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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II IN OCCASIONE DELLA XXV ASSEMBLEA DELL'UNIONE SUPERIORI GENERALI 28 novembre 1981 Carissimi fratelli, Sono lieto di accogliere quest’oggi voi, membri della Unione dei Superiori Generali, al termine delle vostre giornate di studio che avete tenuto a Grottaferrata per riflettere sul documento emanato dalle Sacre Congregazioni per i Vescovi e per i religiosi e gli Istituti Secolari: Mutuae Relationes . Saluto tutti con particolare effusione di affetto; rivolgo un cordiale pensiero al vostro Presidente, Padre Pedro Arrupe, a cui tutti insieme vogliamo esprimere fervidi voti per la sua salute. Ringrazio il Padre Vincent de Couesnongle per le devote parole che ha voluto ora indirizzarmi e il Padre Enrico Systermans per la solerte ed apprezzata opera decennale da lui svolta in qualità di Segretario Generale del vostro Sodalizio. 1. Mi compiaccio anzitutto con voi per la scelta del tema dell’incontro: “Comprensione ed applicazione del documento Mutuae Relationes ”, alla cui luce avete cercato di approfondire la dottrina e i rapporti della vita religiosa con la Chiesa universale e con quella particolare, scendendo al concreto mediante un esame di coscienza della vita religiosa oggi, e la presentazione di alcune esperienze tra Vescovi e religiosi. Nella linea di quanto fu studiato nel vostro incontro del maggio scorso: “Il carisma della vita religiosa per la Chiesa e per il mondo”, vi siete certamente soffermati sull’identità dei religiosi, perché è come tale, cioè come consacrati, che essi sono chiamati ad inserirsi nella Chiesa di cui sono portatori di un carisma specifico, elargito dallo Spirito Santo perché la Chiesa stessa “non solo sia attrezzata per ogni opera buona... ma appaia anche adorna della varietà dei doni dei suoi figli, come una sposa ornata per il suo sposo” (Perfectae Caritatis , 1). I religiosi, i quali chiedono ai Vescovi di essere accolti come tali, cioè per quello che sono (cf. Mutuae Relationes , parte I, cap. III), dovranno approfondire per primi la loro identità di consacrati e rendere manifesta e credibile questa loro identità attraverso la vita e le opere, anche quando vogliono essere più vicini alle necessità del mondo odierno. La testimonianza della vita consacrata e la fedeltà al proprio carisma è la prima forma di evangelizzazione e anche la più efficace, sia per i religiosi contemplativi sia per quelli dediti alle opere di apostolato, essendo queste richiamo e stimolo a vincere le tre maggiori tentazioni, quelle del godere, del possedere e del potere, sull’esempio dei santi loro Fondatori. Un’autocritica coscienziosa ed oggettiva vi ha certamente aiutato a rendervi conto se il vostro modo di vivere è tale per cui la Chiesa possa “ogni giorno meglio presentare Cristo ai fedeli e agli infedeli” (Lumen Gentium , 46). Anche nelle varie opere di apostolato, alle quali i religiosi si dedicano, secondo le finalità dell’Istituto, dovrà trasparire il loro impegno per la sequela radicale del Cristo: il non volersi distinguere nel modo di vivere e di agire sarebbe un grave impoverimento per la Chiesa. 2. La fedeltà al carisma della vita consacrata deve generare nei religiosi una profonda e sentita coscienza ecclesiale e quindi uno sforzo costante a vivere con la Chiesa, per la Chiesa e nella Chiesa. Se la dottrina della vita religiosa fa parte della ecclesiologia, ancor più la vita religiosa vissuta è espressione della vita ecclesiale. In questo si fonda l’atteggiamento di fede, di amore e di

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DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II IN OCCASIONE DELLA XXV ASSEMBLEA DELL'UNIONE SUPERIORI GENERALI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II IN OCCASIONE DELLA XXV ASSEMBLEA DELL'UNIONE SUPERIORI GENERALI

28 novembre 1981

Carissimi fratelli,

Sono lieto di accogliere quest’oggi voi, membri della Unione dei Superiori Generali, al termine delle vostre giornate di studio che avete tenuto a Grottaferrata per riflettere sul documento emanato dalle Sacre Congregazioni per i Vescovi e per i religiosi e gli Istituti Secolari: Mutuae Relationes .

Saluto tutti con particolare effusione di affetto; rivolgo un cordiale pensiero al vostro Presidente, Padre Pedro Arrupe, a cui tutti insieme vogliamo esprimere fervidi voti per la sua salute. Ringrazio il Padre Vincent de Couesnongle per le devote parole che ha voluto ora indirizzarmi e il Padre Enrico Systermans per la solerte ed apprezzata opera decennale da lui svolta in qualità di Segretario Generale del vostro Sodalizio.

1. Mi compiaccio anzitutto con voi per la scelta del tema dell’incontro: “Comprensione ed applicazione del documento Mutuae Relationes ”, alla cui luce avete cercato di approfondire la dottrina e i rapporti della vita religiosa con la Chiesa universale e con quella particolare, scendendo al concreto mediante un esame di coscienza della vita religiosa oggi, e la presentazione di alcune esperienze tra Vescovi e religiosi.

Nella linea di quanto fu studiato nel vostro incontro del maggio scorso: “Il carisma della vita religiosa per la Chiesa e per il mondo”, vi siete certamente soffermati sull’identità dei religiosi, perché è come tale, cioè come consacrati, che essi sono chiamati ad inserirsi nella Chiesa di cui sono portatori di un carisma specifico, elargito dallo Spirito Santo perché la Chiesa stessa “non solo sia attrezzata per ogni opera buona... ma appaia anche adorna della varietà dei doni dei suoi figli, come una sposa ornata per il suo sposo” (Perfectae Caritatis , 1).

I religiosi, i quali chiedono ai Vescovi di essere accolti come tali, cioè per quello che sono (cf. Mutuae Relationes , parte I, cap. III), dovranno approfondire per primi la loro identità di consacrati e rendere manifesta e credibile questa loro identità attraverso la vita e le opere, anche quando vogliono essere più vicini alle necessità del mondo odierno. La testimonianza della vita consacrata e la fedeltà al proprio carisma è la prima forma di evangelizzazione e anche la più efficace, sia per i religiosi contemplativi sia per quelli dediti alle opere di apostolato, essendo queste richiamo e stimolo a vincere le tre maggiori tentazioni, quelle del godere, del possedere e del potere, sull’esempio dei santi loro Fondatori. Un’autocritica coscienziosa ed oggettiva vi ha certamente aiutato a rendervi conto se il vostro modo di vivere è tale per cui la Chiesa possa “ogni giorno meglio presentare Cristo ai fedeli e agli infedeli” (Lumen Gentium , 46). Anche nelle varie opere di apostolato, alle quali i religiosi si dedicano, secondo le finalità dell’Istituto, dovrà trasparire il loro impegno per la sequela radicale del Cristo: il non volersi distinguere nel modo di vivere e di agire sarebbe un grave impoverimento per la Chiesa.

2. La fedeltà al carisma della vita consacrata deve generare nei religiosi una profonda e sentita coscienza ecclesiale e quindi uno sforzo costante a vivere con la Chiesa, per la Chiesa e nella Chiesa. Se la dottrina della vita religiosa fa parte della ecclesiologia, ancor più la vita religiosa vissuta è espressione della vita ecclesiale. In questo si fonda l’atteggiamento di fede, di amore e di docilità dei religiosi verso i Pastori posti a reggere la Chiesa, come pure il dovere di inserirsi nella vita della Chiesa particolare arricchendola con i propri doni specifici, operando dentro di essa e come parte di essa e non semplicemente come forze complementari.

Di qui deriva anche l’impegno dei Vescovi, dei sacerdoti e degli altri componenti la famiglia diocesana a considerare i religiosi come parte viva della Chiesa particolare, per la quale il Pastore ha una propria responsabilità. Dalla coscienza ecclesiale sgorgano pure la comunione ne che deve unire i sacerdoti ai confratelli religiosi, partecipi dell’unico sacerdozio, e il dovere di aiutare ed assistere le anime consacrate specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione e la direzione spirituale, e, per tutti, il dovere di favorire e coltivare le vocazioni alla vita consacrata che sono un segno manifestativo della vitalità della Chiesa particolare.

3. Nel recente discorso ai membri della Plenaria della Sacra Congregazione per i religiosi e gli Istituti Secolari raccomandavo ai Vescovi di fornire ai seminaristi ed ai sacerdoti “una informazione sempre più profonda e più completa” per una migliore conoscenza della vita religiosa in quanto tale.

Il documento Mutuae Relationes esorta, al numero 30, a far sì che “i religiosi e le religiose fin dal noviziato si formino ad avere una piena consapevolezza e sollecitudine per la Chiesa particolare” sempre nella fedeltà alla loro specifica vocazione. L’approfondimento anche dottrinale dei vincoli che legano i religiosi alla Chiesa universale e a quella particolare aiuterà ad armonizzare il loro inserimento in quest’ultima, facendo maggiormente sentire e vivere la dipendenza del Pastore Supremo, anche in forza del voto di obbedienza ed aiuterà a comprendere la sua missione di santificatore, perfezionatore e maestro nei riguardi delle persone consacrate.

Una convinta coscienza ecclesiale faciliterà poi le scelte che i religiosi non raramente sono chiamati a compiere, nel quadro del piano pastorale, tra le varie forme di presenza, anche nuove, nel campo apostolico e nei settori in cui impegnarsi; presenza che dovrà essere sempre la conseguenza e il segno della loro vita consacrata, rinnovata ed approfondita, pur nel necessario ed opportuno adattamento (cf. Perfectae Caritatis , 2-3), evitando così il pericolo del secolarismo.

L’Unione dei Superiori generali, come anche le Conferenze dei Superiori maggiori possono dare per questo un valido contributo. Toccherà poi ai Superiori dei singoli Istituti, docili alle direttive della Chiesa, e in collegamento con la Chiesa particolare, assicurare il proseguimento delle opere volute dal Fondatore, rinnovandole e adattandole secondo i bisogni dei tempi e studiare, e apprestare nuove presenze apostoliche (cf. Mutuae Relationes , 40-49), tenendo conto delle esigenze della missione pastorale e quelle della vita religiosa.

Cari responsabili delle Congregazioni, confido nella vostra saggezza e nel vostro zelo, per la creazione di questa armonia tra le varie forme di apostolato che sia connessa a concreti sviluppi. Si tratta di un problema acuito dalla crescita dei bisogni apostolici nella Chiesa di oggi e della diminuzione del numero dei religiosi. Per forza di cose si apre un vasto campo di collaborazione tra i Vescovi e gli Istituti religiosi. E in quest’opera evangelica concertata in modo chiaro, bisogna che ogni Famiglia religiosa continui ad essere in modo evidente segno della sua vita consacrata e della sua fedeltà al carisma particolare del proprio Istituto.

Per concludere, cari fratelli, incoraggio voi tutti a rimanere fedeli al vostro carisma, fedeli alla vostra vocazione alla santità, fedeli al vostro ministero di salvezza: in questo ispiratevi a Maria, Madre di Cristo. Ella vi incoraggia mediante il suo esempio di fedeltà; ella vi sostiene mediante la sua fedele preghiera. Il vostro amore, come il suo, si deve esprimere nella fedeltà – una fedeltà a tutto ciò che Dio vi chiede attraverso la sua Chiesa: Fiat voluntas tua! Per voi la fedeltà è la condizione per poter contribuire efficacemente alla costruzione del Regno di Dio; e il presupposto per una reale partecipazione all’opera di evangelizzazione. L’Incarnazione del Verbo era legata alla fedeltà di Maria, e la vita di Gesù nel mondo è oggi legata alla vostra fedeltà. Il vostro più grande contributo sarà senza dubbio il vostro amore – un amore che si manifesta in una prolungata fedeltà a Gesù Cristo e alla sua Chiesa.

Con la mia benedizione apostolica.

Chers Responsables de Congrégations, je fais confiance à votre sagesse et à votre zèle, pour que cette harmonisation entre des formes variées d’apostolat connaisse des développements concrets. C’est là un problème devenu très aigu du fait de la croissance des besoins apostoliques dans l’Eglise d’aujourd’hui et de la diminution du personnel. Par la force des choses s’ouvre dans un vaste champ de collaboration entre les évêques et les Instituts religieux. Et dans ce labeur évangélique véritablement concerté, il importe que chaque famille religieuse maintienne clairement le signe de sa vie consacrée et de sa fidélité au charisme particulier de l’Institut.

Finally, dear brothers, in all your endeavours to remain faithful to your charisms, faithful to your vocation to holiness, faithful to your ministry of salvation, you have Mary the Mother of Jesus to inspire you. She encourages you by her onvn example of fidelity; she supports you by her faithful prayers. Your love, like hers, must be expressed through fidelity – a fidelity to everything God asks of you through his Church: Fiat voluntas tua! For you, fidelity is the condition for being able to contribute effectively to the Kingdom of God; it is the prerequisite for really sharing in evangelization. The Incarnation of the Word was linked to the fidelity of Mary, and the life of Jesus in the world today is linked to your fidelity. Your greatest contribution will undoubtedly be your love – a love manifested in sustained fidelity to Jesus Christ and to his Church. With my Apostolic Blessing.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II A CLAUDIO CHELLI AMBASCIATORE D'ITALIA PRESSO LA SANTA SEDE

28 novembre 1981

Signor Ambasciatore,

1. Le parole così deferenti che Ella mi ha rivolto, mi sollecitano ad esprimerLe immediatamente la mia viva gratitudine. È, questo, un sentimento che mi sgorga dal cuore e si traduce sulle mie labbra in accento sincero per i molteplici riferimenti da Lei fatti alla mia persona, al mio servizio pastorale, al recente terzo anniversario della mia elevazione al Pontificato romano. Ed è un sentimento che vuol essere al tempo stesso un attestato di compiacenza per il lavoro, che Ella ha da qualche tempo avviato come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Italiana presso la Santa Sede.

Per le note circostanze, infatti, l’esercizio della Sua alta missione ha già avuto inizio, e l’odierno incontro ne segna la conferma ufficiale mediante la presentazione delle Lettere con le quali il Capo dello Stato Italiano La accredita come Rappresentante di questo stesso Stato presso la Santa Sede.

2. Ma io desidero anche manifestarLe il mio apprezzamento per l’impegno di attiva partecipazione, che Vostra Eccellenza afferma di voler porre nella cura dei rapporti tra la sede Apostolica e l’Italia.

Questi rapporti sono così particolari e hanno “a monte” una così lunga serie di motivazioni storiche, geografiche, culturali, che configurano un caso tipico e già di per sé suggeriscono ad entrambe le Parti, più che la opportunità, la necessità dell’intesa, della comprensione, della collaborazione. Oltre all’incontestabile dato della collaborazione della Sede di Pietro in Roma, non si può non ricordare quel titolo – non certo secondario né privo di significato – che costantemente si affianca a quello di Vescovo di Roma: il titolo di Primate d’Italia, che per il successore di Pietro suona non già come un elemento ornamentale e retorico, ma come monito e stimolo a dedicare un specialissima attenzione ai problemi della popolazione della Penisola. Si direbbe che il divino e universale primato della Sede Romana attinge, per ragioni storiche e geografiche, una specifica accezione, benché d’altra natura, nel caso dell’Italia; e poiché l’onore primaziale è preciso richiamo alle connesse responsabilità, esso comporta per chi ne è investito un più obbligante dovere di presenza e di spirituale animazione, in unione di pensiero e di cuore con tutti i Confratelli vescovi, nella linea indicata a Pietro da Cristo: “Conferma i tuoi fratelli” (Lc 23,32).

3. A questa tanto elevata e quanto esigente prospettiva cerco di ispirare la mia azione quotidiana, con una doverosa attitudine di speciale amore, non solo per Roma, ma anche per l’Italia, che io considero – come già dissi al momento di partire per il viaggio nell’amata terra di origine – la mia patria di elezione, cioè la mia seconda patria (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II/1 [1979] 1369). A questo proposito, in una circostanza tanto significativa e importante come l’odierna, sento il dovere, anzi l’intimo bisogno, di porgere il mio più sentito ringraziamento al Signor Presidente della Repubblica, al Capo del Governo, a tutte le Autorità civili per l’affetto e l’interessamento dimostrati verso la mia persona, dopo il drammatico evento del maggio scorso e durante la mia degenza all’ospedale. Né dimentico i dirigenti e il personale, preposti all’ordine pubblico, per quanto hanno fatto per me.

4. Anche le relazioni bilaterali tra sede Apostolica e Stato Italiano rientrano nell’accennato disegno-impegno di pastorale sollecitudine, per favorire la vitalità spirituale-religiosa e insieme cooperare allo sviluppo civile e umano dell’intera comunità nazionale. Non posso, pertanto, che rallegrarmi nella dichiarata sua disponibilità, Signor Ambasciatore, della sua offerta di collaborazione a questi stessi fini, mentre – su un piano più generale – non posso non apprezzare e vivamente elogiare quell’intento di pace, da lei sottolineato descrivendo i fini della politica estera italiana. Son felici – Ella ha anche detto – le relazioni che al presente intercorrono tra l’Italia e la Santa Sede. Nutro fiducia che esse così continueranno, anzi ancora miglioreranno, sempre con reciproco vantaggio. In questo spirito formulo il sincero augurio che le trattative per la revisione consensuale del Concordato lateranense possano proseguire e condurre a soluzioni sapienti, adeguate alle esigenze della società civile e della comunità ecclesiale in Italia.

Molto volentieri, dunque, Eccellenza, nell’atto di ricevere le Lettere credenziali, io Le porgo i miei auguri per il successo della sua missione che in tale contesto si inserisce, e su di essa invoco la protezione del Signore. A Lei, ai suoi Familiari e Collaboratori imparto di cuore la desiderata benedizione apostolica, estendendola con pari benevolenza alle Autorità e a tutto il diletto Popolo Italiano.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI DEL MALI IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

26 novembre 1981

Cari fratelli nell’Episcopato,

La vostra visita mi dà oggi la gioia di esprimervi la mia personale partecipazione alle vostre speranze come alle vostre preoccupazioni di Pastori della Chiesa del Mali.

Certamente da voi i cattolici non costituiscono la maggioranza. Ma io so che la qualità della loro vita cristiana è davvero autentica. D’altra parte hanno saputo guadagnarsi la simpatia di molti grazie al clima di amicizia che hanno saputo instaurare e alla testimonianza che essi rendono all’amore di Dio. Essi partecipano fraternamente, con tutti i loro concittadini, allo sviluppo del loro Paese.

E da parte vostra, voi avete giustamente percepito la necessità di proseguire su questa strada, nonostante le serie difficoltà incontrate. Penso in particolare, agli sforzi fatti per sostenere le scuole, per mantenere i dispensari, per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni più diseredate, in ciò che concerne, per esempio, i metodi di irrigazione, e tutto ciò grazie all’aiuto delle organizzazioni caritative. Vi incarico di esprimere a tutti coloro che, sacerdoti, religiose o laici, si dedicano generosamente a questi diversi compiti, come il Papa apprezzi l’impegno coraggioso e realista che ispirano loro la solidarietà e la carità.

Questo spirito di servizio disinteressato traduce il dinamismo stesso della fede e della preghiera. E non è questo che testimoniano le vostre comunità, cercando di comprendere e di vivere meglio insieme il Vangelo, e di stringere i vincoli tra tutti i membri? E quando voi invitate i cristiani ad entrare in dialogo con i musulmani – il cui sentimento di Dio è grande! – come con i fedeli di altre religioni, voi li aiutate ancora a scoprire la ragione più profonda di quei gesti concreti d’amicizia ricordati prima: si tratta di imparare – nel rispetto della coscienza degli altri – a rendere conto della speranza e dell’amore che la fede in Cristo fa vibrare in loro. E se questo tipo di relazioni amichevoli è necessario e prezioso anche nel quadro del vasto dialogo tra cristiani e musulmani – o appartenenti ad altre religioni – che si sta abbozzando un po’ in tutto il mondo e che bisogna condurre a buon fine. Ciò genera evidentemente la necessità presso i cristiani di una formazione spirituale e dottrinale solida, che io vi incoraggio a perseguire con ogni mezzo.

Ma a questo dialogo mancherebbe una importante dimensione se non si avesse la possibilità di vedere il cammino di chi, liberamente, richiede il Battesimo. Vorrei ricordare qui l’entusiasmo e la tenacia dei catecumeni. Preparandosi alla loro nuova nascita nello Spirito Santo per parecchi anni, essi mostrano ai loro fratelli cristiani come ai non cristiani il prezzo che essi intendono pagare, contando sulla grazia di Dio, per vivere uno stile di vita autenticamente evangelico, tanto nelle loro famiglie quanto nella società, nei villaggi come nelle città. Anche a loro dite che essi sono vicini al cuore del Padre comune dei fedeli!

E nominando loro, come non salutare con gioia i loro catechisti? Chi dirà abbastanza di tutto ciò che a loro deve la fede cristiana in Africa? Giustamente, voi cercate di associare intimamente il loro apostolato al ministero dei sacerdoti come al vostro. Non sono essi gli educatori permanenti della fede e della preghiera di coloro che a loro si affidano, e nello stesso tempo guide spirituali delle loro piccole comunità? Cercate poi di far acquisire loro tutta la competenza dottrinale e umana che richiede il loro qualificato servizio. Attraverso di voi, come ho fatto al tempo del mio viaggio nel vostro continente, desidero ringraziarli di tutto ciò che fanno per Nostro Signore!

Ma so inoltre che siete preoccupati per il futuro, di fronte ad una certa diminuzione del l’apostolato. L’età avanzata si fa sentire presso molti, e il ricambio non è così abbondante come sarebbe auspicabile. Prego con voi il Signore di suscitare operai per la sua messe. E questo, in primo luogo, tra i vostri fedeli africani. Questo non vi impedisce, sicuramente, di invitare altre Chiese e diversi Istituti a portarvi un aiuto sempre più generoso: come si vede negli Atti degli Apostoli, le prime comunità cristiane non esitavano ad inviare, per il servizio della missione, i loro migliori membri. I nuovi collaboratori e collaboratrici che verranno – e mi auguro siano numerosi – stimoleranno le vostre comunità, e potranno contribuire a suscitare nuove vocazioni offrendo ai giovani la testimonianza di preziosi e diversi modi di vivere lo stesso ideale sacerdotale o religioso. E non dubito che saranno essi stessi confortati dal bell’esempio di coloro, uomini e donne, che portano da molto tempo, nel vostro Paese, “il peso del giorno e il caldo”.

Davanti ai Vescovi d’Africa, approfondisco di volta in volta questo o quell’aspetto della vita delle loro comunità cristiane. Per oggi, desidero attenermi a questo con voi. L’essenziale è custodire fedelmente questi due poli della vita di tutta la Chiesa: la fede indefettibile in Cristo, che va comunicata e l’amore, tradotto di giorno in giorno in opere di giustizia e di carità, anche se con mezzi molto poveri.

Quanto a voi, cari fratelli, siate certi di trovare sempre in me la comprensione della quale avete bisogno, e l’aiuto che posso eventualmente portarvi. Che Dio continui a donarvi la sua forza e la sua luce! Che Egli assista tutti i vostri collaboratori, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che benedico di gran cuore insieme a voi.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI NORDAFRICANI IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

23 novembre 1981

Cari fratelli nell’Episcopato,

Permettetemi di esprimere la gioia che provo nel ricevervi di nuovo tutti insieme, riuniti intorno al caro e venerato Cardinale Duval, in occasione della vostra visita “ad limina”. Questo incontro mi offre l’occasione di assicurarvi che sono vicino alle vostre preoccupazioni e alla vita delle vostre diocesi. Il mio desiderio è soprattutto che voi sappiate che il Papa comprende e apprezza l’impegno spirituale della Chiesa nel Maghreb.

Il numero dei vostri fedeli è oggi molto ridotto rispetto a quello del passato. Per la maggior parte si tratta di persone, spesso giovani, venute a lavorare per qualche anno al massimo nel vostro Paese nelle amministrazioni pubbliche o nel settore privato. Anche se qualche famiglia si è trasferita stabilmente, voi siete tuttavia, con i sacerdoti e i religiosi, l’elemento permanente di queste comunità cristiane che raggruppano quasi esclusivamente stranieri di tutte le nazionalità provenienti da ambienti profondamente diversi. Il vostro compito è, tra gli altri, quello di assicurare a ciascuno di loro con l’aiuto di tutti i sacerdoti, per i quali questo è il ministero primario, l’accompagnamento pastorale necessario perché il loro periodo di presenza nel vostro Paese sia, per quanto è possibile, occasione per rendere una testimonianza cristiana autentica tra gli abitanti che li accolgono. Questa testimonianza si arricchirà senza dubbio della scoperta dell’ambiente culturale e spirituale del mondo musulmano.

È in effetti una delle caratteristiche essenziali della vita della Chiesa nel Maghreb quella di essere invitati ad entrare in un costruttivo dialogo tra cristianità e Islam. Tengo molto ad incoraggiarvi a proseguire su questa via difficile in cui, anche se le sconfitte possono essere molte, la speranza è sempre più forte. Per mantenerla occorrono convinzioni cristiane molto temprate. Più che altro è estremamente augurabile che i cristiani partecipino, secondo il vostro incoraggiamento, a una catechesi permanente che integri le ricchezze bibliche o più esattamente ad una lettura della parola di Dio nella Chiesa con l’aiuto di teologi e di maestri spirituali veramente competenti. Ma, non lo si dirà mai abbastanza, un simile dialogo è all’inizio un rapporto d’amicizia: occorre saper dare adesso il tempo necessario per un approccio e una conoscenza. È necessaria allora una discrezione nutrita dalla preoccupazione di regolare con discernimento la lenta evoluzione della mentalità. La serietà dell’impegno in questo dialogo si misura attraverso una testimonianza vissuta, resa ai valori nei quali si crede, e, per il cristiano, nella testimonianza di Colui che ne è il fondamento, Gesù Cristo. Questo è il motivo per cui il cristiano possiede una tensione ideale, nel rispetto profondo della persona e delle convinzioni dell’interlocutore e nell’incrollabile attaccamento alla propria fede. Questo dialogo sincero e questa testimonianza esigente comportano una parte d’abnegazione spirituale: come non proclamare la speranza che si è ricevuta nel partecipare alla festa delle nozze dell’Agnello in cui sarà un giorno riunita l’umanità intera? Occorre infine, tra l’altro, mantenere un tale dialogo nella sua verità e che una tale speranza dimori intima e ferma, senza cedere alla pusillanimità generata da una dottrina incerta. Un tale spirito s’incarna all’inizio nel servizio disinteressato teso ad una partecipazione allo sviluppo di questi Paesi e alle aspirazioni dei loro popoli. Tengo a sottolineare qui la qualità dell’opera compiuta da tanti di coloro che operano nella discrezione e nell’abnegazione e da coloro che li hanno sostenuti.

Vorrei ora soffermarmi su tre aspetti della vita delle vostre comunità. Il soggiorno temporaneo nel vostro Paese, nei giovani soprattutto, può essere essenziale per l’avvenire della loro fede e per l’atteggiamento che avranno in seguito ritornando nella loro Patria. So quanti sacerdoti si prodigano per portare loro un aiuto pastorale adatto, guidandoli nella comprensione dell’Islam e degli abitanti di quel Paese, suscitando in loro una coscienza rinnovata dell’impegno della vita battesimale nella scelta di uno stile di vita evangelico. È vero che, come fu il caso di Raymond Lulle e più recentemente di Charles de Foucauld e Albert Peyriguère e di numerosi altri, l’incontro con l’Islam può favorire una più profonda interiorizzazione della fede. Non è raro che la grazia della contemplazione e della preghiera sia presente nella vita di questi Paesi. Che i vostri sacerdoti, anche se sono spesso stanchi del rinnovarsi quasi permanente dei membri delle loro comunità, possano avanzare con la certezza che la grazia di Dio non mancherà di far crescere ciò che essi hanno seminato!

So anche che, in numerose riprese, nella vostra Conferenza Episcopale, avete affrontato la situazione spirituale di quelle donne cristiane, il cui numero va crescendo, che hanno scelto di unirsi con musulmani per fondare una famiglia. Sì, per ragioni diverse la maggior parte di loro non ha suggellato questa unione nella Chiesa, tuttavia non è raro che, una volta inserite nel contesto familiare e sociale musulmano, esse conoscano una specie di conversione interiore causata dalle esigenze dell’educazione dei loro figli e dall’atteggiamento da prendere davanti a un modo di vita tutto impregnato di usanze religiose islamiche. Questo avviene soprattutto quando si tratta dei Sacramenti, di questioni delicate che voi vi sforzate di risolvere con l’aiuto dei vostri sacerdoti, in uno spirito di lealtà, nel rispetto delle regole morali e canoniche. Eventualmente, lo sapete, gli organismi della Curia romana sono là per recarvi l’aiuto della loro competenza. Occorre che queste persone sappiano che la sollecitudine della Chiesa è loro vicina e che le comunità cristiane ne siano ugualmente persuase. La presenza di donne cristiane in seno a famiglie musulmane, caratterizzata dalla fedeltà e dalla rettitudine, costituisce malgrado le incomprensioni che possono nascere, un contributo, che non si deve sottovalutare, allo sviluppo del dialogo di cui parlavo prima. Dite loro che il Papa prega specialmente per loro!

Vorrei infine dire una parola sulla vita delle religiose. Per numerosi musulmani la Chiesa sono loro: beati sono coloro che vedono la santità della Chiesa nei loro tratti! Sovente anziane e inquiete per un cambiamento problematico – che sembra ritornare qui e là – sono disseminate dappertutto, in tutti i Paesi, lontane le une dalle altre e dedite al servizio in scuole e dispensari poveramente equipaggiati. Tuttavia conservano il loro sorriso per amore di coloro ai quali hanno consacrato la loro esistenza. Voi le circondate a buon diritto del vostro affetto: esse hanno bisogno in effetti di un sostegno pastorale regolare e qualificato. In particolare esse devono partecipare il più frequentemente possibile, malgrado il loro isolamento, all’Eucaristia. Celebrare così la Messa per due o tre religiose, uniche cristiane in un luogo solitario, permette al sacerdote di misurare meglio, nel mistero che rinnova quello di Nazaret, la ricchezza di speranza della Redenzione! Anche a loro dite che il Papa prega per loro e con loro!

Infine, prima di separarci, voglio incoraggiarvi ancora nel proseguimento della vostra opera. Numerose volte ho pronunciato la parola speranza. In effetti per quanto povere di aiuti umani siano le vostre comunità e per quanto precario possa sembrare, in ragione delle circostanze, il loro avvenire, esse sono tuttavia forti della libertà spirituale che le anima, della devozione dei loro membri e soprattutto del loro ruolo privilegiato di ambasciatori di Cristo e della Chiesa universale accanto ai popoli musulmani in mezzo ai quali la Divina Provvidenza le ha poste.

Invocando il nome del Signore, voglio benedire voi e, tramite voi, tutti i membri delle vostre Chiese!

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM"

23 novembre 1981

Cari amici,

Sono particolarmente lieto di accogliervi questa mattina in occasione della decima Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, al quale portate la vostra preziosa collaborazione.

Ringrazio il Cardinale Bernardin Gantin per i sentimenti che mi ha espresso a vostro nome e formulo voti cordiali per un pronto ristabilimento di Padre Roger du Noyer, attualmente ricoverato alla Clinica Gemelli dove io stesso ho beneficiato di cure competenti e sollecite. In questo incontro familiare, vorrei invitarvi a rendere grazie al Signore per il primo e fruttuoso decennio di attività del Consiglio “Cor Unum”, a rinnovare e diffondere le vostre fondamentali convinzioni sulla necessità di questo grande servizio ecclesiale e a progredire nel concreto cammino intrapreso verso gli obiettivi fissati fin dall’inizio e sempre d’attualità.

Sia lodato Iddio per aver ispirato a Papa Paolo VI la creazione di questa moderna diaconia di carità, nel cuore stesso della Chiesa! Il Documento con il quale l’ha istituita, il 15 luglio 1971, come l’espressione, spesso ripetuta in seguito, del suo appoggio, rimangono riferimenti sicuri e luminosi, giustamente ricordati nel Documento che riassume la storia dei dieci anni passati. È inoltre doveroso rendere grazie per l’illuminato appoggio del primo Presidente del Consiglio “Cor Unum”, il caro e rimpianto Cardinale Jean Villot, per l’illimitata devozione del suo primo Segretario, Padre Henri de Riedmatten, per l’opera spesso gravosa dei collaboratori attualmente in forze, per l’apprezzata collaborazione dei membri e dei consulenti. Senza sconfinare nell’autocompiacimento, non possiamo – sia voi che io – che essere colpiti e meravigliati per tutte le attività espletate in dieci anni con mezzi umani ben modesti, sia che si tratti dei lavori delle Assemblee plenarie con le loro discussioni tematiche o dei gruppi di riflessione organizzati nel corso dell’anno, o che si tratti delle riunioni convocate “ad hoc” in vista di importanti interventi caritativi o ancora di viaggi e missioni compiute dai responsabili. Sì, benediciamo il Signore per i numerosi sforzi convergenti: essi hanno certamente fatto progredire le Chiese locali nella comprensione e nella realizzazione del mistero della Chiesa, che è per essenza e per vocazione una vasta comunione di comunità di carità.

Questa riconoscenza a Dio e ai collaboratori della Commissione “Cor Unum”, come la nostra ammirazione per la vitalità degli organismi caritativi internazionali, nazionali e diocesani, riassumono in verità tutta la storia passata e presente della Chiesa, costantemente intessuta di attività e di epopee di carità.

Attualmente si ha la tendenza – persino all’interno di gruppi cristiani – a far credere che la giustizia debba prendere il posto della carità. Io stesso ho tenuto a rivelare questa propensione nell’enciclica Dives in Misericordia (n. 12). Vi voglio incoraggiare vivamente a contribuire alla riabilitazione della carità evangelica. Sforzatevi di promuovere sempre più quella che è la vera concezione della Chiesa, quale l’ha voluta e la vuole il Cristo, quale il Concilio Vaticano II (cf. Lumen Gentium , 1) ha cercato di far capire ai cristiani del mondo d’oggi, nella fedeltà alle fonti stesse della Rivelazione e della Tradizione ecclesiale più ricca, cioè una Chiesa che sia una comunità di carità concreta e disinteressata, che abbia come scopo lo sviluppo umano e spirituale di tutti. Senza venir meno ai vostri compiti di riflessione, di intervento, di coordinamento, desidero che voi aiutiate i cristiani di oggi ad accostarsi maggiormente alle sorgenti tonificanti della loro missione individuale e collettiva di carità. La prima di queste sorgenti è certamente una conoscenza rinnovata del mistero d’amore che è Dio stesso nella sua vita trinitaria. Una catechesi che non si appoggi su questo dogma fondamentale resterà ad un livello troppo orizzontale e si priverà di ricchezze di luce e di energia assolutamente vitali. Aiutate inoltre i cristiani e familiarizzarsi con le esperienze comunitarie e intercomunitarie dei tempi apostolici e dei primi secoli. Esse susciteranno l’ammirazione dei non-cristiani. Il “vedete come si amano” ci interpella ancora. La società contemporanea, tentata e sfigurata dal materialismo pratico e multiforme, ha un bisogno profondo di incontrare comunità di credenti che vivono, con umiltà e convinzione, la vocazione alla quale ogni uomo è chiamato: quella della figliolanza divina e della fraternità umana.

A questa missione catechetica del Consiglio “Cor Unum”, vorrei aggiungere ancora alcune indicazioni pratiche. La prima sarà di farvi conoscere di più, per lo meno i responsabili. Molte Chiese locali hanno ancora bisogno di scoprire, se non l’esistenza di “Cor Unum”, almeno la sua ragione d’essere e i suoi metodi d’azione. Proseguite dunque quest’opera delicata e necessaria di coordinamento tra le Chiese o gli organismi che danno e le Chiese e gli organismi che ricevono. Tutti i casi individuali dovranno essere soccorsi. Tuttavia è indispensabile che le istanze caritative interessate determinino i bisogni realmente prioritari, la cui soluzione avrà ripercussioni importanti sul bene comune di tutta una regione, con frutti immediati oppure più remoti.

D’altra parte, come ho recentemente sottolineato alla speciale riunione in favore del Sahel, continuate a perseguire una crescente cooperazione tra chi collabora a tutta l’importante azione caritativa. Non si tratta solamente di evitare, da un lato, le critiche di una assistenza paternalistica e dall’altra, i rischi di una passività sempre possibile, ma bisogna aiutare tutti coloro che collaborano a porsi in modo corretto nei loro ruoli di assistenti disinteressati e di assistenti pronti alla cooperazione, in vista di un autentico sviluppo umano e spirituale. Tutti, d’altronde, in un certo senso, beneficiano dell’instaurazione di questo scambio. Vi sono segni incoraggianti per voi in questo campo. Ricordo, tra gli altri, il recente incontro dei delegati della Chiesa e degli organismi al servizio delle popolazioni del Sahel. Penso poi a ciò che è stato abbozzato il giugno scorso tra “Cor Unum”, il CELAM e il Segretariato episcopale dell’America Centrale e Panama (SEDAL). Infine, secondo le vostre possibilità, con uno spirito realistico che tenga conto degli immensi bisogni e delle limitate risorse a vostra disposizione, sviluppate i contatti e la collaborazione con gli Organismi governativi o non governativi che desiderano porsi al servizio delle popolazioni bisognose. Nel contesto di un rispetto reciproco, esse possono contribuire molto a meglio organizzare la vostra azione caritativa e voi potete, da parte vostra, condividere con loro lo spirito che vi anima.

Questi sono alcuni pensieri che ho creduto bene di esprimervi. Desidero che essi vi siano di conforto nel momento in cui si inizia il secondo decennio di attività del Consiglio “Cor Unum”.

Queste parole non sono sufficienti a risolvere ogni vostro problema. Ma il dinamismo della Pasqua di Cristo e la potenza dello Spirito della Pentecoste sono sempre all’opera. Date ad essa grande spazio nelle vostre attività caritative! Ed io, a nome delle tre divine Persone, sorgenti dell’Amore, vi benedico di tutto cuore.

VISITA PASTORALE A COLLEVALENZA, ORVIETO E TODI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II ALLA DIOCESI DI TODI

Piazza del Popolo Todi, 22 novembre 1981

Carissimi cittadini di Todi!

1. Nelle mie visite apostoliche, eccomi giunto anche da voi, qui, nella vostra magnifica città, accettando di buon grado il vostro invito, così gentile e premuroso, fattomi pervenire in occasione del pellegrinaggio al vicino Santuario di Collevalenza! Grande è la mia gioia nel trovarmi in mezzo a voi!

Saluto in primo luogo il Signor Sindaco con i componenti della Giunta comunale, i responsabili dei vari Organismi regionali e provinciali, tutte le Autorità civili, militari, scolastiche, che in modo diverso ma con uguale impegno svolgono la loro attività a vantaggio della cittadinanza: a tutti loro vada l’espressione della mia stima e l’augurio sincero di poter sempre svolgere efficacemente, nella comune concordia e nella serenità, i loro compiti al servizio dell’uomo nel suo sviluppo terreno.

Saluto poi il Vescovo, Monsignor Decio Lucio Grandoni, che con amore e con dedizione regge questa diocesi, e con lui saluto i suoi collaboratori, i sacerdoti ed i religiosi, che incontrerò fra pochi istanti, e, poi, le religiose ed i laici più intimamente impegnati nel lavoro pastorale. A tutti porgo l’augurio di fedeltà religiosa e di copiose soddisfazioni spirituali nei rispettivi campi di apostolato.

Con speciale intensità di sentimenti saluto tutto voi, carissimi fratelli e sorelle che rappresentate davanti ai miei occhi la diocesi di Todi con le sue speranze e con i suoi problemi, con le sue aspirazioni e con la sua tenacia: i padri e le madri di famiglia, che hanno oggi doveri tanto assillanti e difficili da compiere; le persane anziane, che con la loro saggezza ed esperienza sono parte validissima nella compagine sociale e familiare; i giovani, che subiscano maggiormente le scosse dei tempi attuali e devono essere sempre più compresi ed amati; i bambini ed i fanciulli, oggetto di tenerezza e segno di fiducia; gli insegnanti e gli educatori, sui quali pesa una nobilissima responsabilità; i lavoratori di tutte le categorie, che con la loro quotidiana fatica sono alla base dell’efficienza e del progresso della società; i malati ed i sofferenti, che con il loro dolore impegnano i fratelli nel prezioso esercizio della carità.

Ringrazio tutti, uno per uno, personalmente. per la vostra presenza e commosso dalla vostra bontà, vi ripeto le parole di san Paolo: “Il Signore sia con tutti voi! Il Signore della pace vi dia Egli stesso la pace, sempre e in ogni modo!” (2Ts 3,16).

2. In questa vostra città assai nota, che era centro di diocesi già nel secondo secolo, vorrei avere più tempo a disposizione per respirarne la mistica atmosfera, per ammirarne le bellezze artistiche e i monumenti, carichi di storia, che ricordano profonde tradizioni civili e religiose; soprattutto vorrei entrare nelle botteghe del vostro lavoro, nei centri delle vostre attività, per incontrarmi con voi, per ascoltare le vostre voci, vedere i vostri volti, confortare i vostri infermi, carezzare i vostri bambini.

Sono venuto per assicurarvi che Cristo vi ama e che desidera unicamente la vostra felicità! E desidera che continuiate ad amarvi, a comprendervi, ad aiutarvi a vicenda nelle varie necessità!

Che la bontà e la carità regnino in voi, nelle vostre case, nelle vostre organizzazioni, nelle scuole, nei luoghi del lavoro, dello studio, del divertimento. Che Cristo regni sempre nei vostri cuori e nelle vostre famiglie. Che siano abbondanti in tutti voi i frutti dello Spirito, e cioè: l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benevolenza, la fedeltà, la mitezza, il dominio di sé (cf. Gal 5,22).

Auguro di cuore che nelle vostre case risplenda sempre la fiaccola della bontà e della fede cristiana!

3. Mi piace ora lasciarvi anche un pensiero che vi serva come ricordo e come proposito. Ciò che fa più impressione oggi, nella società moderna in cui viviamo, è forse la perdita in molti del vero senso della vita. In un vasto settore dell’odierna società si è oscurato o talvolta è stato smarrito il significato trascendente dell’esistenza. E, non conoscendo più perché e per chi si vive, è facile essere travolti dall’impeto delle passioni, dall’egoismo, dalla crudeltà, dall’anarchia dei sensi, dalla distruzione della droga, dalla disperazione.

Dobbiamo rivolgere lo sguardo a Cristo: solo Lui “è la luce che splende nelle tenebre; Egli è la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1,5.9).

Gesù è il Verbo incarnato, il Rivelatore e il Redentore, che annunzia con parola assoluta e definitiva, perché divina, il senso autentico della vita, dono prezioso dato da Dio, che è l’Amore misterioso e misericordioso, che dobbiamo accettare e far fruttificare, in funzione e nella prospettiva della felicità eterna. “lo sono la luce del mondo – disse Gesù – chi segue me, non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). È di questa luce fondamentale ed essenziale che hanno vivo bisogno gli uomini, sempre, ma particolarmente oggi. Come il cieco di Gerico, ricordato dal Vangelo, l’uomo moderno deve rivolgersi a Gesù, con totale fiducia. “Che cosa vuoi che io faccia per te?” – gli domandò il Divino Maestro; il cieco rispose: “Signore, che io possa di nuovo vedere!”. E Gesù lo guarì, dicendogli: “Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato!” (cf. Lc 18,35-43).

Solo Cristo può illuminarci in modo pieno sul problema della vita e della storia: siatene sempre convinti e testimoniate con coerenza e coraggio questa vostra fede!

4. Carissimi amici!

Trovandomi nella vostra città, è d’obbligo, almeno in conclusione, citare fra’ Jacopone da Todi, il poeta e il mistico a tutti noto, che attraverso tante contrastate vicende, espresse con appassionato accento lirico il suo ardente amore a Cristo, con spirito talvolta tormentato e talvolta francescanamente lieto e sereno. Nella “lauda” sul “Pianto della Madonna”, egli descrive, in commovente sintesi, la passione e la morte di Cristo in Croce e fa sgorgare dalla sensibilità materna di Maria, desiderosa di morire con Gesù, le più tenere invocazioni: “O figlio, figlio, figlio! – Figlio amoroso giglio – figlio dolce e piacente – figlio mio delicato!”. E Gesù dall’alto della croce le esprime la sua ultima volontà, che così si può parafrasare: “Mamma, perché piangi? Io voglio che tu rimanga per aiutare questi miei fratelli!”.

È una lirica stupenda, ma è soprattutto un messaggio valido per sempre. Siamo stati affidati a Maria! Pregatela anche voi, stringetevi al suo materno affetto, invocatela con fiducia e fervore, affinché mantenga sempre viva nei vostri animi la fede nell’Amore misericordioso di Cristo!

Con questo auspicio, di gran cuore vi imparto la propiziatrice benedizione apostolica, che volentieri estendo a tutte le persone a voi care!

VISITA PASTORALE A COLLEVALENZA, ORVIETO E TODI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AL CLERO DI TODI E ORVIETO

Duomo Todi, 22 novembre 1981

Carissimi sacerdoti,

Ho desiderato di incontrarmi con voi, appartenenti al clero secolare e regolare delle diocesi di Todi e di Orvieto, unite nella persona del Vescovo, per manifestarvi la mia profonda affezione e il mio incoraggiamento nella vostra vita e nel vostro ministero sacerdotale. Sono lieto di vedervi raccolti in questa insigne Cattedrale tudertina, la quale, insieme a quella ancor più nota di Orvieto, riassume mirabilmente la fede, l’arte e la storia delle popolazioni di questa terra. Mi fa anche piacere di sapervi desiderosi di vivere con me un momento di fraterna e gioiosa comunione ecclesiale. Vi saluto con viva cordialità, tutti desidero abbracciare, confortare e ringraziare per la vostra calorosa accoglienza. Saluto, in particolare, il vostro Vescovo, Monsignor Decio Lucio Grandoni, e i due Vicari generali

1. Avrei tante cose da dirvi e tante da ascoltare da voi, ma il tempo breve non me lo consente; mi limiterò perciò ad esporvi alcuni pensieri che mi vengono suggeriti dalle circostanze dell’odierna visita al Santuario dell’Amore misericordioso a Collevalenza.

Parlando a sacerdoti, in cura d’anime, che sono segni viventi ed efficaci della misericordia di Dio, non trovo considerazioni più stimolanti di quelle che discendono da questa virtù, che è al centro della Chiesa, come fontana zampillante, a cui tutti si accostano per dissetarsi. Mai come in questo tempo, l’uomo ha avuto tanto bisogno della misericordia che è necessaria e per il progresso spirituale di ogni anima e per quello umano, civile e sociale. Essa infatti, se è vissuta in pienezza, potrà rinnovare il tessuto dei rapporti all’interno dei vostri presbiteri e darà alle vostre comunità diocesane maggiore consistenza e afflato d’amicizia, di bontà, di concordia, di mutua stima e fiducia, e di volonterosa collaborazione. Vivendo questa spiritualità, vi potranno essere tra voi disparità di vedute, diversità di libere opinioni, molteplicità di iniziative pastorali, ma non vi mancherà mai l’unità di fede, di carità e di disciplina; non vi farà mai difetto il senso della comprensione e dell’indulgenza verso le manchevolezze altrui. In particolare voi, sacerdoti anziani, troverete il modo di comprendere i vostri confratelli più giovani; e voi giovani saprete stabilire con i vostri Superiori relazioni di sincerità e di fiducia, senza togliere a chi dirige il dovere della responsabilità e a voi stessi il merito dell’obbedienza. È in questo studio di reciproca misericordia che si compie e si celebra il mistero della redenzione nella Chiesa. Fate di essa, sia nel suo interiore carisma di perdono e di amore, sia nel suo esteriore esercizio di servizio ad ogni necessità dei confratelli, il vostro programma sacerdotale, per vivere in pienezza di fede e di letizia il mistero del Cristo morto e risorto.

2. Ma la carità pastorale esige che voi sappiate usare tale misericordia a sollievo delle anime affidate alle vostre sollecitudini. Si può dire che i sacerdoti sono i primi e diretti promotori delle opere di misericordia corporale e spirituale. È proprio vero! Ma che cosa comporta tutto questo?

Tutto ciò comporta un nuovo concetto della funzione del pastore, il quale deve saper “com-patire” (Fil 2,1), deve avere in cuore una buona compassione (Ef 4,32), non deve chiudersi dinanzi ad un fratello che si trova nella necessità; in una parola, deve farsi buon samaritano (cf. Lc 10,30-37). È fuori dubbio che la funzione pastorale esige l’esercizio di una autorità: il pastore è capo, è guida, è maestro; ma subito subentra una seconda esigenza ed è quella del servizio. L’autorità nel pensiero di Cristo non è a beneficio di chi la esercita, ma a vantaggio di coloro ai quali si rivolge. L’autorità è un dovere e soprattutto un ministero verso gli altri, per condurli alla vita eterna. Questa funzione pastorale, se completa con tale spirito, porta alla sua espressione più piena, cioè al dono totale di sé, al sacrificio; proprio come Gesù ha detto e ha fatto di se: “Il Buon Pastore dà la vita per il suo gregge” (Gv 10,11). In questa visione è racchiusa una somma di qualità pastorali: l’umiltà, il disinteresse, la tenerezza (ricordate il discorso di Paolo ai cristiani di Mileto [cf. At 20,17-38]; ma anche una somma di esigenze dell’arte pastorale, come lo studio della teologia pastorale, della psicologia, della sociologia per evitare faciloneria nei rapporti con le singole anime e con le comunità.

In particolare, questo amore misericordioso voi lo attuate nell’amministrazione dei Sacramenti, luogo privilegiato di misericordia e di perdono. Come è noto, il Padre che ci ha resi figli nel Battesimo resta fedele al suo amore anche quando, per propria colpa, l’uomo si separa da lui. La sua misericordia è più forte del peccato, e il Sacramento della Confessione ne è il segno più espressivo, quasi un secondo Battesimo, come lo chiamano i Padri della Chiesa. Nella Confessione, la stessa grazia del Battesimo si rinnova infatti per un nuovo e più ricco inserimento nel mistero di Cristo e della Chiesa. Anche la fragilità e l’infermità fisica dell’uomo sono, per la misericordia di Cristo, occasione di grazia; come avviene anche nell’Unzione degli infermi che riesprime e rinnova l’inserimento totale del cristiano malato nel mistero pasquale, quale segno efficace di sollievo e di perdono. Infatti in questo Sacramento il Cristo fa sua la fragilità dell’uomo e la riscatta, perché nella debolezza della creatura si manifesti pienamente la potenza di Dio (cf. 2Cor 12,9-10).

Ma per il malato anche l’Eucaristia è Sacramento della misericordia divina, essendo viatico per l’ultimo viaggio è destinato così a sostenerlo nel passaggio da questa vita al Padre e a munirlo della garanzia della risurrezione, secondo le parole del Signore: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). È un atto di vero amore confortare i malati con questo Sacramento, l’ultimo, prima che essi vedano Dio al di là dei segni sacramentali e partecipino gioiosi al banchetto del Regno.

3. Carissimi sacerdoti, nell’amministrazione di questi Sacramenti della misericordia siate sempre diligenti e fervorosi, senza risparmiare energie e tempo, profondamente consapevoli che “la Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo attributo del Creatore e Redentore – e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia , 13). Abbiate nel vostro slancio pastorale quella pazienza e quella bontà, di cui il Signore stesso ci ha lasciato l’esempio, essendo venuto non per giudicare, ma per salvare (cf. Gv 3,17). Come il Cristo, anche voi siate intransigenti con il male, ma misericordiosi verso le persone. Nelle difficoltà, che possono incontrare, i fedeli devono trovare nelle parole e nel cuore di voi pastori l’eco della voce del Redentore “mite ed umile di cuore” (Mt 11,29).

Sulla scia degli esempi a voi lasciati dalle luminose figure di sacerdoti e Vescovi – tra cui ricordo il degno e zelante Presule Monsignor Alfonso De Sanctis, a cui si deve l’erezione del Santuario dell’Amore misericordioso – continuate la vostra opera di animazione cristiana fra queste care popolazioni di Todi e di Orvieto. Curate la vita di preghiera e di bontà per essere ministri esemplari e portatori di gioia e di serenità a tutti. Coltivate l’intimità con Cristo, mediante una sincera e profonda vita interiore, ricordandovi sempre che la vostra missione è di essere testimoni del soprannaturale e annunciatori di Cristo agli uomini del nostro tempo, i quali avvertono sempre più, anche se le apparenze possono talvolta far pensare il contrario, il richiamo e il bisogno di Dio.

Affido questi voti alla Vergine santissima, Madre della Misericordia. Ella non mancherà di proteggervi e di assicurare al vostro sacerdozio la sua materna e potente intercessione. Faccia Ella rifiorire il numero di coloro che aspirano al sacerdozio e seguono il divino Agnello dovunque Egli vada.

Con la mia apostolica benedizione.

VISITA PASTORALE A COLLEVALENZA, ORVIETO E TODI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II ALLE ANCELLE E AI FIGLI DELL'AMORE MISERICORDIOSO

Collevalenza, 22 novembre 1981

Carissimi fratelli e sorelle

All’inizio di questo desiderato incontro con voi, Ancelle e Figli dell’Amore misericordioso, amo rivolgervi le parole di san Paolo ai Corinzi: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso” (2Cor 1,3).

La consolazione, che procura al mio cuore questo pellegrinaggio, è certamente anche la vostra, derivante dalla certezza di essere fedelmente accolti dalla bontà divina, anche “in ogni nostra tribolazione”. Se Dio e il suo Amore sono per noi la consolazione che nessuno può sottrarci – “nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,22) – siamo chiamati al tempo stesso ad alimentare in noi la sollecitudine insopprimibile di partecipare a tutti un tale amore.

1. Per liberare l’uomo dai timori esistenziali, da quelle paure e minacce che sente incombenti da parte di individui e Nazioni, per rimarginare le tante lacerazioni personali e sociali, è necessario che alla presente generazione – alla quale pure si estende la Misericordia del Signore cantata dalla Vergine santissima (cf. Lc 1,50) – sia rivelato “il mistero del Padre e del suo amore”. L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina, per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita; egli necessita di essere fermamente convinto di quelle parole a voi care e che formano spesso l’oggetto della vostra riflessione, cioè che Dio è un Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felici i propri figli; li cerca e li insegue col amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro. L’uomo, il più perverso, il più miserabile ed infine il più perduto, è amato con tenerezza immensa da Gesù, che è per lui un padre ed una tenera madre.

2. Da questi brevi cenni risulta che la vostra vocazione sembra rivestire un carattere di viva attualità. È vero che la Chiesa, durante i secoli, mediante anche l’opera dei vari Ordini e Congregazioni religiose, ha sempre proclamato e professato la misericordia divina, essendone amministratrice sollecita in campo sacramentale ed in quello dei rapporti fraterni, ma vorrei rilevare soltanto che la vostra speciale professione attinge direttamente il nucleo di una tale missione, e vi abilita istituzionalmente ad esercitarla.

Auspico di cuore che lo spirito del vostro Istituto, il quale reca con sé il fervore degli inizi, si esprima sempre in una pietà solida, in una disinteressata dedizione ed in un ardente impegno apostolico, come ne fanno fede le grandiose costruzioni sorte in pochi decenni attorno a questo Santuario, e le folle che qui accorrono per rinnovare ed accrescere la propria vita cristiana.

Incoraggio di cuore quanto viene compiuto nel campo dell’assistenza e della santificazione del clero diocesano. Tale compito rientra nel fine specifico della Congregazione dei Figli dell’Amore misericordioso, per la cui realizzazione le Ancelle prestano la loro delicata collaborazione. Si legge infatti nel Libro delle Usanze che traduce in pratica le Costituzioni: “Aiuteranno i sacerdoti in tutto, più con i fatti che con le parole”, e tutto ciò con spirito di lieta e generosa dedizione. Un particolare impegno viene esercitato per incoraggiare tra i sacerdoti diverse e progressive forme di una certa vita comune (cf. Presbyterorum Ordinis , 8).

Le Ancelle, d’altra parte, svolgono nelle loro Case tutta una serie di provvide assistenze che testimoniano una generosa elasticità nell’adattamento alle esigenze caritative dei luoghi ed alle domande dell’Autorità ecclesiastica.

3. Ed ora, cari fratelli e sorelle, vorrei rivolgervi una viva esortazione ad essere saggiamente fedeli alla vostra vocazione.

Consapevoli della necessità che l’uomo moderno ha di incontrarsi con l’amore del “Padre delle misericordie”, e lieti di essere consacrati alla diffusione di un tale amore, offrite, anzitutto, nell’ambito della vostra grande Famiglia, una testimonianza serena e convincente di carità fraterna. “Congregavit vos in unum Christi amor”: è Cristo Signore che si è interessato a ciascuno di voi e vi ha riuniti in Congregazioni distinte, ed in un’unica Famiglia, per compiere, con differenti modalità, lo stesso cammino di perfezione, nello svolgimento della missione evangelizzatrice. Il compito di proclamare la misericordia del Salvatore richiede una testimonianza probante di unione, di scambievole amore misericordioso, come Gesù stesso ha esortato con la forza tragica della sua ultima ora: “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12). Tale amore fraterno è in se stesso una prova ed una evangelizzazione della misericordia: “Siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).

Per costruire l’anima, prima ancora che le strutture di una Congregazione, è necessario realizzare un amore che richiede spesso sacrificio e rinuncia personale, in sintonia con quanto testimoniato da Cristo, soprattutto col suggello della sua estrema donazione.

Tale richiamo suggerisce l’invito ad approfondire sempre più le radici del vostro spirito di Famiglia, mediante una immedesimazione intensa nei sentimenti di Cristo Crocifisso e di Cristo Eucaristia, le cui immagini recate nel vostro emblema: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che erano in Gesù Cristo... che umiliò se stesso... fino alla morte di croce” (Fil 2,5-8).

Non è possibile essere Araldi della misericordia senza l’assimilazione intensa del senso e del valore delle estreme donazioni di un amore divino infinitamente più potente della morte: il Crocifisso e l’Eucaristia; di un amore inesauribile, “in virtù del quale il Signore desidera sempre unirsi ed immedesimarsi con noi, andando incontro a tutti i cuori umani”, come scrivevo un anno fa nella lettera enciclica Dives in Misericordia (n. 13), che voi vi proponete di ricordare tra pochi giorni con un solenne convegno internazionale.

Nella contemplazione di un tale amore, è meno difficile resistere ad un’aura secolarizzante che, sotto il pretesto di un certo tipo di presenza nel mondo, potrebbe aver impoverito la fede e reso meno viva la fiducia e meno soprannaturale la carità; è più facile alimentare il buon spirito trasmessovi, per realizzare in voi la beatitudine dei “misericordiosi”, al fine non solo di ottenere, ma anche di irradiare misericordia.

Quel Santuario voluto per esaltare e continuamente celebrare i tratti più squisiti dell’Amore misericordioso, consideratelo come costante punto di riferimento, culla della vostra vocazione, centro e segno della vostra particolare spiritualità. In essi sia sempre proclamato il lieto annunzio dell’Amore misericordioso, mediante la Parola, la Riconciliazione e l’Eucaristia. È parola evangelica quella che voi qui pronunciate per confortare e convincere i fratelli circa l’inesauribile benevolenza del Padre celeste. E rendere possibile l’esperienza di un amore divino più potente del peccato, l’accogliere i fedeli nel Sacramento della Penitenza o Riconciliazione, che so qui amministrato con costante impegno. E rinvigorire tante anime affaticate e stanche, alla ricerca di un ristoro che rechi dolcezza e robustezza nel cammino, offrire loro il Pane Eucaristico.

Tale sublime ministero della Misericordia, come pure ogni vostra aspirazione ed attività, affido a Maria santissima, da voi venerata sotto il titolo di Mediatrice, invocandola con fervore, affinché voglia maternamente propiziare ed affrettare per voi il dono del suo figlio Gesù e, d’altra parte, la vostra piena apertura verso di Lui.

La mia esortazione e il mio saluto raggiungano ugualmente quanti, Ancelle e Figli delle varie Comunità d’Italia, di Spagna e di Germania, non sono qui presenti, con particolare pensiero di conforto e di incoraggiamento per le due giovani Comunità missionarie del Brasile. Auspico alla vostra cara Madre Fondatrice, che è qui in mezzo a voi, di vedervi tutti decisamente incamminati verso la santità, secondo le sue aspirazioni materne.

Rivolgo poi un particolare saluto, beneaugurante letizia e prosperità cristiane, ai vostri amici ed a quanti sostengono le vostre iniziative apostoliche, mentre imparto a tutti ed a ciascuno la mia affettuosa benedizione apostolica.

VISITA PASTORALE A COLLEVALENZA, ORVIETO E TODI

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II ALLE AUTORITÀ E A I CITTADINI

Santuario dell'Amore Misericordioso Collevalenza, 22 novembre 1981

Signor Ministro, e cari cittadini di Collevalenza, di Todi e dell’intera regione!

1. Debbo esprimervi un ringraziamento sincero per l’accoglienza cordiale che mi avete riservato, convenendo così numerosi e devoti in questo luogo a porgermi il vostro saluto per il ritorno nell’ospitale terra dell’Umbria. Dico ritorno, perché é ormai la quarta volta che, dall’inizio del mio servizio pontificale, mi è dato di recarmi in questa storica regione che, posta com’è al centro dell’Italia, sembra esprimere e riassumere le caratteristiche dell’intera popolazione della Penisola: l’equilibrio, la laboriosità, l’attaccamento ai valori morali, l’autentico spirito religioso. A tutte le popolazioni dell’Umbria l’attestato del mio affetto e del mio apprezzamento.

2. Oggi sono qui fra voi pellegrino, a un anno di distanza dalla pubblicazione dell’enciclica Dives in Misericordia , nella quale, integrando quanto già avevo scritto nella Redemptor Hominis , invitavo a rivolgere lo sguardo a Dio nostro Padre, da cui solo ogni paternità prende nome nei cieli e sulla terra (cf. Ef 3,15), come prende consistenza la reale dignità dell’uomo-figlio. Dicevo in quel documento che dalla verità intorno all’uomo bisogna risalire, in Cristo, alla verità del mistero del Padre e del suo amore (cf. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/2 [1980] 1533-1534).

Vorrei dire ora che questo spirituale itinerario dall’uomo a Dio, basato sulla mediazione di Cristo rivelatore, mi ha suggerito il presente itinerario, che è propriamente un pellegrinaggio al Santuario dell’Amore Misericordioso. Fortunata è l’Umbria, fortunata in particolare è la vostra antica ed illustre città, cari abitanti di Todi, perché accanto alle numerose e ben note tradizioni religiose, accanto ai tanti artistici e suggestivi templi e monumenti cristiani, possiede questo Santuario, che è centro eletto di spiritualità e di pietà. Col suo stesso nome, come con la sua mole e con l’attività spirituale, pastorale e formativa che vi è promossa, esso a tutti ricorda e proclama la grande e consolante verità della misericordia paterna del Signore. Che sarebbe l’uomo, se non avesse il supremo suo fondamento in Dio? Che sarebbe di lui, se non ci fosse per lui, su nel cielo, un Padre che lo segue e lo ama con la generosità della sua provvidenza? Che sarebbe di lui peccatore, se non potesse contare sulla certezza di avere in questo stesso Padre colui che sempre lo comprende e lo perdona con la generosità della sua misericordia?

Eco, fratelli e sorelle, a simili interrogativi, a cui già con la mia enciclica intendevo richiamare tutti i figli della Chiesa per una convinta risposta di fede, ci richiama altresì questo insigne Santuario, che tanto opportunamente è sorto in mezzo a voi. Esso costituisce un “segno”, e quindi un invito a meditare e ad accogliere l’eterno messaggio della salvezza cristiana, quale scaturisce dal disegno misericordioso di Dio Padre.

3. Ritrovandomi in questa terra nell’anno centenario della nascita di san Francesco, desidero elevare anche a lui il mio pensiero devoto, nel ricordo del sublime insegnamento che egli ci ha lasciato proprio a riguardo della misericordia divina. Nel suo Cantico delle Creature egli ha detto, fra l’altro: “Laudato sie, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore, et sostengono infirmitate et tribulatione:...che da te Altissimo saranno incoronati”. Francesco, maestro dell’amore e del perdono, si appella alla misericordia generosa di Dio.

Né posso dimenticare il vostro concittadino fra Jacopone da Todi che, discepolo del santo di Assisi, tradusse ed interpretò nell’originalità della sua arte l’interna fiamma di amore verso Dio, come personale risposta all’anteriore e preveniente amore di Dio per noi. Nel nome dei santi dell’Umbria, nel ricordo di Jacopone e di tanti altri uomini della Todi francescana e cristiana, io do inizio all’odierno pellegrinaggio, a tutti porgendo fin d’ora il mio cordiale saluto con l’apostolica benedizione.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI VESCOVI DELLA CAMPANIA IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"

21 novembre 1981

Signor Cardinale, Venerati confratelli nell’Episcopato!

1. Il nostro incontro odierno, che corona la visita “ad limina”, compiuta da voi, Pastori della Campania, è per me motivo di profonda gioia interiore, perché mi dà l’occasione di esprimervi, ancora una volta, i sentimenti di affetto e di stima, che provo sia per voi sia per i fedeli delle trentacinque diocesi, affidate al vostro servizio pastorale. Esso mi richiama alla memoria il pellegrinaggio, da me compiuto al Santuario di Pompei ed a Napoli del 21 ottobre 1979, e, specialmente, la breve, ma intensa e commossa visita che, il 25 novembre dello scorso anno, subito dopo il terremoto, compii nelle zone devastate, tra cui Napoli ed Avellino.

Questo incontro comune vuole essere anche come la sintesi ideale di quanto abbiamo detto insieme nelle udienze private, con ciascuno di voi, che, mediante la visita “ad limina”, avete inteso riaffermare la perfetta unione di mente e di cuore che esiste fra le Chiese particolari della vostra Regione e la Chiesa di Roma; fra voi, Vescovi della Chiesa della Campania, e il Vescovo di Roma, successore di Pietro.

Questa unione nella fede e nella carità, testimonianza concreta della unità voluta da Gesù (cf. Gv 17,11.21s) ed immagine efficace della vita della Chiesa Madre di Gerusalemme (cf. At 4,32), deve continuare ad animare e indirizzare le vostre diocesi, ed ispirare altresì tutte le molteplici iniziative di carattere pastorale che voi, nella vostra sollecitudine episcopale, intendete promuovere. Ad evitare dispersioni di energie, diversità di indirizzi nelle scelte, iniziative saltuarie e disarticolate, si avverte sempre più la necessità di un autentico coordinamento unitario non solo a livello diocesano, ma altresì a livello regionale. Occorre, per il bene della Chiesa, saper superare, nell’unita e nella carità, un certo tipo di non bene intesa autonomia, che potrebbe manifestarsi, alla prova dei fatti, o inutile o inefficiente.

2. Dai nostri colloqui personali è emersa una esigenza prioritaria: quella della preparazione e della formazione dei candidati al sacerdozio e della stessa cura e formazione permanente del clero. Su una popolazione di più di cinque milioni e mezzo di abitanti, in Campania operano circa duemila e cinquecento sacerdoti, oltre ai duemila e trecento religiosi. A tutti codesti fratelli, che sono “ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1) e dedicano la loro vita per la diffusione del Vangelo, va il mio affettuoso ricordo, il mio apprezzamento, la mia parola di incoraggiamento, perché, pur in mezzo a tante difficoltà, siano sempre fedeli allo loro altissima vocazione e si prodighino volentieri, anzi – come afferma san Paolo di se – consumino se stessi per le anime (cf. 2Cor 12,15). Non mancherà certamente il vostro impegno, la vostra sollecitudine, la vostra cura, carissimi confratelli nell’Episcopato, perché il problema delle vocazioni, quello della preparazione dei seminaristi e della formazione permanente del Clero siano in cima ai vostri pensieri. Penso in questo momento, con sincero affetto, ai trecento seminaristi dei dieci Seminari minori, ai centocinquanta dei Seminari maggiori di Napoli e di Benevento, come pure alla Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, con le sue due Sezioni; che tali Istituti continuino tutti ad essere autentiche fucine di profonda formazione spirituale e di seria preparazione culturale e teologica, perché i sacerdoti della Campania possano corrispondere pienamente alle attese della Chiesa e della società contemporanea.

Né posso dimenticare i diaconi permanenti, che vengono formati e preparati nell’“Istituto Diocesano per l’iniziazione ai ministeri”, in Napoli: mentre esprimo il mio compiacimento per tale iniziativa, la quale risponde ad un preciso voto del Concilio Vaticano II, auspico che tale preparazione e formazione sia sempre organica e completa, perché i candidati al Diaconato possano adeguatamente compiere il loro servizio ecclesiale, rendendo una vera collaborazione al clero, con disinteressato impegno e generosa dedizione nei vari campi della pastorale, che saranno loro affidati dalle Autorità competenti.

Una particolare parola di incoraggiamento desidero in questo momento rivolgere alle circa seimila religiose della Campania, che nelle varie attività catechistiche, educative, assistenziali, o nel silenzio orante della clausura, danno una preziosa testimonianza del valore perenne della totale donazione a Dio, mediante la povertà, la castità e l’obbedienza consacrate.

3. Il disastroso terremoto che il 23 novembre dello scorso anno si abbatté sulla Basilicata e sulla Campania, seminando lutti e distruzioni, è stato oggetto speciale delle nostre udienze. Ognuno di voi mi ha voluto informare sulla reale entità delle rovinose conseguenze del sisma, su quanto è stato finora fatto per venire incontro alle legittime esigenze dei nostri fratelli colpiti, e su quali prospettive si presentino per il futuro, che si auspica migliore e più sereno.

Rimangono tuttavia molteplici e gravi problemi di carattere materiale, spirituale e pastorale.

Moltissimi dei nostri fratelli e sorelle hanno perduto la casa, i loro beni, frutto di lunghi e sudati risparmi; hanno perduto il loro posto di lavoro, e sono pertanto preoccupati per il loro avvenire e per quello delle loro famiglie. I giovani, in particolare, sono alla ricerca di una sistemazione, e soffrono nell’anima per tante speranze rimaste finora deluse. Questa somma di problemi di carattere sociale ed umano con evidente drammaticità incide profondamente anche negli aspetti della vita religiosa delle zone colpite. È necessario ed urgente ridare a questi nostri carissimi fratelli e sorelle il senso di una autentica fiducia fondata sulla solidarietà di tutti, perché è dovere di tutti contribuire alla soluzione dei loro problemi fondamentali. Occorrerà ricostruire tutto: case, posti di lavoro, paesi. I Vescovi dei luoghi colpiti dal sisma debbono essere gli animatori e i sostenitori di tutte quelle iniziative di solidarietà, che possano contribuire alla ricostruzione delle regioni devastate.

Il drammatico evento deve rappresentare per tutti uno sprone, un invito all’azione indefessa, e anche ad una pastorale organica, unitaria, solidale e, per certi aspetti, nuova, perché nuovi ed imprevisti sono i problemi che il terremoto ha provocato o ha messo in chiara evidenza. Tali problemi sono collegati con quello più generale, che sociologicamente viene denominato come il “problema del Mezzogiorno d’Italia”: esso è di carattere non solo regionale, ma nazionale, e deve essere quindi studiato ed affrontato, “viribus unitis”, con la Conferenza Episcopale Italiana, la quale non mancherà certamente di offrire validi aiuti ed opportuni contributi a tale scopo. Esprimo l’auspicio più cordiale che, grazie anche all’azione di incoraggiamento dai voi generosamente sviluppata, possa essere eliminato il cronico flagello della disoccupazione ed assicurata ad ogni famiglia una adeguata fonte di onesto guadagno, con una conveniente abitazione, così che per l’amata terra campana arridano finalmente giorni migliori.

È in questo ampio contesto che deve essere approfondita ed incoraggiata la promozione apostolica del laicato della Campania e la sua specifica formazione, nell’ambito dell’impegno primario della evangelizzazione e della catechesi; nel superamento di una religiosità, che, lungi dal mantenersi per forza di inerzia, proceda da una profonda e radicata convinzione, fondata sulla meditazione continua della Parola di Dio, sulla cosciente e attiva partecipazione della vita dei Sacramenti, sul docile ascolto del Magistero ecclesiastico, concretizzandosi in una coerente e coraggiosa testimonianza della propria identità di cristiani; nella urgenza di riaccendere una “cultura”, che sappia rispondere alle migliori tradizioni cristiane locali, per un proficuo dialogo con un mondo pluralista sempre più emergente; nel recupero di quell’anima religiosa inconfondibile della gente campana, che ha trovato in san Alfonso Maria de’ Liguori il suo fedele interprete e il suo efficace ispiratore, mediante le missioni popolari, la poesia, i canti, le varie opere di formazione religiosa. Il laicato cattolico della Campania potrà e dovrà dare un apporto determinante ed originale nella ricostruzione materiale e spirituale di tutta la vostra regione e in particolare, delle zone colpite dal terremoto. È l’invito pressante, che oggi rivolgo, in questa privilegiata circostanza del mio incontro con voi, Pastori della diletta Campania.

4. La triste vicenda del terremoto ci ha obbligato a parlare di “ricostruzione”. E tale immagine trova la sua analogia in quella della Chiesa, considerata come “edificio di Dio” (1Cor 3,9), che deve essere continuamente costruita sul fondamento di Cristo. Occorrerà cioè che la fede, interiormente assimilata e dinamicamente realizzata, sproni a conservare intatti quei valori umani e cristiani, che per secoli sono stati tramandati, da generazione a generazione, come un tesoro prezioso: la fiducia nella Provvidenza divina, la santità della famiglia, il rispetto della vita, la solidarietà con gli altri, specie nel bisogno e nella sofferenza, e, in maniera speciale e singolare, la tenera e filiale devozione alla Madonna santissima, che ha nell’antico Santuario di Montevergine e in quello di Pompei, fondato dal Beato Bartolo Longo, i suoi due luoghi privilegiati, noti in tutto il mondo. Ed è alla Vergine santissima, Madre di Dio e della Chiesa, che affido la vostra regione, la quale è stata feconda di eminenti figure di santi, quali san Gennaro, sant’Alfonso Maria de’ Liguori e san Gerardo Maiella, per citare soltanto i più noti e più profondamente radicati nella devozione popolare.

Mentre rinnovo i sentimenti della mia affettuosa stima e sincera cordialità per voi, cari confratelli nell’Episcopato, e per i fedeli della Regione Campana, invoco su tutti di cuore la mia benedizione apostolica.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II AI FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE

21 novembre 1981

Dopo aver incontrato i vostri allievi venuti da tutto il mondo, dopo esserci ritrovati tutti intorno all’altare in una preghiera unanime e fervente, non voglio terminare questa giornata senza rivolgere una speciale parola d’apprezzamento e d’incoraggiamento a voi, cari fratelli delle Scuole Cristiane, rappresentanti le migliaia di fratelli sparsi in tutto il mondo.

1. La lettera che vi ho inviato il 13 maggio 1980 per l’apertura dell’anno che commemora il trecentenario della fondazione del vostro Istituto, esprimeva l’essenza del mio pensiero. Per più di un anno avete celebrato in varie circostanze questo giubileo, meditando sulla fedeltà al carisma del vostro Fondatore. Questo carisma – occorre ricordarlo – è quello di aver concepito la scuola, mettendola a disposizione di tutti e specialmente dei poveri, come una comunità educante, secondo la visione cristiana, cioè fondata sull’amore, capace di formare l’anima e nello stesso tempo lo spirito dei bambini e degli adolescenti grazie a maestri altamente preparati e competenti, essi stessi consacrati a Dio, familiari alla preghiera e abituati a vivere come fratelli alla scuola dell’unico Maestro Cristo Gesù. In lui la scuola cristiana trova la sua ispirazione e il suo modello.

2. Come alle origini del vostro Istituto, questo apostolato possiede una importanza primaria e una scottante attualità, tanto più che l’insufficiente numero di educatori devoti, competenti e disinteressati si fa sentire dappertutto e lo statuto delle scuole cattoliche ha bisogno di essere riaffermato – con modalità diverse secondo i Paesi – e il suo progetto educativo valorizzato.

So quanto voi vi sforziate, nella vostra azione educativa, di ascoltare i bisogni reali dei giovani, con una pedagogia centrata sulla persona: di questo mi congratulo e vi ringrazio. Sono anche sicuro che voi avete a cuore di promuovere la cooperazione con i genitori e le loro associazioni.

L’opera che voi compite, in unione con le altre Congregazioni d’uomini e di donne consacrati alla formazione dei giovani e con altri maestri laici, fa parte dell’insieme di una pastorale di cui ciascun Vescovo e le Conferenze Episcopali sono responsabili di primo piano. Come dicevamo ieri con i membri dell’Assemblea plenaria della Congregazione per i religiosi e gli Istituti secolari, i rapporti di fiducia, di comprensione e di collaborazione si devono approfondire mutuamente tra Vescovi e religiosi e tra gli stessi Istituti religiosi, per affrontare i bisogni attuali, soprattutto quando si pongono problemi di ristrutturazione, nel rispetto certamente del vostro carisma e della vostra vita religiosa.

3. A chi è sul cammino spirituale che voi invitate i giovani a percorrere, ricordate quanto diceva il vostro santo fondatore: “I giovani che Dio vi affida sono figli di Dio; essi sono come voi consacrati alla Trinità dopo il loro Battesimo”. Il vostro ruolo è quello dunque di sviluppare le conseguenze di questa loro appartenenza spirituale, in un clima di fiducia, di pazienza e di libertà ben compresa, cosa che suppone: risvegliare la loro fede, fortificarla o riscoprirla in una catechesi viva e rinnovata secondo gli orientamenti della gerarchia; formarli alla preghiera, al bisogno di una solitudine appropriata, aiutarli ad accogliere le esigenze evangeliche come vie di liberazione, di vita e di donazione; insegnare loro ad amare la Chiesa e a prenderne parte attiva, ad assumere le loro responsabilità d’uomini e di cristiani nel loro ambiente, in spirito di servizio; sostenere la loro volontà di aiuto ai Paesi meno favoriti; coltivare come conviene il loro anelito missionario. E per i vostri allievi che non condividono la fede cattolica, la testimonianza della vostra devozione competente, del vostro rispetto delle coscienze, dei valori spirituali e morali che voi insegnate è ugualmente importantissimo: esso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa.

4. Per voi, il servizio educativo che rendete alla società e alla Chiesa è parte della vostra missione religiosa. Questo vuol dire che dovete attingere nella preghiera e nella fedeltà quotidiana ai vostri voti l’anima del vostro apostolato. Nella mia lettera, avevo insistito a proseguire sulla via della preghiera, che è capitale. Vorrei sottolineare un altro elemento fondamentale della vostra vita religiosa, per il quale san Giovanni Battista de La Salle è non solo un maestro, ma un modello: penso alla vita comunitaria. La celebrazione del trecentenario vi ha rimesso davanti agli occhi gli inizi laboriosi del vostro Istituto, pieno di difficoltà esterne ma anche interne: i primi discepoli, contestati da tutte le parti, senza sicurezza per il domani, erano assaliti da violente tentazioni di scoraggiamento e di abbandono. È stato allora che il Signor de La Salle, abbandonando i privilegi di Canonico, si mise a condividere il loro stile di vita in mezzo ad essi; rinunciò ai suoi privilegi per rivestirsi della loro insicurezza materiale. Essendo dei loro mise in comune tutto, i “Maestri di Scuola”, divenuti “fratelli delle Scuole Cristiane” non erano che un cuore e un’anima sola, a immagine della prima comunità cristiana.

Quale preziosa fonte di meditazione per voi, cari fratelli, inseriti in un mondo che riscopre il senso comunitario! Vi invito cordialmente a vivere intensamente questa vita fraterna! I giovani della nostra epoca sono particolarmente sensibili alla testimonianza di una comunità unita nella carità e nella donazione di sé agli altri; in essa scoprono Cristo e questa presenza li attira.

5. Quale campo meraviglioso d’apostolato vi è affidato! Esso suppone che ciascuno dei fratelli sia saldo nell’intimo della sua coscienza della vicinanza di Gesù Cristo, che gli domanda continuamente, come a Pietro: “Mi ami tu?”, fai questo per amore?

Sì, che il Cristo – che festeggeremo domani come Re dell’universo – regni nei vostri cuori e che il suo Regno di amore e di santità si estenda grazie a tutti i Fratelli delle Scuole Cristiane! Che Egli sia la vostra gioia e la vostra forza! Che Egli chiami ad operare con voi nuovi operatori evangelici! Che la Vergine Maria ci mantenga alla scuola di Cristo! Che san Giovanni Battista de La Salle vi conduca con sicurezza sulle vie antiche e nuove della fede! Di tutto cuore, benedico i responsabili della vostra Congregazione e, insieme a voi, tutti i Fratelli che compiono umilmente la loro opera nel mondo.

DISCORSO DI GIOVANNI POALO II AL CONVEGNO ITALO-TEDESCO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE "KONRAD-ADENAUER"

21 novembre 1981

Illustri Signore e Signori,

1. In occasione del 90° anniversario dell’enciclica Rerum Novarum vi siete radunati qui a Roma, nel quadro della Fondazione “Konrad-Adenauer”, per un Convegno italo-tedesco. Il tema è l’attualità della dottrina sociale cristiana e la partecipazione dei lavoratori. Mi rallegro per questa vostra iniziativa e vi esprimo il mio cordiale benvenuto in questo incontro in Vaticano.

Per l’udienza generale del 13 maggio di quest’anno, avevo preparato un discorso che poi non ho potuto tenere. In questo discorso erano contenute le seguenti parole: “È merito di Papa Leone XIII l’aver cercato di dare alla dottrina sociale della Chiesa un carattere organico e sintetico” (Giovanni Paolo II, Allocutio in Audientia Generali habita, 6, 13 maggio 1981: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV, 1 (1981) 1174.). La soluzione della “questione operaia” costituiva il punto centrale dei suoi sforzi. Nella sua enciclica leggiamo le memorabili parole: “I lavoratori non devono essere considerati e trattati come schiavi; va vista come sacra la dignità della loro persona che è stata nobilitata dalla loro dignità di cristiani” (Leone XIII, Rerum Novarum , 16). Per difendere questa dignità personale del lavoro, minacciata dalla nuova economia industriale, Leone XIII richiese il contributo della Chiesa, l’aiuto dello Stato e l’iniziativa personale dei lavoratori. È significativo che già nel 1891 Papa Leone XIII vedeva nel responsabile contributo dei lavoratori stessi un essenziale passo in avanti per il superamento della lotta di classe e per la costruzione di una società degna dell’uomo (cf. Ivi 36.43).

2. Nei passati novant’anni molte cose sono mutate, anche nel mondo del lavoro. La dottrina sociale della Chiesa ha accompagnato attentamente questo mutamento e ha cercato di contribuirvi. Nella mia ultima enciclica Laborem Exercens ho espresso la convinzione che oggi siamo “alla vigilia di nuovi sviluppi nelle condizioni tecnologiche, economiche e politiche che, secondo molti esperti, influiranno sul mondo del lavoro e della produzione non meno di quanto fece la rivoluzione industriale del secolo scorso” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens , 1). Nella stessa enciclica ho insistentemente sottolineato come oggi a livello mondiale vi siano “nuove modalità di ingiustizia” e “ben più vaste di quelle che, nel secolo scorso, stimolarono l’unione degli uomini del lavoro per una particolare solidarietà nel mondo operaio” (Ivi, 8).

Si tratta oggi di assicurare nuovamente la dignità del lavoro umano nelle mutate situazioni economiche, politiche e culturali a livello nazionale e internazionale. Non è compito della Chiesa proporre programmi concreti. Ma è suo compito e suo dovere richiamare sempre di nuovo il fatto che il lavoro umano non è una merce ma che l’uomo “mediante il lavoro non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo” (Giovanni Paolo II, Laborem Exercens , 9). Da ciò consegue necessariamente il principio della priorità dell’uomo nei confronti delle cose, del lavoro di fronte al capitale (cf. Ivi, 12).

3. Nel tentativo di attuare praticamente questo principio, senza tralasciare naturalmente di tener sempre conto delle situazioni concrete, la responsabile compartecipazione dei lavoratori apporta un contributo decisivo, soprattutto nella forma di Sindacati organizzati. “L’esperienza storica insegna”, come ho sottolineato nella mia enciclica “che le organizzazione di questo tipo sono un indispensabile elemento della vita sociale, soprattutto nelle moderne società industrializzate” (Ivi, 20). Ma “la dottrina sociale cattolica non ritiene che i Sindacati costituiscano solo il riflesso della struttura di classe della società e che siano l’esponente della lotta di classe, che inevitabilmente governa la vita sociale... Il lavoro ha come sua caratteristica che, prima di tutto, esso unisce gli uomini; ed in ciò consiste la sua forza sociale: la forza di costruire una comunità. In definitiva, in questa comunità devono in qualche modo unirsi tanto coloro che lavorano, quanto coloro che dispongono dei mezzi di produzione, o che ne sono i proprietari (Ivi).

Nel vostro Congresso, illustri Signori e Signore, voi avete cercato metodi e soluzioni concrete, al fine di individuare come si possa, nonostante tutte le divisioni e i conflitti di interesse, raggiungere una maggiore unità e partecipazione. Di questo vi sono grato e incoraggio i vostri sforzi. In modo particolare sono lieto del fatto che voi operate in una collaborazione tra lavoratori tedeschi e italiani.

Sono convinto che la soluzione delle scottanti questioni del mondo del lavoro in futuro è possibile solo in una solidarietà dei popoli e degli stati. Accompagno il vostro vasto lavoro con particolare interesse, per esso vi formulo i miei migliori auguri e imparto a voi e ai vostri associati la mia benedizione apostolica.

Desidero rivolgere un saluto, anche in italiano, per ribadire l’importanza che attribuisce la Chiesa alle vostre Organizzazioni, destinate a tutelare i legittimi interessi dei lavoratori per un pieno conseguimento del bene comune nella giustizia e nella pace.

Il successo della vostra attività, come voi ben sapete, sta nella unità di azione che assicura benessere ai singoli e progresso nella produttività; al contrario le divisioni e le antitesi, soprattutto quando volutamente spinte a scavare solchi pericolosi, non possono portare risultati positivi né per i lavoratori, né per i datori di lavoro.

Vi ispirino sempre in questo vostro lavoro tanto nobile, ma anche tanto difficile, i principi religiosi e morali da cui la Chiesa attinge ispirazione nella sua dottrina sociale: essi assicureranno alla vostra opera quella interiore linfa vitale, quella forza ed efficacia che sono indispensabili in un campo così impegnativo come il vostro.

Vi sia di conforto la mia speciale benedizione apostolica.

DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II A TUTTE LE COMUNITÀ LASALLIANE

21 novembre 1981

Diletti fratelli e sorelle, Carissimi studenti,

1. Sono particolarmente lieto di trovarmi oggi con voi, qui convenuti numerosi da varie parti d’Italia, in rappresentanza della scuola cattolica lasalliana.

A voi Superiori, e in primo luogo al Superiore Generale, a voi insegnanti, studenti, familiari ed ex alunni va il mio più cordiale saluto, che si ispira a sentimenti di sincera stima ed affetto.

2. Nel trovarci ora qui, vicini e quasi all’ombra del Santuario di san Giovanni Battista de La Salle, dove sono conservate le sue venerate reliquie, spontaneo si eleva dall’animo il pensiero riconoscente a Dio, datore di ogni bene per aver ispirato al Fondatore dei fratelli l’istituzione delle Scuole cristiane.

La preoccupazione primaria di formare buoni maestri; il coinvolgimento degli alunni e dei genitori nell’azione educativa; il clima fraterno dei rapporti tra i docenti e gli alunni, fondato sul rispetto, la fiducia e l’amore; la valida formazione religiosa alimentata dalla catechesi e dalla vita liturgica; la fondazione di scuole diversificate secondo i bisogni della gioventù del suo tempo: per i fanciulli poveri, per i figli degli artigiani, per gli operai, per i maestri...; e anche l’uso della lingua materna, sono la dimostrazione evidente e concreta della grande attenzione che san Giovanni Battista de La Salle ebbe per l’uomo e per i segni dei tempi, e rappresentano felici intuizioni pedagogiche, profetiche e anticipatrici.

Della sua ricca spiritualità mi piace segnalare in questa circostanza l’amore profondo alla preghiera e alla meditazi