, il ciclo del trasporto deve avvenire in sicurezza e la merce deve arrivare a destino in condizioni qualitative eccellenti. Pertanto, la quota maggiore viene realizzata dal trasporto aereo. Secondo quanto riportato nello “Studio sullo Sviluppo del Sistema Aeroportuale della Campania e del Nuovo Aeroporto di Grazzanise” (Regione Campania, 2002), le esportazioni oltre mare delle pelli ovine verso i mercati di lavorazione del Far East vengono effettuate al 90% per via aerea, lasciando al trasporto marittimo solo il 10% delle spedizioni, suddivise equamente tra i porti di Napoli e Salerno. Il trasporto delle pelli verso i mercati europei avviene invece quasi esclusivamente via camion. Il prodotto viene pallettizzato ed inserito in cartoni di peso tra i 45 e i 60 kg direttamente presso i magazzini della zona, per il successivo inoltro via camion verso i mercati europei o gli aeroporti di spedizione. Attualmente, l’aeroporto di Capodichino viene utilizzato solo residualmente e per motivi particolari (ad esempio per eventuali urgenze). Lo scalo più utilizzato risulta quello di Fiumicino, dove è assicurato lo scarico del mezzo anche in ore notturne per l’imbarco sugli aerei in partenza il giorno successivo. L’elevato valore della merce e la garanzia di qualità inducono le imprese del distretto, contrariamente alla maggioranza delle imprese campane, ad esportare CIF, assumendosi la responsabilità del trasporto a destino, oppure a vendere ad un intermediario che si occupa della consegna a destino. Di conseguenza, la leadership di mercato è detenuta da operatori logistici con grado di copertura internazionale (Bologna, 2002)7. In considerazione della recente individuazione del distretto è comprensibile che sia da sviluppare una eventuale visione unitaria della movimentazione merci. In un ottica di cooperazione logistica, a Solofra già esistono dei magazzini doganali che fungono talvolta anche da piattaforme. Inoltre, secondo i dati della Regione Campania (2003), da un punto di vista quantitativo l’incidenza della movimentazione dell’intero distretto è attualmente abbastanza trascurabile rispetto alla scala

7 Bologna S. (2002), Linee guida per la riorganizzazione del sistema logistico campano. Progetrasporti e Associati, Milano.

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regionale. Infatti, la percentuale del totale merci trasportato rispetto al totale movimentato in tutta la Campania per tutte le categorie merceologiche risulta inferiore all’uno per cento. In ogni caso, considerando anche che nessuno dei Comuni è obbligato alla redazione del P.U.T., sarebbe consigliabile un piano di distretto che possa quantificare in maniera dettagliata la movimentazione merci del settore conciario, individuarne le criticità relativamente alla mobilità complessiva dei comuni, delineare strategie e progetti che possano favorire la razionalizzazione del trasporto merci che apporti benefici non solo alla collettività ma anche alle numerose unità locali del settore cuoio e pelli favorendone l’ulteriore sviluppo.

Il distretto industriale di Calitri

Il distretto di Calitri del settore tessile e abbigliamento, è localizzato in provincia di Avellino ed è stato istituito formalmente nel 2001. I comuni appartenenti al distretto sono: 1. Andretta 2. Aquilonia 3. Bisaccia 4. Cairano 5. Calitri 6. Lacedonia 7. Conza della Campania 8. Monteverde 9. S. Andrea di Conza L’area del distretto è situata nella zona est del territorio provinciale lungo la direttrice di collegamento tra le due aree metropolitane di Napoli e Bari, ed in buona posizione baricentrica tra il Tirreno e l’Adriatico. L’area gode di buona accessibilità, essendo attraversata dalle principali reti nazionali di trasporto ed è particolarmente favorita nei collegamenti Nord-Sud ed Est-Ovest. Nel distretto si rileva la presenza di significativi fattori sociali e territoriali favorevoli alla nascita ed alla sopravvivenza delle imprese; l’area, infatti, pur essendo a ridosso dell’area metropolitana di Napoli, si caratterizza per bassissimi livelli i criminalità, per bassi livelli di congestione e per l’assenza di gravi tensioni del tessuto civile. Si riscontra una buona dotazione di strutture fisse sociali, come scuole, ospedali, servizi sanitari; vi è una discreta offerta di attrezzature culturali, sportive, ricreative e per il tempo libero; il costo della vita risulta essere più basso della media nazionale per la maggior parte dei beni e dei servizi. Secondo i dati della Regione Campania (2003), le aziende localizzate nel distretto determinano un fabbisogno merci decisamente trascurabile. Relativamente alla localizzazione interna, le unità locali del settore Tessile Abbigliamento sono concentrate soprattutto nei comuni di Calitri e Andretta. Considerando minima l’incidenza della movimentazione merci a livello regionale si può soltanto osservare che soprattutto a Calitri, essendoci nove aziende con più di 20 addetti potrebbe essere utile un’indagine specifica sul campo che indichi le eventuali criticità locali. Ad avvalorare un’ipotesi di approfondimento specifico è la difficoltosa accessibilità al paese dalla stazione ferroviaria e la notevole distanza (circa 30 Km) dal casello di Lacedonia dell’autostrada Napoli-Bari.

Il distretto industriale di San Marco dei Cavoti

Il distretto di San Marco dei Cavoti, del settore tessile e abbigliamento, è stato individuato con una delibera regionale del 2001. I comuni appartenenti al distretto, tutti della Provincia di Benevento, sono: 1. Baselice 2. Castel Franco in Miscano 3. Castelvetere in Val Fortore 4. Fragneto L’Abate

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5. Fragneto Monforte 6. Foiano di Val Fortore 7. Ginestra degli Schiavoni 8. Molinara 9. Montefalcone di Val Fortore 10. Pesco Sannita 11. Pago Veiano 12. Pietrelcina 13. Reino 14. San Bartolomeo in Galdo 15. San Giorgio La Molara 16. San Marco dei Cavoti S. Marco dei Cavoti e l’area limitrofa in poco più di venti anni sono passati da un’occupazione prevalentemente agricola e contadina ad attività industriali ed aziendali, estendendosi su un territorio di 16 comuni con 40mila abitanti. Tutto è nato verso il 1975 per l'iniziativa originale di alcuni imprenditori. Attualmente, S. Marco dei Cavoti, grazie anche alla sua importanza strategica per l’intera economia di una realtà dura ed emarginata come quella del Fortore, è divenuto un caso esemplare di occupazione per il Sud. L’attività principale è quella dei capispalla (quasi metà del business), seguita dai pantaloni che assorbono un terzo degli affari, mentre la maglieria (11%), seguita dalla camiceria e dalle confezioni in pelle completano la specializzazione dell’area. Negli ultimi tempi si è decisamente avviata una nuova filiera, quella delle lavorazioni in Gore-tex con tessuti speciali termosaldati per le forze dell’ordine, gli enti pubblici e i lavoratori specializzati. Fino al 2000 nella Comunità Montana del Fortore si contavano 5.738 imprese di cui il 64,5% nel comparto agricolo, il 6,7 % nel settore industriale il 7,2% nel settore delle costruzioni il 13,6% nel commercio e l’8% in altre attività e servizi. Le decine di aziende tessili sparse nel territorio contano circa mille addetti, provenienti dai comuni limitrofi e dal Molise. Solo un 5% delle aziende supera il centinaio di addetti, mentre la taglia preponderante ruota attorno alle 20-25 persone. La realtà viva del comprensorio ha destato l’interesse di operatori e responsabili del tessile per la sua specificità ed originalità, anche se il sistema locale aziendale, non competitivo e in gran parte contoterzista, soffre di questo limite della verticalità imprenditoriale. In particolare, non esiste collaborazione funzionale fra ditte e si agisce per gruppi di imprenditori, ricercando comunque per il futuro un sistema consortile che assicuri un marchio distintivo distrettuale. Negli ultimi anni le imprese tessili (terziste) locali sono in forte crisi, soprattutto a causa della delocalizzazione e all’aumento del costo del lavoro e dei prodotti inerenti a tutta l’attività (cotone, macchinari, pezzi di ricambio, energia elettrica, mancanza di sgravi contributivi per il meridione), oltre ai bassi guadagni sui prodotti realizzati, alla concorrenza orientale e dei paesi ex-socialisti e alle caratteristiche proprie del mercato, frammentato e refrattario alla standardizzazione e razionalizzazione. In generale, non si registrano criticità significative relativamente al trasporto delle merci nell’ambito di questo distretto, coinsiderando anche le limitate densità abitative dei comuni interessati e la distanza media relativamente elevata esistente fra le aree abitate dei vari comuni (fra i 10 e i 30 km). Secondo la Regione Campania (2003), la costituzione di uno o due poli produttivi localizzati, anche se non sollecitata da criticità evidenti della mobilità merci, oltre che da un potenziale incremento della produzione, potrebbe favorire le gestione degli approvvigionamenti e della distribuzione in un ottica di logistica integrata.

Il distretto industriale di Sant’Agata dei Goti - Casapulla

Il distretto di Sant’Agata dei Goti e di Casapulla, del settore tessile e abbigliamento, è stato istituito formalmente nel 2001. I 20 comuni appartenenti al distretto sono: 1. Bucciano

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2. Dugenta 3. Durazzano 4. Limatola 5. Sant’Agata dei Goti 6. Moiano 7. Arienzo 8. Casagiove 9. Casapulla 10. Caserta (S. Leucio Briano) 11. Castel Morrone 12. Curti 13. Macerata Campania 14. Portico di Caserta 15. Recale 16. San Felice a Cancello 17. San Nicola La Strada 18. San Prisco 19. Santa Maria a Vico 20. Santa Maria Capua Vetere Il territorio distrettuale si estende quindi sia sulla provincia di Benevento che su quella di Caserta. In particolare, le imprese sono maggiormente concentrete nei territori dei comuni di Caserta (34%), Sant’Agata dei Goti (22%), Durazzano (12%) e Dugenta (10%). Per quanto riguarda la concentrazione degli addetti sul territorio, a Caserta sono impiegati ben il 46% degli addetti del settore e il 16% a Limatola. L’eterogeneità delle imprese nel distretto nasce come conseguenza di una individuazione dei comuni “distrettuali” già per sua natura anomala rispetto ad esperienze consolidate, dove la stessa denominazione del distretto richiama immediatamente ad una precisa produzione. Nel caso del distretto S. Agata-Casapulla si disegna invece una mappa interprovinciale con caratteristiche geografiche e socio-culturali profondamente diverse. L’area di S. Leucio-Briano, sicuramente più caratterizzata per tipizzazione produttiva, rappresenta - per alcuni versi - un caso emblematico delle difficoltà di favorire una evoluzione industriale verso un modello a rete. Il polo serico, infatti, pur adattando politiche di condivisione tra le aziende attraverso la creazione di un consorzio sconta il limite del suo insediamento originario che non mette a disposizione aree attrezzate per lo sviluppo sul territorio. La tendenza in atto è invece quella di delocalizzare gli impianti non già all’interno dei confini distrettuali, ma in altre aree con maggiori disponibilità di spazi. Conseguentemente, risulta difficile ipotizzare un ruolo di stimolo delle aziende del settore serico verso la creazione di indotti funzionali alle imprese stesse se queste preferiscono insediare nuovi impianti al di fuori del distretto. Il giro di affari attuali delle aziende del polo serico è pari a 43 milioni di euro annui. In particolare, l’80% delle produzioni viene esportato, soprattutto verso Stati Uniti, Giappone, Emirati Arabi, Oman, Brunei, Germania, Francia e Gran Bretagna. Al di là di questo gruppo di aziende fortemente caratterizzate da specializzazione produttiva, vocazione internazionale e innovazione tecnologica continua, la struttura produttiva del territorio presenta pochi altri esempi di identificazione e vocazione (S.M. a Vico nel calzaturiero e Castel Morrone nell’alimentare). Lo scenario territoriale del distretto è quindi complesso e disarticolato e può presentare delle situazioni locali completamente diverse sia rispetto alla movimentazione delle merci, sia rispetto ai fenomeni di congestione con altre componenti della mobilità, sia rispetto alla razionalizzazione logistica degli approvvigionamenti e della distribuzione. Da un punto di vista trasportistico ci sono da sottolineare i seguenti elementi significativi (Regione Campania, 2003):

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- l’accessibilità per i mezzi su gomma è buona considerata la vicinanza delle autostrade A1 e A30 e varie infrastrutture stradali; - tre comuni appartenenti al distretto (Caserta, Santa Maria Capua Vetere e San Nicola La Strada) sono tenuti all’adozione del Piano Urbano del Traffico; - il distretto è confinante con il distretto di Grumo Nevano Aversa Trentola Ducenta; - l’accessibilità del modo ferro è elevatissima in considerazione della presenza e dello sviluppo del vicinissimo interporto di Marcianise-Maddaloni Tale scenario suggerisce, al di là della relativa quantità di merce movimentata nell’ambito delle attività economiche del distretto, uno studio approfondito di quelle che possono essere le problematiche e le strategie di intervento allo scopo di raggiungere quegli obiettivi generali di mobilità sostenibile e di razionalizzazione del trasporto merci. Infatti, anche se dovesse risultare che le tonnellate di merci trasportate per le aziende del distretto rappresentino un valore trascurabile rispetto alla movimentazione complessiva della Campania, la numerosità dei viaggi è sicuramente un indice da non sottovalutare proprio per la collocazione delle aziende rispetto alla morfologia di alcuni comuni del distretto.

Il distretto industriale di Grumo Nevano-Aversa-Trentola Ducenta

Il distretto di Grumo Nevano, Aversa e Trentola Ducenta, dei settori tessile, abbigliamento e calzature, è stato istituito formalmente nel 2001. I comuni appartenenti al distretto sono: 1. Aversa 2. Cesa 3. Frignano 4. Lusciano 5. Orta di Atella 6. Parete 7. San Marcellino 8. San Tammaro 9. Sant’Arpino 10. Succivo 11. Teverola 12. Trentola-Ducenta 13. Villa di Briano 14. Arzano 15. Casandrino 16. Casavatore 17. Casoria 18. Frattamaggiore 19. Grumo Nevano 20. Melito di Napoli 21. Sant’Antimo Anche in questo distretto vi sono comuni appartenenti a due province diverse: Caserta e Napoli. L’analisi dei dati censuari dell’ISTAT dimostra una forte presenza di addetti operanti nei settori tessile-abbigliamento e nel settore conciario. In particolare, è possibile ritenere che il distretto in analisi presenta una duplice vocazione industriale :

1) il sub-distretto aversano a vocazione calzaturiera, comprendente prevalentemente i 13 comuni della provincia di Caserta;

2) il sub-distretto grumese a vocazione tessile-abbigliamento, comprendente 8 Comuni della provincia di Napoli Dal punto di vista geo-politico, il territorio del sub-distretto industriale di Aversa coincide con quello della cosiddetta conurbazione aversana; si tratta di un’agglomerazione urbana nata dalla fusione della

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città di Aversa con una serie di comuni limitrofi. La conurbazione è fortemente caratterizzata dal ruolo dominante della città di Aversa e dal carattere prevalentemente debole e dipendente degli altri comuni più piccoli. Dal punto di vista geo-morfologico, invece, il territorio è caratterizzato da una morfologia abbastanza semplice, prevalentemente pianeggiante e, prevalentemente, al di sotto del livello del mare. Importanti infrastrutture viarie e ferroviarie (asse mediano, asse di supporto, bretelle di collegamento autostradale) percorrono l’intero territorio conferendo all’area aversana, dal punto di vista dell’accessibilità, una rilevante centralità nell’ambito del territorio regionale. Nel sub-distretto aversano è presente una zona ASI (Area di Sviluppo Industriale) che comprende parte dei territori comunali di Teverola, Carinaro e Gricignano. La pianificazione della zona ASI è ormai completa: le ultime assegnazioni di lotti ai consorzi del settore calzaturiero (UNICA) e tessile-abbigliamento (IMPRE.CO) e gli ultimi accordi per la creazione di un polo del legno, fanno ritenere che non ci sarà più alcuna disponibilità di suolo. Da segnalare, sempre nella zona industriale ASI, la presenza del complesso industriale del cosiddetto polo dell’elettrodomestico (Merloni + aziende del suo indotto). Si deve inoltre registrare la presenza di aziende che operano nel settore della meccanica. Negli ultimi anni, infine, ci sono stati nuovi insediamenti ed ampliamenti degli stabilimenti industriali che hanno interessato un’area di circa 100 ettari, nei settori delle calzature, della chimica, della meccanica, della plastica e della carta. Il territorio del sub-distretto industriale di Grumo Nevano comprende invece 15 comuni ubicati nella zona nord di Napoli. All’interno del distretto convivono altre aggregazioni di Comuni, legati tra loro per cercare di realizzare con maggiore efficacia lo sviluppo locale. Dal punto di vista geo-politico, il sub-distretto grumese copre una porzione rilevante della conurbazione napoletana; comprende, infatti, i territori della prima cintura di espansione del capoluogo, ed anche fasce più recentemente coinvolte da processi di trasferimento popolazione dalla città di Napoli. Si tratta di territori i cui problemi di sviluppo industriale e produttivo non possono essere scissi dalla questione urbana che li caratterizza. Di fatto è possibile distinguere tre sistemi insediativi (Casoria, Frattese, Giugliano-Melitese). Nel sub-distretto grumese è presente una zona ASI (Area di Sviluppo Industriale) che comprende parte dei territori comunali di Arzano e Frattamaggiore, avente un’estensione di 110 ettari. A seguito dell’approvazione dei diversi PIP (Piani Insediamenti Produttivi), l’insieme delle aree per insediamenti produttivi ammonterà a circa 1.900.000 mq. In generale, la struttura del distretto industriale di Grumo Nevano-Aversa-Trentola Ducenta è caratterizzata dalla presenza di differenti tipologie di imprese:

- Imprese in conto prorio: hanno una produzione medio-alta, con una solida tradizione sartoriale alle spalle, lavorano su programmato ed hanno un mercato di sbocco anche internazionale;

- Imprese miste (in parte terziste e in parte conto prorio): sono spesso imprese terziste che hanno iniziato la produzione in conto proprio grazie all’esperienza maturata nel tempo e in seguito alle relazioni con la committenza.

- Imprese conto terzi: producono in pronto moda per imprese committenti localizzate all’interno della stessa area distrettuale o in altre aree come quella di S. Giuseppe Vesuviano, o ancora del Centro-Nord Italia. Di solito effettuano lavorazioni per imprese regionali e qualitativamente medio-basse. L’elemento di competitività di prezzo e la concorrenza maggiore proviene dai pesi in via di sviluppo e con basso costo della manodopera. Tutto ciò fa sì che queste imprese ricorrano spesso al lavoro irregolare Da un punto di vista trasportistico, il distretto di Grumo Nevano-Aversa-Trentola Ducenta può essere definito senz’altro come uno dei più complessi da analizzare (Regione Campania, 2003). Basti pensare che il territorio dei 21 Comuni del distretto è di 155 Kmq a fronte di oltre 420.000 residenti. Lo sviluppo produttivo è caratterizzato dalla presenza di 18.000 imprese: di queste solo il 5% ha più di 10 addetti e solo il 2% più di 20 addetti. È evidente quindi la forte frammentazione esistente sul territorio che, unitamente alle stime sul lavoro sommerso, fa emergere uno scenario fortemente dinamico e con un fitto numero di relazioni di mobilità di persone e merci.

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La rete infrastrutturale principale del distretto è ricca e in continuo sviluppo. L’accessibilità può quindi definirsi buona rispetto ad altre realtà distrettuali regionali, anche se andrebbero meglio studiate le penetrazioni nei singoli comuni e le condizioni di ottimizzazione degli attraversamenti dei veicoli merci nei centri abitati. Inoltre, anche la quantificazione delle merci movimentate nell’ambito del distretto potrebbe essere oggetto di uno studio specifico che tenga conto, in particolare, dei processi produttivi intermedi e dei trasporti indotti. Da un punto di vista normativo, i comuni tenuti all’adozione del PUT sono tutti quelli del napoletano e il comune di Aversa. Le strategie previste per quanto riguarda il trasporto merci dovrebbero essere integrate in un piano di distretto, che sembra in questo caso indispensabile soprattutto allo scopo di creare validi presupposti per l’utilizzo del vicino interporto di Marcianise.

Il distretto industriale di San Giuseppe Vesuviano

Il distretto di San Giuseppe Vesuviano, del settore tessile e abbigliamento, è stato istituito formalmente nel 2001. È in particolare costituito dai seguenti 8 comuni della provincia di Napoli: 1. Carbonara di Nola 2. Ottaviano 3. Palma Campania 4. Poggiomarino 5. San Gennaro Vesuviano 6. San Giuseppe Vesuviano 7. Striano 8. Terzigno Dalle rilevazioni censuarie dell’ISTAT, si deduce che in tutti i comuni il settore industriale prevalente è quello tessile-abbigliamento seguito dal settore alimentare. Le altre specializzazioni non sembrano significative, a testimonianza del fatto che la vocazione imprenditoriale dell’area appare molto netta. Il comune con il più alto numero di aziende tessili è San Giuseppe Vesuviano seguito da Ottaviano e Terzigno. Le imprese produttive sono prevalentemente specializzate nella confezione di capi di abbigliamento. Tuttavia, le aziende di confezione operano all'interno di un sistema di interazione verticale, che vede la presenza di altre imprese, quasi esclusivamente di natura commerciale, attive nelle fasi a monte e a valle della filiera. In particolare, a monte operano grossisti e converters (che si appoggiano a produttori dislocati all’estenro del distretto) specializzati nella commercializzazione di tessuti e altri accessori e semilavorati. A valle le imprese confezioniste si rivolgono a grossisti e operatori della GDO, sia locali che nazionali. In diversi casi le imprese commerciali di abbigliamento assumono anche il ruolo di imprese committenti, che si appoggiano totalmente (dal design al confezionamento) a subfornitori per la produzione di capi connotati con i loro marchi. In definitiva, nel distretto si possono individuare due tipologie di filiera del tessile-abbigliamento: la filiera guidata dai committenti e quella guidata dai grossisti. Figurano inoltre altre attività di servizi alle imprese (principalmente di tipo amministrativo e logistico) collegate al business principale. La scommessa del distretto consiste oggi nel trasformarsi da "esecutori" a "creatori": si tratta di uno degli obiettivi perseguiti dal consorzio Napoli 2001, che raggruppa 160 imprese, e punta alla promozione del distretto della moda napoletana. Nel 2002 il Comune di San Giuseppe Vesuviano ha approvato la variante al piano regolatore che prevede la realizzazione di un’area industriale su oltre un milione di metri quadri di territorio: questo atto dovrebbe porre fine all’abusivismo e spianare la strada a un vero e proprio insediamento produttivo. L'area territoriale del distretto, che rappresenta il più grande polo tessile partenopeo e del Mezzogiorno d’Italia, ha una superficie complessiva di 109 kmq con una popolazione residente di circa 120.000 abitanti. I dati sulla struttura economica del distretto sono discordanti a causa della forte incidenza del

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lavoro "sommerso" e della presenza di immigrati spesso irregolari. Comunque, anche in questo caso, le rilevazioni censuarie rivelano la forte frammentazione delle imprese e il basso numero di addetti in media per unità locale. La gran parte degli addetti al settore tessile sono localizzati nei comuni di Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano e Terzigno. Questi comuni rappresentano la fascia abitata nord-sud a est del Vesuvio e sono collegati tra loro dalla vecchia statale 268 che ha rappresentato, negli ultimi decenni, la principale via di collegamento fra questa zona della Provincia di Napoli e la città di Napoli. Attualmente il sistema di collegamento del distretto con le principali vie di comunicazione è debole, anche se in costante sviluppo: basti pensare all’anello costituito dalla nuova statale 268 che a partire da Napoli Est (Via Argine) collega tutti i paesi Vesuviani fino a Scafati e prossimamente fino ad Angri. Il collegamento alla rete viaria nazionale passa per l’Autostrada A30 ed è prossima la realizzazione della bretella di collegamento con la 268 proprio all’altezza di San Giuseppe Vesuviano. Scarsa è invece l’accessibilità attiva su ferro verso gli interporti di Nola e Marcianise. La movimentazione delle merci del distretto sarebbe da approfondire soprattutto in considerazione del collegamento funzionale che esiste con l’interporto di Nola e con il Centro Ingrosso Sud (C.I.S.), che rappresenta ormai una realtà consolidata nella distribuzione all’ingrosso da parte di oltre 300 aziende, la maggior parte delle quali appartenenti proprio al settore tessile-abbigliamento.

Il distretto industriale di Nocera Inferiore - Gragnano Il distretto di Nocera inferiore e Gragnano, del settore alimentare, è stato individuato ufficialmente nel 2001. I comuni appartenenti al distretto sono: 1. Angri 2. Baronissi 3. Bracigliano 4. Castel San Giorgio 5. Corbara 6. Gragnano 7. Lettere 8. Mercato San Severino 9. Nocera Inferiore 10. Nocera Superiore 11. Pagani 12. Roccapiemonte 13. Sarno 14. Sant’Antonio Abate 15. Scafati 16. Sant’Egidio Montalbino 17. Santa Maria La Carità 18. San Marzano 19. San Valentino Torio 20. Tramonti Anche questo distretto, quindi, è costituito da comuni di due province (Napoli e Salerno). Inoltre, si differenzia dagli altri distretti industriali campani perché è l’unico del settore alimentare. In particolare, l’area del distretto è caratterizzata dal cosiddetto “oro rosso”, poiché ospita la maggiore concentrazione di industrie di conserve vegetali, dedite prevalentemente alla trasformazione del pomodoro che, tra l’altro, ha di recente ottenuto il riconoscimento, in sede comunitaria, a prodotto D.O.P. Inoltre, secondo dati dell’ARPAC (2004), il triangolo Scafati-Angri-S. Antonio Abate risulta il territorio caratterizzato da maggiore specializzazione per quanto riguarda l’attività conserviera. Oltre che quello conserviero, le attività del territorio di riferimento interessano anche il settore pastario, la meccanica e il tessile-abbigliamento. Quest’ultimo comparto, in particolare, da una parte

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ha caratterizzato la storia dell’industrializzazione dell’area, dall’altra, esauritasi l’esperienza delle Manifatture Cotoniere Meridionali (MCM), ha trovato nuove strade, ad esempio nel confezionamento di costumi da bagno, con ampio ricorso al lavoro a domicilio o in piccoli laboratori. Le attività agricole hanno comunque costituito storicamente uno dei punti di forza dell’economia dell’area grazie alla natura dei terreni ed alla presenza di buone risorse idriche. Proprio grazie alle alte rese per ettaro realizzate nell’area ed alla selezione della qualità definita San Marzano si è creata nel tempo la base di produzione agricola tale da soddisfare la domanda derivante dalle attività di conservazione, giungendo così ad una organizzazione industriale di quest’ultima attività. L’industria di trasformazione del pomodoro del distretto di Nocera Inferiore-Gragnano è da sempre tra le prime nel mondo, con una preminenza assoluta per il livello qualitativo delle produzioni. Le circa 189 aziende conserviere presenti, con un fatturato annuo di circa 560 milioni di euro, rappresentano il 34% delle unità locali esistenti in Italia, impiegando annualmente circa 34.000 addetti tra fissi e stagionali pari al 43% dell’occupazione complessiva nazionale del settore. Per quanto riguarda le diverse fasi del ciclo produttivo conserviero, il pomodoro giunge allo stabilimento industriale e viene innanzitutto sottoposto ad un esame a campione per valutarne la qualità, definire il prezzo complessivo della partita da riconoscere al produttore agricolo ed per impostare la lavorazione dello specifico lotto. I pomodori vengono quindi lavati e sottoposti ad una cernita che viene effettuata ponendoli su nastri trasportatori lungo i quali il personale esperto elimina le bacche non idonee alla lavorazione (Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, 2004)8. A seconda della tipologia di pomodoro pervenuto viene impostata la lavorazione per tipo di prodotto finale. Viene quindi effettuata la pelatura (le bacche vengono riscaldate a 90 gradi per staccare con procedimenti meccanici e termici la buccia dalla polpa), si passa poi ad una fase di nuovo controllo (che negli stabilimenti più avanzati viene effettuato con l’aiuto di una selezionatrice ottica) e dopo ancora al taglio o alla pressatrice a seconda che il prodotto finale sia la polpa, il cubettato o le passate. Si passa poi alla fase di riempimento dei contenitori, alla loro chiusura e quindi alla sterilizzazione. Questa fase, tradizionalmente effettuata per immersione in grandi vasche contenente acqua a temperature anche più elevate di quella di bollitura grazie a sistemi a pressione, viene ora negli stabilimenti più avanzati effettuata in movimento con il contenitore che ruota lungo un percorso obbligato in modo che il suo contenuto si muova al suo interno e si avvicini tutto alle pareti dove la temperatura è più elevata e quindi sia più alta la probabilità che la sterilizzazione sia completa. I contenitori una volta sterilizzati passano alla fase di etichettatura o vengono collocati su pallets e avvolti da film plastici in modo da essere immagazzinati pronti per essere etichettati con i loghi dei compratori finali, nella gran parte dei casi aziende della grande distribuzione organizzata (GDO). A questo tipo di prodotto viene dato il nome di “pallettizzato bianco” e diviene base di negoziazioni specifiche. È particolarmente interessante il dato tecnico relativo alla velocità di inscatolamento dei prodotti che equivale a 800 barattoli al minuto. D’altronde questa velocità è funzionale ad una produzione che è concentrata nell’arco di tempo che va dalla metà di luglio alla fine di settembre; bisogna infatti lavorare grandi quantità di prodotto fresco in un tempo definito. La necessità di lavorare velocemente implica alcuni problemi di organizzazione e logistica.

1) Innanzitutto bisogna immagazzinare i contenitori da riempire e giungere a coprire il quasi totale volume dei magazzini disponibili. I contenitori riempiti andranno a sostituire quelli vuoti nei magazzini durante la campagna di lavorazione. A fine campagna quando iniziano le vendite ed i magazzini incominciano a svuotarsi inizia nuovamente l’approvvigionamento dei barattoli.

2) L’approvvigionamento del prodotto fresco deve essere coordinato in modo da evitare ingolfamenti e vuoti di produzione, e allungare quanto più possibile la campagna.

Una soluzione adottata è quella di avere aree di approvvigionamento che abbiano tempi di maturazione del pomodoro sfasato tra di loro. In particolare, le zone di approvvigionamento possono

8 Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (2004), Il caso di Nocera Inferiore-Gragnano. Il territorio, le imprese, le politiche di sviluppo, Quaderni “I distretti indiustriali dell’Italia meridionale”, Rassegna Economica, Banco di Napoli, Maggio.

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variare dalle aree più meridionali della provincia di Matera a quelle più settentrionali della Val di Chiana. Fondamentale in questo lavoro è il compito degli agronomi che seguono le coltivazioni per conto delle aziende conserviere. Infatti, al di là dell’accuratezza della selezione dei frutti e della lavorazione, bisogna tener conto della facile osservazione che la qualità del prodotto conservato dipende in primo luogo dalla qualità del prodotto fresco e del livello di maturazione raggiunto al momento della raccolta. Nelle aziende in cui si tiene alla qualità del prodotto finale la soluzione individuata per questo tipo di problema è quello di curare in particolar modo il rapporto con gli agricoltori fornitori del prodotto fresco. Questo tipo di approccio implica una fase iniziale di valutazione della produzione dell’agricoltore ed una volta che questo sia entrato nell’insieme dei fornitori abituali la cura del rapporto attraverso contatti diretti e attraverso l’opera degli agronomi che seguono in modo costante le coltivazioni. Da quanto si è illustrato si giunge in modo abbastanza semplice a considerare la validità della catena del valore riportata in una pubblicazione dell’Anicav (2003). In essa, infatti, il peso maggiore lo hanno le materie prime (40.5%), seguite dal margine della distribuzione (28%) e dalla remunerazione per i servizi di logistica (17%). Il peso della lavorazione si può dire molto ridotto (7.5%) ed ancora di più quello del margine aziendale (3.5%). D’altro canto, come si è visto, la qualità del prodotto fresco è fondamentale, la logistica è un passaggio obbligato per lo spostamento di notevoli volumi di merci, la distribuzione ed in particolare la grande distribuzione la fa da padrone nel fissare i prezzi ma anche le caratteristiche dei prodotti. Molto elevate risultano le esportazioni verso il Regno Unito, per l’80% attraverso il porto di Salerno. Inoltre, dato il basso rapporto peso/valore della merce, la vendita avviene in gran parte secondo le modalità “Ex-works” o “Free on Board”. Complessivamente, oltre alle imprese di trasformazione in senso stretto, per quanto riguarda gli altri soggetti che intervengono nel processo produttivo-distributivo conserviero, esiste una rete di fornitori locali che svolgono:

- commercio all’ingrosso di prodotti agricoli; - produzione di barattoli in banda stagnata e contenitori; - stampa di etichette e materiali pubblicitari; - meccanica specializzata per le industrie alimentari; - trasporto del prodotto fresco da lavorare, approvvigionamento dei contenitori, distribuzione

dei prodotti. Se in passato le esperienze consortili tra trasformatori e fornitori non hanno avuto gran successo e continuità, attualmente, invece, sembra che con l’avvio degli strumenti della programmazione negoziata tale situazione stia in qualche modo cambiando (Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, 2004). In totale, la superficie complessiva dei comuni del distretto Nocera Inferiore-Gragnano è di oltre 255 Kmq con circa 380.000 residenti, di cui 65.409 residenti nel napoletano (pari al 2% degli abitanti della provincia di Napoli) e 312.486 residenti nel salernitano. Secondo i dati della Regione Campania (2003), anche in questo distretto la frammentazione delle imprese è significativa ma inferiore rispetto agli altri distretti, considerato che qusi la totalità di esse ha meno di 10 addetti e vi sono poco più di 40 imprese imprese con oltre 50 addetti. In particolare, vi sono delle punte di concentrazione in aziende con più di 10 addetti nei Comuni di Angri, Castel San Giorgio, Nocera Superiore, San Marzano, Scafati e Sant’Antonio Abate. Per quanto riguarda il settore alimentare, che è quello caratterizzante il distretto, vi sono otto comuni su venti il cui numero medio di addetti per impresa del settore alimentare è almeno 10. Questo significa che, oltre che ad una concentrazione temporale dovuta alla stagionalità degli approvvigionamenti, a parità di altri fattori esiste anche un elemento di concentrazione spaziale. Considerando infine che il peso specifico delle merci in questione è abbastanza elevato e quindi i mezzi scelti per il trasporto sono di stazza notevole, ne consegue che è più probabile rispetto agli altri distretti trovare delle criticità locali.

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Per ciò che concerne le quantità in Campania nel 1998 la produzione di pomodori pelati, pomodori concentrati ed altre trasformazioni del pomodoro era di circa 2,3 milioni di tonnellate. A queste vanno aggiunte le quantità in approvvigionamento per la trasformazione e tutte le quantità di altre merci delle varie fasi delle filiere. In buona parte queste quantità vengono movimentate all’interno del distretto di Nocera. Queste quantità quindi rappresentano valori non trascurabili da gestire in maniera ottimale per minimizzare gli impatti. Da un punto di vista dei collegamenti, potendo trascurare in prima approssimazione le quantità che viaggiano su ferro, la morfologia della parte occidentale del distretto non consente di raggiungere agevolmente i caselli autostradali da tutti i comuni. Per tale motivo, si registrano spesso degli spostamenti merci in attraversamento ai vari comuni cuscinetto che, loro malgrado, si frappongono fra molte industrie di comuni poco accessibili (ad es. Lettere, Gragnano e Corbara) e l’autostrada Napoli-Pompei-Salerno (A3). In generale, le principali e più antiche arterie di comunicazione s’imperniano sulla direttrice est-ovest Napoli-Salerno. In questa direzione si snodano, oltre all’autostrada Napoli- Salerno (A3), che presenta svincoli a Nocera Inferiore, Angri e Scafati, la linea ferroviaria delle FF.SS., che da Napoli procede verso Sud lungo la costa tirrenica, e la SS 18, che collega i centri urbani di Nocera Superiore, Nocera Inferiore, Pagani, S. Egidio del Monte Albino, Angri e Scafati con Napoli e Salerno. Altro asse di trasporto importante è costituito dalla bretella autostradale Nola-Mercato S. Severino (A30 Caserta-Salerno). È inoltre in fase di realizzazione la tratta ferroviaria detta “Est Vesuvio”, di cui è previsto il collegamento alla futura tratta ad alta velocità Napoli-Roma. Lungo la stessa direttrice è in corso di realizzazione la variante alla SS 268, amministrata dall’ANAS, che collega l’Agro ai comuni vesuviani. Gli unici comuni del distretto tenuti all’adozione del PUT sono: Gragnano, Angri, Mercato San Severino, Nocera Inferiore, Pagani, Sarno e Scafati. Probabilmente, la scelta di fluidificare il traffico e l’accessibilità passiva dei vari caselli autostradali nell’ambito dei rispettivi territori ha prodotto, per alcuni di questi comuni, una notevole presenza di veicoli pesanti. In tal senso, appare quindi indispensabile uno studio per l’individuazione e valutazione delle condizioni di pianificazione integrata della circolazione dei mezzi pesanti nell’ambito del distretto, nonché dei benefici raggiungibili con lo sviluppo di strutture e servizi logistici dedicati.

Conclusioni

I risultati di tale studio confermano la carenza di organizzazione sinergica ed efficiente del trasporto merci da parte imprese localizzate nei distretti industriali campani. Al di là di quelle che potrebbero essere le criticità infrastrutturali, sui cui ci soffermerà di seguito, è opinione diffusa che nei distretti industriali regionali vi sia un basso grado di cooperazione in termini di organizzazione del trasporto, sia per quanto riguarda le fasi di approvvigionamento delle materie prime e dei semi-lavorati, sia per quanto riguarda le fasi distributive. Comunque, rispetto alle decine di milioni di tonnellate che ogni anno vengono trasportate sulle strade della regione, la quantità di merci movimentata dai distretti industriali appare limitata. Attualmente non esistono però ancora dati precisi sui quantitativi di merce movimentati dai singoli distretti. Pertanto, una futura governance della logistica distrettuale che preveda la creazione di sinergie, specie in ambito statistico-conoscitivo, riveste un’importanza strategica. Altra questione importante ai fini dello sviluppo logistico dei distretti campani è quella dell’accessibilità infrastrutturale. Nel corso del 2001, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha divulgato i risultati di un’indagine dell’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti (ISFORT) in cui sono state analizzate le relazioni dinamiche esistenti tra 199 distretti italiani e la rete di infrastrutture dedicate al trasporto merci. Secondo tale indagine, i distretti campani risultano mediamente localizzati in una di quelle che l’ISFORT denomina “aree deboli a bassa accessibilità”. Per superare tale situazione di “subalternità logistico-trasportistica”, sono auspicabili interventi innovativi a livello comunale ed intercomunale, che producano dei benefici reali per l’economia

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campana nel suo complesso e di cui possano usufruire in particolare anche le imprese del settore specifico di riferimento di uno o più distretti. A tal proposito, occorre però ricordare che, rispetto ai 98 comuni di riferimento dei sette distretti campani, solo 21 di essi sono tenuti ad adottare il Piano Urbano del Traffico (PUT) e che, considerata la natura amministrativa di tale strumento di pianificazione, è prevedibile che in nessun caso sia stata ancora prevista una integrazione specifica al settore delle merci in considerazione dell’appartenenza del Comune al distretto industriale (Regione Campania, 2003). In definitiva, se è vero che il successo economico dei distretti è frutto della cooperazione delle imprese fra loro e con le Istituzioni, l’ottimizzazione della logistica e dei trasporti non può essere lasciata all’iniziativa di singoli attori, ma dovrebbe essere integrata in un Piano di Distretto, anche a livello intercomunale, che possa prevedere proposte specifiche per eventuali investimenti infrastrutturali ed organizzativi, mirando in particolare alla realizzazione di una serie di obiettivi, tra cui l’aumento dell’accessibilità, la riduzione delle esternalità da traffico (inquinamento, congestione ed incidentalità), gli incentivi per la realizzazione di piccole piattaforme specializzate a livello distrettuale o interdistrettuale, l’incremento dell’utilizzo degli interporti regionali (Nola, Marcianise e il costruendo di Battipaglia) e la diminuzione dei costi logistici per le singole imprese in base alla razionalizzazione delle attività di approvvigionamento e di distribuzione a scala locale, nazionale ed internazionale. Iniziative del genere sarebbero ad esempio da valutare per i distretti di Grumo Nevano-Aversa-Trentola Ducenta (tessile-abbigliamento), San Giuseppe Vesuviano (tessile-abbigliamento) e Nocera Inferiore (agroalimentare). Sempre più, le principali problematiche affrontate dai moderni processi di pianificazione e governo del territorio riguarderanno la necessità di potenziare il territorio stesso allo scopo di favorire la sua integrazione nelle reti internazionali, accrescendone i livelli di specializzazione produttiva e garantendo, allo stesso tempo, il mantenimento di identità locale. Le imprese moderne tendono spesso a “de-territorializzarsi”, operando su diversi territori a scala globale e mettendo questi ultimi in concorrenza tra loro. Convergere sulla logistica e sul trasporto merci è quindi un passaggio obbligato per tutti i soggetti coinvolti nei processi di sviluppo locale-regionale, allo scopo di riuscire a raccogliere e concordare le differenti proposte ed esigenze territoriali e settoriali, giungendo alla proposizione di un quadro sistemico ed unitario a cui si possa dedicare la necessaria attenzione ed attuazione.

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Bibliografia

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Capitolo III Analisi Geografico-Territoriale dei Distretti Produttivi in Campania Luca Maisto

3.1 - I Distretti Industriali in Campania e il ruolo dei sistemi informativi territoriali come strumento di analisi I Distretti Industriali si sono sviluppati negli ultimi decenni in maniera autonoma ed hanno concentrato la loro attenzione su nicchie di mercato sempre più definite, sviluppando notevoli vantaggi competitivi. Nel Mezzogiorno, l'evoluzione dei distretti non ha seguito il processo di formazione che ha caratterizzato quelli del Nord del Paese, ma si può senz'altro affermare che esistono poli con processi di crescita localizzati e cumulativi che hanno reso possibile lo sviluppo di aree arretrate. In Campania esistono circa 7 distretti produttivi riconosciuti con legge regionale, che possono essere identificati come segue:

− Solfora − Calitri − San Marco dei Cavoti − Sant’Agata dei Goti − Grumo Nevano − San Giuseppe Vesuviano − Nocera Inferiore

I suddetti distretti sono riconducibili, principalmente, alle seguenti tipologie produttive:

Concia Tessile - Abbigliamento Alimentare

Il valore strategico dell'approccio “per distretti” o “distrettuale, si rivela con grande evidenza nel caso delle attività di studio effettuate mediante i GIS (Geografic Information System), perché consente di affrontare problematiche trasversali di processo o prodotto comuni alle imprese dei distretti localizzati in determinate aree geografiche. In particolare, la crescita complessiva di un distretto specifico, di un insieme di distretti e più in generale di un territorio, può essere favorita attraverso l'acquisizione di nuove conoscenze e la disponibilità di servizi all'innovazione “dedicati”. Le analisi geografiche territoriali (AGT) permettono infatti una corretta valutazione del territorio in base alle specifiche caratteristiche che si vogliono analizzare. L’innovazione dei sistemi informativi territoriali o GIS consistono nel poter condividere progetti di lavoro, dati raccolti, database, datawarehouse e poterli mettere on line attraverso la realizzazione di un sito web. Di seguito si riportano due mappe tematiche o tematismi relativi a:

Localizzazione dei Comuni nei Distretti Produttivi (Figura 1) Localizzazione per specializzazione produttiva nei Distretti Produttivi (Figura 2)

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(Figura 1) Tessile - Abbigliamento {Calitri, San Marco dei Cavoti, Sant’Agata dei Goti, Grumo Nevano, San Giuseppe Vesuviano ;} Concia {Solofra;} Alimentare {Nocera Inferiore}

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(Figura 2) Per quanto riguarda le specifiche attività propedeutiche allo svolgimento dell’analisi geografico territoriale (AGT), sono stati raccolti dati di tipo geografico (codici della regione, della provincia, del comune), di tipo economico (codici ateco, classe d’addetti, numero addetti, numero imprese, carattere artigiano) relativi alla Regione Campania, attraverso la consultazione del Censimento Industrie e Servizi 2001 e successivamente sono stati trasformati in formato vettoriale, cioè in modo da consentire l’ archiviazione di dati grafici secondo i quali gli oggetti vengono memorizzati in base alle coordinate cartesiane di punti e linee che li compongono e successivamente sono stati rasterizzati cioè si è ricavata un' immagine raster (un insieme di piccole aree uguali pixel, ordinate secondo linee e colonne, tali da costituire una matrice) a partire da dati vettoriali o da documenti cartacei (scannerizzati). Le mappe tematiche ricavate dall’elaborazione dei dati sui distretti, (www.istat.it), presentano scenari disaggregati per quanto riguarda il numero di unità locali e di addetti. L’analisi è stata sviluppata evidenziando nei Comuni dei distretti, non solo la specializzazione produttiva degli stessi (abbigliamento-tessile, concia, alimentare) ma anche tipologie “secondarie”, mettendo in rilievo il numero di Unità Locali ed il numero di addetti per ogni Comune del distretto di appartenenza e delle province campane in generale, classificati in base ai codici ateco. Sono stati raccolti anche dati sui Sistemi Locali del Lavoro (SLL) e organizzati in un database, contenente informazioni sul numero di addetti e unità locali classificati in base alle attività economiche, di seguito è riportato un esempio di tematismo relativo ai SLL (Figura 3) presenti nella

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regione Campania, ne è riportato un esempio, precisamente il comparto alimentare, (vista la molteplicità dei dati e la possibilità di incrociare questi secondo le diverse esigenze di studio), poiché sarebbe indispensabile una pubblicazione cartacea dedicata solo alle mappe tematiche e non essendo questa la sede, si potranno in futuro consultare on-line in base alle singole richieste percepite, attraverso la creazione di un datawarehouse, ossia una banca dati interattiva, disponibile sul web, contenente tutte le informazioni necessarie visualizzabili attraverso mappe tematiche o schede informative. L’esempio è stato strutturato considerando i comuni nei quali sono presenti il numero di unità locali, classificandoli per fasce di grandezza con punte minime di una unità locale e punte massime di oltre 400 unità.

(Figura 3) Per quanto riguarda invece, l’elaborazione del Censimento Industrie e Servizi 2001, dal quale, anche in questo caso, è possibile elaborare un’ elevata mole di dati da “tematizzare”, sono stati evidenziati i codici ateco relativi ai magazzini deposito conto terzi ed i magazzini frigoriferi conto terzi, classificati nel seguente modo: Codice Ateco: 63121 (Magazzini deposito e custodia conto terzi; ) Codice Ateco: 63122 (Magazzini frigoriferi conto terzi; ) Come si può osservare dal tematismo (Figura 4), il numero di imprese relative ai magazzini di custodia

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e deposito per conto terzi, sono localizzati principalmente nelle province di Napoli, la classe 1 (imprese comprese tra 1 e 2 unità locali) è quella più diffusa a livello territoriale, mentre la classe 4 (imprese maggiori di 10 unità locali) è presente esclusivamente all’interno della città di Napoli Per quanto riguarda i magazzini frigoriferi conto terzi (Figura 5), il numero di unità locali è assai ridotto, e la maggior parte delle unità, anche in questo caso, è compresa tra 1 e 2, l’unico comune con un numero di imprese comprese tra 3 e 10 risulta essere Mugnano di Napoli.

(Figura 4)

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(Figura 5) 3.2- Accessibilità dei distretti produttivi campani – Distanze “isocrone” Nell’Economia dei Trasporti esistono diverse concezioni di distanza, alle quali spesso si fa riferimento. La definizione di distanza geometrica è quella che stabilisce la misura del segmento di retta che unisce due punti A e B, e quando a questo segmento si aggiunge il costo da sostenere per raggiungere l’altro punto, si entra nel campo delle valutazioni economiche della distanza che vengono rafforzate quando al costo si unisce il vantaggio o l’utilità che si conseguono. Dato un punto nel globo, sulla base dei diversi concetti di distanza, o dei costi, odei tempi del trasporto, si possono costruire linee che uniscono tutti i punti “equidistanti” da quello dato e si ottengono così : - linee o aree costruite sulla base dei tempi necessari per lo spostamento o “isocrone”, ossia zone definite da tempi precisi rispetto a un dato punto; l’utilità delle isocrone trova molte applicazioni per esempio nello studio di hinterland portuali o aeroportuali, di interporti e infrastrutture puntuali, proprio come ci appresteremo a vedere tra breve; Lo studio di aree isocrone, ha riguardato l’analisi di accessibilità stradale dei comuni dei distretti della Regione Campania nei confronti dell’aeroporto di Capodichino, dell’ interporto di Nola e quello di Marcianise – Maddaloni, ed infine dei porti di Napoli e di Salerno. Sono state calcolate, attraverso semplici programmi on-line di autorouting (http://www.maporama.com), le distanze ed i tempi dai distretti rispetto ai nodi interessati per poi “zonizzare” attraverso GIS le aree interessate ai fini di avere una veloce e più chiara interpretazione dei dati.

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Lo scopo di questa analisi è quello di creare le condizioni di base per potere poi sviluppare in futuro modelli descrittivi di accessibilità, applicati al trasporto merci, a tal proposito appare assai utile la formulazione della funzione di impedenza Cij di Williams (1977), che tiene conto, in un unico indice, del costo generalizzato derivante dagli effetti di più modi di trasporto: Cij = - 1/λ ln Σexp (-λcijm) dove Cijm è il costo generalizzato di viaggio con il modo m, fra le località i e j, e λ è un parametro che esprime la sensitività del costo di viaggio. Gli indicatori del trasporto merci, a differenza del trasporto passeggeri, tengono conto di tutta la catena logistica e quindi la funzione del costo dovrà contenere i tempi di trasferimento delle merci, le attese ai nodi, i costi di movimentazione e stoccaggio delle merci e ancora tali costi risulteranno in funzione di diverse variabili come la tipologia del carico, la capacità del nodo, il livello di informatizzazione, e soprattutto la capacità di gestione del nodo e di tutta la rete. Di seguito verranno illustrate mappe tematiche di accessibilità relative ai nodi:

Aeroporto di Capodichino Interporto di Nola Interporto di Marcianise – Maddaloni Porto di Napoli Porto di Salerno

Aeroporto di Capodichino Dalla Figura 6 si può stabilire che i comuni di Orta di Atella, Arzano,Calandrino, Casavatore, Caloria, Frattamaggiore, Grumo Nevano, Melito di Napoli, Sant’Antimo, risultano essere quelli più accessibili rispetto all’Aeroporto di Capodichino, con un tempo di raggiungimento del nodo entro i 15 minuti, anche per i maggiori collegamenti urbani ed extraurbani disponibili, viceversa i comuni di Andretta, Aquilonia, Cairano, Sant’Andrea di Conza, Baselice, Castelvetere in Val Fortore, San Bartolomeo in Galdo, risultano essere meno accessibili con tempi di raggiungimento del nodo maggiori di 90 minuti;

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(Figura 6) Interporto di Nola E’ interessante vedere come per l’Interporto di Nola (Figura 7), esiste un’accessibilità dai distretti, che non supera i 90 minuti, ciò significa che gli spostamenti verso il nodo avvengono comunque in un tempo massimo di un’ora e mezza, precisamente dal punto max di un’ ora e ventiquattro minuti da Castelvetere in Val Fortore situato nella provincia di Benevento.

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(Figura 7) Interporto di Marcianise - Maddaloni Per quanto riguarda l’interporto di Marcianise (Figura 8), esiste un’accessibilità che è massima, naturalmente, intorno ai Comuni vicini all’interporto con qualche eccezione riferita ai comuni di Dugenta, Moiano, Limatola, Casoria, Casandrino e Arienzo che hanno dei tempi di accesso fino a mezzora, più precisamente:

Istat Comune Tempo Classe

62027 DUGENTA 0.18 262038 LIMATOLA 0.17 262040 MOIANO 0.23 261004 ARIENZO 0.16 263020 CASANDRINO 0.16 263023 CASORIA 0.19 2

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(Figura 8) Porto di Napoli Il tematismo sull’accessibilità dei distretti verso il porto di Napoli (figura 9), evidenzia un basso numero di comuni accessibili entro un tempo di 15 minuti, infatti solo tre di essi (Arzano, Casavatore e Casoria) rientrano entro tale limite di tempo, viceversa circa il 40% dei comuni appartenenti ai distretti rientra entro il limite di tempo di 30 minuti e solo quattro comuni (Sant’Andrea di Conza, Baselice, Castelvetere in Val Fortore, San Bartolomeo in Galdo) risultano maggiori di un’ora e mezza, con la punta max di un’ora e quarantaquattro minuti di San Bartolomeo in Galdo.

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(Figura 9) Porto di Salerno La situazione non è molto diversa nel tematismo relativo al porto di Salerno (figura 10) dove la classe 1 (fino a 15 minuti) riguarda solo pochi comuni limitrofi al nodo, mentre invece solo due comuni (Baselice, Castelvetere in Val Fortore ) risultano essere appartenenti alla classe 6 ossia con tempi chesuperano i 90 minuti

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(Figura 10) Le analisi territoriali sviluppate attraverso strumenti GIS, si è rivelata molto utile ai fini dello studio dei distretti campani, le prospettive future che si intendono raggiungere, comprendono scenari più allargati a livello dimensionale e geografico, individuando le reti europee intermodali di trasporto, analizzando i flussi mondiali che attraverso il mediterraneo, mettono in relazione l’oriente e l’occidente e facendo degli hubs “nostrani” l’anello di congiunzione dei flussi economici internazionali; il grado di informatizzazione che si intende raggiungere comprende una fitta rete di scambio fisico e virtuale, attraverso l’utilizzo di software sempre più “dedicati” e di settore che, come il GIS, riescono a valutare in maniera puntuale e determinata il territorio che si vuole analizzare. Di seguito viene riportato un esempio di tematismo (Figura 11 - fonte: Nestear) che evidenzia la rete di trasporto mediterranea e trans-europea, in particolare il corridoio mediterraneo 3 (Parigi – Marsiglia/Genova – Tunisi/Sfax) e che mette in luce i collegamenti esistenti tra i paesi coinvolti.

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(Figura 11) In conclusione quindi, lo scopo del presente lavoro e della prospettiva futura è quello di potenziare le AGT attraverso un uso sempre più largo degli strumenti GIS, con tutte le possibilità di interrogazione e visualizzazione dei dati che essi offrono, affinché si crei una rete d’informazione (information network) aggiornabile e flessibile a tutti i tipi di tecnologie, ottimizzando non solo i flussi merce ma soprattutto ottenendo una notevole riduzione dei costi.

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Bibliografia

Forte E., Trasporti Politica Economia, Cedam, Padova, 1994. ISTAT, 8° Censimento generale dell’industria e dei servizi - 2001, Roma, 2004. Maisto L., Logistica Economica e sistemi informativi, 2003. Maisto L., Flussi fisici e flussi informativi, paper presentato al Convegno ''Logistica e analisi economica dei flussi'', Università Federico II di Napoli, 18 Giugno, 2004. Marchese U., Lineamenti e problemi di Economia dei Trasporti, ECIG, Genova 2000. www.maporama.com www.nestear.net.

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Capitolo IV Indagine settoriale sulla domanda e sull’offerta di servizi di logistica e trasporti in Campania Lucio Siviero

4.1 - Un settore produttivo campano in espansione sui mercati mondiali: la filiera vitivinicola La Campania, sia per le particolari condizioni climatiche, sia per la bontà dei propri suoli, è storicamente considerata come una delle più apprezzate regioni italiane per la produzione di vini. Ad inizio secolo, infatti, le veniva riconosciuto il primato nazionale nella produzione di vini di qualità. Tuttavia la progressiva contrazione delle superfici viticole e soprattutto l’introduzione di vitigni extraregionali hanno col tempo determinato la perdita del primato e solo negli ultimi 10-15 anni si è riproposto il problema di ri-orientare la produzione verso tipologie di vino qualitativamente superiori. La superficie complessiva destinata alla viticoltura in Campania è di 41.200 ha ed è prevalentemente concentrata sul territorio collinare. La produzione di qualità (Doc-Docg), avviene in 20 principali aree che coprono una superficie complessiva pari al 19% della superficie regionale viticola. La Campania, che non a caso i Romani chiamavano felix per l’amenità dei luoghi, la mitezza del clima e la fertilità delle sue campagne, è sempre stata terra generosa di buoni vini. Proprio negli ultimi anni c'è stata un importante azione di riqualificazione delle produzioni enologiche regionali. Infatti, nel 1980 la Campania poteva annoverare tra i Doc soltanto 7 vini; oggi, invece, i vini a denominazione di origine sono 20, cui corrispondono oltre 70 tipologie. Un vero fiore all’occhiello sono i tre Docg della provincia di Avellino: il Taurasi, il Greco di Tufo, il Fiano di Avellino. Vi sono, inoltre 17 Doc e 9 Igt. La base varietale dei vitigni campani è molto ampia ed ha subito di recente un processo di valorizzazione e recupero delle varietà autoctone (anche attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie avanzate), che da sempre hanno garantito vini di grande pregio e tipicità. Questa particolare ricchezza varietale campana deriva dalla combinazione di più elementi strutturali: storici, sociali, geografici e culturali. La frammentazione della proprietà fondiaria, l'orografia della regione, la natura vulcanica dei terreni, alcune pratiche tradizionali come la moltiplicazione della vite per propaggine o l'accorpamento di più varietà di vigneti, rendono oggi la Campania un contesto unico ed irripetibile nel panorama italiano, un serbatoio importante da cui attingere per il miglioramento genetico della vite, in termini fitosanitari e di resistenza alle malattie, e per diversificare le produzioni enologiche. Con tali riconoscimenti, come si può evincere dalla tabella seguente, la Campania si colloca al 9° posto su scala nazionale (1° il Piemonte) e al 2° posto tra le regioni del sud, tra le regioni con produzione vinicola di elevata qualità.

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Un altro aspetto su cui occorre soffermarsi è la distribuzione dei vini campani che negli ultimi anni, sotto le spinte dinamiche imposte dalla distribuzione moderna, sta gradualmente cambiando.

Tab1 - Quadro riassuntivo delle produzioni vinicole ad elevata qualità

Regioni DOCG DOC IGT

Piemonte 7 50 0 Valle d'Aosta 0 1 0 Lombardia 2 17 12 Trentino Alto Adige 0 7 4 Veneto 3 24 10 Friuli Venezia Giulia 0 9 3 Liguria 0 8 2 Emilia Romagna 1 21 10 Toscana 6 41 5 Umbria 2 13 6 Marche 0 11 1 Lazio 0 25 5 Abruzzo 0 3 9 Molise 0 3 2 Campania 3 18 8 Puglia 0 25 6 Basilicata 0 1 2 Calabria 0 12 13 Sicilia 0 20 7 Sardegna 1 20 15 ITALIA 25 329 120

Fonte: ISTAT 2002

Naturalmente, ciascuno dei principali comparti agroalimentari presenta una propria organizzazione dei canali distributivi in relazione alle caratteristiche fisiche del prodotto e all'organizzazione della base produttiva. Per quanto riguarda la filiera vitivinicola nel corso degli ultimi anni il peso della GDO è incrementato notevolmente, a seguito del processo di concentrazione che ha investito il settore della distribuzione alimentare al dettaglio. Tale processo ha portato ad un notevole squilibrio nei rapporti tra gli operatori della filiera portando i produttori ad adottare, dietro la spinta della regolamentazione nazionale e comunitaria in materia di produzioni di qualità a denominazione d’origine, strategie di commercializzazione mirate alla valorizzazione del prodotto a difesa del valore aggiunto della produzione. In particolare, per le produzioni di vini a denominazione d’origine il canale della GDO è quello principalmente adottato, seguito dalla ristorazione e dal dettaglio tradizionale. Per quanto concerne i vini da tavola, invece, sono ancora significativi i flussi che transitano lungo i canali tradizionali (vendita diretta ed ingrosso) che vedono ridurre la propria quota ma rappresentano ancora il principale canale distributivo.

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Fig 1 - Canali distributivi dei vini campani

46%

34%

20%

GDO

Ristorazione

Vendita diretta-ingrosso

GDO

Ristorazione

Dettaglio tradizionale

Vini DOC - DOCG

37%

24%

37%

2%

GDO

Ristorazione

Vendita diretta-ingrosso

Dettaglio tradizionale

Ristorazione

GDOVendita diretta-

ingrosso

Vini comuni

Fonte: ISTAT 2002 Il comparto vitivinicolo campano si caratterizza anche per una forte innovazione delle strategie distributive e di marketing. In un mercato sempre più soggetto alle regole della globalizzazione ed alla ingombrante presenza di multinazionali, si pone, per le produzioni di qualità connotate da elementi di tipicità locale, la necessità di affrontare nuove sfide per acquisire e consolidare posizioni di mercato attraverso politiche di differenziazione del prodotto. Peraltro, soprattutto i produttori ed i trasformatori di piccole dimensioni non sono in grado di competere con i grossi marchi commerciali né con i prodotti di qualità il cui marchio è affermato localmente o a livello extra-locale e trova ampio accesso nei punti vendita della GDO. Una delle possibili opzioni strategiche a disposizione dei piccoli produttori, che peraltro si stanno già ampiamente implementando, è rappresentata dallo sviluppo di nuove strategie distributive che consentono di collocare le produzioni avvicinando l’offerta e la domanda, talvolta attraverso l’eliminazione di intermediari. Di recente, nel tentativo di abbreviare il canale distributivo, molti produttori hanno teso i propri sforzi ad aggregare la domanda rivolgendosi direttamente a strutture associative o organizzazioni (ad esempio, CRAL aziendali o di Pubbliche Amministrazioni) ed

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offrendo agli associati un paniere di prodotti sulla scorta di un listino particolarmente conveniente. Si tratta di formule commerciali di norma non strutturate nè organizzate, che presentano i vantaggi della vendita diretta (pochi contatti, ridotti costi commerciali, quasi totale assenza di costi di marketing, assenza di intermediari) e che consentono di consegnare al produttore l’intero valore aggiunto. Peraltro, tali meccanismi non richiedono, di norma, investimenti aggiuntivi per i produttori, né costi organizzativi legati alla gestione di tali formule commerciali. Nuove formule distributive, maggiormente strutturate ed organizzate, le quali richiedono, in ogni caso, capacità organizzative e, talvolta, significativi investimenti iniziali, si stanno diffondendo nel settore della commercializzazione dei prodotti agroalimentari. Sebbene queste rappresentino una ridottissima porzione del valore complessivo del comparto, è utile approfondire la tematica in quanto alcune di queste ben si prestano alla commercializzazione di prodotti di nicchia connotati da elementi di qualità e tipicità legata al territorio. Nelle pagine seguenti si presentano i caratteri generali di due formule distributive che potremmo definire ad alto contenuto innovativo:

- la vendita postale; - l’e-commerce.

La vendita postale può rappresentare, per le aziende agricole, un sistema di vendita di tipo diretto, nel quale il produttore propone una gamma di referenze o specifiche offerte relative ad un paniere di prodotti. Il materiale promozionale viene inviato a fasce di clienti potenzialmente interessati all’acquisto ed individuati da società specializzate nella fornitura di elenchi di indirizzi (mailing lists), oppure allegato a riviste o periodici destinati a particolari fasce di consumatori. In Italia, relativamente ai prodotti agroalimentari, la vendita postale è stata sperimentata con successo soprattutto per i prodotti vinicoli, ai quali sono spesso associati confetture, oli, prodotti gastronomici conservati, prodotti da forno. L’e-commerce rappresenta, dal punto di vista tecnologico, l’ultima frontiera per la commercializzazione dei prodotti, il cui successo si basa sulla diffusione esponenziale di internet e dei mezzi di pagamento elettronici (carte di credito) tra gli utenti privati. I prodotti agroalimentari che, al momento, sembrano meglio sfruttare le opportunità offerte dalla rete sono rappresentati dai vini, dagli oli e, in generale, dai prodotti gastronomici tipici. Il settore vitivinicolo campano negli ultimi anni sta mostrando sempre più attenzione all'esportazione sui mercati fuori regione nazionali ed esteri. Il 93% della produzione regionale è destinata al mercato nazionale; di questo dato il 2% è destinato all'autoconsumo. I canali distributivi attivati e interessati da questo mercato rispecchiano le quote precedentemente mostrate, in particolare la quota della G.D.O. che primeggia anche in tal senso è del 40%, segue la vendita diretta e l'ingrosso con il 29%, e la ristorazione con il 28%. Infine, il dettaglio tradizionale ha una quota ridottissima dell' 1%.

Fig 2 - Canali distributivi dell'export campano

GDO

Venditadiretta/ingrossoRistorazione

Dettaglio tradizionale

GDO

Vend. diretta/ingrosso

Ristorazione

Fonte: ISTAT 2002

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La restante fetta di produzione regionale (7%) è destinata all'estero e riguarda principalmente i vini DOC e DOCG. Le tre principali aree di destinazione sono costituite dalla Germania (8%), dalla Gran Bretagna (7%) e dalla Francia (6%). Il vino campano si caratterizza oltre che per la qualità anche per la ricerca di innovazione. Negli anni recenti si sono individuate metodologie innovative ed economiche di analisi di alcuni parametri rilevanti per il controllo dei processi di fermentazione e per la definizione della qualità globale del prodotto finito: si tratta di prototipi di misura (biosensori elettrochimici), utilizzabili sia in laboratorio che sul campo. Oltre allo sviluppo di tali prototipi, sono state anche studiate le relazioni tra contaminazione ambientale e qualità della materia prima e sono state effettuate determinazioni sul potere antiossidante di campioni di mosto/vino. Infine sono stati selezionati parametri analitici della qualità del vino, sulla base dei quali è stato elaborato un protocollo per una moderna certificazione della qualità globale (organolettica, nutrizionale, igienica). In tema di logistica distributiva (che per le aziende vinicole è di fondamentale importanza), cioè quell'insieme di attività legate all'organizzazione ed alla gestione della consegna dei prodotti, dal luogo di origine fino al punto di vendita finale, si può osservare la crescente complessità nella gestione dei flussi sia fisici che informativi. Ciò trasforma la logistica in un prezioso strumento di vantaggio competitivo, ottenibile a patto che gli operatori coinvolti realizzino una stretta collaborazione. Il massimo coordinamento, dunque, fra gli operatori nella gestione della catena dell'offerta è la condizione necessaria per ottimizzare i risultati della logistica. In un ottica di integrazione della logistica distributiva, da attivare attraverso la realizzazione di piattaforme logistiche avanzate localizzate in vicinanza dei principali distretti vitivinicoli della Regione, gli obiettivi da perseguire sarebbero il miglioramento dell'imballaggio, l'ottimizzazione della movimentazione, l'affidabilità dei tempi di consegna, l'ottimizzazione della programmazione degli ordini relativi alle esportazioni e delle fasi di trasporto. Tuttavia la scelta di esternalizzare o meno la logistica distributiva, non dipende solo da fattori interni alle aziende, ma è anche legata alla limitata offerta di servizi logistici in Italia, che a sua volta è certamente riconducibile allo scarso sviluppo di infrastrutture per la movimentazione delle merci. Proprio questo aspetto (cioè l'esigenza sempre più forte e sentita di ottimizzare le fasi della logistica distributiva), e principalmente nell'ottica di un rafforzamento dell'export vitivinicolo campano, ci ha portato ad approfondire la ricerca con una indagine sulla domanda e l'offerta di servizi logistici e di trasporto in Campania in cui sono state coinvolte aziende produttrici e operatori di trasporto.

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4.2 - Indagine sulla domanda e l'offerta di servizi di logistica e trasporti nell'ambito della filiera vitivinicola campana La presente ricerca è identificabile come analisi-pilota ed i fenomeni oggetto dell'indagine sono stati rilevati empiricamente in un campione limitato ad osservazioni mirate. L'indagine è stata condotta tramite somministrazione di questionario, che è stato sottoposto a 20 imprese, tra aziende vinicole e operatori di trasporto, ottenendo risposta da 15 di esse. Il questionario adottato è articolato in quattro parti, volte ad indagare specifici aspetti, relativi alle strutture produttive, ai flussi di prodotto ai processi di innovazione, e ai canali distributivi. In particolare, la prima parte è dedicata alla raccolta di informazioni di carattere generale e strutturale, quali la tipologia di società, il numero delle unità locali, la capacità e la localizzazione delle proprie strutture produttive, il livello di certificazione aziendale, il numero di addetti ecc. La seconda parte è dedicata alla raccolta di informazioni sulle principali modalità di realizzazione delle fasi produttive e logistiche. La terza parte è dedicata alla raccolta di dati relativi al flusso delle merci in entrata e alle relative modalità di trasporto, inoltre sono indagati i rapporti con i fornitori. Infine la quarta parte è orientata alla rilevazione dei dati relativi al flusso delle merci in uscita e alle relative modalità di trasporto, nonché ai rapporti con i clienti. Per l'analisi sono state privilegiate imprese che hanno una radicata presenza sul territorio, caratterizzate da flussi logistici di media complessità, e pertanto protese verso uno sforzo di razionalizzazione della logistica di approvvigionamento e distributiva. L'obiettivo principale della seguente indagine è quello di tratteggiare un quadro relativo all'assetto operativo delle imprese appartenenti alla filiera vitivinicola campana, inoltre sono stati verificati gli orientamenti espressi da alcuni operatori di logistica e trasporti in merito ad alcuni aspetti relativi alla logistica e ai trasporti, letti dal lato dell'offerta, evidenziando le dotazioni strutturali, i rapporti commerciali con clienti e fornitori, il ruolo della G.D.O., la propensione ad attivare interventi di adeguamento tecnologico, e le modalità di realizzazione delle fasi di logistica e trasporto. Lo scopo ultimo è verificare la possibilità o la propensione ad utilizzare i servizi di una o più piattaforme logistiche in cui riversare in una ottica di integrazione di filiera le attività logistiche a valore delle imprese del settore.

4.2.1 - Indagine dal lato della domanda: principali aspetti della logistica e dei trasporti

Il campione è formato da sette imprese vitivinicole, per lo più organizzate nella forma giuridica di s.r.l., dedicate prevalentemente ad attività di produzione-imbottigliamento (tab. 2). Nessuna delle imprese intervistate appartiene a gruppi multinazionali o nazionali e questo sembra confermare la tendenza verso la piccola e media dimensione delle realtà vitivinicole campane. Infatti il settore campano si rivela fortemente polverizzato, sia per quanto riguarda le aziende viticole conferenti le uve, sia per quanto riguarda le imprese coinvolte più direttamente nella produzione-imbottigliamento.

Tab 2 - Aziende intervistate

localizzazione anno di costituzione

1 Avellino 2004 2 Torrecuso (BN) 1980 3 Ischia 1888 4 Atripalda 2003 5 Grottolella 2000 6 Rufoni (SA) 2004 7 Benevento 1972

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Per quanto attiene alla dimensione e alle strutture aziendali si tratta di imprese che nella maggior parte dei casi contano una sola unità locale, e che hanno a disposizione vigneti, in genere localizzati nelle vicinanze delle strutture produttive, e magazzini per il deposito o lo stoccaggio del prodotto. Questo è uno degli aspetti più importanti: le aziende intervistate posseggono vigneti, quindi i flussi di merci in approvvigionamento non riguardano la materia prima del comparto, cioè le uve. La dimensione media dei vigneti si aggira intorno ai 4.000 mq, mentre quella dei magazzini per il deposito si attesta intorno ai 1.000 mq. Un altro corretto indicatore di dimensione aziendale, che in tal senso conferma ancora una volta la piccola-media dimensione, è rappresentato dal numero di addetti presenti: in media gli addetti delle aziende intervistate sono compresi tra sei e nove (Fig 3)

Fig 3 - Numero di addetti delle imprese

1-56-920-49

La qualità assume, sotto la spinta della distribuzione moderna e tenuto conto delle nuove esigenze del consumatore, un ruolo primario all'interno della logistica della filiera vitivinicola. In tal senso, uno dei migliori indicatori della qualità aziendale è quello rappresentato dal livello di certificazione. In questo senso emerge un dato abbastanza significativo: più del 70% delle imprese selezionate non ha alcuna certificazione e sta procedendo a richiederne una, mentre la parte restante è certificata ISO 9000:94 e Vision. Altro aspetto da analizzare attentamente, soprattutto ai fini di una analisi qualitativa dei servizi offerti è l'aspetto tecnologico. La tecnologia assume un significato sempre più preponderante all'interno dei processi aziendali ed è uno degli elementi decisivi non soltanto ai fini dell'ottimizzazione della capacità e della compressione dei tempi, ma anche e principalmente per ampliare la qualità globale dei servizi offerti. Si è potuto infatti rilevare che tutte le aziende intervistate hanno grande considerazione dell'aspetto tecnologico e che tutte lo utilizzano. In particolare si può riscontrare grande attenzione verso i sistemi integrati di gestione operativa del magazzino, e l'intenzione di rafforzare la dotazione tecnologica investendo in sistemi di movimentazione e stoccaggio sia tradizionali che automatici. Al contrario il grado di utilizzo dell'e-commerce è ancora scarso (1 su 7). Per quanto riguarda l’importanza degli obiettivi strategici aziendali (Fig 4) l'abbreviamento dei tempi e la riduzione dei costi sono considerati dalle imprese elementi fondamentali per una corretta ed efficiente gestione della funzione logistica, ma assume sempre più rilevanza il miglioramento della qualità operativa

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Fig. 4 - Importanza degli obiettivi strategici

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Abb

revi

amen

tote

mpi

Rid

uzio

ne c

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Fles

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Proprio dal punto di vista delle attività logistiche emerge chiaramente la tendenza a svolgere questa importante fase internamente, anche se spesso ricorrendo per alcune procedure ad operatori esterni. Tuttavia le imprese intervistate confermano tutte l'intenzione di voler valutare la possibilità di affidare le attività logistiche ad operatori esterni. In particolare le attività di logistica vengono affidate o ad un ufficio di logistica interno oppure ad operatori esterni (che gestiscono solo alcune delle fasi). Come detto in precedenza l'attività delle aziende intervistate è la produzione, l'imbottigliamento e la commercializzazione, per cui vengono attivati importanti flussi di merci e prodotti sia in entrata che in uscita. Tutte le aziende intervistate acquistano bottiglie, tappi ed etichette: la dimensione media dei lotti acquistati è di circa 900.000 unità complessive all'anno. Un altro elemento da analizzare è la funzione del trasporto. Punto cruciale della catena logistica, la funzione del trasporto, riveste un ruolo essenziale nei processi di sviluppo delle aziende. La modernizzazione delle strutture produttive passa infatti, attraverso un sistema che garantisca un flusso efficiente, rapido continuo e sicuro dei prodotti. Peraltro, se è vero che la logistica si focalizza sempre più sul flusso delle informazioni (ciclo dell'ordine) e quindi sull'uso delle reti immateriali, è altrettanto vero che il potenziamento del trasporto delle merci appare ancora oggi condizione essenziale per l'esistenza di catene logistiche avanzate. Il trasporto delle merci non deve essere inteso come attività a basso valore aggiunto, ma come una funzione articolata al proprio interno in una molteplicità di componenti che consentono di realizzare un servizio di elevata qualità, che valorizzi l'intero processo di filiera. In un ottica di dinamicizzazione e modernizzazione del sistema produttivo vitivinicolo, il trasporto non può risolversi semplicemente nel trasferimento di un prodotto da un punto di origine ad uno di destinazione. All'interno di una catena logistica avanzata esso assume un significato completamente diverso, e conferisce valore ad un servizio che incide in modo determinante sulla competitività del prodotto. In altri termini, il trasporto contribuisce alla formazione della catena del valore nella misura in cui esso si raccorda in modo efficiente con una serie di ulteriori servizi logistici quali ad esempio: stoccaggio, frazionamento e consolidamento del carico, conservazione del prodotto ecc.. Questo introduce proprio l'idea della realizzazione di una logistica integrata da effettuarsi grazie alla previsione di piattaforme logistiche multiclienti per le imprese del settore vitivinicolo campano. Tornando alle rilevazioni si è riscontrato che l'unica modalità di trasporto utilizzata in fase di approvvigionamento è la gomma (100%), mentre il tipo di carico scelto in questa fase è il pallet (100%). In particolare il tipo di operatore di trasporto maggiormente utilizzato è l'impresa di trasporto nazionale o internazionale, mentre il corriere sembra essere poco utilizzato.

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Nella scelta del tipo di operatore criteri quali la puntualità e la rapidità nella consegna si configurano ovviamente come gli elementi che maggiormente dovrebbero caratterizzare i servizi di trasporto; ad essi infatti le aziende hanno attribuito il più elevato livello di importanza e di preferenza. Tuttavia più che il contenimento dei costi gli imprenditori chiedono, in primo luogo, il rispetto dei tempi di consegna e dunque l'adeguamento ai ritmi sempre più rapidi del ciclo produttivo e distributivo. Inoltre è importante sottolineare come acquisti sempre più peso l'importanza dell'offerta di servizi accessori (assicurazione merci, tracking and tracing ecc.), elemento questo che riconduce ancora una volta all'idea di una logistica integrata.

Fig. 5 - Criteri di scelta del fornitore di servizi di trasporto

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Tempi brevidi

consegna

Affidabilitàdel

fornitore

Puntualitàdelle

consegne

Costo delservizio

Qualità deiservizi

aggiuntivi

elevatomedioscarsonullo

Riguardo ai rapporti con i fornitori si è voluto analizzarne la dimensione (numero di fornitori) e il tipo di rapporto commerciale. In media le imprese intervistate hanno un numero di fornitori che si aggira intorno a 50 mentre la formula che caratterizza le operazioni di acquisto in questa fase è rappresentata esclusivamente dall'acquisto franco fornitore c/proprio. Analizzata in alcuni elementi la fase degli approvvigionamenti, per quanto riguarda quella della vendita, emerge immediatamente la preferenza a scegliere, per questa fase, un particolare tipo di operatore di trasporto, il padroncino locale (100%), mentre la formula di vendita prevalente è la vendita "franco-destino". Il flusso delle merci in uscita, ovviamente, è costituito dal prodotto finale cioè la bottiglia di vino con etichetta. La non sempre piena disponibilità delle imprese intervistate a fornire informazioni riguardanti il volume di vendita, hanno fatto si che in questa fase ci si sia concentrati nell'analizzare alcuni aspetti relativi ai rapporti con i clienti: numero e tipologia e localizzazione dei clienti, formula di vendita utilizzata e canali distributivi. Per quanto riguarda il primo di questi aspetti le aziende intervistate nella quasi totalità dei casi (6 su 7) hanno un numero di clienti superiore a 100. Molto importante risulta essere l'analisi della tipologia e localizzazione dei clienti. Dall'indagine emerge che le imprese si rivolgono soprattutto al dettaglio, ai grossisti e ai distributori; solo una delle aziende intervistate ha tra i propri clienti la GDO, mentre il peso dei privati e dei consorzi è ancora notevole. In dettaglio si può osservare che i clienti del dettaglio sono localizzati per lo più in regione, mentre si superano i confini regionali e nazionali soprattutto attraverso i grossisti e i distributori.

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Si è voluto porre le stesse dinanzi all'ipotesi di realizzazione di piattaforme logistiche avanzate all'interno della regione, e valutare il grado di interesse per i servizi logistici e di trasporto che potrebbero essere svolti in essa in un ottica di integrazione di filiera. Il grado di interesse per i servizi logistici che potrebbero essere svolti in una logica di integrazione, è come si può osservare dal grafico seguente molto basso; le sole attività che sembrano mostrare qualche interesse sono il magazzinaggio e i magazzini frigoriferi. Evidentemente la fase della conservazione è di particolare importanza per le aziende del settore vitivinicolo e questo interesse sembra essere confermato anche dalla volontà, espressa da due imprese intervistate, di investire in questa direzione.

Fig 6 - Grado di interesse per i servizi di logistica che potrebbero essere svolti all'interno

di una piattaforma logistica

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Logis

tica i

nteg

rata

Magaz

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gio

Magaz

zini fr

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Kit

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Anche per ciò che concerne i servizi di trasporto, se si esclude il servizio solo vezione e il groupage, il grado di interesse delle aziende intervistate è estremamente basso, mentre la tendenza cambia radicalmente se si parla di servizi avanzati: in questo caso, e ciò conferma l'elevata importanza attribuita all'aspetto tecnologico, il grado di interesse è in media molto elevato, soprattutto per quel che riguarda l'aspetto formativo del personale impiegato e la fieristica internazionale.

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Fig 7 - Grado di interesse per i servizi di trasporto che potrebbero essere svolti all'interno di una piattaforma logistica

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Solo vezio

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Door to door

Groupage

Carichi c

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Corriere

Intermodale/co

mbinato

Trasporti

specia

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elevatomedioscarsonullo

Fig. 8 - Grado di interesse per i servizi avanzati che potrebbero essere svolti all'interno di

una piattaforma logistica

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Formaz

ione spec

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Hosting w

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e

Ricerch

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4.2.2 - Indagine dal lato dell'offerta di servizi di logistica e trasporto

Il campione delle imprese è formato da 6 aziende di trasporti che solo in minima parte svolgono anche altre attività logistiche. Si tratta di aziende principalmente strutturate nella forma di s.r.l. per lo più specializzate nel trasporto di prodotti deperibili, ma che in qualche caso movimentano anche altre merci (parti meccaniche), e localizzate in Campania. Nessuna delle aziende intervistate appartiene ad un gruppo di imprese nazionale o multinazionale, e ciò conferma ancora una volta la media o piccola dimensione delle realtà meridionali. Premesso che nella definizione di operatori di trasporto e logistica, occorre operare la seguente suddivisione tra:

- operatori specialisti, che offrono servizi dedicati, in filiere industriali o segmenti della domanda specifici, ad esempio spedizioni nazionali di collettame per area geografica;

- operatori generalisti, che offrono servizi estesi a diverse categorie merceologiche ed aree territoriali;

la scelta ha cercato di fornire una rappresentazione completa delle categorie sopra descritte, infatti 4 aziende possono essere considerate operatori specialisti e 2 operatori generalisti. Dal punto di vista della certificazione aziendale emerge un dato abbastanza significativo: il 45% non ha alcuna certificazione, mentre il 50% possiede almeno una certificazione (in genere ISO 9000:2000). Per quanto attiene alla dimensione aziendale, si tratta di medie o piccole imprese: l'indicatore di dimensione più utile in tal senso è certamente il numero di addetti. Dall'indagine emerge con chiarezza la media dimensione aziendale, infatti nel 40% dei casi il numero di addetti è compreso tra 10 e 19. Solo in un caso si superano i 100 addetti mentre negli altri casi il dato scende a meno di 10. Dal punto di vista delle strutture aziendali, tutte le imprese intervistate hanno a disposizione parcheggi o piazzali per la sosta e la movimentazione dei mezzi di trasporto posseduti. In media la dimensione di questi spazi si aggira intorno ai 2500 m.q. e nella quasi totalità dei casi si tratta di strutture di proprietà localizzate all'interno dell'azienda. Con riguardo alle attrezzature utilizzate per la movimentazione delle merci, i mezzi più utilizzati risultano essere camion (≤20t), semirimorchi e rimorchi, motrici e trattori. Una delle aziende ha a disposizione furgoni con capacità fino a 3,5 ton. Si tratta, come si può vedere dalla tabella 3, nella gran parte dei casi di mezzi di proprietà.

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Tab 3.- Attrezzature utilizzate per la movimentazione delle merci

1 2 3 4 5 6

Camion (<20t) 5 12 27

di cui non di proprietà 10

Motrici e trattori 35 80 30

di cui non di proprietà 40

Semirimorchi e rimorchi 35 80 50

di cui non di proprietà 40

Autoarticolati di cui non di

proprietà

Furgoni (<3,5 ton.) 30

di cui non di proprietà

Altro aspetto da analizzare attentamente, soprattutto ai fini di una analisi qualitativa dei servizi offerti è l'aspetto tecnologico. La tecnologia assume un significato sempre più preponderante all'interno dei processi aziendali ed è uno degli elementi decisivi non soltanto ai fini dell'ottimizzazione della capacità e della compressione dei tempi, ma anche e principalmente per ampliare la qualità globale dei servizi offerti. Si è potuto infatti rilevare che tutte le aziende intervistate hanno grande considerazione dell'aspetto tecnologico e che tutte lo utilizzano. In particolare si può riscontrare grande attenzione verso sistemi integrati di gestione delle flotte mezzi oltre alla dotazione di sistemi satellitari, utilizzati principalmente per la sicurezza del trasporto e del carico ma anche per la localizzazione in tempo reale dei mezzi.

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Tab 4- Dotazione tecnologica delle aziende

1 2 3 4 5 6

Sistema satellitare * * * * * *

Software di gestione delle flotte mezzi

* * * * * *

Rete Cellulare * * * * * *

EDI-ERP

Internet * * * * * * Extranet e Intranet *

* = dispone

Per quanto concerne il mercato, i clienti ed i servizi offerti il 50% delle aziende vanta un portafoglio clienti che supera le 100 unità; l'altra metà invece ha un numero di clienti inferiore a 100 e compresi in una delle altre categorie indicate. In particolare 2 aziende hanno tra 11 e 50 clienti e una ne ha meno di 10. Un discorso particolare merita la tipologia di clienti: tutte le aziende hanno tra i propri clienti la GDO, anche se affiancati da imprese manifatturiere (spesso di trasformazione) e della distribuzione commerciale. Altro elemento emerso a proposito della tipologia di clienti è che in buona parte la GDO è localizzata al Nord e anche all'estero, specialmente in Germania e Austria.

Tab 5 - Numero di clienti, tipologia e localizzazione

n. clienti tipologia localizzazione

1 >100 GDO - imprese manifatturiere non risponde

2 11-50 GDO - distribuzione commerciale Parma

3 51-100 GDO - distribuzione commerciale non risponde

4 >100 GDO - imprese manifatturiere Vienna

5 11-50 GDO - distribuzione commerciale Francoforte

6 11-50 non risponde Europa

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Altro importante indicatore di dimensione aziendale è la quantità movimentata in un anno: la media del campione è di 10.000 tonnellate/anno di cui il 70% riguarda beni deperibili. Infatti, accanto ad operatori specialisti rientrano nell'indagine anche 4 operatori generalisti. Non a caso le aziende che hanno una movimentazione merci più significativa sono generaliste. In dettaglio il dato relativo alle quantità movimentate espresso dalla seguente tabella.

Tab 6. - Quantità movimentate/anno

Tipo di operatore Tonnelate

1 generalista 10.000

2 specialista 7.000 3 specialista 10.000 4 specialista non risponde 5 specialista 10.000 6 generalista 25.000

La terziarizzazione delle attività di trasporto è una pratica poco diffusa nelle realtà analizzate, siano essi operatori generalisti o specialisti. Il 50% delle aziende non terziarizza la funzione del trasporto e laddove viene praticata lo si fa comunque solo in parte, a conferma di ciò si evidenzia la grande presenza di mezzi di proprietà delle aziende (Tab 7). La dotazione dei mezzi di trasporto è infatti l'elemento cardine attorno al quale ruotano le attività delle aziende (il trasporto), prova ne è il fatto che solamente una piccolissima percentuale (10%) del campione possiede altri tipi di strutture all'interno dell'azienda (celle frigorifere). In ogni caso laddove (seppur in minima parte) la terziarizzazione del trasporto viene adottata, la principale modalità attraverso cui ciò avviene è la creazione di partnership con padroncini locali (3 su 4). L'unica eccezione è rappresentata da un azienda che si serve anche di imprese di trasporto nazionali.

Tab 7 - Terziarizzazione del trasporto e vettore eventualmente utilizzato

Terziarizzazione Tipo di op. utilizzato

1 in parte padroncini locali 2 no 3 in parte padroncini locali 4 in parte padroncini locali 5 no

6 in parte adroncini locali/impresedi trasporto nazionali

I servizi-tutto strada rappresentano il core-business di tutti gli operatori. L'unica eccezione è rappresentata da un'azienda campana che utilizza l'intemodale gomma-aereo. Altro elemento ricorrente

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è il tipo di carico utilizzato, che evidentemente è legato al modo di trasporto; infatti quasi tutte le aziende adottano il pallet o in alternativa il container. Gli elementi più importanti si possono ricavare senz'altro dalle caratteristiche dei servizi di trasporto offerti. In tal senso il dato che emerge è particolarmente significativo, data la ricorrenza delle risposte. Le aziende sono state interpellate circa alcune delle caratteristiche principali dei servizi di trasporto: distanza, peso trasportato, volume, tempo di viaggio, percentuale dei ritardi e degli ammanchi, origine e destinazione del trasporto, tipo di vettore utilizzato e tipo di destinatario della merce. Innanzitutto si può rilevare che la distanza media percorsa per raggiungere le destinazioni si aggira intorno ai 1.000 km, altro dato molto significativo data la continuità nelle risposte è il peso trasportato che in media è di 30 tonnellate. La significatività di questo dato è dimostrata dalla lettura del volume trasportato che si assesta sui 75 m.c. In media la percentuale dei ritardi è del 10% mentre quella relativa a danni e ammanchi si assesta al 5%. Infine ciò che emerge chiaramente è l'orientamento degli operatori intervistati a preferire le grandi destinazioni del nord-Italia ed estere, in particolare la GDO. Infatti, ben il 50% degli intervistati conferma questa tendenza, mentre solo una delle aziende destina la propria merce a mercati all'ingrosso.

Tab 8 - Attributi di un servizio di trasporto tipico fornito dall'azienda (parte 1)

1 2 3 4 5 6

distanza (Km) * 600 * 1300 1300 1400

Volume (m.c.) * 80 * 75 70 40 tipo di carico * cassette * pallet pallet container

tempo viaggio * 9 ore * 9 ore 9 ore *

* = non risponde

Tab 9 Attributi di un servizio di trasporto tipico fornito dall'azienda (parte 2)

1 2 3 4 5 6

ritardi (%) * 10% 15% 4% 1% 20%

danni e ammanchi(%) * 0% * 5% 10% 20%

destinazione * Parma * Vienna Francoforte Europa

tipo vettore * autotrasp. * autotrasp. autotrasp. *

tipo destinatario * Mercati * GDO GDO GDO

* = non risponde

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Passando all'analisi delle infrastrutture di trasporto presenti sul territorio è emerso lampante il grave disagio degli operatori nell'usufruire di un sistema d'offerta purtroppo ancora debole e inefficiente. Da una valutazione critica della dotazione infrastrutturale del territorio interessato (Campania) svolta dagli intervistati, emerge infatti che: - la viabilità ed i problemi ad esso relativi riscuotono una notevole attenzione presso gli intervistati; - si individua nella carenza infrastrutturale presente sulla rete locale il più forte elemento di criticità del sistema; - una quota significativa degli operatori lamenta l'inadeguatezza dell'offerta di servizi ferroviari.

Tab 10 - Valutazione delle infrastrutture e dei servizi ferroviari

rete stradale rete autostradaleete ferroviaria servizi

ferroviari infrastrutture aeroportuali

ervizi di air-cargo

1 scarso scarso scarso scarso medio medio

2 molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso

3 molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso non risponde non risponde

4 molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso

5 molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso molto scarso

6 scarso scarso scarso scarso scarso scarso

Ancora più significativa è la percezione dei servizi intermodali presenti sul territorio: il 70% degli intervistati valuta la frequenza e la flessibilità dei servizi intermodali scarsa, il 60% giudica scarso il livello di sicurezza; solamente il giudizio relativo alla visibilità degli operatori si discosta da questa tendenza: infatti la prevalenza del campione (50%) ha un giudizio abbastanza positivo.

Tab 11- Valutazione dei servizi intermodali presenti sul territorio

1 2 3 4 5 6

Flessibilità scarso scarso scarso scarso scarso scarso

Frequenza medio scarso scarso scarso scarso scarso

Livello di sicurezza scarso scarso scarso scarso molto scarso scarso

Visibilità degli operatori scarso scarso medio scarso medio medio

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Concludendo circa gli aspetti infrastrutturali, la percezione complessiva che se n'è potuta ricavare è che le aziende intervistate nutrono verso questo aspetto un grande interesse, tuttavia emerge l'assoluta insufficienza e inefficienza delle infrastrutture ferroviarie presenti, e il dato è ancora meno incoraggiante se si considera la percezione dei servizi intermodali del territorio verso i quali l'interesse è, se possibile, anche maggiore ma il giudizio non sembra discostarsi molto. La risposta intermodale dovrebbe invece consistere nell'offrire agli operatori oltre che ai produttori uno strumento:

− performante, affidabile e tracciabile, alternativo ma integrabile con la gomma sui percorsi sia nazionali che europei;

− basato sul servizio ferroviario veloce e con terminalizzazione stradale garantita da e per qualunque destinazione.

Un'offerta assolutamente coerente rispetto alla domanda degli operatori di trasporto: si è potuto infatti riscontrare in modo molto chiaro il fortissimo interesse verso una logica di integrazione dei servizi di logistica e trasporti attuata nell'ambito di una piattaforma logistica intermodale. Infatti, come si può evincere dalle seguenti tabelle, l'indicazione principale è il forte grado di interesse per molti dei servizi di logistica che potrebbero essere svolti all'interno della proposta piattaforma.

Tab 12 - Grado di interesse per i servizi che potrebbero essere svolti all'interno di una piattaforma logistica intermodale (parte 1)

Attività logistiche

1 2 3 4 5 6 Logistica integrata medio * medio molto elevato molto elevato nullo

Magazzinaggio elevato * medio molto elevato molto elevato nullo Magazzini doganali elevato * medio molto elevato molto elevato nullo

Magazzini frigoriferi elevato * medio molto elevato molto elevato nullo Stoccaggio elevato * medio molto elevato molto elevato nullo

Allestimento unità di caricomulticlienti per import-

export * * medio molto elevato molto elevato nullo Gestione ordini elevato * medio molto elevato molto elevato nullo

rogrammazione e gestionescorte elevato * medio molto elevato molto elevato nullo

* = non risponde

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Tab 13- Grado di interesse per i servizi che potrebbero essere svolti all'interno di una piattaforma logistica intermodale (parte 2)

1 2 3 4 5 6

Picking * * medio molto elevato molto elevato nullo

lavorazione e lavaggio * * medio molto elevato molto elevato nullo

Confezionamento * * medio molto elevato molto elevato nullo

Etichettatura * * medio molto elevato molto elevato nullo

Imballaggio medio * medio molto elevato molto elevato nullo

Reverse logistics * * medio molto elevato molto elevato nullo

Preparazione kit * * medio molto elevato molto elevato nullo * = non risponde

Probabilmente l'intenzione o il proponimento degli operatori intervistati (visto che nel 90% dei casi non realizzano alcuna attività di logistica in senso stretto) è quello di ampliare il proprio business e per questo potrebbero essere anche disposti ad affrontare gli investimenti necessari. Inoltre si registra un grande interesse per i servizi di trasporto che potrebbero essere svolti in modo integrato all'interno della piattaforma logistica. Probabilmente incide in questo orientamento anche la scarsa valutazione fatta a proposito delle infrastrutture di trasporto presenti nell'ambito regionale. In particolare il trasporto intermodale/combinato suscita notevole interesse (tab 14).

Tab 14 - Grado di interesse per i servizi di trasporto che potrebbero essere svolti all'interno di una piattaforma logistica intermodale

1 2 3 4 5 6

Trasporto (solo vezione) * * medio molto elevatomolto elevato nullo

Door-to door elevato * medio molto elevatomolto elevato medio

Groupage * * medio molto elevatomolto elevato medio

Carichi completi elevato * medio molto elevatomolto elevato medio

Corriere espresso medio * medio molto elevatomolto elevato medio

Intermodale/combinato * * medio molto elevatomolto elevato medio

* = non risponde

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4.3 - Infrastrutture e strutture per la logistica, portualità e servizi per l’export in Campania. 4.3.1 - Reti infrastrutturali regionali ed innovazione logistica Come già evidenziato ampiamente in altre parti della ricerca, la regione Campania presenta una dotazione infrastrutturale per il trasporto merci alquanto significativa in termini quantitativi mentre molto meno in termini qualitativi in specie sotto l’aspetto della integrazione e della interconnessione economico-gestionale delle reti plurimodali. Il sistema produttivo regionale pertanto, negli anni, ha dovuto fronteggiare le esigenze trasportistiche adattando la propria organizzazione logistica alle possibilità offerte dal sistema infrastrutturale. Il risultato è stato, come in realtà per l’intero Mezzogiorno e per il resto d’Italia, l’uso pressoché totale della modalità stradale, salvo poche eccezioni rappresentate principalmente dai traffici di materie prime e semilavorati grezzi delle poche grandi imprese presenti, che utilizzano la modalità marittima e, sempre meno, la modalità ferroviaria. Lo sviluppo dei traffici general cargo a livello internazionale, costituiti da semilavorati, beni intermedi e prodotti finiti, principalmente in ingresso nella regione a dimostrazione dell’incremento di import regionale di tali beni, ha comunque innescato un processo di rivitalizzazione delle opportunità di trasporto e di logistica improntate alla integrazione organizzativa delle rete e tra operatori con possibile maggior ricorso alla intermodalità ed al trasporto combinato. Le innovazioni introdotte dalla modera distribuzione, inoltre, hanno evidenziato come la dotazione di infrastrutture di trasporto va necessariamente accompagnata dal adeguate ed efficienti strutture per la logistica non solo tradizionalmente intesa come magazzinaggio e centri di smistamento ma sempre più con riferimento a servizi annessi e accessori alle produzioni e servizi avanzati ad alto contenuto tecnologico. In tale senso i distretti produttivi della Campania sono del tutto privi di strutture di supporto alla produzione ed alla distribuzione sotto l’aspetto logistico anche per la ridotta dimensione media delle imprese e della minore complessità organizzativa delle stesse che non consentano, unitamente agli aspetti legati alla propensione ed alla capacità di investimento, di disporre ed utilizzare strutture con funzioni logistiche avanzate di supporto al trasporto ed alla movimentazione in approvvigionamento ed in distribuzione delle merci. Anche dal punto di vista della terziarizzazione di tali funzioni la situazione appare ancora ad un stadio di sostanziale arretratezza rispetto alle più moderne organizzazioni strategiche della supply-chain. Infatti, pochissime sono le strutture di una certa rilevanza e quelle esistenti sono private ad uso esclusivo principalmente di grandi imprese, le restanti strutture non sono organizzate su modelli del tipo piattaforma multiservizi e multiclienti che in realtà particolarmente frammentate dal lato della produzione in piccole unità disperse sul territorio, in alcuni casi con notevoli limitazioni all’accessibilità multimodale, sarebbero maggiormente indicate a supportare adeguatamente le produzioni ed il loro rapido ed efficiente deflusso verso le destinazioni nazionali ed internazionali. La Campania presenta una buona dotazione infrastrutturale con riferimento alle reti terrestri stradale e ferroviaria ed alla portualità commerciale, ma può dirsi sicuramente quasi del tutto assente un sistema logistico integrato per le piccole e medie imprese se non quello fondato sui rapporti con la Grande Distribuzione Organizzata in particolare per le filiere dell’agroalimentare. Un ruolo importante potrà essere svolto dal sistema degli interporti regionali in fase di realizzazione, il solo operativo allo stato attuale è quello di Nola (Interporto Campano) mentre quello di Marcianise-Maddaloni (Interporto Sud-Europa) è in fase di completamento e quello di Battipaglia è in fase di iniziale dei lavori di costruzione. Allo stato attuale, per vari motivi tra cui la specializzazione più trasportistica interna al territorio regionale e meno logistica in connessione con le grandi direttrici di traffico internazionale, prevalementemente marittimo unitizzato, a favore dell’inserimento dei sistemi produttivi e distributivi locali nel network mondiale di interscambio commerciale, le suddette infrastrutture interportuali non sembrano far intravedere nel breve periodo, anche per la loro parziale realizzazione, il loro pieno decollo. Inoltre, la Campania, così come il resto delle regioni del

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Mezzogiorno si caratterizzano per un sistema dei trasporti che presenta elementi di vera e propria crisi rappresentati da:

− Mancanza di collegamento all’interno delle singole reti ed il basso grado di integrazione tra le diverse modalità, anche per la carenza di strutture logistiche;

− Inefficienze nell’uso della offerta di trasporto, che vede una prevalenza del trasporto stradale anche su relazioni per le quali sussistono le condizioni per la competitività di altre modalità di trasporto (ferro, mare) ed una sottoutilizzazione della capacità di offerta del trasporto stradale stesso (alte quote di viaggi a vuoto);

− Bassi livelli di affidabilità del sistema, riconducibili sia a cause strutturali (mancanza di “ridondanza” nei sistemi, cioè mancanza di alternative modali o di percorso), sia a problemi di conflittualità nelle relazioni industriali;

− Elevata incidentalità nel trasporto stradale; − Impatti sull’ambiente ed i consumi energetici.

Il Mezzogiorno d’Italia, geograficamente posto al centro del Mediterraneo, deve essere considerato sia come valore “interno”, cioè come un insieme di risorse presenti sul territorio, sia come valore “esterno”, cioè come area di transito e di riferimento per l’intero bacino del Mediterraneo e, in particolare, come confine dell’Unione Europea nelle relazioni con il continente africano e con i paesi dell’Europa Sudorientale e del Medio Oriente. In quest’ottica, particolare rilevanza assumono i corridoi adriatico, ionico e tirrenico e i collegamenti ai corridoi definiti nella Conferenza Paneuropea dei Trasporti tenutasi ad Helsinki nel giugno 1997, nell’ambito dei quali specifico interesse rivestono i corridoi I (longitudinale Nord-Sud) e VIII (trasversale Est-Ovest). Coerentemente con la Programmazione Nazionale per l’utilizzo dei Fondi Strutturali 2000-2006 proposta dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, l’importanza di puntare sulla massima efficienza e la migliore organizzazione dei nodi appare centrale e da perseguire non solo sul piano della dotazione quantitativa infrastrutturale e ragionando in senso economico ponendo attenzione prioritaria alle moderne caratteristiche di un efficiente sistema dei trasporti in qualche modo “dettate” dalle esigenze dei moderni sistemi produttivi e distributivi adottati dalle imprese, e cioè:

- innovazione dei metodi gestionali. Tale azione comporta che, da un lato, siano garantiti il miglioramento e la corretta manutenzione e gestione delle infrastrutture fisiche e, dall’altro, che sia accresciuta la capacità di servizio delle opere. Tale ultimo aspetto può comportare sia un aumento della domanda sia una sua diversificazione in termini modali sia una maggiore soddisfazione dell’utenza in relazione alla qualità dei servizi offerti;

- realizzazione di infrastrutture secondarie connesse alle infrastrutture principali in funzione gerarchica a seconda della tipologia, del volume, della multidirezionalità e del bilanciamento dei flussi. Nel caso delle infrastrutture a rete, questa azione comporta la derivazione dalla rete principale di nuove forme di basi logistiche del territorio, in modo che il traffico possa più agevolmente e più direttamente raggiungere destinazioni ed essere originato facilmente riconducibili a livello di nodi ordinati in modo gerarchico e nel massimo rispetto dei vincoli ambientali. Ciò significa anche che le reti nel loro complesso non possono essere immaginate solo come sistema di collegamento tra i nodi principali, ma che viene assunto come scopo assolutamente necessario il conseguimento di obiettivi più articolati, più diffusi ed in grado di coinvolgere domanda più vasta distinte per attività e/o filiera;

- connessione delle infrastrutture sia vecchie che nuove con quelle attività economiche che traggono grande utilità dall’uso delle infrastrutture stesse, in primis le imprese ad elevata intensità logistica. Tale obiettivo può essere raggiunto in modi estremamente articolati quali la costruzione di nuove infrastrutture “in funzione della domanda”, l’incentivazione di sistemi integrati di attività in funzione dell’ottimizzazione delle infrastrutture esistenti, la riqualificazione sia in termini fisici che funzionali delle infrastrutture esistenti, in funzione di una precisa domanda di trasporto proveniente dagli operatori economici, una sostanziale

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fluidificazione del traffico attraverso l’uso di tecnologie avanzate e l’implementazione di sistemi logistici moderni;

- flessibilità d’uso come risposta all’incertezza. In un quadro caratterizzato da forti incertezze occorrerà adottare criteri che privilegino infrastrutture “multiscopo” realizzabili in modo “flessibile” ovvero infrastrutture adatte a molteplici finalizzazioni, in grado di sostenere tipi di traffico diversi, realizzabili per fasi funzionali ciascuna valutata nei suoi rendimenti e nelle sue prestazioni;

- sviluppo operativo anche in funzione della domanda ed offerta di servizi di logistica, seppure non strettamente collegato alle infrastrutture, in modo da consentire una grande evoluzione dei processi produttivi e distributivi rafforzando così la complessiva ottica di rete, da intendersi sia in termini fisici che in termini di comunicazione;

- superamento della carenza di infrastrutture e terminali logistici di livello inferiore nelle regioni meridionali (centri merci intermodali, piattaforme logistiche, ecc.): progetti di infrastrutture di questo tipo, soprattutto se di limitata dimensione, sono da considerarsi in ottica di alleggerimento dei nodi principali e di “riammagliamento” di parti di reti non interconnesse;

- ottimizzazione ed il potenziamento dei collegamenti stradali e ferroviari di nodi e terminali (porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, centri merci, terminali intermodali e interporti) con le reti di livello nazionale;

- intensificazione spinta di investimenti pubblici e privati per la riqualificazione tecnologica delle reti informatiche e telematiche e dei relativi servizi avanzati a supporto delle decisioni aziendali e “di sistema” nell’uso delle reti di trasporto per aumentarne la capacità di trasporto e/o le prestazioni dei servizi a parità di dotazione infrastrutturale (ottimizzazione).

- attenzione specifica al legame tra infrastrutture e servizi in particolare per i nodi infrastrutturali del settore delle merci che, in presenza di bacini di produzione e di domanda sufficientemente consistenti, dovrebbero evolvere da centri di transito e di interscambio a vere e proprie piattaforme logistiche con vocazione internazionale;

- regolazione in senso concorrenziale dell’accesso alle infrastrutture, da cui dipendono la valorizzazione del potenziale economico delle singole opere e la possibilità di un confronto non distorto tra le diverse modalità.

4.3.2 - Terminali marittimi, aree logistiche speciali e funzioni di supporto alla nuova economia dei territori costieri ed interni

Elemento centrale e propulsivo del potenziale sviluppo e rinnovamento in senso innovativo

logistico del sistema dei trasporti della Campania e dell’intero bacino sud-europeo è rappresentato dalla razionalizzazione dell'offerta di servizi terminalistici marittimi, considerando, in una logica di rete, gli ambiti dei mercati dei singoli porti o range portuali e fissando di conseguenza le priorità in ordine agli interventi pubblici. Nel nuovo contesto economico globale, l’accessibilità dal mare rappresenta la fonte dei flussi dominanti a livello mondiale ed i porti italiani costituiscono ormai la punta avanzata per quantità di traffici containerizzati di tutto il Mediterraneo, sia per quanto riguarda i porti continentali (Genova) che quelli di trashipment (Gioia Tauro) oltre all’importante recente sviluppo degli Hub di Cagliari e Taranto e di altre realtà come Napoli, Salerno, Catania e Palermo. La dimostrazione di questa nuova capacità di attrarre traffico e di competere viene sia dallo sviluppo record dei traffici a livello Mediterraneo, sia dal crescente interessamento di investitori stranieri. Questo scenario di forte crescita dello sviluppo dei traffici marittimi evidenzia l’inadeguatezza delle strutture di collegamento tra porti e mercati, con aggravi di costi, mancata integrazione della catena del trasporto e rischi di perdita di competitività. E’ necessario investire nelle dotazioni infrastrutturali degli stessi porti e nel loro collegamento con l’inland con assi stradali e ferroviari anche specificamente dedicati, integrando tutti gli anelli della catena dei trasporti e della logistica, con ricadute sull’efficienza del trasporto e sulla competitività delle imprese e degli insediamenti produttivi

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locali, ma anche creando opportunità di attrazione di nuovi investimenti come ad esempio i distribution center di grandi imprese multinazionali. La costruzione di siffatto sistema non è possibile se non è accompagnata da una significativa integrazione dei diversi flussi che conformano e regolano la produzione e la commercializzazione di beni e servizi, i movimenti di merci, il territorio su cui questi movimenti insistono. Logistica significa principalmente gestione e governo dei flussi in entrata e in uscita, possibilmente bilanciati, e l’interconnessione dei sistemi informativi può consentire la gestione, in tempo reale, dei movimenti, considerando che la logistica costituisce la piattaforma su cui si intersecano tutte le funzioni presenti all’interno di un’organizzazione: dalla programmazione alla gestione degli acquisti, dalla produzione alla distribuzione fisica dei prodotti, dalla raccolta degli ordini alla pianificazione operativa. La logica guida degli interventi finalizzati al miglioramento competitivo della base produttiva della Campania è quella di avvicinare il Mezzogiorno nel contesto competitivo mondiale puntando sulle aree dove sono massime le opportunità e le prospettive di sviluppo delle risorse e su politiche localizzative di attività produttive compatibili e sostenibili dal punto di vista del mercato e degli scambi commerciali internazionali, della capacità di attrazione di investimenti nazionali ed esteri, degli innovativi processi produttivi e distributivi a scala globale e della riqualificazione ambientale e del land-use di aree di elevato valore economico ed allo stato attuale non sfruttate. La politica economica regionale e nazionale troverebbe in tali iniziative la possibilità di assecondare e promuovere le migliori tendenze naturali ed economiche della macroarea del Mediterraneo, in particolare attraverso il potenziamento dei collegamenti materiali e immateriali di nodi e terminali presenti a livello locale con le reti nazionali e principalmente internazionali, al fine di agevolare il transito produttivo “a valore” di flussi di merci, risorse finanziarie e capitale umano da e verso il Mediterraneo ed il resto del mondo. Una Logistica Economica efficiente a servizio del territorio regionale, intendendosi con essa la più ampia aggregazione economica di tutta una serie di attività di semi-produzione, di assemblaggio, di distribuzione e di servizi finalizzate alla più efficiente circolazione interna ed esterna di risorse e di beni materiali ed immateriali, da scambiare con altre aree geografiche a livello globale, potrebbe trovare in Campania una spinta eccezionale, data anche la presenza di infrastrutture di trasporto multimodali dalle notevoli potenzialità di sviluppo, di filiere produttive nate spontaneamente e cresciute per settori omogenei, anche a forte contenuto tecnologico e la parallela fortissima tradizione commerciale che da sempre caratterizza in particolare le aree dotate di "porte/porti di accesso" alle reti mondiali di scambio. Incentivare inoltre la localizzazione di imprese leader sui mercati internazionali per il rafforzamento della competitività di aree o zone logistiche locali, in particolare in termini di capacità di innovazione e di apertura ai mercati internazionali, potrà agire da catalizzatore della trasformazione di un territorio ed innescare processi di creazione di valore e crescita economica e sociale. Tra gli interventi di incentivazione, particolare attenzione va posta al settore del trasporto merci con l'approccio della Logistica Economica, nel senso del supporto e della integrazione organizzativa dei processi produttivi moderni che trovano nella mobilità dei fattori produttivi il più evidente segno di evoluzione e di trasformazione industriale dal quale non si può prescindere se si intende ricercare il modo ottimale in cui far partecipare le risorse locali ai complessi cicli produttivi e di scambio commerciale che l'apertura dei mercati a livello internazionale ha profondamente rivoluzionato. Punto centrale di nuovo modello di sviluppo dovrà essere l'attivazione di flussi in entrata (in-bound) di semilavorati e beni intermedi per trasformarli in valore e esportarli (export processing), negando possibilmente flussi di fattore lavoro che verrebbero a penalizzare l'occupazione e flussi di prodotti finiti destinati al solo consumo locale. Attenzione strategica va posta al legame fra infrastrutture e servizi a supporto dei policentrici e dispersi geograficamente centri di localizzazione mondiale dei fattori produttivi per creare aree produttive interstiziali tra bacini di produzione e di consumo di notevole consistenza e dimensione che possano assicurare flussi tali da generare "economie di scala efficienti". E' necessario che i nodi infrastrutturali evolvano verso la dimensione di Aree Logistiche di transito produttivo delle merci, localizzate ed organizzate sul territorio per funzioni gerarchiche e che realizzino non solo il trasbordo

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dei carichi unitizzati da un modo di trasporto all’altro, ma vere e proprie piattaforme logistiche utili soprattutto per sviluppare e supportare catene di attività nelle quali è possibile generare e lasciare al territorio reale valore che può tradursi in occupazione, reddito e ricchezza per la collettività. Tale impostazione può essere sintetizzata nei concetti economici di rete-flusso e di hub-valore. Anche i territori regionali ricchi di nodi e reti plurimodali, come nel caso della Campania, sono gravemente carenti sotto il profilo della integrazione modale, geografica e settoriale che in altri contesti ha dato vita all'affermazione di processi innovativi guidati dalla eliminazione di barriere interne in ottica di completa trasversalità del sistema dei servizi di trasporto e logistica (vedi l'Olanda vera piattaforma logistica europea o anche ciò che si sta realizzando in Estremo Oriente ove si moltiplicano di anno in anno container terminal con capacità superiori ai più grandi porti europei ed americani). In tale contesto internazionale, si intravede un ampio spazio di possibile sviluppo regionale ed un ingente valore aggiunto che può nascere proprio nel disegno d’integrazione fra reti interne e reti esterne aspirando a rivestire un ruolo strategico di porta europea sul Mediterraneo di interconnessione tra le economie dei paesi dell'Europa allargata, dei paesi del Far East, del Medio Oriente e del Nord Africa. Questa naturale vocazione comporta l’individuazione dei varchi d’accesso e delle reti di connessione con l’area continentale. Si tratta di agire quindi, da un lato, sul potenziamento, l’ammodernamento e l’integrazione delle singole infrastrutture modali, dall’altro sui sistemi logistici di servizi integrati per l’ottimizzazione dell’uso delle infrastrutture esistenti e per incentivare la localizzazione di strutture produttive di livello intermedio tra produzione industriale tradizionale, attività di adeguamento e di distribuzione nei mercati di consumo. In particolare, il miglioramento dell’intermodalità e del trasporto combinato e la conseguente attivazione di servizi connessi, accessori e di supporto alle attività produttive, oltre ad elevare la qualità e la varietà dei servizi, consentirà di far sviluppare un innovativo settore economico in grado di offrire servizi multifiliera e multiprodotto strategici rispetto alla internazionalizzazione dell'intero tessuto industriale e distributivo locale. La logistica è per sua natura un'attività senza confini che si sostanzia in collegamenti che fanno del superamento delle frontiere una delle proprie ragioni d'essere. Ciò comporta la necessità di compire delle precise scelte strategiche di sviluppo e di candidarsi a diventare uno dei principali poli logistici del Sud Europa sfruttando le risorse disponibili ed attualmente poco sfruttate e sottoutilizzate come nel caso della città di Napoli, in cui nel breve arco di circa 80 km si ritrovano vaste aree dismesse dalle vecchie industrie manifatturiere (ad esempio l'area ex-Mobil-Oil/Q8), la presenza di scali marittimi (Napoli e Salerno) di primaria importanza con funzioni dedicate al trasporto marittimo unitizzato, intermodale e combinato (traffico container e ro-ro), una rete autostradale di buon livello e sufficientemente interconnessa lungo le principali direttrici di traffico terrestre, infrastrutture ferroviarie per il traffico merci in corso di ammodernamento la cui capacità è destinata a crescere notevolmente nel breve-medio periodo (linea AV/AC, linea a monte del Vesuvio, Interporti di Nola, Maddaloni-Marcianise e di Battipaglia), l'aeroporto internazionale di Capodichino ed i previsti aeroporti di Pontecagnano e Grazzanise. Il “distretto logistico” comprende l’insieme delle infrastrutture che vanno dalle tradizionali e convenzionali infrastrutture terminali portuali ed aeroportuali a supporto delle navigazioni marittime ed aeree, alle infrastrutture terrestri convenzionali puntuali e lineari, alle infrastrutture propriamente logistiche quali: interporti, piattaforme, centri merci e transit-point, ecc., a quelle strutture “cuscinetto” (nel senso di aree territoriali volte a regolare gli spazi funzionali delle connesse infrastrutture di trasporto e logistica) che interfacciano, in un processo di crescita della produttività, le diverse infrastrutture, accelerando i processi logistici, produttivi, distributivi, commerciali e di trasporto, tesi ad aumentare il valore delle merci, soprattutto le esportazioni delle produzioni locali ed le ri-esportazioni di beni intermedi e semilavorati, grazie a lavorazioni finali e/o di completamento labor-intensive ed eco-compatibili. Il distretto logistico per definizione ha funzioni polivalenti e multiprodotto che se svolte in “zona franca” possono beneficiare di agevolazioni fiscali e doganali per consolidare i flussi in export per i paesi Mediterranei (Europa, nord Africa, Turchia, ecc.) e, viceversa, ricevere ed eventualmente

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trasformare merci provenienti dai paesi mediterranei ed asiatici (canale di Suez), per lo sviluppo di produzioni a valore basate su attività ad elevata intensità di occupazione e di servizi logistici pienamente sostenibili dal punto di vista ambientale in quanto non “industriali” in senso tradizionale. Accanto a tali funzioni di attivazione di flussi intermediterranei da consolidare e sviluppare, non vanno trascurate altre funzioni che sono proprie della logistica economica urbana e che potrebbero trovare, nell’ambito territoriale del distripark o in ambiti diversi ad esso funzionalmente connessi, felice localizzazione. Tali funzioni riguardano attività di logistica sostenibile del tipo city-logistics, reverse-logistics, piattaforme ecologiche, strutture a supporto della regolazione dei flussi di forniture specialistiche per diverse categorie merceologiche, la cittadella postale (corrieri espressi), ecc., puntando a ribaltare l’attuale effetto centripeto sulla città dei flussi di trasporto di merci e persone che appesantiscono sempre più la congestione urbana e conseguentemente la qualità della vita. I tassi di crescita dei traffici del Mediterraneo portano a considerare valido un progetto di creare un importante Area Logistica nel bacino centro meridionale del Mediterraneo, superando logiche "localistiche" ed inserendosi cooperando tra Pesi vicini e lontani in ottica di moltiplicazione degli scambi e di condivisione virtuosa dei fattori produttivi. Nell'ambito della prossima programmazione degli interventi a sostegno delle aree in ritardo dell'Unione (Obiettivo 1) e delle politiche di Coesione, la Regione Campania dovrebbe farsi carico di portare avanti con forza la tesi dell'interesse europeo a riequilibrare l'assetto della logistica europea troppo sbilanciata a nord, favorendo la crescita di una logistica nel Mediterraneo quale asset strategico per la competitività futura dell'intera Unione, in particolare nei rapporti con le economie dell'estremo e del medio Oriente. Fonti europee ritengono che nel prossimo decennio 2010-2020 in Europa 1 posto di lavoro su 3 sarà direttamente o indirettamente legato alla logistica. Un progetto di Area Logistica in cui favorire la localizzazione di imprese che abbiano interesse a collocarsi nel pieno delle principali rotte commerciali internazionali, in un punto di snodo strategico in cui possano trovare risorse di altissimo valore a costi competitivi, può portare alla concentrazione di attività produttive moderne a basso se non nullo impatto ambientale in cui svolgere fasi intermedie e finali di processi produttivi e distributivi iniziati altrove nel mondo ma che necessitano di ulteriori "passaggi a valore aggiunto" che possono essere intercettati sul territorio. Diversi sono gli esempi nel mondo in cui già da alcuni anni si è perseguita con profitto tale strada di adeguamento e di sfruttamento delle nuove opportunità offerte dal mercato globale che in tale fase del ciclo economico, in Italia a differenza delle economie più dinamiche come la Spagna, solo per fare un esempio, è percepito come un elemento di crisi e di declino economico irreversibile. Invece, ed i dati di chi ciò lo ha capito in anticipo lo dimostrano, la partecipazione produttiva ai complessi ciclo economico derivante dalla frammentazione e dalla delocalizzazione delle produzioni industriali è favorevolmente possibile molto più di alcuni anni fa. Vi è sicuramente un problema di specializzazione funzionale delle risorse produttive in "mobilità continua" nello spazio economico globale che vanno allocate in sincronia con l'evoluzione e l'innovazione dei processi e dei prodotti. Le risorse di cui si è detto in precedenza di cui dispone il territorio dell'area napoletana e campana, insieme alla straordinaria presenza e disponibilità di risorse umane con variegato grado e livello di scolarizzazione e di potenziali competenze e di una classe imprenditoriale particolarmente forte nei settori dell'armamento navale e del commercio internazionale, lasciano intravedere la possibilità di sviluppo di un area di libero scambio tra le più dotate nell'intero bacino del Mediterraneo chiamato sempre più nel prossimo futuro a giocare un ruolo determinate nel generale assetto degli scambi commerciali internazionali se saprà offrire condizioni di vantaggio alla localizzazione di grandi e medie imprese ed attrarre investimenti nazionali ed esteri. La straripante forza economica che ha dimostrato di avere la Cina negli ultimi anni non è fondata principalmente sul basso costo della forza lavoro come si è portati a credere confrontando i costi alla produzione dei prodotti cinesi con quelli delle altre aree economiche mondiali, certamente questo è una delle più importanti risorse "messe in rete" dalla Cina ma ciò è potuto avvenire soltanto grazie ad una pianificazione iniziata negli anni '90 di inserimento logistico del mercato cinese dei fattori produttivi di cui essa è ricca. Imprese multinazionali sono state incentivate a posizionarsi per la

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produzione di parti di processi produttivi e di parti di prodotti finiti laddove hanno trovato le condizioni più favorevoli ma, per altre fasi dei processi e per il "completamento" di prodotti finiti e per le fasi di distribuzione a valore di beni intermedi che hanno bisogno di ulteriori lavorazioni logistiche, altre aree economiche come il Mediterraneo possono risultare, nel quadro complessivo dei processi di compensazione e di invarianza economica che considerino anche i costi di trasporto e logistica nello spazio globale, più competitive. Inoltre, verrebbero a trovarsi al contrario in un situazione di vantaggio competitivo/localizzativo le produzioni ed i fattori produttivi tradizionalmente presenti nel Mezzogiorno ad elevata capacità di creazione di valore aggiunto come, ad esempio, le filiere dell'agroalimentare (si pensi al settore viti-vinicolo meridionale che fa registrare tassi di sviluppo e di esportazione in continua crescita negli ultimi anni), ad alcuni comparti dell'Hi-Tech (trasporti e comunicazioni, aerospaziale, biotecnologie, ricerca farmaceutica, sistemi tecnologici per l'industria) e più tradizionali (abbigliamento e moda, oreficeria, meccanica di precisione, macchine utensili, ecc.). Una zona speciale logistica di libero scambio porta ad una struttura diversificata di "apertura" a più livelli, pluricanalizzata, multidirezionale che integra aree costiere e zone dell’interno, la maggiore liberalizzazione per settori determinati (finanziario, distributivo, valutario, lavorazione/assemblaggio delle merci) hanno il doppio ruolo sia di "porte" per lo sviluppo di un’economia orientata allo scambio con l’estero, attraverso l’esportazione di "prodotti logisticizzati" e l’importazione ed esportazione di tecnologie avanzate, sia di "motori" per l’accelerazione dello sviluppo economico del Mezzogiorno e dei paesi in via di sviluppo dell'area del Mediterraneo. In territori economici in ritardo di sviluppo, come le regioni dell'Italia meridionale, in una fase di "uscita" progressiva da sistemi di agevolazione (vedi la prossima programmazione dei fondi struttali 2006-2013) si dovrebbe puntare ad incoraggiare una "selezione" ben definita di interventi sul tessuto produttivo con la certezza di non investire in modo generalizzato e non specialistico su settori e/o tipologie di attività già in affanno e con scarse prospettive di sviluppo nel medio-lungo periodo. Pertanto, oltre agli interventi sulle dotazioni di base come quelli di ammodernamento e riqualificazione delle infrastrutture di base, l'accento andrebbe posto sui servizi innovativi che da esse possono tratte vantaggi economici e competitivi rivolti a settori produttivi e/o a parti e frazioni di essi nel contesto produttivo delocalizzato globale, che sicuramente presentano maggiori margini di redditività nei prossimi decenni. Sulla base di numerose esperienze internazionali (Spagna, Olanda, Cina), i settori d’investimento nazionali ed esteri che possono essere "incoraggiati" dalla creazione di un distripark possono riguardare:

- le nuove tecnologie industriali; - lo sviluppo dell’agricoltura, delle risorse energetiche, delle comunicazioni; - i progetti relativi a nuove ed alte tecnologie orientati all’esportazione; - l’utilizzo e la rigenerazione ad ampio raggio delle risorse riciclabili e rinnovabili; - la prevenzione dell’inquinamento ambientale; - lo sviluppo della ricerca e dell'innovazione nei settori a diffusione mondiale di marchi, brevetti, diritti, royalties, ecc.

4.3.3 - Reti logistiche e relazioni territoriali: la regionalizzazione portuale

Le zone di distribuzione di flussi di merci, possono essere intese sia come siti concentrati di attività logistiche, sia in modo più flessibile come centri specializzati da distribuire nel territorio metropolitano e regionale. La implementazione di una strategia regionale per la logistica di distretto necessita di forme avanzate di coordinamento e di cooperazione tra i soggetti pubblici e/o privati, le Autorità regionali e le parti operanti sul mercato potrebbero studiare ed attuare soluzioni per bilanciare i flussi di container e ridurre i viaggi a vuoto nella iterazione tra terminali marittimi ed inland-terminal per creare un sistema logistico più ampio costituito da diverse zone logistiche distribuite sul territorio regionale. Si potrebbe creare così un ciclo virtuoso a rendimenti di scala crescenti che assicuri alta

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produttività e compatibilità tra flussi in ingresso, in distribuzione ed in uscita, con i porti in posizione di nodi centrali che guidano le dinamiche all’interno di un assetto logistico più vasto dal punto di vista spaziale ma che allo stesso tempo dipendono dai terminali interni per conservare alti livelli di attrattività di traffici marittimi. In seguito allo sviluppo dei traffici marittimi mediterranei può esservi un effetto di spinta allo sviluppo di servizi logistici con diverse opzioni strategiche per accrescere la penetrazione dei porti italiani nei mercati del centro Europa anche mediante servizi di collegamento competitivi con origine/destinazione dai porti italiani di lunga distanza per traffici di transito logistico “ad valorem” (land bridge). Tali scelte strategiche non possono essere scelte in autonomia ma, in quanto condizionate anche dalle scelte delle compagnie marittime, con esse vanno stabiliti accordi e altre forme di partnership per assicurare stabilità in quantità e valore ai flussi marittimo-terrestri di connessione con i principali inland terminal. Al tempo stesso, le compagnie marittime possono essere fortemente condizionate nella scelta degli scali portuali dalla presenza o meno di collegamenti terrestri efficienti. Laddove c’è maggiore concentrazione di traffico, le compagnie marittime possono assumersi il rischio di entrare direttamente sul mercato dei trasporti terrestri (ad esempio ferroviario) con sistemi a rete. Laddove questi volumi non ci sono ancora, oppure la dispersione della portualità ne induce la frammentazione, le compagnie marittime preferiscono che il rischio venga assunto da un soggetto terzo, sia esso il terminalista o operatore di trasporto multimodale (MTO). Il disegno strategico, alla base di nuovi servizi ferroviari, necessita dello sviluppo di una rete di accordi ed alleanze, finalizzate alla creazione di un sistema integrato in grado di offrire un insieme di collegamenti ferroviari e marittimi. Il presupposto economico è che la concentrazione dei traffici generi economie di scala e renda disponibile un volume di connessioni che rappresenti di per sé un importante fattore competitivo. L’apprezzabilità logistica del territorio può infatti derivare dalla valorizzazione di una serie di infrastrutture connesse, in primis i porti, che realizzino un’offerta integrata di servizi (reti di servizi) resa possibile da un’efficace rete di collegamenti terrestri con le aree di produzione e/o di consumo (reti fisiche). La realizzazione di un “progetto di trasporto” alternativo e trasversale (che può includere accordi, cooperazione e forme di partenariato anche per il finanziamento di infrastrutture e servizi, ad esempio, lungo un itinerario intermodale), oltre alla giustificazione finanziaria e socio-economica, necessita di legittimazione condivisa a livello internazionale ed istituzionale che può conferirgli carattere prioritario. Lo sviluppo delle reti primarie europee consentirà la polarizzazione di zone logistiche in prossimità dei grandi nodi (porti e inland-terminal) e lungo gli assi tra porti e terminali interni a breve-media distanza su di essi gravitanti. I poli logistici esercitano un spinta alla concentrazione di attività in molti casi con forte orientamento all’intermodalità con vantaggi del tipo “distrettuali”. Le imprese di logistica frequentemente si insediano una vicino l’altra in quanto attratte dagli stessi fattori di localizzazione, come la vicinanza ai mercati di riferimento e la disponibilità di servizi efficienti di supporto. La concentrazione geografica delle imprese logistiche crea sinergie ed economie di scala che fanno della localizzazione prescelta ancora più attrattiva e ulteriormente incoraggia la concentrazione di imprese di distribuzione in una particolare area. Le differenze geografiche del costo del lavoro, del costo dei terreni, della disponibilità di spazio, dei livelli di congestione, della cultura e produttività del lavoro e della politica amministrativa locale, sono tra i molti fattori che determinano la polarizzazione di siti logistici. La fase di multipolarizzazione all’intero di un territorio servito da uno o più porti, conduce alla configurazione di rete logistica regionale definita appunto da alcuni autori “regionalizzazione portuale” [Notteboom, Rodrigue, 2005]. Uno sviluppo sbilanciato di inland terminal e corridoi potrebbe semplicemente spostare i colli di bottiglia dai porti ai corridoi ed ai terminali interni ma non costituire un sistema integrato finalizzato all’allegerimento delle zone e dei siti più congestionati. La tendenza verso la de-concentrazione dei siti logistici in molti casi avviene spontaneamente come risultato di processi market-driven m anche le autorità nazionali regionali e/o locali possono guidare direttamente tale processo ad esempio offrendo incentivi finanziari, fiscali, ecc. o riservando spazi territoriali per futuri sviluppi logistici. Soluzioni sperimentate a livello internazionale (corridoio Boston-Washinton), hanno dimostrato la validità di sistemi funzionali alla ripartizione dei servizi intermodali e dei flussi tra

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localizzazioni import-dominate e localizzazioni export-dominate, con specializzazioni nell’hinterland per quanto riguarda le prime ed in area portuale o retroportuale per quanto riguarda le seconde e creare un sistema circolare con risultati positivi in termini di riduzione delle distanze medie, di viaggi a vuoto e di produzione di esternalità negative [Albany Inland Port]. Di grande interesse è l’analisi delle attività logistiche che sono realmente connesse ai porti e che possono beneficiare di economie di localizzazione derivanti dalla maggiore o minore vicinanza alle infrastrutture portuali. In particolare le localizzazioni portuali o retroportuali sono prescelte, ad esempio, da imprese che rilocalizzano i loro distribution center basati su catene di trasporto mare-mare; nel nuovo ambiente di mercato logistico le principali attività che trovano nei porti o nei retroporti il loro tipico habitat possono identificarsi in:

- distribution center di grandi imprese multinazionali che necessitano di basi logistiche regionali per la semi-lavorazione di beni intermedi importati e la successiva distribuzione a scale di distanza medio-lunghe;

- attività logistiche che necessitano di ridurre drasticamente i volumi trasportati; - attività logistiche che trattano grandi volumi di carichi e che necessitano di inoltro terrestre

utilizzando vie navigabili e ferrovia; - attività logistiche che necessitano magazzinaggio flessibile per creare dei buffer di prodotti e/o beni

intermedi (prodotti stagionali e a domanda fluttuante nel tempo); - attività logistiche che si servono dello short sea shipping (trasporto marittimo a breve raggio, in

genere combinato strada-mare ro-ro). Le attività dei centri di distribuzione regionali trovano nella localizzazione portuale o retroportuale fortissima attrazione specialmente nelle strutture produttive-distributive con importazioni multiprodotto e multiregionali e con necessità di centri di consolidamento per la successiva esportazione. Molti porti hanno risposto a tali esigenze delle imprese con la realizzazione di logistics park o distripark all’interno dell’area portuale, spesso associati allo stato giuridico di zona franca (free trade zone). La concentrazione di imprese logistiche in parchi logistici dedicati offre molti vantaggi con riferimento alla congestione, ai costi di trasporto ed alla specializzazione della manodopera. Anche localizzazioni più interne rispetto alla cinta portuale ma con chiaro orientamento alle attività port-releted possono rappresentare un validissimo sistema a rete per il trattamento e la lavorazione a valore di merci unitizzate (in alcuni casi anche a più di 100 km dai porti). Al momento, in Italia le competenze di programmazione ed indirizzo delle Autorità Portuali non sembrano oltrepassare i limiti delle cinte portuali e lo shipping e le attività strettamente marittime restano il punto centrale delle politiche di sviluppo portuale, mentre, in molti paesi esteri, le attività che aggiungono valore alle merci sono al centro delle azioni di innovazione e di sviluppo delle attività portuali e port-releted, tutto il resto diviene strumentale per raggiungere obiettivi economici di creazione di reddito ed occupazione. La tradizionale funzione del porto come nodo di trasporto viene così in molti casi di successo a trasformarsi in luogo di creazione di valore (hub-value) all’interno di catene logistiche integrate. Dal punto di vista dei porti cerare nuovi servizi migliora le prestazioni economiche e l’attrattività per acquisire nuovi traffici e di questi è importante valutarne l’impatto in termini di valore aggiunto. Lo schema riportato alla figura 9 rappresenta un tentativo di identificare e classificare i principali servizi a valore aggiunto potenzialmente presenti in ambito portuale. Con riferimento ai servizi a valore aggiunto delle catene logistiche integrate, i settori più suscettibili di beneficiare di tali servizi sono: elettronica, farmaceutici, abbigliamento, cosmetica, agro-alimentari, meccanica.

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Fig 9 - Servizi a Valore Aggiunto in ambito portuale

Servizi a Valore Aggiunto

Valore Aggiunto Logistica

Valore Aggiunto Servizi

Servizi Logistici Generali Servizi Catene Logistiche Integrate

Carico/scaricoConsolidamento/deconsolidamentoMagazzini generaliMagazzini a temperatura controllataCentri di distribuzione

Controllo qualitàImballaggioPersonalizzazioneTestingAssemblaggioRiuso materialiRiparazioni

ParcheggiServizi doganaliRiparazione veicoliRiparazione containerNoleggi attrezzatureICTServizi di SicurezzaUffici variHotel, ristoranti, negozi

4.3.4 - Zone Franche portuali e altre forme di "localizzazione di vantaggio"

Generalmente tali aree economiche speciali sono caratterizzate dalla presenza di Zone Franche principalmente istituite per agevolare il transito esente da imposizioni fiscali e doganali delle merci di passaggio in un determinato porto. Recentemente il porto di Gioia Tauro, specializzato nell'attività di transhipment di container ha ottenuto la realizzazione di una zona franca all'interno del porto in cui le merci soggette a trasbordo da e per paesi d'oltremare non scontano alcun imposta nazionale e non sono soggette a limitazioni ed a eventuali dazi all'importazione. Anche nei porti di Rotterdam e Barcellona sono presenti zone franche di notevoli dimensioni che contribuiscono a facilitare ed ad agevolare prevalentemente traffico merci in transito che può o meno essere "lavorato" in senso logistico per il successivo inoltro in distribuzione. A tali zone si connettono funzionalemente zone logistiche e distripark molto spesso immediatamente a ridosso delle banchine portuali. Solo citando qualche nome di imprese insediate in tali contesti si percepisce la dimensione operativa e commerciale di livello internazionale: Honda, Deawoo, De Longhi, Whirlpool, Danzas, Kuhne & Nagel, Ups, Reebok, Coca Cola, Maersk Logistics, Exel, Dhl, Epson, Nippon Express, ecc. Vanno evidentemente studiate le possibilità di poter offrire vantaggi localizzativi che vanno anche ben oltre l'attivazione di una zona franca, infatti, in coerenza con la normativa nazionale e comunitaria, in particolare in materia di aiuti alle imprese e di regolamentazione doganale, andrebbero valutate e studiate maggiori agevolazioni in materia di imposizione fiscale (esenzioni, riduzioni, rimborsi sulle imposte sul reddito delle persone giuridiche, sul valore aggiunto, sul reddito delle persone fisiche, sui dazi doganali, sull'imposta sul possesso degli immobili urbani, sull'imposta sul trasferimento della proprietà immobiliare, magari compensando parte del prelievo applicando un'imposta per lo sviluppo delle infrastrutture dell'area speciale). Altre agevolazioni possono essere dirette a talune figure di addetti (italiani e stranieri) di determinate tipologie di imprese quali: tecnologici e tecnici specializzati,

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informatici, biotecnologi, logistici, operai specializzati, ecc. (benefit per residenze agevolate, riduzione di imposte, agevolazioni familiari, ecc.), con la preventiva definizione di "campi specialistici" di intervento e con riferimento a determinati settori industriali e/o a progetti produttivi, in particolare export processing, in cui parte del ciclo di mobilità dei fattori produttivi nel mercato globale (categorie di attività logistiche di processi produttivo-distributivo frazionati geograficamente) veda una ricaduta di valore significativa per il territorio e per la collettività. Altre forme di intervento per favorire la localizzazione logistica possono riscontrarsi in numerosi esempi perseguiti in diversi paesi del mondo (Messico, Irlanda, Olanda, Cina). In generale viene facilitata la possibilità di investimento di capitale straniero e di trasferimento di know-how specialistico in determinati segmenti delle filiere produttive che comportano la importazione di beni intermedi e semilavorati che necessitano di ulteriore lavorazione in loco per essere successivamente esportati. Tali imprese possono beneficiare si significativi "bonus fiscali" sulle imposte dirette se il valore delle loro esportazioni risulta superiore al 70% del valore totale della produzione. Altri interventi agevolativi fiscali riguardano le imprese che trasformano "prodotti derivati" da alta tecnologia, con diritto di proprietà intellettuale indipendente. In diversi casi le Università e gli Istituti per la ricerca scientifica nazionali ed esteri sono incoraggiati a stabilire Unità ove si integrino produzione, studio e ricerca, basi per la trasformazione delle risultanze della ricerca tecnologica, centri di addestramento e di praticantato post-laurea. I settori maggiormente incoraggiati sono quelli dell’informazione tecnologica, delle biotecnologie, delle nuove energie, dei nuovi materiali, dell’oceanografia, delle tecnologie ambientali. In tal senso in alcuni esempi si sono create delle "zone multiparchi hi-tech" specializzati (parco biologico, parco per gli studi oceanografici, parco per la protezione ambientale). Una zona logistica, o un distripark, va quindi focalizzata sullo sviluppo della logistica moderna, del "magazzinaggio operativo", delle procedure hi-tech a favore del commercio internazionale, in cui le imprese, sia estere che nazionali, vengono incoraggiate a sviluppare nella zona la logistica "Third party" (del conto terzi) quali la lavorazione, magazzinaggio, raccolta e distribuzione, e la logistica del fourth party (conto quarti) quali servizi informatici, il design ed altri servizi consulenziali legati agli scambi commerciali internazionali. In tali aree l’entrata delle merci non è soggetta a restrizioni per quanto attiene il sistema delle quote e delle licenze e le merci possono essere fatte circolare liberamente se all'interno di esse viene comunque compiuta una forma di trasformazione che ne eleva il valore commerciale e soprattutto se tale incremento di valore viene "trattenuto" in essa. Il magazzinaggio delle merci introdotte nella zona franca non è soggetto ad alcuna restrizione per quanto attiene la tipologia del prodotto e i tempi di magazzinaggio, fatta eccezione per quegli articoli soggetti a specifiche restrizioni nel quadro della regolamentazione nazionale e comunitaria. Nei magazzini doganali possono essere effettuate tutte le operazioni di logistica, tutte le operazioni atte a conferire al prodotto valore aggiunto oppure semplici manipolazioni a carattere commerciale come la classificazione, l’imballaggio, la selezione, l’etichettatura, la marcatura, la raccolta, ecc. Le merci possono entrare ed uscire dai magazzini liberamente, sulla base di procedure flessibili, i pezzi di ricambio e i materiali da sottoporre a successive lavorazioni, sono liberamente sdoganabili e assoggettati soltanto alla loro registrazione da parte degli uffici doganali. Le merci prodotte nelle zone franche dalle società di lavorazione, saranno esentate dal pagamento dell'IVA relativamente al periodo di produzione se vendute all’interno della zona o esportate. Nel rispetto delle norme relative al commercio estero, le merci lavorate all’interno della zona franca possono essere vendute in territorio nazionale o ad altre società della zona per essere sottoposte a successive lavorazioni. Molto interessanti sono anche le possibili forme di utilizzo dei terreni tendenti a conferire un carattere di possibile riconversione agevole dopo un determinato periodo di tempo e di mantenere un certo grado di “controllo insediativi” nei confronti delle imprese private da parte degli Enti Locali. Le imprese investitrici possono acquisire il diritto di usufrutto e/o di superficie dei terreni dopo avere inoltrato richiesta agli enti locali che amministrano i terreni e assolte le dovute tasse. I terreni per la costruzione di magazzini merci vengono battuti all’asta o dati in appalto. La durata massima del diritto di usufrutto di un terreno varia a seconda delle diverse destinazioni d’uso e finalità attribuite alle

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diverse zone: in genere dai 20 ai 50 anni. Il diritto d’uso del terreno può essere trasferito, ipotecato a seguito di finanziamenti ottenuti, nei termini previsti per la durata dell’usufrutto e nel rispetto delle destinazioni d’uso. Per esso viene corrisposto un canone determinato in funzione dell'attività svolta e delle caratteristiche urbanistico-produttive. Anche per quanto riguarda la concessione di tali diritti vi sono varie forme di fiscalità di vantaggio. Anche le attrezzature ad uso interno importate per progetti d’investimento estero, a valere sull’importo totale dell’investimento, che comportano il trasferimento di tecnologia e che rientrano nella categoria di progetti agevolati sono esenti dai dazi doganali e dall'Iva importazione. Con riferimento a determinate categorie di beni, per la cui produzione è prevista una lavorazione semi-produttiva e/o logistica all'interno del distripark o Area Logistica ed una successiva riesportazione, si potrebbero applicare agevolazioni fiscali, quali esenzioni dai dazi doganali e dall'Iva, ad esempio all'interno dei cicli produttivi/distributivi di: televisori, apparecchi video, videocamere, lettori video, impianti di alta fedeltà, condizionatori d’aria, frigoriferi, macchine lavatrici, apparecchi fotografici, macchine fotocopiatrici, centraline telefoniche e periferiche, telefoni cellulari, apparecchi radio, congelatori, motocicli, ecc. 4.3.5 - Casi ed esperienze internazionali L’approccio multidisciplinare al distripark, abbraccia aspetti urbanistici, delle attività produttive e dei trasporti, che impongono un concerto ed un confronto ai della localizzazione e del dimensionamento. Infatti, analoghe esperienze in città portuali mediterranee sono Barcellona in Spagna e Marsiglia-Fos in Francia, oltre ad altre esperienze in attivazione in Italia, quali: Genova, Taranto, Gioia Tauro, Trieste. Inoltre, possono considerarsi alcuni grandi porti del northern-range europeo e quelli delle free-town cinesi ben consapevoli di un diverso ruolo gerarchico che i suddetti sistemi portuali hanno nello scenario dei traffici globali. Genova

Distripark Di Pra'-Voltri (in progetto)

Area totale: mq. 78.700 Magazzini: mq. 19.644 Uffici (8 piani): mq. 7.238 Area commerciale: mq. 3.005 Parcheggi per uffici e magazzini: mq. 12.252 Piazzali magazzini mq. 23.488 Viabilità generale interna ed esterna: mq. 19.400 Barcellona Zona Attività Logistiche ZAL 1 Superficie (mq) 650.000 Magazzini (mq) 250.000 Uffici (mq) 45.000 Compagnie 80 Persone 4.0000 Traffico (veicoli) 5.000/giorno

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Alcune aziende insediate: Honda, Daewoo, De Longhi, Whirpool, Danzas, Ups, Kuhne&Nagel. ZAL 2 (in corso di realizzazione) Superficie (mq) 1.100.000 Magazzini (mq) 400.0000 Uffici (mq) 65.000 Compagnie 120 Persone 6.0000 Traffico (veicoli) 8.000/giorno Rotterdam Maasvlakte Distripark Sperficie 125 ettari/309 acri Superfici coperte 200.000 mq Alcune aziende insediate: DHL, Epson, Reebok, Nippon Express, Hankook Tires, Eurofrigo (Nichirei) and Kloosterboer Logistics. Localizzazione ideale per gli “European Distribution Centers” con destinazione oltremare (UK, Scandinavia, Mediterraneo) e continentale (strada, ferrovia, navigazione interna). Distripark Botlek Sperficie 104 ettari/257 acri Superfici coperte 300.000 mq Localizzazione per fornitori di logistica c/terzi di livello mondiale: Schenker Stinnes Logistics, Exel, Datema/Hellmann Worldwide Logistics, De Rijke, Damco Maritime and Henry Bath. Distripark Eemhaven Sperficie 65 ettari/161 acri Superfici coperte 200.000 mq Terminal ferroviario Localizzazione per fornitori di logistica c/terzi di livello mondiale: Maersk Logistics, Nippon Express, Menlo Logistics, Geodis Vitesse, Ziegler, Hudig & Veder, VAT Logistics and Eurofrigo/Nicherei;

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4.3.6 - Alcune esperienze in Estremo Oriente Chungkang - Taiwan Economic Logistics Processing Zone Superficie 1 104 ettari Sperficie 2 73 ettari

Fig 10 - Vista aerea Chungkang Economic Processing Zone

Cina (Zone Franche Logistiche) Export processing zone I settori d’investimento estero che sono “incoraggiati” riguardano principalmente: • le nuove tecnologie industriali; • lo sviluppo dell’agricoltura, delle risorse energetiche, delle comunicazioni, delle materie prime essenziali; • i progetti relativi a nuove ed alte tecnologie orientati all’esportazione; • l’utilizzo e la rigenerazione ad ampio raggio delle risorse; • la prevenzione dell’inquinamento ambientale; • i progetti che siano di vantaggio per le aree centro-occidentali. Sono invece non consentiti gli investimenti esteri in progetti che:

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- mettono in pericolo la sicurezza; - danneggiano l’interesse pubblico; - sono causa di inquinamento ambientale; - danneggiano le risorse naturali e la salute pubblica; - utilizzano grandi terreni agricoli; - sono sfavorevoli alla protezione e allo sviluppo delle risorse della terra; - mettono a repentaglio la sicurezza e le normali funzioni dei servizi militari. Nelle zone franche sono consentite tutte quelle attività tipiche di tali zone come produzione, trasformazione, magazzinaggio, manipolazione ed etichettatura e operazioni di lavorazione e assemblaggio. Il vantaggio principale offerto dalle zone franche è costituito dalla possibilità di potervi far transitare merci in esenzione da tasse e dazi doganali.Tale imposizione si ha solo nel momento successivo in cui le merci varcano il confine tra la zona franca e il territorio cinese, al di fuori della zona franca stessa. Le imprese site nelle cosiddette Export Processing Zone possono invece acquistare merci da soggetti situati in territorio cinese al di fuori della export processing zone, in esenzione da IVA. A fronte di tale esenzione per le imprese situate nelle export processing zone non vi è più alcuna differenza dal punto di vista fiscale tra gli acquisti di componenti e materie prime cinesi oppure d’importazione. In tal caso, tuttavia, le merci acquistate dall’impresa in territorio cinese non possono essere rivendute all’estero senza che sia intervenuta una sostanziale operazione di lavorazione o assemblaggio. Le imprese di lavorazione e assemblaggio site nelle zone franche possono ottenere una speciale autorizzazione da parte delle autorità doganali per organizzare esposizioni dei loro prodotti anche al di fuori della zona franca. I macchinari e attrezzature importate dalle imprese operanti nella zona franca per essere utilizzate soltanto ad uso interno per la propria attività sono esentate dal pagamento dei diritti doganali. Le merci che entrano nelle zone franche non sono soggette a dazi doganali e IVA e al sistema delle licenze.Le merci trasportate dalle zone franche verso uffici doganali nazionali esterni alla zone franche sono trattate dagli stessi come importazioni, mentre le merci trasportate nelle zone franche dalle zone doganali nazionali sono trattate come esportazioni. Le imprese export oriented, alla scadenza del periodo di esenzione e di riduzione fiscale, beneficiano di un’aliquota agevolata del 10% se il valore delle loro esportazioni in quel determinato anno sarà superiore al 70% del valore totale della produzione conseguita nel medesimo anno. Le imprese ad alta tecnologia, alla scadenza del periodo di esenzione e riduzione fiscale beneficiano di un’aliquota agevolata del 10% per un ulteriore periodo di 3 anni. Le imprese che trasformano prodotti derivati da alta tecnologia, con diritto di proprietà intellettuale indipendente, possono usufruire di 5 anni di esenzione dall’imposta sul reddito d’impresa e di una riduzione del 50% per i 3 anni successivi. Dopo che i nuovi articoli, che incorporano ed utilizzano prodotti ad alta tecnologia, sono messi in produzione, tali imprese possono beneficiare di 3 anni di esenzione dall’imposta sul reddito societario sul profitto ottenuto da tali prodotti, indipendentemente dalle precedenti agevolazioni; Zona Franca Logistica di Xiamen Nella zona possono essere svolte tutte quelle operazioni previste per le zone franche dalla regolamentazione internazionale in materia quali ad esempio: deposito doganale, logistica, esportazioni, servizi commerciali, ecc. A tutt’oggi la zona franca costituisce 3 specifiche basi logistiche operanti per la consegna dei prodotti della meccanica ed elettronica, per la distribuzione delle importazioni, per l’import-export di pietre e trasporto container internazionali. La zona franca di Xiamen é focalizzata sullo sviluppo della logistica moderna, il magazzinaggio doganale, le procedure hi-tech, il commercio internazionale. Le imprese,

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sia estere che nazionali, vengono incoraggiate a sviluppare nella zona la logistica “Third party” (del conto terzi) quali la lavorazione, magazzinaggio, raccolta e distribuzione, e la logistica del “Fourth party” (conto quarti) quali i servizi, il design e i servizi consulenziali. Settori industriali incoraggiati nella zona sono l’industria hi-tech e ad alto valore aggiunto. I pezzi di ricambio e i materiali da sottoporre a successive lavorazioni, sono liberamente sdoganabili e assoggettati soltanto alla loro registrazione da parte degli uffici doganali. Le merci prodotte nelle zone franche dalle società di lavorazione, saranno esentate dal pagamento della IVA relativamente al periodo di produzione se vendute all’interno della zona o esportate. Nel rispetto delle norme relative al commercio estero, le merci lavorate all’interno della zona franca possono essere vendute in territorio nazionale o ad altre società della zona per essere sottoposte a successive lavorazioni. Nei magazzini doganali possono essere effettuate tutte le operazioni di logistica, tutte le operazioni atte a conferire al prodotto valore aggiunto oppure semplici manipolazioni a carattere commerciale come la classificazione, l’imballaggio, la selezione, l’etichettatura, la marcatura, l’apertura dei cartoni, la raccolta, ecc. Xiamen é anche un importante porto situato a metà strada tra Shanghai e Hong Kong e si é pertanto affermata in tutta la zona pan asiatica. Le 20 società di navigazione più importanti del mondo vi hanno aperto proprie sedi operative.Sono attive 57 rotte di navigazione che collegano tutti i maggiori porti del Sud, Sud-Est Asiatico, America Centrale e del Sud, USA, Europa e Medio Oriente. Il porto é per grandezza il 7º porto container cinese e il 40º tra i primi 100 porti del mondo. Nel 2002, il porto ha registrato un traffico di 27.350.000 tonn. di cargo, inclusi 1.750.000 TEU (container). Le imprese investitrici possono acquisire il diritto di usufrutto dei terreni dopo avere inoltrato richiesta agli enti locali che amministrano i terreni e assolte le dovute tasse. I terreni per la costruzione di magazzini merci vengono battuti all’asta o dati in appalto. La durata massima del diritto di usufrutto di un terreno varia a seconda delle diverse destinazioni d’uso e finalità attribuite alle diverse zone: 50 anni per industria, educazione, scienza e tecnologia, cultura, istituti medici e sportivi; 40 anni per uso commerciale, turistico e ricreativo; 70 anni per uso residenziale; 50 anni per lo sviluppo infrastrutturale o altro. Il diritto d’uso del terreno può essere trasferito, ipotecato a seguito di finanziamenti ottenuti, nei termini previsti per la durata dell’usufrutto e nel rispetto delle destinazioni d’uso. L’aliquota ordinaria IVA per i contribuenti ordinari è del 17%. Tutte le merci prodotte per l’esportazione sono esenti da IVA e l’imposta assolta su di esse viene rimborsata. All’interno della zona franca l’Imposta sul reddito d’impresa é del 15%. 4.4 - Linee generali per l’attivazione di strumenti urbanistici, fiscali e finanziari per la realizzazione di aree logistiche nella Regione Campania L’obiettivo di fondo di interventi per favorire lo sviluppo di attività logistiche dovrebbe essere ispirato al criterio della incentivazione dei traffici di merci finalizzati alla creazione ed alla cattura di valore aggiunto derivante dalla localizzazione all’interno di aree logistiche di processi di trasformazione in senso moderno ed innovativo, ovvero non più basati sul tradizionale concetto di “produzione industriale” ma piuttosto nel senso del moderno “processo logistico” per ottenere prodotti da scambiare in altri mercati che abbiano subito una lavorazione logistica che abbia loro conferito un determinato maggior valore da poter distribuire sul territorio principalmente in termini di maggiori redditi. Accanto ai processi di pura vezione e trasferimento delle merci, in particolare dei grandi flussi containerizzati di scambio internazionale, vanno sempre più sviluppandosi attività logistiche legate al completamento di fasi produttive (assemblaggi, personalizzazione dei prodotti, confezionamento, ecc.) e di distribuzione settoriale e territoriale (rifornimenti di centri commerciali, di stabilimenti produttivi, di reti di vendita, ecc.) che sia in fase di “entrata” nel territorio europeo che in fase di “uscita” da esso,

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necessitano di nuove ed idonee localizzazioni in particolari ambiti strategici dal lato del mercato e delle opportunità relative alla concentrazione e fluidificazione di enormi quantitativi di merci. Si tratta di individuare le migliori condizioni possibili per rendere il territorio regionale non soltanto mero mercato di consumo, in cui i grandi operatori della distribuzione commerciale internazionale trovano opportunità di localizzazione soltanto perché colgono l’importanza del mercato di consumo da parte delle popolazioni residenti (ad esempio, i circa 3 milioni di abitanti dell’area metropolitana di Napoli), ma piuttosto valorizzare al meglio le risorse esistenti ed i fattori produttivi da esse derivanti per offrire sul mercato mondiale degli spazi e delle attività di commercio internazionale, un sistema integrato di risorse e funzioni locali strettamente correlate ai bisogni produttivo/distributivi delle moderne catene di approvvigionamento e di distribuzione di beni intermedi e finali che sempre più si dispiegano attraverso le reti di trasporto internazionali. Pertanto, vanno evidenziati gli strumenti più idonei per poter in tempi rapidi mettere a sistema una serie di interventi sul territorio che evidentemente coinvolgono problematiche e criticità che riguardano l’uso economico del territorio e dello spazio, l’urbanistica, l’ambiente, l’assetto delle infrastrutture e delle reti di trasporto plurimodali, la gestione dei servizi di trasporto in ottica di sistematicità intermodale, l’insediamento produttivo di specifiche attività all’interno di specifiche filiere produttive, il confronto tra enti, istituzioni e imprenditori privati nazionali ed internazionali. Il disegno generale dovrebbe superre le logiche sterili di panificazione generale di tipo urbanistico senza che in alcun modo i soggetti coinvolti possano avere un reale ruolo attivo di partecipazione alle decisioni ed alle scelte strategiche, ma piuttosto pensare a forme di partecipazione condivisa sulla base della quale individuare i canali finanziari e le forme di intervento sui quali agire. La possibilità di creare un sistema di incentivi mirati e finalizzati allo sviluppo multifiliera di attività settoriali connesse alla logistica è riscontrabile in diversi strumenti legislativi e di programmazione di fonte regionale, nazionale e comunitaria. Dal punto di vista urbanistico-insediativo si possono citare, oltre alle varianti di Piano Regolatore Generale, gli Accordi di Programma tra tutti i soggetti interessati alla riqualificazione ed alla riconversione di zone industriali dismesse o sottoutilizzate, che in base ad esso possono trovare in diversi strumenti attuativi la possibilità realizzare progetti di competenza pubblica e/o privata ed anche interventi in partenariato pubblico/privato. Esempio di tale strumentazione attuativa è costituita dalle Società di Trasformazione Urbana (STU) che recentemente hanno avuto una certa applicazione in diversi contesti nazionali, tra cui anche la città di Napoli per la riqualificazione delle ex aree siderurgiche dismesse di Bagnoli. Altri strumenti più tradizionali per favorire l’insediamento produttivo sul territorio sono i Piani di Insediamento Produttivo che anno trovato larga applicazione in moltissimi ambiti comunali e per i quali è presente quindi vasta esperienza partecipativa di risorse pubbliche e private per la loro realizzazione. Anche in materia di Distretti Industriali vi è una specifica legislazione in materia ed una larghissima casistica, il riconoscimento di distretto industriale può essere “allargato” ad attività non strettamente industriali come appunto i trasporti, la logistica e la distribuzione delle merci, in termini di “distretto produttivo” in senso più ampio. La possibilità di applicare Incentivi fiscali e doganali, richiede di affrontare problematiche riguardanti l’istituzione di Zone Franche, da studiare con riferimento al Codice Doganale Comunitario che prevede la loro localizzazione anche in ambito portuale. Recente è il caso del porto di Gioia Tauro in cui l’area franca è stata istituita con Legge nazionale e proposta con Legge Regionale. Il porto di Gioia Tauro effettua quasi esclusivamente operazioni di transhipment e quindi la merce movimentata e prevalentemente merce in transito temporaneo per la quale è evidentemente più facile prevedere un sistema di agevolazioni doganali e fiscali in “transito” internazionale”. La possibilità di concedere agevolazioni di tipo doganale e fiscale rappresenta sicuramente uno dei principali strumenti di incentivazione alla localizzazione di attività di logistica produttiva e distributiva in particolare per le imprese che effettuano importazioni di beni semilavorati ed intermedi per poi esportare prodotti finiti effettuando operazioni anche di tipo non strettamente industriale. Moltissimi esempi internazionali dimostrano che la possibilità data alle imprese insediate in una determinata area speciale di eseguire in regime di libero scambio operazioni semi-produttive finalizzate all’esportazione (export processing),

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ha determinato il sensibile sviluppo economico di tali aree venendo ad essere inserite in un vero e proprio network globale di scambio non solo di prodotti ma anche di fattori produttivi contribuendo sensibilmente all’apertura internazionale non solo nel senso territoriale ma anche dal punto di vista dell’innovazione tecnologica, della qualificazione delle risorse umane, di spill-over imprenditoriale, ecc. Studiare e valutare sistemi locali di fiscalità di vantaggio è utile soprattutto in termini di reale capacità di attirare nel breve periodo capitali, anche esteri, in grado di attivare processi di moltiplicazione degli investimenti ed operando anche da stimolo al sistema bancario per partecipare finanziariamente al sostegno dei progetti imprenditoriali. Come ad esempio avvenuto a livello nazionale per il recupero conservativo del patrimonio edilizio, si potrebbero attivare detrazioni IRPEF ed IRPEG ed agevolazioni di aliquota e/o di esenzione dall’IVA, mentre a livello locale potrebbero studiarsi meccanismi di ulteriore vantaggio fiscale in termini di imposte locali come l’ICI, l’IRAP, le imposte sui trasferimenti immobiliari, ecc. Tali misure di vantaggio per le imprese si potrebbero tradurre in un incremento delle entrate rispetto alla situazione attuale, sia per l’attivazione ed il moltiplicarsi di investimenti produttivi che altrimenti non sarebbero probabilmente attratti, sia per l’economia indotta che verrebbe a beneficiare di un sistema integrato di attività sul territorio che, vista anche la documentazione richiesta per le operazioni fiscali agevolate, potrebbe comportare l’emersione fiscale e contributiva delle imprese locali coinvolte nella attività di riconversione produttiva. Il tema della Programmazione territoriale e della concessione di agevolazioni finanziarie, deve tenere cono che il futuro della città di Napoli e della Regione Campania non può prescindere dalla consapevolezza che l’intero Paese e la sua economia attraversa una fase cruciale in cui non solo si va verso un processo di riconversione industriale innovativa, ma si fanno strada nuovi paradigmi economici post-industriali. Uno scenario caratterizzato dal crescente peso delle attività terziarie e delle produzioni “immateriali”, in cui si afferma il ruolo determinate della “innovazione” e della “mobilità” dei fattori produttivi a scala globale; comprendere tali dinamiche ed intercettarne le traiettorie di sviluppo nel tempo e nello spazio diventa strategico per attivare investimenti ed occupazione facendo da leva per rendere i territori e le città più “attrattivi” e quindi in grado di ospitare e mettere in modo l’ingegno, la creatività e l’innovazione di cui si nutrono i nuovi modelli di sviluppo post-industriale nelle economie avanzate. In tal senso è sicuramente da considerare anche il rilancio urbano produttivo dell’area metropolitana di Napoli che anche al continuo perdere funzioni produttive ed economiche di grande importanza che ha caratterizzato l’ultimo ventennio, deve l’attuale situazione di forte degrado e disgregazione sociale ed economica. Infatti, dopo la delocalizzazione delle maggiori attività produttive e di servizi, si sta assistendo anche alla delocalizzazione delle migliori risorse umane qualificate, dagli operai edili ai laureati, che trovano opportunità lavorative esclusivamente in altre regioni se non all’estero. Tutto ciò all’interno di un quadro generale di ritardo di sviluppo rispetto alla media europea che vede la regione destinataria di ingenti risorse finanziarie per la crescita socio-economica che andrebbe letta soprattutto in capacità di generare reddito. In tal senso l’intervento nell’economia va interpretato non più come “sostegno esterno” al sistema produttivo ma piuttosto nel senso della innovazione e della modernizzazione del territorio, in particolare con politiche per le “reti di scambio” internazionale che vedano infrastrutture, servizi, città, imprese e persone, efficacemente inseriti in esse ognuna con un suo ruolo attivo. All’interno della nuova programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2007-20013 potrebbero individuarsi specifici canali di intervento anche, ad esempio, sulla base dell’esperienza maturata nella definizione e nel finanziamento di interventi integrati e guidati da un’idea forza portante come quella del PIT (Progetti Integrati Territoriali) e destinatari di risorse plurifonfo e multiobiettivo e dei Contratti di Investimento. Anche la Programmazione Negoziata nazionale prevede strumenti che potrebbero ben adattarsi alle esigenze finanziarie ed operative di interventi come quello in oggetto. In particolare per lo sviluppo imprenditoriale di specifiche aree sono previsti diversi strumento la cui possibile attivazione andrebbe specificamente approfondita. La programmazione negoziata tende infatti a coordinare l'azione pubblica e i poteri che influiscono nei processi di sviluppo ed a raccordare la molteplicità di interessi

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che agiscono a diversa scala territoriale (ambito locale, provinciale, regionale, nazionale, europeo). Intese istituzionali di programma, Patti Territoriali, Contratto di Programma e Contratto d'Area, costituiscono la strumentazione della programmazione negoziata tendente all'utilizzazione razionale ed integrato di risorse pubbliche (nazionali, comunali, provinciali, regionali, fondi comunitari) ed a stimolare e favorire investimenti privati. Il CIPE riserva inoltre a tali strumenti specifiche risorse, destinate in particolare alle aree depresse. Cooperazione e collaborazione tra pubblico e privato, percorsi amministrativi semplificati sono elementi del "clima" che si intende realizzare con la programmazione negoziata, per promuovere lo sviluppo del paese, in sintonia con le filosofie e gli obiettivi di integrazione europea. L'attivazione di un Contratto di Programma incoraggia, ad esempio, i grandi gruppi industriali e imprenditoriali ad investire nelle aree in cui la complessità delle procedure burocratiche costituisce un vero e proprio impedimento allo sviluppo. Il vantaggio principale è comunque costituito da incentivi in conto capitale, calcolati in equivalente sovvenzione netto e comunque sempre nel rispetto dei limiti e delle norme comunitarie, principalmente in materia di aiuti di Stato. Scopi ed obiettivi del Contratto di Programma sono: coordinare i diversi interventi pubblici riferiti ad un'unica iniziativa; fornire valutazioni unitarie delle attività da parte dei titolari delle decisioni pubbliche; definire le competenze dei soggetti pubblici e privati coinvolti nel contratto; armonizzare gli interventi di sviluppo; elaborare e attuare piani progettuali, articolati sul territorio o in aree definite per creare nuova occupazione; supportare lo sviluppo di distretti industriali e di forme imprenditoriali di tipo consortile. Soprattutto nelle esperienze più recenti si sta cercando di utilizzare questo strumento per promuovere investimenti diretti dall'estero, la cui scarsità rappresenta un punto di debolezza per l'economia del nostro paese. Si tratta del Contratto di Localizzazione, gestito dal Sviluppo Italia d’intesa con il Ministero delle Attività Produttive e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, riservato a: imprese estere, imprese italiane controllate da investitori esteri, imprese italiane che hanno trasferito l’attività all’estero e intendono reinvestire nel territorio nazionale. Le agevolazioni previste consistono in contributi a fondo perduto la cui percentuale varia secondo i limiti fissati dall’UE. Sviluppo Italia prevede anche azioni di “marchant banking” non speculativo, avendo come obiettivo prioritario lo sviluppo economico ed occupazionale, attraverso partecipazioni al capitale delle imprese insediate per un periodo di tempo definito ed in forma minoritaria. Le sostanziali innovazioni operative di qualsiasi intervento finalizzato alla nuova localizzazione di attività produttive logistiche rispetto alle passate esperienze di agevolazione alle imprese delle aree in ritardo di sviluppo e di insediamento pianificato di attività produttive che si voglia prevedere, dovrebbero quindi essere improntate alla:

- concessione di agevolazioni strutturali nel medio-lungo periodo sotto il profilo della capacità competitiva delle imprese insediate a “restare sul mercato”; - maggiore attenzione verso strumenti di agevolazione alla localizzazione improntati al criterio della competitività territoriale e di mercato con particolare attenzione alla fiscalità di vantaggio ed al libero scambio internazionale anche attraverso agevolazioni doganali; - individuazione di strumenti operativi celeri ed efficaci che diano le necessarie garanzie di funzionamento all’interno di un quadro di azione economico internazionale; - partecipazione finanziaria agli investimenti di imprese nazionali ed internazionali di medio-grandi dimensioni che dimostrino di avere mercati di riferimento e che realizzino processi produttivi e distributivi in grado di generare valore aggiunto e di distribuirne parte sul territorio, non solo in termini occupazionali; - attivazione di attività di marchant banking dei progetti con possibilità di corporate governance in particolare nel caso di partecipazione al capitale delle imprese da parte di soggetti pubblici che sostengono lo sviluppo d’impresa a fini non speculativi; - studio delle migliori condizioni di insediamento di frazioni di filiere e processi produttivi ad alta intensità logistica con particolare riferimento all’export processing per la creazione di valore aggiunto anche solo da attività di logistica distributiva (distribution hub-center);

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- incentivazione delle filiere, dei processi e dei prodotti strategici per la valorizzazione logistica delle produzioni regionali e meridionali con particolare riferimento ai settori dell’agroalimentare, dell’hi-tech, del bio-tech, della tutela ambientale e degli altri settori tradizionalmente trainanti; - localizzazione selezionata in funzione di esigenze multilocalizzative di investitori internazionali e della vocazione “mercantilistica” del territorio; - capacità di intercettare e “logisticizzare” flussi di beni intermedi originati dallo scambio internazionale intra-industriale, ovvero generato dalle economie di scala nei diversi paesi di produzione e dalla differenziazione dei prodotti richiesta nei diversi mercati di consumo (ad esempio parti elettroniche ed elettro-meccaniche); - capacità di intercettare e “logisticizzare” flussi di beni intermedi originati dallo scambio internazionale inter-industriale, cioè generato dai vantaggi comparati nella specializzazione produttiva dei diversi paesi (ad esempio il basso costo del lavoro); - connessione e collaborazione operativa ed economica la community portuale e con il sistema delle navigazioni marittima ed aerea in ottica “porte di accesso” ai mercati globali ed alla rete di scambio commerciale internazionale; - incentivazione del trasporto intermodale e combinato ai fini della significativa riduzione della movimentazione stradale di medio-lungo raggio, in considerazione della esistenza sul territorio di efficienti infrastrutture dedicate allo scambio modale gomma-ferro (interporti di Nola e di Maddaloni-Marcianise); - attenzione specifica alle problematiche relative alla sostenibilità ambientale delle iniziative produttive con particolare riferimento ai processi logistici e di trasporto; - sviluppo del ruolo di hub-valore nelle reti del Mediterraneo in particolare per l’integrazione commerciale ed economica di realtà produttive dell’intero bacino (dal Mar Nero, al Medio Oriente, al Nord Africa ed all’Europa), con specializzazione nelle funzioni evolute della logistica e dell’ICT (3PL, 4PL); - offerta di sostegno differenziata in funzione della specificità dell’investimento con linee di intervento dedicate alla ricerca ed allo sviluppo competitivo di prodotti e di processi innovativi; - azioni di accompagnamento e di affiancamento alle imprese locali capaci di garantire sviluppo ed innovazione, quali: partenariato internazionale, trasferimento di know-how, scambio di funzioni interaziendali, ecc.; - incentivazione alla localizzazione di investimenti logistici per il miglioramento della qualità ambientale e della vita sociale delle aree metropolitane, come la distribuzione urbana delle merci (city logistics), il trattamento ed il recupero di materiali residui urbani ed industriali (piattaforme ecologiche, reverse-logistic, ecc.). - stimolare l’aggregazione e la concentrazione verticale ed orizzontale delle piccole e medie imprese locali in ottica di rafforzare per dimensioni e valore l’offerta produttiva locale e conseguire maggiori economia di scala; - possibilità di interazione in rete tra diverse strutture plurilocalizzate sul territorio regionale per sfruttare al meglio le risorse di ciascuna e facilitarne lo sviluppo secondo le particolari vocazioni e/o specializzazioni economiche e territoriali, anche attraverso la costituzione di Consorzi tra (distripark, zona per la city logistic, Exhibit Center, ecc.).

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Parte seconda Infrastrutture ed economia dei distretti turistici:

a cura del gruppo di ricerca della Dott.ssa Rosaria Rita Canale composto dai dottori Oreste Napoletano e Roberta Pellicanò

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Capitolo I La teoria economica 1. 1 - Introduzione La creazione dell’Unione Monetaria Europea ha modificato profondamente le regole della politica economica, poiché la teoria dominante ritiene che la politica monetaria genera risultati efficienti ed è in grado di garantire, nel lungo periodo, la convergenza verso il tasso di disoccupazione naturale solo se è accompagnata da regole rigide nella gestione della politica fiscale. Ma l’esistenza di divergenze regionali nei tassi di crescita ha fatto emergere in modo prepotente il trade-off – almeno nel breve periodo – fra la riduzione della spesa pubblica e gli interventi necessari a sostenere lo sviluppo. Molti studiosi affermano che la strategia che consente di eliminare questo trade-off è lasciare che le forze di mercato operino liberamente. Esse, nel lungo periodo, realizzano crescita stabile, convergenza regionale e deficit contenuti. La riduzione della presenza dello Stato nell’economia e la maggiore concorrenza fra i lavoratori abbassano il salario di riserva, attraggono investimenti privati e assorbono la disoccupazione. Una crescita sostenuta, naturale risultato di questa strategia, ha l’effetto di dare un ulteriore contributo al risanamento dei conti pubblici. I limiti mostrati dalla spesa pubblica indiscriminata, fondata sul meccanismo di consenso elettorale, hanno fatto ritenere che l’unico modo per eliminarne le storture sia la sua completa assenza nella convinzione che il mercato, da solo, se lasciato libero di operare, abbia la forza per realizzare il pieno impiego. Ma la necessità del rigore nei conti pubblici può, in realtà compromettere la possibilità di perseverare in certe strategie di politica economica. Infatti i bassi tassi di crescita registrati negli ultimi anni in tutta Europa e in particolare la difficile condizione di aree come il Mezzogiorno hanno aperto il varco ad una riflessione più ampia che individua nella spesa in infrastrutture una condizione preliminare necessaria allo sviluppo e alla crescita dell’occupazione. Il lavoro si propone di inserire all’interno di questo ampio dibattito sull’intervento pubblico in economia, un piccolo contributo che esamina gli effetti sull’economia locale della spesa in investimenti. In particolare si intende studiare la dinamica dello sviluppo del settore turistico in Campania a seguito dei crescenti investimenti in infrastrutture. L’analisi è articolata su due livelli: un primo teorico, che ricostruisce le problematiche relative alla teoria della crescita e agli effetti della spesa in infrastrutture sull’occupazione. Un secondo di economia applicata che esamina i dati relativi alla Campania nell’intenzione di concludere, attraverso un’analisi statistica, che esiste una relazione diretta fra investimenti e crescita della domanda turistica. 1.2 - La teoria economica della divergenza regionale Come è ampiamente noto la letteratura economica è divisa riguardo alle spiegazioni da dare alla divergenza regionale e ai rimedi per colmare i differenziali. In primo gruppo di studiosi affida il processo di convergenza fra regioni ricche e regioni povere alle forze spontanee del mercato. Il cosiddetto “modello di Solow” ritiene infatti che le risorse fluiscano dove le opportunità e i rendimenti degli investimenti sono maggiori e ciò accade – per la legge dei rendimenti marginali decrescenti - in quelle aree geografiche dove il capitale pro-capite e il prodotto pro-capite sono bassi.

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Il flusso in entrata di capitale garantisce nel lungo periodo la convergenza verso un prodotto pro-capite che dipende dal saggio di crescita della popolazione e dall’usura del capitale ovvero da fattori naturali e tecnici esterni al modello. La politica economica in questo contesto deve solo assicurare, attraverso regole certe, libertà di movimento delle risorse, e tassi d’inflazione stabili che il capitale possa essere investito nelle aree a più basso tasso di crescita. Appartiene a questo medesimo filone di ricerca la teoria della crescita endogena che, tuttavia, poiché sottolinea l’importanza dei fattori endogeni nella determinazione dei tassi di crescita nel lungo periodo, assegna un ruolo diverso alla politica economica. Quest’ultima infatti dovrebbe destinare risorse agli investimenti in ricerca e sviluppo in modo da accrescere la produttività delle aree arretrate e consolidare il flusso in entrata di investimenti privati. Un secondo filone di ricerca che indaga sulla divergenza regionale ritiene invece che non ci sia un automatico livellamento dei redditi delle diverse regioni ma che piuttosto si attivino dei processi cumulativi che allontanano ancora di più le regioni ricche da quelle povere. In questo filone di indagine è possibile distinguere, fra le tante, la teoria delle localizzazioni e la teoria della crescita trainata dalle esportazioni. Secondo il primo punto di vista esisterebbero economie di scala associate alla concentrazione industriale e all’esistenza di agglomerati di imprese in alcune aree geografiche. Il risparmio sui costi di lungo periodo che ne deriva fornisce vantaggi competitivi che alimentano la crescita del reddito e dell’occupazione dell’area. Naturalmente l’assenza di questi vantaggi competitivi relegherebbe – in assenza di interventi esterni - le regioni povere in una posizione sempre più arretrata e lontana dal resto del paese. Seguendo il secondo punto di vista il ruolo centrale nell’attivare processi di sviluppo cumulativi è ricoperto dalla domanda autonoma. In particolare, poiché non influisce sulla gestione delle risorse interne, determinanti sarebbero le esportazioni. Queste infatti a livello microeconomico sono il segnale della elevata competitività delle imprese e della capacità di destinare le risorse raccolte alla crescita della produttività, a livello macroeconomico alimentano la crescita del reddito attraverso il meccanismo del moltiplicatore. Le aree geografiche che non hanno capacità di esportare non possono godere del vantaggio di una domanda autonoma sostenuta che alimenta la crescita. Per tutti i filoni di ricerca la flessibilità del salario sarebbe rimedio utile per assicurare un vantaggio competitivo alle aree arretrate. Ma mentre per coloro che affidano al mercato tutto il compito di garantire la convergenza i bassi costi di lavoro sono condizione sine qua non sia nel breve che nel lungo periodo, per i teorici della divergenza-convergenza cumulativa questo può essere uno dei rimedi sfruttabili, per altro, per brevi periodi di tempo. Bassi salari possono garantire infatti, nel breve periodo, maggiore competitività, ma nel lungo periodo fanno cadere la domanda aggregata e rendono in definitiva non sostenibile la competizione con quei paesi dove il costo della vita è assai più basso. Rimedio più utile è una politica economica di intervento diretto che anche attraverso la realizzazione di investimenti pubblici in infrastrutture sostenga la produttività e la competitività delle imprese e attivi quei processi cumulativi virtuosi che non partirebbero senza shock esogeni. . 1.3 - La teoria economica dell’investimento in infrastrutture Come per la letteratura sulla divergenza regionale, anche sulle infrastrutture gli economisti sono divisi ed esistono numerosi argomenti sia a favore che contro l’investimento in infrastrutture. Gli economisti che propongono argomenti contro l’investimento in infrastrutture elaborano obiezioni che possono essere sintetizzate in tre punti principali e che hanno in comune l’estrema fiducia nel libero operare del mercato. Infatti – recita la prima argomentazione – se le infrastrutture fossero davvero necessarie sarebbero prodotte dal mercato. L’elevata domanda assicurerebbe profitti sostenuti agli imprenditori privati, che garantirebbero così la produzione efficiente dei beni di investimento. La seconda obiezione riguarda la non sostenibilità dal punto di vista burocratico e finanziario dell’investimento. Infatti la realizzazione di un’opera pubblica richiede un’amministrazione in grado di gestire tutte le fasi della sua realizzazione, dall’esame dei benefici alle indagini sui costi economici

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e non economici, dalla progettazione alla realizzazione. Tutto questo richiede un apparato di Stato grande e a causa di questo inefficiente. La sostenibilità finanziaria poi è la difficoltà più grande da superare. Infatti le opere pubbliche per essere realizzate richiedono risorse che possono essere trovate o in una tassazione aggiuntiva o nell’emissione di debito pubblico. Le maggiori aliquote fiscali e gli elevati tassi d’interesse che seguono all’emissione di titoli di Stato deprimono la spesa e gli investimenti privati creando danno certo e maggiore del beneficio futuro atteso dell’investimento pubblico. Infine la terza obiezione è legata al ciclo politico. Infatti, ritengono gli studiosi, coloro che vengono eletti durano in carica un periodo assai più breve della durata dell’investimento e del periodo in cui se ne sentiranno i benefici e se ne sopporteranno effettivamente i costi. Essi dunque, potrebbero essere spinti a progettare e decidere la realizzazione dell’infrastruttura solo per motivi legati al consenso elettorale e alla volontà di essere rieletti. Coloro che ne sostengono il ruolo centrale nell’organizzazione economica dei paesi avanzati relazionano le argomentazioni favorevoli alla loro natura di bene pubblico dell’investimento in infrastrutture. Come è noto un bene pubblico è caratterizzato dalla non rivalità e dalla non escludibilità: tutte le volte che un bene ha anche parzialmente queste caratteristiche il mercato fallisce nel determinare l’equilibrio fra domanda ed offerta. Quando il consumo di un soggetto non è rivale rispetto a quello di un altro vuol dire che la risorsa non è scarsa e che quando perciò essa è disponibile possono sorgere due ordini di problemi: un primo legato alla volontà dei soggetti a manifestare la preferenza per l’uso del bene per non pagarne il prezzo – il cosiddetto problema del free rider. Il consumatore ha in atri termini incentivo a non manifestare il desiderio di usare il bene perché sa che, se un altro lo manifesta al posto suo, questi ne pagherà interamente il prezzo e potrà perciò consumarlo gratis. Un secondo legato al fatto che un bene pubblico non rivale ha costi marginali pari a zero, ma costi iniziali assai elevati. Se il bene è anche escludibile la remunerazione per l’imprenditore che lo produce è perciò assai complessa da determinare e si verificano problemi legati alla sottolutilizzazione della quantità di capitale investita. Quando il bene è non escludibile la necessità di non affidare al mercato la loro produzione è legata alla impossibilità fisica di escludere qualcuno dall’utilizzo del bene e dalla moralità di questa operazione. Infatti in molti casi ci si trova di fronte alla circostanza che stabilire un prezzo per l’utilizzo del bene e farlo pagare al consumatore sarebbe antieconomico determinando costi di produzione che sacrificherebbero troppo la domanda. In altri casi escludere un soggetto dal consumo di un bene, se pure praticabile, potrebbe risultare immorale e discriminatorio. I beni pubblici, poi, in generale ma ancora più in particolare le infrastrutture hanno tempi in cui si manifesta il ritorno economico assai lunghi. L’imprenditore si aspetta, invece, margini di guadagno in tempi brevi e non è disposto a sacrificare le proprie risorse per un interesse comune immediato, ma per un profitto personale esiguo e realizzabile nel lungo periodo. Infine, osservano la questione da un punto di vista ampio e di carattere macroeconomico, una politica di investimento in infrastrutture consente di far crescere la domanda aggregata senza creare tensioni inflazionistiche. Infatti la realizzazione di opportune opere pubbliche determina le condizioni per una maggiore profittabilità delle imprese, un incremento della produttività e un incremento dell’offerta. Questo intervento di politica economica assume natura strutturale perché fa in modo che le curve di domanda e di offerta si incontrino in corrispondenza di un livello di reddito e di occupazione permanentemente maggiore.

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Capitolo II Infrastrutture e crescita della domanda turistica: quadro nazionale e regionale

2.1 - Lo scenario a livello nazionale In 25 anni l'Italia ha aumentato dell'89% la sua capacità di produrre ricchezza e risorse economiche (in termini di PIL) e del 29,6% gli investimenti fissi lordi, ma ha ridotto del 16,2% gli investimenti infrastrutturali: strade, ferrovie, metropolitane, porti, aeroporti, ma anche quelli appartenenti a infrastrutture non di trasporto, come gli elettrodotti, i gasdotti, le reti telematiche, ecc. L'Italia si colloca, così, all’ultimo posto nella classifica dei paesi europei per investimenti in opere pubbliche rispetto al prodotto interno lordo. Alla costruzione di linee elettriche, ferrovie, reti di telecomunicazioni viene destinato solo l'1,5% del Pil contro una media europea del 2,6%. Se nel 1990 la spesa per strade, ponti, ferrovie e altre opere rappresentava il 2,6% del Pil, nel 2001 è stata di 33.765 miliardi di lire, l'1,4% della ricchezza nazionale. Se consideriamo l’ultimo dato disponibile, la rete ferroviaria nazionale si estende per poco più di 16 mila km e ben 1/3 di essa non è ancora elettrificata: inoltre, quasi 10 mila km dell’intera rete sono a semplice binario (a tale riguardo, sono particolarmente interessanti gli indicatori infrastrutturali dell’Istituto Tagliacarne creati per ogni regione). Obiettivo fondamentale da raggiungere è dunque la creazione di condizioni idonee alla promozione ed alla localizzazione di nuove iniziative imprenditoriali. Ciò si ottiene aumentando e valorizzando i fattori di attrattività di iniziative produttive nelle aree in ritardo di sviluppo. In altri termini occorre, da una parte, migliorare la dotazione infrastrutturale, e, dall’altra, creare i presupposti per il reperimento delle necessarie risorse professionali nel bacino territoriale. Gli obiettivi specifici consistono nel migliorare le comunicazioni fisiche del sistema di trasporto e le condizioni di sicurezza dei trasporti e la congestione del traffico: ciò significa innanzi tutto diminuire i tempi di trasporto. Lo sviluppo di una nuova domanda di trasporto e la riorganizzazione e potenziamento infrastrutturale dovranno comunque rispondere ad obiettivi di carattere ambientale generali (ad esempio gli impegni alla riduzione di CO2 fissati a Kyoto) e locale (gli standard nazionali ed europei di qualità dell’aria e dell’ambiente acustico). Di pari importanza, al livello di obiettivi specifici, appare la valorizzazione delle risorse interne, attraverso il sostegno ad un “modello meridionale”, in termini socio-economici (artigianato, piccole imprese, servizi) come in termini di risorse storiche, artistiche e naturali. Sotto questo profilo assume rilevanza il rafforzamento di quelle procedure che, per la programmazione, utilizzano la partecipazione ed il partenariato. Obiettivi operativi possono essere individuati nel potenziamento del sistema stradale di collegamento fra le aree industriali e la grande viabilità, riqualificare la viabilità esistente, provvedendo tra l’altro, alla chiusura delle maglie. Se non appare ancora opportuno quantificare esattamente la misura di miglioramento del sistema, tuttavia occorre procedere alla riduzione dei costi di trasporto merci, dei tempi di viaggio, dei risultati di gestione del TPL, dei porti, ecc. 2.2 - Le infrastrutture e lo sviluppo economico: alcune considerazioni generali Al fine di individuare le azioni più efficaci per il raggiungimento degli obiettivi sopra enunciati, si ritiene utile rappresentare brevemente la attuale situazione del sistema trasporti nel Paese.

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I principali elementi di crisi del sistema attuale dei trasporti possono essere ricondotti a due fattori determinanti, differenti per caratteristiche ed intensità nelle diverse aree del paese: la congestione ed i bassi livelli di qualità dei servizi e di accessibilità. Fenomeni di congestione sono presenti prevalentemente nelle regioni del Centro-Nord; nelle regioni del Sud tali fenomeni si verificano quasi esclusivamente nelle grandi aree urbane e metropolitane e lungo alcune direttrici. Bassi livelli di accessibilità, collegati alla qualità dei servizi di trasporto e delle infrastrutture e lungo alcune direttrici che li consentono, sono invece presenti soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. A tale proposito appare opportuno segnalare che questo tema, di particolare rilevanza, debba essere posto al centro dell’attenzione a partire da una quantificazione dei differenziali e dunque da obiettivi di politica economica. Entrambi i fenomeni costituiscono un freno allo sviluppo sociale ed economico: 1. Al Nord la congestione nelle reti di trasporto costituisce un costo aggiuntivo per l’economia: la richiesta di nuove migliori facilitazioni di trasporto si motiva con la necessità di assicurare al sistema produttivo il mantenimento degli elevati gradi di competitività acquisiti sui mercati nazionali ed internazionali; 2. Al Sud la bassa entità dei flussi di traffico potrebbe a prima vista non giustificare le istanze di nuovi interventi infrastrutturali. Il potenziamento del sistema dei trasporti è tuttavia richiesto dalla necessità di aprire il Mezzogiorno e l’Italia ai traffici internazionali e di stimolare nuovi insediamenti. La presenza di un efficiente sistema dei trasporti non costituisce, di per sé, condizioni sufficienti per l’innesco di fenomeni di sviluppo economico; tuttavia tale efficienza costituisce una delle precondizioni necessarie ad avviare e supportare lo sviluppo. Per queste ragioni le priorità di investimento nel Mezzogiorno dovranno essere individuate tenendo conto della natura e della entità della domanda di trasporto, che potrà derivare dagli indirizzi globali di politica di sviluppo economico adottati per questa area del Paese. Altri elementi di crisi del sistema dei trasporti sono rappresentati da: • Mancanza di collegamento all’interno delle singole reti ed il basso grado di integrazione tra le diverse modalità, anche per la carenza di strutture logistiche; • Inefficienze nell’uso della offerta di trasporto, che vede una prevalenza del trasporto stradale anche su relazioni per le quali sussistono le condizioni per la competitività di altre modalità di trasporto (ferro, mare) ed una sottoutilizzazione della capacità di offerta del trasporto stradale stesso (alte quote di viaggi a vuoto); • Bassi livelli di affidabilità del sistema, riconducibili sia a cause strutturali (mancanza di “ridondanza” nei sistemi, cioè mancanza di alternative modali o di percorso), sia a problemi di conflittualità nelle relazioni industriali; • Elevata incidentalità nel trasporto stradale; • Impatti sull’ambiente ed i consumi energetici. Un’analisi della spesa storica in infrastrutture di trasporto non è particolarmente agevole per la difficoltà di confronto fra le fonti disponibili. Da un esame svolto nell’ambito delle prime fasi di lavoro del Piano Generale dei Trasporti – omettendo in questa sede i dati numerici che non interessano ai fini del presente documento – emergono peraltro alcune osservazioni rilevanti. A seguito dell’obiettivo di realizzazione della rete autostradale nazionale risalente agli anni ’70, si è successivamente passati ad investimenti anche sulle altre modalità, peraltro con una allocazione altalenante delle risorse, chiaro segnale della mancanza di un progetto organico complessivo. Il confronto con altri Paesi dell’Unione Europea mostra come la spesa pubblica nel settore dei trasporti non sia in complesso inferiore; tuttavia la dotazione infrastrutturale che ne è risulta è ancora insufficiente. Esaminando in particolare le varie modalità, nel Nord e nel centro vi è stata una maggiore rilevanza degli investimenti in opere ferroviarie ed aeroportuali (negli ultimi 25 anni rispettivamente il 30 ed il

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25% degli investimenti totali in loco, mentre nel Sud sono risultate rispettivamente del 19 e del 7%). Nel Sud sono stati invece privilegiati investimenti in opere stradali (60%) e portuali (13%). La diversa distribuzione della spesa per modalità di trasporto tra il Nord, il Centro ed il Sud, si è tradotta in una diversa dotazione e qualità delle infrastrutture, comunque inferiori nel Meridione. Premesso quanto sopra il Mezzogiorno d’Italia, geograficamente posto al centro del Mediterraneo, deve essere considerato sia come valore “interno”, cioè come un insieme di risorse presenti sul territorio, sia come valore “esterno”, cioè come area di transito e di riferimento per l’intero bacino del Mediterraneo e, in particolare, come confine dell’Unione Europea nelle relazioni con il continente africano e con i paesi dell’Europa Sudorientale e del Medio oriente. In quest’ottica, particolare rilevanza assumono i corridoi adriatico, ionico e tirrenico e i collegamenti ai corridoi definiti nella Conferenza Paneuropea dei Trasporti tenutasi ad Helsinki nel giugno 1997, nell’ambito dei quali specifico interesse riveste il corridoio n. VIII. Come sottolinea il documento del Ministero dell’Interno, la collocazione al centro del bacino mediterraneo comporta altresì la necessità di associare ai grandi interventi infrastrutturali altre misure idonee ad affrontare le problematiche connesse ai flussi migratori ed alla sicurezza. In particolare il Ministero dell’Interno suggerisce di tenere un costante rapporto con gli enti locali interessati, ciò che può essere proficuamente realizzato anche dalle Prefetture. Una continua evoluzione nell’approccio metodologico afferente le reti di trasporto con riferimento al fatto che il Mezzogiorno d’Italia sta perdendo progressivamente le caratteristiche territoriali di area periferica ed assumendo, di contro, capacità di rappresentare un importante corridoio di transito da e per il resto d’Europa. Ciò comporta evidentemente la necessità di valutare, anche in un’ottica di rapporto costo/efficacia e costo/beneficio, l’esistenza di colli di bottiglia ed assi mancanti lungo la rete, nonché di evitare dannosissimi fenomeni di congestionamento in corrispondenza dei nodi principalmente rappresentati da città, nodi di scambio, aree industriali ed aree a potenziale sviluppo turistico. L’esigenza di affrontare il tema del congestionamento è ampiamente illustrato nel documento del Dipartimento delle Aree Urbane, che raccomanda azioni mirate alla decongestione delle città, in particolare con la realizzazione di parcheggi di interscambio con sistemi di trasporto collettivo, di collegamenti ciclabili e di collegamenti pedonali meccanizzati. Suggerisce inoltre l’adozione di sistemi di controllo automatico della circolazione. Nel contempo l’approccio sistemico all’esigenza di mobilità risulta estremamente vantaggioso anche rispetto alla valorizzazione delle vocazioni economiche locali, che presentano grandi margini di sviluppo ancora diffusi su tutto il territorio interessato. Con ciò si tiene conto delle potenzialità nel settore del turismo, nonché delle attività collegate. Per quanto riguarda gli obiettivi di carattere ambientale ed in particolare la riduzione delle emissioni di gas con effetto serra, appare necessario procedere alla concertazione presso il tavolo Stato-Regioni degli obiettivi di riduzione di CO2 per ciascuna Regione e del ruolo assegnato al settore dei trasporti in tale riduzione. Analisi dei dati di traffico a livello nazionale I dati di traffico nell’anno 2003 invertono la tendenza negativa registrata nel biennio 2001/2002. L’andamento positivo si evidenzia sia per la rilevazione dei movimenti che per i passeggeri ed il trasportato del cargo. Nel corso del 2003 il movimento complessivo è stato di 1.301.868 decolli ed atterraggi con un incremento del 6,9% rispetto all’anno precedente ed una ripartizione equamente distribuita del traffico tra nazionale ed internazionale. Il traffico complessivo dei passeggeri nell’anno 2003 con 100.107.925 ha registrato un incremento del 10,4% rispetto al 2002. Il cargo con 778.265 tonnellate è aumentato del 5,6% sempre rispetto al 2002. Traffico nazionale ed internazionale Movimento e traffico nazionale

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I movimenti degli aeromobili sugli aeroporti italiani per il traffico commerciale nazionale ammontano a 650.358. I passeggeri imbarcati e sbarcati nei servizi di linea e non di linea nel trasporto commerciale nazionale sono stati complessivamente 49.074.737. Il traffico cargo domestico con 154.824 tonnellate imbarcate e sbarcate assume un’incidenza pari al 19,8% del traffico complessivo registrato. Movimento e traffico internazionale Il numero dei movimenti internazionali effettuati sugli aeroporti italiani da vettori italiani e stranieri è stato pari a 651.510. La quota dei movimenti aeroportuali internazionali operati dai vettori italiani è stata pari al 35,5%. I passeggeri complessivi del traffico internazionale sono stati 51.033 milioni. La quota di mercato dei vettori italiani è stata del 35,5%. Il traffico aeroportuale internazionale cargo è stato complessivamente pari a 623.441 tonnellate così ripartito: 289.335 tonnellate per importazioni e 334.108 tonnellate per esportazioni. La quota di trasportato dai vettori italiani è stata pari al 32,1%. Aviazione generale Sia i movimenti di aviazione generale che i passeggeri trasportati fanno registrare un incremento. Gli aeroporti che abbinano un notevole numero di passeggeri ad un gran numero di movimenti sono nell’ordine: Olbia Costa Smeralda, Roma Urbe, Roma Ciampino, Biella Cerrione, Firenze, Aosta, Siena, Lucca, nonché Milano Linate per il quale è disponibile soltanto il numero complessivo dei movimenti aerei che sommano a 25.487. Analisi del traffico passeggeri Ripartizione del traffico Il traffico commerciale dei passeggeri si ripartisce tra 90.954 milioni trasportati dai servizi aerei di linea di cui 48.517 milioni per attività nazionale e 42.436 milioni per attività internazionale; 9.154 milioni trasportati dai servizi aerei non di linea di cui 9.067 milioni per attività charter e 86.181 per attività di aerotaxi. I vettori italiani hanno trasportato il 42,61% degli 8.555 milioni di passeggeri internazionali del traffico charter registrando una flessione della quota di mercato che l’anno precedente era pari al 49,7%. I maggiori incrementi del traffico complessivo sono stati segnalati negli aeroporti di Bergamo, Crotone, Cuneo, Forlì, Roma Ciampino, con variazioni che oscillano dal 89% su Roma Ciampino al 310% su Cuneo. Il maggior volume di traffico nei collegamenti nazionali si segnala nelle tratte Fiumicino/Linate con 1.242.062 passeggeri e Linate/Fiumicino con 1.203.596 passeggeri. Seguono le tratte Catania/Fiumicino/Catania e Palermo/Fiumicino/Palermo che movimentano complessivamente un numero di passeggeri superiori al milione. Analisi del traffico origine e destinazione per aree geografiche Per quanto concerne il traffico passeggeri origine e destinazione per aree geografiche per le relazioni intraeuropee si è registrato nel 2003 un traffico complessivo di 39.663 milioni di passeggeri con un aumento del 22,5% rispetto all’anno precedente; di cui 35.551 milioni di passeggeri per il traffico tra i paesi dell’Unione europea, con un incremento del 22,1%, e 4.112 milioni di passeggeri per il traffico con i paesi extra U.E., con un incremento pari al 26,3%. Fra i paesi europei quelli con cui è stato rilevato il maggior traffico complessivo sono la Gran Bretagna con 8.599 milioni di passeggeri, la Germania con 7.234 milioni di passeggeri e la Francia con 5.909 milioni di passeggeri che rappresentano il 61,2% circa del traffico intra-comunitario con l’Italia. Le tratte più attive risultano nell’ordine Roma Fiumicino/Parigi (Charles de Gaulle) con 1.196.138 passeggeri, Roma Fiumicino/Londra (Heathrow) con 922.417 passeggeri, Roma Fiumicino/Madrid

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(Barajas) con 818.551 passeggeri; Roma Ciampino/Londra (Stansted) con 776.232 passeggeri, Milano Malpensa/ Londra (Heathrow) con 674.945 passeggeri. Un incremento sostenuto pari al 23% rispetto al 2002 si è realizzato con il Centro America. Rilevante è stato anche l’aumento di traffico con l’Africa pari al 10,9% e con l’Oceania pari al 12,3%; mentre risulta stabile il traffico con l’Asia ed il Sud America ed in leggera flessione, invece, quello con il Nord America. La raccolta contiene anche i dati relativi al traffico commerciale complessivo realizzato in Italia nel primo quadrimestre del 2004. Nel periodo considerato sono stati trasportati oltre 30 milioni di passeggeri di cui 16 milioni circa sono quelli in partenza o in arrivo da uno scalo internazionale. Anche nel 2004 viene confermata la tendenza che vede Roma Fiumicino lo scalo hub più importante per il traffico commerciale nazionale con 3.852.578 passeggeri;mentre per i passeggeri internazionali Milano Malpensa con 4.323.431 passeggeri supera di 154.162 unità Roma Fiumicino. Sommando agli aeroporti di Roma Fiumicino e di Milano Malpensa rispettivamente i passeggeri internazionali rilevati per gli aeroporti di Roma Ciampino e di Milano Linate si evidenzia che il sistema aeroportuale di Roma con 4.879.434 passeggeri e quello di Milano con 5.139.060 passeggeri movimentano circa il 63% del totale dei passeggeri internazionali trasportati con la differenza che a Fiumicino i passeggeri internazionali trasportati dai vettori italiani ammontano al 37%, mentre a Malpensa l’incidenza sale al 61%. 2.3 - Domanda e offerta di infrastrutture Le infrastrutture costituiscono un requisito fondamentale per la crescita e lo sviluppo economico, dal momento che la dotazione infrastrutturale svolge un ruolo di primo piano nel definire le condizioni di contesto, i costi di transazione e le economie esterne del sistema. Un’adeguata rete di opere pubbliche stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, idriche e fognanti, [così come di infrastrutture sociali,] esercita infatti una funzione di complementarità rispetto al capitale privato, e rientra più o meno implicitamente tra i fattori materiali o immateriali di produzione, influenzando costi e qualità del prodotto. La dotazione locale di infrastrutture influenza inoltre il livello di attività produttiva delle regioni, e quindi il loro reddito, nella misura in cui riesce ad alimentare aumenti di produttività dei fattori: a parità di altre condizioni, infatti, quali aliquote fiscali, tassi di interesse, costo del lavoro e così via, un’efficiente rete infrastrutturale può alimentare la produttività del sistema, con effetti positivi sulla scala dell’attività economica e sul reddito regionale. Sotto questo profilo, l’analisi dei dati regionali disponibili non risulta confortante. 2.4 - Lo scenario a livello regionale La Regione Campania ha quasi 6 milioni di abitanti distribuiti su un’area di circa 13.500 km2, con la densità abitativa più alta tra le regioni d’Italia ed una dinamica demografica in crescita (caso raro tra le regioni d’Europa). La struttura socio-economica presenta una netta prevalenza di addetti al terziario (circa due terzi del totale), anche se con un prodotto interno lordo per abitante (circa 9.000 euro) inferiore alla media nazionale (quasi 13.500 euro), ma caratterizzato da un andamento di crescita. La regione è interessata da notevoli traffici di scambio sia in relazione alla struttura produttiva, che alle note località turistiche, e di attraversamento per la sua posizione di cerniera tra le regioni settentrionali ed il bacino del mediterraneo. Le competenze sono suddivise tra Stato e Regione. Lo Stato detiene la proprietà delle infrastrutture aeroportuali e assegna la gestione di queste ultime, tramite concessioni, a soggetti abilitati. La Regione è il soggetto titolare alla programmazione territoriale, infrastrutturale (infrastrutture viarie e ferroviarie), alla pianificazione urbanistica ed ambientale. L’Accessibilità aerea è ormai considerata un fattore necessario della competitività. Esiste un rapporto di interdipendenza tra aeroporto e territorio: un aeroporto è capace di sviluppare e potenziare

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l’economia regionale in cui è localizzato ma, allo stesso tempo, se non è supportato da un adeguato sistema di infrastrutture e servizi è destinato ad essere una “cattedrale nel deserto” Il trasporto aereo è per sua natura “intermodale” e la sua efficienza è condizionata dal funzionamento di ogni singola parte: servizi di collegamento aereo, servizi aeroportuali, accessibilità all’aeroporto (infrastrutture e servizi) Il settore ha conosciuto ed è stato trasformato da profondi processi di liberalizzazione, prima negli USA e poi in Europa. I processi di integrazione europea hanno sviluppato un intenso traffico infraeuropeo, destinato ad aumentare nel prossimo futuro. L’aumento del traffico aereo è stato negli ultimi 10 anni circa del 6/7% all’anno. In Italia nei prossimi 10 anni è previsto un raddoppio dello stesso traffico. Le proiezioni dicono che aumenteranno i voli point to point (conseguenza del forte aumento dei voli infraeuropei) e l’attenzione delle compagnie al problema della qualità e della flessibilità dei servizi e che le compagnie aumenteranno le frequenze con aeromobili di dimensioni medio/piccole. Infine, in un regime di “mercato globale” e di “concorrenza globale” le maggiori compagnie aeree europee ed americane, attraverso la politica delle alleanze (anche con le principali compagnie asiatiche e sudamericane), detengono ormai oltre il 50% del mercato internazionale del traffico aereo Appare particolarmente rilevante, nelle regioni in ritardo di sviluppo di cui all’obiettivo 1., perseguire la più ampia accessibilità ai fini della promozione e dello sviluppo di attività economiche, nel pieno rispetto della sostenibilità degli interventi. Solo l’equilibrio e la complementarietà tra accessibilità e sostenibilità può infatti garantire adeguati livelli globali di servizio in termini qualitativi e quantitativi. Si ritiene utile, in questo contesto, ricordare che la domanda di trasporto, soprattutto nelle zone potenzialmente orientate alla valorizzazione delle proprie risorse e allo sviluppo del mercato, cresce in misura più che proporzionale rispetto al prodotto interno lordo: proprio per questo risulta inopportuno attuare politiche di contenimento della domanda di trasporto, mentre occorre ottimizzare le relazioni economiche attraverso una redistribuzione fra più modalità complementari della domanda di trasporto. Del resto solo se si delinea una politica dei trasporti che rispetti e valorizzi le risorse economiche e ambientali di queste regioni e quindi così integrata con le politiche economiche, si può ottenere un risultato positivo e stabile in termini di crescita dei livelli occupazionali, che altrimenti potrebbero subire una flessione non appena esaurita la fase di realizzazione degli interventi. In questi termini, e nell’attenzione alla utilizzazione di tecnologie avanzate assume particolare rilevanza lo sviluppo dell’insieme dei servizi connessi ai trasporti quale serbatoio di occupazione permanente. Tale sviluppo è strettamente connesso alla evoluzione delle competenze professionali degli addetti, resa possibile da idonee iniziative di formazione iniziale e continua, ma anche dall’allargamento della base occupazionale che può essere favorito dal ricorso alle politiche di incentivazione all’impiego. Tuttavia occorre tenere nella massima considerazione il rispetto delle esigenze di tutela ambientale, promovendo lo sviluppo sostenibile e privilegiando l’aspetto della logistica, l’innovazione tecnologica e le reti di servizio e formazione. Inoltre, nell’ambito delle politiche di coesione, si deve sottolineare l’idoneità di interventi infrastrutturali a innescare un processo virtuoso che, se attentamente seguito, conduce alla omogeneizzazione dei livelli di servizi, i quali, a loro volta, producono una maggiore integrazione sociale, economica e culturale con le popolazioni del resto d’Europa. In questo quadro di sviluppo del settore, la domanda di trasporto aereo mostra un significativo andamento di crescita che risulta solo temporaneamente interrotto da eventi esterni, quali le crisi petrolifere, relativamente sia ai passeggeri, su servizi di linea nazionali o internazionali e su servizi charter, che alle merci. La domanda passeggeri mostra una consolidata articolazione in segmenti che richiedono servizi con caratteristiche differenti: affari (business), tempi libero - turismo, tempo libero - visita a persone, viaggi congressuali e viaggi personali. Tutti questi segmenti appaiono significativi verso destinazioni della Regione Campania, in generale, e della Province di Napoli, Caserta e di Salerno in particolare.

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2.5 - Analisi di accessibilità dei tre aeroporti della Campania Questo aspetto riguarda l’analisi dell’accessibilità stradale (su autovettura o autobus) dei comuni della Regione Campania nei confronti dell’aeroporto di Napoli-Capodichino già in esercizio, dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano e di quello di Grazzanise. Quanto descritto ha richiesto l’implementazione di un modello di offerta di trasporto e l’implementazione dei risultati di questo modello. Il modello di offerta coinvolge l’intero territorio della Regione Campania che, per esigenze di simulazione, è stato discretizzato in un numero finito di zone. Ciascun comune dell’area di studio è stato considerato come una zona, esclusi il Comune di Salerno ed il Comune di Napoli, che sono stati ulteriormente suddivisi in zone di traffico più piccole (rispettivamente 53 e 145), al fine di simulare meglio l’accesso alla rete stradale e, soprattutto, al fine di simulare i fenomeni di congestione che caratterizzano i due centri urbani. Si è così giunti alla definizione di 747 zone interne. A valle della zonizzazione, si è proceduto a schematizzare, mediante un modello di rete, le strade presenti nell’area di studio (5236 km totali relativi a 3208 archi stradali) che svolgono una funzione rilevante di collegamento fra le diverse zone in cui essa è suddivisa. 2.6 - Misure di accessibilità trasportistica Il modello di rete implementato è stato utilizzato per calcolare i tempi di viaggio e le distanze tra tutti i comuni della regione e le tre destinazioni. I tempi sono stati calcolati mediante assegnazione di equilibrio con scelta del percorso stocastica. I tempi di viaggio dai differenti comuni della regione ai tre. Dalle analisi condotte risulta che soltanto l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano è in grado di assicurare una soddisfacente accessibilità, entro 100 minuti in auto, al trasporto aereo per i comuni della Provincia di Salerno. Si consideri, inoltre, che si ottiene un significativo miglioramento dei comuni delle Province di Avellino e di Benevento, oltre che di Potenza (che dista circa 20 minuti dal confine della provincia). Infatti, il tempo medio di viaggio verso Capodichino è di 104 minuti rispetto gli 83 minuti verso l’aeroporto di Grazzanise e i 71 minuti verso l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano. Lo studio si è, quindi, articolato in una fase in cui sono state definite le matrici di accessibilità al variare degli attributi di livello di servizio ed una fase in cui i risultati ottenuti sono stati aggregati in indici sintetici. I risultati cui si è giunti vanno letti come delle misure di raggiungibilità delle tre destinazioni dai diversi comuni della Regione Campania; benché siano stati posti sullo stesso piano comuni con caratteristiche socio-economiche molto differenti tra loro, un tale approccio è interessante perché consente di comprendere in una maniera molto disaggregata e facilmente interpretabile l’andamento dell’accessibilità alle due sedi. Gli indici aggregati sono stati ottenuti mediando i valori dei tempi di viaggio sul numero dei comuni della regione. Considerando i tempi di viaggio l’aeroporto di Napoli-Capodichino risulta la migliore scelta per 11 comuni, quello di Salerno-Pontecagnano per 357, e quello di Grazzanise per 184. Tutti gli indici illustrati indicano che l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano garantisce complessivamente la migliore accessibilità ai vari comuni della Regione Campania. 2.7 - Un nuovo aeroporto a Pontecagnano: l’idea giusta di sviluppo territoriale e decongestionamento dell’area della provincia di Napoli9. L'economia salernitana ha sempre avvertito l'esigenza di un polo di collegamento aeronautico che integrasse il trasporto autostradale, ferroviario e marittimo. L'auspicato decollo, strettamente connesso al potenziamento delle infrastrutture esistenti sull'aeroporto, è finalmente possibile. Allo sforzo sostenuto dalla Camera di Commercio di Salerno, che ha avuto il merito di creare il Consorzio Aeroporto Salerno-Pontecagnano coinvolgendo enti locali, associazioni di categoria e sodalizi ed assicurando, nel contempo, un rilevante finanziamento per il rilancio dell'attività aeronautica civile sul sedime, si è aggiunta la disponibilità della Regione Campania, che aveva già provveduto ad approvare nella passata legislatura gli stanziamenti necessari all' attuazione dei programmi di ammodernamento,

9 Questo paragrafo riporta estratti dal lavoro “AA.VV. (2002), Piano di Sviluppo Aeroportuale per l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano”.

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iniziando dalla pavimentazione della pista. Il ritardo accumulato non deve essere considerato un handicap, benché gli auspici per una più degna configurazione dell' aeroporto di Salerno-Pontecagnano siano stati manifestati già alla fine degli anni '60. La realizzazione delle opere previste, che non possono essere considerati interventi di facciata, ci rende consapevoli delle enormi potenzialità venute a crearsi. Crescita e sviluppo dell' economia, con i conseguenti risvolti sociali in positivo, hanno bisogno di adeguate strutture operative. L'Aeroporto di Salerno-Pontecagnanoè una di queste, poiché rappresenta una reale possibilità di avvicinamento di grandi mercati dell' Europa, all' interscambio turistico e commerciale. L'ente di gestione che ha portato a compimento il progetto di rilancio, dopo aver assolto nella prima fase all' indispensabile lavoro promozionale, continua a far leva sulla Camera di Commercio di Salerno, che contribuisce in misura dell' 80% alla dotazione del fondo consortile Le analisi condotte finora hanno chiarito il quadro della accessibilità dei tre aeroporti in termini di attributi di livello di servizio ed hanno permesso di delineare delle mappe tematiche di facile comprensione del fenomeno. A questo punto si ritiene necessario introdurre delle misure più complete, che tengano conto tanto degli attributi di livello di servizio tra due zone, quanto delle masse coinvolte. In quest’ottica si presenta un’analisi mediante il calcolo delle medie pesate sui residenti dei tempi di viaggio. I risultati evidenziano che il tempo medio di viaggio verso Capodichino è di 70 minuti rispetto i 62 minuti verso l’aeroporto di Grazzanise e i 63 minuti verso l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano. Il numero di comuni ed il numero di residenti raggiungibili dai tre differenti aeroporti, con riferimento alla Regione Campania sono riportati nei grafici seguenti. Si osserva facilmente che l’accessibilità dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano è in generale migliore rispetto agli altri due aeroporti. Tenendo conto della popolazione residente, gli indici illustrati indicano che l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano garantisce complessivamente una accessibilità ai vari comuni della Regione Campania significativamente migliore dell’aeroporto di Napoli-Capodichino, e abbastanza migliore rispetto all’aeroporto di Grazzanise soprattutto sulle lunghe distanze. Queste circostanze sono particolarmente evidenti se si restringe l’analisi ai soli 158 comuni della Provincia di Salerno, come illustrato dai grafici seguenti con riferimento ai comuni ed ai residenti della sola Provincia di Salerno. L’accessibilità dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano risulta nettamente migliore di quella degli altri due aeroporti confermando le prime indicazioni emerse dalla analisi relativa soltanto ai tempi di viaggio.

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Si riportano nel seguito, a completamento, alcune brevi considerazioni sull’accesso/egresso dell’aeroporto. Alla luce delle considerazioni seguenti si può ritenere che all’apertura l’aeroporto di Pontecagnano avrà un soddisfacente accesso/egresso con riferimento al trasporto stradale, sia individuale che collettivo, e che l’accesso/egresso saranno migliorati già nel corso della fase iniziale di apertura al traffico, includendo anche un servizio in sede propria su ferro. Attualmente l’accesso avviene attraverso l’uscita di Pontecagnano, comune al tratto Salerno-Battipaglia dell’autostrada A3 e alla tangenziale di Salerno e, quindi, attraverso la viabilità ordinaria (Ss 18 Tirrenica Inferiore), ovvero attraverso la strada provinciale litoranea. In particolare, è stata completata la maglia stradale esterna al sedime aeroportuale, costituita da tronchi di strade provinciali, comunali e consortile. Allo stato il tronco che collega la maglia esterna alla Ss 18 - Tirrena inferiore - è tagliato dal passaggio a livello della linea ferroviaria Salerno-Battipaglia. L’ente rete ferroviaria italiana (Rfi) ha elaborato il proprio programma finalizzandolo esclusivamente alla soppressione dei passaggi a livello. Ha, perciò, concluso accordi con i Comuni di Bellizzi e Pontecagnano. È stata iniziata la costruzione di sovrappasso alla linea ferroviaria, nell’ambito dell’abitato del Comune di Bellizzi, che consente l’accesso diretto all’aerostazione da est. L’accordo con il Comune di Pontecagnano prevede la soppressione del passaggio a livello da sostituire con unico sottopasso alla strada ferrata. Inoltre, a seguito dell’accordo di programma, l’Anas realizzerà lo svincolo Pagliarone sulla autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, limitatamente all’innesto sulla Sp Pagliarone-S. Vito (in territorio del Comune di Montecorvino Pugliano) a sua volta innestantesi sulla Ss 18, a monte di essa. Inoltre, è da evidenziare che è in avanzato corso la progettazione esecutiva del prolungamento della metropolitana di Salerno (in corso di completamento) dall’attuale termine, stadio Arechi, sino alla fermata aeroporto. Questo intervento gode di finanziamento concesso dal Cipe per la costruzione del tronco di metropolitana Stadio Arechi-Aeroporto. Come si è visto nel paragrafo precedente, nell’attuale configurazione l’accessibilità del territorio della Provincia di Salerno al trasporto aereo non è garantita in modo soddisfacente con almeno 100 minuti di viaggio in auto (eccetto alcuni lembi di territorio dell’agro nocerino sarnese). Questa circostanza non sarebbe modificata nella ipotesi dell’apertura dell’aeroporto di Grazzanise. Una differente configurazione di offerta di trasporto aereo che includa l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano garantirebbe una soddisfacente accessibilità con meno di 100 minuti di viaggio in auto a quasi tutto il territorio della Provincia di Salerno (eccetto alcuni lembi presso Sapri), in coerenza anche con gli obiettivi delle politiche di mobilità in atto. È, altresì, rilevante notare che l’inclusione dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano migliorerebbe in modo significativo l’accessibilità, entro i 100 minuti in auto, per vaste aree della limitrofa Provincia di Avellino, di quella vicina di Benevento, nonché della limitrofa Provincia di Potenza nella Regione Basilicata.

2.8 - Stimolo alla crescita territoriale, sociale ed economica L’apertura al traffico commerciale dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano costituirà, inoltre, un rilevante elemento delle politiche volte alla ri-valorizzazione territoriale, sociale ed economica del territorio della Provincia di Salerno, in particolare della area vasta di sud-est, nonché delle province limitrofe. La attuale ridotta accessibilità sulle lunghe distanze, invece, è in evidente contrasto con le politiche territoriali in atto. Infatti, l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano è incluso tra le infrastrutture di trasporto a supporto del generale modello di sviluppo territoriale previsto nei documenti di programmazione, quali il Ptc. Miglioramento accessibilità servizi di emergenza e di protezione civile L’aeroporto di Salerno-Pontecagnano costituirà, inoltre, un elemento importante per migliorare l’accessibilità dei servizi di emergenza e di protezione civile per numerose aree del territorio della

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Provincia di Salerno (e delle province limitrofe), che attualmente risultano di difficile accessibilità via terra a causa di una ridotta dotazione di infrastrutture stradali di qualità. Coerenza con il sistema nazionale di trasporto (aereo) Le caratteristiche dell’aeroporto di Salerno-Pontecagnano e il potenziale traffico lo collocano coerentemente nel sistema di trasporto aereo alla scala nazionale come aeroporto di terzo livello. Decongestionamento e supporto dell’aeroporto Napoli-Capodichino L’aeroporto di Salerno-Pontecagnano contribuirà, infine, ad un più efficace utilizzo delle infrastrutture di trasporto aereo in Campania con il decongestionamento dell’aeroporto di Napoli-Capodichino, oltre a fornire un utile scalo alternativo (attualmente è utilizzato l’aeroporto di Roma-Fiumicino circa 200 Km, con notevole disagio dei viaggiatori ed effetti sulla sicurezza). 2.9 - Il nuovo sistema integrato aeroportuale campano Serviranno circa 1.200 milioni di euro per realizzare entro il 2030 il nuovo sistema aeroportuale campano basato sull'integrazione del traffico di tre aeroporti: Napoli/Capodichino con funzione di city airport, Grazzanise (Caserta) per il traffico merci, quello internazionale ed intercontinentale ed il low cost; e Pontecagnano (Salerno) per una quota di traffico nazionale. E' il risultato dello studio di fattibilità commissionato dalla Regione Campania e presentato dal presidente Bassolino e dall'assessore ai Trasporti Ennio Cascetta. Lo studio, durato un anno e costato 550mila euro, è stato elaborato dall'associazione temporanea d'impresa composta dalla società olandese Naco e dalle italiane Stipe Spa e T-Bridge Spa. Lo studio si è basato su una previsione del traffico aeroportuale fino al 2030, con una significativa tappa nel 2011. Attualmente il traffico passeggeri su Capodichino è di oltre 4 milioni di passeggeri l'anno. Il nuovo sistema, con l'integrazione dei tre scali, dovrebbe garantire un traffico di passeggeri di 8 milioni nel 2011 e di 17,3 milioni nel 2030. Secondo le previsioni la realizzazione del nuovo sistema integrato aeroportuale creerebbe nuova occupazione per 13mila addetti (6mila diretti e 7mila indiretti) solo per quanto riguarda l'aeroporto di Grazzanise. Lo studio di fattibilità per il sistema aeroportuale campano è stato elaborato in base all'intesa sottoscritta con il governo nel dicembre 2001 che assegna competenze congiunte in materia di trasporti. Lo scenario ipotizzato per lo studio è stato quello intermedio, fra i tre possibili, dell'evoluzione del mercato del trasporto aereo, con eliminazione delle barriere commerciali all'interno dell'Ue ed il mantenimento di quelle con gli Usa ed il Giappone. L'aeroporto di Napoli-Capodichino svolgerebbe funzione di city airport, mantenendo la maggior parte dei collegamenti nazionali. Il traffico internazionale ed intercontinentale convergerebbe interamente sull'aeroporto di Grazzanise che ospiterebbe anche il traffico charter, il low cost ed una quota di traffico nazionale. ''E' evidente - ha sottolineato l'assessore ai Trasporti Ennio Cascetta - che fra i due aeroporti ci dovrà essere completa sinergia. Come se si trattasse di coordinare due piste dello stesso aeroporto. Non è pensabile che ci sia concorrenza fra le due strutture. Ecco perchè è importante che la gestione dei due scali sia affidata alla stessa società''. Il senso politico del progetto è, dunque, che la Gesac Baa (società che gestisce attualmente Capodichino, a cui è stata recentemente confermata la gestione per 40 anni) assuma la gestione dell'aeroporto di Grazzanise. Ma per realizzare il nuovo scalo in Terra di Lavoro sarà necessario che il ministero della Difesa attui ogni procedura per passaggio da aeroporto militare a civile. Procedura da avviare in tempi rapidi perchè, secondo le previsioni, Capodichino potrà reggere l'aumento del traffico aereo fino al 2010/2011, non oltre. Per rendere operativo l'aeroporto di Grazzanise bisognerà inoltre progettare e realizzare il collegamento del nuovo aeroporto con la rete stradale ed autostradale e predisporre uno studio di fattibilità per il collegamento ferroviario. Il futuro sistema integrato aeroportuale della Campania consentirà una grande attrazione di utenti dalle province e regioni limitrofe (basso Lazio, Lucania, Calabria). Prima di essere convertito in atto deliberativo, lo studio di fattibilità dovrà seguire un iter che dovrebbe concludersi nell'arco di un anno. Passerà innanzitutto al vaglio di un gruppo di esperti nominati dalla Regione Campania, successivamente sarà sottoposto all'analisi ed alle eventuali modifiche del tavolo istituzionale cui

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siederanno istituzioni (enti camerali) e le associazioni di categoria dei trasporti e del turismo. Poi sarà esaminato dalla Commissione Trasporti del Consiglio Regionale della Campania, tornerà in giunta per la stesura definitiva e infine all'esame del Consiglio Regionale. Sviluppo in fasi completamente funzionali Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, l’aeroporto di Salerno-Pontecagnano è sito a cavallo del confine tra i Comuni di Pontecagnano-Faiano e di Bellizzi in prossimità del confine con il Comune di Montecorvino Pugliano. È dotato di una pista di atterraggio decollo orientata in senso 05 - 23. L’apertura dell’aeroporto può avvenire per fasi di sviluppo compiutamente funzionali, per le quali è necessario incrementare progressivamente la lunghezza della pista dallo stato attuale fino a 2150 m, per un importo complessivo di circa 15.000.000,00 euro articolabile in lotti funzionali oltre alla dotazione delle infrastrutture necessarie allo scalo di merci e passeggeri: - intervento 1: apertura senza allungamento della pista; - intervento 2: allungamento della pista senza ulteriori espropri; - intervento 3: allungamento della pista con ulteriori espropri. A sua volta l’apertura al traffico merci/passeggeri può essere realizzata mediante l’esecuzione di lavori per un costo di circa 1.500.000,00 euro e una durata di appena 6 mesi. A conclusione di questa prima parte si puo’ affermare che le relazioni tra i nodi portuali e gli aeroporti interessano prevalentemente il traffico passeggeri di tipo turistico mentre è trascurabile la domanda di interscambio merci essendo molto diverse le caratteristiche delle prestazioni del settore marittimo e del settore aereo. Tali relazioni vedono un immediato interscambio tra l’aeroporto di Napoli- Capodichino ed i porti dislocati lungo la fascia costiera del comune di Napoli, attraverso il trasporto pubblico locale, con bus turistici e con taxi. Anche i collegamenti con i porti del casertano, dell’area flegrea e di quella vesuviana, così come la relazione con il porto di Salerno, possono avvenire su strada con percorrenze che non superano l’ora di viaggio. Più difficili sono i collegamenti con la penisola sorrentina e con la costiera amalfitana a causa della congestione delle due statali 145 e, soprattutto, 163. Non convenienti i collegamenti su strada con i porti a sud di Salerno in particolare con la costa cilentana. Da Capodichino è agevole raggiungere la stazione di Napoli Centrale e, in prospettiva, lo sarà ancora di più con la realizzazione della linea 1 della metropolitana urbana per la quale è prevista una stazione in corrispondenza dell’aeroporto: attraverso l’interscambio con la stazione di Napoli Centrale sarà possibile poi raggiungere, sempre su ferro, molti dei porti campani della provincia di Salerno. Gli aeroporti di Pontecagnano, Grazzanise e Capua non sono attualmente aperti al traffico civile di linea. Pontecagnano è in esercizio con una pista di m.1400 ma potrà costituire, in prospettiva, un terminal di interesse per i porti della costiera amalfitana, del Salernitano e del Cilento. Al crescere delle distanze da coprire, aumenta, però, la competitività di Capodichino e, in futuro, di Grazzanise, che potranno offrire, a fronte di tempi di accesso maggiori, frequenze di voli e numerosità di relazioni nettamente maggiori. Grazzanise è attualmente aeroporto militare ma ne è prevista la trasformazione in un moderno, grande aeroporto civile, direttamente collegato alla rete autostradale e ferroviaria regionale. Se ne avvantaggeranno innanzitutto i porti del casertano e dell’area flegrea, molto vicini, ma anche i porti lungo i golfi di Napoli e di Salerno, tutti raggiungibili su autostrada ed alcuni su ferrovia in tempi compresi tra una e due ore. Capua, infine, è un aeroporto gestito da un aeroclub locale, interessante, in futuro, per utenti di aviazione generale diretti nei porti più vicini, e cioè, di nuovo quelli della costa casertana e della zona flegrea e per insediamenti industriali del comparto aerospaziale. 2.10 - Il sistema della portualita’ regionale Nel settore della portualità, la Regione Campania ha individuato l’esigenza di promuovere un sistema integrato di porti e approdi sia per quanto concerne le funzioni commerciali dei due porti principali di Napoli e Salerno, sia per quanto riguarda le funzioni di sviluppo turistico e promozione dei servizi di trasporto pubblico via mare dei porti regionali.

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A tale scopo la Regione Campania, da un lato, ha individuato gli interventi più significativi per l’adeguame nto e lo sviluppo infrastrutturale del sistema commerciale principale, dall’altro ha individuato la necessità di dare avvio alla redazione di documenti di programmazione e progettazione integrata per quanto attiene le funzioni turistiche e del trasporto collettivo. A) Per quanto concerne gli interventi attualmente programmati sul settore portuale di interesse nazionale e internazionale, essi si riferiscono all’infrastrutturazione dei porti di Napoli e Salerno; in particolare, per il Porto di Napoli sono previsti investimenti per un totale di € 78.260.000 rappresentati da: - costruzione di un fascio di binari per la formazione di convogli nella fascia doganale della Darsena di Levante da collegare al fascio esistente dei binari Ferport e quindi alla rete RFI attraverso il raccordo Napoli–Traccia; - realizzazione viabilità per la separazione dei flussi di traffico e la regolarizzazione della mobilità all’interno dell’area portuale; - collegamento della Darsena di Levante alla rete autostradale con soluzione che escluda il traffico pesante in uscita e in ingresso dal traffico urbano. Per il porto di Salerno sono previsti investimenti per un totale di € 122.000.000 rappresentati da: - costruzione della stazione marittima e della annessa banchina per lo scalo crocieristico; - realizzazione di un retroporto nell’area di Cernicchiara; - opere per allargamento Molo 3 Gennaio; - realizzazione viabilità interna per regolarizzazione flussi di traffico in area portuale; - costruzione svincolo su A3 per realizzazione vie accesso da e per area portuale; - realizzazione collegamento ferroviario tra area portuale e stazione ferroviaria di Salerno. B) Per quanto riguarda il Sistema della Portualità di interesse regionale, gli studi preliminari avviati per il documento di programmazione sul, si sviluppano in funzione dei seguenti obiettivi: - offrire convenienza localizzativa - in senso lato - ai settori produttivi legati alla portualità, migliorando le condizioni strutturali che influiscono sulla loro competitività; - indurre un’occupazione qualificata attraverso la formazione professionale e la creazione di posti di lavoro nei segmenti di punta dell’economia portuale e del suo indotto; - contribuire alla tutela e alla riqualificazione della fascia costiera attraverso metodologie progettuali, criteri normativi, aspetti procedurali tesi a garantire la compatibilità e la sensibilità ambientale degli interventi; - recuperare e riqualificare aree ed infrastrutture portuali dismesse o in via di dismissione; - creare un’alternativa modale valida ed efficiente per gli spostamenti che si sviluppano lungo la fascia costiera; - generare lo sviluppo di un turismo durevole attraverso il rilancio della nautica da diporto. Le componenti considerate nell’analisi del sistema integrato della portualità sono: - il trasporto merci, per il quale è fondamentale l’integrazione con le reti infrastrutturali e logistiche terrestri; - il trasporto passeggeri, sia sulle medio-lunghe distanze (cabotaggio nazionale ed internazionale) che sulle brevi distanze (ambito regionale); - il settore crocieristico; - il settore della pesca; - la nautica da diporto; - le attività cantieristiche di costruzioni e riparazioni navali. L’obiettivo è, dunque, la realizzazione di un sistema della portualità che in relazione ai porti commerciali di rilevanza nazionale favorisca l’integrazione del segmento marittimo con le altre modalità di trasporto, quindi con le principali reti e nodi di collegamento a scala sovra-regionale;

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Capitolo III Turismo e infrastrutture in Campania

3.1 - Infrastrutture e crescita economica La spesa in opere pubbliche contribuisce ad allargare la base produttiva e a elevare il livello dell’attività economica e del reddito nelle regioni. I tentativi di spiegare i meccanismi attraverso i quali si determina tale evidenza hanno tuttavia mostrato che il capitale pubblico eserciterebbe rispetto al capitale privato una funzione di complementarità, ma non tanto nel senso della sinergia quanto piuttosto della pura e semplice addizionalità, verificabile in termini statistici. Le regressioni econometriche effettuate nell’ambito di diversi studi 6 , infatti, mostrano che a parte il modesto contributo fornito dalle linee di trasporto, il contributo della spesa in opere pubbliche non risulta significativo rispetto alle variazioni della produttività del capitale nel settore privato. Queste ultime sembrerebbero piuttosto determinarsi nell’ambito dello stesso settore privato (industria manifatturiera e terziario privato) . Sul piano degli aggregati e nell’ultimo ventennio dovrebbe dunque sostanzialmente escludersi nella regione la possibilità di effetti indotti derivanti dalla spesa infrastrutturale destinata al miglioramento delle condizioni ambientali. Al contrario, in termini prospettici i risultati delle regressioni sembrano delineare, in termini aggregati, la possibilità di un rallentamento, o quantomeno di un contenimento del tasso di crescita dell’economia regionale, probabilmente per effetto della concentrazione della spesa in settori e comparti ad alta intensità di capitale ma più tradizionali dal punto di vista tecnologico, a valore aggiunto relativamente minore, con minori effetti indotti e con scarse ricadute occupazionali (se non a livello strettamente locale) come, appunto, quello delle costruzioni. Gli interventi effettuati nel periodo, insomma, pur fornendo un positivo contributo addizionale al sostegno del reddito e alla crescita corrente, sotto il profilo prospettico sembrano sostanzialmente aver mancato l’obiettivo di generare i presupposti per una crescita autopropulsiva. Questo può essere avvenuto per due principali ragioni, di ordine quantitativo e qualitativo: 1. il ritardo, o l’eccessivo costo, degli interventi; 2. una loro non ottimale calibratura, in termini settoriali o territoriali, rispetto alle reali esigenze della popolazione servita (famiglie, imprese, sistemi locali). Una sintesi eclatante di ritardi e inefficienze, pur in presenza di ingenti e continui stanziamenti, è quella del sistema dei trasporti, che - nonostante assorba strutturalmente (tra opere pubbliche stradali, portuali, aeroportuali, ferrovie e altre linee di trasporto) oltre il 30% della spesa per opere pubbliche nella regione - non sembra a tutt’oggi essere riuscito a influire significativamente sulla riduzione di quello che appare come il principale costo di transazione per l’economia regionale. L’evidenza relativa all’aumento dei flussi privati di investimento in mezzi di trasporto connessi all’evoluzione dello stock di capitale pubblico nel settore può infatti essere interpretata, oltre che come adeguamento a un più elevato livello di offerta pubblica, anche nel senso di un aggravio dei costi generali del sistema. 3.2 - Infrastrutture e domanda turistica: il caso della Campania Nel dibattito di teoria economica sugli investimenti in infrastrutture, gli studiosi certamente concordano sulla circostanza che qualunque sia il soggetto che realizza, l’investimento genera un effetto positivo sulla crescita.

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Come indicato in apertura, il nostro intento è verificare l’effetto della spesa in infrastrutture sulla crescita della domanda turistica in Campania. Abbiamo preso in esame l’aeroporto e il porto e ci siamo trovati di fronte a due situazioni diverse: nel primo caso è stata una società a capitale prevalentemente privato - la GESAC10 - che ha investito in infrastrutture a Capodichino a partire dal 1995; nel secondo caso è stato invece il settore pubblico a investire per riqualificare il porto di Napoli e riproporre la città come nodo centrale di scambio turistico nel Mediterraneo. In entrambi i casi abbiamo concluso che l’investimento in infrastrutture ha realizzato – nel trend di lungo periodo – una crescita della domanda turistica ed in particolare dell’indicatore che meglio la rappresenta – il traffico passeggeri. Ma ricostruiamo la nostra indagine. 3.3 - La dotazione di infrastrutture nel Mezzogiorno e in Campania Le infrastrutture considerate per questa analisi - mutuate dalle indagini dell’Istituto Tagliacarne – sono state valutate in base a 1) indicatori fisici (lunghezza complessiva della rete autostradale, estensione delle piste aeroportuali, ecc.) e b) attraverso indicatori di performance o grado di efficienza delle infrastrutture disponibili (linee ferroviarie elettrificate e/o a binario doppio rispetto alla rete complessiva, numerosità delle corsie stradali, ecc.). Questi indicatori di sintesi sono stati successivamente riproporzionati sul dato nazionale, così che - posta pari a 100 la dotazione media nella particolare infrastruttura in Italia - un valore superiore a 100 in una data area territoriale individua una dotazione superiore alla media del Paese, e viceversa, un valore inferiore segnala una carenza di tale infrastruttura rispetto all'Italia11. Da una prima analisi si evince che (Figura 1) il Mezzogiorno risulta avere un valore della dotazione di infrastrutture inferiore rispetto alla media dell’Italia. Questo permette di affermare che esiste una dotazione di infrastrutture nel Sud Italia di gran lunga inferiore rispetto alla media del Paese. Figura 1 Indicatori di dotazione Infrastrutturale

10 Il capitale della GESAC è composto come di seguito indicato: 11 "La dotazione delle infrastrutture per lo sviluppo delle imprese nelle 103 province", pubblicazione a cura dell’istituto Guglielmo Tagliacarne e dell’Unioncamere, 2002.

BAA Italia 65,00

Comune di Napoli 12,50

Provincia di Napoli 12,50

SEA S.p.A. 5,00

Napoli GESAC S.p.A. € 12.912.500

Interporto Campano S.p.A. 5,00

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