Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

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Università degli Studi della Tuscia Viterbo Corso di Laurea in Scienze Organizzative e Gestionali Economia Politica Dispense di Macroeconomia a cura di Elena Dobici 1 1 Dottore di Ricerca in Economia Politica, settore Teoria dei Giochi. Prof. a contratto di Economia Politica 1° corso presso il Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum civile. Prof. a contratto di Politica Economica 1° corso presso il Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum civile, a.a. 2009/2010. Prof. a contratto di Politica Economica presso il Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, Marina Militare. Prof. a contratto di Teoria del commercio internazionale presso la Facoltà di Economia dell’Università della Tuscia di Viterbo.

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Università degli Studi della Tuscia Viterbo

Corso di Laurea in Scienze Organizzative e Gestionali

Economia Politica

Dispense di Macroeconomia a cura di Elena Dobici1

[email protected]

a.a. 2010/2011

1 Dottore di Ricerca in Economia Politica, settore Teoria dei Giochi.

Prof. a contratto di Economia Politica 1° corso presso il Corso di Laurea Interfacoltà in

Scienze Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum

civile.

Prof. a contratto di Politica Economica 1° corso presso il Corso di Laurea Interfacoltà in

Scienze Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum

civile, a.a. 2009/2010.

Prof. a contratto di Politica Economica presso il Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze

Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, Marina Militare.

Prof. a contratto di Teoria del commercio internazionale presso la Facoltà di Economia

dell’Università della Tuscia di Viterbo.

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INDICE

Introduzione 1 Ciclo e crescita economica. 1 Disoccupazione e inflazione 2

Il reddito nazionale 3Il circuito reddito-spesa 4Il bilancio pubblico 5La moneta e le istituzioni monetarie 5I rapporti economici internazionali 8

surplus, deficit ed equilibrio della bilancia dei pagamenti 9

vantaggi e svantaggi dei cambi fissi e flessibili 12

brevi cenni storici 12

Il modello neoclassico 13 La legge di Say 13

La teoria quantitativa della moneta di Fisher 17

La teoria generale di Keynes 18 La domanda effettiva. 18 La preferenza per la liquidità 18

Il modello reddito-spesa: 20 Il modello a due settori 20 Il modello a tre settori 26 I fondamenti della politica fiscale 27 Il modello a quattro settori 28

Il modello IS-LM: 30 La curva IS 30 La curva LM 33 L’equilibrio del sistema 35 L’effetto spiazzamento 36 La trappola della liquidità 37

Il modello AD-AS: 41 La curva AD 41

La curva AS 42 L’equilibrio del sistema 43

La crescita endogena: 45 Il ruolo del capitale umano 45 L’investimento nella Ricerca e Sviluppo 46

Le politiche macroeconomicheAppendice matematica

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PRESENTAZIONE

Queste dispense spiegano i concetti del testo base specificato nel programma. Poiché non tutte le parti dei paragrafi del suddetto costituiscono argomento d’esame, consiglio agli studenti di leggere insieme testo e dispensa per ogni argomento, in modo che possano rendersi conto degli argomenti da trattare (la parte che non è riportata nella dispensa non è argomento d'esame). Nello stesso tempo gli esempi e le spiegazioni riportati nel testo di Garofalo sono essenziali per una maggiore comprensione. Un altro consiglio è quello di consultare l’appendice matematica prima di affrontare lo studio dei vari moltiplicatori.

Per qualunque dubbio, informazione o richiesta di chiarimento, contattatemi tramite e-mail. Vi auguro buon lavoro.

Elena Dobici

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Marianna Belloc, Basi di Matematica per il corso di micro, Microeconomia a.a. 2006-2007,

lezione del 21 marzo 2007, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Elena Dobici, Dispense di Politica Economica per il Corso di Laurea Interfacoltà in Scienze

Organizzative e Gestionali dell’Università della Tuscia di Viterbo, curriculum civile,

a.a. 2009/2010.

Giuseppe Garofalo, 1999, Istituzioni di Economia Politica –I, Macroeconomia di primo livello. G.

Giappichelli Editore, Torino.

Galeazzo Impicciatore, 1996, Lezioni di teoria macroeconomica -I, CEDAM, Padova.

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INTRODUZIONE

In questa dispensa prendiamo innanzitutto in considerazione la contabilità nazionale,

ossia bilancio pubblico, bilancia commerciale, bilancia dei pagamenti, tasso di interesse, tasso di

cambio, moneta legale, moneta bancaria, etc.

Successivamente presentiamo la teoria di Keynes, quella degli autori successivi di stampo

keynesiano e la cosiddetta “sintesi neoclassica della teoria keynesiana”, la quale combina il

pensiero di Keynes con metodi propri della teoria neoclassica.

CICLO E CRESCITA ECONOMICA

Il ciclo economico indica un insieme di alti e bassi della produzione, del reddito e della

spesa, ai quali sono spesso associati la disoccupazione e l’inflazione, mentre la crescita comporta

un andamento verso l’alto della produzione e del reddito totale e pro capite, con conseguente

miglioramento del tenore di vita medio dei cittadini.

Per capire ciclo e crescita consideriamo il reddito nominale e dividiamolo per il livello medio dei

prezzi, ottenendo così il reddito reale (reddito nominale depurato dall’inflazione). Riportiamo i

valori del reddito sull’asse delle ordinate e il tempo misurato in anni sull’asse delle ascisse, in

modo da rappresentare il valore del reddito per ogni anno:

I dati relativi al reddito nei vari anni formano la linea tratteggiata irregolare che evidenzia una fase

espansiva, che termina con un massimo e una fase recessiva, il cui picco più basso è un minimo,

per cui le fasi del ciclo sono espansione, picco, recessione, calo.

Mediante opportuni strumenti statistici, possiamo ottenere il trend del reddito, ossia la “migliore”

stima dell’andamento del reddito nel tempo. Questa è data dalla retta in neretto, che passa per i

punti rappresentativi dei dati empirici e ci fornisce la più semplice (perché è una retta)

approssimazione dell’andamento del reddito. Economicamente, la retta crescente rappresenta

Reddito

Tempo in anni

1

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l’andamento nel tempo del reddito potenziale (il reddito che si otterrebbe con il pieno impiego di

tutti i fattori produttivi, compreso il lavoro).

Per comodità, in economia si distinguono ciclo e crescita in base al tempo considerato: il ciclo

riguarda il breve periodo, mentre la crescita è un fenomeno di lungo periodo.

Le cause delle fluttuazioni nell’economia sono dovute alle variazioni della domanda

aggregata di beni e servizi, mentre le cause della crescita sono dovute all’aumento della

popolazione, che a sua volta determina un aumento delle forze di lavoro (persone adulte che

lavorano o sono in grado di lavorare) ed all’aumento della produttività del lavoro (la produzione

media ottenuta da ogni lavoratore in una data unità di tempo). Quest’ultima è migliorata

dall’accumulazione del capitale fisico, dal progresso tecnico, dall’attività di ricerca e sviluppo e

dall’accumulazione di capitale umano, ossia l'insieme di conoscenze, competenze e abilità

acquisite durante la vita da un individuo, il cui accrescimento comporta un beneficio per tutta la

società.

L’accumulazione di capitale umano è in relazione con le spese per istruzione e formazione e

con le spese sanitarie. Più che semplici consumi, queste spese sono considerate veri e propri

investimenti.

DISOCCUPAZIONE E INFLAZIONE

La somma di disoccupati ed occupati costituisce le forze di lavoro, un indicatore delle

persone potenzialmente o effettivamente attive. Il rapporto fra numero dei disoccupati e forze

di lavoro fornisce il tasso di disoccupazione. Dal punto di vista economico la disoccupazione è

considerata uno spreco di risorse, poiché la produzione e il reddito del sistema sono inferiori a

quelli potenziali. Nelle fasi di espansione del ciclo, la disoccupazione diminuisce in quanto

aumenta l’occupazione, mentre il contrario accade nei periodi di recessione.

L’esistenza di disoccupazione involontaria comporta una perdita di efficienza per il sistema

economico e accresce l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito. Essa comporta anche

costi non economici, quali la frustrazione, l’emarginazione e l’aumento della criminalità.

L’intervento pubblico può arginare questo problema mediante azioni di redistribuzione del

reddito, come il pagamento di indennità di disoccupazione, l’”integrazione dei guadagni” o altre

misure che garantiscano comunque un salario minimo.

L’inflazione indica l’aumento sostenuto del livello generale dei prezzi e quindi la perdita di

valore della moneta. Sorge una pressione inflazionistica ogni volta che i percettori dei vari redditi

monetari (salari, profitti e rendite) cerchino ciascuno di aumentare la propria quota del reddito

sociale a scapito degli altri. Dalla resistenza degli altri scaturisce l’aumento dei prezzi. Al fine di

essere tutelati nei confronti di imprevisti aumenti del livello generale dei prezzi, alcuni operatori

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riescono a introdurre meccanismi di indicizzazione, che legano il loro compenso alle variazioni

del livello generale dei prezzi. Ne è un esempio il meccanismo della “scala mobile”, in vigore dal

dopoguerra al 1991, con il quale periodicamente il salario monetario veniva parzialmente adeguato

alle variazioni dei prezzi di un predeterminato paniere di beni di consumo.

In generale l’aumento dei prezzi è elevato nelle fasi di espansione, mentre la loro crescita è

moderata nelle fasi di recessione. In realtà, però, può accadere anche che l’inflazione si combini

con la stagnazione dell’economia: in questo caso si ha la stagflazione.

Il valore della moneta è , ossia è l’inverso del livello generale dei prezzi, quindi

l’inflazione, facendo aumentare i prezzi, riduce il valore reale di tutte le grandezze nominali,

anche quello della moneta, riducendo il suo potere d’acquisto.

IL REDDITO NAZIONALE

La produzione è un processo di trasformazione di input (materie prime, servizi lavorativi,

servizi del capitale) in output (bene o servizio). In economia al posto del concetto di input si usa,

comunque, quello di fattore di produzione.

I centri di produzione sono le imprese.

La pubblica amministrazione produce servizi pubblici utilizzando il prelievo fiscale e

redistribuisce il reddito in favore dei cittadini appartenenti alle fasce più deboli.

I servizi pubblici non sono scambiati sul mercato, nel senso che non sono destinabili alla

vendita (come l’istruzione e la sanità pubbliche).

Il settore pubblico effettua la spesa pubblica per produrre servizi pubblici e per effettuare i

trasferimenti in favore di famiglie (pensioni o sussidi di disoccupazione) ed imprese. Le entrate

dello stato sono costituite dal prelievo fiscale, che grava solo sulle famiglie, dato che le imprese

hanno la possibilità di trasferirlo su altri.

Il reddito disponibile è il reddito a disposizione delle famiglie per il consumo e il risparmio,

comprensivo dei trasferimenti, una volta sottratte le imposte dirette (tasse).

La spesa totale è l’insieme dei pagamenti effettuati nel sistema economico per l’acquisto di

beni e servizi ed è la somma di Consumi (effettuati dalle famiglie), Investimenti (effettuati dalle

imprese come centri di produzione), Spesa pubblica (stipendi dei dipendenti pubblici,

realizzazione di ospedali, scuole e uffici pubblici), Esportazioni al netto delle Importazioni (cioè

la differenza tra esportazioni, ossia acquisto di beni e servizi italiani da parte degli esteri, e

importazioni, che sono acquisti di beni e servizi esteri da parte degli italiani).

Si deve avere, allora,

Reddito = Consumi Investimenti Spesa pubblica Esportazioni – Importazioni

e ponendo

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Reddito =

Consumi =

Investimenti =

Spesa pubblica =

Esportazioni =

Importazioni = ,

abbiamo la cosiddetta equazione del reddito

.

Portando al primo membro otteniamo il conto economico delle risorse e degli impieghi:

,

dove a sinistra abbiamo le risorse a disposizione dell’economia (beni e servizi prodotti

all’interno e beni e servizi importati), mentre a destra abbiamo gli impieghi (beni e servizi usati

dalle famiglie per il consumo, per gli investimenti da parte delle imprese, per la spesa pubblica da

parte dello stato e dai non residenti per quanto riguarda le esportazioni).

IL CIRCUITO REDDITO-SPESA

Sia il reddito prodotto e corrisposto ai fattori produttivi. Le famiglie cedono alle imprese

servizi lavorativi e servizi del capitale in cambio del pagamento di redditi, che si distinguono in

redditi da lavoro (salari e stipendi) e redditi da capitale (interessi di chi possiede obbligazioni o

titoli pubblici, dividendi degli azionisti). Una parte del reddito acquisito dalle famiglie può essere

usata per il consumo ed una parte per il risparmio , domandato dalle imprese, che debbono

finanziare le spese di investimento , ossia l’acquisto di impianti, macchinari e attrezzature per la

produzione; esistono quindi unità in surplus di risparmio (famiglie) e unità in deficit di

risparmio, ossia in eccesso di spesa (imprese). Il trasferimento del risparmio avviene tramite le

banche ed altre istituzioni finanziarie. Prima di decidere quanta parte del reddito le famiglie

possono destinare al consumo e quanta al risparmio, le famiglie debbono pagare imposte allo

Stato, tramite il prelievo fiscale , che finanzia la spesa pubblica . Inoltre, dal settore estero

riceviamo le importazioni e ad esso inviamo le nostre esportazioni .

Le detrazioni dal reddito sono, quindi, , e (trasferimento di reddito all’estero), mentre

le aggiunte sono (spesa che si aggiunge a quella di consumo), (spesa pubblica che si

aggiunge a quella del settore privato, che consiste nel consumo delle famiglie e negli investimenti

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per le imprese) e (spesa degli esteri che si aggiunge a quella dei residenti). Perché il sistema

sia in equilibrio, il totale delle detrazioni deve essere uguale al totale delle aggiunte,

.

IL BILANCIO PUBBLICO

Per il settore pubblico, le entrate sono quindi costituite dal prelievo fiscale , mentre le

uscite sono rappresentate dalla spesa pubblica e dai trasferimenti, che indichiamo con . Il

saldo del bilancio pubblico è, quindi,

.

Se le uscite pubbliche sono superiori alle entrate, il bilancio pubblico è in deficit, o disavanzo.

In tal caso il settore pubblico ha bisogno di finanziamenti e offre titoli pubblici, che sono emessi

dal ministero del Tesoro ed acquistati dai cittadini e dall’istituto di emissione (quest’ultimo

metodo valeva in passato ed oggi non è più possibile per i paesi dell’Unione monetaria europea,

ma per il momento consideriamolo a fini didattici). Indichiamo con la variazione di titoli

pubblici acquistati dai cittadini e con la variazione di moneta emessa dall’istituto di

emissione per coprire il deficit pubblico; inoltre, nell’equazione cambiamo i segni

poiché il deficit comporta variazioni positive nei titoli e/o nella moneta, allora il vincolo di

bilancio dell’operatore pubblico è

.

Il debito pubblico è il cumulo dei prestiti ottenuti dallo Stato a tutt’oggi per far fronte ai

deficit annuali di bilancio e non deve essere confuso con il deficit di esercizio, che è riferito ad un

dato arco temporale.

LA MONETA E LE ISTITUZIONI MONETARIE

La moneta è un segno (banconota, moneta metallica, assegno) privo di valore intrinseco (un

bene che ha valore intrinseco è ad esempio l’oro), ed ha natura fiduciaria.

La più importante funzione della moneta è quella di mezzo di pagamento.

Una seconda funzione è quella di unità di conto: essa è il bene nei termini del quale sono

calcolati tutti i prezzi e contabilizzati i valori.

Una terza funzione della moneta è quella di riserva di valori, in quanto permette di trasferire

potere di acquisto nel tempo.

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La moneta viene indicata come liquidità perché permette l’acquisto immediato di un bene,

servizio o titolo. Sia la moneta che i titoli sono mezzi per detenere ricchezza, ma i titoli hanno un

grado di liquidità inferiore, perché se si è nella necessità di vendere i titoli detenuti, si debbono

trovare altri disposti ad acquistarli. Inoltre la moneta ha un valore facciale sempre identico, mentre

se si detiene una obbligazione e si ha necessità di venderla, nulla garantisce che si possa ottenere

per essa la stessa cifra che si è spesa per acquistarla. Infatti, se ci sono molti che vogliono vendere,

come noi, quell’obbligazione, ma gli acquirenti sono pochi, sul mercato si crea un eccesso di

offerta che fa scendere il prezzo del titolo. In questo senso specifico per la moneta non c’è il

rischio di perdite di valore nel tempo. Il rischio di perdita di valore per la moneta si ha, invece, nel

caso di inflazione.

L’interesse che viene pagato su un’obbligazione è commisurato al tasso di interesse, cioè il

rapporto tra gli interessi e il capitale monetario versato inizialmente.

Il circolante o moneta legale è il contante che utilizziamo nei pagamenti quotidiani. E’detta

legale perché per legge ha potere liberatorio e nessuno può rifiutarsi di accettarla. Per quanto

riguarda l’Italia e gli altri paesi europei aderenti al progetto dell’Unione monetaria, essa viene

messa in circolazione dalla Banca centrale europea (istituto di emissione), mentre la Banca

d’Italia attualmente si limita a sovraintendere all’attività creditizia delle banche all’interno del

paese.

L’istituto di emissione mette in circolazione moneta nel momento in cui finanzia il Tesoro e le

operazioni con l’Estero ed effettua il rifinanziamento delle aziende di credito.

Attualmente non vengono più effettuati finanziamenti da parte della banca centrale al Tesoro per

coprire il deficit pubblico, al fine di garantire l’autonomia del banchiere centrale nel controllo

della liquidità. Il rifinanziamento delle aziende di credito consiste, invece, nel fatto che queste

ultime si fanno prestare denaro dalla banca centrale se si trovano a corto di liquidità.

La moneta bancaria è il deposito in conto corrente, che è a vista, cioè utilizzabile in

qualunque momento e luogo.

La base monetaria è costituita dalla moneta legale, ossia dalle banconote e dalle monete

metalliche che per legge devono essere accettate in pagamento e dalle attività finanziarie

convertibili in moneta legale rapidamente e senza costi, esistenti in un determinato momento

nel sistema economico.

Consideriamo il sistema bancario; ad esso affluisce base monetaria sotto forma di depositi,

una parte dei quali potrà essere concessa in prestito. Non tutto l’importo dei depositi potrà essere

prestato in quanto la banca dovrà tenere conto delle riserve:

la riserva libera, tenuta dalla banca per fronteggiare eventuali richieste di contante da

parte del pubblico;

la riserva obbligatoria, che deve essere accantonata alle banche centrali in appositi conti

degli istituti di credito. Serve alla banca centrale per garantire che ogni banca sia in grado

di saldare le propria esposizione debitoria con gli altri istituti e tale accantonamento di

depositi non è utilizzato a garanzia dei correntisti in caso di corsa agli sportelli. È, quindi,

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un accantonamento contabile e finanziario (le somme sono effettivamente versate presso la

banca centrale);

Definiamo il coefficiente di riserva come il rapporto tra riserve e depositi:

Una volta detratto l’ammontare destinato ai due tipi di riserva, calcolato sulla base di , quel che

resta dei depositi viene prestato al pubblico. Ora, supponiamo che il pubblico voglia trattenere una

quota dei depositi sotto forma di circolante, mentre ciò che residua del deposito venga usato per

effettuare pagamenti tramite assegni a soggetti che ridepositino nuovamente gli assegni presso la

banca. Indichiamo con la percentuale dei depositi trattenuta come circolante, cioè

.

Indicando con , la parte di moneta detenuta dal pubblico come circolante, con

, la parte dei depositi detenuta dalle banche sotto forma di riserve (libere e

obbligatorie), con i depositi bancari, possiamo scrivere

e ,

dalle quali ricaviamo e

Ora, per definizione di base monetaria si ha

,

che, per le relazioni sopra definite, si può scrivere

.

Da quest’ultima relazione otteniamo, quindi,

,

dove è detto moltiplicatore dei depositi.

Poiché è ragionevole supporre che sia , la massa dei depositi dovrà rappresentare un

multiplo della base monetaria.

D’altra parte, l’offerta di moneta è la quantità complessiva di moneta in circolazione,

data dalla somma della moneta legale creata dall’istituto di emissione e della moneta bancaria

creata dal sistema bancario:

.

Ora, poiché è , abbiamo

,

ma poiché abbiamo detto che è , possiamo scrivere

,

dove è detto moltiplicatore della moneta.

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La politica monetaria consiste negli interventi della banca centrale di regolazione dell’offerta di

moneta e di controllo del tasso di interesse, nei loro effetti sulla spesa totale e sul reddito

nazionale.

Gli strumenti di politica monetaria riguardano:

- la manovra del tasso ufficiale di sconto che le banche pagano alla banca centrale sui

prestiti che da essa ricevono;

- la manovra del coefficiente di riserva obbligatoria. La riserva obbligatoria deve essere

accantonata alle banche centrali in appositi conti degli istituti di credito. Serve alla banca

centrale per garantire che ogni banca sia in grado di saldare le propria esposizione debitoria

con gli altri istituti e tale accantonamento di depositi non è utilizzato a garanzia dei

correntisti in caso di corsa agli sportelli. È, quindi, un accantonamento contabile e

finanziario (le somme sono effettivamente versate presso la banca centrale);

- le operazioni di mercato aperto, ossia acquisti o vendite di titoli sul mercato secondario

da parte della banca centrale, dove il mercato secondario è un mercato in cui vengono

scambiati titoli di vecchia circolazione.

I RAPPORTI ECONOMICI INTERNAZIONALI

I movimenti di merci, servizi e capitali tra soggetti appartenenti a paesi diversi sono

contabilizzati nella bilancia dei pagamenti.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale (brevemente FMI), la bilancia dei pagamenti

di un paese è una registrazione sistematica di tutte le transazioni economiche effettuate in un

dato periodo di tempo fra i residenti del paese che compie la rilevazione e i residenti degli

altri paesi, per brevità indicati come stranieri o non residenti. La bilancia dei pagamenti si

riferisce ad un periodo di tempo, solitamente l’anno. Con il termine transazione economica si

intende il passaggio da un individuo (o ente) ad un altro di trasferimenti reali, ossia trasferimenti

di merci e servizi e di trasferimenti finanziari, ossia trasferimenti di moneta, crediti e titoli. I

trasferimenti si distinguono in bilaterali, quando sono a titolo oneroso, ed unilaterali, quando

sono a titolo gratuito. Si hanno, quindi, cinque tipi base di transazioni economiche:

- acquisto o vendita di merci e servizi con pagamento in moneta o apertura di un credito

- scambio di merci e servizi contro merci e servizi (baratto)

- scambio di strumenti finanziari contro altri strumenti finanziari

- doni in natura

- doni in moneta

Con il termine individui residenti si intendono le persone fisiche che normalmente vivono nel

paese che effettua la rilevazione, compresi gli individui di nazionalità estera che svolgono nel

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paese in questione la loro principale e stabile attività. In base a questa definizione, gli emigrati

stabilitisi stabilmente nel paese in cui vivono, sono da considerarsi ivi residenti anche se hanno

conservato la nazionalità originaria. Gli enti residenti comprendono lo Stato, gli enti pubblici

locali, gli enti morali e quelli costituiti a scopo di lucro. Le organizzazioni internazionali, come

le Nazioni Unite, il FMI, la Banca Mondiale, la FAO, etc., non sono considerate residenti del

paese in cui sono situate, ma come appartenenti ad aree internazionali. Tutte le transazioni di un

paese con le organizzazioni internazionali aventi sede sul suo territorio, devono perciò essere

incluse nella bilancia dei pagamenti del paese stesso.

La bilancia dei pagamenti è divisa in tre sezioni: conto corrente, conto capitale e conto

finanziario:

1. CONTO CORRENTE o BILANCIA DELLE PARTITE CORRENTI, include esportazioni ed

importazioni di merci, esportazioni ed importazioni di servizi personali e per le imprese,

redditi da lavoro.

2. CONTO CAPITALE comprende i trasferimenti unilaterali in conto capitale (ad esempio, la

rinuncia, senza contropartita, ad un credito), brevetti, licenze, diritti d’autore, etc.

3. CONTO FINANZIARIO include investimenti e Variazione delle riserve ufficiali (tutte le

monete estere utilizzate per regolare gli scambi internazionali).

Poiché il totale dei crediti deve eguagliare il totale dei debiti, la bilancia dei pagamenti è

contabilmente sempre in pareggio. Nella pratica ciò non avviene, soprattutto per inesattezze di

registrazione; a tal proposito viene quindi introdotta la voce “errori ed omissioni”.

SURPLUS, DEFICIT ED EQUILIBRIO DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI

Poiché la bilancia dei pagamenti deve essere sempre, per definizione, in equilibrio

contabile, quando si parla di squilibrio, attivo o passivo, della bilancia dei pagamenti, si fa

riferimento ad un concetto di equilibrio economico. Lo squilibrio attivo viene anche chiamato

avanzo o surplus, mentre lo squilibrio passivo viene chiamato disavanzo o deficit. Vediamo

questi concetti in dettaglio in quel che segue.

Da un punto di vista economico si ritiene utile raggruppare le voci in modo un po’ diverso, ma più

semplice:

Bilancia dei pagamenti = Bilancia delle partite correnti Bilancia dei movimenti di capitali

(ad eccezione della Variazione delle riserve ufficiali).

Tale saldo risulta non necessariamente nullo ed è negativo se

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Page 13: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Importazioni Esportazioni e/o Capitali in uscita Capitali in entrata.

Abbiamo visto che dal punto di vista contabile la bilancia dei pagamenti è sempre in equilibrio

ed abbiamo aggiunto che a noi, però, non interessa la regolazione dei conti, ma siamo interessati

ad una analisi dal punto di vista economico della somma

Bilancia delle partite correnti Bilancia dei movimenti di capitale.

La Variazione delle riserve ufficiali ha il significato di saldo della bilancia dei pagamenti.

Sia l’accumulo che il decumulo di riserve ufficiali vanno considerati come posizioni di

squilibrio. La riduzione delle riserve indebolisce la possibilità di far fronte all’eccesso di

pagamenti sugli incassi e quindi di saldare i debiti del paese, mentre l’accumulo di riserve

ufficiali può dar luogo ad una creazione eccessiva di base monetaria con possibili effetti inflattivi.

L’intervento pubblico può affrontare il problema mediante politiche fiscali, monetarie e

politiche del tasso di cambio.

A fronte di movimenti di merci, servizi e capitali registrati nella bilancia dei pagamenti, ci

sono, quindi, movimenti di valuta: la valuta viene data in pagamento quando si acquista, mentre si

riceve quando si vende qualcosa. La valuta necessaria per effettuare pagamenti viene acquistata in

cambio di moneta nazionale, mentre la valuta ricevuta viene convertita in moneta nazionale per

effettuare acquisti o pagamenti all’interno. Quindi i residenti del paese considerato che debbano

effettuare pagamenti a non residenti faranno domanda di valuta estera, mentre, al contrario, i

residenti che ricevono pagamenti in valuta estera ne faranno offerta. Se il saldo (economico,

non contabile) della bilancia dei pagamenti è negativo, e quindi la bilancia è in deficit, si avrà un

eccesso di domanda di valuta estera e gli operatori convertiranno moneta nazionale in valuta

estera, con la conseguenza di un restringimento della quantità di moneta nazionale, che verrà

assorbita dal sistema bancario.

Dai meccanismi di domanda e offerta di valuta, deriva un mercato della valuta estera che,

come tutti gli altri mercati, esprime un prezzo, detto tasso di cambio nominale, che è il prezzo di

una moneta in termini di un’altra moneta.

Il tasso di cambio nominale si può esprimere in due modi:

- nella quotazione incerto per certo, che indica una quantità variabile, cioè incerta, di

moneta nazionale per una unità, dunque una quantità certa, di moneta estera. In questo

senso il tasso di cambio nominale è il prezzo della valuta estera in termini di moneta

nazionale. Ad esempio, nell’uguaglianza 1 dollaro = 0.8 euro, si vede quanti euro

corrispondono ad 1 dollaro;

- nella quotazione certo per incerto, dove è fissa la quantità della moneta nazionale e

varia quella della moneta estera. In questo senso il tasso di cambio nominale è il prezzo

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della moneta nazionale in termini di valuta estera. Ad esempio, dire 1 euro = 1.25

dollari significa dire che 1 euro vale 1.25 dollari.

Il passaggio da una modalità all’altra si ottiene facendo l’inverso: .

Essendo un prezzo, il tasso di cambio può oscillare verso l’alto o verso il basso. Infatti, se

consideriamo la modalità incerto per certo e il cambio aumenta, ad esempio si ha 1 dollaro = 0.84

euro, significa che il dollaro vale più di prima rispetto all’euro, cioè si ha un apprezzamento del

dollaro ed un deprezzamento dell’euro; analogamente, la corrispondente diminuzione del cambio

nella quotazione certo per incerto dell’espressione corrispondente 1 euro = 1.19 dollari, indica che

l’euro vale meno rispetto a prima nei confronti del dollaro e ciò indica anche qui un

deprezzamento dell’euro.

Si definisce parità o tasso centrale il valore intorno al quale il cambio può oscillare.

Esistono due regimi di cambio:

a. cambi flessibili: qui non ci sono vincoli di parità, il tasso di cambio è definito dal mercato

valutario e può variare continuamente in base alla domanda ed all’offerta senza che ci

siano interventi da parte della banca centrale;

b. cambi fissi: qui ci sono una parità ed una banda di oscillazione entro la quale il cambio può

oscillare (verso l’alto o verso il basso). La parità e la banda di oscillazione sono fissati

mediante accordi internazionali e la banca centrale deve intervenire quando il cambio tende

a portarsi verso i margini superiore o inferiore. A questo proposito, limitandoci per

semplicità alla quotazione incerto per certo, diciamo che

l’oscillazione del tasso di cambio verso il margine superiore è il sintomo di un

deprezzamento della moneta nazionale, perché c’è una forte richiesta di valuta

estera;

a causa dell’eccesso di domanda di valuta estera, la banca centrale interverrà

offrendo la valuta estera detenuta nelle proprie riserve ufficiali.

I termini deprezzamento e svalutazione indicano la stessa cosa, ossia che la moneta

nazionale vale di meno. La differenza è che il deprezzamento è un meccanismo del mercato

valutario nel regime di cambi flessibili, mentre la svalutazione è un provvedimento adottato

dall’autorità monetaria in regime di cambi fissi.

Se la moneta nazionale vale di meno, di conseguenza la valuta estera vale di più, quindi a noi,

che deteniamo moneta nazionale, converrà meno acquistare all’estero, mentre per gli stranieri che

detengono moneta estera sarà più conveniente effettuare acquisti nel nostro paese. La nostra

moneta diventa, quindi, più debole e per questo motivo diverremo più competitivi sui mercati

internazionali delle merci che produciamo.

11

Page 15: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

La competitività non dipende solo dal tasso di cambio nominale, ma anche dai prezzi : le

nostre merci sono più competitive anche quando i prezzi delle merci prodotte in Italia crescono

meno che all’estero.

L’indicatore di competitività è il tasso di cambio reale. Indichiamo con il livello dei

prezzi all’interno, con il livello dei prezzi esteri e con il tasso di cambio nominale

secondo la quotazione incerto per certo. Definiamo

Tasso di cambio reale =

la quantità di euro che serve per acquistare un dollaro; qui i prezzi in valuta estera vengono tradotti

in moneta nazionale.

Nella quotazione certo per incerto, indicando con il tasso di cambio nominale relativo a

questo caso, definiamo

Tasso di cambio reale =

la quantità di dollari che serve per acquistare un euro; qui i prezzi in moneta nazionale vengono

tradotti in moneta estera.

VANTAGGI E SVANTAGGI DEI CAMBI FISSI E FLESSIBILI

I cambi fissi limitano il rischio di cambio, per cui comportano una certezza maggiore per

gli operatori, ma vincolano le autorità monetarie al rispetto della parità con interventi sulle

riserve ufficiali, limitando la possibilità di intervento su obiettivi interni, come ad esempio

la lotta alla disoccupazione.

I cambi flessibili consentono maggiore libertà nelle manovre di politica interna, ma

comportano maggiore incertezza nei mercati valutari.

BREVI CENNI STORICI

Dal 1870 fino alla prima guerra mondiale vigeva il gold standard, o sistema aureo, regime a

cambi fissi nel quale era presente uno stretto legame tra quantità di moneta in circolazione e

riserve di oro presso la banca centrale. Ogni moneta aveva un corrispettivo in oro e i tassi di

cambio nominali oscillavano intorno alla parità aurea. Questo sistema fu abbandonato a causa

della forte espansione della moneta in circolazione, alla quale si contrapponeva scarsità di oro.

Dal 1922 al 1971 fu in vigore il gold exchange standard, o sistema a cambio aureo, nel

quale la moneta del paese più potente a livello commerciale e finanziario, chiamata moneta da

riserva o valuta chiave, veniva dichiarata convertibile in oro a livello internazionale, mentre ogni

altra moneta non era più convertibile in oro, ma nella moneta da riserva, la quale veniva detenuta

nelle riserve ufficiali accanto all’oro. I cambi erano fissi, con margini di oscillazione dell’1% in

alto e in basso rispetto alla moneta di riserva. Il dollaro fu la valuta chiave dal 1944, come stabilito

12

Page 16: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

nella conferenza di Bretton Woods, al 1971, anno di fine regime, quando la quantità di dollari in

circolazione divenne eccessiva rispetto all’oro detenuto nelle riserve ufficiali. Da allora si è passati

ad un regime a cambi flessibili, con carte monete inconvertibili in oro. L’entrata in vigore di

cambi flessibili creò il problema del rischio di cambio, che determinò una forte incertezza circa i

rendimenti futuri di contratti commerciali e finanziari di valute estere. Nel 1978 in Europa si è

quindi pensato di stabilizzare i tassi di cambio delle monete europee con la creazione dello SME,

che definì l’ECU, moneta fittizia media dei valori delle monete europee; queste monete vennero

ad avere, quindi, una parità centrale rispetto all’ECU e margini di oscillazione che nel tempo sono

variati. Gli ingenti acquisti e vendite di valute da parte degli speculatori determinarono eccessivi

allargamenti dei margini di oscillazione del cambio, tanto che alcuni paesi europei, tra i quali

l’Italia, sentirono l’esigenza di un meccanismo di stabilizzazione dei cambi, prima ancora della

crisi dello SME. Nel 1992, quindi, in Europa fu firmato il Trattato di Maastricht, che prevedeva

la convergenza delle politiche economiche e la vera e propria integrazione monetaria; nel 2002 è

quindi iniziata l’emissione dell’euro, la moneta unica europea, che ha sostituito l’ECU nel

rapporto 1 a 1, cioè 1 euro per 1 ECU.

IL MODELLO NEOCLASSICO

LA LEGGE DI SAY

Per i neoclassici la disoccupazione è volontaria, nel senso che si resta senza lavoro perché si

richiede un salario superiore al livello di mercato o perché c’è scarsa flessibilità del salario dovuta

a rigidità nelle norme in alcuni contratti di lavoro. In realtà, il sistema economico sarebbe sempre

in grado di conseguire il livello massimo di produzione/reddito, in virtù della legge degli sbocchi

di Say.

Vediamo il concetto sottostante a questa legge, analizzando dapprima il mercato del lavoro e

poi quello dei beni.

Per il lavoratore offrire servizi lavorativi comporta una disutilità via via crescente ed egli sarà

disposto ad accrescere la sua offerta solo se aumenta il salario reale, in quanto “premio per la

rinuncia al tempo libero”, dove il salario reale è il salario per unità di tempo (salario unitario)

, deflazionato per il livello generale dei prezzi , ossia . Quindi abbiamo una correlazione

positiva tra offerta di lavoro e salario reale. Possiamo quindi tracciare la curva di offerta di

lavoro come una retta crescente al crescere del salario reale,

13

Page 17: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Per l’impresa che assume un nuovo lavoratore, invece, il salario reale rappresenta un costo

aggiuntivo, quindi essa sarà disposta ad assumere nuovi lavoratori solo se il salario reale

diminuisce, quindi la curva di domanda di lavoro dell’impresa, , è inclinata

negativamente.

Con riferimento al grafico successivo, se è maggiore di , c’è un’offerta di lavoro

maggiore della domanda, quindi si verifica disoccupazione. In concorrenza perfetta, in cui tutti i

prezzi (anche quello del lavoro, cioè il salario reale) sono liberi di fluttuare, scende fino al

livello che equilibra domanda ed offerta. In corrispondenza di questo punto sono allora determinati

il salario reale di equilibrio ( ) e il numero di lavoratori di piena occupazione ( ).

P

w

Numero di lavoratori impiegatiO

SN

P

w

Numero di lavoratori impiegati

DN

O

14

Page 18: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

A questo livello di occupazione corrisponde, d’altra parte, il reddito di pieno impiego, o

reddito potenziale .

Per quanto riguarda il mercato dei beni, per semplicità supponiamo l’esistenza solo di imprese

e famiglie.

L’equazione

significa che il reddito è destinato al consumo e al risparmio, mentre

dice che la spesa totale è definita come somma della spesa di consumo delle famiglie e della spesa

di investimento delle imprese.

La condizione di equilibrio è

,

cioè la spesa deve uguagliare il reddito prodotto e distribuito. Da quest’ultima condizione deriva

,

dalla quale

.

I consumatori risparmiano perché si astengono dal consumo odierno per consumare in futuro e

il tasso d’interesse rappresenta il premio per la rinuncia al consumo; quindi ci sarà un legame

diretto tra risparmio e tasso d’interesse:

P

w

ONumero di lavoratori impiegati

DN

SN

PON

A

15

Page 19: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Nel caso della spesa di investimento, rappresenta il costo che l’impresa deve sostenere per

finanziare la spesa stessa, quindi, all’aumentare del costo del denaro c’è un minor incentivo a

domandarlo per effettuare investimenti, quindi ci sarà un legame inverso tra investimento e tasso

d’interesse:

Se il mercato dei capitali è in concorrenza perfetta e la banca centrale non interviene sul tasso

d’interesse, l’uguaglianza tra e è garantita dal tasso d’interesse, i cui movimenti assicurano la

correzione degli eccessi di domanda e di offerta.

O

r

S

S

O

r

I

I

16

Page 20: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Stabilita l’uguaglianza tra e , si realizza anche quella tra la spesa totale e il reddito .

Questa è la legge degli sbocchi o legge di Say che dice “l’offerta crea sempre da sé la

propria domanda”. L’offerta è sempre quella massima di piena occupazione grazie alla

flessibilità del salario che uguaglia e .

LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA DI FISHER

Consideriamo l’offerta di moneta , cioè la quantità di moneta posta in circolazione dal

sistema bancario (circolante più depositi bancari a vista) ed indichiamo con il numero di volte

in cui lo stesso mezzo monetario viene scambiato nell’unità di tempo (cioè passa di mano in

mano dei vari soggetti che effettuano transazioni nel periodo di tempo considerato). è definita

velocità di circolazione della moneta; indichiamo i beni e i servizi prodotti e scambiati

nell’unità di tempo con (reddito reale) e con l’indice generale dei prezzi, cioè il prezzo

medio di tali beni. Moltiplicando la quantità di beni e servizi scambiati per il prezzo medio di

questi, otteniamo il valore dei beni e servizi scambiati, ossia . Fisher afferma che c’è

uguaglianza tra la quantità di moneta complessivamente in circolazione usata per acquistare

beni e servizi e il valore dei beni e servizi acquistati, quindi definisce l’equazione degli scambi:

.

Ora, Fisher assume che e sono costanti: la costanza di dipende dal fatto che il reddito è

sempre quello di massima occupazione per la legge di Say, mentre è ritenuta indipendente

dall’offerta di moneta , in quanto legata a cause che possono cambiare solo nel lungo periodo

(ad esempio, una delle cose da cui dipende è l’intervallo degli incassi degli stipendi di un

lavoratore, che può essere il mese o la settimana). Quindi, assumendo la costanza di e ,

O

r

IS ,IS

S

I

17

Page 21: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

possiamo scrivere queste grandezze con una sopralineatura, e , ed esplicitando

nell’equazione , otteniamo:

.

A causa della supposta costanza di e , si viene a stabilire una proporzionalità diretta tra

e : ciò significa che il livello generale dei prezzi dipende dall’offerta di moneta e quindi,

che le variazioni dell’offerta di moneta determinano variazioni dei prezzi e di conseguenza

inflazione nel caso di aumento dell’offerta di moneta stessa.

LA TEORIA GENERALE DI KEYNES

LA DOMANDA EFFETTIVA

Keynes solleva varie critiche al modello macroeconomico classico. Per quanto riguarda la

legge di Say, che garantisce l’equilibrio sul mercato dei capitali e su quello dei beni tramite le

variazioni del tasso d’interesse , Keynes obietta che il risparmio e il consumo non hanno

tra le loro determinanti principali il tasso d’interesse, ma il reddito . Inoltre, per la legge di

Say il mercato del lavoro è sempre in equilibrio grazie alle variazioni del salario reale, mentre per

Keynes sul mercato del lavoro non viene contrattato il salario reale, che presuppone la

conoscenza del livello generale dei prezzi, ma quello monetario . In situazioni di eccesso di

offerta di lavoro, ossia di disoccupazione, la riduzione del salario monetario si combina con un

ribasso dei prezzi a causa della carenza di spesa e quindi dell’eccesso di offerta di beni: l’effetto

netto dei due movimenti sul salario reale è nullo.

Keynes, quindi, rifiuta la legge di Say e sostiene che non è necessariamente al livello

massimo di piena occupazione e che la sua determinante è il livello della domanda aggregata di

beni e servizi, che chiama domanda effettiva, la quale risente fortemente della variabilità degli

investimenti.

LA PREFERENZA PER LA LIQUIDITÀ

Per capire la critica di Keynes alla teoria quantitativa della moneta, approfondiamo il concetto

di tasso di interesse, distinguendo il tasso di interesse nominale dal tasso di interesse reale .

è quello che si riscontra sui mercati, mentre è la differenza tra tasso nominale e tasso d’inflazione. Più precisamente, il tasso d’inflazione è indicato con , che è la variazione del

livello generale dei prezzi nel tempo (in termini formali ). Senza complicare troppo il

discorso, si dimostra che se e sono piccole, si ha

,

18

Page 22: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

ossia, proprio la differenza tra tasso nominale e tasso d’inflazione.

Per Keynes il reddito reale non è dato e costante, per cui può risentire degli effetti di

variazioni nell’offerta di moneta , inoltre non è costante neanche la velocità di circolazione

della moneta , poiché nei periodi di inflazione gli operatori cercano di disfarsi della moneta più

velocemente, data la perdita del suo valore per chi la detiene. Keynes ritiene opportuno, inoltre,

analizzare in modo più approfondito la domanda di moneta, indicata con . Le persone

detengono moneta a fini

transattivi, per far fronte a spese previste;

precauzionali, per far fronte a spese impreviste;

speculativi: il pubblico domanda moneta perché la ritiene un mezzo per detenere

ricchezza, preferendo la liquidità agli interessi dei titoli.

Ora, Keynes suppone che il livello dei prezzi sia fisso e costante, per cui c’è adeguamento

dell’offerta di beni e servizi alla relativa domanda, senza effetto sui prezzi. Per l’ipotesi di fissità dei prezzi, la variazione di questi sarà zero, e implica che , quindi i due concetti di

tasso di interesse coincidono.

Vediamo la relazione tra prezzo di un titolo e tasso di interesse: il rendimento di un titolo è

dato dal livello del tasso d’interesse di mercato al momento dell’emissione. Se successivamente il

tasso d’interesse di mercato si riduce, sul mercato secondario ci sarà una maggiore domanda per

il nostro titolo (dove il mercato secondario è un mercato in cui vengono scambiati titoli di vecchia

circolazione), perché il titolo dà un rendimento maggiore di quello fornito da titoli di nuova

emissione. L’eccesso di domanda per il vecchio titolo fa aumentare il suo prezzo, fino a quando

anche questo fornirà lo stesso tasso d’interesse dei titoli nuovi. A questo punto l’investitore

diventerà indifferente rispetto all’acquisto del vecchio titolo e di uno dei nuovi. Quindi, c’è una

relazione inversa tra prezzo del titolo e tasso di interesse. Il pubblico deciderà la composizione

del proprio portafoglio tra moneta e titoli sulla base del tasso d’interesse: più questo è alto (e

quindi più basso è il prezzo dei titoli), maggiore sarà la convenienza di domandare titoli e, quindi,

di ridurre la domanda di moneta.

Secondo Keynes, nelle scelte di portafoglio sono determinanti le aspettative degli investitori

circa il livello futuro del tasso d’interesse: se un operatore prevede di poter pagare un prezzo più

basso, e quindi ottenere un tasso d’interesse più alto, per il titolo in futuro, nel momento attuale

egli avrà convenienza a mantenersi liquido e se tutti gli operatori hanno un’aspettativa di questo

tipo, c’è un’attesa generalizzata di un futuro ribasso del titolo; in questo caso si dice che il mercato

è ribassista. Questo ribasso previsto per il futuro, scoraggia gli operatori dall’acquistare il titolo

oggi e li induce a mantenersi liquidi.

IL MODELLO REDDITO-SPESA

19

Page 23: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Per capire al meglio la teoria keynesiana, introduciamo i concetti base sottostanti alla stessa

iniziando a considerare un modello molto semplice, chiamato modello a due settori perché prende

in considerazione soltanto imprese e famiglie. Acquisiti tali concetti, possiamo considerare il più

complesso modello a tre settori in cui, accanto a famiglie ed imprese, c’è anche il settore

pubblico. Infine, considereremo un modello più completo, il quale tiene conto di imprese,

famiglie, settore pubblico e settore estero, ossia il modello a quattro settori, il quale descrive

un’economia aperta agli scambi internazionali.

N.B.: Lo studente può scegliere se seguire i ragionamenti seguenti considerando variazioni

finite delle grandezze, come nel testo, oppure ricorrendo al calcolo differenziale (le derivate)

come nelle presenti dispense. L’importante è che capisca i concetti!

IL MODELLO A DUE SETTORI

Consideriamo le relazioni già definite in precedenza (repetita iuvant):

,

la quale ci dice che il reddito è in parte consumato e in parte risparmiato;

,

che dice che la spesa totale è definita come somma della spesa di consumo delle famiglie e della

spesa di investimento delle imprese;

,

la quale afferma che la spesa per consumi ed investimenti deve uguagliare il reddito prodotto e

distribuito. Abbiamo già detto che da quest’ultima condizione deriva

,

dalla quale

.

Ora andiamo a vedere nello specifico chi sono le grandezze e .

Per il momento consideriamo e poiché ora ci interessa comprendere i concetti base,

definiamo il consumo delle famiglie nel modo più semplice possibile, ossia come

.

Da questa espressione vediamo che c’è una relazione diretta tra consumo e reddito tramite il

parametro , che è compreso tra 0 e 1 e che definiremo fra poco. Per il momento osserviamo che

se , il consumo è nullo , mentre se , il reddito viene interamente consumato e non

c’è risparmio .

Dividendo per ambo i membri dell’equazione , otteniamo

.

20

Page 24: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Qui è la propensione media al consumo ed indica qual è la frazione di reddito che viene

consumata.

Se invece, sempre in riferimento all’equazione , consideriamo la derivata di rispetto a

, abbiamo

,

dove ora indica la propensione marginale al consumo, cioè quale parte di un incremento di

reddito si traduce in spesa di consumo.

Per avere una rappresentazione visiva dell’equazione , consideriamo il grafico seguente:

dove è l’equazione di una retta crescente (del tipo ), che parte dall’origine degli assi

(la sua intercetta è zero), di coefficiente angolare .

In questo semplice caso, come abbiamo visto dalle precedenti equazioni, la propensione

media e la propensione marginale al consumo coincidono.

Per quanto visto, dall’equazione , otteniamo

,e sostituendo al posto di la sua espressione , otteniamo

.Se poniamo , la precedente equazione diventa

.

Dividendo per ambo i membri dell’equazione , abbiamo

,

dove è la propensione media al risparmio, mentre derivando la rispetto a , otteniamo

C

YO

cYC

21

Page 25: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

,

ossia la propensione marginale al risparmio.

Anche è l’equazione di una retta crescente (del tipo ), che parte dall’origine

degli assi (la sua intercetta è zero), e di coefficiente angolare .

Rappresentando entrambe le funzioni sullo stesso grafico, abbiamo:

Ora che abbiamo definito i concetti basilari, introduciamo nel modello l’investimento (per il

momento supposto esogeno) e consideriamo nuovamente l’equazione , dove al posto di

mettiamo il suo valore , ottenendo

S

YO

sYS

YO

cYC

sYS

,

22

Page 26: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

.

Tenendo conto della condizione di equilibrio . Otteniamo, allora, , dalla quale

, che possiamo scrivere ed infine

.

Ora, poiché è , la precedente relazione può anche essere scritta

,

la quale afferma che se aumenta la frazione del reddito che viene risparmiata, il reddito si

riduce.

IL MOLTIPLICATORE DEGLI INVESTIMENTI

Vediamo cosa accade per un aumento degli investimenti. Se consideriamo l’espressione

e deriviamo rispetto a , abbiamo

.

Quest’ultima espressione dice che per un aumento degli investimenti si ha un aumento del reddito,

ma essendo , sarà anche , quindi sarà e di conseguenza,

.

Questo significa che l’aumento degli investimenti ha prodotto un incremento di reddito

superiore all’incremento degli investimenti che lo ha causato e ciò si può vedere facilmente

scrivendo nella forma .

Il rapporto è chiamato moltiplicatore degli investimenti, in questo semplice modello a due

settori.

In questo caso il moltiplicatore agisce in modo espansivo.

Se invece si ha una diminuzione degli investimenti ( ), si ha un effetto demoltiplicativo sul

reddito.

FORMULAZIONI DIVERSE PER LE FUNZIONI DEL CONSUMO E DEL RISPARMIO

Concludiamo l’argomento riportando diverse formulazioni delle funzioni del consumo e del

risparmio. Per rendere il modello più semplice possibile, abbiamo considerato la funzione del

consumo nella forma . Una versione più completa di questa funzione è quella che considera

anche la componente autonoma del consumo , ossia quella parte della spesa di consumo che

non dipende dal reddito, ma da altre grandezze, tra le quali l’indebitamento. La funzione diventa,

allora, , che è una retta di coefficiente angolare ed intercetta :

23

Page 27: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

D’altra parte, per quanto riguarda il risparmio, con questa nuova funzione del consumo,

l’equazione diventa

,e poiché è , si ha

;in quest’ultima equazione la componente autonoma del consumo appare con il segno negativo, ad

indicare un risparmio negativo e dunque un indebitamento.

è l’equazione di una retta crescente con coefficiente angolare ed intercetta

. Riportando le equazioni e sullo stesso grafico, abbiamo:

C

YO

cYCC 0

0C

C , S

YO

cYCC 0

0C

0C1Y

YsCS 0

24

Page 28: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

dove è il livello del reddito in corrispondenza del quale il risparmio cessa di essere negativo.

Nella funzione del risparmio troviamo , cioè con il segno negativo, in quanto questa

grandezza indica un risparmio negativo, ossia un indebitamento.

In generale e più realisticamente, possiamo avere funzioni del consumo e del risparmio che sono

non lineari per quanto riguarda il loro andamento:

IL MODELLO A TRE SETTORI

In questo modello consideriamo famiglie, imprese e settore pubblico. Dobbiamo trovare

l’equazione del reddito, la quale terrà conto anche della presenza dell’operatore pubblico.

Possiamo ottenere tale equazione indifferentemente considerando l’equazione del consumo oppure

quella del risparmio. Per semplicità e brevità omettiamo il secondo procedimento e analizziamo il

modello considerando soltanto la funzione del consumo.

Per la presenza del settore pubblico, dobbiamo prendere in considerazione anche le grandezze

spesa pubblica , prelievo fiscale e i trasferimenti , (ossia pensioni e sussidi di

disoccupazione erogate alle famiglie dallo Stato). Mentre e sono supposte esogene, il

prelievo fiscale ha l’espressione

,

dove è l’aliquota fiscale ed è compresa tra 0 e 1. Per semplicità supponiamo che il prelievo

fiscale gravi soltanto sulle famiglie.

Al reddito delle famiglie, quindi, si dovrà sottrarre il prelievo fiscale ed aggiungere i trasferimenti,

per cui tale reddito non sarà più , ma si dovrà parlare di reddito disponibile, definito come

C , S

YO

C

0C

0C

1Y

S

25

Page 29: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

.

Questo è il reddito effettivamente a disposizione delle famiglie ed a questo si dovrà ora riferire il

consumo, la cui equazione diviene

.

Le relazioni che definiscono ed , dovendo ora tenere conto anche della spesa pubblica e

della tassazione , diventano in questo modello

.

Sostituendo nell’equazione della spesa totale la funzione del consumo, abbiamo,

dalla quale . Sostituendo al posto di la sua espressione esplicita ,

abbiamo

Considerando ora la relazione di equilibrio , si ha

.

Poiché vogliamo l’equazione del reddito, dobbiamo isolare i termini in da tutti gli altri, per cui

sarà

, dalla quale .

Per poter ragionare più agevolmente sulle grandezze in gioco, nell’ultima espressione mettiamo in

evidenza anche , ottenendo l’equazione del reddito per il modello a tre settori

,

dalla quale

.

Ora, poiché è una grandezza minore di 1, sarà minore di 1 anche , ma ricordando che

anche è più piccola di 1, il prodotto è più piccolo di . Quindi, la quantità è

più grande di , ossia si ha . Considerando il reciproco di questa disequazione,

si avrà, necessariamente,

,

per una nota proprietà delle disequazioni di primo grado.

Economicamente ciò significa che il rapporto al primo membro è inferiore a quello ottenuto

nel caso del modello a due settori, in quanto ora, per la presenza del settore pubblico, si devono

pagare le tasse prima di decidere quanta parte del reddito destinare al consumo e quanta al

risparmio.

26

Page 30: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

I FONDAMENTI DELLA POLITICA FISCALE: I MOLTIPLICATORI DELLA SPESA PUBBLICA, DEI TRASFERIMENTI E DELLA TASSAZIONE

Il reddito di equilibrio che abbiamo determinato non corrisponde necessariamente al reddito

potenziale di piena occupazione e se c’è carenza di domanda effettiva, si ha e quindi

disoccupazione involontaria. Questo problema richiede l’intervento dell’operatore pubblico

perché esso stimoli la domanda, agendo mediante strumenti di politica fiscale: variazione della

spesa pubblica, dei trasferimenti o della tassazione. Perché l’intervento sia di stimolo, lo Stato

deve aumentare o , oppure ridurre .

Vediamo i relativi moltiplicatori considerando l’equazione del reddito

.

Applicando la regola di derivazione per funzioni di più variabili, ossia derivando rispetto ad una

delle variabili mantenendo costanti tutte le altre (intuitivamente è come se le altre non ci fossero),

iniziamo a trovare il moltiplicatore della spesa pubblica, che è

,

(dove è il simbolo che si usa al posto di quando si ha una funzione a più variabili), ed il

moltiplicatore dei trasferimenti

.

Poiché la propensione marginale al consumo è minore di 1, si ha

,

che significa che solo una parte dei trasferimenti si traduce in spesa (proprio perché è ).

Riformuliamo ora il modello per ottenere il moltiplicatore della tassazione, considerando

esogena (piuttosto che scrivere ); quindi, l’equazione della spesa

, resta

,

e considerando l’equazione di equilibrio , abbiamo , dalla quale

, ossia ;

il reddito di equilibrio diventa, allora,

.

Di conseguenza, ora avremo

27

Page 31: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

,

ed il moltiplicatore della tassazione

.

L’ultimo moltiplicatore presenta il segno meno perché un aumento del prelievo fiscale fa

diminuire il reddito.

IL MODELLO A QUATTRO SETTORI

Consideriamo ora il modello completo che tiene conto anche del settore estero, indicando con

le esportazioni di merci e servizi e con le importazioni. Queste ultime dipendono dal nostro

reddito nazionale e possono essere scritte nella forma

,

con compreso tra 0 e 1.

Le esportazioni, invece, rappresentano importazioni per gli altri paesi e quindi sono in

relazione con il reddito dei paesi esteri. Poiché noi siamo interessati alla definizione del reddito

interno al nostro paese, consideriamo esogene le esportazioni, mentre torniamo a considerare

endogena la tassazione e quindi nella forma ; l’equazione della spesa totale avrà allora la

forma seguente:

.

Ripetiamo tutto il ragionamento effettuato per il modello a tre settori, tenendo conto, ora,

anche delle esportazioni e delle importazioni. Sostituendo nell’equazione della spesa totale la

funzione del consumo, abbiamo

,

dalla quale . Sostituendo al posto di la sua espressione esplicita

, ed al posto di l’espressione , abbiamo

.

Considerando ora la relazione di equilibrio , si ha

.

Poiché vogliamo l’equazione del reddito, dobbiamo isolare i termini in da tutti gli altri, per

cui sarà

28

Page 32: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

, dalla quale .

Anche qui, come abbiamo fatto nel modello precedente, nell’ultima espressione mettiamo in

evidenza anche , ottenendo

,

dalla quale

.

In questo modello i moltiplicatori terranno conto anche delle importazioni e di conseguenza,

risulteranno minori, in quanto le importazioni disperdono reddito:

Il moltiplicatore della spesa pubblica è ora

,

in quanto la presenza di un ulteriore termine positivo al denominatore della frazione, rende questa

più piccola rispetto a quella del modello a tre settori, ove non venivano considerate importazioni

ed esportazioni.

La stessa espressione viene ottenuta per il moltiplicatore degli investimenti:

,

mentre per il moltiplicatore dei trasferimenti si ha

.

In questo modello completo, dobbiamo inoltre considerare anche il moltiplicatore delle

esportazioni:

.

IL MODELLO IS-LM

29

Page 33: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

In questo modello, formulato dall’autore neoclassico Hicks, il tasso d’interesse viene

determinato insieme al reddito all’interno del modello. , quindi, non è più esogeno e

costante. Il modello si estrinseca attraverso la costruzione di due curve, la curva IS, determinata

sul mercato dei beni, e la curva LM determinata sul mercato della moneta.

LA CURVA IS

Consideriamo il mercato dei beni utilizzando le relazioni già viste nel modello a due settori:

,

,

,

la quale comporta che sia

.

Anche qui definiamo il consumo delle famiglie nel modo più semplice possibile, ossia come

,

mentre il risparmio è

.

La funzione dell’investimento viene scritta in questo modo:

,

dove è una costante positiva, chiamata componente autonoma degli investimenti e non è

legata al tasso di interesse.

Il parametro è negativo, poiché abbiamo già visto che c’è una relazione inversa tra

investimento e tasso di interesse, che rappresenta il costo del denaro. è chiamato reattività

degli investimenti al tasso d’interesse: se gli investimenti sono molto reattivi al tasso d’interesse,

basta una piccola riduzione di per avere un forte aumento di . Questo è il caso di un molto

alto in valore assoluto, cioè senza considerare il suo segno.

Ricaviamo l’espressione analitica della curva: poiché la condizione di equilibrio fornisce

, abbiamo , ed essendo e , otteniamo

, ossia , dalla quale

,

dove vediamo che il reddito dipende dalla spesa autonoma per gli investimenti, che riflette le

aspettative degli imprenditori circa la profittabilità degli investimenti stessi, dall’inverso di ,

30

Page 34: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

dal tasso di interesse e dalla reattività degli investimenti a . Per rappresentare la IS nel piano

, però, esplicitiamo l’equazione rispetto a , ottenendo ,

dalla quale deriva la curva IS in forma lineare

.

Sia l’equazione , che la , rappresentano le infinite

combinazioni di e che assicurano l’equilibrio sul mercato dei beni (e implicitamente sul

mercato dei capitali).

Nella il coefficiente angolare è negativo poiché è e e

l’intercetta è positiva in quanto è , per cui il segno meno davanti alla frazione diventa

positivo a causa della negatività di :

Dal punto di vista analitico è chiaro che la curva IS è decrescente per il fatto che è ; dal

punto di vista economico, la decrescenza della curva è dovuta al fatto che se aumenta, aumenta

il consumo , ma non nella stessa misura, in quanto è , perché una parte di reddito viene

risparmiata. Per ristabilire l’equilibrio devono aumentare gli investimenti, cosa che accade se

diminuisce , a causa della relazione inversa che intercorre tra queste due grandezze.

r

Y0

b

c1

CURVA IS

31

Page 35: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Lungo la linea IS il mercato dei beni è in equilibrio, mentre al di fuori non lo è.

Abbiamo ottenuto l’espressione della IS considerando il modello a due settori per semplicità.

Per comprendere pienamente i concetti, occorre, però, considerare anche le altre grandezze

presenti nei modelli a tre e quattro settori. Per non rendere troppo complesso il discorso,

limitiamoci a considerare la presenza del settore pubblico, riportando l’espressione analitica della

curva soltanto per far comprendere le cause dei suoi eventuali spostamenti nel piano. Nel caso del

modello a tre settori, nell’intercetta dell’espressione di , oltre a , sono presenti anche e ,

che chiamiamo semplicemente “spesa autonoma” e l’equazione della IS diventa

.

Se aumenta la spesa pubblica oppure i trasferimenti , la curva trasla parallelamente verso

destra, in quanto aumentano entrambe le intercette:

LA CURVA LM

Sul mercato della moneta abbiamo la funzione di offerta di moneta, espressa in termini

nominali e supposta esogena,,

e la funzione di domanda di moneta

espressa in termini reali (che significa che la domanda di moneta in termini nominali è stata divisa

per il livello generale dei prezzi ), con poiché essa è in relazione diretta con il reddito

(per motivi transattivi e precauzionali) e con in quanto in relazione inversa con il tasso di

interesse (per il movente speculativo). Il parametro (non è il simbolo di derivata, ma un

r

Y0

CURVA IS

G oppure Q

32

Page 36: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

parametro) è la reattività della domanda di moneta al reddito, mentre è la reattività della

domanda di moneta al tasso di interesse.

Poiché la domanda di moneta è già in termini reali, per poter confrontare questa con l’offerta

di moneta, dobbiamo dividere quest’ultima per il livello generale dei prezzi , ossia

deflazionarla, scrivendo . A questo punto possiamo scrivere la condizione di equilibrio sul

mercato della moneta:

.Per semplicità focalizziamo l’attenzione direttamente sull’espressione della curva LM, la quale si

ottiene esplicitando l’equazione rispetto a . (Per l’equazione in si può vedere il

testo, ma è facoltativo). Dalla , quindi, abbiamo: , dalla quale

l’equazione della curva LM in forma lineare

.

Quest’ultima equazione ci dà le infinite combinazioni di e che portano in equilibrio il

mercato della moneta.

Tra reddito e tasso di interesse c’è un legame diretto, poiché il rapporto è positivo in quanto è

.

Dal punto di vista economico, un aumento di fa aumentare la domanda di moneta, e per far

ristabilire questa al livello di equilibrio, deve aumentare il tasso di interesse, in modo che

scenda.

Lungo la linea LM il mercato della moneta è in equilibrio, mentre al di fuori non lo è.

r

Y0

e

d

CURVA LM

33

Page 37: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

La curva trasla parallelamente se aumenta l’offerta nominale di moneta (politica monetaria

espansiva) (o si riduce il livello generale dei prezzi).

L’EQUILIBRIO DEL SISTEMA

La IS e la LM prese singolarmente non consentono di determinare né il reddito né il tasso

d’interesse, ma e saranno definite simultaneamente dall’intersezione delle due curve:

Questo livello del reddito porta in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della

moneta per un dato livello dei prezzi.

Un aumento della spesa autonoma causato da una politica fiscale espansiva, trasla la IS verso

destra, determinando un aumento sia di che di :

r

Y0

CURVA LM

M (oppure )

r

Y0

LM

Er

EY

IS

34

Page 38: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Un aumento dell’offerta di moneta a causa di una politica monetaria espansiva, fa traslare la

LM verso destra, determinando un aumento di e una diminuzione di :

L’EFFETTO SPIAZZAMENTO

Partiamo da una situazione iniziale di equilibrio sia sul mercato dei beni che su quello dei

titoli, individuata dal punto del grafico seguente, al quale corrispondono un reddito ed un

tasso di interesse e supponiamo che aumenti la spesa pubblica: la IS si sposterà verso destra e

l’economia andrà di conseguenza nel punto , al di fuori della LM , quindi in un punto che non

equilibra il mercato della moneta, in quanto rispetto a prima, a parità di tasso di interesse, il reddito

è maggiore ( ). In questa situazione, a parità di tasso d’interesse si ha un reddito maggiore e

quindi eccesso di domanda di moneta e ciò significa che il pubblico desidera liquidità, per cui

r

Y0

Nuova curva IS

LM

r

Y0

Nuova curva LM

IS

35

Page 39: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

vorrà vendere alcuni dei propri titoli. Si ottiene, allora, un eccesso di offerta di titoli, con

conseguente diminuzione del loro prezzo e un aumento del tasso di interesse, che come abbiamo

visto, è in relazione inversa con il prezzo dei titoli. Ma l’aumento di farà diminuire gli

investimenti: infatti, se consideriamo di nuovo l’equazione e da questa esplicitiamo ,

otteniamo , dalla quale . Ricordando che il parametro è negativo, capiamo

che l’ultima equazione descrive una retta decrescente nel piano (vedere il testo), per cui,

all’aumento di corrisponderà una diminuzione di . In corrispondenza del valore di più alto, si

avrà un valore di più basso ( ) nel punto , nel quale si ha di nuovo equilibrio

simultaneo sul mercato dei beni e della moneta:

lo spostamento da a comporta una riduzione del reddito e la differenza si chiama

effetto spiazzamento, nel senso che la spesa pubblica spiazza la spesa privata di investimento.

LA TRAPPOLA DELLA LIQUIDITA’

Y0

A

B

C

1r

2r

1Y 2Y 3Y

Effetto spiazzamento

r LM

Nuova curva IS

IS

36

Page 40: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Se il tasso di interesse è molto basso, la maggior parte delle persone ritiene che non sia

conveniente acquistare titoli (il cui rendimento viene giudicato troppo piccolo), per cui i soggetti

economici preferiscono detenere la propria ricchezza sotto forma monetaria e non sotto forma di

titoli. Si verifica, quindi, la cosiddetta trappola della liquidità quando gli operatori economici

ritengono che il tasso di interesse sia talmente basso da essere conveniente per essi non detenere

titoli, ma solo moneta. Di conseguenza, essi trattengono nelle loro mani qualunque quantità di

moneta venga immessa nel sistema dalle autorità monetarie e si crea un ristagno di liquidità.

In questa situazione, la curva LM presenta una forma diversa da quella precedentemente vista:

qui il primo tratto, quello orizzontale, è detto keynesiano e descrive la situazione di trappola

della liquidità; il secondo tratto è quello generale di una curva LM crescente (non più

necessariamente lineare) e il terzo tratto è detto neoclassico perché corrisponde ad un livello del

reddito massimo di piena occupazione.

Vediamo cosa accade circa le politiche economiche nel caso di questa forma particolare di

curva LM (per semplicità consideriamo la IS ancora lineare).

Se l’intersezione tra IS e LM avviene nel tratto orizzontale di quest’ultima, l’aumento

dell’offerta di moneta fa spostare solo il tratto crescente della LM , mentre il tratto orizzontale

non subisce variazioni. Infatti, il tasso di interesse, che dovrebbe diminuire, in realtà non

diminuisce, perché il pubblico non sostituisce moneta con titoli.

r

Y0

minr

POY

37

Page 41: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

In questo caso, il giusto intervento da parte dello stato è quello di intervenire con la politica

fiscale, in quanto lo spostamento verso destra della IS farebbe aumentare il reddito senza che vari

il tasso di interesse

oppure il reddito aumenterebbe con un aumento molto piccolo del tasso di interesse nel caso in cui

la nuova IS intersecasse la LM nel suo tratto crescente come nel grafico seguente

r

Y0

minr

IS

LM

Nuova LM

r

Y0

minr

IS

LM

Nuova IS

38

Page 42: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

In questi due casi l’effetto spiazzamento è rispettivamente nullo (primo caso) e minimo

(secondo caso).

Se invece la IS interseca la LM nel suo tratto verticale, una politica fiscale espansiva lascia

invariato il livello del reddito e fa aumentare solo il tasso di interesse, producendo un effetto

spiazzamento massimo

r

Y0

minr

IS

LM

Nuova IS

r

Y0

minr

IS

LM

Nuova IS

39

Page 43: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Anche una politica monetaria espansiva, però, in questo caso sarebbe controproducente, in

quanto spingerebbe il sistema oltre la piena occupazione, producendo inflazione.

IL MODELLO AD-AS

E’ il modello della domanda e dell’offerta aggregate e rispetto al modello IS-LM considera,

oltre al mercato dei beni e della moneta, anche il mercato del lavoro, rimuovendo l’ipotesi

della costanza dei prezzi. La curva AD deriva dallo schema IS-LM , che considera la domanda

aggregata, mentre la curva AS , ossia la curva dell’offerta aggregata, deriva dalla considerazione

delle condizioni tecniche e del mercato del lavoro.

LA CURVA AD

Riprendiamo il modello IS-LM e supponiamo che il livello dei prezzi non sia più costante,

ma variabile, ed accanto ad imprese e famiglie consideriamo anche il settore pubblico e quello

estero. Il sistema sarà, quindi, un’economia aperta con intervento pubblico. Supponiamo dati e

costanti la spesa autonoma per gli investimenti, i trasferimenti, la spesa pubblica, le esportazioni e

l’offerta nominale di moneta.

Abbiamo, allora, la curva AD , ossia la curva formata dalle infinite combinazioni di e

che portano in equilibrio simultaneamente il mercato dei beni e quello della moneta, per un

dato livello della spesa autonoma e dell’offerta nominale di moneta.

P

Y0

AD

40

Page 44: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

La relazione tra e è inversa, poiché se aumenta , l’offerta reale di moneta diminuisce;

perché si ristabilisca l’equilibrio sul mercato monetario, deve diminuire anche la domanda di

moneta , che è in relazione inversa con il tasso di interesse (ricordiamo che è ),

quindi deve aumentare. Questo aumento di fa poi diminuire gli investimenti e di

conseguenza il reddito , che con gli investimenti è in relazione diretta. Riepilogando, quindi, ad

un aumento di corrisponde una diminuzione di .

LA CURVA AS

Per spiegare l’andamento della curva AS, riprendiamo un concetto già esposto nella dispensa

di microeconomia. In quella sede abbiamo detto che nel pagare l’acquisto di un fattore produttivo,

l’impresa sostiene un costo, il costo marginale. La quantità aggiuntiva di input, d’altra parte,

consente all’impresa di realizzare la quantità di prodotto che, una volta venduto, fornisce il ricavo

marginale. Poiché l’impresa massimizza i profitti secondo la relazione , si ottiene

Prezzo del fattore = Produttività marginale del fattore.

Per quanto riguarda il lavoro, il discorso è il seguente:

poiché per il lavoro il costo sostenuto dall’impresa è il salario reale, abbiamo

Salario reale = produttività marginale del lavoro.

Indicando con la produzione e con il salario che le imprese pagano al lavoratore, ossia il

salario nominale, il salario reale sarà dato da (per il solito ragionamento che si fa per

ottenere le grandezze reali da quelle nominali). La curva AS, quindi, è una relazione che associa

a ciascun livello generale dei prezzi , la quantità di produzione che massimizza il

profitto.

Se aumenta , diminuisce il salario reale, quindi aumenta l’occupazione e, di conseguenza, il

reddito. Per cui, la curva AS è crescente.

41

Page 45: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Tale curva ha il primo tratto quasi orizzontale, detto keynesiano, il tratto centrale crescente, di

tipo generale, e il tratto finale quasi verticale, detto neoclassico.

Il tratto orizzontale indica rigidità dei prezzi, compreso il salario monetario, verso il basso e

denota esistenza di disoccupazione, il che spiega la sua classificazione come tratto keynesiano. Il

tratto verticale corrisponde al reddito di piena occupazione: in questa situazione tutte le risorse

produttive sono impiegate pienamente (per questo motivo è detto tratto neoclassico) e una ulteriore

espansione della produzione è possibile solo nel caso di miglioramenti tecnologici che amplino

l’apparato produttivo.

L’EQUILIBRIO DEL SISTEMA, DISOCCUPAZIONE, INFLAZIONE E STAGFLAZIONE

L’equilibrio del sistema si ha nel punto di intersezione delle due curve AD e AS: questo punto

determinerà il reddito ed il livello dei prezzi di equilibrio.

P

Y0

AS

42

Page 46: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Secondo i neoclassici, l’economia si trova sempre in corrispondenza del tratto verticale della

AS e l’unica disoccupazione che può verificarsi è quella di tipo volontario, in quanto il

lavoratore non accetta il salario di mercato. L’inflazione, invece, in base alla teoria quantitativa

della moneta, è dovuta ad un eccesso di moneta in circolazione.

Secondo i keynesiani, invece, il sistema economico si trova prevalentemente nel tratto

orizzontale della AS, in cui si ha disoccupazione involontaria dovuta a carenza della domanda

effettiva, mentre l’inflazione è dovuta ad un eccesso della domanda di beni in prossimità del

pieno impiego. Tale situazione è definita shock della domanda.

Secondo tale ragionamento, sembrerebbe che la disoccupazione e l’inflazione si escludano

reciprocamente, poiché nel tratto orizzontale della AS si ha disoccupazione, ma prezzi bassi,

mentre nel tratto verticale si hanno prezzi alti e quindi inflazione, ma piena occupazione.

Esiste, però, una terza possibilità, quella della stagflazione, in cui si hanno inflazione e

disoccupazione contemporaneamente. Questo caso è dovuto ad uno spostamento verso l’alto del

tratto orizzontale della AS, a causa di un aumento dei costi di produzione. Questa situazione è

definita shock dell’offerta.

P

Y0

P

Y

E

AS

AD

43

Page 47: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

LA CRESCITA ENDOGENA

Le cause della crescita sono l’aumento della popolazione e delle forze lavoro, l’accumulazione

del capitale ed il progresso tecnico. Questi fattori sono considerati esogeni se si assumono dati

dall’esterno, endogeni se si ritiene che derivino dai comportamenti dei soggetti economici.

Gli autori che si occupano di crescita endogena cercano di spiegare l’origine delle

innovazioni tecnologiche e l’aumento della produttività. I soggetti economici generano esternalità

positive che possono avvantaggiare tutta la collettività. In questo contesto la crescita è dovuta

all’accumulazione di capitale umano

all’attività di ricerca e sviluppo (R&S)

IL RUOLO DEL CAPITALE UMANO

In microeconomia abbiamo più volte definito la funzione di produzione nella forma

,intendendo che il prodotto è determinato dall’impiego del capitale (considerato come l’insieme dei

macchinari necessari per il processo produttivo) e del lavoro fornito.

Illustri economisti hanno però osservato che accanto al lavoro inteso come “braccia”, si debba

considerare un altro fattore produttivo molto importante: il capitale umano, ossia l’insieme delle

abilità produttive che gli individui hanno accumulato attraverso anni di istruzione scolastica,

di apprendimento sul posto di lavoro e la loro efficienza fisica relativa al loro stato di salute .

Il fatto di apprendere sul posto di lavoro è un concetto definito learning by doing, letteralmente

P

Y0

P

Y

E

AS

AD

44

Page 48: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

“imparare facendo”. Indicando con il capitale umano, la funzione di produzione può essere

riscritta nella forma

.Numerosi studi empirici hanno confermato che gli individui dotati di un maggior capitale umano

sono pagati di più dalle imprese perché la loro produttività marginale è maggiore di quella di

soggetti con un livello di minore e, analogamente, paesi con un maggiore livello medio di

istruzione, esperienza e salute, hanno un maggiore livello di prodotto pro-capite e una maggiore

produttività del lavoro e del capitale fisico. Invece, in paesi con basso livello medio di istruzione, è

più difficile per le nuove generazioni istruirsi, con la conseguenza di una probabile “trappola della

povertà”.

Il capitale umano non è semplice da accumulare e spesso richiede più di una generazione.

Inoltre, un più elevato grado di istruzione dei genitori rende per i figli più facile l’apprendimento.

Una forma di accumulazione di capitale umano si può effettuare tramite l’istruzione (anni di

scuola e di università) oppure mediante corsi professionali presso le aziende.

L’investimento in capitale umano genera esternalità positive, perché se un lavoratore impara a

svolgere mansioni più qualificate, altri lo imiteranno e innalzeranno il loro livello. In presenza di

queste esternalità positive, la teoria della crescita suggerisce che lo Stato finanzi l’istruzione con

spesa a carico dell’intera collettività, così da invogliare il soggetto ad istruirsi di più di quanto non

farebbe se egli dovesse finanziarsi da solo l’istruzione; in questo modo la collettività

internalizzerebbe l’esternalità.

La disuguaglianza dei redditi e delle ricchezze può causare gravi squilibri nella formazione

delle forze lavoro e quindi gravi inefficienze economiche. Dove una minoranza possiede la gran

parte delle ricchezze del paese e l’istruzione è privata, i costi per mantenere un figlio agli studi

possono essere proibitivi per la maggior parte della popolazione, per cui, se lo Stato non

redistribuisce adeguatamente le risorse, si può avere una diffusione elevata di lavoro minorile e

una bassa produttività dell’economia. Per questo motivo, la tassazione dei redditi dei più ricchi e

di trasferimenti a favore della maggioranza della popolazione permette all’economia di crescere.

Pur senza considerare il concetto di equità, quindi, la redistribuzione delle risorse è

necessaria per ragioni di efficienza economica.

L’INVESTIMENTO NELLA “RICERCA E SVILUPPO”

Oltre che dal capitale umano, la crescita di un sistema economico dipende anche

dall’investimento delle imprese nella ricerca e sviluppo, R&S, di nuovi processi produttivi o di

migliori prodotti. Le imprese non competono soltanto fissando i prezzi e le quantità del proprio

prodotto, ma cercano anche di migliorare la qualità di questi e di inventarne di nuovi. Gli autori di

questo filone della teoria della crescita riconoscono che non si può avere investimento in R&S

senza ammettere forme di concorrenza monopolistica, di oligopolio o di monopolio. Per evitare

che le grandi industrie usino il loro potere di mercato e attuino collusioni in apparenza per

45

Page 49: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

sviluppare nuova conoscenza, ma in realtà per coordinare un aumento dei prezzi a scapito di

consumatori e lavoratori, si rende necessaria la vigilanza da parte delle autorità Antitrust,

affinché queste vigilino sui loro comportamenti.

LE POLITICHE MACROECONOMICHE

Per effettuare i loro interventi di politica economica, i policy maker devono individuare gli

obiettivi, tipicamente lotta all’inflazione o alla disoccupazione e gli strumenti per conseguire

tali obiettivi, i più importanti dei quali sono manovra della spesa pubblica, dei trasferimenti o

delle aliquote fiscali, manovra del tasso ufficiale di sconto o del coefficiente di riserva

obbligatoria, operazioni di mercato aperto, politiche della ricerca e sviluppo e

dell’istruzione. Accanto agli obiettivi finali, ci sono gli obiettivi intermedi, cioè le grandezze da

influenzare per conseguire un certo risultato: esempi di queste sono un determinato aggregato

monetario il cui valore si ritiene che influenzi il livello generale dei prezzi, oppure il valore della

spesa interna il cui valore si ritiene che influenzi il livello di occupazione. Quando gli obiettivi di

politica economica sono più di uno, si verifica spesso che essi siano in conflitto fra di loro , per

cui risultati positivi su un fronte sono pagati in termini di risultati peggiori sull’altro fronte.

E’ questo il caso della disoccupazione e dell’inflazione. Una relazione importante tra questi

due mali è stata individuata da Phillips sulla base di evidenze empiriche. Phillips rilevò un trade-

off tra questi due problemi: diminuendo il livello della disoccupazione aumenta quello

dell’inflazione e viceversa. Per i responsabili di politica economica si pone quindi il problema di

decidere quale dei due obiettivi privilegiare: se conseguire una diminuzione della disoccupazione

in cambio di una maggiore inflazione o un contenimento del livello dei prezzi con conseguente

aumento della disoccupazione.

Abbiamo detto che la politica monetaria consiste negli interventi della banca centrale di

regolazione dell’offerta di moneta e di controllo del tasso di interesse, nei loro effetti sulla spesa

totale e sul reddito nazionale.

Ricordiamo che gli strumenti di politica monetaria riguardano la manovra del tasso ufficiale di

sconto, del coefficiente di riserva e le operazioni di mercato aperto.

Invece, la politica fiscale riguarda la manovra di spesa pubblica per produrre servizi

pubblici, trasferimenti a vantaggio delle famiglie, prelievo fiscale, costituito da tasse, imposte

dirette ed imposte indirette.

L’obiettivo della politica dei redditi è quello di evitare l’aumento del livello generale dei

prezzi, attraverso il controllo dei salari e/o del margine di profitto delle imprese.

Il salario costituisce un reddito per i lavoratori ed un costo per le imprese. La politica dei redditi

può proporsi di contenere l’aumento del salario in modo da tenere basso il costo del lavoro e più

in generale i costi, riducendo in questo modo la possibilità di un aumento dei prezzi.

46

Page 50: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Un tipo di politiche, dette dirigistiche, impone ai salariati e/o ai capitalisti un determinato

comportamento nella variazione dei salari o del margine di profitto. Ne è un esempio il blocco dei

salari. Le politiche dei redditi di mercato, invece, consistono in un sistema di incentivi e/o

disincentivi; ad esempio, un accordo fra le parti sociali che assicuri l’invarianza dei prezzi è

premiato con la concessione di sgravi fiscali.

47

Page 51: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

APPENDICE MATEMATICA

CONCETTI ELEMENTARI DI ANALISI MATEMATICA

Per capire in quale modo si ottengono determinate grandezze riportate nel testo, non basta la

conoscenza del concetto e del calcolo della derivata prima per funzioni di una variabile (descritti

nell’appendice matematica alle dispense di Microeconomia), ma abbiamo bisogno del concetto di

derivata parziale nel caso di funzioni a più variabili. Per capire il concetto di derivata parziale

riportiamo brevemente un sunto di quanto riportato nelle dispense di Microeconomia a proposito

della derivata di una funzione di una variabile, poi definiamo la derivata parziale prima per una

funzione di due variabili ed in ultimo estendiamo il discorso alle funzioni di più variabili.

FUNZIONI DI UNA VARIABILE

Avendo definito una funzione reale, abbiamo detto che se consideriamo un incremento

della variabile , essa passa dal generico valore al valore .

Sappiamo che al variare di , anche la varia, e si ha

,

dove è il valore della in corrispondenza di e è il valore che assume in seguito

all’incremento .

x xx 0 Asse delle

Asse delle

xf

xxf y

x

1P2P

48

Page 52: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Quindi abbiamo definito il rapporto incrementale, o saggio di variazione di rispetto a , come

rapporto tra le due variazioni di cui sopra:

.

La grandezza è dunque la misura della variazione di al variare di nell’intervallo .

Geometricamente, il rapporto rappresenta l’inclinazione, o coefficiente angolare della retta

(indicata con il tratteggio - - - - - - ), che taglia la funzione nei punti e . Tale

inclinazione è costante nell’intervallo :

Nel caso di una retta, l’inclinazione è costante in tutti i suoi punti:

x xx 0 Asse delle

Asse delle

xf

xxf y

x

1P

2P

49

Page 53: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Nel caso di una funzione non lineare, invece, l’inclinazione varia punto per punto:

Dobbiamo trovare, quindi, la definizione di variazione puntuale, ossia punto per punto,

dell’inclinazione della curva al variare di .

IL CONCETTO DI DERIVATA PRIMA PER UNA FUNZIONE DI UNA VARIABILE

Consideriamo nuovamente il rapporto incrementale ed il grafico seguente

x xx 0 Asse delle

Asse delle

xf

xxf y

x1P

2P

C D0 Asse delle

Asse delle

A

B

1P2P

50

Page 54: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Se ora facciamo ridurre sempre di più , il punto si avvicinerà sempre di più al punto e

facendo diventare piccolissimo, in termini più precisi, facendo tendere a zero, la retta

secante nei punti e (ossia la retta che taglia la curva nei due punti), diventa la retta tangente

alla curva nel punto (ossia la retta che tocca la curva nel solo punto ):

x xx 0 Asse delle

Asse delle

xf

xxf y

x

1P

2P

x0 Asse delle

Asse delle

xf1P

51

Page 55: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Il fatto che diventa molto piccolo, tendente a zero, ci porta a definire l’inclinazione della

funzione punto per punto. Come nel linguaggio comune diciamo “ diventa piccolissimo, al

limite zero”, così formalmente utilizziamo proprio il concetto di limite per definire la derivata

prima della funzione , dicendo che

La derivata prima di una funzione è il limite del rapporto incrementale di rispetto a al

tendere a zero della variazione di , .

Riprendendo, quindi, la definizione di rapporto incrementale, , scriviamo:

.

Ripetiamo il fatto che il simbolo si riferisce a variazioni in un intervallo, mentre la notazione

è relativa a variazioni infinitamente piccole.

In termini geometrici, quindi, la derivata di una funzione in un punto è l’inclinazione della retta

tangente alla curva in quel punto.

La grandezza appena definita, prende il nome di derivata prima di una funzione di una variabile.

CALCOLO DI DERIVATE ELEMENTARI

Nelle precedenti dispense, abbiamo inoltre riportato il calcolo di derivate elementari utili alla

comprensione dei concetti esposti nel testo:

(funzione costante)

(bisettrice)

(retta passante per l’origine degli assi)

FUNZIONI DI DUE VARIABILI

52

Page 56: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

Ora estendiamo questi concetti al caso di funzioni a due variabili, omettendo i grafici per la

loro complessità e limitandoci solo agli argomenti essenziali.

DERIVATE PARZIALI PRIME

Supponiamo ora che dipenda da due variabili indicate da e . Scriviamo allora

.

La derivata parziale di rispetto a è la derivata della funzione rispetto a ipotizzando

che sia una costante. Il concetto è lo stesso che in una variabile: si considera l’incremento

di e si ipotizza che tenda a diventare infinitamente piccolo, al limite zero. La differenza è

che ora la dipende da due variabili, e , quindi nell’argomento di bisogna considerare

anche . Per definizione di derivata parziale rispetto a , però, la è considerata costante, per

cui è (per questo motivo si considera e non anche ):

.

Analogamente, la derivata parziale di rispetto a è la derivata della funzione rispetto a

ipotizzando che sia una costante. Cioè:

La derivata parziale si indica con il simbolo ed essa gode delle stesse proprietà della derivata

ordinaria.

CALCOLO DI DERIVATE PARZIALI ELEMENTARI

Funzione Derivata parziale rispetto a Derivata parziale rispetto a

53

Page 57: Dispense Di Macroeconomia_dobici(1)

1)

Infatti, dire derivata parziale rispetto a , equivale a dire che si calcola la derivata ordinaria rispetto a , considerando costante (ricordiamo che la derivata di una costante è zero). (In

senso intuitivo e non rigoroso pensiamo a , per la quale è ).

2) .

(Qui si pensi a qualcosa di analogo a , la cui derivata è )

Applichiamo tali concetti per calcolare le grandezze rilevanti che troviamo nel testo della

dispensa. Considerando l’equazione del reddito

,

troviamo il moltiplicatore della spesa pubblica applicando la regola di derivazione per funzioni

di più variabili, ossia derivando rispetto a mantenendo costanti tutte le altre (intuitivamente è

come se le altre non ci fossero), quindi è

,

(dove è il simbolo che si usa al posto di quando si ha una funzione a più variabili), perché il

termine è costante, quindi, intuitivamente, è come se dovessimo derivare la funzione

.

Il moltiplicatore dei trasferimenti è, invece,

,

poiché in questo caso la costante da tener presente nella derivazione di rispetto a , è

.

Analogamente, quando il reddito di equilibrio è

,

il moltiplicatore della tassazione è

.

54