Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

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ANALISI VETTORIALE Giovanni Maria Troianiello 13 febbraio 2011 Indice 1 Approfondimenti sull’integrale di Riemann 2 2 Integrali impropri e serie 4 3 Criterio del confronto, convergenza assoluta, convergenza condizionata 6 4 Integrali di Riemann dipendenti da parametri 10 5 Integrali impropri dipendenti da parametri 14 6 Il Teorema di Dini per funzioni scalari 18 7 Il Teorema di Dini per sistemi 22 8 Massimi e minimi vincolati 24 9 Un primo rapido approccio agli integrali doppi 28 10 Integrale delle funzioni a scala 32 11 Integrale superiore e integrale inferiore 33 12 Integrale doppio di Riemann 36 13 Alcune estensioni 40 14 Cambiamenti di variabili 43 1

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ANALISI VETTORIALE

Giovanni Maria Troianiello

13 febbraio 2011

Indice

1 Approfondimenti sull’integrale di Riemann 2

2 Integrali impropri e serie 4

3 Criterio del confronto, convergenza assoluta, convergenza condizionata 6

4 Integrali di Riemann dipendenti da parametri 10

5 Integrali impropri dipendenti da parametri 14

6 Il Teorema di Dini per funzioni scalari 18

7 Il Teorema di Dini per sistemi 22

8 Massimi e minimi vincolati 24

9 Un primo rapido approccio agli integrali doppi 28

10 Integrale delle funzioni a scala 32

11 Integrale superiore e integrale inferiore 33

12 Integrale doppio di Riemann 36

13 Alcune estensioni 40

14 Cambiamenti di variabili 43

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15 Richiami su curve ed integrali curvilinei 51

16 Lunghezza di una curva 55

17 La formula di Gauss–Green 57

18 Funzioni a valori complessi e operatori differenziali lineari 61

19 Una prima separazione delle variabili 64

20 La separazione della variabili in generale 65

21 Equazioni differenziali esatte 69

22 L’equazione di Bernoulli 71

23 L’equazione del II ordine 72

24 L’equazione omogenea 74

25 Il metodo dei coefficienti indeterminati per le equazioni del II ordine 77

26 La risonanza 78

27 Sistemi lineari omogenei – Matrici diagonalizzabili, matrici triangolarizzabili 80

28 Esistenza e unicita per i problemi di Cauchy 83

29 Tecniche risolutive per i sistemi di 2 equazioni 85

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1 Approfondimenti sull’integrale di Riemann

sec1

Nello studio dell’integrabilita secondo Riemann — e di tanti altri argomenti! — un ruolo fonda-mentale e svolto dalla nozione di uniforme continuita in un insieme I. Si tratta della proprietadi cui diciamo che gode una funzione f : I → R se ad ogni ε > 0 si puo associare un δ = δε > 0tale che |f(x)− f(x)| < ε per ogni coppia di punti x, x ∈ I con |x − x| < δ.

Ogni f lipschitziana in I, cioe tale che esista una costante K > 0 per la quale |f(x)− f(x)| ≤K|x − x| al variare di x, x in I, e uniformemente continua: basta prendere δ = ε/K.

Se I e un intervallo sia chiuso che limitato una f ∈ C1(I) vi e uniformemente continua. Infattila sua derivata f e dotata in I di massimo e di minimo assoluti per il Teorema di Weierstrass, edi conseguenza e soddisfatta la condizione di Lipschitz: |f(x) − f(x)| ≤ (maxI |f |)|x − x| perx, x ∈ I grazie al Teorema di Lagrange.

Notiamo tuttavia che una comunissima funzione come√x non e C1, e non e lipschitziana, in

I = [0, 1]. Vi e, comunque, uniformemente continua? Sı, semplicemente perche vi e continua, maquesto lo vedremo solo nelle considerazioni finali di questa sezione.

Affrontiamo alla luce dell’uniforme continuita il criterio di integrabilita di una funzione f definitae limitata nell’intervallo chiuso e limitato I = [a, b]. Affinche esista l’integrale (di Riemann) di f enecessario e sufficiente che ad ogni ε > 0 si possa associare una partizione x0 = a < x1 < x2 <· · · < xm = b di [a, b] tale che

m

h=1

sup

]xh−1,xh[f − inf

]xh−1,xh[f

(xh − xh−1) < ε. (1) sum

Ma quando f e continua negli [xh−1, xh] esistono

sup]xh−1,xh[

f = max[xh−1,xh]

f = f(xh), inf]xh−1,xh[

f = min[xh−1,xh]

f = f(xh)

per opportuni xh, xh ∈ [xh−1, xh], sicche la condizione (1) diventa

m

h=1

f(xh)− f(xh)

(xh − xh−1) < ε.

Quest’ultima disuguaglianza e immediata quando in piu si sa che f e uniformemente continua in[a, b]: richiedendo che xh−xh−1 < δ per h = 1, . . . ,m, con δ > 0 tale che |f(x)−f(x)| < ε/(b−a)per ogni coppia di punti x, x ∈ I con |x − x| < δ, si ottiene

m

h=1

f(xh)− f(xh)

(xh − xh−1) <

ε

b− a

m

h=1

(xh − xh−1) = ε.

E perche valga l’uniforme continuita una condizione sufficiente, come abbiamo visto, e che f sialipschitziana, o piu sbrigativamente che stia in C1([a, b]). Pero con questo approccio gia non siottiene, ad esempio, l’integrabilita di

√x, 0 ≤ x ≤ 1. E dunque chiaro che vale la pena di passare

ad un criterio di integrabilita un po’ piu maneggevole. Eccolo:

tint’ Teorema 1.1. Una funzione limitata f : [a, b] → R e integrabile se e di classe C1 al di fuori di un

numero finito di punti ξ0, . . . , ξn .

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DIM. Ci si convince facilmente – ricorrendo se necessario ad una opportuna suddivisione dell’inter-vallo in sottointervalli – che non e restrittivo limitarsi al caso che f sia di classe C1 in tutto [a, b]privato solo di un estremo, diciamo di ξ0 = b per fissare le idee.

Dato arbitrariamente ε > 0 scegliamo innanzitutto un B ∈]a, b[ tale che

2 sup[a,b]

|f |(b−B) <ε

2. (2) b-B

Applicando poi l’uniforme continuita di f in [a,B] otteniamo l’esistenza di un δ > 0 tale che

|f(x)− f(x)| < ε

2(b− a)

per tutti i punti x, x di tale intervallo che verificano |x − x| < δ.Sia x0 = a < · · · < xm−1 = B < xm = b una partizione di [a, b] con xh − xh−1 < δ per

h = 1, . . . ,m− 1. Allora, servendoci fra l’altro delle maggiorazioni

sup]xm−1,xm[

f − inf]xm−1,xm[

f ≤

sup]xm−1,xm[

f

+ inf]xm−1,xm[

f

≤ 2 sup[a,b]

|f |,

otteniamom

h=1

sup

]xh−1,xh[f − inf

]xh−1,xh[f

(xh − xh−1)

=m−1

h=1

f(xh)− f(xh)

(xh − xh−1) +

sup

]xm−1,xm[f − inf

]xm−1,xm[f

(xm − xm−1)

≤ ε

2(b− a)

m−1

h=1

(xh − xh−1) + 2

sup[a,b]

|f |(b−B) <

ε

2(b− a)(b− a) +

ε

2= ε.

Ne segue che la (1) e soddisfatta, e quindi che f e integrabile.

Questo teorema si applica subito per esempio a√x, che e C1 in ]0, 1] e C0 in [0, 1], quindi

limitata, ma anche a funzioni che in alcuni o tutti gli ξk presentino un numero finito di veri e proprisalti (discontinuita).

Torniamo adesso dal punto di vista piu generale sulla nozione di uniforme continuita in uninsieme I. E facile convincersi che essa implica la continuita in ogni punto di I: anzi, a primavista verrebbe fatto di dire che si tratti proprio della stessa cosa. E invece no, perche non vale ilviceversa, come mostrano i seguenti esempi.

Esempio 1.1. Sia I =]0, 1] (intervallo limitato, ma non chiuso). La funzione f(x) = sin(1/x) edi classe C0(I), ovvero continua in ogni punto di I, ma non uniformemente in I: la quantitaf(1/(2nπ + π/2)) − f(1/(2nπ)) = sin(2nπ + π/2) − sin(2nπ) e sempre = 1, dunque > ε nonappena ε < 1, nonostante che per ogni scelta di δ > 0 si possano sempre trovare infiniti n tali che0 < 1/(2nπ)− 1/(2nπ + π/2) < δ.

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Esempio 1.2. Sia I = [0,∞[ (intervallo chiuso, ma non limitato). La funzione f(x) = x2 e diclasse C0(I), ovvero continua in ogni punto di I, ma non uniformemente in I: per ogni scelta diδ > 0 e di x0 ≥ 1/δ la quantita f(x0 + δ/2)− f(x) = (2x0 + δ/2)δ/2 e > x0δ ≥ 1, dunque > ε nonappena ε < 1, e questo nonostante tutti i punti x0, x0 + δ/2 con x0 ≥ 1/δ distino meno di δ.

Si noti che in ciascuno dei due esempi la f e di classe C1, anzi C∞, nell’intervallo I in cuie stata definita, ma con derivata f illimitata — com’e ovvio, altrimenti il teorema di Lagran-ge implicherebbe la lipschitzianita (con costante di Lipschitz K = supI |f |) e quindi l’uniformecontinuita.

Ebbene: l’importantissimo Teorema di Heine–Cantor afferma che quando I e un sottoin-sieme sia chiuso che limitato di R, anzi piu in generale di un qualunque RN (con la distanza tradue punti al posto del modulo della differenza di due numeri), ogni f : I → R continua in I,come ad esempio

√x in I = [0, 1], vi e uniformemente continua. Questo ci consente di riformulare,

nella portata piu generale che e in effetti la sua, la condizione di integrabilita fornita dal Teorema1.1. Nella dimostrazione abbiamo infatti sfruttato in modo essenziale l’uniforme continuita di f in[a,B], e per ottenerla ci siamo serviti dell’ipotesi che lı f sia di classe C1. Alla luce del Teoremadi Heine–Cantor possiamo adesso dire che basta molto meno, e cioe che il Teorema 1.1 vale con laclasse C1 dell’ipotesi sostituita dalla classe C0:

tint’’’ Teorema 1.2. Una funzione limitata f : [a, b] → R e integrabile se e continua al di fuori di un

numero finito di punti ξ0, . . . , ξn .

Nel seguito, pur senza aver dimostrato il Teorema di Heine–Cantor, faremo il piu delle volteriferimento (magari tacito) al Teorema 1.2 invece che all’1.1.

2 Integrali impropri e serie

Per −∞ < a < b ≤ ∞ indichiamo con f una funzione [a, b[→ R integrabile secondo Riemann da aad B per ogni B ∈]a, b[.

Se aggiungiamo le ipotesi che (i) b sia finito e (ii) f sia limitata, la funzione e dotata di integraledi Riemann da a a b, con b

af(x) dx = lim

B→b−

B

af(x) dx. (3) int2

Dato arbitrariamente ε > 0, infatti, sia B ∈]a, b[ come nella (2) e sia x0 = a < · · · < xm−1 = Buna partizione di [a,B] per la quale, grazie all’ipotesi di integrabilita su [a,B], risulti

m−1

h=1

sup

]xh−1,xh[f − inf

]xh−1,xh[f

(xh − xh−1) <

ε

2.

Allora x0 = a < · · · < xm−1 = B < xm = b e una partizione di [a, b] per la quale risulta

m

h=1

sup

]xh−1,xh[f − inf

]xh−1,xh[f

(xh − xh−1) < ε

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(cfr. la dimostrazione del Teorema 1.1), da cui l’integrabilita secondo Riemann di f su [a, b]. Chepoi valga la (3) e conseguenza immediata di

b

af(x) dx−

B

af(x) dx

= b

Bf(t) dt

≤ sup[a,b]

|f |(b−B) < ε/2.

Lasciamo cadere almeno una tra la (i) e la (ii). Il primo membro della (3) non ha piu sensocome integrale di Riemann: lo chiamiamo integrale improprio di f da a a b. Il limite nel secondomembro (con l’intesa che b− si legga come ∞ se b = ∞) non e detto che esista, ne, se esiste, chesia finito. Se esiste diciamo che il suo valore e quello dell’integrale improprio a primo membro, chechiamiamo convergente o divergente a seconda che sia finito o no.

In maniera analoga a quanto abbiamo appena visto si affronta poi il caso di una funzione fdefinita su un ]a, b], dove −∞ ≤ a < b < ∞, e integrabile secondo Riemann su ogni sottointervallo[A, b], a < A < b, col valore dell’integrale improprio dato da

b

af(x) dx = lim

A→a+

b

Af(x) dx (4) int3

nel caso che il limite esista (e con l’intesa che a+ si legga come −∞ se a = −∞).Se infine f e una funzione definita su un ]a, b[ con −∞ ≤ a < b ≤ ∞ e integrabile secondo

Riemann su ogni sottointervallo [A,B] con a < A < B < b, il suo integrale improprio da a a b vale

b

af(x) dx = lim

A→a+,B→b−

B

Af(x) dx (5) int4

nel caso che entrambi i limiti — indipendenti! — esistano senza essere uguali uno a +∞ e l’altroa −∞.

e2.1 Esempio 2.1. (i) Sia f(x) = x−α, 0 < K ≤ x < ∞. La funzione

B

Kx−α dx

vale (B1−α − K1−α)/(1 − α) se α = 1 e logB − logK se α = 1. Ne segue che x−α e dotata diintegrale improprio da 1 a ∞ convergente (e uguale a K1−α/(α−1)) o divergente (a +∞) a secondache α > 1 o α ≤ 1.

(ii) Sia f(x) = x−α, 0 < x ≤ K < ∞. La funzione

K

Ax−α dx

vale (K1−α − A1−α)/(1 − α) se α = 1 e logK − logA se α = 1. Ne segue che x−α e dotata diintegrale improprio da 0 a 1 convergente (e uguale a K1−α/(1−α)) o divergente (a +∞) a secondache α < 1 o α ≥ 1.

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3 Criterio del confronto, convergenza assoluta, convergenza con-

dizionata

Una serie reale∞

n=K an (dove K e qualche naturale) si puo scrivere come integrale improprio dellafunzione

[K,∞[ x →∞

n=K

an1[n,n+1[(x)

(che su ogni intervallo limitato soddisfa l’ipotesi del Teorema 1.1 e di conseguenza e integrabile). Ciorende interessante, nel contesto dell’integrazione impropria, approfondire alcune questioni relativealle serie.

Ricordiamo il criterio del confronto per le serie a termini non negativi : se due successionireali an e bn verificano definitivamente

0 ≤ an ≤ bn

la convergenza della

bn implica quella della

an, mentre la divergenza della

an implica quelladella

bn.

Quando i termini di una serie soddisfano, da un certo punto in poi, le disuguaglianze strettean > 0, un’utile applicazione del criterio del confronto e il criterio del rapporto: condizionesufficiente affinche

an converga e che esista un numero ∈]0, 1[ tale che

an+1/an ≤ per n ≥ K (6) rapporto

dove K e un opportuno naturale. Infatti dalle disuguaglianze

aK+1 ≤ aK, aK+2 ≤ aK+1, . . . , an+K ≤ an−1+K

si ricava chean+K ≤ an+K−1 ≤ · · · ≤ aK+1

n−1 ≤ aKn

e quindi che la serie

n an+K e maggiorata termine a termine dalla serie convergente

n aKn

(prodotto di una costante per la serie geometrica di ragione ). Se il rapporto an+1/an tende aun limite L < 1, la (6) vale con un qualunque fissato in ]L, 1[ a patto di prendere K = K()sufficientemente grande.

Esempio 3.1. (i) Siccome

1

(n+ 1)!n! =

1

n+ 1→ 0 per n → ∞

la serie

n 1/n! converge (e si dimostra che la sua somma e e).(ii) La serie

n n!/n

n converge perche

(n+ 1)!

(n+ 1)n+1

nn

n!=

n

n+ 1

n

=

1− 1

n+ 1

n

→ 1

e< 1.

7

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Se an+1/an tende a un limite L > 1 la serie diverge, perche per un opportuno ν ∈ N i suoiaddendi verificano an+1/an ≥ 1 per n ≥ ν, e quindi aν+p ≥ aν per p ∈ N: viene meno la condizionean → 0 che sappiamo essere necessaria per la convergenza.

Se an+1/an → 1 puo accadere sia che la serie converga, come la

n−α con α > 1, e sia chediverga, come la

n−α con α ≤ 1.

E se i termini an della serie non sono di segno costante? Si puo passare allo studio della serie|an| dei moduli e controllare se converge. In tal caso, essa soddisfa la condizione di Cauchy. Ma

allora soddisfa la condizione di Cauchy anche la

an: infatti il primo membro della disuguaglianza

|an+1 + an+1 + · · ·+ an+1| ≤ |an+1|+ |an+1|+ · · ·+ |an+1|

e minore di ε > 0 se lo e il secondo membro. Ne segue allora anche la convergenza, che chiamiamoassoluta, della serie di partenza

an.

Torniamo agli integrali impropri. Nella maggior parte dei casi di specifiche funzioni bisognaaspettarsi che il calcolo esplicito dei limiti che compaiono nelle formulazioni generali a secondomembro della (3) o della (4) o della (5) si riveli semplicemente impossibile. E dunque utile poterdisporre di un criterio di convergenza/divergenza di integrali impropri, che riguarda funzioni non

negative e costituisce la generalizzazione del criterio del confronto per serie a termini non negativi.

tint1 Teorema 3.1 (del confronto). Siano f, g : [a, b[→ R, dove −∞ < a < b ≤ ∞, funzioni entrambe

integrabili secondo Riemann da a a B per ogni B ∈ [a, b[ ma ne l’una ne l’altra da a a b, con

0 ≤ f(x) ≤ g(x) per a ≤ x < b. (7) int5

Allora l’integrale improprio da a a b di f converge se converge quello di g, mentre quello di g diverge

se diverge quello di f .

DIM. Dalla (7) segue che B

af(x) dx ≤

B

ag(x) dx.

Entrambi gli integrali sono funzioni crescenti della B dal momento che i loro integrandi sono ≥ 0,e di conseguenza ammettono limite per B → b−. La conclusione segue subito.

Proseguiamo con l’analogia al (e in effetti con la generalizzazione del) caso delle serie. Su[a,B] ⊂ [a, b[ l’integrabilita secondo Riemann di f implica quella del modulo |f |, della parte positivaf+ e della parte negativa f−; se da a a b converge l’integrale improprio di |f | diciamo che quellodi f converge assolutamente, e grazie al Teorema del confronto vale il

tint2 Teorema 3.2. Per −∞ < a < b ≤ ∞ l’integrale improprio di una f : [a, b[→ R, integrabile secondoRiemann da a a B per ogni B ∈ [a, b[ ma non da a a b, se e assolutamente convergente e anche

convergente.

DIM. Siccome0 ≤ f+, f− ≤ |f |

la convergenza dell’integrale improprio di |f | implica quella degli integrali impropri di f+ e di f−,dunque quella di f = f+ − f−.

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Il precedente enunciato non si inverte: puo ben accadere che un integrale improprio convergama non assolutamente, ovvero che converga condizionatamente.

ex32 Esempio 3.2. L’integrale improprio (detto di Dirichlet)

D =

0

sinx

xdx

converge condizionatamente. Per vedere questo basta limitarsi all’intervallo di integrazione [1,∞[,visto che l’integrando, posto uguale a un qualunque numero reale per x = 0, e integrabile secondoRiemann da 0 a 1.

Per 1 < K < ∞ si ottiene, integrando per parti,

K

1

sinx

xdx =

− cosx

x

K

1− K

1

cosx

x2dx.

Siccome l’integrando nel secondo membro e maggiorato in valore assoluto dalla funzione x−2 che edotata di integrale improprio convergente da 1 a ∞, il limite per K → ∞ esiste finito. Dunque De un integrale improprio convergente. Non assolutamente convergente, pero:

(2k+1)π

2kπ

| sinx|x

dx =

(2k+1)π

2kπ

sinx

xdx

≥ 1

(2k + 1)π

(2k+1)π

2kπsinx dx =

−1

(2k + 1)πcosx

(2k+1)π

2kπ=

2

(2k + 1)π

e quindi

D ≥∞

k=1

(2k+1)π

2kπ

| sinx|x

dx ≥∞

k=1

1

(k + 1)π= ∞.

In maniera analoga si verifica che l’integrale improprio

J =

1

cosx√x

dx

converge, ma non assolutamente.A questo punto si verifica anche che converge, ma non assolutamente, l’integrale improprio

F =

1sinx2 dx :

la sostituzione y = x2 da infatti

F =1

2

1

sin y√y

dy =1

2J.

Il prossimo esempio estende, a partire dall’Esempio 2.1, la classe delle funzioni su cui appoggiarsiper l’utilizzo pratico del criterio del confronto.

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Esempio 3.3. (i) L’integrale improprio su R di 1/(1+ |x|α) converge o diverge a seconda che α > 1o α ≤ 1. Per convincersene basta limitarsi alla semiretta x ≥ K > 0 (per −K ≤ x ≤ K non ci sonoproblemi e per x ≤ −K si utilizza la simmetria del modulo): siccome limx→∞ xα/(1 + xα) = 1,esiste un K > 0 tale che

2≤ 1

1 + xα≤ 2xα per x ≥ K

e si conclude tenendo conto dell’Esercizio 2.1 (i).(ii) Per −∞ < a < b < ∞ gli integrali impropri di 1/(x−a)α e di 1/(b−x)α da a a b convergono

o divergono a seconda che α < 1 o α ≥ 1. Infatti si vede, sostituendo y = x−a nel primo e y = b−xnel secondo, che entrambi sono uguali a b−a

0

dy

e per concludere si tiene conto dell’Esercizio 2.1 (ii).

Il criterio del confronto per la convergenza/divergenza degli integrali impropri si puo applicare inparticolare ad una serie

n an (a termini ≥ 0) quando esiste una funzione f continua e decrescente

in una semiretta [K,∞[ (K ∈ N) che verifica f(n) = an e quindi an+1 ≤ f(x) ≤ an. In tal casoinfatti risulta

an+1 ≤ n+1

nf(x) dx ≤ an

da cui∞

n=K

an+1 ≤ ∞

Kf(x) dx ≤

n=K

an,

e si arriva al criterio integrale di convergenza o divergenza per le serie: se l’integrale improprio dif converge, converge

n an+1 e quindi anche

n an; se l’integrale improprio di f diverge,

n an

diverge.Questo criterio puo rivelarsi uno strumento prezioso quando gli altri criteri sono di applicazione

un po’ troppo complicata. Si pensi gia alla serie armonica generalizzata

n−α: dall’Esempio 2.1segue subito la convergenza o la divergenza a seconda che α ≤ 1 o α > 1. Ancora piu illuminantee il caso della

(n log n)−1: il confronto con le serie armoniche generalizzate non fornisce nessuna

informazione che permetta di concludere, mentre basta osservare che la funzione (x log x)−1, essendola derivata di log(log x), ha integrale improprio divergente, per ottenere la divergenza della serie.

L’analogia tra integrali impropri e serie deve peraltro essere maneggiata con cautela. Se, adesempio, una serie

an converge, sia pure solo semplicemente, il suo termine generale an e infinite-

simo per n → ∞, mentre se l’integrale improprio di una funzione f su un intervallo superiormenteillimitato converge non e affatto detto che f(x) → 0 per x → ∞: si pensi a f(x) = sinx2, 1 ≤ x < ∞(Esempio 3.2), o ancora meglio alla funzione

f(x) =∞

n=1

n1[n,n+1/n3](x),

addirittura illimitata su ogni semiretta [K,∞[ eppure dotata di integrale improprio assolutamenteconvergente uguale a

∞n=1 1/n

2. Dunque non si puo pensare di estendere dalle serie agli integraliimpropri una qualche versione — puntuale! — del criterio di convergenza di Cauchy (e infattiper dimostrare col Teorema 3.2 che la convergenza assoluta implica la convergenza siamo ricorsi alTeorema del confronto 3.1, mentre per le serie si utilizza tranquillamente Cauchy).

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4 Integrali di Riemann dipendenti da parametri

Nel corso di Calcolo 1 si incontrano delle particolari, e importantissime, funzioni definite medianteintegrali: quelle della forma [c, d] x →

xc f(t) dt. Passiamo adesso all’ambito delle funzioni di

piu variabili, servendoci in maniera rilevante dell’uniforme continuita di una funzione continua inun chiuso e limitato C garantita dal Teorema di Heine–Cantor 1.

Cominciamo col

T6 Teorema 4.1. Sia f una funzione continua in I × [c, d] con I intervallo chiuso e limitato, −∞ <c < d < ∞. Allora

F (x) =

d

cf(x, t) dt

e continua in I. Se poi si suppone che per ogni t ∈ [c, d] esista la derivata fx(x, t) di I x → f(x, t)e che fx ∈ C0(I × [c, d]), allora anche F e dotata di derivata continua

F (x) =

d

cfx(x, t) dt (8) L’

in I.

DIM. Siano x0, x ∈ I. Grazie all’uniforme continuita della funzione f nel rettangolo chiuso elimitato I × [c, d] possiamo associare ad ogni ε > 0 un δ = δε > 0 tale che

|f(x, t)− f(x0, t)| ≤ ε per t ∈ [c, d]

e quindi, maggiorando in modulo l’incremento

F (x)− F (x0) =

d

c[f(x, t)− f(x0, t)] dt,

ottenere

|F (x)− F (x0)| ≤ d

c|f(x, t)− f(x0, t)| dt ≤ ε(d− c)

purche x ∈ I verifichi |x− x0| ≤ δ. Cio mostra la continuita in x0.Passiamo alla derivabilita in x0, sfruttando stavolta l’uniforme continuita in I × [c, d] della

funzione fx. Sia dunque dato arbitrariamente ε > 0, e sia δ = δε > 0 tale che

|fx(x, t)− fx(x0, t)| ≤ ε per t ∈ [c, d] (9) J

se x ∈ I con |x− x0| ≤ δ. Sia 0 < |h| ≤ δ tale che x0 + h ∈ I. Applichiamo il teorema di Lagrange:ad ogni t ∈ [c, d] corrisponde un η ∈]0, 1[, che dipende anche da h, tale che

f(x0 + h, t)− f(x0, t)

h= fx(x0 + ηh, t)

1Anche in piu variabili l’uniforme continuita in C segue, senza passare per Heine–Cantor, da proprieta piu forti

della continuita, come la lipschitzianita. Ma quest’ultima, senza qualche ulteriore ipotesi su C, come ad esempio la

convessita che consente di applicare su ogni segmento contenuto in C il Teorema del valor medio in una variabile,

non e piu a sua volta conseguenza automatica della regolarita C1.

11

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(e, sebbene non si sappia nulla della dipendenza di η da t, la funzione t → fx(x0+ ηh, t) e continuain [c, d] perche e uguale a (f(x0+h, t)−f(x0, t))/h). Dunque, maggiorando in modulo la differenza

F (x0 + h)− F (x0)

h− d

cfx(x0, t) dt =

d

c

f(x0 + h, t)− f(x0, t)

h− fx(x0, t)

dt

=

d

c[fx(x0 + ηh, t)− fx(x0, t)] dt

otteniamoF (x0 + h)− F (x0)

h− b

afx(x0, t) dt

≤ d

c|fx(x0 + ηh, t)− fx(x0, t)| dt < ε(d− c).

A questo punto la (8) per x = x0 segue dall’arbitrarieta di ε. Applicando poi a fx(x, t) il precedenterisultato di continuita si ottiene anche la continuita di F in I.

Naturalmente nel Teorema 4.1 gli estremi di integrazione possono essere scambiati tra di loro:questo significa semplicemente passare da F e F a G = −F e G = −F .

Adesso facciamo variare gli estremi di integrazione.

T66 Teorema 4.2. Sia f continua in I × [c, d]. In C = I × [c, d]× [c, d] la funzione

Φ(x, y, z) =

z

yf(x, t) dt

e continua e dotata di derivate parziali continue

Φy(x, y, z) = −f(x, y), Φz(x, y, z) = f(x, z). (10) L’’

Se poi si aggiunge l’ipotesi che per ogni t ∈ [c, d] esista la derivata fx(x, t) di I x → f(x, t) e che

fx ∈ C0(I × [c, d]), allora per ogni (y, z) ∈ [c, d] × [c, d] la I x → Φ(x, y, z) e dotata anche della

derivata

Φx(x, y, z) =

z

yfx(x, t) dt, (11) N’

a sua volta continua in C.

DIM. Per (x0, y0, z0), (x, y, z) ∈ C scriviamo Φ(x, y, z)− Φ(x0, y0, z0) come somma z0

y0

[f(x, t)− f(x0, t)] dt+

y0

yf(x, t) dt+

z

z0

f(x, t) dt. (12) U’

Il secondo e terzo addendo sono rispettivamente maggiorati in modulo dai prodotti di |y − y0| e di|z − z0| per il massimo di |f | su I × [c, d]. Sia ε un qualunque reale positivo. Grazie al Teorema4.1 sappiamo che il primo addendo della (12) e maggiorato in valore assoluto da ε purche |x− x0|sia maggiorato da un opportuno δ = δε > 0. Poiche nulla impedisce di prendere δ ≤ ε, la quantita|Φ(x, y, z)−Φ(x0, y0, z0)| e maggiorata dal prodotto di una costante per ε non appena (x, y, z) ∈ Kverifica |x− x0| ≤ δ, |y − y0| ≤ δ, |z − z0| ≤ δ, e questo dimostra che in ogni punto (x0, y0, z0) ∈ Kla Φ e continua.

Le (10) sono conseguenze immediate del teorema fondamentale del calcolo integrale applicato,per ogni fissato x, alla funzione t → f(x, t).

12

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Per ottenere la (11) in un punto (x0, y0, z0) di K basta applicare il risultato di derivazione delTeorema 4.1 alla funzione

x → z0

y0

f(x, t) dt;

applicando poi il precedente risultato di continuita con Φ sostituita da Φx si ottiene la continuitadi quest’ultima in (x0, y0, z0).

oss42 Osservazione 4.1. Nelle due precedenti dimostrazioni e stata utilizzata l’ipotesi che I sia, oltreche chiuso, anche limitato. Pero esse si ripetono tali e quali con le intersezioni [x0 − r, x0 + r] ∩ I,r > 0, al posto di I, per cui i Teoremi 4.1 e 4.2 continuano a valere con l’intervallo I chiuso manon limitato.

Dal teorema precedente possiamo finalmente dedurre il

T5 Teorema 4.3. Sia f ∈ C0(I × [c, d]) con I intervallo chiuso, −∞ < c < d < ∞, e siano ϕ,ψ ∈C0(I) tali che c ≤ ϕ(x),ψ(x) ≤ d. La funzione

G(x) =

ψ(x)

ϕ(x)f(x, t) dt

e continua su I; se poi si aggiungono le ipotesi che per ogni t ∈ [c, d] esista la derivata fx(x, t) di

I x → f(x, t) continua in I× [c, d] e che ϕ,ψ appartengano a C1(I), allora G e dotata di derivata

continua

G(x) =

ψ(x)

ϕ(x)fx(x, t) dt+ f(x,ψ(x))ψ(x)− f(x,ϕ(x))ϕ(x)

in I.

DIM. Continuita della funzione composta G(x) = Φ(x,ϕ(x),ψ(x)); derivabilita della funzionecomposta (dal momento che Φ e C1), e dunque

G(x) = Φx(x,ϕ(x),ψ(x)) + Φy(x,ϕ(x),ψ(x))ϕ(x) + Φz(x,ϕ(x),ψ(x))ψ

(x),

poi le (10) e la (11).

Il Teorema 4.3 ha un’applicazione importante nel metodo di Duhamel per la risoluzione diequazioni differenziali lineari non omogenee a coefficienti costanti. Cominciamo dal I ordine. Pera ∈ R e f ∈ C0(]c, d[) si verifica in un attimo che la funzione

y(t) =

t

t0

e−a(t−s)f(s) ds (13) ord1

soddisfa l’equazione lineare y + ay = f(t) (insieme alla condizione di Cauchy y(t0) = 1): non c’ebisogno di ricorrere al Teorema 4.3, visto che il secondo membro si riscrive

e−at t

t0

easf(s) ds

13

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con l’integrando che non dipende dal parametro t, e di conseguenza si deriva elementarmente.Tuttavia la (13) e istruttiva, perche fornisce al I ordine la formula di Duhamel

y(t) =

t

t0

Y (t− s)f(s) ds (14) P’

con Y (t) che qui denota la soluzione e−at dell’equazione omogenea Y + aY = 0 che soddisfa lacondizione di Cauchy Y (0) = 1.

Passiamo al II ordine.

TDu Teorema 4.4. Siano a, b ∈ R, f ∈ C0(]c, d[). La funzione (14) con Y (t) soluzione del problema di

Cauchy

Y + aY + bY = 0, Y (0) = 0, Y (0) = 1

e una soluzione dell’equazione non omogenea

y + ay + by = f(t), (15) Du

e piu esattamente l’unica ad annullarsi in t0 insieme alla sua derivata prima.

DIM. Adesso bisogna applicare, per due volte, la regola di derivazione degli integrali dipendenti daun parametro. Si ottiene prima

y(t) = Y (0)f(t) +

t

t0

Y (t− s)f(s) ds =

t

t0

Y (t− s)f(s) ds,

poi

y(t) = Y (0)f(t) +

t

t0

Y (t− s)f(s) ds = f(t) +

t

t0

Y (t− s)f(s) ds

e infine

y(t) + ay(t) + by(t) = f(t) +

t

t0

[Y (t− s) + aY (t− s) + bY (t− s)]f(s) ds = f(t)

cioe la tesi. (Abbiamo utilizzato l’equazione omogenea soddisfatta da Y nei punti t− s.)

Esempio 4.1. Sia b ∈ R. L’integrale generale dell’equazione

y + by = f(t)

vale

c1 sin t√b+ c2 cos t

√b+

t

t0

sin (t− s)√b√

bf(s) ds

per b > 0, e invece

c1et√−b + c2e

−t√−b +

t

t0

e(t−s)√−b − e−(t−s)

√−b

2√−b

f(s) ds

per b < 0.

14

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Prendiamo in particolare b = 1, f(t) = 1/ cos t per −π/2 < t < π/2. La funzione (14) cont0 = 0 e allora

t

0

sin(t− s)

cos sds =

t

0

sin t cos s− cos t sin s

cos sds = t sin t− cos t

t

0

sin s

cos sds

= t sin t+ cos t log(cos t).

Il metodo di Duhamel che abbiamo finora illustrato per le equazioni del I e del II ordinesi trasporta immediatamente a un qualunque ordine N : per a0, . . . , aN−1 ∈ R e f ∈ C0(]c, d[)l’equazione

y(N) + aN−1y(N−1) + · · ·+ a1y

+ a0y = f(t)

e soddisfatta dalla funzione y(t) che ha l’espressione (14) con Y (t) soluzione adesso dell’omogenea

Y (N) + aN−1Y(N−1) + · · ·+ a1Y

+ a0Y = 0

che soddisfa le condizioni di Cauchy Y (0) = Y (0) = · · · = Y (N−2)(0) = 0, Y (N−1)(0) = 1. Laverifica — troppo lunga! — si fa con N derivazioni successive attraverso il Teorema 4.3. Qui cilimitiamo ad osservare che nel caso particolarissimo a0 = · · · = aN−1 = 0 la funzione Y (t) richiestae la tn−1/(n− 1)!, per cui

y(t) =1

(n− 1)!

t

t0

(t− s)n−1f(s) ds

e la soluzione di y(N) = f(t) che si annulla in t0 insieme a tutte le sue derivate fino all’(n−1)–esima.

5 Integrali impropri dipendenti da parametri

Per dimostrare, tra un attimo, il Teorema 5.2 ci serviremo della definizione e del risultato seguenti.Sia data una successione di funzioni Fn definite su un intervallo I. Le Fn convergono uni-

formemente in I a una funzione F se, dato comunque ε > 0, esiste un ν = νε ∈ N taleche

|Fn(x)− F (x)| < ε per x ∈ I, n ≥ ν. (16) unif

T6’’’ Teorema 5.1. (i) Se le funzioni Fn : I → R sono continue in un punto x0 ∈ I e convergono

uniformemente in I, allora anche F = limn Fn e una funzione continua in x0.(ii) Se le funzioni Fn : I → R sono continue in ogni punto di I e convergono uniformemente in

I, allora F = limFn verifica

limn

b

aFn(x) dx =

b

aF (x) dx per a, b ∈ I. (17) unif’

(iii) Se le funzioni Fn : I → R sono di classe C1 in I, con Fn(x0) convergente per qualche

scelta di x0 ∈ I e le F n uniformemente convergenti in I, allora F = limn Fn e di classe C1 con

limn

F n = F . (18) unif’’’

15

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DIM. (i) Fissiamo arbitrariamente un ε > 0 e associamogli ν ∈ N in modo che valga la (16). Grazieall’ipotesi di continuita di ogni Fn in x0 esiste un δ = δε,ν > 0 tale che

|Fν(x)− Fν(x0)| < ε per x ∈ I, |x− x0| < δ.

Allora (tecnica dei tre ε)

|F (x)− F (x0)| ≤ |F (x)− Fν(x)|+ |Fν(x)− Fν(x0)|+ |Fν(x0)− F (x0)| < 3ε,

da cui la continuita di F in x0.(ii) Innanzitutto sottolineiamo che F e continua in ogni punto di I grazie al punto (i), e di

conseguenza e integrabile al pari di tutte le Fn su ogni intervallo chiuso e limitato di I. Fissiamopoi un arbitrario ε > 0 e associamogli ν ∈ N in modo che valga la (16). Allora

b

aF (x) dx−

b

aFn(x) dx

≤ b

a|F (x)− Fn(x)| dx < ε(b− a) per n ≥ ν.

Cio prova la (17).(iii) Per ogni x ∈ I il Teorema fondamentale del Calcolo da

Fn(x) = Fn(x0) +

x

x0

F n(t) dt.

Ponendo α = limn Fn(x0) e G = limn F vediamo che, in virtu del punto (ii), il secondo membrotende a

α+

x

x0

G(t) dt. (19) unif’’

Ma allora F (x) = limn Fn(x) esiste e assume il valore (19) per ogni x, da cui α = F (x0) e, derivando,G(x) = F (x).

Osservazione 5.1. Nel punto (i) del teorema l’ipotesi di uniforme convergenza delle Fn e essenziale,come si vede con semplicissimi esempio: per dirne uno, quello delle funzioni continue Fn(x) =1− e−nx2

, x ∈ I = R, che convergono puntualmente alla funzione discontinua che vale 0 in 0 e ad1 in R \ 0. Invece sia la (17) e sia la (18) valgono sotto ipotesi molto piu deboli dell’uniformeconvergenza rispettivamente delle Fn e delle F

n.

Estendiamo il Teorema 4.1 agli integrali impropri.

T6’ Teorema 5.2. Sia f una funzione continua in I×]c, d[ con I intervallo chiuso, −∞ ≤ c < d ≤ ∞.

Supponiamo che

|f(x, t)| ≤ g(t) per (x, t) ∈ I×]c, d[ (20) Q’

con g funzione reale ≥ 0 dotata di integrale improprio (assolutamente) convergente su ]c, d[. Allora

la funzione

I x → F (x) =

d

cf(x, t) dt

16

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e continua. Se poi si aggiungono le ipotesi che per ogni t ∈]c, d[ esista la derivata fx(x, t) di

I x → f(x, t), che fx ∈ C0(I×]c, d[) e che valga una disuguaglianza

|fx(x, t)| ≤ g(t) per (x, t) ∈ I×]c, d[, (21) eS’

allora la funzione F sta in C1(I) con

F (x) =

d

cfx(x, t) dt.

DIM. Innanzitutto, la (20) garantisce, grazie al Teorema del confronto, che per ogni fissato x ∈ Ila funzione t → f(x, t) ha integrale improprio assolutamente convergente da c a d. Dunque F (x) eben definita. Studiamo la sua regolarita al variare di x in I.

Siano cn, dn ⊂]c, d[ tali che cn → c e dn → d.Dal Teorema 4.1 (e alla luce dell’Osservazione 4.1 se I e illimitato) sappiamo che per ogni n la

funzione

I x → Fn(x) =

dn

cn

f(x, t) dt (22) param

e continua. D’altra parte, dalla convergenza dell’integrale improprio di g segue che, dato comunqueε > 0, esiste un ν = νε ∈ N tale che

cn

cg(t) dt+

d

dn

g(t) dt ≤ ε per n ≥ ν. (23) eqg

Dunque la (20), oltre a garantire che per ogni x ∈ I la funzione t → f(x, t) e dotata di in-tegrale improprio assolutamente convergente, ovvero che F (x) e ben definita, fornisce anche ladisuguaglianza cn

c|f(x, t)| dt+

d

dn

|f(x, t)| dt ≤ ε per x ∈ I, n ≥ ν.

Ma allora

|F (x)− Fn(x)| ≤ cn

cf(x, t) dt

+ d

dn

f(x, t) dt

≤ ε per x ∈ I, n ≥ ν.

Ne segue che in I la successione delle funzioni continue Fn(x) converge uniformemente in I ad F (x),e quindi (Teorema 5.1 (i)) che quest’ultima e continua.

In maniera analoga, sotto l’ipotesi di derivabilita di x → f(x, t) si ricava innanzitutto, grazie alTeorema 4.1 (e all’Osservazione 4.1 se I e illimitato) , che per ogni n la funzione (22) e derivabilein I con

F n(x) =

bn

an

fx(x, t) dt.

Dalla (21) segue poi che per ogni x ∈ I la funzione t → fx(x, t) e dotata di integrale improprioassolutamente convergente, ovvero che la funzione

I x → G(x) =

d

cfx(x, t) dt

e ben definita; inoltre G ∈ C0(I) grazie alla prima parte del teorema.

17

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Sia ε > 0 arbitrariamente fissato, e sia di nuovo ν = νε ∈ N tale che valga la (23). Allora risulta

cn

c|fx(x, t)| dt+

d

dn

|fx(x, t)| dt ≤ ε per x ∈ I, n ≥ ν

per cui

|G(x)− F n(x)| ≤

cn

cfx(x, t) dt

+ d

dn

fx(x, t) dt

≤ ε per x ∈ I, n ≥ ν.

Ne segue che la successione delle funzioni continue F n(x) converge uniformemente a G(x), e quindi

(Teorema 5.1 (iii)) F (x) = limn Fn(x) e derivabile con F (x) = G(x).

Naturalmente non e affatto restrittivo richiedere che le disuguaglianze (20) e (21) valgano conla stessa funzione g(t): se si parte da due diverse funzioni nei secondi membri basta prendere laloro somma per ricondursi alle ipotesi del teorema.

Esempio 5.1. Fissiamo x in I = [a,∞[, a > 0. Su ]c, d[=]0,∞[ sia la funzione t → f(x, t) =t−1e−tx sin t che la sua derivata t → fx(x, t) = −e−tx sin t sono maggiorate in modulo dalla funzionecontinua g(t) = e−ta, che ha integrale improprio assolutamente convergente. Dunque la

F (x) =

0e−tx sin t

tdt

e continua e anzi derivabile per x ≥ a, con

F (x) = − ∞

0e−txsin t dt.

Esempio 5.2. La funzione f(x, t) = xe−xt soddisfa tutte le ipotesi del Teorema 4.1 con I = R e[c, d] qualunque. Si puo dedurre da questo che il suo integrale di Riemann su [c, d] e una funzionecontinua, anzi derivabile della x; piu direttamente, basta tener conto che xe−xt = (−e−xt) eapplicare il Teorema Fondamentale del Calcolo. Invece

F (x) =

0xe−xt dt = −e−xt

0

e definita su [0,∞[, ma non e continua in 0:

F (0) = 0, F (x) = 1 per x > 0

(e in qualunque intervallo [0, b] si ha convergenza puntuale ma non uniforme di

Fn(x) =

n

0xe−xt dt = −e−xt

n

0

a F (x): cfr il Teorema 5.1 (i)). Infatti non si applica il Teorema 5.2: non esiste una funzione]0,∞[ t → g(t) dotata di integrale improprio convergente e tale che valga la (20), dal momentoche per 1/t ≤ b il sup0≤x≤b xe

−xt vale (et)−1.

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Per gli integrali impropri semplicemente convergenti non vale il teorema di derivazione sotto il segnodi integrale, come mostra il seguente

Esempio 5.3. Per x > 0 la funzione

F (x) =

0

sin tx

tdt

e costante, come si vede operando il cambiamento u = tx della variabile d’integrazione. DunqueF (x) = 0, mentre l’integrale improprio della derivata della funzione x → (sin tx)/t, cioe di cos tx,non solo non vale identicamente 0, ma non e neppure convergente.

6 Il Teorema di Dini per funzioni scalari

Nel piano euclideo l’equazione di una retta

F (x, y) = ax+ by + c = 0

con a, b, c numeri reali ed a2+b2 > 0 e risolubile rispetto a y in funzione della x (con y = −ax/b−c/b)se Fy = b = 0, cioe se la retta non e verticale, e rispetto a x in funzione della y (con x = −by/a−c/a)se Fx = a = 0, cioe se la retta non e orizzontale. Per farla breve, qui tutto l’insieme dei punti delpiano che verificano l’equazione e sempre il grafico di una funzione della x o della y a seconda cheFy = 0 o Fx = 0 (senza che un caso escluda necessariamente l’altro).

Se pero F e una generica funzione Ω → R con Ω aperto di R2 non e affatto detto che l’insiemedei punti (x, y) ∈ Ω che soddisfano l’equazione F (x, y) = 0 sia sempre il grafico di una funzioney = f(x) o di una funzione x = g(y) — e nemmeno che sia una “curva”, ne, perfino, che sia = ∅.Per rendersene conto gia basterebbe osservare che un qualunque sottoinsieme S del piano coincidecon l’insieme delle soluzioni dell’equazione F (x, y) = 1S(x, y) − 1 = 0. Ma questa e una F che ingenerale non ha la minima regolarita. Ebbene, prendiamo delle F regolarissime.

Esempio 6.1. Sia F (x, y) = x2 − y2. L’insieme Z delle soluzioni dell’equazione F (x, y) = 0 ecostituito dall’unione delle due bisettrici y = ±x. Ogni suo punto diverso dall’origine ha un intornola cui intersezione con Z e un tratto di retta, dunque un grafico. Invece l’intersezione con Z di unqualunque intorno dell’origine non e mai un grafico — e notiamo che Fx(0, 0) = Fy(0, 0) = 0.

Esempio 6.2. Per ogni r ∈ R sia

F (x, y) = x2 + y2 − r.

L’insieme Z delle soluzioni dell’equazione F (x, y) = 0 e vuoto se r < 0 e coincide col solo punto(0, 0) se r = 0: dunque non e un grafico in nessuno dei due casi. Sia r > 0. Neanche allora e vero chetutto Z, essendo la circonferenza di centro l’origine e raggio

√r, sia un grafico. Pero Z e localmente

grafico di una funzione o della x oppure della y (senza che un caso escluda necessariamente l’altro).Vediamo i dettagli.

19

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• In un opportuno intorno aperto A di un punto (x0, y0) ∈ Z tale che Fy(x0, y0) = 2y0 = 0,per cui la retta tangente alla circonferenza nel punto non e verticale, i punti di Z sono quellidel grafico di y =

√r − x2 o di y = −

√r − x2 a seconda che y0 > 0 (e allora A e l’intero

semipiano delle y > 0) o y0 < 0 (e allora A e l’intero semipiano delle y < 0). Se pero y0 = 0,e quindi x0 =

√r o x0 = −

√r, non esiste nessun intorno del punto, per quanto piccolo, la cui

intersezione con Z sia grafico di una funzione della x.

• In un opportuno intorno aperto A di di un punto (x0, y0) ∈ Z tale che Fx(x0, y0) = 2x0 = 0,per cui la retta tangente alla circonferenza nel punto non e orizzontale, i punti di Z sonoquelli del grafico di x =

r − y2 o di x = −

r − y2 a seconda che x0 > 0 (e allora A e

l’intero semipiano delle x > 0) o x0 < 0 (e allora A e l’intero semipiano delle x < 0). Invecenon esiste nessun intorno, per quanto piccolo, del punto (0,

√r) o del punto (0,−

√r) la cui

intersezione con Z sia grafico di una funzione della y.

Il precedente esempio illustra significativamente il caso di una classe abbastanza generale diequazioni F (x, y) = 0, tranne per un aspetto (non di poco conto). Come vedremo col prossimorisultato, infatti, sotto opportune ipotesi esiste un intorno di una soluzione (x0, y0) dell’equazionein cui quest’ultima definisce implicitamente una delle due variabili come funzione dell’altra, nelsenso che le soluzioni dell’equazione che cadono nell’intorno sono tutti e soli punti del grafico ditale funzione; di quest’ultima pero sara impossibile, in genere, dare un’espressione esplicita comeinvece si e facilmente fatto nell’esempio.

t6.1 Teorema 6.1 (di Dini). Sia F di classe C1 in un aperto Ω di R2. Supponiamo che per un

(x0, y0) ∈ Ω risulti F (x0, y0) = 0 e Fy(x0, y0) = 0. Allora esistono α,β > 0 tali che in A =]x0 − α, x0 + α[×]y0 − β, y0 + β[⊆ Ω (la Fy si mantiene = 0 e) l’equazione F (x, y) = 0 definisce

implicitamente una funzione y = f(x) continua, ed anzi di classe C1; la derivata di f si ottiene

derivando rispetto ad x l’identita F (x, f(x)) = 0, da cui Fx(x, f(x))+Fy(x, f(x))f (x) = 0 e quindi

f (x) = −Fx(x, f(x))

Fy(x, f(x))per |x− x0| < α. (24) der

DIM.Per fissare le idee supponiamo Fy(x0, y0) > 0. Grazie alla continuita della Fy in Ω possiamo

applicarle il Teorema della permanenza del segno e trovare due numeri reali positivi a e β conla seguente proprieta: per |x − x0| ≤ a e |y − y0| ≤ β risulta Fy(x, y) > 0, e di conseguenza ognifunzione y → F (x, y) ad x fissato e crescente. Poiche F (x0, y0) = 0, questo implica F (x0, y0−β) < 0e F (x0, y0 + β) > 0. Applichiamo di nuovo il Teorema della permanenza del segno, questa voltaalle due funzioni x → F (x, u0 − β) e x → F (x, y0 + β): se α = αβ ≤ a e un numero reale positivosufficientemente piccolo (per intendersi, tanto piu piccolo quanto piu piccolo e β) abbiamo siaF (x, y0 − β) < 0 che F (x, y0 + β) > 0 per x nell’intervallo chiuso [x0 − α, x0 + α]. Fissiamo la xnell’intervallo aperto 2 ]x0−α, x0+α[ ed applichiamo il Teorema di esistenza degli zeri alla funzionecontinua e strettamente monotona y → F (x, y): otteniamo

F (x, f(x)) = 0

2Naturalmente qui anche l’intervallo chiuso andrebbe bene. Pero quando poi si passera dalla variabile scalare x

ad una vettoriale fara comodo limitare quest’ultima ad un aperto, in modo di poterle associare senza difficolta la

nozione di regolarita C1che nei chiusi diventa delicata se le variabili sono piu di una.

20

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per un unico valore f(x) strettamente compreso tra y0 − β e y0 + β, cioe tale che

|f(x)− y0| < β. (25) cont

Naturalmente f(x0) = y0.Passiamo alla dimostrazione della (28). Come e detto nell’enunciato, essa segue subito dall’i-

dentita F (x, f(x)) = 0 in ]x0 − α, x0 + α[ grazie alla regola di derivazione delle funzioni composte,a patto pero di sapere preliminarmente che f e derivabile, cosa questa che non abbiamo anco-ra fatto vedere. Cominciamo col mostrare la continuita di f in ]x0 − α, x0 + α[. Per x fissatoin ]x0 − α, x0 + α[ si ha anche x + h ∈]x0 − α, x0 + α[, e quindi (x + h, f(x + h)) ∈ A, se |h|e sufficientemente piccolo, diciamo |h| < k. Il teorema del valor medio applicato alla funzionet → ϕ(t) = F (x+ th, f(x) + t(f(x+ h)− f(x))) assicura l’esistenza di un τ ∈]0, 1[ tale che

F (x+ h, f(x+ h))− F (x, f(x)) = ϕ(1)− ϕ(0) = ϕ(τ)

= Fx(x+ τh, f(x)+ τ(f(x+h)− f(x)))h+Fy(x+ τh, f(x)+ τ(f(x+h)− f(x)))(f(x+h)− f(x)).

Il primo membro di questa identita e nullo, e dividendo per Fy(x+ τh, f(x)+ τ(f(x+h)−f(x))) ≥m = minA Fy > 0, otteniamo

f(x+ h)− f(x) = −Fx(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))

Fy(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))h. (26) incr

Il secondo membro si maggiora in modulo con M |h|/m dove M = maxA |Fx|, e questo mostra lacontinuita di f nel punto x. Grazie ad essa la frazione nel secondo membro e il rapporto di duefunzioni continue di h ∈]− k, k[. Dividiamo entrambi i membri della (26) per h = 0: otteniamo

f(x+ h)− f(x)

h= −Fx(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))

Fy(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))

e quindi la derivabilita di f facendo tendere h a 0.

Osservazione 6.1. Se nel teorema si sostituisce l’ipotesi Fy(x0, y0) = 0 con la Fx(x0, y0) = 0, alloravale la tesi che enunciamo sbrigativamente cosı: l’equazione F (x, y) = 0 definisce implicitamente,in un opportuno intorno di (x0, y0), una funzione x = g(y) di classe C1, la cui derivata si ottienederivando rispetto ad y l’identita F (g(y), y) = 0.

Osservazione 6.2. Come abbiamo gia fatto presente, in generale non possiamo sperare di riusciread esplicitare la f(x) ottenuta grazie al Teorema di Dini. E questo fa sı che tanto meno possiamoservirci della (28) per il calcolo di f (x), tranne per x = x0. Se F e solo C1 ci fermiamo lı. Ma seF e piu regolare possiamo procedere oltre: deriviamo entrambi i membri della (28) e otteniamo

f (x) = −F 2yFxx − 2FxFyFxy + F 2

xFyy

F 3y

.

Tutte le funzioni del secondo membro sono calcolate in (x, f(x)), per cui e dato il loro valore perx0 = 0: adesso disponiamo dei valori non solo di f(x0) e di f (x0), ma anche di f (x0). Cosıprocedendo (beninteso nei limiti dell’umanamente, e anche numericamente, possibile) possiamopensare di arrivare a dare alla f un buono sviluppo di Taylor di punto iniziale x0.

21

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Osservazione 6.3. Abbiamo visto che se F appartiene a C1(Ω), dove Ω e un aperto di R2, e perun (x0, y0) ∈ A verifica F (x0, y0) = 0, Fy(x0, y0) = 0, allora esiste un intorno di (x0, y0) in cuil’insieme di livello F = 0 coincide col grafico di una funzione y = f(x) di classe C1, cioe con unacurva dotata in (x0, y0) di retta tangente di equazione

y − y0 = f (x0)(x− x0)

ovvero

y − y0 = −Fx(x0, y0)

Fy(x0, y0)(x− x0)

e quindiFx(x0, y0)(x− x0) + Fy(x0, y0)(y − y0) = 0. (27) 4.1

Per ottenere l’equazione (27) della retta tangente in (x0, y0) alla curva F = 0 abbiamo utilizzatoil Teorema di Dini sotto l’ipotesi Fy(x0, y0) = 0. Pero saremmo arrivati allo stesso risultato sottol’ipotesi Fx(x0, y0) = 0. Dunque possiamo concludere che ogni punto (x0, y0) di Ω in cui F siannulla e il gradiente3 (Fx, Fy) = ∇F non e il vettore nullo ha un intorno nel quale l’equazioneF = 0 definisce una curva regolare con retta tangente (al sostegno) in (x0, y0) data dall’equazione(27) o, cio che e lo stesso, con retta normale di direzione ∇F (x0, y0).

Il Teorema di Dini per le funzioni scalari di 2 variabili si estende con ovvie modifiche alle funzionidi un qualunque numero di variabili. Per le funzioni di 3 variabili, ad esempio, abbiamo il

t4.1 Teorema 6.2. Sia F di classe C1 in un aperto Ω di R3. Supponiamo che per un (x0, y0, z0) ∈ Ωrisulti F (x0, y0, z0) = 0 e Fz(x0, y0, z0) = 0. Allora esiste un aperto A = A0×]z0 − β, z0 + β[⊆Ω, con A0 aperto di R2, in cui (la Fz si mantiene = 0 e) l’equazione F (x, y, z) = 0 definisce

implicitamente una funzione z = f(x, y) di classe C1; le derivate di f si ottengono derivando

rispetto ad x e y l’identita F (x, y, f(x, y)) = 0, da cui Fx(x, y, f(x, y))+Fz(x, y, f(x, y))fx(x, y) = 0,Fy(x, y, f(x, y)) + Fz(x, y, f(x, y))fy(x, y) = 0, e quindi

fx(x, y) = −Fx((x, y, f(x, y))

Fz(x, y, f(x, y)), fy(x, y) = −Fy((x, y, f(x, y))

Fz(x, y, f(x, y))per (x, y) ∈ A0. (28) der

Naturalmente questo teorema continua a valere con la variabile z sostituita dalla x o dalla ynell’ipotesi che sia diversa da 0 la corrispondente derivata di F nel punto, eccetera.

Osservazione 6.4. Occupiamoci dell’equazione F (x, y, z) = 0. Se F appartiene a C1(Ω) con Ωaperto di R3 e in un punto (x0, y0, z0) di Ω si ha F (x0, y0, z0) = 0, Fz(x0, y0, z0) = 0, il Teorema6.2 con N = 2 afferma che esiste un intorno di (x0, y0, z0) in cui l’insieme di livello F = 0 coincide

3Ricordiamo che il gradiente di una funzione u di classe C1

in un aperto del piano ha, in ogni punto in cui non si

annulla, la direzione e il verso di massima crescita di u. Infatti la derivata in (x0, y0) di u lungo una direzione (α,β),α2

+β2= 1, cioe ϕ

(t) = du(x0+αt, y0+βt)/dt calcolata in t = 0, vale, grazie alla disuguaglianza di Cauchy–Schwarz,

ϕ(0) = ux(x0, y0)α+ uy(x0, y0)β ≤

ux(x0, y0)2 + uy(x0, y0)2

col segno = se e solo se (α,β) = ∇u(x0, y0)/∇u(x0, y0).

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col grafico di una funzione z = f(x, y) di classe C1, cioe con una superficie dotata in (x0, y0, z0) dipiano tangente di equazione

z − z0 = fx(x0, y0)(x− x0) + fy(x0, y0)(y − y0)

ovvero

z − z0 = −Fx(x0, y0, z0)

Fz(x0, y0, z0)(x− x0)−

Fy(x0, y0, z0)

Fz(x0, y0, z0)(y − y0)

e quindiFx(x0, y0, z0)(x− x0) + Fy(x0, y0, z0)(y − y0) + Fz(x0, y0, z0)(z − z0) = 0. (29) 4.1’

Per ottenere l’equazione (29) del piano tangente in (x0, y0, z0) alla superficie F = 0 abbiamoutilizzato il Teorema di Dini sotto l’ipotesi Fz(x0, y0, z0) = 0. Pero saremmo arrivati allo stessorisultato sotto l’ipotesi Fx(x0, y0, z0) = 0 o l’ipotesi Fy(x0, y0, z0) = 0. Possiamo dunque affermareche ogni punto (x0, y0, z0) di Ω in cui F si annulla e ∇F non e il vettore nullo ha un intorno nelquale l’equazione F = 0 definisce una superficie con piano tangente (al sostegno) in (x0, y0, z0) datodall’equazione (29) o, cio che e lo stesso, con retta normale di direzione ∇F (x0, y0, z0).

7 Il Teorema di Dini per sistemi

Il Teorema di Dini si estende ai sistemi di P equazioni in P + Q variabili. Qui ci occupiamo diP = 2 e Q = 1, cominciando dal semplice caso lineare

F (x, y, z) = ax+ by + cz + d = 0G(x, y, z) = ax+ by + cz + d = 0

(30) pia’

delle equazioni di due piani. Se i due piani sono paralleli, ovvero la matrice jacobiana

∂(F,G)

∂(x, y, z)=

Fx Fy Fz

Gx Gy Gz

=

a b ca b c

ha rango 1, la loro intersezione o e vuota o coincide con entrambi. Supponiamo che il rango sia 2,diciamo con

det∂(F,G)

∂(y, z)= det

Fy Fz

Gy Gz

= det

b cb c

= 0 (31) pia

per fissare le idee. Le soluzioni di (30) sono allora tutti e soli i punti di una retta, e possiamorisolvere il sistema (31) rispetto a y e z (come funzioni di x, ovviamente). Procedendo con l’algebralineare otteniamo y = f(x) e z = g(x) da

f(x)g(x)

= −

∂(F,G)

∂(y, z)

−1 ax+ dax+ d

.

Ma possiamo anche ricorrere alle elementari tecniche di sostituzioni successive. Dalla prima delleequazioni (30), supponendo (non e restrittivo) c = 0 ricaviamo z = (−ax − by − d)/c; sostituendonella seconda equazione otteniamo

ax+ by +c(−ax− by − d)

c+ d = 0

23

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da cui b − bc

c

y +

a − ac

c

x+ d − cd

c= 0.

Grazie all’ipotesi (31) il coefficiente di y in questa equazione e diverso da 0, per cui possiamoscrivere la y come funzione di x e poi, sostituendola nella precedente espressione della z, ottenereanche quest’ultima come funzione di x. A questo punto non abbiamo bisogno di esplicitare i calcolirimanenti. Quello che interessa e vedere come le sostituzioni successive permettano di abbordarelo studio di un piu generale sistema di 2 equazioni scalari in 3 variabili

F (x, y, z) = 0G(x, y, z) = 0

(32) ee4.2

indicando con (x0, y0, z0) una sua soluzione. Abbiamo bisogno di ipotesi che consentano di operarei seguenti passaggi:

• mostrare, servendosi del Teorema 6.2, che in un opportuno intorno (tridimensionale) di(x0, y0, z0) la prima delle (32) definisce implicitamente una funzione z = ϕ(x, y) di classeC1, con ϕ(x0, y0) = z0;

• mostrare, servendosi del Teorema 6.1, che in un opportuno intorno (bidimensionale) di (x0, y0)l’equazione Γ(x, y) = G(x, y,ϕ(x, y)) = 0 definisce implicitamente una funzione y = f(x) diclasse C1, con f(x0) = y0.

Arrivati qui ci basta porre g(x) = ϕ(x, f(x)) per verificare che in un opportuno intorno (tridimen-sionale) di (x0, y0, z0) il sistema (32) definisce implicitamente due funzioni scalari

y = f(x), z = g(x)

di classe C1; derivando rispetto ad x le identita

F (x, f(x), g(x)) = 0, G(x, f(x), g(x)) = 0

si ottiene il sistema di 2 equazioniFx(x, f(x), g(x)) + Fy(x, f(x), g(x))f (x) + Fz(x, f(x), g(x))g(x) = 0Gx(x, f(x), g(x)) +Gy(x, f(x), g(x))f (x) +Gz(x, f(x), g(x))g(x) = 0

da cui si ricavano le derivate di f e g:f

g

= −

∂(F,G)

∂(y, z)

−1 Fx

Gx

(33) side

con l’argomento delle funzioni uguale a x nel primo membro ed a (x, f(x), g(x)) nel secondo.L’ipotesi che consente di effettuare i passaggi richiesti e la trasposizione al caso generale della

(31):

det∂(F,G)

∂(y, z)(x0, y0, z0) = det

Fy(x0, y0, z0) Fz(x0, y0, z0)Gy(x0, y0, z0) Gz(x0, y0, z0)

= 0. (34) e4.4

Infatti la (34) implica innanzitutto che in (x0, y0, z0) una almeno delle derivate Fy, Fz sia diversada 0, e non e restrittivo supporre che si tratti della Fz. Dunque il Teorema 6.2 puo essere applicatoe fornisce l’esistenza della ϕ, che inoltre sappiamo derivare, in particolare rispetto ad y:

ϕy = −Fy

Fz.

24

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Calcoliamo

Γy = Gy +Gzϕy = Gy −GzFy

Fz= − 1

Fzdet

∂(F,G)

∂(y, z).

Grazie di nuovo alla (34), otteniamo Γy(x0, y0) = 0 e possiamo applicare il Teorema 6.1 per ottenerel’esistenza della f . Dunque:

Teorema 7.1. Siano F,G di classe C1 in un aperto Ω di R3. Supponiamo che per un (x0, y0, z0) ∈Ω risulti F (x0, y0, z0) = 0 e che valga la (34). Allora esiste un aperto A =]x0 − a, x0 + a[×]y0 −β, y0 + β[×]z0 − β, z0 + β[⊆ Ω in cui (il determinante di ∂(F,G)/∂(y, z) si mantiene = 0 e) il

sistema (32) definisce implicitamente due funzioni y = f(x), z = g(x) di classe C1, con f e g

date dalla (33).

8 Massimi e minimi vincolati

Quando A e un aperto di R2 la ricerca dei punti, detti estremanti, in cui una f ∈ C1(A) puo

assumere valori estremi — cioe massimi o minimi — locali va ristretta innanzitutto ai punti, dettistazionari, in cui il gradiente ∇f e nullo.4

E se si e interessati agli estremi di f non in tutto A, bensı in un suo sottoinsieme chiuso E(ad esempio sotto l’ulteriore ipotesi che E sia limitato, per cui ogni funzione in C0(E) e senz’altrodotata di massimo e minimo assoluti grazie al teorema di Weierstrass)? Il procedimento appenavisto in A rimane valido nell’interno (se non e vuoto) di E, ma diventa inapplicabile sulla suafrontiera. Lı bisogna, quando e possibile, ricorrere alle altre tecniche che costituiscono l’argomentodi questa sezione.

Indichiamo dunque con S una “curva” contenuta in A (quale potrebbe ad esempio essere unaporzione della frontiera dell’insieme E di cui si e precedentemente parlato). Con l’utilizzo deltermine tra virgolette intendiamo dire che i punti (x, y) ∈ S costituiscono:

(i) o l’immagine di un intervallo I in una rappresentazione parametrica t → (ϕ(t),ψ(t)) di classeC1 con ϕ(t)2 + ψ(t)2 > 0,

(ii) o il grafico di una funzione y = ψ(x) oppure x = ϕ(y) di classe C1 in un intervallo I,(iii) o un sottoinsieme S dell’insieme di livello F (x, y) = 0 di una F ∈ C1(A) con ∇F = 0 in S.Nei casi (i) e (ii) la ricerca degli estremanti di una f ∈ C1(A) sul vincolo S si restringe alla

ricerca dei punti stazionari di funzioni di una variabile. Come e facile vedere, infatti, richiedereche un punto (x, y) ∈ S sia, per fissare le idee, un massimo locale di f |S , cioe che tutti i punti diS (non di A!) distanti da (x, y) meno di un opportuno ε > 0 soddisfino f(x, y) ≤ f(x, y), significarichiedere:

• o (caso (i)) che t ∈ I con (ϕ(t),ψ(t)) = (x, y) sia un massimo locale di g(t) = f(ϕ(t),ψ(t)), equindi

g(t) = fx(x, y)ϕ(t) + fy(x, y)ψ

(t) = 0

se t e interno ad I;

4Se f sta in C2

(A) la ricerca va ulteriormente ristretta, escludendo quei punti stazionari in cui la matrice hessiana

fxx fxyfxy fyy

e indefinita, ovvero — siccome siamo in R2— ha determinante < 0; un punto stazionario in cui invece l’hessiana ha

determinante > 0 e di minimo locale o di massimo locale a seconda che in esso la fxx sia > 0 o < 0.

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• o (primo sottocaso di (ii)) che x ∈ I con ψ(x) = y sia un massimo locale di g(x) = f(x,ψ(x)),e quindi

g(x) = fx(x, y) + fy(x, y)ψ(x) = 0 (35) lag1

se x e interno ad I;

• o (secondo sottocaso di (ii)) che y ∈ I con ϕ(y) = x sia un massimo locale di g(y) = f(ϕ(y), y),e quindi

g(y) = fx(x, y)ϕ(y) + fy(x, y) = 0 (36) lag2

se y e interno ad I.

Esempio 8.1. In A = R2 la regolarissima funzione f(x, y) = x + y2 e priva di punti stazionariperche fx non si annulla mai. Dunque non esistono punti di estremo relativo di f in A. Pero larestrizione f |E di f ad un qualunque sottoinsieme chiuso e limitato E del piano e dotata di massimoe minimo assoluti. Prendiamo

E = (x, y) ∈ R2 | − y ≤ x ≤ y, x2 + y2 ≤ 1.

Per quello che abbiamo appena visto, gli estremi di f |E non possono cadere all’interno di E.Scriviamo la frontiera di E come unione dei tre insiemi

S1 = (x, y) ∈ E |x2 + y2 = 1, S2 = (x, y) ∈ E | y = x, S3 = (x, y) ∈ E | y = −x.

S1 e immagine dell’intervallo [π/4, 3π/4] nella rappresentazione parametrica ϑ → (cosϑ, sinϑ).Per trovare gli estremi di ϑ → f(cosϑ, sinϑ) = cosϑ+ sin2 ϑ nell’intervallo cerchiamo innanzituttoi suoi punti stazionari in ]π/4, 3π/4[: dev’essere d(cosϑ + sin2 ϑ)/dϑ = − sinϑ + 2 sinϑ cosϑ = 0,cioe cosϑ = 1/2, e tra i valori di ϑ per i quali questo vale c’e π/3 ∈]π/4, 3π/4[. Calcoliamo:cosπ/3 + sin2 π/3 = 1/2 + 3/4 = 5/4. Negli estremi: cos(−π/4) + sin2(−π/4) = (−

√2 + 1)/2,

cosπ/4 + sin2 π/4 = (√2 + 1)/2. Dunque il minimo e il massimo della restrizione di f al chiuso e

limitato S1 sono rispettivamente il piu piccolo e il piu grande dei tre valori ottenuti, cioe (−√2+1)/2

e (√2 + 1)/2.Possiamo anche vedere S1 come grafico di y =

√1− x2 per x ∈ [−1/

√2, 1/

√2]. All’interno

di questo intervallo cerchiamo i punti stazionari di f(x,√1− x2) = x + 1 − x2: si deve annullare

d(x+ 1− x2)/dx = 1− 2x, dal che x = 1/2, e lı abbiamo f(1/2,

1− 1/4) = 1/2 + 1− 1/4 = 5/4.Poi: −1/

√2 + 1 − 1/2 = −1/

√2 + 1/2 = (−

√2 + 1)/2 all’estremo sinistro, 1/

√2 + 1 − 1/2 =

1/√2 + 1/2 = (

√2 + 1)/2 all’estremo destro.

S2 e il grafico di y = −x per x ∈ [−1/√2, 0]; all’interno di questo intervallo non cadono punti

stazionari di f(x,−x) = −x + x2, perche d(−x + x2)/dx = −1 + 2x si annulla per x = 1/2.All’estremo sinistro la restrizione di f assume il valore minimo (−

√2 + 1)/2 e all’estremo destro il

massimo 0.S3 e il grafico di y = x per x ∈ [0, 1/

√2]; all’interno di questo intervallo non cadono punti

stazionari di f(x, x) = x+ x2, perche d(x+ x2)/dx = 1 + 2x si annulla per x = −1/2. All’estremosinistro la restrizione di f assume il valore minimo 0 e all’estremo destro il massimo (

√2 + 1)/2.

Conclusione: il minimo e il massimo di f in E sono rispettivamente (−√2+ 1)/2 e (

√2+ 1)/2.

Passiamo a (iii). Siccome le derivate Fx e Fy non si annullano mai contemporaneamente in S,per il Teorema di Dini ogni punto (x0, y0) di S ha un intorno U (in generale di dimensioni non

note) la cui intersezione con S e grafico di una funzione (in generale non nota) x = ϕ(y) o y = ψ(x).

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Siamo formalmente nella situazione (ii), nel senso che in S ∩ U vanno cercati i punti (x, y) in cuivale la (35) o la (36): pero, oltre alle coordinate x e y che stiamo per l’appunto cercando, nellaprima e ignota anche la funzione ψ e nella seconda la ϕ! Per aggirare questo ostacolo ricorriamoall’espressione delle derivate delle funzioni implicite:

ψ(x) = −Fx(x, y)

Fy(x, y), ϕ(x) = −Fy(x, y)

Fx(x, y).

Le (35) e (36) diventano cosı rispettivamente

fx(x, y)− fy(x, y)Fx(x, y)

Fy(x, y)= 0, fx(x, y)

Fy(x, y)

Fx(x, y)− fy(x, y) = 0

a seconda che nel punto (ignoto!) risulti Fy(x, y) = 0 o Fx(x, y) = 0, e quindi comunque

fx(x, y)Fy(x, y)− fy(x, y)Fx(x, y) = 0.

Questa e un’equazione algebrica nelle sole incognite x e y che ci interessano, e richiede che il determi-nante jacobiano di f e F in (x, y) si annulli, dunque abbia tanto le righe che le colonne linearmentedipendenti. Imponiamo la dipendenza lineare delle colonne, che sono ∇f(x, y) e ∇F (x, y). Siccomeabbiamo supposto che il secondo di questi vettori non e nullo, deve esistere un moltiplicatore diLagrange λ ∈ R, che non interessa calcolare, tale che

∇f(x, y) + λ∇F (x, y) = (0, 0).

Riassumiamo:

Teorema 8.1. Siano A un aperto di R2 e f, F ∈ C1(A). Se in un sottoinsieme S dell’insieme di

livello F = 0 il gradiente di F non e mai nullo, gli eventuali punti di minimo e di massimo locali

per la restrizione f |S di f ad S vanno cercati tra le soluzioni (x, y) ∈ S del sistema

F (x, y) = 0fx(x, y) + λFx(x, y) = 0fy(x, y) + λFy(x, y) = 0

per un’opportuna costante λ.

Esempio 8.2. Cerchiamo il minimo e massimo assoluti di f(x, y) = xy nell’insieme E dei punti(x, y) ∈ R2 con x2 − xy + y2 ≤ 1, che e chiuso e limitato dal momento che e costituito dai puntiche cadono su un ellisse o al suo interno. Siccome in tutto A = R2 l’unico punto stazionario di f el’origine, e si vede subito che si tratta di un punto di sella, resta solo da applicare i moltiplicatorisulla frontiera S di E, che e tutto l’insieme di livello F (x, y) = x2 − xy + y2 − 1 = 0. Imponiamo

y + 2λx− λy = 0, x+ 2λy − λx = 0, x2 − xy + y2 = 1.

Sommando le prime due equazioni otteniamo (1 + λ)(x+ y) = 0, e quindi:o λ = −1, per cui x = y e la terza equazione da i due punti (1, 1), (−1,−1) dove f vale 1;oppure x = −y e la terza equazione da i due punti (1/

√3,−1/

√3), (−1/

√3, 1/

√3) dove f vale

−1/3.Da qui segue che il massimo e 1, il minimo e −1/

√3.

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Passiamo senza difficolta a 3 dimensioni:

Teorema 8.2. Siano A un aperto di R3 e f, F ∈ C1(A). Se in un sottoinsieme S dell’insieme di

livello F = 0 il gradiente di F non e mai nullo, gli eventuali punti di minimo e di massimo locali

per la restrizione f |S di f ad S vanno cercati tra le soluzioni (x, y, z) ∈ S del sistema

F (x, y, z) = 0fx(x, y, z) + λFx(x, y, z) = 0fy(x, y, z) + λFy(x, y, z) = 0fz(x, y, z) + λFz(x, y, z) = 0

(37) **

per un’opportuna costante λ.

Esempio 8.3. Siano f(x, y, z) = xyz, F (x, y, z) = xy + yz + zx− 1 e

S = (x, y, z) ∈ R3 |x ≥ 0, y ≥ 0, z ≥ 0, F (x, y, z) = 0.

La restrizione di f ad S e sempre ≥ 0 ed in certi punti di S vale 0. Dunque questo e il suo minimoassoluto. D’altra parte, nei punti di S con z > 0 si ha 0 ≤ x ≤ 1/z, 0 ≤ y ≤ 1/z e quindi0 ≤ xyz ≤ 1/z. Ne segue che f(x, y, z) → 0 quando (x, y, z) ∈ S, x2 + y2 + z2 → ∞ (come sivede cominciando dalle semirette contenute in S con punto iniziale nell’origine). Dunque, bencheil Teorema di Weierstrass non si applichi all’insieme illimitato S, la f |S e dotata anche di massimoassoluto. Cerchiamolo coi moltiplicatori. Il sistema (37) e adesso

xy + yz + zx = 1yz + λ(y + z) = 0xz + λ(x+ z) = 0xy + λ(x+ y) = 0.

Dalle ultime 3 equazioni ricaviamo

xyz + λx(y + z) = 0xyz + λy(x+ z) = 0xyz + λz(x+ y) = 0

.

Dunque λx(y + z) = λy(x+ z) = λz(x+ y), ovvero λxy = λyz = λxz, ovvero ancora x = y = z =1/√3, e infine max f |S = f(1/

√3, 1/

√3, 1/

√3) = 1/(3

√3). (Questo esempio e preso da E.Giusti,

Esercizi e complementi di Analisi Matematica, Volume secondo, Bollati Boringhieri 1992, dove sene traggono interessanti e profonde conseguenze geometriche.)

Passando a vincoli sotto forma di sistema si ha il seguente risultato:

Teorema 8.3. Siano A un aperto di R3 e f, F,G ∈ C1(A). Se in un sottoinsieme S dell’intersezio-

ne degli insiemi di livello F = 0 e G = 0 la matrice jacobiana di F e G ha sempre rango massimo

2, gli eventuali punti di massimo e minimo locali per la restrizione f |S di f ad S vanno cercati tra

le soluzioni (x, y, z) ∈ S del sistema

F (x, y, z) = 0fx(x, y, z) + λFx(x, y, z) + µGx(x, y, z) = 0fy(x, y, z) + λFy(x, y, z) + µGy(x, y, z) = 0fz(x, y, z) + λFz(x, y, z) + µGz(x, y, z) = 0

per opportune costanti λ, µ.

28

Page 29: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

9 Un primo rapido approccio agli integrali doppi

In questa sezione e nelle prossime cinque, quando parleremo di un rettangolo S sottintenderemo:compatto, salvo esplicita indicazione in altro senso; con S indicheremo l’insieme dei punti interni,ovvero l’interno, di S, e con A(S) la sua area (“base per altezza”) .

Sia R il rettangolo [a, b] × [c, d]. Una partizione di R e una famiglia Π = (xh, yk) |x0 =a < x1 < · · · < xm = b, y0 = c < y1 < · · · < yn = b (dove m ed n dipendono da Π). Inmaniera equivalente si puo individuare Π anche assegnando la famiglia F(Π) dei sottorettangoliShk = [xh−1, xh]× [yk−1, yk] associati a Π. Un’altra partizione Π di R e un raffinamento della Πse la contiene.

Si tratta di nozioni che quasi banalmente trasferiscono alla dimensione 2 quelle utilizzate nelcaso unidimensionale per lo studio dell’integrale di Riemann in una variabile, e noi qui ce neserviamo appunto per i primi passi nell’integrazione di Riemann in due variabili. Fissiamo dunqueuna funzione limitata f definita sul rettangolo. Le sue somme integrali superiore e inferioreassociate ad una partizione Π di R sono date rispettivamente dai numeri

h,k

supShk

f

A(Shk)

o piu concisamente

S∈F(Π)

supS

f

A(S)

e

h,k

infShk

f

A(Shk)

o piu concisamente

S∈F(Π)

infS

f

A(S).

(Qui, come nel seguito,

h,k sta per

h=1,...,m, k=1,...,n.)Si dimostra che

S∈F(Π)

supS

f

A(S) ≥

T∈F(Π)

infT

f

A(T )

per ogni scelta delle partizioni Π e Π. Se per ogni ε > 0 si possono trovare Π e Π in modo tale che

S∈F(Π)

supS

f

A(S)−

T∈F(Π)

infT

f

A(T ) < ε (38) O’’

e di conseguenza

infΠ

S∈F(Π)

supS

f

A(S) = sup

Π

S∈F(Π)

infS

f

A(S) (39) O’

diciamo che f e integrabile (secondo Riemann) in R e chiamiamo integrale (doppio diRiemann) di f in R il valore (39), denotato con

R

f(x, y) dxdy oppure

Rf(x, y) dxdy oppure

Rf dxdy.

Ecco un classico esempio di funzione limitata non integrabile secondo Riemann.

29

Page 30: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

e1’’ Esempio 9.1. Indichiamo con f la funzione di Dirichlet 1(Q∩[0,1])2 . Siccome

S∈F(Π)

supS

f

A(S) = 1,

S∈F(Π)

infS

f

A(S) = 0

quale che sia la partizione Π di R = [0, 1]2, la (38) con 0 < ε < 1 non e soddisfatta.

Invece:

excontR Lemma 9.1. Ogni f ∈ C0(R) e integrabile in R, e il suo integrale doppio soddisfa

Rf(x, y) dxdy =

b

adx

d

cf(x, y) dy =

d

cdy

b

af(x, y) dx. (40) fub1

DIM. Dato arbitrariamente un ε > 0, sia δ = δε > 0 tale che per ogni coppia di punti (x, y), (x, y)di R distanti meno di δ risulti |f(x, y)− f(x, y)| < ε (uniforme continuita di f nel compatto R).Chiamiamo Π una partizione di R tale che ogni sottorettangolo S ∈ F(Π) abbia diametro minoredi δ. Risulta

S∈F(Π)

supS

f − infS

f

A(S) =

S∈F(Π)

maxS

f −minS

f

A(S) < εA(R)

e questo mostra l’integrabilita di f .Poniamo

F (x) =

d

cf(x, y)dy.

Su [a, b] la funzione x → F (x) e continua (cfr. il Teorema 4.1), dunque integrabile. Fissiamoarbitrariamente una partizione Π di R, il che e come dire una partizione x0 = a < x1 < ··· < xm = bdi [a, b] ed una partizione y0 = c < y1 < · · · < yn = d di [c, d]. Grazie all’additivita degli integralidi una variabile rispetto agli intervalli di integrazione valgono le identita

b

aF (x) dx =

m

h=1

xh

xh−1

F (x) dx e F (x) =n

k=1

yk

yk−1

f(x, y) dy,

per cui b

a

d

cf(x, y) dy

dx =

m

h=1

xh

xh−1

n

k=1

yk

yk−1

f(x, y) dy

dx

=

h,k

xh

xh−1

yk

yk−1

f(x, y) dy

dx :

abbiamo potuto portare la sommatoria su k fuori dall’integrale in dx grazie alla linearita diquest’ultimo. D’altra parte, applicando la positivita degli integrali in dy ed in dx otteniamofacilmente

inf

]xh−1,xh[×]yk−1,yk[f

(xh − xh−1)(yk − yk−1) ≤

xh

xh−1

yk

yk−1

f(x, y) dy

dx

30

Page 31: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

sup]xh−1,xh[×]yk−1,yk[

f

(xh − xh−1)(yk − yk−1)

e quindi anche, sommando su h e k,

h,k

infShk

f

A(Shk) ≤

b

a

d

cf(x, y) dy

dx ≤

h,k

supShk

f

A(Shk).

Siccome f e integrabile su R, il suo integrale e l’unico numero reale che soddisfa le stessedisuguaglianze del secondo membro qui sopra al variare di Π, per cui vale l’identita

Rf(x, y) dx dy =

b

a

d

cf(x, y) dy

dx

e quindi la prima delle (40). La seconda si dimostra in modo del tutto analogo.

Le (40) forniscono le formule di riduzione dell’integrale doppio di f .

exgraf Lemma 9.2. Se ϕ : [a, b] → R e continua e il suo grafico e E contenuto in R, la funzione f = 1Ee integrabile su R con integrale nullo.

DIM. Siccome ϕ e integrabile da a a b, ad ε > 0 si possono associare x0 = a < x1 < · · · < xm = bcon la proprieta

m

k=1

max

[xk−1,xk]ϕ− min

[xk−1,xk]ϕ

(xk − xk−1) <

ε

A(R).

Ma gli addendi della somma qui sopra sono le aree A(Qk) dei rettangoli

Qk = [xk−1, xk]×

min[xk−1,xk]

ϕ, max[xk−1,xk]

ϕ

,

la cui unione ricopre E e verifica

k A(Qk) < ε. A questo punto si trova una partizione Π di Rtale che ogni Qk sia unione di sottorettangoli di F(Π). Siccome la somma delle aree A(S) degliS ∈ F(Π) contenuti in Qk e uguale a A(Qk), e all’interno di ognuno di essi f ha minimo uguale a0 e massimo uguale a 0 o ad 1 mentre in tutti gli altri e identicamente nulla, risulta

S∈F(Π)

supS

1E − infS

1E

A(S) =

S∈F(Π)

supS

1E

A(S) =

S∈F(Π)S⊆∪kQk

A(S) ≤

k

A(Qk) < ε. (41) tr

Dunque f = 1E soddisfa la (38) con Π = Π, per cui e integrabile. Non solo: il suo integrale, ugualeall’estremo inferiore sulle Π del primo membro di (41), vale 0.

I due lemmi precedenti rientrano nel prossimo risultato, per il quale ci serviamo delle seguentidefinizioni. Siano date due funzioni continue ϕ,ψ su un intervallo compatto [a, b] di R con laproprieta

ϕ ≤ ψ in [a, b].

31

Page 32: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

L’insiemeD = (x, y) ∈ R2| a ≤ x ≤ b, ϕ(x) ≤ y ≤ ψ(x) (42) R

e un dominio normale rispetto all’asse x, l’insieme

D = (x, y) ∈ R2| a ≤ y ≤ b , ϕ(y) ≤ x ≤ ψ(y) (43) S

un dominio normale rispetto all’asse y.Ebbene:

exnorm Teorema 9.1. Sia data una f continua sul dominio normale D. Allora la funzione f uguale ad fin D ed a 0 fuori e integrabile su R; il suo integrale doppio, che indichiamo con

D

f(x, y) dxdy oppure

Df(x, y) dxdy oppure

Df dxdy,

soddisfa

Df(x, y) dx dy =

b

adx

ψ(x)

ϕ(x)f(x, y) dy. (44) T

DIM. Innanzitutto, fissato un ε > 0, determiniamo un δ = δε > 0 tale che per ogni coppia di punti(x, y), (x, y) ∈ D distanti meno di δ risulti |f(x, y) − f(x, y)| < ε (uniforme continuita dif nel compatto D). Poi procediamo come nella dimostrazione del Lemma 9.2 e costruiamo deirettangoli Qk ⊆ R che contengano nella loro unione i grafici di ϕ e ψ e verifichino

k A(Qk) < ε.

Sia E il complementare in R di ∪kQk. Costruiamo una partizione Π di R che soddisfi i seguentirequisiti:

• ogni sottorettangolo S ∈ F(Π) abbia diametro minore di δ,

• ogni Qk sia unione di sottorettangoli di Π.

Dunque

A(Qk) =

S∈F(Π)S⊆Qk

A(S)

e quindi

S∈F(Π)S⊆∪kQk

A(S) =

k

A(Qk) < εA(R)

mentre f verifica |f(x, y) − f(x, y)| < ε al variare di (x, y), (x, y) all’interno di qualunquerettangolo S ⊆ E, dal momento che E e unione di rettangoli ⊂ D in cui f = f e di altri in cuif = 0. Ne segue che

S∈F(Π)

supS

f − infS

f

A(S) =

S∈F(Π)S⊆∪kQk

supS

f − infS

f

A(S) +

S∈F(Π)S⊆E

supS

f − infS

f

A(S)

< 2maxD

|f |

k

A(Qk) + ε

S∈F(Π)S⊆E

A(S) < ε

2max

D|f |+A(R)

32

Page 33: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

per cui f e integrabile in R.La (44) si dimostra quasi punto per punto come la prima della (40) scrivendo f al posto di f .

Le sole differenze di cui va tenuto conto sono che qui la funzione

y → f(x, y), x ∈ [a, b],

che vale f(x, y) per ϕ(x) ≤ y ≤ ψ(x) e 0 altrove, e integrabile da c a d perche e continua su tuttol’intervallo tranne, eventualmente, i punti ϕ(x) e ψ(x)), e che su [a, b] la funzione

F (x) =

d

cf(x, y)dy =

ψ(x)

ϕ(x)f(x, y) dy.

e continua per il Teorema 4.3.

Il precedente teorema contiene i Lemmi 9.1 (ϕ(x) = a, ψ(x) = b) e 9.2 (ϕ(x) = ψ(x)). Esso inoltrevale con D al posto di D, tranne per la (44) che va sostituita dalla

Df(x, y) dx dy =

b

ady

ψ(y)

ϕ(y)f(x, y) dx.

10 Integrale delle funzioni a scala

A questo punto riprendiamo dall’inizio lo studio dell’integrazione di Riemann in R2, procedendopero in maniera piu sistematica.

Una funzione limitata R2 → R a supporto compatto, dunque nulla al di fuori di un rettangoloR, e una funzione a scala se assume valori costanti negli interni S

hk=]xh−1, xh[×]yk−1, yk[ dei

sottorettangoli Shk associati a qualche partizione Π di R; e degenere se assume valori non nullisolo su segmenti limitati verticali o orizzontali. Dunque una generica funzione a scala si scrive sottola forma

ϕ(x, y) =

h,k

λhk1Shk(x, y) + ϕ0(x, y) (45) A

con λhk ∈ R e ϕ0 degenere. In tale definizione Π puo essere sostituito da un suo qualunqueraffinamento Π: se, ad esempio, Π si ottiene aggiungendo a Π i punti (x1, yk), k = 1, . . . , n,con x0 < x1 < x1, risulta ϕ = λ1k sia nei sottorettangoli aperti ]x0, x1[×]yk−1, yk[ che negli]x1, x1[×]yk−1, yk[. Inoltre R puo essere sostituito da un qualunque rettangolo che lo contenga.Rientrano banalmente nella definizione i casi di funzioni a scala degeneri, cioe nulle al di fuoridi un rettangolo degenere.

Sia ψ un’altra funzione a scala, nulla al di fuori di un rettangolo R e costante negli internidei sottorettangoli associati ad un’opportuna partizione Π di R. Per quello che abbiamo visto,possiamo sempre ricondurci a R = R (passando se necessario a un terzo rettangolo contenenteR∪R) e, una volta fatto questo, a Π = Π (passando se necessario al raffinamento comune Π∪Π).Dunque anche ψ assume un valore costante in ciascun S

hk, diciamo

ψ(x, y) =

h,k

µhk1Shk(x, y) + ψ0(x, y) (46) B

33

Page 34: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

con ψ0 degenere. A questo punto si vede subito che la combinazione lineare aϕ+ bψ con a, b ∈ R eancora una funzione a scala, che vale aλhk + bµhk in S

hk.

Con la notazione A(S) per l’area (“base per altezza”) di un qualunque rettangolo S, definiamointegrale (elementare) della ϕ data in (45) il numero

ϕ =

h,k

λhkA(Shk) .

In questa definizione la partizione Π puo essere sostituita da un suo qualunque raffinamento Πsenza che venga alterato il valore del secondo membro: per convincersene basta tornare all’esempiodi Π dato un attimo fa ed osservare che

λ1k(x1 − x0)(yk − yk−1) = λ1k(x1 − x0)(yk − yk−1) + λ1k(x1 − x1)(yk − yk−1) .

L’integrale elementare gode di tutte le proprieta che ci si aspetta da un “buon” integrale. Infattisi vede subito, servendosi delle espressioni (45) e (46) di ϕ e ψ, che e positivo:

ϕ ≤

ψ per ϕ ≤ ψ

dal momento che la condizione ϕ ≤ ψ si traduce nelle condizioni λhk ≤ µhk e quindi

h,k

λhkA(Shk) ≤

h,k

µhkA(Shk) .

Inoltre e lineare: (aϕ+ bψ) = a

ϕ+ b

ψ per a, b ∈ R

dal momento che

h,k

(aλhk + bµhk)A(Shk) = a

h,k

λhkA(Shk) + b

h,k

µhkA(Shk) .

Infine,ϕ = 0 se ϕ e degenere.

11 Integrale superiore e integrale inferiore

Introduciamo la notazione f ∈ Lc col seguente significato: f e una funzione R2 → R limitata eda supporto compatto, dunque nulla al di fuori di un rettangolo R. La famiglia S+

f delle funzionisemplici ϕ tali che ϕ ≥ f non e vuota, e la quantita

f = inf

ϕ

ϕ ∈ S+f

e detta integrale superiore di Riemann della f . Notiamo che una funzione di S+f come la (45)

— dovendo soddisfare ϕ ≥ f in Shk, quindi λhk ≥ supS

hkf per h = 1, . . . ,m e k = 1, . . . , n —

verifica anche

h,k

λhkA(Shk) ≥

h,k

supShk

f

A(Shk). (47) N’’’

34

Page 35: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

Siccome f(x, y) si scrive

h,k

f(x, y)1Shk(x, y) + f(x, y)1E(x, y)

con E = ∪hk∂Shk (unione di segmenti verticali e orizzontali), il secondo membro della (47) el’integrale elementare della funzione semplice

ψ(x, y) =

h,k

supShk

f

1S

hk(x, y) +

supE

f

1E(x, y)

(e dunque rimane inalterato se Π e sostituita da un suo raffinamento o R da un rettangolo che locontiene). Ma ψ sta a sua volta in S+

f , e da qui si arriva a

f = inf

Π

h,k

supShk

f

A(Shk)

o piu concisamente f = inf

Π

S∈F(Π)

supS

f

A(S).

Si constata subito che sulle funzioni di Lc l’integrale superiore e positivo

f ≤

g per f ≤ g

(dal momento che f ≤ g =⇒ S+f ⊇ S+

g ), nonche subadditivo

(f + g) ≤

f +

g (48) C

(dal momento che la somma di un elemento di S+f ed uno di S+

g sta in S+f+g e l’integrale elementare

delle funzioni a scala e lineare) e positivamente omogeneo

(af) = a

f per a ∈ [0,∞[. (49) D

Il prossimo esempio mostra che l’integrale superiore non ha, sulla totalita delle funzioni di Lc,la proprieta di linearita: pur essendo subadditivo non e additivo, e pur essendo positivamenteomogeneo non e omogeneo.

e1 Esempio 11.1. Come nell’Esempio 9.1, indichiamo con f la funzione di Dirichlet 1(Q∩[0,1])2 . Sic-come

S∈F(Π)

supS

f

A(S) = 1,

S∈F(Π)

supS

(−f)

A(S) = 0

quale che sia la partizione Π di R = [0, 1]2, e quindi

f +

(−f) = 1 ,

con la presente scelta di f non valgono ne il segno uguale nella disuguaglianza debole della (48)quando g = −f , ne l’identita della (49) quando a = −1.

35

Page 36: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

L’integrale inferiore di Riemann di una funzione f ∈ Lc e la quantitaf = −

(−f)

per cui (−f) = −

f.

Siccome

0 =

(f − f) ≤

f +

(−f) =

f −

f

vale sempre la disuguaglianza f ≤

f.

Anche l’integrale inferiore e positivamente omogeneo:

(af) = a

f per a ∈ [0,∞[ .

Inoltre e superadditivo: (f + g) ≥

f +

g .

Si verifica subito che f = sup

Π

S∈F(Π)

infS

f

A(S).

Concludiamo questa sezione occupandoci del caso particolare f = 1E con E sottoinsiemelimitato di R2. Le quantita

A(E) =

1E = inf

Π

S∈F(Π)

supS

1E

A(S) = inf

Π

S∈F(Π)

S∩E =∅

A(S) ,

A(E) =

1E = sup

Π

S∈F(Π)

infS

1E

A(S) = sup

Π

S∈F(Π)S⊆E

A(S)

sono rispettivamente la misura esterna (bidimensionale) di Peano–Jordan e la misura in-terna (bidimensionale) di Peano–Jordan di E. In particolare, E e trascurabile secon-do Peano–Jordan o piu brevemente PJ–trascurabile (in R2) se A(E) = 0, ovvero se, datocomunque ε > 0, esiste una partizione Π di un R ⊇ E tale che

S∈F(Π)

S∩E =∅

A(S) < ε. (50) E

Ad esempio, E e PJ–trascurabile se e un segmento limitato verticale o orizzontale, per cui 1E edegenere. Molto piu in generale, E e PJ–trascurabile se e il grafico di una funzione ϕ ∈ C0([a, b]),−∞ < a < b < ∞: cfr. il Teorema 9.2.

36

Page 37: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

r1 Osservazione 11.1. Utilizzando la (50) si vede subito che l’unione e l’intersezione di insiemi PJ–trascurabili e anch’essa PJ–trascurabile.

12 Integrale doppio di Riemann

Com’e evidente, ogni funzione a scala ϕ soddisfa

ϕ =

ϕ =

ϕ.

Pero e altrettanto evidente che l’integrale inferiore della funzione di Dirichlet e nullo, mentre quellosuperiore, come abbiamo visto nell’Esempio 9.1, vale 1. Cio significa che, se f e una genericafunzione della classe Lc, la disuguaglianza (50) puo effettivamente venire soddisfatta o in sensostretto o come identita. Supponiamo che si verifichi il secondo caso:

f =

f (51) O

ovvero

sup

ϕ

ϕ ∈ S−f

= inf

ϕ

ϕ ∈ S+f

ovvero ancora

supΠ

S∈F(Π)

infS

f

A(S) = inf

Π

S∈F(Π)

supS

f

A(S) (52) F

dove le Π sono partizioni di un rettangolo R al di fuori del quale f si annulla identicamente.Allora diciamo che f e integrabile secondo Riemann (in R2), scriviamo che f ∈ Riem (R2), echiamiamo integrale (doppio) di Riemann di f il comune valore in (51), che denotiamo con

R2

f(x, y) dxdy oppure

R2f(x, y) dxdy oppure

R2f dxdy

o ancora, volendo essere particolarmente sbrigativi, conf come per le funzioni a scala.

Richiedere che una f : R2 → R a supporto compatto appartenga a Riem (R2) equivale dunquea richiedere che, dato ε > 0, si possano trovare un rettangolo R contenente il supporto di f ed unapartizione Π di R tali che

S∈F(Π)

supS

f − infS

f

A(S) < ε (53) N0’

(cfr. la (38): qui s’intende che due partizioni distinte vengono sostituite da un loro comuneraffinamento).

Sia a > 0. Poiche sono positivamente omogenei sia l’integrale inferiore che quello superiore siha

f ∈ Riem (R2) =⇒ af ∈ Riem (R2) con

(af) =

(af) =

(af) = a

f . (54) N’’

37

Page 38: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

Ma allora (−af) = −

(af) = −a

f = −a

f

e quindi (−af) = −

(af) = −a

f = −a

f =

(−af) .

Ne segue che anche −af sta in Riem (R2), con

(−af) =

(−af) =

(−af) = −a

f

e da qui si ottiene subito l’omogeneita dell’integrale di Riemann: la (54) vale per ogni a ∈ R.Sia adesso data un’altra g ∈ Riem (R2). Siccome su Riem (R2) coincidono integrale superiore e

inferiore,

f +

g =

f +

g ≤

(f + g) ≤

(f + g) ≤

f +

g =

f +

g .

Dunque l’integrale di Riemann e additivo:

f, g ∈ Riem (R2) =⇒ f + g ∈ Riem (R2) con

(f + g) =

f +

g

e quindi, essendo anche omogeneo, e lineare:

f, g ∈ Riem (R2) =⇒ af + bg ∈ Riem (R2) con

(af + bg) = a

f + b

g per a, b ∈ R .

Fissiamo adesso un ε > 0 e una Π tale che valga la (53). Facciamo variare le coppie di punti(x, y), (x, y) interni ad un S ∈ F(Π). Da

|f(x, y)|− |f(x, y)| ≤ |f(x, y)− f(x, y)| ≤ supS

f − infS

f

ricaviamosupS

|f |− infS

|f | ≤ supS

f − infS

f

e grazie alla (53) otteniamo

S∈F(Π)

supS

|f |− infS

|f |A(S) < ε .

Da qui concludiamo che |f | ∈ Riem (R2); grazie alla positivita dell’integrale di Riemann,

f

|f |.

Un procedimento analogo mostra che f, g ∈ Riem (R2) =⇒ fg ∈ Riem (R2). Infatti

f(x, y)g(x, y)− f(x, y)g(x, y)

≤ |f(x, y)− f(x, y)||g(x, y)|+ |g(x, y)− g(x, y)||f(x, y)|

38

Page 39: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

≤supS

f − infS

f

supS

|g|+supS

g − infS

g

supS

|f |

e quindi

supS

(fg)− infS

(fg) ≤ C

supS

f − infS

f + supS

g − infS

g

.

o6.1 Osservazione 12.1. Ripercorrendo la costruzione dell’integrale di Riemann ci si accorge che ap-parentemente essa viene a dipendere dalla scelta di un particolare riferimento cartesiano in R2: unbel guaio se proprio cosı fosse, come si vede pensando al caso particolare delle misure di Peano–Jordan che perderebbero ogni significato geometrico. Ma poi si riflette sul punto di partenza, cioel’area dei rettangoli, che e invariante per composizioni τ di rotazioni e traslazioni, e ci si convinceche deve valere un risultato del tipo: f ∈ Riem (R2) ⇐⇒ f τ ∈ Riem (R2) con

f =

(f τ) .

Questo effettivamente e vero, come vedremo piu in la (Osservazione 14.1).

Sia E un sottoinsieme limitato di R2. Se 1E ∈ Riem (R2) diciamo che E e misurabile secondoPeano–Jordan o piu brevemente PJ– misurabile (in R2), e chiamiamo

A(E) =

R21E dxdy

la sua misura (bidimensionale) di Peano–Jordan. Richiedere che 1E ∈ Riem (R2) equivale arichiedere che A+(E) = A−(E), ovvero

infΠ

S∈F(Π)

S∩E =∅

A(S)) = supΠ

S∈F(Π)

S⊆E =∅

A(S),

e quindi che, dato ε > 0, si possano trovare un R ⊇ E ed una sua partizione Π tali che

S∈F(Π)

supS

1E − infS

1E

A(S) < ε.

In particolare E e PJ– misurabile con A(E) = 0 se e solo se E e PJ–trascurabile.

T1 Teorema 12.1. Un sottoinsieme limitato E di R2 e PJ–misurabile se e solo se la sua frontiera e

PJ–trascurabile.

DIM. Se Π e una partizione di un R ⊇ E risulta

S∈F(Π)

supS

1E − infS

1E

A(S) =

S∈F(Π)

supS

1∂E

A(S). (55) H

Infatti per ogni S ∈ F(Π) si verifica uno ed uno solo dei seguenti tre casi:

S ⊆ E, S ∩ E = ∅, S ∩ ∂E = ∅ (56)

39

Page 40: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

dal momento che S e aperto. Ora,

supS

1E = infS

1E = 1, supS

1∂E = 0 per S ⊆ E,

supS

1E = infS

1E = 1∂E = 0 per S ∩ E = ∅,

supS

1E = supS

1∂E = 1, infS

1E = 0 per S ∩ ∂E = ∅.

Dunque e equivalente richiedere che per ogni ε > 0 si possano trovare R e Π tali che sia < ε ilprimo membro della (55) (PJ–misurabilita di E) oppure il secondo (PJ–trascurabilita di ∂E).

r2 Osservazione 12.2. Grazie al precedente teorema ed all’Osservazione 11.1 si constata subito chel’unione e l’intersezione di insiemi PJ–misurabile e PJ–misurabile.

Osservazione 12.3. La frontiera di ([0, 1]∩Q)2 e tutto il quadrato [0.1]2, che non e PJ–trascurabileperche la sua misura esterna di Peano–Jordan e la sua area e quindi vale 1. Questo significa che,se si vorra estendere al di la della teoria di Peano–Jordan la classe dei sottoinsiemi misurabili diR2 in modo da farci rientrare anche ([0, 1] ∩ Q)2, non si potra immaginare di estendere anche lacaratterizzazione fornita dal Teorema 12.1.

Il Teorema 9.1 ammette la seguente generalizzazione, che non dimostriamo:

T6.3’ Teorema 12.2. Affinche una funzione f ∈ Lc sia integrabile secondo Riemann e sufficiente che

l’insieme dei suoi punti di discontinuita sia trascurabile secondo Peano–Jordan.

(Il precedente risultato si migliora in una condizione necessaria e sufficiente, che pero non puonemmeno essere formulata con le sole nozioni della teoria di Riemann: ne daremo un accenno nellaSezione 13.)

Siano E ⊂ R2 PJ-misurabile e f : E → R limitata. Se il prolungamento f di f a zero fuori diE sta in Riem (R2), diciamo che f sta in Riem (E) e che la quantita

Ef dxdy =

R2f dxdy

e il suo integrale di Riemann su E. Stesso discorso e stessa notazione se f e invece datain Riem (R2), che sappiamo essere chiuso rispetto al prodotto: allora anche f = f1E , cioe la fprima ristretta ad E e poi prolungata a 0 fuori di E, sta in Riem (R2). Se in particolare E ePJ–trascurabile, l’integrale su E di una qualunque funzione f limitata (esiste ed) e nullo:

0 = (infE

f)A(E) =

f1E ≤

f1E ≤ (sup

Ef)A(E) = 0.

40

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L’additivita dell’integrale rispetto alla somma di funzioni si trasferisce alle unioni disgiunte didomini di integrazione: se E ed F sono PJ-misurabili con E ∩ F = ∅, una funzione f : E ∪ F → Re integrabile su E ∪ F se e solo se integrabile sia su E che su F , e in tal caso

E∪Ff dxdy =

Ef dxdy +

Ff dxdy;

in particolare, prendendo E aperto e F = ∂E vediamo che

Ef dxdy =

Ef dxdy,

per cui non ci sara da preoccuparsi di distinguere tra integrali su insiemi misurabili aperti o chiusi.Con f = 1E∪F otteniamo per le aree

A(E ∪ F ) = A(E) +A(F ),

sempre, sintende, per E ∩ F = ∅; in generale,

A(E ∪ F ) = A(E) +A(F )−A(E ∩ F ).

13 Alcune estensioniLeb

Integrali di Riemann in R3 (e in RN)

Un primo, semplice allargamento delle nozioni viste finora consiste nel passaggio dalle funzioni di 2variabili a quelle di un qualunque numeroN di variabili. Gia il casoN = 3 illustra significativamenteil procedimento. Al posto dei rettangoli si prendono i parallelepipedi P , con la notazione V (P )per i volumi (“base per altezza per profondita”). Una partizione di P = [a, b]× [c, d]× [r, s] e unafamiglia Π = (xh, yk, z) | x0 = a < x1 < · · · < xm = b, y0 = c < y1 < · · · < yn = b, z0 = r < z1 <· · · < zp = s, e F(Π) e la famiglia dei sottoparallelepipedi Qhk = [xh−1, xh]× [yk−1, yk]× [z−1, z].Una funzione limitata R3 → R e una funzione a scala se, per un’opportuna scelta di P e Π, e nullafuori di P e assume valore costanti λhk negli interni dei Qhk ∈ F(Π). L’espressione

ϕ =

h,k,

λhkV (Qhk)

e l’integrale elementare di ϕ. Una volta constatato che si tratta di una definizione ben posta siarriva senza difficolta agli integrali superiore e inferiore di Riemann; agli insiemi PJ–trascurabili(adesso in R3!); all’integrale (triplo) di Riemann denotato con

R3

f(x, y, z) dxdydz oppure

R3f(x, y, z) dxdydz oppure

R3f dxdydz

o ancora, sbrigativamente, conf ; alla misura (tridimensionale) di Peano–Jordan.

Lo studio degli integrali sui domini normali del piano ammette una prima generalizzazioneimmediata allo spazio tridimensionale. Vediamo come. Fissate due funzioni ϕ,ψ continue su un

41

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rettangolo R = [a, b] × [c, d] del piano con ϕ ≤ ψ in R vediamo subito (procedendo per R3 comenella dimostrazione del Teorema 9.1 per R2) che una f ∈ C0(D) e integrabile su D; inoltre risulta

Df(x, y, z) dx dy dz =

Rdx dy

ψ(x,y)

ϕ(x,y)

f(x, y, z) dz =

b

adx

d

cdy

ψ(x,y)

ϕ(x,y)

f(x, y, z) dz (57) V

con a secondo membro la notazione abituale per

R

ψ(x,y)

ϕ(x,y)

f(x, y, z) dz

dx dy

(e si noti che diamo per scontata una generalizzazione del Teorema 4.1 per la quale l’integralesemplice da ϕ(x, y) a ψ(x, y) e una funzione continua, dunque integrabile, di (x, y) ∈ R); la secondaidentita della (57) segue dalla formula di riduzione dell’integrale doppio. Per dimostrare la (57) siprocede come nella dimostrazione della (44), solo che al posto dell’additivita dell’integrale semplicesui sottointervalli associati ad una partizione di [a, b] adesso si sfrutta quella dell’integrale doppiosui sottorettangoli associati ad una partizione di R.

Da qui si potrebbe poi passare alla generalizzazione della prima delle identita (57) che si ottieneprendendo

D = (x, y, z) ∈ R3 | (x, y) ∈ K, ϕ(x, y) ≤ z ≤ ψ(x, y)

con K sottoinsieme PJ–misurabile di R2:

Df(x, y, z) dx dy dz =

Kdx dy

ψ(x,y)

ϕ(x,y)

f(x, y, z) dz (58) W

(col significato ormai evidente del simbolo a secondo membro).Naturalmente anche l’integrale doppio a secondo membro della (58) puo essere ridotto se K e

un dominio normale del piano.La prima identita nella (57) e piu in generale la (58) sono le formule di riduzione degli

integrali tripli.A questo punto si puo passare senza difficolta a definire in RN , per un qualunque valore naturale

N , gli integrali secondo Riemann, detti allora N–pli ed indicati semplicemente con

RNf(x) dx ,

(o di nuovo sbrigativamente conf) e gli insiemi misurabili secondo Peano–Jordan: basta prendere

come punto di partenza i prodotti cartesiani [a1, b1]×· · ·×[aN , bN ] e le quantita (b1−a1) · · · (bN−aN )al posto rispettivamente degli ordinari parallelepipedi e degli ordinari volumi.

Accenni alla teoria di Lebesgue

Ben piu rilevante, e complicato, e l’allargamento delle nozioni stesse di integrale e misura. Restiamoalle funzioni di due variabili per fissare le idee: esiste una maniera di definire una “integrabilita”che si applichi non solo agli elementi di Riem (R2), ma anche a funzioni, come ad esempio quella diDirichlet, che non rientrano in tale spazio? La risposta e affermativa, e qui diamo una pallida ideadi come essa puo essere articolata.

42

Page 43: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

Data una funzione f : R2 →] − ∞,∞[, indichiamo con Λ+f la famiglia delle serie

∞k=1 ϕk di

funzioni semplici con ϕk ≥ 0 per k ≥ 2 e∞

k=1 ϕk ≥ f . L’integrale superiore di Lebesgue e laquantita (non necessariamente reale)

∗f = inf

k=1

ϕk

k=1

ϕk ∈ Λ+f

.

La nozione che abbiamo introdotto non richiede nessuna restrizione su f : ne che si annulli aldi fuori di un compatto, ne che sia limitata. E se prendiamo in particolare le f ∈ Lc? Allora ogniϕ ∈ S+

f e la somma della serie ϕ + 0 + 0 + · · · , cioe della serie∞

k=1 ϕk con ϕ1 = ϕ e ϕk = 0 per

k ≥ 2, che sta in Λ+f e verifica

∞k=1

ϕk =

ϕ. Ne segue che S+

f ⊆ Λ+f e

∗f ≤

f. (59) I

L’integrale superiore di Lebesgue e, come quello di Riemann, positivo, positivamente omogeneoe subadditivo. (Per quest’ultima proprieta si utilizza l’identita

k=1

(ϕk + ψk) =∞

k=1

ϕk +∞

k=1

ψk ,

qui valida perche le serie in Λ+f e Λ+

g , avendo tutti i termini ≥ 0 tranne (eventualmente) il primo,sono incondizionatamente convergenti o divergenti.)

L’integrale inferiore di Lebesgue e la quantita

∗f = −

∗(−f).

Anche l’integrale inferiore e positivo e positivamente omogeneo. Inoltre e superadditivo: quest’ul-tima proprieta segue dalla subadditivita dell’integrale superiore, che implica anche

∗f ≤

∗f. (60) P

Si ha poi

∗f ≥

f . (61) L

Se i due membri della (60) sono finiti e uguali si dice che f e integrabile secondo Lebesgue,e per il loro comune valore si utilizzano le stesse notazioni che per l’integrale di Riemann. Cio noncrea ambiguita perche, grazie alle (59) e (61) che implicano

∗f −

∗f ≤

f −

f,

una funzione di Lc integrabile secondo Riemann lo e anche secondo Lebesgue, e i due integralicoincidono.

Nel caso particolare che sia integrabile secondo Lebesgue la funzione caratteristica di un E ⊂ R2

diciamo che E e misurabile secondo Lebesgue (in R2) con misura di Lebesgue (finita) datada λ(E) =

1E . Ne segue che, quando E e limitato, se e misurabile secondo Peano–Jordan lo e

anche secondo Lebesgue.

43

Page 44: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

Per mostrare che non vale il viceversa prendiamo E = ([0, 1] ∩ Q)2, che sappiamo non esserePJ–misurabile. Siccome E consiste in una successione Ek di punti, e di conseguenza 1E e essastessa somma di una serie

∞j=1 1Ek di funzioni a scala degeneri, risulta

∗1E =

j=1

1Ek = 0 =

∗1E .

Quindi la funzione 1E e dotata di integrale di Lebesgue nullo, ovvero E e misurabile secondoLebesgue con misura di Lebesgue nulla, ovvero ancora e trascurabile secondo Lebesgue. Ericordiamo che la frontiera di E e tutto [0, 1]2, che ha misura di Peano–Jordan uguale ad 1. Ma si puosubito andare molto avanti. Il ragionamento svolto per mostrare che λ(E) = 0 se E = ([0, 1] ∩Q)2

puo essere tranquillamente ripetuto per una qualunque infinita numerabile E di punti di R2, adesempio per E = Q2. O anche per una retta verticale o orizzontale – unione di un’infinita numerabiledi intervalli limitati – e poi per una infinita numerabile di tali rette. E qui si puo almeno enunciareun risultato cui abbiamo alluso subito dopo il Teorema 12.2. E il Teorema di Vitali–Lebesgue:Condizione necessaria e sufficiente affinche una funzione f ∈ Lc sia integrabile secondo Riemann eche l’insieme dei suoi punti di discontinuita sia trascurabile secondo Lebesgue.

Infine (ma nella teoria di Lebesgue e appena l’inizio. . . ) si vede, procedendo come per l’integraledi Riemann, che le funzioni integrabili secondo Lebesgue costituiscono uno spazio vettoriale su cuil’integrale di Lebesgue e positivo e lineare.

14 Cambiamenti di variabili

Nel Calcolo in una variabile un ruolo importantissimo per il calcolo effettivo degli integrali sugliintervalli e svolto dalla regola di integrazione per sostituzione, che si enuncia cosı: date una funzioneh di classe C1 in un intervallo compatto [α,β] e una funzione continua f sull’immagine di [α,β]nella h, vale l’identita h(β)

h(α)f(η) dη =

β

αf(h(v))h(v) dv. (62) B’

Aggiungiamo l’ipotesi che h si mantenga = 0. Poiche ci troviamo su un intervallo questosignifica: o h > 0 (e quindi h(α) < h(β)), oppure h < 0 (e quindi h(α) > h(β)). Poiche l’immaginedi [α,β] nella h e l’intervallo [A,B] uguale a [h(α), h(β)] nel primo caso ed a [h(β), h(α)] nel secondo,la (62) diventa B

Af(η) dη =

β

αf(h(v))h(v) dv,

nel primo caso e B

Af(η) dη = −

β

αf(h(v))h(v) dv

nel secondo. Riassumiamo in un’unica identita: B

Af(η) dη =

β

αf(h(v))|h(v)| dv. (63) C’

Soffermiamoci un attimo sull’ipotesi che h si mantenga sempre diversa da 0 nell’intervallo,ovvero che h sia un diffeomorfismo = applicazione di classe C1 e iniettiva. Si tratta di un’ipotesi

44

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che in dimensione 1 non gioca nessun ruolo rilevante, a parte quello di consentire la presenza delmodulo della derivata, e invece si rivela essenziale nel passaggio a piu dimensioni: evidenzieremoquesto con un controesempio nell’Osservazione 14.2.

Vediamo come si presenta la versione bidimensionale della (63) in un caso particolare maistruttivo.

Trasformazioni affini invertibili di R2

Fissiamo una matrice 2× 2 non singolare

Λ =

a bc d

La trasformazione

Φ :

uv

→ Λ

uv

+

pq

=

au+ bv + pcu+ dv + q

e un diffeomorfismo di V = R2; il suo jacobiano ∆Φ e uguale alla costante detΛ e lo jacobiano∆Φ−1 della sua inversa e uguale a 1/detΛ. Dimostriamo che se f e una funzione limitata, nullafuori di un rettangolo R e integrabile, allora e integrabile anche (f Φ)|∆Φ|, quindi f Φ perche∆Φ e costante, e vale l’identita

Rf(x, y) dxdy = |detΛ|

Φ−1(R)(f Φ)(u, v) dudv . (64) af

A tal fine ricordiamo innanzitutto che una trasformazione definita dal prodotto a sinistra per unamatrice 2×2 porta un parallelogramma P in un altro parallelogramma P , con l’area A(P ) ugualeal prodotto dell’area A(P ) per il determinante della matrice = jacobiano della trasformazione, presoin valore assoluto. Nel caso della trasformazione Φ−1 applicata ad un rettangolo S di una partizioneΠ di R abbiamo dunque

1Φ−1(S) =

1Φ−1(S) = A(Φ−1(S)) =

A(S)

|detΛ|

(con la sbrigativa notazioneper l’integrale su R2). Siccome

f Φ = (f Φ)1Φ−1(R) =

S∈F(Π)

(f Φ)1Φ−1(S) =

S∈F(Π)

(f Φ)1Φ−1(S) + (f Φ)1E

dove E = ∪S∈F(Π)∂S e un insieme (unione di segmenti) PJ–trascurabile, passando agli integrali(superiore e inferiore per cio che riguarda (f Φ)|detΛ|) nelle disuguaglianze

S∈F(Π)

infΦ−1(S)

(f Φ)1Φ−1(S) + infE(f Φ)1E

|detΛ| ≤ (f Φ)|detΛ|

S∈F(Π)

supΦ−1(S)

(f Φ)1Φ−1(S) + supE

(f Φ)1E

|detΛ|

otteniamo

S∈F(Π)

infS

f

A(S) =

S∈F(Π)

inf

Φ−1(S)(f Φ)

A(S)

|detΛ| |detΛ| ≤

(f Φ)|detΛ|

45

Page 46: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

≤(f Φ)|detΛ| ≤

S∈F(Π)

sup

Φ−1(S)(f Φ)

A(S)

|detΛ| |detΛ| =

S∈F(Π)

supS

f

A(S).

Dunque f Φ e integrabile (cfr. la (53)), e vale l’identita

f =

(f Φ)|detΛ| (65) afff

cioe la (64).Le considerazioni precedenti, applicate a 1S con S insieme limitato, dunque contenuto in un

rettangolo R, e PJ–misurabile mostra subito che anche Φ−1(S) e PJ–misurabile, con misura diPeano–Jordan uguale a quella di S divisa per |detΛ|.

oin Osservazione 14.1. Se in particolare Φ e composizione di rotazioni e traslazioni, per cui Λ eortogonale, otteniamo

f =

(f Φ)

cioe il risultato preannunciato nell’Osservazione 12.1: l’integrale di Riemann e indipendente dalsistema di riferimento cartesiano rispetto a cui e stato introdotto.

e10 Esempio 14.1. Calcoliamo l’integrale di f(x, y) = (x2 − y2)2 su R = [−1, 1]2. Siccome x2 − y2 =(x+ y)(x− y) viene in mente di porre

u = x+ yv = x− y

e da qui, invertendo, definire la Φ attraverso il sistemax = (u+ v)/2y = (u− v)/2

cioe

Φ :

uv

→ Λ

uv

=

1/2 1/21/2 −1/2

uv

.

Dunque R e immagine nella Φ di K = [−2, 2]2, e

R(x2 − y2)2 dxdy = |detΛ|

Ku2v2 dudv =

1

2

2

−2u2 du

2

−2v2 dv =

128

9.

Per introdurre i prossimi sviluppi fara comodo inquadrare le precedenti considerazioni nelseguente enunciato (che non dimostriamo), per pesante che esso sia:

T9.1 Teorema 14.1. Siano dati due aperti U e V di R2, il primo dei quali limitato e PJ–misurabile con

chiusura K = U contenuta in V . Sia Φ : V → R2 un diffeomorfismo di V , o piu in generale una

funzione di classe C1 che ristretta ad U sia un diffeomorfismo. Allora anche Φ(U) e PJ–misurabile,

e per ogni f : Φ(U) → R continua e limitata (dunque integrabile su Φ(U) grazie al Teorema 12.2)

vale l’identita

Φ(U)f(x, y) dxdy =

U(f Φ)(u, v)|∆Φ(u, v)| dudv . (66) aff

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Sottolineiamo che al posto degli aperti U e Φ(U) si possono prendere, senza che cambi nulla, leloro chiusure, per cui la (66) si scrive anche

Φ(U)f(x, y) dxdy =

Φ(K)f(x, y) dxdy =

K(f Φ)(u, v)|∆Φ(u, v)| dudv .

Questo teorema si applica ovviamente nel caso in cui Φ sia una trasformazione affine invertibile,ed allora la (66) non e che la (64).

La meticolosita dell’enunciato del Teorema 14.1 si puo dire che e fatta apposta per la seguenteimportante applicazione.

Coordinate polari nel piano

La trasformazioneΦ(θ, ) = ( cos θ, sin θ), (67) A’1

il cui jacobiano ∆Φ(θ, ) vale , e regolarissima su tutto V = R2, ma perche sia un diffeomorfismola restringiamo al prodotto cartesiano U =]0, 2π[×]0, R[, sicche Φ(K) e il disco chiuso DR racchiusodalla circonferenza

x2 + y2 = R2.

La (66) diventa

DR

f(x, y) dxdy =

Kf( cos θ, sin θ) dϑd =

0dϑ

R

0f( cos θ, sin θ) d (68) A’

per f continua e limitata su C0(DR). In particolare ritroviamo per f(x, y) = 1 l’area πR2 del discoDR integrando la lunghezza 2π della circonferenza di raggio , che e dunque la derivata dell’areadel disco di raggio :

A(DR) =

R

02π d.

Si noti che per a, b > 0 anche la trasformazione

Φa,b(θ, ) = (a cos θ, b sin θ),

che (coincide con Φ quando a = b = 1 ed) ha determinante ab, e regolarissima su tutto V = R2

ed iniettiva su U =]0, 2π[×]0, R[. Solo che Φa,b(K) e la regione racchiusa dall’ellissi

x2

a2+

y2

b2= R2

(e adesso ϑ non ha lo stesso significato che nella (67): per x > 0 e l’arcotangente non di y/x, bensıdi ay/(bx), eccetera).

141 Esempio 14.2. Il chiuso

D = (x, y) | 1 ≤ x2 + y2 ≤ 4, 0 ≤ y ≤√3x

e un dominio normale rispetto all’asse x, ma se la funzione integranda e

f(x, y) =1

1 + x2 + y2

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conviene vedere D come immagine nella (67) di K = U = (ϑ, ) | 0 ≤ ϑ ≤ π/3, 1 ≤ ≤ 2.Otteniamo

Df(x, y) dxdy =

Kf( cosϑ, sinϑ) dϑd =

π/3

0dϑ

2

1

1 + 2d =

π

6log

5

2.

o9.1 Osservazione 14.2. Nell’integrazione unidimensionale non avevamo mai visto comparire la richie-sta che la sostituzione realizzasse un diffeomorfismo. In dimensione > 1 questa richiesta, formulatanel Teorema 14.1, e invece essenziale, come si vede dal seguente esempio per N = 2: il passaggio acoordinate polari Φ(ϑ, ) non realizza un diffeomorfismo del rettangolo U =]0,α[×]0, 1[ se α > 2π,e l’identita

Φ(K)dxdy =

K dϑd

non e soddisfatta perche Φ(K) e il disco chiuso di raggio 1 e la sua area π e il valore del primomembro, mentre quello del secondo e

α

0dϑ

1

0 d =

α

2> π.

o9.1’ Osservazione 14.3. In dimensione 1 l’opportunita di effettuare un cambiamento di variabile, el’eventuale scelta di quest’ultimo, dipendono solo dall’espressione della funzione integranda. Indimensione 2, invece, va tenuto altrettanto conto dell’espressione del dominio U di integrazione.Sia ad esempio f(x, y) = x2 + y2. Se D e il settore di corona circolare compreso tra i raggi 1 e 2e gli angoli π/4 e 3π/4 nessun dubbio: coordinate polari. Ma se invece U = (x, y) | − 1 ≤ x ≤1, −x2 + 1 ≤ y ≤ −x2 + 2 le coordinate polari diventano un affare complicato, mentre tenendoconto che D e un dominio normale rispetto all’asse x l’integrazione di f si fa in un attimo servendosidel Teorema 9.1.

Nello studio degli integrali doppi accade spesso che ad apparire promettente (rispetto tantoal dominio di integrazione quanto alla funzione integranda) non sia subito una trasformazione dicoordinate (x, y) = Φ(u, v) come nell’enunciato del Teorema 14.1 e poi in particolare nell’Esempio14.2, bensı per cominciare una (u, v) = Ψ(x, y) iniettiva in un aperto A. Di questo genere ela situazione presentatasi con Ψ affine nell’Esempio 14.1, ma lı non abbiamo incontrato nessunadifficolta: in un attimo abbiamo trovato l’inversa Φ di Ψ. In genere tuttavia il procedimentodi inversione di Ψ non e immediato; poi rimane da calcolare il determinante∆Φ in U = Ψ(A).Mostriamo come a quest’ultimo fine possa bastare, almeno in linea di principio, la conoscenza deldeterminante ∆Ψ in A. Applicando all’identita

(Φ−1 Φ)(u, v) = (u, v) per (u, v) ∈ U

la regola di derivazione delle funzioni composte, e passando ai determinanti delle matrici jacobiane,otteniamo

∆Φ−1(Φ(u, v))∆Φ(u, v) = 1,

48

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e siccome in A risulta ∆Ψ = ∆Φ−1 arriviamo a

∆Φ(u, v) =1

∆Ψ(Φ(u, v)). (69) ja

A questo punto, dovendosi calcolare il secondo membro della (69), ritorna pur sempre in ballola questione dell’espressione esplicita della Φ. E pero se ne puo prescindere in certi casi speciali:tipicamente quelli degli esercizi di un corso, come nel prossimo esempio...

o9.1’ Esempio 14.3. Nell’aperto B definito dalle disuguaglianze

1 < x2 − y2 < 2, −1

2<

y

x<

1

2(70) inie

la trasformazione di coordinate Ψ definita da u = x2 − y2, v = y/x non e iniettiva: Ψ(x, y) =Ψ(−x,−y). Lo e invece nell’intersezione A di B col semipiano delle x > 0: dato un qualunque punto(u0, v0) di U = Ψ(A) =]1, 2[×]− 1/2, 1/2[, l’iperbole x2 − y2 = u0 e la retta y = v0x si incontranoin un unico punto (x0, y0) ∈ A. Dunque in U e definita la Φ iniettiva data dall’inversa della Ψristretta ad A. Soprassediamo momentaneamente alla verifica delle proprieta della Φ attraverso ilsuo calcolo esplicito, ed esprimiamo il suo jacobiano attraverso quello dell’inversa: siccome

∆Ψ(x, y) = 2− 2y2

x2

la (69) adesso diventa

∆Φ(u, v) =1

2(1− v2). (71) deja

Come si vede, non c’e stato bisogno del calcolo esplicito di Φ, che peraltro si fa subito: e latrasformazione

x =

u

1− v2, y = v

u

1− v2,

di classe C1 in V = R×]− 1, 1[ ed iniettiva in U . Da questa espressione si arriva di nuovo alla (71),anche se con qualche conto in piu.

Servendosi delle coordinate polari si puo formulare un rapido approccio all’integrazione impro-pria nel piano. Per cominciare, poniamo

CrR = (x, y) | 0 < r2 ≤ x2 + y2 ≤ R2 < ∞.

L’integrale

IrR =

CrR

(x2 + y2)α/2 dxdy = 2π

R

rα+1 d

vale2π

α+ 2(Rα+2 − rα+2) per α = −2, 2π(logR− log r) per α = −2.

Dunque

limR→∞

IrR = ∞ per α ≥ −2, limR→∞

IrR = −2πrα+2

α+ 2per α < −2,

limr→0

IrR = ∞ per α ≤ −2, limr→0

IrR =2πRα+2

α+ 2per α > −2.

Da qui si ricava facilmente il

49

Page 50: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

T9.2 Teorema 14.2. (i) Sia f definita all’esterno del disco x2+y2 ≥ r2 per qualche r > 0 ed integrabile

in ogni CrR, R > r. Allora l’integrale improprio

x2+y2≥r2f(x, y) dxdy

converge assolutamente se esiste una costante K > 0 tale che 0 ≤ |f(x, y)| ≤ K(x2 + y2)α/2 per

un α < −2, mentre diverge se esiste una costante K > 0 tale che f(x, y) ≥ K(x2 + y2)α/2 per un

α ≥ −2;(ii) Sia f definita in un disco bucato 0 < x2 + y2 ≤ R2 per qualche R > 0 ed integrabile in ogni

CrR, 0 < r < R. Allora l’integrale improprio

x2+y2≤R2f(x, y) dxdy

converge assolutamente se esiste una costante K > 0 tale che 0 ≤ |f(x, y)| ≤ K(x2 + y2)α/2 per

un α > −2, mentre diverge se esiste una costante K > 0 tale che f(x, y) ≥ K(x2 + y2)α/2 per un

α ≤ −2.

L’enunciato del Teorema 14.1 si trasferisce in maniera ovvia alla dimensione 3:

T9.2 Teorema 14.3. Siano dati due aperti U e V di R3, il primo dei quali limitato con chiusura K = Ucontenuta in V . Sia Φ : V → R3 un diffeomorfismo di V , o piu in generale una funzione di classe C1

che ristretta ad U sia un diffeomorfismo, con Φ(U) PJ–misurabile. Allora anche U e PJ–misurabile,

e per ogni f : Φ(U) → R limitata e integrabile vale l’identita

Φ(U)f(x, y, z) dxdydz =

U(f Φ)(u, v, w)|∆Φ(u, v, w)| dudvdw (72) aff’

ovvero

Φ(U)f(x, y, z) dxdydz =

Φ(K)f(x, y, z) dxdydz =

K(f Φ)(u, v, w)|∆Φ(u, v, w)| dudvdw .

Oltre alla (65), che si trasferisce banalmente al caso di una Φ trasformazione affine dello spazio,un’importante applicazione che rientra nel Teorema 14.4 e la seguente.

Coordinate sferiche

La trasformazioneΦ(θ, ,ϕ) = ( cos θ cosϕ, sin θ cosϕ, sinϕ),

il cui jacobiano ∆Φ(θ, ,ϕ) vale 2 cosϕ, e regolarissima su tutto V = R3, e diventa un diffeomorfi-smo quando e ristretta al prodotto cartesiano ]0, 2π[×]0, R[×] − π/2,π/2[. Prendendo ad esempioquest’ultimo come U , per cui Φ(K) e la palla (tridimensionale) chiusa BR, otteniamo

BR

f(x, y, z) dxdydz =

Kf( cos θ cosϕ, sin θ cosϕ, sinϕ)2 cosϕ dϑddϕ (73) (8.3)

=

0dϑ

R

0d

π/2

−π/2f( cos θ cosϕ, sin θ cosϕ, sinϕ)2 cosϕ dϕ

50

Page 51: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

per f ∈ C0(BR) limitata (cfr. la (57)). La (73) fornisce il volume 4πR3/3 della sfera come integraledell’area (nel senso della geometria euclidea) 4π2 della superficie sferica di raggio , area che equindi la derivata del volume della sfera di raggio :

V (BR) =

R

04π2 d.

Esempio 14.4. Per calcolare

I =

D

cosx2 + y2 + z2

x2 + y2 + z2dxdydz

conD = (x, y, z) | 1 ≤ x2 + y2 + z2 ≤ 4, z ≥ 0

passiamo a coordinate sferiche x = cosϑ cosϕ, y = sinϑ cosϕ, z = sinϕ, dove 1 ≤ ≤ 2, 0 ≤ϑ ≤ 2π e (attenzione!) 0 ≤ ϕ ≤ π/2. Otteniamo

I =

[1,2]×[0,2π]×[0,π/2]

cos

22 cosϕ ddϑdϕ = 2π(sin 2− sin 1).

Utilizziamo le coordinate sferiche per occuparci dell’integrazione impropria nello spazio a 3dimensioni. Poniamo

ΓrR = (x, y, z) | 0 < r2 ≤ x2 + y2 + z2 ≤ R2 < ∞.

L’integrale

IrR =

ΓrR

(x2 + y2 + z2)α/2 dxdydz = 4π

R

rα+2 d

vale4π

α+ 3(Rα+3 − rα+3) per α = −3, 4π(logR− log r) per α = −3.

Dunque

limR→∞

IrR = ∞ per α ≥ −3, limR→∞

IrR = −4πrα+3

α+ 3per α < −3,

limr→0

IrR = ∞ per α ≤ −3, limr→0

IrR =4πRα+3

α+ 3per α > −3.

Da qui si ricava il

T9.2 Teorema 14.4. (i) Sia f definita all’esterno della palla x2 + y2 + z2 ≥ r2 per qualche r > 0 ed

integrabile in ogni ΓrR, R > r. Allora l’integrale improprio

x2+y2+z2≥r2f(x, y, z) dxdydz

converge assolutamente se esiste una costante K > 0 tale che 0 ≤ |f(x, y, z)| ≤ K(x2 + y2 + z2)α/2

per un α < −3, mentre diverge se esiste una costante K > 0 tale che f(x, y) ≥ K(x2 + y2 + z2)α/2

per un α ≥ −3;

51

Page 52: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

(ii) Sia f definita in una palla bucata 0 < x2 + y2 + z2 ≤ R2 per qualche R > 0 ed integrabile

in ogni ΓrR, 0 < r < R. Allora l’integrale improprio

x2+y2+z2≤R2f(x, y) dxdydz

converge assolutamente se esiste una costante K > 0 tale che 0 ≤ |f(x, y, z)| ≤ K(x2 + y2 + z2)α/2

per un α > −3, mentre diverge se esiste una costante K > 0 tale che f(x, y, z) ≥ K(x2+y2+z2)α/2

per un α ≤ −3.

15 Richiami su curve ed integrali curvilinei

Una curva di RN e una funzione vettoriale ϕ = (ϕ, . . . ,ϕN ) : [a, b] → RN almeno continua elimitata su un intervallo limitato ]a, b[. Il suo integrale da a a b e il vettore

b

aϕ(t) dt =

b

aϕ1(t) dt, . . . ,

b

aϕN (t) dt

.

nor Lemma 15.1. Vale la disuguaglianza

b

aϕ(t) dt

≤ b

aϕ(t) dt.

DIM. Applicando la disuguaglianza di Cauchy–Scwarz al prodotto scalare (· | ·) in RN otteniamosubito b

aϕ(t) dt

y

=

b

a(ϕ(t) |y) dt ≤

b

aϕ(t) y dt =

b

aϕ(t) dt

y

e quindi, con la scelta

y =

b

aϕ(t) dt,

il risultato cercato.

Esempio 15.1. Se f e una funzione reale continua su [a, b] le funzioni vettoriali

[a, b] t → (t, f(t))

e[a, b] t → (f(t), t)

sono due curve di R2. Per semplicita conviene parlare di curva y = f(x), x ∈ [a, b] nel primo casoe di curva x = f(y), y ∈ [a, b] nel secondo.

52

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Si dice che ϕ e: semplice se ϕ(t1) = ϕ(t2) per a ≤ t1 < t2 ≤ b tranne, eventualmente, quandot1 = a e t2 = b; chiusa se ϕ(a) = ϕ(b); aperta se ϕ(a) = ϕ(b).

L’orientazione di ϕ e quella in cui ϕ(t1) precede ϕ(t2) se a ≤ t1 < t2 ≤ b; il primo estremoo origine di ϕ e ϕ(a), il secondo estremo o termine e ϕ(b). L’opposta di ϕ e la curva[a, b] t → ϕ(a+ b− t).

Il sostegno di ϕ e l’immagine ϕ([a, b]). Si tatta di un insieme (sempre chiuso nella topologiadi RN !) da cui in nessun modo si puo risalire alla funzione ϕ: basta pensare che esso e lo stesso perogni altra curva ϕp non appena p e di classe C0 in un intervallo compatto [c, d] con p([c, d]) = [a, b].Cio corrisponde perfettamente alla distinzione tra una funzione (scalare) e il suo grafico, salvo perla differenza, non di poco conto, che abitualmente il termine di curva viene utilizzato proprio colsignificato di sostegno, non certo di funzione (vettoriale). E anche qui in certi casi fara comodo,per procedere un po’ piu speditamente, riferirsi al sostegno di una famiglia di curve come se fossela stessa cosa di una o di alcune particolari curve della famiglia.

Esempio 15.2. In R2 la circonferenza di centro (x0, y0) e raggio r, pensata come curva (semplicee chiusa), e la funzione

[0, 2π] t → (x0 + r cos t, y0 + r sin t).

Esempio 15.3. Dati x e y in RN il segmento (orientato) σ(x,y) che va da x a y, inteso comecurva (semplice e aperta), e una qualunque funzione

[a, b] t → b− t

b− ax+

t− a

b− ay

con a e b presi in R, a < b. I segmenti σ(x,y) e σ(y,x) sono opposti tra loro.

Due curve ϕ : [a, b] → RN e ψ : [c, d] → RN di classe C1 sono equivalenti l’una all’altra quandoψ = ϕ p con p : [c, d] → R di classe C1, p = 0 in [c, d] e p([c, d]) = [a, b] (per cui p e strettamentemonotona con p−1 ∈ C1([a, b])). Se p e crescente, cioe se ϕ(a) = ψ(c) e ϕ(b) = ψ(d), l’orientazionedi ϕ coincide con quella di ψ, altrimenti una e l’opposta dell’altra.

Esempio 15.4. In R2 la curva di classe C1

[0,π] t → (cos t, sin t)

non e equivalente alla curva

y =1− x2, −1 ≤ x ≤ 1,

che non e di classe C1. Invece sono equivalenti tra di loro, ma con orientazioni opposte, le duecurve di classe C1

[π/4, 3π/4] t → (cos t, sin t)

e

y =

1− x2, − 1√2≤ x ≤ 1√

2.

53

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Una curva ϕ : [a, b] → RN di classe C1 e regolare se soddisfa ϕ > 0 in tutto ]a, b[. La ragiond’essere di questa condizione sta nella sua interpretazione geometrica: la derivata ϕ(t0), limite pert → t0 del rapporto incrementale

ϕ(t)− ϕ(t0)

t− t0con t0, t ∈]a, b[, t = t0, e l’N–pla dei parametri direttori di una retta, e piu esattamente dellatangente al sostegno di ϕ in ϕ(t0), se e solo se non e nulla. Diversa la questione dal punto divista cinematico: come velocita istantanea all’istante t0 del moto con legge oraria ϕ (e quindi contraiettoria uguale al sostegno di ϕ) la derivata puo benissimo avere tutte le componenti uguali a 0.

Esempio 15.5. La curva ϕ(t) = (t3, t2) per −1 ≤ t ≤ 1 e di classe C1 e costituisce la legge orariadi un moto con velocita (vettoriale) nulla all’istante 0. Pero il suo sostegno, cioe la traiettoriadel moto, e anche il sostegno della curva (=grafico della funzione) y = x2/3, e dunque e privo ditangente nell’origine.

L’agganciamento della curva ϕ ad una seconda curva ψ : [c, d] → RN ha senso (solo) quandoϕ(b) = ψ(c). Esso da luogo alla curva χ : [a, b+d−c] → RN definita dalle identita: χ(τ) = ϕ(τ) pera ≤ τ ≤ b, χ(τ) = ψ(τ − b+ c) per b < τ ≤ b+ d− c. Dunque la χ ristretta a [a, b] e la stessa cosadella ϕ, mentre ristretta a [b, b+ d− c] non e esattamente la ψ bensı la ψ p con p(τ) = τ − b+ c.L’agganciamento consecutivo di tre o piu curve si effettua agganciando, per cominciare, la prima ela seconda (purche cio sia possibile), poi agganciando la curva cosı ottenuta e la terza delle curvedate (purche cio sia possibile), eccetera. L’agganciamento di un numero finito di segmenti e unapoligonale.

Un cammino e una curva ottenuta agganciando consecutivamente un numero finito di curvedi classe C1; l’orientazione di una qualunque di tali curve determina quella di tutto il cammino sequesto e una curva semplice. Un cammino e dunque una funzione ϕ di classe C1 a tratti (oltre che,naturalmente, di classe C0). Cio significa che si puo dare una partizione a = a0 < a1 < · · · < am = bdi [a, b] in modo tale che la derivata ϕ(t) esista continua in ogni intervallo ]ah−1, ah[ e sia dotatadi limite in RN tanto per t → ah−1 + 0 che per t → ah − 0. Naturalmente rientra nella definizionedi cammino una ϕ di classe C1 su tutto [a, b].

Indichiamo con G una funzione continua in un aperto A di RN . Se ϕ e un cammino [a, b] → RN

col sostegno contenuto in A l’integrale curvilineo (di prima specie) di G su ϕ e definito nelmodo seguente:

ϕ

Gds =

b

aG(ϕ(t))ϕ(t) dt.

La definizione e ben posta perche la funzione integranda t → G(ϕ(t))ϕ(t) e definita, limitata econtinua nell’intervallo [a, b] privato al piu di un numero finito di punti ah; inoltre

ϕ

Gds =m

h=1

ah

ah−1

G(ϕ(t))ϕ(t) dt.

Esempio 15.6. Se G e una funzione reale continua in un aperto A di R2 il suo integrale di primaspecie su una curva su una curva y = f(x), a ≤ x ≤ b, di classe C1 e con sostegno contenuto in Ae dato da b

aG(x, f(x))

1 + f (x)2 dx.

54

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Dalla formula di integrazione per sostituzione segue facilmente il

Teorema 15.1. Se due curve ϕ e ψ di classe C1 coi sostegni contenuti in A sono equivalenti tra

di loro l’integrale di f su ψ e uguale a quello su ϕ indipendentemente dall’orientazione delle due

curve.

Adesso fissiamo N funzioni Lj continue in un aperto A di RN ed associamo loro tanto lafunzione vettoriale A → RN , o campo vettoriale, L = (L1, ..., LN ) che la forma differenzialeω = L1 dx1 + · · ·LNdxN . Ogni enunciato su L e equivalente ad un enunciato su ω. Pero lanotazione differenziale e la piu comoda quando si ha a che fare con gli integrali che adesso passiamoad introdurre.

Dato un cammino ϕ = (ϕ1, . . . ,ϕN ) : [a, b] → RN col sostegno C contenuto in A l’integralecurvilineo (di seconda specie) di ω su ϕ e il numero

ϕ

ω =

b

a

N

j=1

Lj(ϕ(t))ϕj(t) dt.

La definizione e ben posta perche la funzione integranda t →N

j=1 Lj(ϕ(t))ϕj(t) e definita, limitata

e continua nell’intervallo [a, b] privato di un numero finito di punti (quelli in cui non e definitaqualcuna delle derivate ϕ

j).

Esempio 15.7. Se L ed M sono funzioni reali continue in un aperto A di R2 l’integrale di Ldx+M dy su una curva y = f(x), a ≤ x ≤ b di classe C1 e con sostegno contenuto in A e dato da

b

aL(x, f(x)) dx+

b

aM(x, f(x))f (x) dx.

inv Teorema 15.2. Se due curve ϕ e ψ di classe C1 con i sostegni contenuti in A sono equivalenti

tra di loro l’integrale di ω su ψ e uguale a quello su ϕ o all’opposto a seconda che ψ e ϕ abbiano

orientazioni uguali o opposte.

Anche il Teorema 15.2 si ottiene facilmente integrando per sostituzione.

Esempio 15.8. Applicando ripetutamente il Teorema 15.2 si verifica che l’integrale di secondaspecie sulla circonferenza [0, 2π] t → (cos t, sin t) e uguale alla somma di quelli sull’opposta diy =

√1− x2 , −1/

√2 ≤ x ≤ 1/

√2 (cfr l’Esempio 1.4), sull’opposta di x = −

1− y2 , −1/

√2 ≤

y ≤ 1/√2, su y = −

√1− x2 , −1/

√2 ≤ x ≤ 1/

√2 e su x =

1− y2 , −1/

√2 ≤ y ≤ 1/

√2.

55

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16 Lunghezza di una curva

La lunghezza di un segmento σ(x,y) di estremi x = (x1, . . . , xN ) e y = (y1, . . . , yN ) e la quantita

x− y =

N

i=1

(xi − yi)2;

quella di una poligonale Π che ottiene agganciando uno dopo l’altro un numero finito di segmentiσ(xk,yk) e la somma delle lunghezze xk − yk, e noi la indichiamo con (Π). Se z e un punto diσ(x,y), cioe z = x+ λ(y− x) per un λ ∈]0, 1[, la disuguaglianza triangolare vale col segno uguale:

x− y = x− z+ z− y.

Da cio segue che la lunghezza di σ(x,y) non varia se, invece che come un segmento, lo si consideracome la poligonale di vertici consecutivi x, z e y. Piu in generale, dunque, la lunghezza di unapoligonale non varia se ai suoi vertici ne vengono aggiunti degli altri, non “essenziali” nel sensoappena detto.

Sia adesso data una curva semplice ϕ : [a, b] → RN . Una poligonale Πϕ inscritta in ϕ vienecostruita fissando una partizione a = t0 < t1 < · · · < tn = b di [a, b] e agganciando consecutivamentei segmenti σ(ϕ(tk−1),ϕ(tk)), k = 1, ..., n. Diciamo che ϕ e rettificabile se le lunghezze dellepoligonali Πϕ inscritte in ϕ costituiscono un insieme limitato. In tal caso la lunghezza di ϕ eindicata con (ϕ) ed e definita cosı:

(ϕ) = supΠϕ

(Πϕ).

L’ipotesi che ϕ sia semplice non e essenziale se non per fare in modo che la sua lunghezza possaessere interpretata come lunghezza del suo sostegno.

Teorema 16.1. Se ϕ e rettificabile ogni altra curva ψ tale che ϕ = ψ p per un’opportuna funzione

reale continua ed invertibile p : [a, b] → R e a sua volta rettificabile ed ha la stessa lunghezza di ϕ.

DIM. Un numero finito di punti th distinti tra di loro determina una partizione di [a, b] se e solose i punti τh = p(th) sono distinti tra di loro e determinano una partizione di [c, d]. Dunque unapoligonale inscritta a ϕ e una poligonale inscritta a ψ, e viceversa.

Nelle considerazioni che abbiamo svolto finora non abbiamo fatto intervenire nessuna ipotesi di

regolarita delle curve in aggiunta a quella (di continuita) automaticamente garantita dalla definizio-ne. Ma in un contesto cosı generale puo venir meno la rettificabilita, e perfino l’unidimensionalita.Uno splendido esempio (troppo elaborato per essere presentato qui) e la curva di Peano, il cuisostegno e l’intero quadrato [0, 1]2. Ma anche curve continue inequivocabilmente unidimensionalipossono non essere rettificabili:

Esempio 16.1. La curva piana ϕ(t) = (t, t sin(π/2t)) per 0 < t ≤ 1, ϕ(0) = (0, 0) non e rettificabile.Sia infatti K un qualunque numero reale, e sia n = nK un numero naturale cosı grande chen

j=2 1/j > K (divergenza della serie armonica). Sia poi Πϕ la poligonale inscritta associata allapartizione t0 = 0 < t1 = 1/n < t2 = 1/(n− 1) < · · · < tn = 1. Poiche

ϕ(tj)− ϕ(tj−1) ≥

sin jπ

2

j−

sin (j−1)π2

j − 1

=1

j+

1

j − 1>

1

j, j = 2, ..., n,

la lunghezza (Πϕ) e maggiore di K.

56

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Passiamo a richiedere che la curva ϕ : [a, b] → RN sia non piu soltanto continua, bensı anche C1

a tratti, dunque un cammino. Sia a = a0 < a1 < · · · < am = b una partizione di [a, b] tale che ϕ(t)esista continua in ogni intervallo ]ah−1, ah[ ed ammetta limite in RN tanto quando t → ah−1+0 chequando t → ah − 0. La norma ϕ(t) e definita, limitata e continua in tutto [a, b] con l’eccezioneal piu dei punti ah, dunque integrabile su [a, b] secondo Riemann.

Teorema 16.2. Ogni cammino ϕ : [a, b] → RN e rettificabile, e la sua lunghezza e data dalla

formula

(ϕ) =

b

aϕ(t) dt. (74) cu4

DIM. Ci si convince facilmente che e sufficiente dimostrare il presente enunciato per le restrizionidi ϕ ai vari intervalli [ah−1, ah] in cui essa e una funzione di classe C1. Ma allora tanto vale supporredirettamente che lo sia su tutto [a, b].

Per ogni partizione a = t0 < t1 < · · · tn−1 < tn = b la lunghezza della poligonale Πϕ di verticiϕ(tk) verifica

(Πϕ) =m

k=1

ϕ(tk)− ϕ(tk−1) =m

k=1

tk

tk−1

ϕ(t) dt

≤m

k=1

tk

tk1

ϕ(t) dt = b

aϕ(t) dt

grazie al Lemma 15.1 con ϕ al posto di ϕ. Dunque ϕ e rettificabile, e la sua lunghezza verifica

(ϕ) ≤ b

aϕ(t) dt. (75) cu6

D’altra parte, dall’identita

tk

tk−1

ϕ(tk) dt

=

tk

tk−1

ϕ(tk) dt

ricaviamo, maggiorando il primo membro con

tk

tk−1

ϕ(t) dt

+

tk

tk−1

[ϕ(tk)− ϕ(t)] dt

tk

tk−1

ϕ(t) dt

+

tk

tk−1

ϕ(tk)− ϕ(t) dt

e minorando il secondo membro con tk

tk−1

ϕ(t) dt− tk

tk−1

ϕ(tk)− ϕ(t) dt,

che

tk

tk−1

ϕ(t) dt

≥ tk

tk−1

ϕ(t) dt− 2

tk

tk−1

ϕ(tk)− ϕ(t) dt. (76) cu7

Il primo membro della (76) e la quantita ϕ(tk)− ϕ(tk−1), e passando alla somma su k si ottienela lunghezza della poligonale Πϕ determinata dalla partizione. Fissiamo ε > 0 e determiniamo

57

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δ = δε > 0 tale che ϕ(τ)−ϕ(t) < ε per t, τ in [a, b] con |t− τ | < δ (uniforme continuita di ϕ(t)su [a, b]). Per i tk tali che tk − tk−1 < δ otteniamo

(Πϕ) ≥ b

aϕ(t) dt− 2ε(b− a)

e insieme alla (75) questo dimostra il teorema.

Il secondo membro della (74) e l’integrale di prima specie su ϕ della funzione identicamenteuguale ad 1.

Esempio 16.2. Il grafico di una funzione reale f ∈ C1([a, b]) e rettificabile, e la sua lunghezza vale ba

1 + [f (x)]2 dx.

Limitiamoci a ϕ di classe C1 in [a, b]. La lunghezza

s(t) =

t

aϕ(τ) dτ

della ϕ ristretta ad [a, t], dove t ∈ [a, b], e una funzione detta ascissa curvilinea, che verifica

ds

dt= ϕ(t).

Questo spiega la notazione adottata per gli integrali curvilinei di prima specie.

17 La formula di Gauss–Green

Siano date due funzioni reali continue ϕ,ψ : [a, b] → R con ϕ < ψ su ]a, b[, dove −∞ < a < b < ∞.Indichiamo con K l’uno o l’altro dei due domini normali definiti a partire da f e g, cioe o

(x, y) ∈ R2| a ≤ x ≤ b, ϕ(x) ≤ y ≤ ψ(x) (77) 7.1

oppure(x, y) ∈ R2| a ≤ y ≤ b, ϕ(y) ≤ x ≤ ψ(y). (78) 7.2

Se K e il dominio (77) la sua frontiera e il sostegno del cammino chiuso ottenuta agganciandoconsecutivamente: la curva y = ϕ(x), a ≤ x ≤ b; il segmento (che puo anche ridursi ad un punto)x = b, ϕ(b) ≤ y ≤ ψ(b); l’opposta della curva y = ψ(x), a ≤ x ≤ b; l’opposto del segmento (che puoanche ridursi ad un punto) x = b, ϕ(a) ≤ y ≤ ψ(a). Considerazioni del tutto analoghe valgono perK dato dalla (78).

Aggiungiamo l’ipotesi che ϕ e ψ siano di classe C1 su [a, b]. Per semplificare la terminologiadiciamo che i domini (77) e (78) sono adesso, rispettivamente, di tipo I e di tipo II. In entrambi icasi la frontiera ∂K di K e sostegno di un cammino che orientiamo in senso antiorario e denotiamo

58

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con +∂K. In ogni punto di ∂K ad eccezione di (a,ϕ(a)), (a,ψ(a)), (b,ϕ(b)) e (b,ψ(b)) e definito ilversore normale esterno a K, che indichiamo con νe. Si tratta del vettore uguale a

(−ψ(x), 1)1 + ψ(x)2

nei punti (x,ψ(x)) con a < x < b,

(ϕ(x),−1)1 + ϕ(x)2

nei punti (x,ϕ(x)) con a < x < b,

nonche a (−1, 0) nei punti (a, y) con ϕ(a) < y < ψ(a) (se ce ne stanno), (1, 0) nei punti (b, y) conϕ(b) < y < ψ(b) (se ce ne stanno). Il versore normale interno a K, che indichiamo con νi, el’opposto di νe.

Prolunghiamo ϕ e ψ a tutto R conservando la loro regolarita C1 e ancora una volta, per fissarele idee, prendiamo come K il dominio (77). Se A e un aperto che contiene K, quest’ultimo econtenuto nell’unione di rettangoli aperti I×]c, d[ con

[a, b]× [c, d] ⊂ A, c < ϕ(x),ψ(x) < d x ∈ I. (79) 7.3

t7.1 Teorema 17.1. Sia K uno dei due aperti (77) o (78) e siano L,M due funzioni continue, nonche

dotate di derivate parziali Ly, Mx anch’esse continue, in un aperto A ⊃ K. Risulta

K(Mx − Ly) dxdy =

+∂KLdx+M dy. (80) 7.4

DIM. Sia K il dominio di tipo I dato dalla (77). Per la formula di riduzione degli integrali doppied il teorema fondamentale del calcolo integrale risulta

KLy dxdy =

b

adx

ψ(x)

ϕ(x)Ly(x, y) dy =

b

a[L(x,ψ(x))− L(x,ϕ(x))] dx = −

+∂KLdx. (81) 7.5’

Per ogni scelta di I, c, d tali che che sia soddisfatta la (79), si applica il Teorema 4.3 alla funzione

x → Γ(x) =

ψ(x)

ϕ(x)M(x, y) dy

nei punti x ∈ I e si ottiene l’identita

Γ(x) =d

dx

ψ(x)

ϕ(x)M(x, y) dy =

ψ(x)

ϕ(x)Mx(x, t) dt+M(x,ψ(x))ψ(x)−M(x,ϕ(x))ϕ(x),

che viene dunque ad essere valida in ogni punto x ∈ [a, b]. Integrandola su [a, b] otteniamo

TMx dxdy =

b

adx

ψ(x)

ϕ(x)Mx(x, y) dy

=

ψ(b)

ϕ(b)M(b, y) dy −

ψ(a)

ϕ(a)M(a, y) dy −

b

a[M(x,ψ(x))ψ(x)−M(x,ϕ(x))ϕ(x)] dx

=

+∂KM dy,

dove la differenza dei due integrali in dy del 3o membro e Γ(b)− Γ(a).Da qui e da (81) segue la (80).Lo stesso discorso vale per K dato dalla (78).

59

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La (80) e la formula di Gauss–Green. Ne diamo una formulazione equivalente prendendouna funzione vettoriale continua F = (F1, F2) : A → R2 con derivate F1x, F2y anch’esse continue inA. Per L uguale ad −F2 e M ad F1, dunque Mx − Ly uguale alla divergenza divF = (F1x, F2y),la (80) diventa

KdivF dxdy =

+∂K− F2 dx+ F1 dy. (82) 7.6

Il secondo membro della (80) e la somma dei seguenti quattro addendi:

b

a

F1(x,ϕ(x))

ϕ(x)1 + ϕ(x)2

+ F2(x,ϕ(x))−1

1 + ϕ(x)2

1 + ϕ(x)2 dx,

b

a

F1(x,ψ(x))

−ψ(x)1 + ψ(x)2

+ F2(x,ψ(x))1

1 + ψ(x)2

1 + ψ(x)2 dx,

ψ(a)

ϕ(a)F1(a, y)(−1) dy e

ψ(b)

ϕ(b)F1(a, y) · 1 dy.

Ma allora la (82) si puo riscrivere come

KdivF dxdy =

∂KF · νe ds. (83) 7.7

Nel secondo membro la scelta dell’orientazione sulla frontiera di K, che non puo tradursi nel versodi percorrenza sul cammino di integrazione dell’integrale di prima specie, dal momento che que-st’ultimo ne e indipendente (e infatti abbiamo soppresso il segno +), compare invece nella funzioneintegranda, dove il versore normale da scegliere e precisamente quello esterno νe e non il suo oppostoνi.

La variante (83) della formula di Green esprime, sotto le ipotesi che abbiamo dato, il Teoremadella divergenza.

Indichiamo con K il cerchio di centro l’origine e raggio 1. Si tratta sı di un dominio normale,ma non di tipo I ne di tipo II, perche le funzioni

[−1, 1] x → ±1− x2, [−1, 1] y → ±

1− y2

non sono di classe C1. Pero domini quali

K1 = (x, y) ∈ R2| x2 + y2 ≤ 1, x ≤ −1/√2

eK2 = (x, y) ∈ R2| x2 + y2 ≤ 1, x ≥ 1/

√2

sono di tipo II (non di tipo I), mentre

K3 = (x, y) ∈ R2| x2 + y2 ≤ 1, −1/√2 ≤ x ≤ 1/

√2

e di tipo I (non di tipo II). K e unione dei Kj , e la sua frontiera, con l’orientazione indotta daquelle delle +∂Kj , diventa una curva orientata che indichiamo con +∂K. (Naturalmente avremmopotuto piu semplicemente dire che +∂K e la circonferenza unitaria orientata in senso antiorario,pero in tal modo non avremmo suggerito una procedura di portata generale.) Se le funzioni L ed

60

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M sono continue, con Ly e Mx anch’esse continue, in un aperto contenente K si puo applicare laformula di Gauss–Green su ogni Kj ed ottenere

K(Mx − Ly) dxdy =

3

j=1

Kj

(Mx − Ly) dxdy

=3

j=1

+∂Kj

Ldx+M dy =

+∂KLdx+M dy

grazie alla cancellazione reciproca dei contributi negli+∂Kj

Ldx + M dy dei segmenti verticali

delle ∂Kj . L’ultimo membro si puo adesso scrivere come un integrale sulla curva [0, 2π] t →(cos t, sin t).

Le considerazioni appena svolte per il cerchio si generalizzano ad ogni dominio K di cui sipossa dare, mediante intersezioni con opportune rette verticali ed orizzontali, una decomposizionein un numero finito di sottodomini di tipo I o II privi due a due di punti interni in comune; lefrontiere dei sottodomini orientate positivamente inducono automaticamente sulla frontiera di Kuna orientazione (positiva per definizione). Diciamo allora che K e ammissibile, e il Teorema 17.1ammette il seguente

Corollario 17.1. La formula di Gauss–Green vale in ogni dominio ammissibile K per funzioni Led M continue, con Ly e Mx anch’esse continue, in un aperto contenente K.

L’enunciato precedente si trasforma in un attimo nella sua variante per il Teorema della diver-genza.

Esempio 17.1. Se un triangolo ha un lato verticale e un dominio di tipo I, se ne ha uno orizzontalee un dominio di tipo II. Peraltro e facile decomporre un qualunque triangolo nell’unione di duetriangoli con un lato verticale oppure con uno orizzontale in comune. Ne segue che ogni triangoloe un dominio ammissibile.

Esempio 17.2. Una corona circolare e ammissibile, e l’orientazione positiva sulla sua frontiera in-duce il verso di percorrenza antiorario sulla circonferenza maggiore, quello orario sulla circonferenzaminore.

Esempio 17.3. Se ad un dominio normale di tipo I o II si toglie un disco aperto la cui chiusura siacontenuta all’interno del dominio si ottiene un dominio ammissibile (unione di 8 domini normali ditipo I oppure II). Da qui si arriva facilmente a generalizzare l’Esempio 7.2 della corona circolare,mostrando che e ammissibile un disco chiuso privato di un disco aperto con la chiusura contenutaall’interno del disco di partenza.

Osservazione 17.1. Prendendo una volta L(x, y) = 0, M(x, y) = x e l’altra L(x, y) = −y,M(x, y) = 0 otteniamo per l’area di un dominio ammissibile K le espressioni

v2(K) =

+∂Kx dy = −

+∂Ky dx.

61

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Spesso, nelle applicazioni, quella che viene data esplicitamente e una curva semplice e chiusa γsu cui bisogna calcolare un integrale di seconda specie: se si vuole ricorrere alla formula di Gauss–Green bisogna mostrare innanzitutto che il sostegno di γ e la frontiera di un dominio ammissibileK, e poi che l’integrale su γ e uguale a quello su +∂K.

18 Funzioni a valori complessi e operatori differenziali lineari

secI1-3

Per λ ∈ R la regola di derivazione delle funzioni composte da immediatamente

Deλt = λeλt (84) I-1.1

e piu in generaleDkeλt = λkeλt, k ∈ N. (85) I-1.2

E difficile sopravvalutare l’importanza della (85) in Analisi Matematica. Essa ci dice nientedimeno

che applicare k volte alla funzione t → eλt l’operatore di derivazione e la stessa cosa che moltiplicarlaper lo scalare λk. In se stessa questa e una proprieta ben nota per λ reale fin dagli inizi dello studiodel Calcolo. Ma per farle giocare l’insostituibile ruolo che e il suo nello studio delle equazionidifferenziali si rivelera conveniente, come vedremo fra breve, estenderla a valori complessi λ = α+iβcon α,β ∈ R. A tal fine partiamo dall’identita di Eulero

eλt = eαt(cosβt+ i sinβt).

Derivando otteniamo

D(eαt cosβt) = eαt(α cosβt− β sinβt), D(eαt sinβt) = eαt(α sinβt+ β cosβt)

ovveroD[eαt(cosβt+ i sinβt)] = (α+ iβ)eαt(cosβt+ i sinβt)

da cui la (84), e quindi la (85), anche per λ ∈ C.Adesso possiamo studiare per ogni a ∈ C le equazioni differenziali lineari piu semplici che

esistano: l’omogeneay + ay = 0 (86) I-3.1

e la non omogeneay + ay = f(t) (87) I-3.2

con f(t) (a valori complessi) almeno di classe C0 in un intervallo aperto I.Alla (86) gia si riconducono alcuni modelli di importanti fenomeni fisici o biologici: il decadi-

mento radioattivo (y(t) denota la quantita del materiale radioattivo presente al tempo t, mentre ae una costante reale positiva che dipende solo dalle caratteristiche chimiche del materiale stesso),l’evoluzione numerica di una popolazione secondo la teoria malthusiana (y(t) denota la “quantita”presente al tempo t ed a e una costante reale uguale alla differenza tra il tasso di mortalita e quellodi natalita, supposti costanti), eccetera. La (87) governa ad esempio il modello newtoniano dellacaduta libera di un corpo in un mezzo resistente (con y(t) velocita di caduta, a = k/m dove lacostante k caratterizza la forza d’attrito −ky(t) del mezzo e m e la massa del corpo, infine f(t) = gaccelerazione di gravita) o quello della variazione nel tempo della temperatura y(t) di un corpo

62

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posto in un ambiente di temperatura uguale a f(t)/a con a > 0 (la rapidita y(t) con cui varia y(t)e proporzionale, con fattore a, allo scarto f(t)/a− y(t)).

La (84) ci permette di constatare in un attimo che la funzione e−at e una soluzione (su tuttoR) della (86), e quindi e tale ogni Ke−at con K arbitraria costante complessa; se in particolare a ereale, e noi ci interessiamo alle sole soluzioni reali, prendiamo come K un’arbitraria costante reale.Ci sono altre soluzioni, definite in qualche intervallo aperto I? Facciamo vedere che la risposta enegativa, servendoci di una tecnica che chiamiamo della funzione ausiliaria (malgado questo siaun termine cosı generico da rischiare la vacuita). Una qualunque funzione derivabile y(t) definitain I si scrive come prodotto v(t)e−at con v(t) (la funzione ausiliaria) da determinare, e verifica

y(t) + ay(t) = [v(t)e−at] + av(t)e−at = v(t)[(e−at) + ae−at] + v(t)e−at = v(t)e−at. (88) I-3.3

Se y(t) e soluzione della (86) in I, il primo membro si annulla e quindi v(t) = 0 ovvero v(t) =costante. Ne segue che dev’essere

y(t) = Ke−at (89) I-3.4

per t in I (e di conseguenza I = R). Abbiamo cosı visto che l’integrale generale dell’equazionedifferenziale (86) e Ke−at, t ∈ R. Questo implica che le soluzioni costituiscono uno spazio vettorialedi dimensione 1; come campo degli scalari prendiamo C se ci interessiamo, per a reale o complessoche sia, alla famiglia delle soluzioni complesse, e invece R se a e reale e ci interessiamo alla famigliadelle soluzioni reali. Le singole soluzioni dell’equazione, cioe gli integrali particolari, si ottengonovolta per volta fissando la costante K dell’integrale generale. Cosı, dati comunque t0 in R e u0 inC o in particolare in R, un’eventuale soluzione y(t) della (86) che soddisfi anche la condizioneiniziale o di Cauchy

y(t0) = u0 (90) I-3.5

e l’integrale particolare univocamente determinato dalla richiesta Ke−at0 = u0. Riassumendo: perogni scelta di t0 e di u0 il problema di Cauchy (86),(90) ammette un’unica soluzione, data dallafunzione (93) con K = u0eat0 .

Anche per l’equazione non omogenea si rivela utile l’utilizzo della funzione ausiliaria v(t). Questapero non potra piu assumere valori costanti come nel caso dell’omogenea, ragion per cui il metodoe detto di variazione delle costanti. Infatti dalla (88) segue che una funzione y(t) = v(t)e−at diclasse (almeno) C1 in I soddisfa la (87) se e solo se

v(t)e−at = f(t) (91) I-3.6

ovvero

v(t) = K +

t

t0

easf(s) ds

(t0, t ∈ I). Ne segue che le soluzioni della (87) sono tutte e sole le funzioni della forma

y(t) = Ke−at +

t

t0

easf(s) ds

e−at

cioe

y(t) = Ke−at +

t

t0

e−a(t−s)f(s) ds (92) I-3.7

(e indifferente che si metta la quantita e−at all’interno o all’esterno dell’integrale in ds). Abbiamodunque ottenuto l’integrale generale della non omogenea (87) come somma di Ke−at, integrale

generale dell’omogenea (86), e di t

t0easf(s) ds

e−at, integrale particolare della non omogenea

63

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stessa. Quanto al problema di Cauchy (87),(90) per la non omogenea, la sua unica soluzione el’integrale particolare che si ottiene ponendo K = u0eat0 nella (92).

E peraltro opportuno soffermarsi sulla ricerca di integrali particolari della (87) quando il terminenoto f(t) suggerisce delle strade piu convenienti che non il tecnico calcolo della (92).

Per cominciare va tenuto conto del principio di sovrapposizione: se f(t) = f1(t) + f2(t) ey1(t), y2(t) soddisfano rispettivamente

y1 + ay1 = f1(t), y2 + ay2 = f2(t)

la funzione y(t) = y1(t) + y2(t) e soluzione della (87).Passiamo ai termini noti che si scrivono come prodotti di polinomi e funzioni esponenziali, illu-

strando come il metodo dei coefficienti indeterminati consenta di aggirare il calcolo dell’integralenella (92).

Cominciamo dal caso elementare dell’equazione

y + ay = Bect (93) I-3.8

con B costante complessa —polinomio di grado 0!— non nulla. Per un generico valore della costanteA (il coefficiente indeterminato) la funzione Aect verifica l’identita

(Aect) + aAect = (c+ a)Aect per t ∈ R

e quindi se c = −a e una soluzione della (93) se e solo se (c+ a)A = B, ovvero A = B/(c+ a). Siainvece c = −a: una qualunque funzione Aect = Ae−at e soluzione dell’equazione omogenea, dunquenon della (93). Ma la (91) adesso diventa v(t)e−at = Be−at ovvero v(t) = B, e quindi l’equazionenon omogenea e soddisfatta dalle funzioni (C + Bt)e−at, con C costante arbitraria (che possiamoprendere direttamente uguale a 0 perche tanto Ce−at e comunque soluzione dell’omogenea).

Il procedimento appena visto si estende facilmente a un termine noto piu generale f(t) = p(t)ect,ovvero all’equazione

y + ay = p(t)ect,

con p(t) polinomio B0 +B1t+ · · ·+Bn−1tn−1 +Bntn di grado n ≥ 1. Quando c = −a si cerca unasoluzione sotto la forma q(t)ect con q(t) = A0 + A1t + · · · + An−1tn−1 + Antn, calcolando prima,per generici valori dei coefficienti indeterminati Ak, la quantita (q(t)ect) + aq(t)ect, e imponendopoi che essa sia uguale a p(t)ect: dopo aver diviso per ect ed applicato il principio di identita deipolinomi si ricavano le condizioni

(c+ a)An = Bn, (c+ a)An−1 + nAn = Bn−1, . . . , (c+ a)A0 +A1 = B0

che individuano successivamente An, An−1, . . . , A0.Quando c = −a, cioe f(t) = e−atp(t), la strada e ancora piu rapida. La (91) diventa infatti

v(t) = p(t), per cui l’equazione non omogenea e soddisfatta dalle funzioni P (t)ect con P (t) pri-mitiva di p(t), e dunque determinata a meno di un’arbitraria costante additiva C (che possiamotranquillamente prendere uguale a 0 perche tanto Ce−at e comunque soluzione dell’omogenea).

Supponiamo adesso che f(t) sia una funzione reale data dal prodotto di un polinomio q(t) acoefficienti reali, di una funzione esponenziale eαt, α ∈ R, e di una funzione trigonometrica cosβt,β ∈ R, per cui la (87) si riscrive

y + ay = q(t)eαt cosβt. (94) I-3.11

Se anche il coefficiente a viene preso in R e naturale cercare una soluzione reale della (94). Atal fine si passa al termine noto g(t) = q(t)eαt(cosβt + i sinβt) = q(t)e(α+iβ)t, che ha per parte

64

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reale la funzione di partenza f(t), e si calcola una soluzione z(t) a valori in C della corrispondenteequazione non omogenea

z + az = q(t)e(α+iβ)t. (95) I-3.12

Prendendo le parti reali di entrambi i membri della (95) vediamo che Re z(t) verifica

(Re z) + a(Re z) = q(t)eαt cosβt

e quindi e una soluzione y(t) della (94). Analogamente si vede che la parte immaginaria di unasoluzione della (95) e soluzione dell’equazione

y + ay = q(t)eαt sinβt.

19 Una prima separazione delle variabili

secI1-4

Adesso consentiamo al coefficiente di y nella (86) di variare con continuita, assumendo solo valori

reali, in un intervallo aperto I ⊆ R:y + a(t)y = 0. (96) I-4.1

Operiamo nella (96) una separazione delle variabili attraverso l’utilizzo — a prima vista un po’disinvolto — della notazione di Leibniz dy/dt = y:

dy

y+ a(t) dt = 0.

In effetti per y = 0 il primo membro di questa identita ha perfettamente senso come forma diffe-

renziale, e da tale punto di vista ne vedremo una generalizzazione tra breve. Qui pero va benissimoriscriverlo semplicemente sotto forma integrale:

dy

y= −

a(t)dt

ovverolog |y| = −A(t) +K (97) I-4. 2

con K costante e A(t) primitiva di t → a(t) in I. La (97) e una famiglia di equazioni cartesiane inI×] −∞, 0[ e in I×]0,∞[. Risolvendo rispetto a y troviamo per ogni scelta di C(= ±eK) l’unicasoluzione

y(t) = Ce−A(t), t ∈ I. (98) I-4.3

Aggiungiamo la condizioney(t0) = u0 (99) I-4.4

con t0 fissato in I e u0 in R. Il problema di Cauchy (96),(99) ammette una ed una sola soluzione,data dalla (98) con C = u0eA(t0) e quindi

y(t) = u0e−

tt0

a(τ) dτ.

65

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Passiamo all’equazione non omogenea

y + a(t)y = f(t) (100) I-4.5

con f(t) anch’essa continua da I in R. Indichiamo con y1(t) il secondo membro della (98) per C = 1e riprendiamo la tecnica della variazione delle costanti. Affinche una funzione y(t), che scriviamocome prodotto v(t)y1(t), soddisfi la (100) in I, ovvero la quantita

y(t) + a(t)y(t) = [D + a(t)][v(t)y1(t)] = v(t)y1(t)

sia uguale a f(t), e necessario e sufficiente che v(t) sia uguale a f(t)/y1(t). Questa richiestaindividua v(t) a meno di una costante additiva reale:

v(t) = K +

t

t0

f(s)y1(s) ds = K +

t

t0

e st0

a(τ) dτf(s) ds

(t0, t ∈ I). Abbiamo cosı mostrato che la (100) e dotata delle infinite soluzioni che si ottengonofacendo variare K nella somma

Ke−

tt0

a(τ) dτ+

t

t0

e st0

a(τ) dτf(s) ds

e−

tt0

a(τ) dτ= Ke

− tt0

a(τ) dτ+

t

t0

e− ts a(τ) dτf(s) ds (101) I-4.6

dell’integrale generale dell’omogenea (96) e di un integrale particolare della non omogenea stessa.(Ai fini del calcolo nei casi concreti si fa prima ad ottenere una soluzione particolare della

(100) ripercorrendo il procedimento con cui e stata ottenuta la funzione ausiliaria v(t) che non adapplicare l’espressione (101).)

Ponendo K = u0 nella (101) si ottiene la soluzione del problema di Cauchy (100),(99) (ovvia-mente unica, perche la differenza di due soluzioni e la costante nulla, unica soluzione di (96) che siannulla in un punto t0).

20 La separazione della variabili in generale

secI-5

Il metodo che adesso presentiamo consente (almeno in via teorica) la risoluzione esplicita di un’e-quazione differenziale non lineare della forma

y + a(t)b(y) = 0 (102) I-5.1

dove a(t) e continua in un intervallo aperto I e b(y) in un intervallo aperto U . Si tratta diun’equazione a variabili separabili perche si riscrive

dy

b(y)+ a(t) dt = 0.

Sotto forma integrale: dy

b(y)= −

a(t) dt

ovveroB(y) = −A(t) +K (103) I-5.2

66

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dove K e una costante, A(t) una primitiva di t → a(t) in I e B(y) una di y → [b(y)]−1 in unsottointervallo ]c, d[ di U dove b(y) = 0. La (103) e una famiglia di equazioni cartesiane in I×]c, d[che per ogni scelta di un ammissibile valore di K possiamo risolvere rispetto a y (grazie allamonotonia di B(y), la cui derivata b(y) e sempre > 0 o sempre < 0 per come e stato preso ]c, d[),ottenendo l’unica soluzione

y(t) = B−1 (−A(t) +K) per t ∈ J (104) I-5.3

con J sottointervallo aperto di I (dipendente da K); con l’aggettivo in corsivo intendiamo sem-plicemente dire che, affinche il secondo membro dell’identita abbia senso, −A(t) +K deve variarein B(]c, d[) per ogni t ∈ J . Aggiungendo poi alla (102) la condizione di Cauchy (99) con t0 ∈ I eu0 ∈]c, d[ si trova una e una sola soluzione y(t): quella data dalla (104) con K = B(u0) + A(t0),valore ammissibile perche −A(t) +K, dal momento che vale B(u0) per t = t0, resta nell’intervalloaperto B(]c, d[) al variare di t in un conveniente intervallo aperto t0.

Fin qui non abbiamo fatto altro che estendere lo stesso approccio gia applicato all’equazionelineare omogenea (96), la quale rientra nella (102) per b(y) = y, U = R. Ma tale estensione nonpuo sempre procedere oltre, come ora passiamo ad illustrare.

Cosa succede, innanzitutto, se U contiene punti u1 dove b(y) si annulla, per cui la soluzionecostante y(t) = u1 soddisfa l’equazione e quindi, banalmente, il corrispondente problema di Cauchy?Quando b(y) = y abbiamo potuto mostrare che la funzione costante y(t) = 0 e l’unica soluzionedell’equazione che in un qualunque prefissato punto di I vale 0, e cio e come dire che una soluzionedella (96) o coincide identicamente con la costante nulla oppure non la incontra mai. Invece nelcaso generale, diciamo con u1 = 0, non si puo escludere che una soluzione non identicamente nullavada a coincidere da un certo punto in poi con lo 0, come mostra il prossimo esempio.

Esempio 20.1. L’equazioney = |y|1/2

e a variabili separabili con I = U = R. Cerchiamo una soluzione y(t) diversa da 0, diciamo < 0(per cui prendiamo ]c, d[=]−∞, 0[), in un intervallo aperto J . Siccome −2(−y)1/2 e una primitivadi |y|−1/2 = (−y)−1/2 in ]−∞, 0[ e t e una primitiva di 1 in R, imponiamo

[−y(t)]1/2 =1

2(C − t) per t ∈ J

ovvero

y(t) = −1

4(C − t)2 per t ∈ J

con C arbitrariamente fissata. La funzione che ha questa espressione in J =] − ∞, C[ e valeidenticamente 0 in [C,∞[ e una soluzione dell’equazione su tutto I = R che all’istante C soddisfala stessa condizione di Cauchy della soluzione identicamente nulla.

La causa del fenomeno di non unicita appena osservato risiede nella mancanza, per la funzione|y|1/2, di sufficiente regolarita in vicinanza dello zero. Anticipando un risultato che dimostreremopiu in la segnaliamo che l’unicita di soluzioni per problemi di tipo (102),(99) e invece garantita seb(y), pur annullandosi nel punto u0 (come b(y) = |y|1/2 in u0 = 0), verifica in un suo intorno unacondizione di Lipschitz.

Ricordiamo poi che nel caso della (96) una qualunque soluzione viene automaticamente ad esseredefinita in tutto l’intervallo I. Questo accade anche per certe equazioni non lineari (102), comequella dell’esempio precedente, ma non per tutte.

67

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I-e 5.2 Esempio 20.2. L’equazioney = y2

e a variabili separabili con I = U = R. Cerchiamo una soluzione y(t) diversa da 0, diciamo > 0(per cui prendiamo ]c, d[=]0,∞[), in un intervallo aperto J . Siccome −y−1 e una primitiva di y−2

in ]0,∞[ e t e una primitiva di 1 in R, imponiamo

y(t)−1 = C − t per t ∈ J

ovveroy(t) = (C − t)−1 per t ∈ J (105) I-5.5

con C arbitrariamente fissata. Per ogni C abbiamo ottenuto una soluzione che non si estende adestra di J =]−∞, C[ perche tende all’∞ per t → C− (e se, ad esempio, cerchiamo la totalita dellesoluzioni definite per ogni t ≤ −1 troviamo tutte e sole le (105) con C > −1).

I-o 5.2 Esempio 20.3. Un esempio importante di equazione a variabili separabili e l’equazione logisticao di Verhulst

y = αy − βy2 (106) I-5.6

(α,β > 0), che costituisce un modello di crescita di una popolazione piu plausibile di quello malthu-siano. Con l’aumentare del numero degli individui tende infatti ad aumentare anche la competizionetra loro (ad esempio per il cibo o per lo spazio), con un effetto negativo sulla crescita che in primaistanza possiamo prendere proporzionale, con fattore −β < 0, alla media statistica y2 delle lorointerazioni a coppie.

La funzione B(y) = αy−βy2 si annulla in 0 e in α/β, e quindi le due funzioni costanti y(t) = 0e y(t) = α/β sono soluzioni dell’equazione.

Fissata una condizione di Cauchy (99) con u0 diverso sia da 0 che da α/β, poniamo

B(y) =

y

u0

αη − βη2

sicche la (103) con A(t) = t0 − t e K = 0 diventa y

u0

αη − βη2= t− t0.

Siccome l’integrale vale1

αlog

y

u0

α− βu0α− βy

e la quantita dentro il modulo e > 0, otteniamo

y

u0

α− βu0α− βy

= eα(t−t0)

e da qui, risolvendo rispetto a y, otteniamo

y(t) =αu0

(α− βu0)e−α(t−t0) + βu0. (107) I-5.7

Quando u0 e negativo, non importa quanto vicino a 0, il denominatore della (107) e una funzionedecrescente che, siccome tende a ∞ per t → −∞ ed a βu0 < 0 per t → ∞, deve annullarsi per

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t uguale a un tempo finito T1 = T1(u0). Ne segue che y(t) → 0 per t → −∞ e y(t) → −∞ pert → T−

1 .Per ogni valore iniziale u0 ∈]0,α/β[ (com’e nel caso, con β molto piu piccolo di α, del modello

biologico) la soluzione e definita su tutto R. Poiche e strettamente crescente e tende a 0 e α/βrispettivamente per t → −∞ e per t → ∞, il suo grafico ha la forma detta “ad S” nelle pubblicazionidi carattere demografico.

Quando u0 > α/β il denominatore della (107) e una funzione crescente che, siccome tende a 0per t → ∞ ed a βu0 > 0 per t → −∞, deve annullarsi per t uguale a un tempo finito T2 = T2(u0).Ne segue che y(t) → α/β per t → ∞ e y(t) → ∞ per t → T+

2 .Abbiamo dunque visto che per t → ∞ la soluzione di (106),(99) tende a α/β quando u > 0

viene comunque preso nell’intorno ]0,∞[ di α/β: la soluzione costante y(t) = α/β e un equilibriostabile. Invece nessuna soluzione del problema con u0 = 0 resta, al crescere di t, in un intorno di0 come ad esempio ]− 1/2, 1/2[: lo 0 e un equilibrio instabile.

I-o 5.3 Esempio 20.4. Sia S un sottoinsieme del piano costituito da semirette aperte uscenti dall’origine.Se f ∈ C0(S) e omogenea (di grado zero), cioe verifica

f(λt,λy) = f(t, y) per (t, y) ∈ S, λ = 0,

l’equazione (non lineare)y = f(t, y), (108) I-5.8

detta omogenea in un’accezione del termine che non ha nulla a che vedere con quella dell’ambitolineare, si trasforma in un’equazione a variabili separabili. Prendendo λ = 1/t la (108) si riscriveinfatti

y = f1,

y

t

ovverotx + x = f(1, x) (109) I-5.9

con x = y/t, e quindi

x =1

t[f(1, x)− x]

sia per t > 0 e sia per t < 0. Indicando con F (x) una primitiva di [f(1, x) − x]−1 in un intervallodelle x dove f(1, x)− x = 0 otteniamo la famiglia di equazioni cartesiane

F (x) = log |t|+ C

e da qui ricaviamo una famiglia di curve di equazioni parametriche

t = KeF (x), y = KxeF (x) (110) I-5.10

che puo essere vista come integrale generale della (108) nel senso che per ogni scelta di K definisceuna soluzione. Esistono pero altre soluzioni, dette integrali singolari, che non si possono far rien-trare nella (110) per opportune scelte di K: sono quelle che si ottengono associando alle (eventuali)soluzioni x = α dell’equazione f(1, x)− x = 0 le funzioni lineari y(t) = αt.

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21 Equazioni differenziali esatte

Siano F (t, y) una funzione di classe C1 in un aperto W del piano e (t0, u0) un punto di W tale cheFy(t0, u0) = 0. Una funzione y(t) di classe C1 in un intervallo aperto J t0 e col grafico contenutoin W , se vale u0 in t0 ed e tale che

dF (y(t))

dt= Ft(t, y(t)) + Fy(t, y(t))y

(t) = 0 per t ∈ J

deve soddisfare l’identitaF (y(t)) = F (u0) per t ∈ J.

Ma grazie al Teorema del Dini le ipotesi su F garantiscono che in effetti esiste una ed una so-la y(t) con le proprieta richieste: quella definita implicitamente (per J sufficientemente piccolo)dall’equazione

F (t, y)− F (t0, y0) = 0.

Cio significa che esiste una ed una sola soluzione del problema di Cauchy costituito dall’equazionedifferenziale

y = −Ft(t, y)

Fy(t, y),

che ci fara comodo riscrivereFt(t, y)dt+ Fy(t, y)dy = 0,

e dalla condizione y(t0) = u0.Le precedenti considerazioni possono riformularsi cosı: date p(t, y) e q(t, y) funzioni continue in

un aperto W del piano con q = 0 in un (t0, u0) ∈ W , se esiste una F (t, y) di classe C1 in W conFt(t, y) = p(t, y) e Fy(t, y) = q(t, y), ovvero se la forma differenziale p(t, y) dt + q(t, y) dy e esatta,allora esiste un’unica soluzione dell’equazione differenziale esatta

y = −p(t, y)

q(t, y),

ovverop(t, y)dt+ q(t, y)dy = 0, (111) I-6.1

che soddisfa la condizione di Cauchy y(t0) = u0.Come facciamo a riconoscere se il primo membro della (111) e una forma differenziale esatta (in

W )? Una condizione sufficiente se ad esempio W e un rettangolo e la seguente: Le derivate parzialipy, qt esistano continue e soddisfino la condizione di chiusura py = qt. In tal caso una primitivadella forma in W e

F (t, y) =

y

u0

q(t0, η) dη +

t

t0

p(τ, y) dτ.

InfattiFt(t, y) = p(t, y),

Fy(t, y) = q(t0, y) +

t

t0

py(τ, y) dτ = q(t0, y) +

t

t0

qτ (τ, y) dτ = q(t, y).

Le equazioni della formay + a(t)b(y) = 0 (112) I-55.1

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rientrano nella classe di quelle esatte con p(t, y) = a(t), q(t, y) = 1/b(y), e a ben vedere proprio cosıne abbiamo impostato lo studio. Solo che la particolare espressione a variabili separabili consentedi ottenere subito la funzione che qui stiamo indicando con F (t, y), e che per la (112) non e altroche A(t) + B(y) con A(t) e B(y) primitive rispettivamente di a(t) in I e di [b(y)]−1 in ]c, d[, lacui esistenza e diretta conseguenza del Teorema Fondamentale del Calcolo. Inoltre l’esistenza disoluzioni y(t) della (112) non ha bisogno di essere dimostrata attraverso il Teorema di Dini, visto chesegue semplicemente dall’invertibilita della funzione monotona B(y) della (sola) variabile y ∈]c, d[.Di piu: applicando B−1 si puo dare (almeno teoricamente) un’esplicita espressione delle soluzioniche invece nel caso generale il Teorema di Dini non puo garantire.

Com’e ovvio siamo in grado di applicare il precedente ragionamento per risolvere la (111) anchese non e esatta la forma p dt+ q dy, ma lo e invece la forma µp dt+ µq dy per un’opportuna µ(t, y)di classe C1 e mai nulla, detta fattore integrante. Come trovare µ(t, y)? Sempre supponendoche py, qt esistano continue imponiamo la condizione di chiusura (µp)y = (µq)t, cioe

pµy + µpy = qµt + µqt. (113) I-6.6

Una tale µ, per di piu indipendente dalla y, esiste (ed e teoricamente calcolabile) come soluzionedell’equazione

dt=

py − qtq

µ (114) I-6.7

se la frazione nel secondo membro (con denominatore = 0) dipende solo dalla t. Analogamente,esiste una soluzione µ della (113) indipendente dalla t e dunque tale che

dy=

qt − pyp

µ

se la frazione nel secondo membro (con denominatore = 0) dipende solo dalla y.

I-e 6.1 Esempio 21.1. Per risolvere la (111) con

p(t, y) = 2ty + t2y + y33, q(t, y) = t2 + y2

osserviamo chepy(t, y)− qt(t, y)q(t, y) = 2t2 + t2 + y2 − 2tt2 + y2 = 1.

La (114) diventa µ = µ, che ammette la soluzione µ(t) = et. L’equazione di partenza e dunqueequivalente alla

et2ty + t2y + y33

dt+ et(t2 + y2) dy = 0. (115) I-6.8

Il primo membro e in tutto R2 una forma differenziale esatta di cui si calcolano subito le primitive,ottenendo l’espressione implicita

yett2 + y23

= C

per le soluzioni y(t) dell’equazione differenziale.

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22 L’equazione di Bernoulli

Allo studio dell’equazione lineare non omogenea (100) si riconduce quello dell’equazione

y + p(t)y + q(t)yσ = 0, (116) I-7.1

con p(t) e q(t) continue in un intervallo aperto I. Fissiamo un σ diverso sia da 0 che da 1. Allorala (116) non e lineare, ma richiedere che essa sia soddisfatta in un intervallo aperto J ⊆ I da unay(t) positiva (o anche negativa, se ad esempio σ ∈ N) equivale a richiedere che

yy−σ + p(t)y1−σ + q(t) = 0

ovvero che [y(t)]1−σ coincida con una soluzione z(t) dell’equazione lineare

z + (1− σ)p(t)z = −(1− σ)q(t), (117) I-7.2

t ∈ J . La (116) e detta equazione di Bernoulli. (“L’equation de mon Frere”, la chiama inuna lettera Johann Bernoulli, ma e lui che la risolve, con la semplice trasformazione che abbiamoappena visto, dopo mesi di infruttuosi tentativi da parte del fratello Jacob.)

Attenzione pero a non voler trasferire automaticamente alla (116) ogni risultato noto per un’e-quazione lineare quale la (117). Una qualunque soluzione z(t) di quest’ultima e infatti definita intutto I, ma non e affatto detto che cio valga per la y(t) = z(t)1/(1−σ): si pensi all’esempio, giastudiato con la separazione delle variabili, di y = y2 (dunque p(t) = 0, q(t) = −1, I = R) e allesoluzioni y(t) = (C − t)−1 definite solo in J =] − ∞, C[ o solo in J =]C,∞[. Possiamo pero direche, dati comunque t0 ∈ I e u0 > 0 (o anche u0 < 0, se ad esempio σ ∈ N), esiste un’unica funzionedefinita e positiva in un opportuno intervallo aperto J ⊆ I, J t0, che soddisfa la (116) e vale u0in t0: la funzione y(t) = z(t)1/(1−σ), t ∈ J , dove z(t) e l’unica soluzione della (117) che vale u1−σ

0in t0.

I-e 7.1 Esempio 22.1. E di Bernoulli l’equazione

y − yt− y3 sin t = 0. (118) I-7.3

Con la sostituzione z = y−2 ci si riconduce all’equazione lineare

z + 2tz = −2 sin t. (119) I-7.4

L’integrale generale dell’omogenea associata

z + 2tz = 0

e Ct−2, per cui un integrale particolare della (119) e un prodotto v(t)t−2 con v(t) = −2t2 sin t.Integrando troviamo una funzione

v(t) = 2t2 cos t− 4t sin t− 4 cos t,

che moltiplicata per t−2 e sommata all’integrale generale dell’omogenea da l’integrale generale della(119)

z(t) = 2 cos t− 4sin t

t− 4

cos t

t2+ Ct2

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da cui arriviamo alla famiglia di soluzioni della (118)

y(t) =

2 cos t− 4

sin t

t− 4

cos t

t2+ Ct2

−1/2

definita ciascuna, a costante C fissata, in ogni sottointervallo di ]−∞, 0[ o ]0,∞[ dove la quantitatra parentesi e > 0.

I-o 7.1 Osservazione 22.1. L’equazione logistica (106), che abbiamo gia risolto mediante la separazionedelle variabili, e anche un’equazione di Bernoulli. Ponendo y(t) = z(t)−1 la trasformiamo nella

z + αz = β,

il cui integrale generale e della forma

z(t) = Ke−α(t−t0) + βα

per t0 fissato in R. Imponiamo la condizione di Cauchy y(t0) = u0, che trasformiamo nella z(t0) =u−10 supponendo u0 = 0. Otteniamo K = (α− βu0)/αu0, e di conseguenza

z(t) =(α− βu0)e−α(t−t0) + βu0

αu0.

Se poi aggiungiamo l’ipotesi α − βu0 = 0 ritroviamo la soluzione (107) della (106), definita in unintervallo aperto J contenente il punto t0 dove essa assume il valore u0:

y(t) =αu0

(α− βu0)e−α(t−t0) + βu0.

23 L’equazione del II ordine

Fissati due numeri complessi a e b, associamo all’operatore differenziale lineare del II ordine

L : y(t) → y(t) + ay(t) + by(t)

il polinomio caratteristico λ2 + aλ+ b e l’equazione caratteristica

λ2 + aλ+ b = 0 (120) II-A

nell’incognita λ. Indichiamo con λ1 e λ2 le soluzioni della (120), cioe le radici del polinomiocaratteristico, che possono essere distinte tra di loro oppure uguali ad uno stesso numero, diciamoµ. Quando i coefficienti a, b sono reali le radici sono, se distinte, o tutt’e due reali oppure complesseconiugate, mentre se coincidono tra loro il comune valore µ e necessariamente reale. Il polinomio

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caratteristico e uguale a (λ − λ1)(λ − λ2) e quindi L, che si ottiene dal polinomio caratteristicosostituendo la variabile scalare λ col simbolo D dell’operatore di derivazione, soddisfa l’identita

L = (D − λ1)(D − λ2). (121) II-B

La (121) mostra che applicare L ad una funzione y(t) equivale a calcolare dapprima la funzionew(t) = (D−λ2)y(t) e successivamente la funzione (D−λ1)w(t). E qui che entrano inevitabilmentein scena, per λ1,λ2 ∈ C, operatori differenziali del I ordine D − λ1, D − λ2 a coefficienti complessi— e quindi funzioni w(t) a valori complessi — anche quando L ha coefficienti reali e viene fattooperare su funzioni y(t) a valori reali. Dunque tanto vale cominciare col trattare il caso generale dicoefficienti a, b anch’essi complessi.

Introduciamo l’equazione differenziale lineare non omogenea del II ordine

Ly = y + ay + by = f(t) (122) II-C

con a, b ∈ C e f funzione continua I → C, I intervallo aperto di R. Quando in particolare a, b ∈ Re f : I → R ritroviamo nella (122) la seconda legge di Newton, cioe

massa × accelerazione = forza (totale),

applicata al moto rettilineo di un corpo di massa 1 su cui agiscono contemporaneamente tre forzeFv,Fp ed f dirette lungo l’asse y: la prima proporzionale con fattore −a alla velocita del corpo (percui e forza d’attrito se a > 0), la seconda con fattore −b alla sua posizione (per cui e forza dirichiamo se b > 0), la terza esterna.

Associamo alla (122) le condizioni di Cauchy

y(t0) = u0, y(t0) = u1 (123) II-D

con t0 ∈ I. Dalla (121) segue che una funzione y(t) di classe C2 in I soddisfa (122),(123) se e solose e soluzione del problema di Cauchy (del I ordine)

(D − λ2)y = y − λ2y = w(t), y(t0) = u0 (124) II-E

con w = w(t) soluzione del problema di Cauchy (del I ordine)

(D − λ1)w = w − λ1w = f(t), w(t0) = u1 − λ2u0. (125) II-F

II-T2 Teorema 23.1. Siano a, b ∈ C e f : I → C di classe C0.

(i) Per ogni scelta di t0 ∈ R e di u0, u1 ∈ C il problema di Cauchy (122),(123) ammette un’unica

soluzione I → C.(ii) Se, in particolare, a, b, u0, u1 ∈ R e f(t) e a valori reali, allora anche y(t) e a valori reali.

DIM. Come sappiamo dalla Sezione 18, il problema (125) ammette un’unica soluzione w(t) di classeC1 da I in C, e con questa espressione di w(t) anche (124) ammette un’unica soluzione y(t), che edi classe C2 da I in C. Questo dimostra (i).

Passiamo ai complessi coniugati in entrambi i membri della (122) e delle (123):

y + a y + b y = f(t), (126) II-G

y(t0) = u0, y(t0) = u1. (127) II-H

Se supponiamo soddisfatte le ipotesi di (ii) le (126),(127) diventano

y + ay + by = f(t), y(t0) = u0, y(t0) = u1,

ovvero y(t) e una soluzione di (122),(123) se e solo se lo e la sua funzione coniugata y(t). Ma perl’unicita della soluzione dev’essere y(t) = y(t), e quindi y(t) e a valori reali.

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Osservazione 23.1. Le equazioni in (124) e (125), prese insieme, costituiscono un sistemadifferenziale triangolare, cioe del tipo

w = g(w, t)y = h(w, y)

(g(w, t) = λ1w + f(t), h(w, y) = w + λ2y).

24 L’equazione omogenea

Il metodo di fattorizzazione utilizzato nella precedente sezione per pervenire ai risultati di esistenzae unicita non e cosı costruttivo, o per lo meno non e cosı direttamente costruttivo, come sembrerebbea prima vista. Su esso ci potremo basare pero in questa sezione e nelle prossime due per otteneredelle tecniche di calcolo esplicito delle soluzioni piu specificamente adattate a varie classi di termininoti, di complessita crescente.

Cominciamo col termine noto identicamente nullo:

y + ay + by = 0. (128) II-I

II-T1 Teorema 24.1. Siano a, b ∈ C.(i) Per ogni scelta di t0 ∈ R e di u0, u1 ∈ C il problema di Cauchy (128),(123) ammette un’unica

soluzione R → C.(ii) La soluzione di (128),(123) si scrive in un unico modo come combinazione lineare

c1eλ1t + c2e

λ2t

oppure

c1eµt + c2te

µt

a seconda che le radici del polinomio caratteristico verifichino λ1 = λ2 oppure λ1 = λ2 = µ.(iii) Le soluzioni della (128) costituiscono uno spazio vettoriale bidimensionale su C.

DIM. L’enunciato (i) rientra banalmente (tenendo conto che adesso I = R) nell’enunciato (i) delTeorema 1.1.

Come sappiamo dalla Sezione 18, l’unica soluzione del problema di Cauchy (125) con f(t)identicamente nulla, cioe

(D − λ1)w = w − λ1w = 0, w(t0) = u1 − λ2u0, (129) II-V

e w(t) = Keλ1t con K univocamente determinato (per la precisione K = e−λ1t0(u1 − λ2u0)).Applicando con questa espressione di w(t) la (92), o meglio, visto che w(t) e il prodotto di unacostante per una funzione esponenziale, le considerazioni che abbiamo svolto a proposito della(93), possiamo concludere che l’unica soluzione y(t) di (124) e della forma c1eλ1t + c2eλ2t conc1 = K/(λ1 − λ2), oppure della forma (c1t + c2)eµt con c1 = K, a seconda che λ1 = λ2 oppureλ1 = λ2 = µ, e questo per un’unica scelta di c2.

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Abbiamo cosı dimostrato (ii). Ma non solo. L’espressione che abbiamo ottenuto di y(t) comecombinazione lineare con coefficienti c1 e c2 univocamente determinati vale per ogni data soluzionedell’equazione (128), visto che ad essa si associa banalmente un problema di Cauchy (128),(123)(quello in cui u0 e u1 sono proprio definiti, rispettivamente, come y(t0) e y(t0)). Ne segue (iii).

Una famiglia fondamentale y1(t), y2(t) di soluzioni di (128) e una base nello spazio vet-toriale delle soluzioni, come ad esempio quella costituita dalle funzioni del Teorema 24.1 (ii). Sedue funzioni y1(t) e y2(t) costituiscono una famiglia fondamentale di soluzioni della (128) il lorodeterminante wronskiano

y1(t) y2(t)y1(t) y2(t)

che indichiamo con W [y1, y2](t) o piu brevemente con W (t), non puo annullarsi in nessun punto t0di R. Se cio accadesse esisterebbe infatti una soluzione (c1, c2) = (0, 0) del sistema

c1y1(t0) + c2y2(t0) = 0c1y1(t0) + c2y2(t0) = 0

e la funzione c1y1(t) + c2y2(t) verrebbe a soddisfare non solo, in quanto combinazione lineare disoluzioni, l’equazione (128), ma anche le stesse condizioni di Cauchy della funzione identicamentenulla. Grazie all’unicita ne seguirebbe c1y1(t) + c2y2(t) = 0 per t ∈ R, in contraddizione conl’indipendenza lineare di y1(t) e y2(t).

Supponiamo adesso che 2 soluzioni y1(t) e y2(t) della (128) abbiano wronskiano non nullo in unpunto t0 di R. Che funzioni del genere esistano e conseguenza del Teorema 24.1: basta considerare,ad esempio, le soluzioni dei problemi di Cauchy

Ly1 = 0, y1(t0) = 1, y1(t0) = 0,

Ly2 = 0, y2(t0) = 0, y2(t0) = 1.

Ebbene, y1(t), y2(t) e un sistema fondamentale di soluzioni dell’equazione (128) (e quindi dotatodi wronskiano = 0 su tutto R). Infatti i valori in t0 di una soluzione y(t) e della sua derivata primasono i termini noti del sistema algebrico

c1y1(t0) + c2y2(t0) = y(t0)c1y1(t0) + c2y2(t0) = y(t0)

nelle incognite c1, c2. Poiche il determinante dei coefficienti e W (t0) = 0 la soluzione (c1, c2) esisteed e unica. In corrispondenza ai valori di c1 e c2 cosı ottenuti la funzione c1y1(t) + c2y2(t) viene asoddisfare non solo la stessa equazione (128) ma anche le stesse condizioni di Cauchy (123) dellay(t). Ne segue, grazie all’unicita stabilita nel Teorema 24.1, che y(t) = c1y1(t) + c2y2(t) per ognit ∈ R. Cio significa che ogni soluzione y(t) della (128) si esprime come combinazione lineare diy1(t) e y2(t).

Osservazione 24.1. Se y1(t) e y2(t), t ∈ R, sono due funzioni qualunque, diciamo almeno di classeC1, possiamo ancora parlare del loro wronskiano W (t). Pero in un ambito cosı generale non e piuvero che dall’annullarsi del wronskiano in qualche punto t0 segua che esistano due costanti c1 e c2non entrambe nulle tali che c1y1(t)+c2y2(t) = 0 per ogni t ∈ R. Anzi, come fece osservare G.Peano,non basta neppure l’annullarsi di W (t) in ogni punto t: in R le funzioni y1(t) = t2, y2(t) = t|t|hanno wronskiano identicamente nullo ma non sono una multipla dell’altra (mentre e vero chey1(t)− y2(t) = 0 per ogni t ≥ 0, y1(t) + y2(t) = 0 per ogni t ≤ 0).

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Teorema 24.2. Siano a, b, u0, u1 ∈ R.(i) La soluzione del problema (128),(123) e a valori reali.

(ii) La soluzione di (128),(123) si scrive in un unico modo come combinazione lineare

c1eλ1t + c2e

λ2t,

oppure

c1eµt + c2te

µt,

oppure

c1eαt cosβt+ c2e

αt sinβt

a seconda che le radici λ1,λ2 del polinomio caratteristico siano reali e distinte, oppure reali e uguali

ad uno stesso valore µ, oppure complesse coniugate non reali di valori α± iβ.(iii) Le soluzioni reali della (128) costituiscono uno spazio vettoriale bidimensionale su R.

DIM. L’enunciato (i) rientra nell’enunciato (ii) del Teorema 24.1.Quanto a (ii) e (iii), basta occuparsi delle radici complesse coniugate (non reali) del polinomio

caratteristico e tener conto che le funzioni e(α+iβ)t e e(α−iβ)t sono a loro volta combinazioni linearidelle funzioni Re e(α+iβ)t = eαt cosβt e Im e(α+iβ)t = eαt sinβt.

Poiche le radici dell’equazione caratteristica sono

λ1 =−a+

√a2 − 4b

2e λ2 =

−a−√a2 − 4b

2

possiamo riscrivere l’integrale generale della (122) come

e−at/2c1e

t√a2−4b/2 + c2e

−t√a2−4b/2

quando a2 − 4b > 0,

e−at/2 (c1 + c2t) quando a2 − 4b = 0,

e−at/2

c1 cos

t√4b− a2

2+ c2 sin

t√4b− a2

2

quando a2 − 4b < 0.

Se a = 0 la (128) diventay + by = 0.

Quando b > 0 la totalita delle sue soluzioni e costituita dalle funzioni c1 cos t√b + c2 sin t

√b con

c1, c2 ∈ R, che possiamo anche scrivere come A cost√b+ ϕ

per A =

c21 + c22 e A cosϕ = c1,

A sinϕ = −c2. Nel modello newtoniano di un corpo sottoposto soltanto ad una forza linearedi richiamo esse rappresentano tutti i possibili moti rettilinei del corpo stesso: le oscillazioniarmoniche. A e detta ampiezza e ϕ fase; il periodo e 2π/

√b, la frequenza e l’inverso del

periodo. Supponiamo ora che oltre a b sia positivo anche il coefficiente a (com’e piu plausibile nellarealta: presenza di attrito). Quale che sia il segno del discriminante a2 − 4b, per t → ∞ prevale,nell’integrale generale della (128), il fattore infinitesimo e−at/2: tutte le soluzioni dell’equazionetendono a 0. Nel modello newtoniano esse rappresentano i possibili moti rettilinei, detti vibrazionismorzate, di un corpo sottoposto a una forza di richiamo e ad una forza di attrito entrambe lineari.

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25 Il metodo dei coefficienti indeterminati per le equazioni del II

ordinesecII-8

Passiamo al caso di un termine noto prodotto di un polinomio reale o complesso q(t) per unesponenziale ect, dove c = γ + iδ e γ, δ ∈ R:

f(t) = q(t)ect

con c costante reale o complessa, per cui la (120) diventa

Ly = y + ay + by = q(t)ect. (130) II-N

La tecnica della fattorizzazione (121) mostra che una funzione y(t) e soluzione di questa equazione,ovvero (D − λ1)(D − λ2)y = q(t)ect, se (e solo se) la funzione

(D − λ2)y = y − λ2y = w (131) II-O

soddisfa l’equazione del 1o ordine

(D − λ1)w = w − λ1w = q(t)ect. (132) II-P

Servendoci delle considerazioni svolte nella Sezione 18 procediamo alla risoluzione del sistema(131),(132) col metodo dei coefficienti indeterminati. Distinguiamo tre casi.

1o caso: c = λ1, c = λ2. Poiche c e diversa da λ1 la (132) ammette una soluzione w(t) = p1(t)ect,dove p1(t) e un polinomio di grado n. Con questa scelta di w(t) la (131), poiche c = λ2, ammette unasoluzione y(t) = p(t)ect con p(t) polinomio di grado n, e i coefficienti di quest’ultimo si ottengonoimponendo

[p(t)ect] + a[p(t)ect] + bp(t)ect = q(t)ect.

2o caso: c = λ2 = λ1. Risolvendo la (132) otteniamo una soluzione della forma w(t) = p1(t)ect,dove p1(t) e un polinomio di grado n. Passiamo a y(t), che cerchiamo sotto la forma v(t)ect. Siccomevogliamo che il primo membro dell’identita

(D − c)[v(t)ect] = v(t)ect (133) II-Q

sia uguale a p1(t)ect, resta solo da integrare la v(t) = p1(t) ed ottenere v(t) = tp(t) con p(t)polinomio di grado n. Segnaliamo peraltro che quando si parte da un polinomio q(t) di grado 0,cioe uguale a una costante K0 (e se ne vedra un esempio nella prossima sezione), si fa prima acercare una soluzione tA0ect imponendo

[tA0ect] + a[tA0e

ct] + btA0ect = K0e

ct. (134) II-Q’

3o caso: c = λ1 = λ2. Cerchiamo y(t) sotto la forma v(t)ect. Applicando la (133) due volte – laseconda volta con v(t) sostituita da v(t) – otteniamo

(D − c)2[v(t)ect] = v(t)ect. (135) II-R

Siccome vogliamo che il primo membro di questa identita, cioe Ly(t), sia uguale a q(t)ect, non restache integrare due volte v(t) = q(t), arrivando cosı ad ottenere la funzione ausiliaria v(t) = t2p(t)con p(t) polinomio di grado n. Facciamo presente che quando λ1 = λ2 la tecnica della funzioneausiliaria si puo rivelare conveniente anche con termini noti piu generali di quello della (130).

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Se i coefficienti di L e di q(t) sono reali le considerazioni svolte alla fine della Sezione I.2 mostranoche sono state risolte anche le equazioni

Ly1 = q(t)eγt cos δt e Ly2 = q(t)eγt sin δt

visto che ammettono per soluzioni rispettivamente la parte reale y1(t) e quella immaginaria y2(t)di y(t). E a questo riguardo, e piu esattamente per le applicazioni che vedremo nella prossimasezione, che Richard P.Feynman in The Feynman Lectures on Physics, I/1/23-2, parla di “magic

of the “complex” method ” (nella risoluzione di equazioni a coefficienti reali).

26 La risonanza

Nel modello newtoniano il moto rettilineo, in assenza di attrito, di un corpo di massa 1 sotto l’azionedi una forza di richiamo −ω2

0y e di una forza esterna oscillante con frequenza ω/2π e fase nulla egovernato da un’equazione

y + ω20y = C0 cosωt (136) II-S

con tutte le costanti positive. Una soluzione della (136) e la parte reale di una soluzione z(t)dell’equazione

z + ω20z = C0e

iωt, (137) II-T

e se ω = ω0, per cui c = iω non e soluzione dell’equazione caratteristica λ2+ω20 = 0, ci troviamo nel

primo dei casi considerati nella Sezione 25 (con C0 = polinomio q(t) di grado 0): la (137) ammetteun integrale particolare A0eiωt con la costante A0 (polinomio p(t) di grado 0), detta ampiezzacomplessa, determinata dalla condizione

(A0eiωt) + ω2

0A0eiωt = C0e

iωt ovvero (−ω2 + ω20)A0 = C0.

Un integrale particolare della (136) e dato dunque dalla parte reale della funzione

C0

ω20 − ω2

eiωt,

cioe dalla funzioneC0

ω20 − ω2

cosωt (138) II-U

che rappresenta un’oscillazione di frequenza e fase uguali a quelle della forza esterna, ma di ampiezza|C0/(ω2

0 − ω2)| tanto piu grande quanto piu ω e preso prossimo (non uguale) a ω0. Per ottenerel’integrale generale aggiungiamo alla (138) l’integrale generale dell’omogenea:

K1 cosω0t+K2 sinω0t+C0

ω20 − ω2

eiωt. (139) II-U’

Supponiamo adesso ω = ω0. La (136) diventa

y + ω20y = C0 cosω0t, (140) II-U’’

per cui siamo nel secondo dei casi della Sezione 25: c = iω0 e una delle due radici complesseconiugate dell’equazione caratteristica, e troviamo l’espressione di un integrale particolare della(137), diventata adesso

z + ω20z = C0e

iω0t,

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con la variabile t a fattore. Si tratta della funzione z(t) = A0teiω0t con A0 tale che

2iω0A0 = C0

e quindi

z(t) =C0t

2iω0eiω0t.

Ne segue che un integrale particolare della (140) e

C0t

2ω0sinω0t; (141) II-U’’’

l’integrale generale

K1 cosω0t+K2 sinω0t+C0t

2ω0sinω0t

e somma di oscillazioni armoniche e di un’oscillazione la cui massima “ampiezza” (variabile!)|C0t/2ω0|, a causa del fattore t, tende all’∞ per t → ∞. Questo e il fenomeno della risonan-za, che sta dietro ad alcune vere e proprie catastrofi naturali o ingegneristiche. Un caso delleseconde fu il crollo del Tacoma Bridge, raccontato con esilaranti aneddoti di contorno da MartinBraun nella Sezione 2.6.1 di Differential Equations and Their Applications, New York, Springer,1993.

Osservazione 26.1. L’integrale particolare (141) della (140) si ottiene rapidamente facendo ten-dere al limite per ω → ω0 un’opportuna famiglia di integrali particolari delle equazioni (136):non, evidentemente, quelli dati dall’espressione (138), bensı quelli che si ottengono dalla (139) conK1 = −C0/(ω2

0 − ω2) e K2 = 0:

C0

ω20 − ω2

(cosωt− cosω0t) =C0t

ω0 + ω

cosωt− cosω0t

ω0t− ωt→ C0t

2ω0sinω0t. (142) II-U_

Una formulazione geometricamente espressiva di questo passaggio al limite ricorrendo alle formuledi prostaferesi

cosB − cosA = 2 sinA−B

2sin

A+B

2

che dannoC0

ω20 − ω2

(cosωt− cosω0t) =2C0

ω20 − ω2

sin(ω0 − ω)t

2sin

(ω0 + ω)t

2.

Il secondo membro rappresenta un’oscillazione la cui “ampiezza” variabile

2C0

ω20 − ω2

sin(ω0 − ω)t

2

e periodica in t di periodo pω = 4π/(ω0 − ω) (supponendo ω0 > ω) e assume valore massimomω = 2C0/(ω2

0 − ω2) la prima volta per t = pω/4: quando ω → ω0 sia pω che mω tendono all’∞.

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27 Sistemi lineari omogenei – Matrici diagonalizzabili, matrici

triangolarizzabili

Lo spazio delle matrici N×N e indicato con con MN (C) o con MN (R) a seconda che le componentisiano complesse o in particolare reali. I vettori di CN o di RN sono identificati con le colonne delleloro componenti, dunque con matrici N × 1:

u = col (u1, . . . , uN ) =

u1...

uN

.

La notazioneu1 . . . uN

viene utilizzata per la matrice che ha sulla k-esima colonna il vettore

coluk1, . . . , u

kN

costituito dalle componenti del vettore uk. Ai vettori u = v+ iw di CN con v e w

in RN si estendono le classiche notazioni u = v−iw, Reu = v, Imu = w del caso scalare N = 1. In

CN la norma u =N

k=1 |uk|21/2

e quella associata al prodotto scalare u·v =N

k=1 ukvk, e vale

la disuguaglianza di Cauchy–Schwarz |u · v| ≤ u v. La norma di A =akh

h,k=1,...,N

∈ MN (C)e quella in CN2

:

A =

N

h,k=1

|akh|2

1/2

.

Il prodotto a destra (righe per colonne) di A per u ∈ CN verifica Au ≤ A u, come si vedeapplicando la disuguaglianza di Cauchy–Schwarz alle singole componenti.

Siano akh (h, k = 1, . . . , N) costanti reali o complesse. Il sistema differenziale

x1 = a11x1 + · · ·+ aN1 xN...xN = a1Nx1 + · · ·+ aNNxN

(143) III-A

nelle funzioni scalari incognite x1 = x1(t), . . . , xN = xN (t) (in generale a valori in C) e dettolineare, a coefficienti costanti, omogeneo. Ponendo A =

akh

h,k=1,...,N

riscriviamo il sistema

(143) sotto la forma di equazione differenziale vettoriale

x = Ax (144) III-B

nella funzione vettoriale incognita x = x(t). Una soluzione, sempre la stessa quale che sia A, esistesenz’altro: quella banale identicamente uguale al vettore nullo. Piu in generale, ad ogni soluzioneu del sistema algebrico Au = 0 (e ne esistono di diverse dal vettore nullo se e solo se detA = 0) eassociata una soluzione costante x(t) = u, detta equilibrio, del sistema differenziale (144).

Un problema di Cauchy si ottiene aggiungendo alla (144) una condizione iniziale o diCauchy

x(t0) = u (145) III-C

per t0 ∈ R fissato arbitrariamente, oppure la sua formulazione apparentemente piu particolare

x(0) = u

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che pero equivale alla precedente, come si vede passando dalla funzione t → x(t) alla funzionet → x(t0 + t). Per N > 1 anche la (145) e un’identita vettoriale, e precisamente

x1(t0) = u1, . . . , xN (t0) = uN .

Nello studio della (144) si rivela preziosa la seguente semplice osservazione: se P ∈ MN (C) einvertibile, e quindi A e simile alla matrice B = P−1AP , una funzione x(t) soddisfa la (144), cioe

P−1x = P−1Ax = BP−1x,

se e solo la funzione y(t) = P−1x(t), con derivata y(t) = P−1x(t), e soluzione di

y = By. (146) III-D

Abbiamo dunque la possibilita di trasformare la (144) in un’equazione equivalente (146) con matricedei coefficienti B piu maneggevole della A, a patto di costruire opportunamente la matrice dipassaggio P . E di tale costruzione che ora ci occupiamo.

Innanzitutto associamo ad A il polinomio caratteristico det (A− λI) e l’equazione carat-teristica

det (A− λI) = 0 (147) III-E

con I matrice identita N × N , che ha per soluzioni N numeri complessi, non necessariamentedistinti fra loro, detti autovalori di A. Sia λ un autovalore. La sua molteplicita algebrica eil numero di volte che esso compare come soluzione della (147). Gli autovettori di A relativi aλ, cioe le soluzioni u ∈ CN diverse dal vettore nullo dell’equazione Au − λu = 0, costituiscono lospazio vettoriale ker (A−λI) di A−λI, detto autospazio di A relativo a λ, la cui dimensione e lamolteplicita geometrica di λ. Ogni matrice B di MN (C) simile ad A con matrice (invertibile)di passaggio P , nel senso che B = P−1AP , ha la stessa equazione caratteristica di A, e quindi glistessi autovalori, ciascuno con la stessa molteplicita. Sia A ∈ MN (R): alcuni o tutti gli autovaloripossono tranquillamente non essere reali, per cui gli autovettori possono appartenere a CN \RN , esia B che P a MN (C) \MN (R).

Notiamo che per N = 2 la (147) diventa

λ2 − (trA)λ+ detA = 0

dove trA denota la traccia a11 + a22 di A =akh

h,k=1,2

∈ M2(C). Dunque se A e singolare, allorauno degli autovalori e nullo e l’altro e la traccia di A. In generale gli autovalori λ1 e λ2 di Averificano

λ1 + λ2 = trA, λ1λ2 = detA,

e da queste due identita si possono dedurre a colpo d’occhio, senza bisogno di risolvere l’equazionecaratteristica, alcune informazioni sugli autovalori: ad esempio, essi sono di segno opposto sedetA < 0 mentre sono entrambi negativi se detA > 0 e trA < 0.

Una soluzione per niente banale della (144) si ottiene prendendo un autovettore u relativo a unautovalore λ di A: u ∈ CN , u = 0, Au = λu. Infatti la funzione R t → eλtu, che vale u in t = 0,soddisfa l’equazione:

d

dt(eλtu) = eλtλu = eλtAu = A(eλtu). (148) III-H

Se Reλ ≥ 0 la norma della funzione non tende a 0 per t → ∞, ed anzi e illimitata per t > 0 seReλ > 0.

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III-l1.1 Lemma 27.1. Autovettori relativi ad autovalori distinti sono linearmente indipendenti.

DIM. Basta considerare il caso N = 2 per illustrare il metodo in generale. Siano u1,u2 autovettoridi A ∈ M2(C) relativi ad autovalori distinti λ1,λ2, e siano C1, C2 ∈ C tali che

C1u1 + C2u2 = 0.

Applicando A− λ1I ad entrambi i membri otteniamo

C1(A− λ1I)u1 + C2(A− λ1I)u2 = 0+ C2Au2 − λ1u2 = C2(λ2 − λ1)u2 = 0,

da cui C2 = 0 e quindi anche C1 = 0.

Si dice che A e diagonalizzabile se ha N autovettori linearmente indipendenti, e quindi esimile alla matrice diagonale

λ1 0 . . . 00 λ2 . . . 0...0 0 . . . λN

.

Perche cio si verifichi e ad esempio sufficiente — ma non necessario — che gli autovalori siano tuttidistinti fra di loro. Quindi A ∈ MN (R) e simile ad una matrice diagonale reale se e dotata diautovalori reali tutti distinti fra di loro (e un’altra condizione sufficiente e che i suoi coefficienti ahkverifichino la condizione di simmetria ahk = akh). Pero A ∈ MN (R) puo anche essere diagonalizza-bile in MN (C) senza esserlo in MN (R) (come succede ad esempio se ha autovalori complessi tuttidistinti tra di loro ma non tutti reali), o non essere diagonalizzabile nemmeno in MN (C). Segna-liamo di sfuggita che la diagonalizzabilita e proprieta di una classe di matrici molto particolare epur tuttavia, in un senso che ovviamente andrebbe precisato, “maggioritaria”.

Nel caso generale introduciamo la nozione di matrice triangolarizzabile, cioe simile a una ma-trice triangolare superiore oppure inferiore (i cui autovalori λk sono le componenti diagonali):

λ1 b21 . . . bN−11 bN1

0 λ2 . . . bN−12 bN2

...0 0 . . . λN−1 bNN−10 0 . . . 0 λN

oppure

λ1 0 . . . 0 0b12 λ2 . . . 0 0...

b1N−1 b2N−1 . . . λN−1 0b1N b2N . . . bN−1

N λN

.

III-l1.1 Lemma 27.2. Ogni matrice A ∈ MN (C), o in particolare ogni A ∈ MN (R), e simile ad una

matrice triangolare di MN (C).

DIM. Diamo la dimostrazione solo nel caso N = 2. Supponiamo che A ∈ M2(C) abbia dueautovalori coincidenti (altrimenti sarebbe direttamente diagonalizzabile) di valore µ. Allora A, senon e gia diagonale, non e diagonalizzabile (come si vede subito tenendo conto che una matricediagonale con tutte le componenti diagonali uguali allo stesso numero µ e la matrice identitamoltiplicata per µ, e quindi e simile solo a se stessa). Siano dunque u un autovettore di A e vun versore ek non proporzionale ad u. Supponendo k = 2 per fissare le idee, possiamo scrivereil vettore Av (seconda colonna di A) come combinazione lineare di u e v perche questi vettori,

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essendo linearmente indipendenti, costituiscono una base di C2. Dunque Av e uguale a cu + dv.Otteniamo cosı

AP = PB con P =u v

e B =

µ c0 d

.

Dev’essere d = µ perche B, essendo simile ad A, ha lo stesso autovalore di molteplicita 2; d’altraparte, c = 0 se e solo se v e un altro autovettore della matrice, la quale e allora diagona(lizzabi)leperche due suoi autovettori sono linearmente indipendenti. Riassumendo: se A non e il prodottodi µ per la matrice identita si trovano due vettori linearmente indipendenti u e v tali che

A = PBP−1 con P =u v

e B =

µ c0 µ

.

28 Esistenza e unicita per i problemi di Cauchy

Torniamo all’equazione vettoriale (144). Dalla linearita segue che le soluzioni del sistema su unintervallo aperto costituiscono una famiglia chiusa rispetto alle combinazioni lineari, quindi unospazio vettoriale. Quando in particolare le componenti di A sono tutte costanti reali la (144) valese e solo se vale la

x = Ax,

dunque se e solo se sono soluzioni tanto Rex = (x+ x) /2 che Im z = (x− x) /(2i).Sia A ∈ MN (C), o in particolare A ∈ MN (R), diagonalizzabile (almeno) in MN (C). Data

una baseu1, . . . ,uN

di CN costituita da autovettori di A relativi rispettivamente agli autovalori

λ1, . . . ,λN , si ottengono subito N soluzioni linearmente indipendenti

eλ1tu1, . . . , eλN tuN

della (144).Passiamo al problema di Cauchy (144),(145) per una qualunque matrice di MN (C).

III-TA Teorema 28.1. Sia A ∈ MN (C).(i) Per ogni scelta di t0 ∈ R e di u ∈ CN il problema di Cauchy (144),(145) ammette un’unica

soluzione R → CN .

(ii) Le soluzioni di (144) costituiscono uno spazio vettoriale N–dimensionale su C.

DIM. Come abbiamo visto, una qualunque A a componenti reali o complesse e senz’altro triango-larizzabile in MN (C), vale a dire verifica un’identita A = PBP−1 con P ∈ MN (C), detP = 0, eB ∈ MN (C) matrice triangolare, diciamo superiore per fissare le idee.

L’equazione vettoriale y = By e il sistema triangolare costituito dalle N equazioni lineariscalari

y1 = λ1y1 + b21y2 + · · ·+ bN−11 yN−1 + bN1 yN

y2 = λ2y2 + · · ·+ bN−12 yN−1 + bN2 yN

...yN−1 = λN−1yN−1 + bNN−1yNyN = λNyN .

(149) III-I

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Aggiungendo all’ultima delle (149) una condizione yN (t0) = vN otteniamo un problema (scalare)di Cauchy dotato, come gia sappiamo, di un’unica soluzione che e prodotto di una costante per lafunzione eλN t (per la precisione yN = eλN (t−t0)vN ).

Passiamo alla penultima delle equazioni (149) introducendo per yN l’espressione appena otte-nuta ed aggiungendo la condizione yN−1(t0) = vN−1. Otteniamo un altro problema (scalare) diCauchy, il quale ammette un’unica soluzione.

Cosı procedendo arriviamo a dimostrare che per ogni k la k–esima equazione del sistema (149)nell’incognita yk ammette una soluzione, determinata univocamente dalla condizione yk(t0) = vk.

Una funzione x(t) verifica (144), (145) con u fissato in CN se e solo la funzione y(t) = P−1x(t)soddisfa (149) insieme a y(t0) = v = P−1u, e come abbiamo appena visto quest’ultimo problemaammette un’unica soluzione. Abbiamo cosı dimostrato (i).

Sia x(t) una qualunque soluzione di (144). Il suo valore in t0 si scrive univocamente comecombinazione lineare

Nk=1 cku

k, dove uk denota il k–esimo vettore di una base di CN . Per ognik = 1, . . . , N sia xk(t) la soluzione di (144) che in t0 vale uk. Grazie all’unicita, x(t) deve coinciderecon la funzione

Nk=1 ckx

k(t), dal momento che quest’ultima soddisfa la stessa equazione — lineare!— ed inoltre assume in t0 lo stesso valore di x(t). Questo dimostra (ii).

Notiamo una conseguenza ovvia ma forte dell’unicita appena ottenuta: la sola soluzione della(144) che in qualche punto t0 possa verificare x(t0) = 0 e la soluzione identicamente uguale alvettore nullo.

La dimostrazione del Teorema 28.1 e molto meno costruttiva di quanto si direbbe a prima vista,anche quando la matrice dei coefficienti e gia in partenza triangolare: il metodo di risoluzione basatosulle eliminazioni successive in N problemi di Cauchy per equazioni scalari finisce per rivelarsioneroso se N ≥ 3.

Applicando il Teorema 28.1 ai sistemi a coefficienti reali otteniamo il

III-32 Teorema 28.2. Sia A ∈ MN (R).(i) Per ogni scelta di u ∈ RN la soluzione di (144),(145) va da R a RN .

(ii) Le soluzioni reali di (144) costituiscono uno spazio vettoriale N–dimensionale su R.

DIM. Passando ai coniugati nei primi e secondi membri di (144) e (145) si vede che nella presentesituazione anche la coniugata x(t) dell’unica soluzione x(t) verifica lo stesso problema di Cauchy.Ne segue che x(t) coincide con x(t) e quindi con la propria parte reale. Questo dimostra (i).

Quanto a (ii) basta tener conto che le soluzioni xk(t) di (144) con xk(t0) = ek, k = 1, . . . , N ,sono (linearmente indipendenti e) a valori in RN .

O-121 Osservazione 28.1. Abbiamo gia visto un sistema di 2 equazioni del I ordine, con matrice deicoefficienti triangolare, equivalente all’equazione lineare (scalare) di ordine 2

y + ay + by = 0. (150) III-L

Eccone un altro: x1 = x2x2 = −bx1 − ax2

cioe x = Ax con matrice dei coefficienti0 1−b −a

(151) III-Q

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la cui equazione caratteristica coincide con quella della (150).

29 Tecniche risolutive per i sistemi di 2 equazioni

secIII-4

In questa Sezione ci occuperemo dei sistemi (144) con A matrice 2× 2 a componenti reali

x1 = a11x1 + a21x2x2 = a12x1 + a22x2

(152) III-e4.1

e forniremo le rappresentazioni esplicite delle soluzioni; interpretandole come curve piane in formaparametrica ne descriveremo i sostegni, detti anche orbite o traiettorie, nel piano (x1, x2), dettopiano delle fasi.

1o Supponiamo per cominciare che A abbia due autovalori reali e distinti λ1 e λ2, con rispettiviautovettori u1 e u2. Dunque A e diagonalizzabile in M2(R), una matrice fondamentale (cioecon le colonne date da soluzioni linearmente indipendenti) del sistema (152) e

[eλ1tu1 eλ2tu2]

e un suo integrale generale si ottiene facendo variare K1,K2 ∈ R nell’espressione

K1eλ1tu1 +K2e

λ2tu2 =u1 u2

K1eλ1t

K2eλ2t

. (153) III-e4.3

Per studiare le traiettorie delle soluzioni (153) passiamo dalle coordinate x1, x2 alle y1, y2 definiteda

x1x2

=

u1 u2

y1y2

.

Quando K1 > 0 e K2 > 0 la traiettoria di una curva piana y1 = K1eλ1t, y2 = K2eλ2t, t ∈ R e il

grafico di una funzione y2 = Cyλ2t/λ11 , y1 > 0 con C > 0 (e dunque si disegna subito distinguendo i

tre casi 0 < λ2/λ1 < 1, λ2/λ1 > 1, λ2/λ1 < 0, nell’ultimo dei quali si dice che l’origine e un puntodi sella). L’estensione ai casi degli altri segni di K1 e K2 si fa per simmetrie.

A questo punto per ottenere la rappresentazione grafica delle traiettorie di partenza nel pianodelle fasi (x1, x2) resta solo da operare una deformazione affine di matrice [u1 u2].

III-e 4.1 Esempio 29.1. La matrice dei coefficienti del sistemax1 = 5x1 + 3x2x2 = −6x1 − 4x2

ha un autovalore uguale a 2 con un autovettore dato da col (1,−1) e l’altro autovalore uguale a −1con un autovettore dato da col (−1, 2). Un integrale generale di questo sistema e dato da

1 −1−1 2

K1e2t

K2e−t

=

K1e2t −K2e−t

−K1e2t + 2K2e−t

ed una sua matrice fondamentale da e2t −e−t

−e2t 2e−t

.

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2o Supponiamo adesso che gli autovalori di A siano sı distinti, ma complessi coniugati, cioe dellaforma α ± iβ (dove α,β ∈ R, β = 0), con rispettivi autovettori v ± iw (dove v,w sono vettoricolonne di R2, w = 0):

A(v ± iw) = (α± iβ)(v ± iw).

Cio significa che A e simile alla matrice diag (α + iβ,α − iβ) di M2(C) con matrice di passaggio[v + iw v − iw]. Una matrice fondamentale del sistema, ma di funzioni a valori in C2 e non inR2, e

eαt[eiβt(v + iw) e−iβt(v − iw)].

D’altra parte, le due soluzioni linearmente indipendenti x(t) e x(t) sono combinazioni lineari delleparti reale e immaginaria di x(t) = e(α+iβ)t(v + iw) = eαt(cosβt+ i sinβt)(v + iw), cioe di

eαt(v cosβt−w sinβt) e eαt(v sinβt+w cosβt),

che sono quindi a loro volta soluzioni linearmente indipendenti, ma adesso a valori in R2. Abbiamocosı trovato una matrice fondamentale (di funzioni a valori in R2) del sistema:

eαt[v cosβt−w sinβt v sinβt+w cosβt].

In altri termini, la totalita della soluzioni (di funzioni a valori in R2) del sistema si ottiene facendovariare K1,K2 ∈ R nell’espressione

K1eαt(v cosβt−w sinβt) +K2e

αt(v sinβt+w cosβt)

=v w

eαt

K1 cosβt+K2 sinβt−K1 sinβt+K2 cosβt

. (154) III-4.4

Per studiare le traiettorie delle soluzioni (154) passiamo dalle coordinate x1, x2 alle y1, y2 definiteda

x1x2

= [v w]

y1y2

.

Le traiettorie delle curve piane y1 = eαt(K1 cosβt + K2 sinβt), y2 = eαt(−K1 sinβt + K2 cosβt),t ∈ R, sono le circonferenze y21+y22 = K2

1 +K22 se α = 0. Altrimenti si tratta di spirali che “escono”

dall’origine e “crescono” verso l’infinito per t crescente se α > 0 e invece per t decrescente se α < 0.A questo punto si ottiene la rappresentazione grafica delle traiettorie di partenza nel piano delle

fasi (x1, x2) mediante una deformazione affine di matrice [v w].

III-e 4.2 Esempio 29.2. La matrice dei coefficienti del sistema

x1 = 3x1 + 5x2x2 = −5x1 + 3x2

ha un autovalore uguale a 3− 5i con un autovettore dato da col (0, 1) + i col (1, 0) (e quindi, auto-maticamente, l’altro autovalore e uguale a 3+5i con un autovettore dato da col (0, 1)− i col (1, 0)).Due soluzioni linearmente indipendenti a valori in C2 sono la

e(3−5i)t

i1

= e3t(cos 5t− i sin 5t)

01

+ i

10

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Page 88: Dispense_analisi_vettoriale Prof. g. m. Troianiello

e la sua coniugata, mentre le sue parti reale e immaginaria, cioe

e3t

01

cos 5t+

10

sin 5t

= e3t

sin 5tcos 5t

e e3t

−01

sin 5t+

10

cos 5t

= e3t

cos 5t− sin 5t

sono due soluzioni linearmente indipendenti a valori in R2. Una matrice fondamentale di soluzionia valori in R2 e dunque

e3tsin 5t cos 5tcos 5t − sin 5t

e un’espressione dell’integrale generale e

K1e3t

sin 5tcos 5t

+K2e

3t

cos 5t− sin 5t

=

0 11 0

e3t

K1 cos 5t−K2 sin 5tK1 sin t+K2 cos 5t

.

3o Supponiamo che i due autovalori di A abbiano lo stesso valore reale µ. Gia sappiamo che alloraA, se non e gia diagonale, non e diagonalizzabile, pero e comunque comunque triangolarizzabile: sitrovano due vettori linearmente indipendenti u e v tali che

A = PBP−1 con P =u v

e B =

µ c0 µ

.

Il sistema y = By, ovvero y1 = µy1 + cy2, y2 = µy2 si risolve subito: inserendo la genericasoluzione y2(t) = K2eµt della seconda equazione nella prima si ottiene la generica soluzione y1(t) =eµt(K1 +K2ct). Ne segue che l’integrale generale del sistema si ottiene facendo variare K1,K2 ∈ Rnell’espressione

PeµtK1 +K2ct

K2

=

u v

eµt

K1 +K2ct

K2

= K1e

µtu+K2eµt(tcu+ v)

e una matrice fondamentale e[eµtu eµt(tcu+ v)]. (155) III-4.5

Anche in questo 3o caso, come abbiamo fatto nei primi due, possiamo studiare le traiettoriedelle soluzioni (155) passando dalle coordinate x1, x2 alle y1, y2 definite da

x1x2

=

u v

y1y2

.

Adesso le equazioni parametriche da cui eliminare la t sono y1 = (K1 + K2ct)eµt, y2 = K2eµt.Dalla seconda equazione ricaviamo t = 1

µ log y2K2

per y2/K2 > 0, e dalla prima otteniamo y1 =

(K1 +K2cµ log y2

K2) y2K2

sia per y2 > 0, purche K2 > 0, e sia per y2 < 0, purche K2 < 0.

III-e 4.3 Esempio 29.3. La matrice dei coefficienti del sistemax1 = x1 − x2x2 = x1 + 3x2

ha un autovalore doppio µ = 2, con autovettore u =col (−1, 1). Prendiamo come v il versorecol (0, 1). Siccome Av = u+ 2v la totalita delle soluzioni del sistema si scrive come come

(−K1 −K2t)e2t

[K1 +K2(t+ 1)]e2t

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e la matrice fondamentale corrispondente come

−e2t −te2t

e2t (t+ 1)e2t

.

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