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DISTRETT i TALI A Guida aiDistrettiItaliani 2005 2006 Le Balze

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DISTRETTiTALIAGuidaaiDistrettiItaliani20052006

Le Balze

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L’Italia dei Distretti

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U:\Elenco Distretti Guida.doc

ABRUZZO Distretto del mobile dell’Abruzzo centro-settentrionale Distretto della pasta di Casoli – Fara San Martino Distretto agroalimentare della Marsica Distretto del vetro di Vasto – San Salvo – Gissi - Atessa Distretto di Vibrata – Tordino Vomano BASILICATA Distretto della corsetteria di Lavello Distretto del Mobile di Matera Distretto agroalimentare di Vulture

CALABRIA Distretto agroalimentare di Bisignano Distretto agroalimantare di Maierato Distretto agroalimentare di Sibari

CAMPANIA Distretto tessile di Calitri Distretto calzaturiero di Grumo Nevano – Aversa – Trentola Ducenta Distretto orafo di Marcianise Distretto agroalimentare di Nocera Inferiore – Gragnano Distretto tessile di Sant’Agata dei Goti – Casapulla Distretto tessile di San Giuseppe Vesuviano Distretto tessile di San Marco dei Cavoti Distretto conciario di Solfora

EMILIA-ROMAGNA Distretto motoristico di Bologna Distretto tessile di Carpi Distretto agricolo-meccanico di Cento Distretto della ceramica di Faenza Distretto del mobile di Forlì Distretto calzaturiero di Fusignano e Bagnacavallo Distretto biomedicale di Mirandola Distretto agroalimentare di Parma Langhirano Distretto turistico di Rimini Distretto calzaturiero di San Mauro in Pascoli Distretto ceramico di Sassuolo

FRIULI VENEZIA GIULIA Distretto del coltello Distretto del mobile Distretto alimentare di San Daniele Distretto della sedia Distretto della Pietra piasentina LAZIO Distretto aeronautico, aerospaziale, aeroportuale Distretto della ceramica di Civita Castellana Distretto della pietra dei Monti Ausoni – Tiburtina Distretto dell’abbigliamento della Valle del Liri LIGURIA Distretto della cantieristica, nautica, meccanica di La Spezia Distretto dell’elettronica di Genova Distretto agroalimentare di Imperia Distretto dei mezzi di trasporto di Savona Distretto del vetro e della ceramica di Savona Distretto agricolo florovivaistico del ponente Distretto della lavorazione della pietra di Tigullio LOMBARDIA Distretto del mobile della Brianza Distretto del giocattolo di Canneto sull’Oglio Distretto della calzetteria di Castel Goffredo Distretto dell’elettronica dell’est milanese Distretto dell’abbigliamento gallaratese Distretto del bottone di Grumello del Monte Metadistretto del design Distretto dei metalli lecchese

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U:\Elenco Distretti Guida.doc

Distretto tessile lecchese Metadistretto della moda Distretto della forbice di Premana Distretto della gomma di Sebino Distretto serico comasco Distretto agricolo di Sermide Distretto della meccanica della valle dell’Arno Distretto del ferro delle valli Bresciane Distretto tessile della Val Seriana Distretto del legno viadanese-casalasco Distretto meccano-calzaturiero di Vigevano MARCHE Distretto degli strumenti musicali di Castelfidardo – Loreto – Recanati Distretto degli elettrodomestici di Fabriano Distretto calzaturiero di Fermo Distretto del mobile di Pesaro Distretto agroindustriale di San Benedetto del Tronto Distretto del cappello MOLISE Distretto dell’abbigliamento

PIEMONTE Distretto laniero di Biella Distretto tessile di Chieri – Coccolato Distretto della rubinetteria di Cusio – Valsesia Distretto agroalimentare di La Morra Distretto tessile di Oleggio – Varallo Pombia Distretto del metallo di Pianezza – Pinerolo Distretto del vino di Santo Stefano Belbo Distretto orafo di Valenza Po Distretto dei casalinghi di Verbano – Cusio – Ossola PUGLIA Distretto calzaturiero di Barletta Distretto calzaturiero di Casarano SARDEGNA Distretto del pecorino Distretto del granito di Gallura Distretto del marmo di Orosei Distretto del sughero di Calangianus – Tempio Pausania Distretto del tappeto di Samugheo SICILIA Distretto della ceramica di Caltagirone Distretto della ceramica di Santo Stefano di Camastra Distretto tecnologico Etna Valley Distretto produttivo della pesca di Mazara del Vallo Distretto alimentare ortofrutticolo di Pachino Distretto tessile di Bronte TOSCANA Distretto orafo di Arezzo Distretto cartario di Capannoni Distretto del marmo di Carrara Distretto della pelle, cuoio e calzature di Castelfiorentino Distretto dell’abbigliamento di Empoli Distretto calzaturiero di Lucca Distretto del mobile di Poggibonsi Distretto tessile di Prato Distretto conciario e calzaturiero di Santa Croce sull’Arno Distretto della pelle, cuoio e calzature di Valdarno superiore Distretto calzaturiero di Valdinievole TRENTINO ALTO ADIGE Distretto del porfido della Val di Cembra

UMBRIA Distretto del ricamo di Assisi

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U:\Elenco Distretti Guida.doc

Distretto della grafica-cartotecnica di Città di Castello – San Giustino Distretto della ceramica di Deruta Distretto dell’arredamento e metalmeccanica di Marciano VENETO Distretto argentiero Distretto del mobile classico della pianura veneta Distretto del mobile d’arte di Bassano Distretto dell’occhiale di Belluno Distretto Veneto dei Beni Culturali Distretto calzaturiero veronese Distretto provinciale della cantieristica nautica veneziana Distretto del grafico-cartario veronese Distretto della ceramica terracotta Distretto vicentino della concia Distretto ittico della Provincia di Rovigo Distretto delle attrezzature alberghiere Distretto del prosecco DOC Distretto trevigiano della bioedilizia Distretto regionale della gomma e materie plastiche Distretto della meccanica e della subfurnitura Distretto sistema moda Distretto turistico del Garda Distretto della giostra Distretto dell’informatica e del tecnologico avanzato Distretto lattiero-caseario Distretto padovano della logistica Distretto della meccanotronica Distretto dello Sportsystem di Montebelluna Distretto del vetro artistico di Murano Distretto trevigiano del legno arredo Distretto orafo vicentino Distretto ortofrutticolo Distretto del packaging Distretto della portualità, intermodalità e logistica province di VE e TV Distretto logistico veronese Distretto del condizionamento e della refrigerazione industriale Distretto calzaturiero del Brenta Distretto agroittico di Venezia Distretto termale euganeo Distretto della termomeccanica – Veneto clima Distretto turistico delle province di VE, RO, TV, VI Distretto del marmo e delle pietre Distretto dell’abbigliamento Distretto del vino

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ITALIA TERRA DI DISTRETTI

In nessun altro Paese al mondo il peso dei Distretti Industriali è tanto significativo nel-l’economia come in Italia. Benché siano in corso riflessioni, non sempre chiare, sucome articolare una riforma dei cosiddetti ‘Distretti amministrativi’, questa Guida sioccupa essenzialmente dei ‘Distretti di fatto’, partendo dal presupposto che i profili dieconomia reale siano quelli di gran lunga più importanti. Ed è precisamente a questiprofili che più si riferisce il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi quandoauspica un rilancio dell’economia italiana che parta proprio dai Distretti Industriali,che egli ben conosce avendo visitato in lungo e in largo le Province italiane durante ilsuo mandato entrando in vivo contatto con le straordinarie realtà produttive delnostro territorio.Considerando i 199 Sistemi locali del lavoro, Distretti di piccola e media impresa indi-viduati dall’ISTAT, possiamo osservare che nel 2001 essi hanno generato un valoreaggiunto complessivo (considerando anche agricoltura e servizi) pari al 27% di quellonazionale. Il loro peso nella generazione del valore aggiunto industriale del Paese(incluse le costruzioni) è invece pari al 38%. Per quanto riguarda il commercio estero,l’ISTAT ha stimato che i 199 Distretti da esso ufficialmente riconosciuti rappresentinoil 44% circa dell’export manifatturiero, con punte del 67% nel caso dell’export di pro-dotti del tessile-abbigliamento, cuoio-pelletteria-calzature e mobilio, del 60% in quellodell’export di prodotti della lavorazione dei minerali non metalliferi (principalmentepiastrelle e pietre ornamentali) e del 52% nell’export di macchine e apparecchi.Secondo la definizione ormai classica di Giacomo Becattini un ‘Distretto’ è «un’entitàsocio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circo-scritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e diuna popolazione di imprese industriali. Nel distretto, a differenza di quanto accade inaltri ambienti (ad es. la città manifatturiera), la comunità e le imprese tendono, per cosìdire, ad interpenetrarsi a vicenda». La definizione di Becattini si attaglia perfettamen-te alle realtà distrettuali italiane, sviluppatesi soprattutto nelle aree lontane dai grandicentri metropolitani, nelle province e nelle vallate del paese durante gli ultimi quattrodecenni del XX secolo. È una definizione che sottolinea i profili non solo economici, maanche sociali dei Distretti. Per Becattini i Distretti sono soprattutto delle comunità loca-li, già piuttosto caratterizzate, in cui l’emergere di alcune produzioni manifatturiere dieccellenza finisce con il rafforzare lo spirito d’identità dei propri abitanti e il loro attac-camento al territorio in cui vivono. Gli imprenditori dei Distretti sono particolarmenteorgogliosi del successo delle loro aziende e di quello del loro territorio, a cui tutti sonoconsapevoli di aver contribuito, in modo più o meno determinante: anche le imprese piùpiccole e quelle dell’indotto si sentono partecipi di tale successo. All’interno delDistretto essere un imprenditore capace conta ancor più che in altri contesti e lo ‘sta-tus’ di imprenditore nel settore industriale d’elezione del Distretto rappresenta unobiettivo ampiamente condiviso e perseguito: il che genera una spinta motivazionaleassai forte per la crescita individuale dei membri della comunità. Fondamentale è loslancio imprenditoriale delle popolazioni e la loro volontà di affermarsi nel campo dellaproduzione. Nei Distretti italiani si respira una spiccata ‘atmosfera industriale’ di marshallianamemoria. Vi operano prevalentemente piccole e medie imprese (PMI), ma spesso emer-gono anche alcune imprese leader di maggiori dimensioni. Da queste frequentementenascono a loro volta nuove imprese, attraverso un processo definito di ‘gemmazione’,

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allorché alcuni dipendenti lasciano l’azienda di origine per avviare in proprio iniziati-ve imprenditoriali. Nei Distretti, in effetti, tanti tecnici ed ex-operai diventano impren-ditori. La manodopera è, inoltre, altamente specializzata. La comunità locale accumu-la nei ‘mestieri’ di eccellenza un know how (o ‘sapere contestuale’) sempre più impor-tante e caratterizzante la comunità stessa. La ‘filiera’, con tutte le ramificazioni specia-lizzate dell’indotto, riveste un ruolo cruciale.Un altro aspetto peculiare dei Distretti è la combinazione tra competizione e collabora-zione tra le imprese. All’interno del ‘Distretto’ la competizione tra le imprese è assaiforte e seleziona le aziende migliori e più efficienti. Ma, nello stesso tempo, le impresedei Distretti spesso collaborano tra di loro a progetti comuni, come iniziative per la pro-mozione all’estero dei prodotti, consorzi per gestire i problemi ambientali o l’acquistodi energia elettrica ecc. Sul piano storico, nell’esperienza italiana i Distretti rappresentano la risposta ‘sponta-nea’ di un sistema economico periferico ricco di grandi potenzialità, ma sostanzialmen-te ignorato da una politica industriale dirigista, sempre più sbilanciata verso i settori‘protetti’ dell’industria di Stato, mentre si assiste contemporaneamente a un declinodelle grandi aziende delle famiglie storiche del capitalismo italiano. Così, il capitalismodelle PMI distrettuali, partendo spesso (anche se non sempre) da tradizioni artigianalilocali, individua un sentiero di sviluppo autonomo, scegliendo la via della modernizza-zione delle industrie leggere e delle nicchie manifatturiere; esso si abitua a lavoraresenza ‘protezioni’ o ‘aiuti’ e sin dagli anni sessanta privilegia come suo principale rife-rimento il mercato mondiale, mentre la grande impresa continua a operare essenzial-mente sul mercato interno in condizioni spesso monopolistiche o quasi-monopolistiche.Quella dei mercati esteri è una palestra fondamentale in cui i Distretti e le PMI irrobu-stiscono la loro capacità competitiva. Comincia proprio nella seconda metà degli annisessanta la crescita impetuosa, durata sino a oggi, dell’export dei settori del ‘made inItaly’ e i Distretti diventano presto, nei loro comparti di specializzazione, delle realtàleader a livello mondiale.In particolare, l’avvio del boom del fenomeno distrettuale italiano può essere collocatosubito dopo la fine del ‘miracolo economico’. La ricostruzione postbellica e gli anni dal1958 al 1963 avevano infatti costituito un formidabile volano per l’industrializzazionedelle attività artigiane e il decollo dei Distretti. Ma, dopo la recessione del 1964-1965, irallentati tassi di crescita e le dimensioni limitate del mercato interno italiano nonapparvero evidentemente più sufficienti alle imprese distrettuali per garantire loro ade-guati margini di sviluppo. Fu perciò quasi del tutto naturale per gli operatori del ‘madein Italy’ spostare l’attenzione sui mercati internazionali: le imprese dei Distretti impa-rarono a misurarsi con i più agguerriti concorrenti stranieri e a vendere sempre piùall’estero. L’avvio su vasta scala delle esportazioni di calzature, mobili, oreficeria, tessuti e abbi-gliamento, piastrelle ceramiche, rubinetti, ecc. dei Distretti italiani comincia, come giàdetto in precedenza, proprio nella seconda metà degli anni sessanta. In molti settori del‘made in Italy’ il Distretto, visto nel suo insieme, diventa una formidabile macchinaproduttiva. Le imprese, prevalentemente piccole e medie, sono snelle e veloci, si adat-tano rapidamente ai cambiamenti. La disoccupazione nei Distretti è pressoché inesi-stente. Le tensioni sociali sono ridotte al minimo, mentre al contrario nelle grandi cittàindustriali si vivono nei settanta gli anni difficili dei conflitti sindacali esasperati e delterrorismo. Nacque così, quasi spontaneamente e al di fuori di qualsiasi disegno preordinato di poli-

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tica industriale, il miracolo del ‘made in Italy’, che in gran parte è stato costruito pro-prio dai Distretti. Mentre i mass media si occupavano d’altro e il dibattito economicocontinuava in prevalenza a chiedersi in quali settori dovesse specializzarsi l’Italia, secioè fosse meglio la chimica o l’elettronica, mentre il dirigismo e i sussidi imperversava-no ponendo le basi per un inevitabile indebolimento strutturale della grande impresa,l’economia reale aveva già fatto le sue scelte, privilegiando il mercato internazionale;scegliendo le specializzazioni nei settori della moda, dell’arredo-casa, dell’alimentare,della meccanica leggera; adottando l’agile dimensione aziendale della PMI; esaltandol’organizzazione produttiva per Distretti; esprimendo nuove dinamiche aree regionali:il Nord Est e la costa adriatica.Gli anni ottanta e soprattutto i novanta sono il periodo di massimo sviluppo del model-lo dei Distretti e del ‘made in Italy’. Nel 1996 l’Italia diventa il terzo paese del mondodopo Germania e Giappone per livello del proprio saldo commerciale. Tutto ciò senzapossedere nemmeno lontanamente il numero di grandi imprese degli altri paesi indu-strializzati; avendo inoltre una presenza marginale nei settori high tech, dove invece talipaesi sono estremamente attivi e operando con i vincoli di un ‘sistema paese’ fortemen-te penalizzante (con i più alti costi dell’energia d’Europa, una crescente congestionedelle reti di trasporto e altre gravi inefficienze nelle infrastrutture, una pesante buro-crazia che costituisce un freno per le imprese ecc.). Per tutte queste ragioni si può dav-vero parlare di ‘miracolo’ dei Distretti e del ‘made in Italy’: un fenomeno che tutto ilmondo ha ammirato e studiato. Secondo Quadrio Curzio, la storia distrettuale italiana ha costituito altresì una formaparticolarmente interessante di sussidiarietà orizzontale, in quanto ha combinatoimprenditorialità, società ed economia con almeno tre caratteristiche distintive. Laprima è il recupero in termini di contemporaneità del gusto italiano, che ha caratteriz-zato tutta la nostra storia artistica e artigianale, traducendosi poi nel design del ‘madein Italy’. La seconda caratteristica è la valorizzazione del ‘piccolo connesso al piccolo’nei sistemi reticolari distrettuali. La somma di quelle che individualmente erano delledebolezze delle PMI ha generato la forza dei Distretti sotto due profili: l’innovazione el’internazionalizzazione. La terza caratteristica è la dimensione totale dei Distretti nel-l’economia italiana, già ricordata all’inizio. Nel manifatturiero essi hanno rappresenta-to, con tutte le altre pmi, la forza dell’Italia che ha creato occupazione e surplus com-merciali, mentre le grandi imprese iniziavano purtroppo un declino che tuttora nonsembra concluso.Con gli anni novanta, dopo la fase della crescita tumultuosa e ininterrotta, i Distretti sitrovano anche a dover affrontare alcuni nuovi problemi. In alcuni comparti a minorvalore aggiunto, specie della moda, comincia a farsi sentire la concorrenza dei paesiasiatici: Taiwan, la Corea del Sud, la Cina, la Turchia, l’India. Per ridurre i costi diproduzione alcuni Distretti sperimentano perciò la strada della delocalizzazione: è ilcaso, per esempio, delle imprese del Triveneto migrate nell’Europa dell’Est. Il fenome-no della delocalizzazione, pur non assumendo almeno in questa fase dimensioni dirom-penti, pone per la prima volta al Distretto il problema del rischio della perdita dellapropria unitarietà, di una dispersione delle proprie conoscenze accumulate nel tempo edi una crisi strutturale delle proprie attività indotte. Parallelamente ‘l’isolamento’, un tempo fattore di coesione per il Distretto e per la suacomunità di persone, con la crescita delle dimensioni e dell’attività dei Distretti diven-ta per essi un fattore penalizzante. Aumentano, anche a causa dei cattivi collegamentistradali e ferroviari, i costi e i tempi per il trasporto delle merci dalle valli e dai centri

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periferici delle pianure ove sono collocati i Distretti sino ai porti e ai grandi centrimetropolitani. Gli stessi confini territoriali dei Distretti sembrano diventare più angu-sti man mano che crescono i volumi delle produzioni. Nei Distretti si producono ormaiogni anno milioni di metri quadrati di tessuti, legname lavorato, pelli conciate e pia-strelle, milioni di paia di scarpe e calze, rubinetti, valvole, maniglie, oggetti di ferra-menta, ecc. Aumentano i problemi ambientali, la cui soluzione richiede investimenti ecosti aggiuntivi. Emerge anche una carenza di manodopera specializzata, mentre gliimmigrati vengono sempre più impiegati nei lavori meno graditi. Nello stesso tempo, lecomunità di immigrati (il caso più eclatante è quello della comunità cinese a Prato) pon-gono ai Distretti problemi di ordine sociale in precedenza sconosciuti. Secondo alcuniosservatori anche la voglia di intraprendere, caratteristica degli abitanti dei Distretti,sarebbe in parte scemata con la diffusione del benessere e con l’avvento delle nuovegenerazioni, meno motivate e interessate rispetto a quelle dei nonni e dei padri alla vitadi impresa: questo aspetto è stato considerato, per esempio, tra le cause del recente ral-lentamento della crescita del Nord Est. Inoltre, alla fine degli anni novanta, il prezzo del petrolio (cruciale per un paese comeil nostro, la cui produzione di energia elettrica dipende per oltre i 2/3 dagli idrocarbu-ri) conosce una straordinaria accelerazione ben oltre i 50 dollari il barile nel 2004-2005,con un effetto di trascinamento anche sui prezzi del gas naturale, facendo lievitare icosti di produzione delle imprese italiane, sempre più svantaggiate rispetto a quelle dipaesi concorrenti meno dipendenti di noi da gas e petrolio (grazie al nucleare e al car-bone). La situazione si è fatta particolarmente critica specie per i settori e i Distretti piùenergivori del ‘made in Italy’, tra cui quelli delle piastrelle e del tessile.Da ultimo, l’entrata dell’Italia nell’euro ha segnato la fine delle occasionali e periodi-che svalutazioni della lira, che nei decenni precedenti avevano rappresentato per leimprese una sorta di parziale forma di compensazione a fronte delle numerose ineffi-cienze del ‘sistema paese’, tra cui, oltre agli elevati costi dell’energia, primeggiano ilpeso della burocrazia sulle imprese, le carenze nei trasporti e nelle infrastrutture, loscarso sostegno alle imprese sul fronte dell’export.In questo nuovo contesto, dominato dall’avvento della globalizzazione, è stata avanza-ta da più parti l’ipotesi che i fattori un tempo punti di forza dei Distretti (la piccoladimensione delle imprese, l’ancoraggio al territorio e la vocazione essenzialmente espor-tatrice piuttosto che quella verso l’investimento produttivo negli altri paesi) possanotrasformarsi oggi in fattori strutturali di debolezza per il nostro sistema manifatturie-ro. Nel corso della perdurante crisi dell’economia mondiale, ma soprattutto europea eitaliana, che ha contrassegnato il quinquennio 2001-2005, durante la quale il saldo dellabilancia commerciale italiana si è addirittura capovolto diventando passivo, si è ancheargomentato che i problemi attuali dell’Italia dipenderebbero soprattutto dal suomodello di specializzazione a cui si rimproverano essenzialmente due limiti: il non pos-sedere un significativo numero di grandi imprese e il non essere presente nei settori adalta tecnologia a più rapida crescita.Questa corrente di pensiero, che pure ha il merito di avere sollevato questioni impor-tanti, ha a nostro avviso un difetto fondamentale di impostazione. Non è infatti almodello dei Distretti e del ‘made in Italy’ in sé che può essere imputata la crisi dellagrande impresa italiana o la marginale presenza del nostro paese nei settori ad altatecnologia. Alla base di questi due elementi di debolezza del nostro sistema produtti-vo vi sono radici storiche e motivazioni che non hanno nulla a che vedere con iDistretti e le PMI. Piuttosto, dovremmo essere contenti del fatto che, a fronte dei fal-

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limenti in altri campi e settori di impresa, il nostro paese sia riuscito a esprimere ilmiracolo del ‘made in Italy’, che ha generato la maggior parte di quella ricchezza e diquelle risorse senza le quali non avremmo nemmeno potuto tentare di entrare a farparte dell’area dell’euro. Inoltre molti economisti italiani continuano a sottovalutare pericolosamente l’impattodella concorrenza ‘asimmetrica’ cinese sull’economia del nostro Paese, attribuendo laperdita di competitività dell’Italia soprattutto ad altri fattori, pure importanti, ma anostro avviso non così decisivi quanto il fattore asiatico. Negli ultimi tempi, quasi a ‘giu-stificare’ la Cina e spesso sotto la pressione di interessi lobbystici, sono state dette anchemolte inesattezze e assurdità sull’industria italiana. Si è affermato, per esempio, che laCina è un falso problema, che è un puro spauracchio agitato dai ‘protezionisti’, e ariprova di ciò si argomentato che l’Italia sta perdendo quote di mercato anche nell’areadell’euro. I sostenitori di questa tesi dimenticano però un piccolo particolare: è stata laCina, e non gli altri Paesi europei, a sottrarci quote di mercato in Europa negli ultimianni, per un ammontare che tra il 1996 e il 2004 può essere quantificato in almeno 13miliardi di euro nei soli principali settori di punta del ‘made in Italy’. È stato detto,inoltre, che non possiamo oggi chiedere tutele o ‘protezioni’ contro la concorrenza cine-se perché un tempo siamo stati noi i ‘cinesi’ d’Europa, alludendo al sommerso, alle irre-golarità del nostro mercato del lavoro, alla contraffazione che pure esiste anche inItalia, alle passate svalutazioni della lira. Forse questi critici casalinghi del nostro siste-ma industriale si dimenticano che l’Italia del ‘boom’ economico degli anni sessanta e delmiracolo del ‘made in Italy’ dei decenni successivi era comunque un Paese democrati-co – assolutamente non confrontabile con la Cina, con la sua dittatura e le sue ‘fabbri-che-caserme’ – e che nel nostro Paese i fenomeni economici virtuosi hanno comunquesempre prevalso nettamente su quelli condannabili del lavoro nero o del controllo dicerte nicchie o aree industriali da parte della malavita. Molta confusione è stata altresìalimentata sulla contraffazione italiana, che va, come è ovvio, duramente combattuta,ma che in verità non ha nulla a che spartire in termini dimensionali con quella cinese:basti pensare che i 2/3 dei prodotti ‘falsi’ intercettati dalle dogane europee sono di pro-venienza cinese. Lo stesso fenomeno del sommerso ha oggi dimensioni abbastanza limi-tate nel settore manifatturiero italiano, mentre si tende frequentemente ad alimentarela tesi opposta, magari nuovamente per ‘giustificare’ la Cina. Di fatto, come rileval’ISTAT, nell’industria manifatturiera italiana, specie nelle aree di maggiore industria-lizzazione del Nord e del Centro, si registrano percentuali di lavoro irregolare non dis-simili da quelle di altri Paesi europei. Per contro, sono assai elevate in Italia le percen-tuali di lavoro nero nei settori dell’agricoltura, delle costruzioni e dei servizi. È dunquein questi settori che si annida e va fatto emergere il ‘sommerso’ italiano, evitando di get-tare strumentalmente una falsa luce di discredito sui comparti dell’industria manifattu-riera nazionale che si confrontano oggi ad armi impari con l’impero cinese del dumping,della contraffazione e del lavoro nero.Detto ciò, è innegabile che l’Italia si trovi oggi a dover affrontare un serio problema dicompetitività, specie di fronte alla debordante concorrenza ‘asimmetrica’ della Cinache sta producendo effetti devastanti sulle quote di mercato del nostro Paese nelmondo. Ed è assai probabile che i Distretti, le PMI e i settori classici del ‘made in Italy’,pur costituendo sempre una fondamentale e preziosa risorsa, possano in futuro nonbastare più da soli per consentire al nostro Paese di accrescere, o perlomeno mantene-re, il proprio livello di produzione e di benessere nel nuovo contesto competitivo mon-diale.

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La concorrenza ‘asimmetrica’ cinese sta determinando gravi problemi in molti settorimanifatturieri a forte organizzazione distrettuale in cui l’eccellenza italiana si era impo-sta nel mondo: tessile-abbigliamento, calzature, mobilio, oreficeria, rubinetteria, ecc.Qualcuno ha perciò parlato di crisi del modello dei Distretti. Noi riteniamo che leimprese ‘isolate’ (cioè non inserite in Distretti) appartenenti a questi settori, vivano oggidifficoltà anche superiori a quelle delle imprese distrettuali. Più che crisi del modellodei Distretti, stiamo dunque oggi attraversando una fase traumatica in cui la pesanteconcorrenza della Cina si è abbattuta a pioggia su quasi tutti i settori di specializzazio-ne manifatturiera dell’Italia. Come reagire? Con tre decisi passi avanti. Un primo passo riguarda la nostra colloca-zione nel quadro della nuova geopolitica mondiale: l’Italia non deve subire passivamen-te gli effetti della contraffazione e dei dumping asiatici, ma deve trovare finalmente lanecessaria compattezza per tutelare, in forma dinamica e non meramente difensiva, ipropri interessi economici in Europa e nelle sedi internazionali, sostenendo le PMI e iDistretti del ‘made in Italy’ dalle forme più aggressive di concorrenza asimmetrica esleale nel quadro di un processo di globalizzazione che mostra evidenti segni di squili-brio. Non si tratta di alimentare nostalgie di protezionismo ma di tutelare i legittimiinteressi dell’industria italiana nel quadro dei vigenti accordi internazionali: i dumpingdi varia natura della Cina e la contraffazione su vasta scala posta in essere dalle sueaziende a danno di imprese e prodotti del ‘made in Italy’ sono fenomeni, per usare leparole di Ciampi, «assolutamente inaccettabili».Un secondo passo riguarda il ‘sistema-Paese’: vanno perfezionati i processi di liberaliz-zazione avviati ma rimasti incompiuti, snellito l’apparato burocratico-amministrativo,reso più flessibile il mercato del lavoro e realizzati gli investimenti infrastrutturalinecessari per rendere più ‘attrattivo’ il contesto socioeconomico-territoriale in cui lenostre imprese operano. Un terzo passo riguarda l’apparato produttivo. Va favorita la crescita dimensionaledelle aziende, processo che è importante per varie ragioni: per realizzare, ove necessa-rie, delocalizzazioni produttive e commerciali rivolte soprattutto a penetrare nuovimercati; per accrescere le risorse da destinare alla R&S; per dar vita con opportuniinvestimenti in pubblicità e marketing a marchi aziendali sufficientemente affermati perpoter reggere la sfida della concorrenza globale.

Marco Fortis

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Distretto dello Sportsystem di Montebelluna

Con 386 aziende, 7.609 addetti e il 73% di produzio-ne esportata, il Distretto dello Sportsystem diMontebelluna è leader mondiale nella realizzazione dicalzature sportive tecniche, dallo scarpone da sci allapedula da trekking, dallo stivale da moto alla scarpada ciclismo. Le prime testimonianze sull’artigianatolocale calzaturiero risalgono agli inizi dell’Ottocento,

anche se questo know how affonda le radici nella tradizione veneziana deicalegheri e dei zavatteri. Per tutto il XIX secolo si sono prodotte prevalen-temente gallozze, robuste scarpe di cuoio e legno per i contadini del boscoMontello. Dopo la prima guerra mondiale, con il diffondersi in Italia dellapassione per le escursioni in montagna, Montebelluna colse al volo l’occasio-ne e, forte delle competenze maturate, iniziò a produrre pedule da roccia. Lesuccessive evoluzioni possono poi venire riassunte in una serie di diversifica-zioni produttive: negli anni trenta le aziende cominciano a realizzare scarpo-ni da sci; alla fine degli anni sessanta l’introduzione della plastica nello scar-pone spinge molti produttori, privi dei capitali per acquisire la nuova tecno-logia, a dedicarsi a calzature alternative: scarpe da calcio, moto, ciclismo,tennis, doposci ecc. Degli anni ottanta - novanta sono l’abbigliamento spor-tivo, il pattino in linea e lo snowboard, mentre recentemente sempre piùaziende hanno assecondato il boom della scarpa comoda da città, rivalutan-do il saper fare che risale ai primi scarpari.Da sempre votata all’internazionalizzazione, oggi l’area è caratterizzatadalla presenza di alcune multinazionali, insediatesi nel corso negli anninovanta tramite acquisizioni, di un buon numero di medie imprese di tradi-zione familiare e da un tessuto di PMI, che vanno a costituire un ricco indot-to fatto di aziende di accoppiatura, assemblaggio e montaggio, studi didesign, fustellifici, laccifici, produttori di macchinari, stampisti e aziende distampaggio, suolettifici, trancerie e tomaifici.

Vene

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ENTE DI RIFERIMENTO

Fondazione museo dello Scarpone e della Calzatura sportivaVilla Zuccareda Binetti, 131044 – Montebelluna (Tv)Tel. +39 0423 303282Fax +39 0423 609699Sito: www.montebellunadistrict.comE-mail: [email protected]

FONTI

Patto per lo sviluppo del Distretto dello Sportsystem di MontebellunaRapporto Osem 2004www.montebellunadistrict.com

IMPRESE

386 (dati 2004)

OCCUPATI

7.609

FATTURATO

1.378 milioni di euro

EXPORT

73,3%(pari a 965 milioni di euro)