Discorso del 18 febbraio

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Libertà di informazione, Iraq e interesse nazionale

Intervento dell’Ambasciatore Giulio Terzi – 18/02/2014

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Italian version:

Sono lieto di avere l'opportunità di partecipare a questa Conferenza che propone riguarda dueelementi fondamentali per l'odierna comunità internazionale ormai globalizzata:

1.Il primo è il diritto alla verità, all'accesso pubblico all'informazione: condizione essenziale perl'attuazione dello stato di diritto nelle relazioni internazionali.

2. il secondo principio è relativo al concetto di "interesse nazionale" che enfatizza lapromozione dei diritti umani, della democrazia e delle libertà individuali. Anche per chi sostieneil realismo in politica estera , una ragion di Stato basata su rapporti di forza e predominanza è innetto contrasto con l'accordo che le democrazie moderne dovrebbero avere nella tutela delproprio "interesse nazionale".

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Quasi due decenni fa e ben prima della "coalizione dei volenterosi " USA-Uk in in Iraq (2003),Henry Kissinger inseriva una conclusione visionaria nel suo capolavoro , "La diplomazia ". Egliosservò come gli Stati Uniti sarebbero stati incoerenti con i propri valori fondanti, se nonavessero lottato per l'attuazione universale della libertà.

Nessuna dubbio, secondo Kissinger, circa l'idea di dover sostenere i governi democratici alposto di regimi repressivi, pronti anche a pagare un prezzo per perseguire questa convinzionemorale. La difficoltà - casomai - è nello stabilire a che il prezzo, e in quale relazione con altrepriorità chiave, tra cui la sicurezza nazionale e gli interessi geopolitici. Il primo passo dicomplessivo buonsenso, come diceva Kissinger, è quindi quello di riconoscere la necessità diraggiungere un equilibrio tra questi fattori.

Ma possiamo davvero dire che nel 2003 il dibattito sull'Iraq aveva lo scopo di trovare unequilibrio tra convinzioni morali, la sicurezza nazionale e gli interessi geopolitici?

Quanto erano ragionevolmente percorribili e realizzabili le strategie per trasformare un regimerepressivo, violento contro i suoi cittadini e vicini, in una democrazia vitale e pacifica?All'indomani dell'11 settembre, la percezione della minaccia posta dal terrorismo e dalle armi didistruzione di massa in Iraq è stata sostenuta da forti prove , o è stata fondata su unaintelligence fallace?

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Vi sono state molte risdposte a questi interrogativi. Sono passati dieci anni. Grandi sforzi sonostati fatti per aiutare l'Iraq nel suo arduo percorso verso la democrazia e lo stato di diritto.

Siamo in attesa di conclusioni dettagliate da parte di Sir John Chilcot. Avrebbero portare ungrande contributo alla Verità su una delle crisi più cruciali del nostro tempo. Gli sviluppi dellaquale stanno ancora oggi destabilizzando gli equilibri di potere in una regione - il Medio Oriente- con conseguenti conflitti religiosi etnici e politici di portata globale.

Come giustamente sottolineato da Sir John nella sua lettera del 15 luglio scorso al primoministro Cameron , il rapporto dovrebbe riflettere " la grandezza dei problemi esaminati, el'importanza delle lezioni che pensiamo aver bisogno di imparare".

Il non aver trovato traccia di armi di distruzione di massa in Iraq, e altri errori di valutazionecirca la minaccia rappresentata da Saddam Hussein sono alla base delle attuali incertezze nellenostre azioni odierne in Siria, e altrettanto si può dire circa i nostri attuali rapporti con l'Iran.Informazione libera e aperta, non è quindi solo un imperativo morale in onore del rispetto dellaverità, ma anche una condizione necessaria per guidare future decisioni su questioni vitali per inostri paesi .

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Considerando l'inchiesta del British Chilcot sulla guerra in Iraq, può essere opportuno prenderein considerazione la spiegazione fornita su alcune questioni spinose dallo stesso PresidenteGeorge W.Bush: gli Stati Uniti sono stati di gran lunga il principale stakholder e la forza motricetra i Paesi occidentali, in stretta cooperazione con Londra, per l'intervento militare in Iraq.

Nel complesso , circa un terzo delle memorie dell'ex Presidente degli Stati Uniti - dal titoloDecision Points - riguardano l'Iraq , e di per sé un segno della grande sfida vissuta dalla suaAmministrazione nel corso degli anni interi otto anni di mandato. Bush si sofferma su :preparazione diplomatica e militare delle fasi della guerra; deliberazioni gabinetto; ripercussionisul mercato interno; difficoltà con i Paesi alleati; fallimento nell'ottenere una "secondarisoluzione" che autorizzasse l'uso della forza più esplicitamente che quanto ammesso nella ris.del Consiglio di sicurezza n. 1441; l'istituzione dell'Autorità Provvisoria di Coalizione, guidata daAmb. Paul "Jerry" Bremer; la creazione del Consiglio di Governo Iracheno, unitamente alloscioglimento dell'esercito e le de- baathificazione del Paese.

Il presidente Bush ammette candidamente di aver dovuto insistere e dibattere molto circa gliordini di Jerry Bremer. Il programma di de-baathificazione si rivelò più complesso del previsto,dovendo rivelò tagliare ad un livello molto più profondo di quanto ci si aspettasse, atrivando aimembri intermedi del partito come gli insegnanti. Molti sunniti vi videro il segnale chesarebbero presto stati esclusi da un ruolo di peso nel futuro dell'Iraq.

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Per quanto riguarda la minaccia delle armi di distruzioni di massa, le osservazioni del presidenteBush sembrano altrettanto semplici . "Quando Saddam non ha utilizzato armi di distruzione dimassa sulle nostre truppe ho provato sollievo. Quando non abbiamo trovato tracce di siti dfistoccaggio di tali sostanze, ne rimasi sorpreso. Quando trascorse l'intera estate senza che se netrovassero, ne fui allarmato". Ricorda quindi a valutazione fornita al Congresso l'ottobresuccessivo da uno dei maggiori esperti della Cia, David Kay, che produsse "prove inconfutabiliche Saddam aveva mentito al mondo, in violazione alla risoluzione Onu 1441 circa i propriprogrammi sulle armi di distruzione di massa in più di due decenni , coinvolgendo migliaia dipersone e miliardi di dollari. Violazioni riccamente protette da operazioni di intelligence e diinganno che continuarono anche dopo la fine dell'Operazione Iraqi Freedom ". Nessuno , dice ilpresidente Bush , era più sconvolto o arrabbiato di quanto non fosse lui quando non hannotrovato le armi.

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La questione delle armi di distruzione di massa come pretesto per l'intervento militare el'ultimatum lanciato in risposta alla presunta violazione della risoluzione 1441, resterà senzadubbio come il più drammatico esempio delle difficoltà che esistono nel disegno delle lineerosse nell'ambito di politiche di non proliferazione efficaci e credibili. Le nazioni coinvolte inattività segrete di sviluppo di armi di distruzioni di massa, storicamente sono portate a tornaresui propri passi solo quando le loro menzogne vengono scoperte, manifestando pubblicamentele loro violazioni delle risoluzioni NPT o UNSC, con conseguente utilizzo di sanzioni o addiritturaminaccia dell'uso della forza militare. da parte della comunità internazionale, ai sensi delcapitolo VII del UN Charter. Khadafi arrestò il suo programma nucleare sotto la pressionedell'invasione dell'Iraq. L'Iran fece alcune temporanee aperture nello stesso anno, inutilmente,soltanto per continuare su un sentiero che condusse a ulteriori sanzioni e attività clandestine,come l'impianto non dichiarato a Fordow, scoperto poi nel settembre 2008. La RPDC hapersistito nel suo comportamento irregolare, causando ulteriori misure da parte dellacomunità internazionale. La Siria sta rinunciando, almeno lo speriamo! al suo arsenale chimico,dopo una pressione diplomatica intensa e la minaccia dell'uso della forza.

Le sfide che dobbiamo affrontare nel trattare contro la proliferazione delle armi di distruzionedi massa rendono estremamente importante conoscere tutta la verità sul processo decisionalenel 2002/2003, i livelli in cui l'interazione tra intelligence e valutazione di scenario politico sioffuscarono, i reali interessi di gruppi di pressione di lobby, le considerazioni geopolitiche cheebbero peso in queste decisioni.

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Ci sono almeno altre tre aree su cui l'indagine Chilcot può gettare luce. Aree in cui molte lezionipossono essere imparate. Informazioni tanto importanti per il futuro dell'Iraq , così come per lapolitica estera dei nostri Paesi, se vogliono essere ancorati - nel proprio agire - ad un concettomoderno di "interesse nazionale", che comprende la libertà, i diritti umani e la democrazia.

A) Nel gennaio 2003 il Parlamento italiano ha incaricato il Governo di perseguire l'obiettivo"Iraq libero", che avrebbe portato all'esilio di Saddam Hussein e ad una transizione di governo.Dopo la guerra, Saddam e Tareq Aziz avrebbe dovuto essere giudicati dalla Corte PenaleInternazionale, invece che da un tribunale iracheno in un clima di vendetta e di violenzasettaria. Marco Pannella e il Partito Radicale italiano sostennero con forza questoorientamento. Io ritengono che l'Iraq Inquiry può dirci che cosa è andato storto in questosignificativo episodio di "diplomazia preventiva".

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B) Negli ultimi dieci anni la violenza settaria non ha mai scemato, causando migliaia di vittime edi feriti ogni anno. Un trend che è stato mitigato solo dalla "surge" a guida USA nel 2007/08, mapeggiorata di nuovo in provincia di Anbar, come conseguenza del " senso di esclusione"percepito dalle comunità sunnite a causa del Primo Ministro al Maliki e altre dinamiche locali. Aciò si somma la percezione sunnita di una predominanza sciita nel governo, l'influenza iranianasu questioni di sicurezza, l'insorgere della guerra civile siriana. Gruppi terroristi come ISIS e AlQaeda continuano a trarre vantaggio dalla situazione di instabilità. Quando - due anni fa - ilvicepresidente al Hashimi è stato incriminato per una serie di reati, alcune voci si sollevaronoancora una volta sostenendo la necessità di istituire una Commissione per la verità e lariconciliazione. Potrebbe essere troppo tardi anche per percorrere questa strada. Ma in unPaese profondamente diviso, come l'Iraq, a tale opzione avrebbe dovuto essere data moltoprima una più seria considerazione.

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C) Il cambio di regime in Iraq ha esposto minoranze etniche e religiose a nuove violenze. Anchei cristiani sono stati presi di mira da attacchi terroristici frequenti e particolarmente odiosi, adesempio nell'ultima vigilia di Natale. Mentre anche altre comunità stanno anche soffrendo , iMujaheddin del Popolo Iraniano sono sistematicamente presi di mira da forze paramilitari chesono responsabili del massacro dello scorso settembre a Campo Ashraf, e continuano afunzionare senza alcuna ingerenza o controllo da parte del governo di Al Maliki. Gli iranianirifugiati a camp Liberty hanno lo status di persone protette da parte delle nazioni Unite. Itsarebbe importante sapere se la "responsabilità di proteggere " sia stata adeguatamenteconsiderata nello studio della Comissione di Sir John Chilcot.

Grazie per l'attenzione.

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English Version:

I am glad to have the opportunity of attending this Conference which hilights two fundamental priciples for today'globalized international Community:

1.The first one, is the Rigth to Truth through public access to information: an essential condition for implementing the Rule of Law in international relations.

2.The second principle relates to a concept of "national interest" which emphasizes the promotion of human rights, democracy and individual freedoms. Even for supporters of realism in foreign policy, a Raison d'Etat assertive of power and dominance is in sharp contrast with the understanding that modern democracies should have of their "national interest".

Almost two decades ago and well before the 2003 US-UK led "coalition of the willing" in Iraq, Henry Kissinger added a visionary conclusion to his masterpiece,"Diplomacy". He noted that the US would be unfaithful to its own values if it were not striving for the universal implementation of freedom.

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No question, according to Dr.Kissinger, that we should support democratic Governmentsinstead of repressive ones, being ready to pay a price in order to follow our moral conviction.The difficulty lies, however, in establishing that price and its relation with other key priorities,including national security and the overall geopolitical interest. The first step of wisdom, asKissinger said, is to recognize that such a balance must be achieved.

But can we really say that in 2003 the discussions on Iraq were aimed at striking a balancebetween moral convictions, national security and geopolitical interests?

How feasible were the strategies for transforming a repressive regime, violent against itscitizens and neighbours, into a viable and peaceful democracy?

In the aftermath on September 11 the perception of threat posed by terrorism and Weapons ofmass distruction in Iraq was supported by strong evidence, or was it grounded on wobblyintelligence?

We have been given many answers to theese questions. Ten years have passed. Huge effortshave been made to help Iraq in its rocky path towards democracy and Rule of Law.

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We are waiting for Sir John Chilcot detailed conclusions. They would bring a much welcomecontribution to the Truth for one of the most crucial crises of our time. A development which isaffecting the balance of power among regional Powers in Middle East,ethnic and religiousconflicts, and even global stability.

As rigthly pointed out by Sir John in his letter of last July 15 to Prime Minister Cameron, thereport should reflect "the magnitude of the issues we have been examining and the importanceof the lessons we believe need to be learnt“.

Failures in finding WMD in Iraq and in assessing in 2003 the threat posed by Saddam Husseinare still causing uncertainty in our actions for Siria,and may surface again as far as Iran isconcerned. Open information is therefore due not only as a moral imperative for Truth, but alsoas a necessary condition for future deliberations on issues vital to our Countries.

When we look at the British Chilcot Inquiry into the Iraq War it may be worth considering theexplanation given on some thorny issues by President George W.Bush himself; the US havingbeen by far the major stakholder and the driving force among Western Countries, in closecooperation with London, for the military intervention in Iraq.

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Overall, about one third of the former US President's memoirs - titled Decision Points - are onIraq, and that is per se a sign of the huge challenge felt by his Administration over the wholeeigth years mandate. Bush dwells on: diplomatic and military preparation of war; cabinetdeliberations; domestic repercussions; difficulties with allied Countries; failed efforts to obtaina "second resolution" which should have authorized the use of force more explicitly than Unscres. 1441; the establishment of the Coalition Provisional Authority led by Amb. Paul "Jerry"Bremer; the creation of the Iraqi Governing Council, toghether with disbandment of the Armyand de-Baathification of the Country.”

I should have insisted on more debate on Jerry Bremer's orders, President Bush candidlyadmits; the de-Baathification program turned out to cut much deeper than we expected,including mid level party members like teachers. Many Sunnis took it as a signal they wouldhave no place in Iraq's future".

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Concerning the threat of WMD, President Bush's remarks appear equally straightforward."When Saddam didn't use WMD on our troops I was relieved. When we din't discover thestockpile I was surprised. When the whole summer passed without finding any I was alarmed".He recalls the assessment given in Congress the following October by a leading CIA expert,David Kay, who produced "irrefutable evidence that Saddam had lied to the world and violatederes.1441 .Iraq's WMD programs spanned more than two, decades, involved thousands ofpeople, billions of dollars, and were elaborately shielded by security and deception operationsthat continued even beyond the end of Operation Iraqi Freedom". No one, says President Bush,was more shocked or angry than he was when they didn't find the weapons.

The WMD issue as a trigger for military intervention and the ultimatum launched in response tothe alleged violation of resolution 1441 will undoubtedly remain as the most dramatic exampleof the difficulties which exist in drawing red lines in the realm of effective and credible nonproliferation policies. States engaged in covert WMD activities have, historically, beenconvinced to reverse course only when caught lying, or violating the NPT and UNSC resolutions,and therefore being exposed to sanctions, or even use of military force, by the internationalcommunity, under chapter VII of the UN Charter. Khadafi surrendered its nuclear programunder the pressure of the Iraqi invasion. Iran made some temporary opening that same year, tono avail, only to continue on a path leading to further sanctions and hidden activities, such asthe undicleared plant in Fordow discovered in september 2008. DPRK persisted in its erraticbehaviour, igniting further measures by the international community. Siria is now giving up -atleast, we hope so! - its chemical arsenal after an intense diplomatic pressure and a threateneduse of force.

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The challenges we face in dealing with WMD proliferation make it extremely important to knowthe whole Truth about the decision making process in 2002/2003, the levels at which theinteraction between intelligence and political owersight went blurred, the real motives behindpressure groups lobbying, the geopolitical considerations which should have had a weight inthose decisions.

There are at least three other areas on which the Chilcot Inquiry can shed a light. Areas wherelessons sould be learned. They are equally important for Iraq's future as well as for ourCountries foreign policies, if they must be anchored to a modern concept of "nationalinterest"which encompasses freedom, human rights and democracy.

A) In January 2003 the Italian Parliament mandated the Government to pursue the "FreeIraq"objective, that would lead to the exile of Saddam Hussein and to a transition Government.After the war, Saddam and Tareq Aziz could have been tried by the ICC, instead of an iraqi Courtin a climate of sectarian revenge and violence. Marco Pannella and the Italian Radical Partymoved forcefully theese initiatives. I believe that the Iraq Inquiry can tell us what went wrong inthis significant episode of "preventive diplomacy".

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B) Over the last ten years sectarian violence has never stopped, causing thousands of casualtiesand wounded every year. A trend which was only mitigated by the US led "surge" in 2007/08,but deteriorated again in the Anbar province,as a consequence of the "sense of exclusion" feltby Sunni communities vis a vis Prime Minister Al Maliki, for a number of reasons. Among them,Sunnis resent a Shia predominance in Government, an iranian influence on security affairs, andthe spill over of the Sirian civil war. Terrorist groups, like ISIS and Al Qaeda are incresingly takingadvantage of the situation. When two years ago Vice President al Hashimi was indicted of anumber of crimes, some voices raised again the need to establish a Truth and ReconciliationCommission. It may be much too late even to discuss this venue. But in a profoundly dividedCountry, like Iraq, that option should have been given much earlier and much more seriousconsideration.

C) Regime change in Iraq has exposed minorities, ethnic and religious groups to widespredviolence. Among others, Christians have been targeted by frequent and particularly heinousterrorist attacks, even on last Christmas eve. While other communities are also suffering, thePeople's Mujaheddin of Iran are sistematically targeted by paramilitary forces which areresponsible of last September massacre in Camp Ashraf,and are still operating withouth anyinterference or control of the al- Maliki Government. The iranian PMOI residents of CampLiberty have the status of Un/Us protected persons. It would be important to know wether that"responsibility to protect" was properly considered during the period of time investigated by SirJohn Chilcot Commission .

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