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Dispense di Ottica Astronomica Corso di Astrofisica Prof. Piero Benvenuti Corso di Laurea in Fisica - Università di Cagliari Anno Accademico 1998-99

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Dispense di Ottica Astronomica

Corso di Astrofisica

Prof. Piero Benvenuti

Corso di Laurea in Fisica - Università di Cagliari Anno Accademico 1998-99

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Capitolo 3

Teoria delle aberrazioni

3.1 Introduzione

Nel trattare il problema della risoluzione spaziale di uno strumento otticoastronomico, abbiamo utilizzato il concetto astratto di strumento otticoperfetto, capace di trasformare un'onda piana, quale quella proveniente da unasorgente cosmica, in una perfettamente sferica, convergente in un punto delpiano focale. In realtà tutti gli strumenti ottici, nell'operare questatrasformazione, introducono delle variazioni rispetto all'onda sferica e quindisul piano focale avremo una distribuzione di energia diversa da quella previstadalla teoria della diffrazione di Fraunhofer. Queste variazioni prendono il nomedi aberrazioni ottiche: scopo di questo capitolo è quello di esporre brevementealcuni metodi per classificare le aberrazioni e valutarne l'entità limitatamenteagli strumenti ottici astronomici.

l 0 = Ottica geometricaÈ una buona (lecita) approssimazione ? le lunghezze d'onda della luce visibilesono dell'ordine di 10-5 cm, quindi le deviazioni dell'ottica geometrica rispettoal caso reale, saranno dello stesso ordine di grandezza...

Per una trattazione rigorosa delle aberrazioni, dovremmo utilizzare leequazioni di Maxwell, che descrivono l'evoluzione temporale del campoelettromagnetico in funzione delle caratteristiche fisiche (dielettricità epermeabilità magnetica) e geometriche del mezzo. Come noto, questatrattazione rigorosa è integrabile solo in alcuni semplici casi: è necessarioperciò ricorrere a delle semplificazioni che permettano di ottenere dei risultatiapprossimati, ancorché utili.

L'approssimazione piú conveniente è quella di far tendere a zero lalunghezza d'onda della radiazione: in questo modo i fenomeni di interferenza ediffrazione spariscono e il campo elettromagnetico può essere descritto da deiraggi che si propagano rettilinearmente in un mezzo omogeneo,perpendicolarmente al fronte d'onda e seguono semplici leggi geometricheall'incontrare una superficie di separazione tra due mezzi diversi (notiamo chequesta trattazione permette di tener conto anche delle aberrazioni cromatiche,nonostante la lunghezza d'onda sia posta uguale a zero: raggi etichettati con ldiverse seguono percorsi diversi grazie alla variazione degli indici di rifrazionein funzione di l ). La teoria che si sviluppa sulla base dell'approssimazionesuddetta prende il nome di Ottica Geometrica: a seconda poi della trattazionematematica del problema, abbiamo le teorie algebriche delle aberrazioni (Gauss,

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Seidel, etc.) che esprimono il comportamento dei raggi che attraversano unostrumento in forma analitica, e i metodi che utilizzano la forza bruta deicalcolatori e seguono singolarmente ogni raggio (ray tracing). Entrambe letrattazioni sono importanti in quanto complementari: la teoria algebricapermette di minimizzare le aberrazioni di uno strumento agendo direttamentesulle sue caratteristiche fisico-geometriche, mentre il ray tracing permette dicalcolare i cosidetti spot-diagrams, ossia l'intersezione dei raggi con il pianofocale, che danno un'indicazione sulla distribuzione dell'energia luminosa sulpiano stesso.

Il metodo di ray tracing è inoltre particolarmente importante perchépermette di calcolare, con una approssimazione piccola a piacere, la funzionedi apertura sulla pupilla di uscita di uno strumento ottico: come abbiamo vistoalla fine del capitolo precedente, la trasformata di Fourier della funzione diapertura ci dà la Point Spread Function (PSF), ossia la distribuzione diintensità luminosa sul piano focale. In questo modo, utilizzando l tendente a0 per la descrizione dello strumento reale, e la teoria di Fraunhofer, è possibilearrivare ad una descrizione della distribuzione di energia luminosa sul pianofocale approssimabile a piacere al caso reale.

3.2 Generalità su strumenti ottici ed aberrazioni.

Uno strumento ottico si può considerare come un sistema (una scatolanera) avente un ingresso (pupilla d'ingresso) che accetta la radiazione (i raggi)provenienti dallo spazio oggetto, e un'uscita (pupilla d'uscita) che trasmette iraggi verso lo spazio immagine. Lo strumento ottico può quindi essere pensatocome un'operatore matematico che opera su una funzione geometrica chedescrive l'oggetto trasformadola, tramite una convoluzione, in una funzione chedescrive l'immagine (vedi Fig. 3.1). Consideriamo un punto P0 nello spaziooggetto (vedi Figura 3.5): se tutti i raggi uscenti da P0 ed entranti nella pupillad'entrata, convergono su uno, ed un sol punto P1 , lo strumento si dicestigmatico, ossia privo di aberrazioni d'immagine puntiforme.

Figura 3.1 La relazione tra spazio oggetto e spazio immagine tramite"l'operatore" sistema ottico.

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In generale non sarà cosí, e il punto immagine generico P1 cadrà ad unacerta distanza dal punto teorico P1* proprio di uno strumento stigmatico (P1*prende anche il nome di punto-immagine gaussiano).

La teoria ottica di Gauss, sempre nell'ambito dell'ottica geometrica, valeper raggi aventi angoli molto piccoli rispetto all'asse ottico (di simmetria) delsistema.

Il vettore d = P1 P1* si chiama aberrazione del raggio, ed è facilmente ottenibile

con la menzionata tecnica del ray-tracing : lo scopo che ci prefiggiamo ora è

quello di ricavare il vettore d in forma analitica tramite una funzione cheprende il nome di Funzione Caratteristica di Hamilton.

È anche possibile che tutti i raggi uscenti da P0 passino per un solo puntoP1 , distinto però dal punto gaussiano P1* : in questo caso non si haun'aberrazione d'immagine, ma una aberrazione della forma o distorsione chealtera le distanze relative tra i punti dello spazio oggetto e i punti dello spazioimmagine. Un caso particolare ed importante è quello della curvatura delcampo: i raggi focalizzano su punti giacenti non sul piano gaussiano, ma su unasuperficie curva.

3.3 Il cammino ottico e l'equazione eiconale.

3.3.1 Il cammino ottico.

Consideriamo (Fig. 3.2) un fronte d'onda S al tempo t propagantesi in unmezzo avente indice di rifrazione n. I raggi dell'ottica geometrica si dipartonodalla superficie S perpendicolarmente ad essa. Consideriamo ora l'evoluzionetemporale del fronte d'onda e assumiamo che esso di trasformi in S ¢ e S¢¢ rispettivamente ai tempi t+Dt e t+2Dt Siano A e B, e analogamente C e D,coppie di punti su S eS ¢ uniti da raggi ottici geometrici.

Si definisce allora come cammino ottico da A a B, la quantità:

dove l'integrale si intende eseguito lungo il raggio. Poiché v, la velocità dellaluce nel mezzo è

Dl =cvA

B

Ú ds = ndsA

B

Ú (3.1)

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Figura 3.2 Il cammino ottico lungo le superfici d'onda.

Ne consegue che:

1. Il cammino ottico tra due punti è proporzionale al tempo impiegatodalla luce a percorrere il raggio ottico gemetrico che li congiunge.

2. Poiché S eS ¢ sono per definizione le superfici raggiunte dal fronted'onda in t e t+Dt , AB = CD e quindi il cammino ottico tra duesuperfici d'onda è indipendente dal raggio utilizzato per calcolarlo.

Naturalmente se l'indice di rifrazione è funzione della posizione:n = n x,y,z( ) , l´equazione (3.1) vale ancora ed esplicitamente si scriverà:

Dl = n x, y, z( )A

B

Ú ds

3.3.2 L'equazione eiconale.

Le due caratteristiche del cammino ottico sopra accennate ci fannointravvedere la possibilità di utilizzarne il concetto per definire una funzioneche descriva l'evoluzione del fronte d'onda. Consideriamo (Fig. 3.3) due

v =dsdt

, ds si può esprimere come ds = v dt , quindi:

Dl =cvA

B

Ú v dt = cdt = cA

B

Ú Dt . (3.2)

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superfici d'onda e su di esse due punti P0 e P uniti da un raggio. Sia Ol'origine di un sistema di riferimento e r 0 ed r i vettori che dall'origineindividuano P0 e P . Definiamo allora come funzione eiconale L(r ) del vettorer la:

L(r ) = ndsr 0

r

Ú = c (t - t0 ) .

L'equazione L r ( ) = cost definisce ovviamente una superficie d'onda Cerchiamoora di calcolare come varia L(r ) al variare di r . Consideriamo un incrementodr che definisce un punto P' vicino a P .

Figura 3.3. La funzione eiconale è una funzione del vettore r che descrive lospostamento del punto P appartenente al fronte d'onda.

Consideriamo ora un raggio ottico che parta da un punto P0' della primasuperficie d'onda ed arrivi su P' intersecando la seconda superficie d'onda inP1 . Poiché P0 , P0' e P , P' stanno rispettivamente sulla stessa superficied'onda, abbiamo che: [P0'P1 ] = [P0 P ] e quindi la variazione di L r ( ) si puòscrivere:dove t è un vettore unitario normale alla superficie d'onda. Esplicitando dLabbiamo anche:

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dL = n ¢ P P1 = n dr • t (3.3)

Utilizzando (3.3) e (3.4) abbiamo:

La (3.5) prende il nome di equazione eiconale (dal greco eikvn, immagine) e sipotrebbe dimostrare che:

1. L'equazione eiconale si può ricavare dalle equazioni di Maxwellnell'approssimazione dell'ottica geometrica.

2. Dall'equazione eiconale si possono ricavare le leggi dell'otticageometrica, ossia la propagazione rettilinea dei raggi in un mezzoomogeneo, la legge della riflessione e quella della rifrazione.

3.4 Funzione caratteristica di Hamilton e aberrazionedel raggio.

3.4.1 La funzione caratteristica di Hamilton.

Definiamo ora come funzione caratteristica V (di Hamilton) il camminoottico da P0 a P1 ([P0P1], vedi Fig. 3.4) in funzione delle loro coordinate,ovvero:

dL =∂L∂x

dx +∂L∂y

dy +∂L∂z

dz = — L • dr (3.4)

— L = nt e, in valore assoluto: — L = n ossia:

—2 L = n2 (3.5)

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Figura 3.4 Il cammino ottico da P0 a P1 come funzione caratteristica diHamilton.

V è definita dal mezzo di indice n . Dall'equazione eiconale abbiamo:

Ricordando l'equazione eiconale, — L = nt , abbiamo:

Definiamo il raggio vettore g = n t e siano a,b e g gli angoli formati dalraggio vettore con gli assi; le componenti del raggio sono allora:

Dalla (3.7) abbiamo per le componenti del raggio vettore in P0 e P1 :

e analoghe espressioni per q0, q1 e m0, m1.

V x0, y0 ,z0 ; x1, y1, z1( ) = P0P1[ ] = n dsP0

P1

Ú (3.5)

V x0, y0 ,z0 ; x1, y1, z1( ) = L x1, y1, z1( ) - L x0, y0 ,z0( ) (3.6)

— 0V = -n t 0— 1V = nt 1

(3.7)

p = ncosa , q = ncosb , m = n cosg ( p2 + q2 + m 2 = n2 )

p0 = -∂V∂x0

, p1 =∂V∂x1

(3.8)

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Queste relazioni indicano che dalla conoscenza della funzionecaratteristica V sarebbe possibile determinare le componenti del raggio otticoche congiunge due punti qualsiasi nel mezzo. In realtà questo fatto non haapplicazioni pratiche per la difficoltà di determinare la funzione V , ci è utileinvece per ricavare l'aberrazione del raggio in funzione di V.

3.4.2 L'aberrazione del raggio.

Consideriamo un punto P0 dello spazio oggetto (Fig. 3.5).ed un raggioottico uscente da P0 e intersecante in Po', P1' e P1 rispettivamente i piani dellapupilla d'entrata, della pupilla d'uscita e del piano immagine (focale). Comeabbiamo detto, se lo strumento fosse stigmatico, tutti i raggi uscenti da P0passerebbero per P1*, immagine gaussiana di P0.

Figura 3.5 L'aberrazione del raggio sul piano immagine.

Il vettore d 1 = P1*P1 prende il nome di aberrazione del raggio.

Consideriamo la situazione tra la pupilla d'uscita e il piano focale da unadiversa prospettiva (Fig. 3.6): se non vi fosse aberrazione, il fronte d'onda (omeglio, nell'approssimazione geometrica, il luogo, sulla pupilla d'uscita, di tuttii raggi uscenti da P0) sarebbe una sfera S di raggio R centrata su P1*: tutti iraggi, che tra la pupilla d'uscita e il piano focale procedono in linea retta,convergono su P1*. Nella realtà il fronte, o il luogo di cui sopra, sarà una

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superficie W che per comodità facciamo intersecare S in O1', intersezionedell'asse ottico con il piano della pupilla.

Consideriamo ora il raggio reale che atterra su P1: siano Q' e Q leintersezioni del raggio rispettivamente con W ed S La differenza di camminoottico F = [Q'Q] tra la superficie d'onda reale e quella gaussiana prende il nomedi aberrazione d'onda in Q. La differenza di fase tra la sfera gaussiana e l'ondaaberrata è:

j x, y( ) = 2pF x,y( )

l

Figura 3.6 L'aberrazione d'onda sulla pupilla d'uscita e l'aberrazione delraggio sul piano immagine

Aprendo qui una parentesi, ricordiamo l'espressione generalizzata dellafunzione d'apertura (vedi Capitolo 2):

A x,y( ) = A0 x, y( )eij x , y( )

La componente di fase dell'espressione è data dall'aberrazione d'onda. Seriusciamo a calcolarla, per un dato sistema ottico e in funzione di x,y,possiamo, mediante la trasformata di Fourier, calcolare la distribuzione dienergia reale sul piano focale. Poiché F(x,y ) è una diffrenza di cammino

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ottico, essa può essere calcolata mediante il metodo del ray-tracing per unnumero discreto, ma grande a piacere, di punti. Questa distribuzione discreta divalori viene poi approssimata, con i minimi quadrati, da una combinazionelineare di polinomi ortogonali (polinomi di Zernike); la funzione continuapolinomiale che ne risulta e che descrive con approssimazione piccola a piacerela funzione d'apertura, viene utilizzata per eseguire la trasformata di Fourier ecalcolare cosí la Point Spread Function dello strumento.

Riprendiamo il filo interrotto e vediamo come è possibile esprimere F(x,y) in forma analitica come funzione di certi parametri globali del sistema otticoin esame. Poichè Q' e O'1 si trovano sullo stesso fronte d'onda (vedi figura),possiamo scrivere la seguente uguaglianza:

F = ¢ Q Q[ ] = P0Q[ ] - P0 ¢ Q [ ] = P0Q[ ] - P0 ¢ O 1[ ]

Utilizzando la funzione caratteristica, abbiamo:

dove:

Le coordinate di Q non sono indipendenti perché Q è su una sfera di raggio R(circa uguale a D1 se il rapporto d'apertura è piccolo). Quindi:

In realtà dovremmo utilizzare R', raggio da P1 , invece che R, ma la differenza èpiccola. La (3.10) ci permette di eliminare la z dalla (3.9) e quindi ladipendenza funzionale di F è:

Differenziamo ora F :

F = V x0, y0 ,0; x, y, z( ) - V x0, y0 ,0;0, 0, D1( ) (3.9)

x0 , y0, 0 sono le coordinate di P0 e

x, y, z sono le coordinate di Q. D1 è la distanza tra la pupilla d'uscita e il piano focale.

x - x1*( )2

+ y - y1*( )2

+ z2 = R2 (3.10)

F = F x0, y0 ; x, y( ) (3.11)

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∂z ∂x si ricava dalla (3.10) e dà:

invece ∂V ∂x e ∂V ∂z si ricavano dalle (3.7) e (3.8) e danno:

dove ¢ R = x1 - x( )2+ y1 - y( )2

+ z2[ ]1 2

.Sostituendo nella (3.12) otteniamo:

ossia, con analoga derivazione per y1 - y1* :

Abbiamo raggiunto un risultato importante per la valutazione delle aberrazionidi un sistema ottico: le componenenti dell'aberrazione del raggio sonoproporzionali alle derivate dell'aberrazione d'onda (In realtà esse dipendonoanche da R', che a sua volta dipende da P1: in prima approssimazione si puòcomunque porre R' ª R ª -D1 ossia pari alla distanza tra la pupilla d'uscita e ilpiano focale). Si tratterà ora di ricercare un'espressione analitica esplicita perl'aberrazione d'onda F.

3.1 Le aberrazioni di Seidel.

Da pure considerazioni di simmetria (vedi M&B, cap. V), si puòdimostrare che l'aberrazione d'onda,F, si può esprimere come una serie dipolinomi di ordine pari con il primo termine del quart'ordine, ovvero:

∂F∂x

=∂V∂x

+∂V∂z

⋅∂z∂x

∂F

∂y=

∂V∂y

+∂V∂z

⋅∂z∂y

Ï

Ì Ô

Ó Ô

(3.12)

∂z∂x

= -x - x1

*

z(3.13)

∂V∂x

= n1 cosa1 = n1x1 - x

¢ R ; ∂V

∂z= n1 cos g 1 = -n1

z¢ R (3.14)

∂F

∂x= n1

x1 - x¢ R

+ -n1z¢ R

Ê Ë

ˆ ¯ ⋅ -

x - x1*

Ë Á ˆ

¯ =

n1

¢ R x - x1

*( )

x1 - x1* =

R'

n1⋅∂F∂x

y1 - y1* =

R'

n1⋅∂F

∂y

Ï

Ì Ô

Ó Ô

(3.15)

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inoltre, per analoghe simmetrie, si può dimostrare che F è funzione solo di:

Si potrebbe dimostrare che, nei casi d'interesse, i termini polinomiali diordine crescente contribuiscono in quantità sempre minore all'aberrazioned'onda. L'interesse di questa formulazione sta quindi nella possibilità diprocedere per approssimazioni successive, a seconda della precisionedesiderata.

Le aberrazioni che si ottengono troncando lo sviluppo (3.16) al primotermine (polinomio di quarto grado), prendono il nome di aberrazioni primarieo del terz'ordine (vedi 3.15) o di Seidel.

Prima di procedere, è conveniente introdurre, sul piano della pupillad'uscita, delle coordinate polari:e orientare gli assi in modo tale che il piano yz passi per il punto oggetto, ossiax0 = 0. Si può dimostrare allora che il polinomio di quarto grado, ossia il primotermine della (3.16) si può scrivere:

Derivando come indicato dalle (3.15) e ponendo la costante di proporzionalitàuguale ad 1 , abbiamo:

Nel caso speciale in cui tutti i coefficienti B,C,D,E ed F sono nulli, il fronted'onda sulla pupilla d'uscita, nei limiti dell'approssimazione presente, coindicecon la sfera gaussiana (vedi Fig. 3.6). In generale i coefficienti avranno valorifiniti e ciascuno di essi contribuisce in modo caratteristico alla deviazione delfronte d'onda dalla forma sferica ideale. I coefficienti sono caratterizzati dallelettereB,C,D,E ed F per ragioni storiche e il tipo di aberrazione relativo a

F = F 4( ) + F 6( ) + K (3.16)

F = F x02 , y0

2 , x0 x ,y0y,x 2, y2( ) (3.17)

F 4( ) = -14

Br4 - Cy02r2 cos2 J -

12

Dy02r 2 + Ey0

3r cosJ + Fy0r3 cosJ (3.19)

x = rcosJ

h = r sin J

Ï Ì Ó

(3.18)

Dx 3( ) = Br 3 sin J - 2Fy0r2 sinJ cos J + Dy0

2r sin J

Dy 3( ) = Br3 cosJ - Fy0r2 1+ 2 cos2 J( ) + 2C + D( )y0

2r cosJ - Ey03

Ï Ì Ó

(3.20)

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ciascuno di essi prende il nome di aberrazione sferica (B ), astigmatismo (C ),curvatura di campo (D ), distorsione (E ) e coma (F ).

L'ultimo passo, per poter utilizzare la teoria di Seidel in casi pratici, èquello di derivare i coefficienti B,C,D,E ed F dai parametri del sistema otticoin esame. Per una derivazione generale rimandiamo al Wolf-Born già citato (icoefficienti sono esprimibili come orribili sommatorie, dovute principalmenteallo Schwarzschild, di alcuni parametri dei componenti il sistema). Noi cilimiteremo a considerare l'espressione esplicita dei coefficienti per il casoclassico di un telescopio riflettore a due specchi.

3.6 Le aberrazioni di Seidel in un TelescopioAstronomico.

Come applicazione pratica, consideriamo un telescopio costituito da duespecchi (primario e secondario) disposti perpendicolarmente ad un comuneasse ottico (Fig. 3.7).

Figura 3.7 Schema di telescopio riflettore a due specchi.

Sia y il raggio dello specchio primario, f, f1 ed f2 le lunghezze focaliripettivamente del telescopio, del primario e del secondario. Il rapporto focaledel telescopio è quindi q = y/f , mentre f è il raggio angolare del campo utile,ossia la distanza angolare dall'asse ottico entro la quale le immagini hannoaberrazioni accettabilmente piccole. La distanza tra i due specchi sia d ed el'estrazione, ossia la distanza del piano focale dalla superficie del primario. Lesuperfici dei due specchi si possono esprimere come espansioni in serie deltipo :

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nelle quali considereremo solo i primi due termini. In questa approssimazionele superfici sono caratterizzate da un unico parametro, b, detto asfericità.Per b= 0 avremo cme superficie una sfera, per b = -1 una parabola ed infine unaconica generica di eccentrincità e, se b = -e2 (nel seguito indicheremo con b1 eb2 rispettivamente le asfericità del primario e del secondario). La relazione trala lunghezza focale del telescopio e quelle degli specchi componenti è (f1 ed f2

hanno segno opposto, nel caso in questione f1 >0, f2 <0):

Altre utili relazioni sono:

Se, come avviene normalmente, la pupilla d'entrata, coincide con lo specchioprimario, i coefficienti d'aberrazione, calcolati da Schwarzschild, sono:

F =1

4 f2+ b2 +

f + f 1

f - f 1

Ê

Ë Á ˆ

¯ ˜

2Ï Ì Ó

¸ ˝ ˛

f - f1( )3d8 f 3 f1

3

(3.26)

C =f1 f - d( )

2 f 2 f1 - d( )- b2 +

f + f1

f - f1

Ê

Ë Á ˆ

¯ ˜

2Ï Ì Ó

¸ ˝ ˛

f - f1( )3d2

8 f 3 f12 f1 - d( )

(3.27)

B =1+ b1

8 f13 - b2 +

f + f1

f - f1

Ê

Ë Á ˆ

¯ ˜

2Ï Ì Ó

¸ ˝ ˛

f - f1( )3 f1 - d( )8 f 3 f1

4 (3.25)

C - D =1

2 f1+

12 f 2 (3.28)

Questi coefficienti si possono ora utilizzare nelle (3.20) per ricavarel'aberrazione esplicita del raggio: per la nostra analisi è più utile considerareseparatamente l'effetto dovuto ai singoli coefficienti d'aberrazione: il diametroangolare del cerchio di minima confusione dell'aberrazione sferica è 1/2.By3 ,l'estensione angolare della figura tangenziale del coma è 3 Fy2f e il diametroangolare del cerchio di confusione astigmatico è 2 Cyf2 . E' importante notareche le immagini aberrate che consideriamo si formano su una superficie focalegeneralmente non piana. La curvatura della superficie sulla quale si ottengono

x =y2

4 f+ (1 + b) y4

8 2 f( )3 +. .. (3.21)

1f

=1f1

+1f 2

-d

f 1 f 2(3.22)

( f + f 1)d = f1 f - e( ) (3.23)

-( f - f1) f 2 = f 1 d + e( ) = f f1 - d( ) (3.24)

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le "migliori" immagini, nel senso che il diametro angolare del cerchio di minimaconfusione è minimo, è pari a 2C+2D . Vediamo alcuni casi pratici.

3.6.1. 1° caso: specchio singolo.

Per usare lo schema a due specchi sopra descritto nel caso di un singolospecchio, possiamo imporre che uno dei due sia piano. Poniamo 1/f2 = 0 .Allora:

f = f1,

B = (1+b)/8f3,

F = 1/4f2 ,

C = 1/2f,

C-D = 1/2f.

Se si vuole eliminare l'aberrazione sferica, in modo da avere un'immaginepuntiforme almeno sull'asse ottico, dovremo porre b = -1, ossia utilizzare unospecchio parabolico. In questo caso i contributi al diametro delle immaginidovuti alle varie aberrazioni sono:

FB = 0

FF = 3/4f2 y2 j = 3/4 q2 j

FC = 2/2f y j2 = q j2

Come esempio, per uno specchio di apertura f/9, il diametro di un secondod'arco si raggiunge a una distanza di 1.8 minuti d'arco dall'asse ottico a causadel coma e a 22.7 minuti a causa dell'astigmatismo (per un f/15 i valori sono 5 e29 minuti d'arco rispettivamente). È quindi il coma che limita il campo.

3.6.2. 2° caso: due specchi di cui uno parabolico.

Bisogna tener presente che dal punto di vista costruttivo, realizzare unospecchio parabolico è relativamente semplice. Per questo motivo, fino a unpaio di decenni orsono, il disegno standard degli specchi primari astronomiciera la parabola. Le osservazioni venivano eseguite o direttamente al fuocoprincipale (se le dimensioni del primario lo permettevano), oppurelateralmente rispetto all'asse del telescopio estraendo il fuoco per mezzo diuno specchio piano posto a 45° sull'asse (vedi fig. 3.?). Una sistemazione piùconveniente, soprattutto se gli strumenti da utilizzare al fuoco (per esempiospettrografi) erano pesanti ed ingombranti, si realizza con il disegno Cassegrainche utilizza uno specchio secondario per rinviare il fascio al di là del primario,opportunamente forato al centro (vedi fig. 3.7).

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Se vogliamo che l'immagine sia stigmatica sull'asse anche al fuocoCassegrain, dobbiamo imporre la condizione (vedi sopra):

b2 + ((f+f1)/(f-f1))2 = 0, ovvero:

b2 = - ((f+f1)/(f-f1))2.

Poiché b2 < -1 lo specchio secondario è un iperboloide. I coefficienti diaberrazione sono:

B = 0,

F = 1/4f2 , (come la parabola, ma ora f è la focale Cassegrain)

C = (f1(f-d))/(2f2(f1-d)) , circa 1/f1,

anche in questo caso è il coma che limita il campo, ma l'astigmatismo èmaggiore che nel caso Newtoniano.

3.6.3 .3° caso: Ritchey-Chrétien.

Se abbandoniamo le condizioni di avere un primario parabolico eun'immagine stigmatica sull'asse del Cassegrain, allora possiamo sfruttareentrambe le costanti b1 e b2 dei due specchi per eliminare contemporaneamentesferica e coma al fuoco Cassegrain. Le condizioni perché si abbia B =0 ed F =0 sono:

b1 = -1 - (2(f1-d)f12)/df2

b2 = (2ff13/(d(f-f1)3)-(f+f1)2/(f-f1)2

In questo modo solo l'astigmatismo limita il campo: per un telescopio f/8si ottengono immagini inferiori al secondo d'arco su campi di 16' mentre unCassegrain classico non andrebbe oltre 1'.4 a causa del coma. In pratica tutti itelescopi moderni hanno adottato questo disegno.