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Disabilità e invecchiamento Al centro diurno La Fonte1, di fronte al fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza, il ruolo e l’intervento educativo si sono evoluti? Studente/essa Michela Gadina Corso di laurea Opzione Bachelor in Lavoro sociale Educatore Progetto Tesi di Bachelor Luogo e data di consegna Manno, 14 settembre 2015

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Disabilità e invecchiamento

Al centro diurno La Fonte1, di fronte al fenomeno dell’invecchiamento

dell’utenza, il ruolo e l’intervento educativo si sono evoluti? Studente/essa

Michela Gadina Corso di laurea Opzione

Bachelor in Lavoro sociale Educatore

Progetto

Tesi di Bachelor

Luogo e data di consegna

Manno, 14 settembre 2015

   

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Alla mia famiglia, grazie di tutto cuore.

“Se non ci fosse stato qualcuno genuinamente interessato al nostro “poter essere”, non avremmo potuto “esistere”.

Dove esistere non significa semplicemente vivere, ma essere presenti nel mondo potendo essere se stessi,

anzi, cercando se stessi, la propria forma, all’interno dei contesti e delle relazioni in cui da subito abbiamo abitato”.

Cristina Palmieri Estratto da Dal progetto educativo individualizzato al progetto di vita,

In “Animazione Sociale”, Aprile 2006, p. 76

L’autrice è l’unica responsabile di quanto contenuto nel lavoro.

   

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ABSTRACT Ho svolto l’ultimo periodo di pratica professionale del mio percorso formativo presso il centro diurno La Fonte1 di Agno, appartenente alla Fondazione La Fonte, volto a un’utenza con deficit cognitivo medio-grave. Nel corso dei mesi di lavoro, la tematica dell’invecchiamento dell’utenza è diventata sempre più elemento di riflessione da parte del personale con il quale mi sono confrontata. Cogliendo l’occasione di poter unire un interesse personale rispetto ai temi legati agli anziani all’attualità del contesto lavorativo, è nata l’idea per questo lavoro di tesi che ha voluto indagare se e in che modo il ruolo e l’intervento educativo, si sono evoluti di fronte all’invecchiamento dell’utenza. Per lo svolgimento di questa tesi sono andata ad analizzare il fenomeno dal macro al micro. Dapprima ho volto lo sguardo al nostro contesto socio-culturale leggendo, nella parte teorica, il concetto di disabile, quello di invecchiamento e l’invecchiamento della persona disabile con gli occhi della nostra società. In seguito ho posto l’attenzione a quanto attuato a livello di Fondazione svolgendo un’intervista alla capo struttura e leggendo la documentazione messami a disposizione. Successivamente, entrando sempre più nel micro, mi sono concentrata sul Centro diurno tenendo un focus group con gli operatori e uno con gli utenti. Infine, ho intervistato l’ex presidente della Commissione genitori della Fondazione, per raccogliere il punto di vista dei famigliari. L’indagine ha permesso di rispondere alla domanda di ricerca e di individuare i tre elementi centrali che hanno caratterizzato l’approccio della Fondazione rispetto al tema dell’invecchiamento. Il primo elemento riguarda la sensibilizzazione, l’informazione e la formazione rispetto alla tematica, svolto sia con il personale sia con le famiglie, attraverso la collaborazione con altri professionisti. Questo ha portato alla creazione, in collaborazione con l’Ufficio Invalidi, di un gruppo di lavoro cantonale misto che si dedica all’approfondimento delle tematiche legate all’invecchiamento delle persone disabili. Il secondo interessa la struttura Fonte1 che, per rispondere ai bisogni degli utenti, è stata trasformata da Laboratorio in Centro Diurno. Questo cambiamento ha portato a riconsiderare gli atelier nella loro organizzazione e nella strutturazione degli spazi; inoltre il lavoro produttivo ha perso d’importanza a beneficio di attività più adatte all’utenza che sta invecchiando, considerando allo stesso tempo gli utenti più giovani. Il terzo elemento concerne l’adattamento del ruolo e dell’intervento educativo. Gli educatori, anche attraverso una riflessione rispetto alla propria formazione, hanno dovuto adattare i modi comunicativi e relazionali alle nuove (o diverse) esigenze dell’utenza, adottando o rivalutando strumenti quali: il bagaglio dell’utente, l’osservazione, il lavoro di rete e la cura emotiva.

   

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Quanto emerso, dunque, mi ha dato l’opportunità di capire e conoscere i cambiamenti che negli anni sono avvenuti in risposta al fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza. Ho colto l’importanza del costante impegno da parte degli operatori al fine di adeguarsi e migliorarsi personalmente e professionalmente per rispondere ai (nuovi) bisogni delle persone con cui sono confrontati. In conclusione, questo lavoro mi ha permesso di crescere sia a livello personale sia professionale, lasciandomi diverse riflessioni tuttora aperte rispetto alle istituzioni attive sul territorio e a come si possa e si debba ancora migliorare.

   

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INDICE 1. Introduzione p. 6 2. Descrizione del contesto lavorativo p. 7

2.1. La Fonte1 p. 8 2.2. Gli atelier p. 9

3. Presentazione della problematica p. 10

3.1. Metodologia p. 10 4. Concetti teorici di riferimento p. 12 4.1. Il concetto d’invecchiamento p. 12 4.2. Il concetto di disabile p. 13 4.3. L’invecchiamento della persona disabile p. 14 5. Dissertazione p. 16

5.1. Intervista alla capo struttura p. 17 5.2. Focus group con gli operatori p. 17 5.3. Focus group con l’utenza p. 18 5.4. Intervista all’ex presidente della Commissione genitori p. 18

6. Elementi chiave p. 19

6.1. La Fondazione La Fonte e il fenomeno dell’invecchiamento p. 19 6.2. La Fonte1: da Laboratorio a Centro diurno p. 20 6.3. Il ruolo e l’intervento educativo al centro diurno La Fonte1 p. 24

7. Conclusioni p. 31

7.1. Limiti p. 33 8. Riflessioni finali p. 33 Bibliografia e documenti consultati p. 36 Allegati p. 38

   

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1. INTRODUZIONE L’argomento centrale di questo lavoro di tesi è l’invecchiamento dell’utenza presente presso il centro diurno La Fonte1 di Agno il quale accoglie persone adulte con disabilità cognitiva medio-grave. L’invecchiamento è sempre più un tema d’attualità nella nostra società: si voglia per le domande che ci si pone in merito alla presa a carico, a come porsi nei confronti degli aspetti che si vanno a creare come per esempio le malattie che potrebbero subentrare, o ancora all’idoneità o meno delle istituzioni e del personale, o al “Dopo di noi” che è un pensiero che accompagna le famiglie rispetto a quando loro non ci saranno più. Nel corso dell’ultimo periodo di pratica professionale, attraverso lo scambio e il confronto con i colleghi con i quali ho collaborato, ho riscontrato questa tematica come una delle parti centrali del loro pensiero e delle loro riflessioni che trattavano l’invecchiamento delle persone disabili. Le stesse, andavano a indagare più aspetti e il coinvolgimento degli operatori durante i momenti di scambio e confronto era sempre più presente. La ricchezza di stimoli e i nuovi interrogativi sui quali riflettere riguardavano il come porsi al meglio all’interno dell’Istituzione e come confrontarsi e superare i nuovi fenomeni che si vanno a creare con l’invecchiamento. Più nello specifico in che modo modificare, o come si sono modificati, il proprio ruolo o l’intervento educativo verso coloro che stanno vivendo questa fase e come prevenire e aiutare, se si può, quelli che vi entreranno, o ancora in che modo sostenere le famiglie. Prima di iniziare il percorso formativo presso la SUPSI di Manno, ho svolto degli stage in diverse case per anziani del nostro Cantone riscontrando positività e interesse verso la casistica con la quale mi sono confrontata nonché alle tematiche a essa correlate. Cercando di unire quindi l’interessamento verso questo fenomeno all’attualità dello stesso nella nostra società, ho scelto l’argomento per questo lavoro di tesi. Un’ulteriore fonte di motivazione è stata la curiosità di conoscere il percorso svolto e che ancora è in movimento presso il centro diurno La Fonte1. Da una parte capire le motivazioni e le conoscenze che sono state utilizzate, come pure capire gli stimoli e le riflessioni che hanno forse permesso di adeguare il proprio ruolo e l’intervento educativo e/o che sono tutt’ora presenti. Dall’altra osservare se il pensiero e la percezione rispetto a quanto attuato ha avuto un impatto nell’operativo del Centro diurno. Il tutto senza dimenticare quanto sia stato realizzato a livello macro di Fondazione.

   

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2. DESCRIZIONE DEL CONTESTO LAVORATIVO La Fondazione La Fonte, ente di diritto privato, è stata fondata nel 1980 e scaturisce dalla richiesta e dall’impegno di alcuni genitori con figli disabili grazie anche alla donazione di un sostegno finanziario da parte di una persona rimasta anonima. L’obiettivo prioritario era quello di “promuovere, realizzare e gestire strutture nel Cantone Ticino, destinate all’integrazione sociale e professionale degli invalidi mentali e fisici, quali: centri di integrazione, laboratori per l’occupazione permanente, case ed appartamenti protetti come pure le relative strutture ad uso sociale collettivo”.1 La missione tuttora condivisa resta la medesima, ma l’azione è volta verso quelle persone che già beneficiano, o aspettano di poter percepire, una rendita d’invalidità. La Fondazione è sussidiata dal Dipartimento della sanità e della socialità del Canton Ticino, tramite l’Ufficio degli invalidi, attraverso la LISPI (Legge sull’Integrazione Sociale e Professionale degli Invalidi) “che sostiene le strutture e i servizi destinati agli invalidi (…)”.2 In riferimento a ciò è bene far capo al principio di sussidiarietà per il quale se un organo inferiore non dispone di sufficienti mezzi per lo svolgimento del suo compito, ecco che l’organo superiore interviene attraverso un contributo finanziario. In questo momento le attività della Fondazione, suddivise in otto strutture, comprendono due settori d’intervento, ossia quello residenziale e quello lavorativo con diversi campi di attività: occupazionale, industriale, artigianale e agricolo. La cultura istituzionale prevede un continuo interesse rispetto alle problematiche sociali, soprattutto se improntate sulla disabilità; ad esempio il tema dell’integrazione o quello dell’invecchiamento delle persone disabili. Inoltre una parte del mandato istituzionale è volta alla protezione degli utenti rispetto ad abusi e maltrattamenti. I macro obiettivi della Fondazione sono due: il primo è quello di creare, attraverso le proprie strutture e risorse, le migliori condizioni socio-ambientali così da promuovere un clima di lavoro e convivenza adeguato ai propri utenti e alle loro esigenze e possibilità; il secondo, non di minore importanza, è la gestione istituzionale efficiente che rispetti le possibilità finanziarie e le risorse a disposizione. Il mandato prevede inoltre di favorire un benessere “generalizzato” ai destinatari ponendo quindi al centro delle proprie attenzioni gli ospiti stessi “riuscendo nel contempo a:

1. Focalizzare gli obiettivi e l’azione istituzionale sul cliente; 2. Coinvolgere le risorse interne a disposizione; 3. Rilevare e misurare costantemente l’attività attraverso l’uso dei precisi criteri ed

indicatori;

                                                                                                               1 La Fonte, fondazione a sostegno della persona disabile. Chi siamo. http://www.lafonte.ch/I/chi-siamo.html (14 ottobre 2014) 2 Repubblica e Cantone Ticino. Ufficio degli invalidi. Chi siamo. http://www4.ti.ch/dss/dasf/ui/chi-siamo/sostegno-e-integrazione-sociale-alle-persone-con-andicap/ (7 luglio 2015)

   

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4. Supportare sistematicamente, attraverso la formazione/informazione e la gratificazione, un processo di miglioramento continuo, di costante autocritica e prevenzione”.3

Con lo scopo di garantire uno strumento che rappresenti una guida, è stata creata una carta dei valori. Essa comprende la coerenza, la fiducia, la professionalità, il rispetto, la lealtà e l’equità. Tutti valori che creano coesione e garantiscono una visione comune con la quale i professionisti operano e tengono presente per il raggiungimento degli obiettivi comuni. Infine l’istituzione “fonda il proprio pensiero sull’assunto della non divisione tra i concetti di "normalità" e quello di "diversità””.4

2.1. La Fonte1 Tra le otto strutture attive rivolte al territorio, La Fonte1 di Agno è un centro diurno, aperto dal lunedì al venerdì, volto a un’utenza con deficit cognitivo medio-grave. Ha un massimo d’accoglienza pari a ventotto posti a tempo pieno e, in relazione al bisogno dell’utente e cercando comunque di favorire una continuità ritenuta indispensabile, si può decidere per un’occupazione a tempo parziale. I diversi obiettivi generali sono:

− “Il raggiungimento del benessere psico-fisico dell’utente; − Lo sviluppo (acquisizione di competenze e apprendimento di autonomie) ed il

mantenimento delle potenzialità di ciascun utente; − La socializzazione: differenziazione e integrazione adeguate; − Elaborazione della separazione e del distacco; − Il contenimento; − La cura”.5

All’interno della struttura vi sono più figure professionali: una capo struttura, gli educatori sociali, i terapisti, i tirocinanti e il personale ausiliario. L’équipe dei terapisti, collaborando in stretto contatto con l’équipe educativa, si occupa della presa a carico terapeutica-riabilitativa. L’équipe educativa, invece, composta dalla capo struttura, dagli educatori sociali e dai tirocinanti, si occupa della presa a carico dell’utente ed è costituita da persone con diversi percorsi formativi. La presa a carico è intesa come “accompagnamento, supporto e cura, ove l’educatore diventa il punto di riferimento e colui che “contiene””.6

                                                                                                               3 La Fonte, fondazione a sostegno della persona disabile. Sistema di gestione della qualità. http://www.lafonte.ch/I/sistema-di-gestione-della-qualita.html (14 ottobre 2014) 4 La Fonte, fondazione a sostegno della persona disabile. Chi siamo. http://www.lafonte.ch/I/chi-siamo.html (14 ottobre 2014) 5 Fondazione la Fonte, SGQ LIV 2 COD 2.3.1-02 / VERS: 07/2013-03, p. 2 6 Fondazione la Fonte, SGQ LIV 3 COD 2.3.1-02 / VERS: 07/2013-03, p. 7

   

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Ogni membro del gruppo di lavoro ha una parte attiva per quel che concerne le strategie lavorative, la costruzione di progetti e la ripartizione dei compiti. Inoltre ognuno di essi è capo di un atelier e ne cura tutti gli aspetti di gestione, organizzazione, creatività e produttività. Il gruppo utenti che si ritrova a gestire nel quotidiano varia da tre a cinque. Egli diventa così loro referente e assume il compito di sviluppare per ogni persona il Progetto di Sviluppo Globale, tenendo in considerazione anche il suo stato di salute. Per assicurare una presa a carico lineare e globale, gli educatori si scambiano quante più informazioni possibili riguardanti gli ospiti, tenendosi così in costante aggiornamento. Ciò avviene principalmente durante le riunioni settimanali che servono anche per condividere sensazioni, rappresentazioni, situazioni di difficoltà o temi che richiedono un’attenzione particolare da parte di tutta l’équipe. Inoltre ogni educatore si occupa di mantenere i contatti con la rete degli utenti dei quali è referente, sia essa interna o esterna all’Istituto, al fine di garantire una continuità d’intervento.

2.2. Gli atelier La Fonte1 è organizzata in diversi atelier con sfondo terapeutico, all’interno dei quali le persone possono collaborare sia tra loro sia con l’educatore di riferimento. “L’attività rappresenta in primo luogo il mezzo che favorisce la relazione: permette all’utente di riconoscersi parte di un “tutto”, di avere dei punti di riferimento, di conoscere, riconoscere e confrontarsi con limiti e regole”.7 Gli spazi lavorativi offerti sono sei e si suddividono nel modo seguente:

1. Atelier Ago e Filo: dove sono prodotti oggetti quali per esempio biglietti augurali; 2. Atelier Attività per Conto Terzi (ACT): dove si svolgono attività semplici e

ripetitive delle quali il risultato è subito visibile; 3. Atelier Ceramica: nel quale si produce oggettistica varia; 4. Atelier Creaidea: nel quale operano utenti che necessitano di ritmi più lenti

piuttosto che spazi maggiormente tranquilli e strutturati. 5. Atelier Economia Domestica: dove si svolgono compiti per la gestione della casa. 6. Atelier Mosaico: rivolto a una tipologia di utenza medio-grave con tratti autistici.

Come complemento agli atelier sono proposte prestazioni interne, gestite dai terapisti, riguardanti l’area cognitiva e affettiva relazionale che comprendono per esempio il mantenimento scolastico.

                                                                                                               7 La Fonte, fondazione a sostegno della persona disabile. Strutture. Centro diurno Fonte1. http://www.lafonte.ch/I/centro-diurno-fonte-1.html (14 ottobre 2014)

   

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3. PRESENTAZIONE DELLA PROBLEMATICA L’obiettivo di questo lavoro è principalmente di comprendere, di fronte al fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza, se e quali cambiamenti hanno subito il ruolo e l’intervento educativo degli operatori del centro diurno La Fonte1. Le domande che mi hanno accompagnato durante tutto il percorso sono state: Vi è una consapevolezza rispetto al fenomeno del disabile che invecchia? Quale tipo di riflessione è stata fatta a livello Istituzionale e di Centro diurno? Vi sono delle strategie attuate o in previsione? In che modo, se è il caso, gli atelier, il ruolo e l’intervento educativo si sono adattati a questo fenomeno? Come vivono gli operatori, e quali sono se è il caso i cambiamenti avvenuti? Fino a quando la presa a carico del Centro diurno è idonea alla persona disabile che invecchia e cosa succederà dopo?

Tenendo presenti questi interrogativi, ponendo l’attenzione al Centro diurno e considerando la tempistica a mia disposizione, ho formulato la seguente domanda di ricerca:

“Al centro diurno la Fonte1, di fronte al fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza, il ruolo e l’intervento educativo si sono evoluti?”

Pertanto gli obiettivi di questo lavoro sono di rilevare se e quali strategie siano state attuate a livello di Fondazione per rispondere al fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza, per poi porre l’attenzione al Centro diurno: se e quali modifiche ha apportato al ruolo dell’educatore e all’intervento educativo, considerando inoltre i famigliari e gli utenti stessi. 3.1. Metodologia Per la realizzazione di questo lavoro ho deciso di prestare l’attenzione al tema dell’invecchiamento considerandolo dal macro al micro. Sono quindi partita orientando il mio sguardo alla dimensione sociologica per entrare sempre più nello specifico della Fondazione La Fonte arrivando poi al centro diurno La Fonte1: atelier, équipe, genitori e infine, ma non d’importanza, utenti. L'indagine è stata svolta, durante e dopo lo stage. Come primo strumento ho utilizzato l’intervista poiché permette di preparare e formulare domande d’interesse per la ricerca con la possibilità di approfondire alcuni aspetti, se necessario, nel corso dell’incontro. Ho intervistato la capo struttura di La Fonte1 (allegato 2) per conoscere il lavoro svolto a livello di Fondazione e iniziare a capire invece quanto messo in atto a livello di Centro diurno. In seguito, come rappresentante delle famiglie, ho intervistato l’ex presidente della Commissione genitori della Fondazione (allegato 4). Non ho incontrato il presidente

   

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attualmente in carica poiché, attivo da un anno circa, non avrebbe forse potuto garantire una visione abbastanza ampia a livello temporale. Come secondo strumento ho utilizzato il focus group svolgendone dapprima uno con gli operatori del Centro diurno (allegato 6); la scelta è stata dettata dal fatto che esso permette all’équipe di confrontarsi. Considerando che “le opinioni personali non nascono in un contesto di isolamento del soggetto, ma derivano dal confronto con le idee che ci stanno intorno”8, il focus group si è dimostrato idoneo per raccogliere le percezioni del gruppo di lavoro rispetto alla tematica trattata in questo lavoro. Inoltre “grazie all’interazione nel gruppo, e agli stimoli che ne derivano, nuove idee e opinioni possono essere illustrate in tutto il loro pieno significato, poiché i soggetti si sentono liberi di esprimersi e di condividere le proprie esperienze trovando sostegno, il più delle volte, negli altri”.9 Questi elementi non sarebbero stati possibili svolgendo un’intervista o dando ai singoli un questionario da compilare. L’incontro si è tenuto all’interno di un atelier prima della riunione settimanale; il luogo e il momento hanno favorito il clima e l’interazione che ha avuto come temi principali:

- La percezione dell’équipe rispetto all’invecchiamento dell’utenza; - Le modifiche (forse) attuate al proprio ruolo e/o all’intervento educativo di fronte al

fenomeno; - L’adeguatezza dell’istituzione e della formazione degli operatori per la presa a

carico nei confronti dell’utenza anziana.

Per la raccolta dati rispetto all’utenza ho svolto un secondo focus group creando un momento apposito di discussione con un piccolo gruppo di ospiti i quali stanno vivendo la fase della vecchiaia. L’incontro ha avuto lo scopo di parlare del fenomeno dell’invecchiamento anche correlato al Centro diurno per verificare se quanto sarebbe risultato, avrebbe avuto una coincidenza o meno con le altre raccolte dati svolte. Per la raccolta dati ho trascritto gli elementi più rilevanti che sono emersi (allegato 8). Infine, per quel che concerne la scelta della bibliografia, ho fatto capo ad alcune tesi che hanno trattato il tema dell’invecchiamento della persona disabile, verificando l’idoneità e l’attualità dei testi rispetto alla tematica principale di questa ricerca. Tengo a sottolineare che per questioni di correttezza nei confronti delle persone che si sono messe a disposizione e di protezione dei dati, è stato rispettato l’anonimato.

                                                                                                               8 COLELLA Francesca, Focus group. Ricerca sociale e strategie applicative, 1a ristampa 2014, 1a edizione 2011, p. 37 9 ibidem, p. 39

   

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4. CONCETTI TEORICI DI RIFERIMENTO Tenendo presente il tema centrale di questo lavoro, è bene iniziare attraverso un quadro teorico di riferimento che andrà a indagare il concetto d’invecchiamento, quello di disabile e infine l’invecchiamento della persona disabile.

4.1. Il concetto d’invecchiamento Nella nostra società l’invecchiamento è il ciclo di vita rappresentato da un progressivo e generalizzato declino. Da una parte vi è quello biologico inteso come la regressione progressiva delle funzioni dell’organismo (funzionali, fisiche e mentali); dall’altra troviamo l’invecchiamento secondario che è caratterizzato da quelle malattie legate all’età che possono essere curate o per lo meno rallentate. Si può quindi parlare di età anagrafica ed età biologica (o età fisiologica). L’età biologica è da intendere come “l’età che si può attribuire a un individuo sulla base delle sue condizioni morfologiche e funzionali (per esempio la qualità dei tessuti, degli organi o degli apparati)”.10 Anche se, “l’età biologica è influenzata da numerosi altri fattori incluse determinazioni genetiche e influenze comportamentali (…), ambientali (…) e socio-economiche (…). Non solo l’età anagrafica, ma anche il vissuto della persona determina le risorse sociali, economiche e culturali di cui gli anziani dispongono, nonché il loro stato di salute e la disponibilità nel prestare servizio al resto della società”.11 Alcune funzioni che, sebbene dipendano appunto dal processo individuale di ciascuno, generalmente diminuiscono la loro efficienza, sono la vista, l’udito, il linguaggio e la mobilità. In questo senso si può far capo:

• Al processo di fragilizzazione che “corrisponde alla riduzione, progressiva o repentina, ma inevitabile con l’avanzare dell’età, delle riserve fisiologiche e sensomotorie”.12

• Al concetto di fragilità che “subentra quando il processo di fragilizzazione raggiunge un livello tale da ledere la resilienza di una persona (…)”.13

È importante precisare che è impossibile stabilire esattamente le diverse età che definiscono il passaggio da un ciclo di vita all’altro: in Svizzera, a oggi, l’entrata nella fase dell’invecchiamento è attorno ai 77 anni per gli uomini e agli 80 per le donne, ma “fissare un’età di inizio della vecchiaia è una convenzione che può risultare utile a fini statistici, assistenziali, fiscali, pensionistici, organizzativi ma certamente molto meno ai fini antropologici, o clinici, o psicologici”.14 In questo senso, nel nostro Paese, “l’entrata nella                                                                                                                10 GIUDICI Francesco, et al., Fragilità e risorse della popolazione anziana in Ticino, Ufficio di statistica, 2015, p. 15 11 ibidem, p. 15, 16 12 ibidem, p. 54 13 ibidem, p. 54 14 FRANCHINI Roberto, La figura dell’animatore nelle strutture per anziani, Milano, Franco Angeli, 2002, p. 65

   

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“popolazione anziana” è convenzionalmente sancita dal sorgere del diritto alla rendita di vecchiaia”15 che rispecchia i 64 anni per le donne e i 65 per gli uomini. Ciò nonostante l’invecchiamento va considerato individualmente poiché, come già in parte anticipato, si manifesta “con modalità, ritmi, conseguenze estremamente variabili da individuo a individuo, in relazione a tendenze genetiche, a fatti preesistenti e a condizioni contingenti, nonché alle linee che avranno caratterizzato l’esistenza di ciascuno”.16

4.2. Il concetto di disabile Innanzitutto va precisato che il concetto di disabile, come i sinonimi a esso correlati, quali per esempio handicappato, variano di percezione, sguardo e rappresentazione a seconda del contesto storico e culturale con il quale si decide di leggerlo. A oggi, nella nostra società, si può definire il concetto di disabile secondo quanto segue. In Svizzera, dal 15 maggio 2014, è entrata in vigore la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità (CDPD). Essa ha lo scopo di “favorire, proteggere e garantire alle persone con disabilità il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali, nonché promuovere il rispetto per la loro dignità intrinseca. La Convenzione si propone di incentivare le pari opportunità dei disabili, di eliminare ogni forma di discriminazione all'interno della società e di contribuire allo sviluppo di un gruppo di persone che se non hanno alcuna sicurezza economica sono tra le più povere al mondo”.17 L’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della salute e delle disabilità), oltre a considerare le variabili personali per definire l’handicap, ha introdotto una classificazione dei fattori ambientali: prodotti e tecnologia, ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall’uomo, relazione e sostegno sociale, atteggiamento, servizi, politica. Inoltre ha definito la disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Attualmente sono considerati diversi gruppi di handicap tra i quali: persone che perdono la loro indipendenza e/o autonomia; persone con deficit o che hanno subito un trauma/danno in seguito a ferite di guerra, malattie, incidenti; persone con problemi di salute mentale o disturbi cronici. È importante precisare che deficit e handicap non sono sinonimi. Il primo è una condizione, è misurabile e può essere fatta un’analisi perfetta (per esempio la miopia); mentre il secondo è una situazione che l’individuo potrebbe ritrovarsi a vivere ed è influenzata da fattori sociali e culturali (per esempio un edificio provvisto solo di scale al

                                                                                                               15 GIUDICI Francesco, et al., op. cit., p. 13 16 CESA-BIANCHI Marcello, PRAVETTONI Gabriella, CESA-BIANCHI Giovanni, Invecchiamento biologico e psicologico, Parte IV, Ciclo di vita, Paolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione, 4/ed, http://www.ateneonline.it/moderato-rovetto4e/approfondimenti/10.pdf, 13 luglio 2015, p. 2 17 Confederazione Svizzera. Luglio 2015. Convenzione ONU, campo d’applicazione. http://www.edi.admin.ch/ebgb/00564/00566/05493/05920/index.html?lang=it

   

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quale una persona in carrozzella non ha accesso). Pertanto il deficit è una condizione sempre presente, ma diventa handicap in situazione, la quale è determinata dall’ambiente che può essere considerato facilitante oppure ostacolante. Attualmente, la Legge Federale sull'eliminazione della discriminazione contro le persone con disabilità (EPDA), considera il disabile come “toute personne dont la déficience corporelle, mentale ou psychique présumée durable l’empêche d’accomplir les actes de la vie quotidienne, d’entretenir des contacts sociaux, de se mouvoir, de suivre une formation, de se perfectionner ou d’exercer une activité professionnelle, ou la gêne dans l’accomplissement de ces activités”.18 Questa definizione fa riferimento a due modelli:

1. Il modello medico (o individuale): “le handicap est un problème médical individuel d’une personne dont l’organisme présente des déficiences durables. La réponse à ce problème passe principalement par des soins et/ou des moyens auxiliaires adaptés spécifiquement à cette personne”.19

2. Il modello sociale: “le handicap est un problème social collectif lié au fait que l’environnement social (culturel, institutionnel, bâti, etc.) dans lequel évolue une personne ayant un problème de santé durable ne permet pas à cette dernière de mener une vie sociale intégrée. La réponse à ce problème est d’abord collective, consistant à faire évoluer l’environnement pour lever les barrières qui s’opposent à la pleine participation de cette personne à tous les aspects de la vie sociale”.20

Nella nostra società, quindi, sono notevoli i passi in avanti fatti rispetto a questa tipologia di casistica e ancora molto è il lavoro da fare rispetto alla loro integrazione per quel che concerne il lavoro, il loro ruolo e la partecipazione all’interno della società. Lo stesso vale per la valorizzazione di questi cittadini che – portatori di vissuti, sentimenti e storie – devono prima di tutto, essere guardati, considerati e vissuti come ciò che sono: persone. 4.3. L’invecchiamento della persona disabile Il fenomeno dell’invecchiamento della persona disabile è una realtà con la quale la nostra società si è dovuta confrontare negli ultimi anni; realtà che ha permesso di riflettere su questo fenomeno e che lascia ancora molti spunti di riflessione. Vi è da considerare che, come nel processo d’invecchiamento nei normodotati, anche per i disabili avvengono dei cambiamenti. Vi sono delle funzioni cognitive che sembrano siano quelle maggiormente colpite dal deterioramento cognitivo:

1. “La rapidità di risposta; 2. La capacità visuo-spaziale;

                                                                                                               18 Confederazione Svizzera. Statistica Svizzera. Pubblicazione. Luglio 2015. http://www.bfs.admin.ch/bfs/portal/fr/index/news/publikationen.html?publicationID=3784, PDF, p. 5 19 ibidem, p. 5 20 ibidem, p. 5

   

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3. La capacità mnestica; 4. La capacità linguistica; 5. I processi di controllo esecutivo; 6. La capacità adattativa, intesa come possibilità di vivere in maniera adattata

nell’ambiente sociale di appartenenza”.21 Inoltre potrebbero esservi conseguenze su molteplici aspetti: sulle abilità funzionali (alcune delle quali potrebbero andar perse), sull’adattamento dell’ambiente, a livello d’integrazione sociale, sull’autonomia e sul benessere psicologico. Tutti elementi che a loro volta potrebbero ripercuotersi sugli aspetti fisici (ad esempio il movimento) andando a complicarli ulteriormente: a livello biologico, per esempio, alcune disfunzionalità potrebbero aggravarsi. Importante è portare la persona a sentirsi e a essere considerata attiva, pilota della propria esistenza ed esistere come soggetto e non come oggetto. Questo per evitare di cadere nella passività assistenzialistica per la quale, come processo alienante, porta la persona a diventare estranea a se stessa. Sostenendo questo si può citare John Dewey22. Egli sostenne che l’esperienza sia il fulcro nonché punto di partenza dell’educazione; pensiero ripreso da Goussot23 per il quale “l’idea di una costruzione sociale consapevole della persona attraverso l’esperienza di vita che funziona come apprendimento e possibilità di gestire i processi in atto senza mai perdere completamente il controllo della propria esistenza fa riferimento ad un modello educativo e riabilitativo della persona disabile dove quest’ultima è un attore protagonista del suo sviluppo e del suo percorso”.24 Spesso marginalizzati o considerati come eterni bambini, non s’integra il principio secondo il quale anche i disabili diventano adulti e di conseguenza anziani con rispettivi bisogni e richieste. L’operatore sociale, il famigliare o chiunque si confronti o lavori con queste persone dovrebbe far propria l’idea che anch’essi hanno un divenire, un futuro, e pertanto il disabile “ha bisogno di avere un accompagnamento capace di accogliere la sua richiesta di cambiamento ma di un cambiamento che permette di non perdersi totalmente e di non diventare completamente estraneo a se stesso”.25 Questo considerando tutte le aree che riguardano l’individuo, compresa la sua storia di vita poiché è anche attraverso questa che egli ha sbagliato, esperito, appreso e soprattutto si racconta e della quale bisogna portare rispetto e garantirne cura e dignità anche attraverso “attività e proposte che abbiano un senso e un significato nel vissuto della persona”.26

                                                                                                               21 COTTINI Lucio, Disabilità mentale e avanzamento d’età. Un modello di intervento multidimensionale per una vita di qualità, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 83 22 John Dewey (1859-1952): esponente di spicco del movimento pedagogico dell’Attivismo. 23 Alain Goussot: laureato in storia e filosofia, agrégé in pedagogia applicata, dottorato in storia. 24 COTTINI Lucio, op. cit., p. 44 25 GOUSSOT Alain, a cura di, op. cit., p. 29 26 ibidem, p. 37

   

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In questo senso si può prendere come riferimento il concetto di Qualità di vita (QdV) che, come sostiene Lucio Cottini27, può diventare da una parte un obiettivo e dall’altra un parametro di valutazione rispetto all’efficacia e all’efficienza delle proprie azioni. Difficilmente definibile e descrivibile si possono identificare alcuni aspetti fondanti della qualità della vita (QdV), ossia:

• “La qualità della vita è collegata ai bisogni e alle aspettative individuali. Pertanto, è impensabile un approccio che trascuri la dimensione di percezione soggettiva;

• Il soddisfacimento dei bisogni non è rimandato a un intervento meramente assistenziale, ma si riferisce alla capacità della persona di perseguire i propri obiettivi. In altri termini, non possiamo ignorare la componente di abilità individuali necessarie al mantenimento e al miglioramento della propria QdV;

• La QdV deve essere collocata all’interno del contesto sociale di vita, assumendo pertanto una connotazione ecologica;

• Infine, è evidente la dimensione prospettica del concetto di QdV. In altri termini, esso non si limita solamente allo stato attuale di benessere, ma si sostanzia anche nella capacità di dare un significato alla propria vita in vista del mantenimento futuro di un’immagine positiva di se stessi”.28

Importante è inoltre considerare l’invecchiamento come un processo di modificazione e non di deterioramento tenendo presente che il disabile non è il solo a invecchiare, ma con esso invecchiano anche i genitori. A questi ultimi è bene offrire un sostegno attraverso l’offerta di spazi di confronto e supporto, una parte informativa e non da ultimo l’ascolto, poiché i genitori sono una grande fonte di conoscenza dalla quale poter imparare o ai quali riferirsi riconoscendoli come risorsa e sostenendoli da subito, ancor prima del “Dopo di noi”. Infine, uno sguardo va orientato anche verso gli operatori, i modelli educativi di riferimento e le istituzioni, poiché gli anni passano anche per loro. 5. DISSERTAZIONE Dall’analisi dei dati raccolti sono sorti degli elementi rilevanti sul tema dell’invecchiamento all’interno dell’Istituzione che sono sicuramente da evidenziare. Nei capitoli seguenti sarà dapprima posto l’accento su quanto emerso dall’intervista alla capo struttura del Centro diurno arrivando, in un secondo momento, a quello di più significativo dato dal focus group svolto con l’équipe. Si passerà poi a ciò che è emerso con l’utenza per arrivare infine agli elementi più rilevanti dati dall’ex presidente della Commissione genitori. In secondo luogo, entrando nella parte centrale del lavoro, saranno approfonditi tutti gli aspetti emersi e raggruppati al fine di analizzarli nello specifico.                                                                                                                27 Lucio Cottini: Laureato in pedagogia e sociologia. 28 COTTINI Lucio, op.cit., p. 23

   

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5.1. Intervista alla capo struttura Dall’intervista alla capo struttura sono emersi elementi interessanti che riguardano sia la Fondazione La Fonte che, più nello specifico, il centro diurno La Fonte1 come pure gli atelier, il ruolo e l’intervento educativo. Quanto emerso a livello istituzionale riguarda un pensiero costante rispetto al tema dell’invecchiamento dell’utenza alla quale l’Istituzione si rivolge: negli anni la Fondazione ha sempre più focalizzato l’attenzione verso questo fenomeno, cercando di adeguare la propria strategia, al fine di rispondervi nel modo più adeguato possibile secondo le proprie conoscenze, le risorse e i limiti. Per quel che concerne La Fonte1, la trasformazione più rilevante è stata quella che l’ha vista diventare da Laboratorio a Centro diurno con tutti i cambiamenti, analizzati in seguito, che questo ha comportato. Quello che si è andati a modificare, adeguando la presa a carico alle necessità dettate dall’invecchiamento dell’utenza, sono stati da una parte gli atelier e dall’altra il ruolo e l’intervento educativo. I primi, negli anni, si sono mutati cercando di adattarsi alle esigenze di coloro che stavano invecchiando senza sfavorire i più giovani. Il ruolo e l’intervento educativo, invece, hanno dovuto (ri) valutare le strategie di approccio allargando il proprio sguardo a elementi prima nascosti o modificando lo stesso andando a osservarne altri o in modo differente. Nell’intervista, in merito, sono sorti diversi elementi: “l’educatore è diventato colui che favorisce poi, dopo lo sviluppo, il mantenimento delle cose. (…) L’aspetto fisico, funzionale è diventato importante, diversamente importante. (…) Ogni intervento va misurato singolarmente su ciascuno. (…) La rete ha dovuto allargarsi riconoscendo a ciascun elemento un campo di osservazione”.29 Tutti elementi che, come emerso con la capo struttura, restano comunque aperti alla continua riflessione.

5.2. Focus group con gli operatori Dal focus group con gli operatori, oltre che sostenere la tesi della capo struttura rispetto a una costante riflessione rispetto all’invecchiamento che ha permesso di definire un linguaggio comune quando si parlava del fenomeno, è emerso come ogni atelier si sia adeguato entrando nello specifico sulle modalità che si sono dovute attuare. Il tutto riflettendo molto ampliamente su cosa significasse per l’équipe un utente anziano e lavorare con esso: quali caratteristiche gli si attribuiscono e quali sono i cambiamenti più importanti sui quali prestare attenzione e rispondere. Cercando di rispondere al fenomeno, da una parte l’adeguamento è stato attuato nell’organizzazione degli atelier dove il lavoro è più mirato. Nel focus group un educatore

                                                                                                               29 Allegato Trascrizione Intervista alla capo struttura, p. 8, 9

   

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afferma che “oggi è veramente il vestitino che tu cuci sull’utente”.30 Dall’altra è emerso quanto lo stesso abbia comportato delle modifiche anche rispetto al proprio ruolo e all’intervento educativo; il tutto riflettendo sull’idoneità delle proprie conoscenze e/o della propria formazione.

5.3. Focus group con l’utenza Nel focus group svolto con un gruppo di utenti rappresentanti di coloro che stanno vivendo la fase della vecchiaia al Centro diurno, sono emersi degli elementi congruenti con quanto asserito sia dalla capo struttura, sia dall’équipe educativa. Questi riguardano il cambiamento da Laboratorio a Centro diurno, come pure gli atelier o l’approccio degli operatori come il ruolo e l’intervento educativo. Negli anni varie modifiche sono state attuate e gli utenti, da quanto emerso, ne riconoscono alcune riferendole da una parte al cambiamento a Centro diurno e dall’altra al loro invecchiamento e a ciò che esso ha comportato: la creazione dell’atelier Mosaico e quello Creaidea (prima atelier Incontro), i prodotti creati da loro e le tempistiche che si sono modificati, alcuni atelier (ad esempio quello di Falegnameria) da una parte che a oggi non sono più attivi e la proposta di nuove attività dall’altra. Il tutto attribuendo la causa di questo alla trasformazione a Centro diurno e/o al loro invecchiamento.

5.4. Intervista all’ex presidente della Commissione genitori Dall’incontro con l’ex presidente della Commissione genitori della Fondazione, è emersa una continua riflessione che da anni ha accompagnato l’Istituzione. La stessa ha coinvolto sia gli operatori, sia i genitori. Questi hanno potuto confrontarsi, formarsi e informarsi: vi è stata una presa di coscienza sia da parte degli educatori che dai famigliari anche grazie alla collaborazione con altri professionisti (ad esempio psicologi) che ha permesso di allargare la rete di lavoro che circonda gli utenti del Centro diurno. Riguardo, nello specifico, il tema dell’invecchiamento dell’utenza, l’ex presidente afferma che “è stato affrontato praticamente in serate, in serate di formazione e istruzione. Abbiamo avuto per esempio due geriatri (…) che hanno fatto un anno dopo l’altro delle conferenze e qui c’è stata un’ottima, una buona partecipazione dei genitori”.31 Inoltre egli afferma che “ormai il Cantone ha difficoltà finanziarie, ci sono restrizioni, tagliano a destra e sinistra e questo è un problema un po’ marginale”,32 riferendosi all’invecchiamento delle persone disabili. Pertanto, un aspetto sul quale l’ex presidente ha voluto porre l’accento, è stato quello economico inteso come la mancanza di risorse

                                                                                                               30 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 11 31 Allegato Trascrizione intervista all’ex presidente della Commissione genitori della Fond. La Fonte, p. 3 32 Allegato Trascrizione intervista all’ex presidente della Commissione genitori della Fond. La Fonte, p. 4

   

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finanziarie, ad esempio per l’adeguamento delle strutture e degli spazi offerti o la quantità di professionisti che vi operano. Per concludere, volendo entrare nello specifico di quanto è emerso dalla raccolta dati di ciascun attore, si può notare come vi siano degli elementi comuni. In primo luogo sarà dunque analizzato il rapporto della Fondazione La Fonte con il fenomeno dell’invecchiamento. Successivamente si entrerà nello specifico della Fonte1 che da laboratorio è diventata centro diurno cercando di analizzare il cambiamento e ciò che ha comportato. Infine sarà svolto un lavoro di approfondimento anche per quel che concerne un ultimo aspetto emerso, ossia il ruolo e l’intervento educativo. Nei prossimi capitoli si cercherà quindi di esporre quanto risultato dalle raccolte dati, cercando di analizzare e valorizzare ciascun elemento. 6. ELEMENTI CHIAVE

6.1. La Fondazione La Fonte e il fenomeno dell’invecchiamento Dall’intervista alla capo struttura è emersa una continua riflessione Istituzionale rispetto al fenomeno dell’invecchiamento. La stessa, infatti, afferma che “è stato fatto tutto un lavoro di riflessione fatto attraverso le supervisioni, piuttosto che il confronto in équipe, piuttosto che il confronto nei gruppi di lavoro, nelle attività. Sicuramente ci metteva a porre domande e interrogativi e sono alla base penso in quello che è la partenza di un lavoro in questo senso”.33 In seguito, nel 2004, è stato elaborato dagli operatori delle diverse strutture un documento con temi che secondo loro si sarebbero dovuti trattare a livello di Fondazione. Tale documento è stato ripreso e affrontato come gruppo di lavoro, composto dai capi struttura e dal coordinatore delle strutture, nel 2010. Citando Rossano Cambrosio, direttore della Fondazione La Fonte, il gruppo di lavoro “ha cercato di raccogliere informazioni per poi essere trasformate e considerate nell’ambito dello sviluppo futuro delle nostre attività professionali (…)”.34 Nel frattempo sono state organizzate diverse serate che hanno affrontato il tema dell’invecchiamento:

• Nel 2005 la serata che ha trattato, in collaborazione con la dottoressa Miranda Zürcher (psichiatra e psicoterapeuta), il tema “Dopo di noi”;

• Nel novembre del 2008, in collaborazione con Atgabbes, sono state organizzate due serate pubbliche con lo scopo di “(ri)focalizzare il tema, coinvolgendo gli addetti ai lavori di tutti i livelli, facendo soprattutto capire quanto questa tematica fosse ormai di dominio comune”.35

                                                                                                               33 Allegato Trascrizione Intervista alla capo struttura, p. 5 34 Notiziario ufficiale La Fonte d’informazione, no. 26, novembre 2012, p. 4 35 Notiziario ufficiale La Fonte d’informazione, no. 26, novembre 2012, p. 4

   

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• Nell’autunno 2011 è stata proposta un’altra conferenza, allargando la possibile partecipazione a famiglie e personale di altre istituzioni del territorio.

Sempre nel 2011 si è avviato l’incarico vero e proprio del gruppo di lavoro che, trovandosi a scadenze di quattro o cinque volte l’anno, ha continuato la collaborazione con la dottoressa Zürcher con riflessioni che “andavano attorno alla presa a carico, alla necessità di strumenti per meglio valutare lo stato delle funzioni e definire i trattamenti necessari per preservare l’autonomia”.36 Per ampliare la propria conoscenza, il gruppo di lavoro ha anche avuto modo di confrontarsi con altre realtà: Madonna di Rè e Noi, OTAF, Istituto Don Orione come pure, uscendo dal territorio nazionale, andando a visitare alcune strutture in Italia. Quattro anni fa, inoltre, è stata espressa la volontà di voler “allargare la riflessione attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro cantonale misto”37 che avrebbe dovuto occuparsi nello specifico dell’invecchiamento del disabile. Progetto che si è concretizzato nel 2013, grazie alla nascita di un gruppo misto di lavoro costituito dall’Ufficio degli invalidi. Una struttura che si è adattata in modo visibile all’invecchiamento è la casa con occupazione La Fonte3, situata a Neggio. La stessa ha creato al suo interno un reparto adibito per coloro che necessitano di spazi ridotti, cure particolari e prese a carico mirate e specialistiche. Inoltre, attualmente, è in corso l’adeguamento degli atelier interni in risposta a coloro che non sono più in grado di svolgere un’attività esterna, sia essa in un laboratorio o in un centro diurno, e che necessitano di un gruppo di lavoro ridotto. Pertanto, il lavoro svolto a livello istituzionale è stato notevole. La Fondazione ha iniziato l’approccio al fenomeno attraverso una riflessione che ne ha portato sempre più presa di coscienza e al quale si è cercato di rispondere attraverso strategie pensate e adeguate il più possibile. Le idee e i progetti futuri sul tavolo istituzionale sono diversi: “piccoli piani in ogni ambito che necessitano sicuramente ancora di un buon lavoro d’integrazione. (…) Le riflessioni ci sono, andranno messe in comunicazione”.38

6.2. La Fonte1: da Laboratorio a Centro diurno Tra le otto strutture attive sul territorio, La Fonte1 ha subito alcune modifiche interne di rilevante importanza. Una di queste riguarda la trasformazione della struttura da Laboratorio a Centro diurno, avvenuta nell’aprile 2004 che ha portato in secondo piano l’aspetto produttivo. La riflessione rispetto a questa possibile modifica era già presente negli anni precedenti; nell’intervista, infatti, la capo struttura, riferendosi a un caso di un utente che si stava confrontando con la demenza, riporta il pensiero di un’educatrice di allora: “Ma vorrà dire che noi in un futuro non potremmo più pensare di lavorare in questo modo, quindi la

                                                                                                               36 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 6 37 Notiziario ufficiale La Fonte d’informazione, no. 26, novembre 2012, p. 5 38 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 13

   

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produttività ok, ma dovremmo andare a vedere qualcos’altro?”39 Continua dicendo: “Ecco quello penso sia stato un po’ il momento in cui ha voluto dire cambiare, prendere in considerazione il cambiamento di quello che sto producendo in questo momento forse un giorno non lo farò, ma perché non avrò l’utenza in quel senso”.40 In questo senso è interessante osservare l’evoluzione della popolazione del Centro diurno dal 1998 al 2014 (allegato 9). Se dal 1998 al 2001 la percentuale di utenti presenti sotto il cappello “cura” era pari al 33%, nel 2011 è aumentata raggiungendo quasi il doppio nel 2014 dove la cifra era pari al 62%. Il cambiamento a Centro diurno non ha però modificato da subito il tutto, la trasformazione è avvenuta gradualmente negli anni. La struttura si è adattata in modo progressivo agli utenti di quel momento al fine di rispondere al meglio alle loro richieste e ai loro bisogni. Un altro aspetto che è cambiato con la trasformazione a Centro diurno è l’orario d’apertura proprio in risposta ai bisogni degli utenti: precedentemente si iniziava alle ore 8:00 del mattino, mentre oggi si è posticipato l’orario alle 9:00. Un elemento interessante emerso nel focus group è la considerazione dello stabile di Fonte1 e la sua organizzazione interna rispetto agli spazi. In questo senso Edu.6, nel focus group, fa riferimento ai girelli spiegando che lo spazio non è organizzato per permettere, agli utenti che lo necessitano, di muoversi con l’ausilio di questi mezzi. Un altro esempio potrebbe essere quello dei bagni situati al primo piano poiché non abbastanza grandi. Questo, come sostiene Edu.5 nel focus group, va a incidere su quella che è la sicurezza. Lo stesso problema lo evidenzia l’ex presidente della Commissione genitori sostenendo che bisognerebbe avere delle strutture più idonee. Quest’aspetto è importante da considerare poiché, come scrive Cottini, “le abilità motorie (…) si caratterizzano per una profonda utilità adattiva andando a influire trasversalmente anche sulle abilità cognitive, affettive e sociali, contribuendo in larga misura al raggiungimento di una reale qualità di vita. (…) Non da meno, però, sono le ripercussioni sulla dimensione prettamente psicologica: l’essere più efficienti e abili sul piano fisico si riflette in un aumento di sicurezza di sé e una maggior autostima”.41 Per affrontare l’invecchiamento, inoltre, la struttura ha pensato a “un’organizzazione differente all’interno dell’Organizzazione”42 agendo anche sugli atelier, sulla formazione dei gruppi e sulle attività che propone. I “processi di deterioramento, da considerarsi senza dubbio come un evento naturale reso particolarmente evidente dall’aumento della prospettiva di vita, sono accentuati quando la persona sperimenta condizioni poco stimolanti, sia dal punto di vista affettivo e relazionale, che da quello motorio e cognitivo”.43 Pertanto è essenziale un lavoro continuo in questo senso, individualizzato per ogni

                                                                                                               39 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 4 40 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 4 41 COTTINI Lucio, op. cit., p. 218, 219 42 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 10 43 COTTINI Lucio, Bambini, adulti, anziani e ritardo mentale – Progetti per la continuità educativa, Società Editrice Vannini, Gussago (Brescia), 2003, p. 255

   

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persona, al fine di offrire a essa quanto più funzionale. Vi è da sottolineare che il pensiero dell’équipe rispetto all’invecchiamento dell’utenza è continuo e si è sempre in discussione: “Io penso che l’invecchiamento e comunque nella presa a carico in generale ci debba essere movimento (…) questa è la chiave. (…) Io penso che bisogna sempre ambire a, a meglio”.44 Un atelier che si è adattato in modo importante al fenomeno dell’invecchiamento è il Creaidea che è stato creato “da un punto di vista proprio dell’ambiente, predisposto ad accogliere persone in età di… avanzata diciamo, di invecchiamento (…), gli utenti più anziani, ma che non sono più in grado di stare così, in altri ambienti più popolosi e più dinamici (…), il bisogno è quello di tranquillità (…): numero di utenti, vita… sicuramente ridotto, vita più tranquilla, vita ritmata, (…) una programmazione molto rituale”.45 La cura dell’ambiente assume così grande importanza e va costantemente valutata al fine di permettere di pensare e “individuare i sostegni che accrescono la piena partecipazione e il buon funzionamento di una persona nella vita comunitaria”.46 Inoltre offre la possibilità di non ridurre le aspettative ma potenziare “le abilità individuali necessarie per conseguire stati di benessere”47 che in altri atelier non sarebbero garantiti. Interessante, per l’atelier Creaidea, è osservare che sì accoglie gli utenti più anziani, ma non d’età: in questo spazio, vi sono utenti con età inferiori rispetto ad altri che occupano atelier diversi. Il termine “anziano”, in questo caso, non è dunque da riferire all’età anagrafica, bensì a quella biologica. La percezione degli utenti rispecchia la realtà; gli stessi nel focus group ricordano il cambiamento dello stesso da Incontro a Creaidea con la motivazione che è stato modificato per accogliere gli utenti “più anziani”. Per quel che concerne le attività, alcune di esse sono state adattate rispetto alla loro durata o ai ritmi che si sono rispettivamente ridotti o rallentati. Ne è un esempio l’uscita del lunedì pomeriggio, dove si fanno delle passeggiate e ci si ferma per consumare una bevanda: se una volta le passeggiate duravano tutta la mezza giornata e il ritmo nel cammino era sostenuto, a oggi ci si è adattati attraverso la riduzione di entrambi al fine di permettere alle stesse persone di parteciparvi. Un secondo esempio potrebbe essere il “Giornalino”. Quest’ultimo è pubblicato a scadenza regolare ed è “un’attività dove poi anche determinati utenti di questo tipo riescono a essere molto attivi”48 collaborando nella sua creazione. All’interno dello stampato sono esposti gli eventi del Centro diurno (per esempio la festa di carnevale), i pensieri degli utenti stessi, delle fotografie, una ricetta, l’oroscopo e dei giochi di parole. La partecipazione attiva a queste attività e le stesse proposte si rivelano positive poiché, come afferma la capo struttura, “tanti utenti hanno ancora bisogno di confrontarsi e

                                                                                                               44 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 15 45 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 12, 13 46 COTTINI Lucio, Disabilità mentale e avanzamento d’età. Un modello di intervento multidimensionale per una vita di qualità, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 188 47 ibidem, p. 32 48 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 14

   

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identificarsi come lavoratori”.49 In riferimento a ciò è bene ricordare che “l’importanza del lavoro come fattore fondamentale per l’affrancamento e l’integrazione sociale delle persone disabili (…) è una certezza ormai da tempo acquisita”50 ed è importante considerare e mantenere questo aspetto, poiché il lavoro è fortemente attaccato alla capacità di autodeterminazione. Sebbene l’autodeterminazione sia “uno degli elementi che subisce la maggiore contrazione nelle persone disabili durante il processo di invecchiamento”51, è uno dei due fondamenti – insieme alla qualità del supporto sociale – che aiuta a determinare il benessere individuale che dovrebbe essere un obiettivo implicito e presente di chi opera nel sociale. Anche nel focus group gli utenti hanno riconosciuto l’introduzione delle attività al di fuori degli atelier, quali per esempio le terapie e le attività di movimento, riconoscendole e parlandone con connotazione positiva. Un aspetto che è cambiato in modo importante è la produttività. Con il passaggio a Centro diurno, infatti, la stessa non è più un obiettivo primario, ma il quotidiano è diventato “più un lavoro sul gruppo. Se c’è un minimo di produzione la si continua, è un modo di scambio e di animazione del gruppo”.52 L’aspetto produttivo però, è andato diminuendo non solo per rispondere ai bisogni di un’utenza sempre più anziana, ma anche per permettere ai nuovi, ai giovani, di apprendere quelle competenze utili allo svolgimento del lavoro. “Siamo noi che dobbiamo adeguarci ai cambiamenti, sicuramente non loro a noi o all’atelier. E poi, se è il caso, bisogna introdurre in alcune situazioni nuovi strumenti di… di aiuto”.53 A questo proposito “le politiche riabilitative in questi ultimi tempi si sono rivelate efficaci nel fare cose per le persone disabili, migliorando la loro qualità della vita; tuttavia, si tratta adesso di creare le condizioni di vita affinché le persone disabili imparino a fare le cose per se stesse, mantenendo elevati livelli di autodeterminazione (…). In questo senso, allora, il potenziamento e/o mantenimento di adeguati livelli di autodeterminazione costituisce un primo fondamentale obiettivo di un approccio orientato alla qualità della vita”.54 Rispetto alla produttività, gli utenti nel focus group, la riconoscono come meno presente e la attribuiscono più motivazioni. Da una parte asseriscono che, producendo meno, il prodotto ha una maggiore qualità; dall’altra la loro età che aumenta come pure la stanchezza e gli acciacchi, non permettono un ritmo produttivo elevato come quello di un tempo. Nel racconto dei loro compiti quando La Fonte1 era ancora Laboratorio, infatti, si è potuto notare come questi fossero maggiori sia rispetto alla richiesta di prestazioni, sia alla risposta che gli utenti erano in grado di dare. Vi è dunque, in generale, una cura rispetto alle condizioni della persona, una parte di accudimento e stimolazione ben curata e pensata giorno dopo giorno; il tutto collegato al

                                                                                                               49 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 10 50 GOUSSOT Alain, a cura di, op. cit. p. 159 51 COTTINI Lucio, op. cit., p. 33 52 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 10 53 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 11 54 COTTINI Lucio, op. cit., p. 34

   

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contesto rispetto all’atelier che si offre: aspetto molto importante poiché, come si sa, il deficit è presente, ma diventa handicap in situazione. Questo adattamento mi fa pensare al Processo di Produzione dell’Handicap (PPH) che spiega come si crea una situazione di handicap; legame che credo sia interessante da portare. Questo modello considera sia i fattori personali sia quelli ambientali. I fattori personali si distinguono in sistemi organici (ad esempio il sistema muscolare) e attitudini, ossia la capacità di compiere attività fisiche e mentali (ad esempio camminare). I fattori ambientali, che possono essere facilitanti o ostacolanti, si suddividono in altre due categorie. La prima riguarda i fattori sociali, ossia quelli politico economici e socio-culturali; la seconda è rappresentata dai fattori fisici: la natura (ad esempio il clima) e la sistemazione (ad esempio le strade). Secondo il PPH, l’handicap risulta tale quando l’ostacolo corrispondente al fattore ambientale, in interazione con i fattori personali, impedisce la realizzazione delle abitudini di vita. Un adeguamento che è stato attuato all’interno degli atelier, che riprende anche il concetto di ritmo lavorativo, è la pausa della mattina: se prima si svolgeva a metà mattinata, tutt’oggi ogni atelier è libero di gestirla. Troviamo quindi alcuni atelier che la svolgono a metà mattinata e altri che l’hanno modificata nel momento di accoglienza al quale è offerto agli utenti del caffè con dei biscotti. Il tutto sempre facendo riferimento e pensando a cosa sia meglio per il gruppo con il quale si è confrontati e il lavoro che si andrà a svolgere. Se da una parte la produzione non è più tra gli obiettivi principali, oggi l’accoglienza ha assunto maggiore rilevanza: una volta gli utenti entravano nell’atelier e iniziavano a lavorare, oggi questi hanno la necessità di raccontare qualcosa e il bisogno di essere ascoltati; momenti che permettono loro di calmare le ansie, di contenersi e iniziare la giornata lavorativa in uno stato di maggior benessere. Allo stesso tempo permette all’educatore di osservare giorno per giorno il reale stato fisico e psichico della persona per adeguare la proposta di attività che dovrà svolgere nell’arco della giornata. In generale, dunque, la struttura come ogni singolo atelier ha cercato di rispondere il più possibile alle esigenze della popolazione che invecchia attraverso la formazione dei gruppi e delle attività proposte (durata, pause e ritmi), della produttività (che è passata in secondo piano), del dialogo, della relazione e infine avendo una cura maggiore nell’accoglienza.

6.3. Il ruolo e l’intervento educativo al centro diurno La Fonte1 Dall’intervista alla capo struttura è emerso come negli anni della sua esperienza lavorativa si sia arrivati a definire, anche per le statistiche interne, una suddivisione in aree per differenziare gli utenti del Centro diurno in fasce d’età:

• Area dello sviluppo: dai 18 ai 34 anni à 11 utenti; • Area del mantenimento: dai 35 ai 44 anni à 2 utenti; • Area della cura: a volte già dai 45 anni à 16 utenti.

   

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Le principali caratteristiche che la capo struttura mette in evidenza per definire un utente anziano sono l’età e i bisogni (come per esempio la diminuzione o la suddivisione degli stimoli); ciò precisando che queste caratteristiche sono una chiave di lettura e che l’invecchiamento è un processo e non può essere generalizzato, ma va considerato individualmente. Questo pensiero è confermato da Edu.8 quando dice che i cambiamenti “sono molto dipendenti dalla persona, anche indipendentemente dall’età”.55 Alcuni segnali comuni dell’entrata nella fase della vecchiaia rilevati dal gruppo di lavoro, però, sono il rallentamento nel fare, la perdita di memoria, il tempo d’attenzione maggiormente ridotto, l’intolleranza ai (troppi) stimoli, la chiusura, la perdita di autonomie e la parte fisica (ad esempio la menopausa per le donne). Tutti elementi in comune tra normodotati e disabili, ma che, se da una parte sono simili, secondo l’équipe dall’altra per i disabili la regressione è più precoce. Alcuni segnali comuni evidenziati dagli operatori sono confermati da Lucio Cottini nella citazione precedente a pagina tredici di questo lavoro. Da queste caratteristiche nascono altri bisogni emergenti e quindi altri o nuovi aspetti sui quali lavorare. Per i nuovi bisogni ne è un esempio quello dell’accompagnamento che, del resto, è presente dalla loro nascita, ma in questa fase dev’essere maggiormente curato. L’accompagnamento è inteso rispetto agli avvenimenti che, caratterizzanti del ciclo di vita della vecchiaia, segnano la persona a livello fisico e psicologico (ad esempio il passaggio alla menopausa per le donne): “le pur evidenti compromissioni della funzionalità organica hanno ricadute (…) sul suo benessere psicologico”.56 Ed è anche questo che l’educatore deve tenere presente per i progetti educativi al fine di promuovere “il benessere emotivo, l’autodeterminazione, la capacità di autocontrollo”.57 In questo senso è positivo quanto emerso dagli educatori nel focus group, ossia che anche nella fase della vecchiaia – sebbene sia più difficile – si può ancora apprendere e/o scoprire. Infatti, Cottini sostiene che “l’età avanzata per i soggetti con ritardo mentale (…) può venire considerata come un periodo di “opportunità e vulnerabilità” (…) in quanto, contrariamente a quello che ritengono alcuni ricercatori, sono possibili significative acquisizioni di abilità o, perlomeno, un deterioramento molto contenuto delle stesse (…)”.58 Un aspetto che va sottolineato rispetto ai concetti di accompagnamento e cura rispetto al Centro diurno, riguarda anche le famiglie. Edu.7 sostiene che “il ciclo di vita dell’utente è legato anche al ciclo di vita del genitore. Quindi c’è un cambiamento nell’utente ma anche del genitore”59 e viceversa. Nel corso delle riunioni in équipe o durante le supervisioni, questo è stato spesso fonte di discussione e riflessione. L’utente è spesso condizionato dallo stile di vita del genitore, anch’esso nella fase d’invecchiamento: stimoli e possibilità

                                                                                                               55 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 6 56 COTTINI Lucio, op. cit., p. 17 57 ibidem, p. 19 58 ibidem, p. 101 59 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 7

   

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sono ridotti ed è indispensabile che l’educatore volga la propria attenzione anche su quest’aspetto. Infatti “un buon numero continua ad abitare in casa con i genitori (…) i quali, chiaramente, sono ormai vecchi. Questo comporta l’assunzione di uno stile di vita con poche stimolazioni, rare uscite e scarsi contatti sociali, se non con altre persone anziane. È necessario che queste persone siano sollecitate a trascorrere del tempo fuori casa e che siano preparate al distacco dalla famiglia”.60 Considerando inoltre l’importanza della rete che circonda il disabile, nascono anche dei (nuovi) bisogni da essa. Per quel che concerne la famiglia, infatti, nasce il bisogno d’accompagnamento e supporto per il “Dopo di noi” attraverso il dialogo, l’informazione e la sensibilizzazione. Oppure riguardo alla difficile gestione del figlio poiché, anche i genitori, stanno vivendo la fase della vecchiaia dove le forze e le risorse non sono più quelle di una volta. In conclusione vi sono dunque degli elementi che permettono di definire gli utenti nella fase dell’invecchiamento, sebbene sia molto importante considerare la soggettività di ognuno in relazione anche ai contesti in cui si trova, siano essi famigliare che istituzionali. Entrando nello specifico del ruolo e dell’intervento educativo e partendo dalle prime riflessioni emerse anni fa dagli operatori, una prima modifica avvenuta che la capo équipe mette in risalto è stata la prospettiva intesa nella presa a carico dell’utente dove, con l’invecchiamento, oltre che a considerare l’evoluzione, bisogna contemplare anche l’aspetto involutivo con il quale ci si potrebbe confrontare. A questo proposito, al Centro diurno, è stata indispensabile “la costruzione di un linguaggio comune a livello d’équipe (…) a conseguenza di osservazione (…), una riflessione attorno a che cosa dovesse essere necessario rispetto alla tipologia d’utenza considerata, cosa potesse essere necessario osservare. Da lì perché osservare determinate cose, quindi determinati funzionamenti e come registrarli e da lì la riflessione attorno agli indicatori e la costruzione d’indicatori specifici”.61 Questi pensieri hanno permesso di introdurre lo strumento della valutazione funzionale del quale ha ribadito l’importanza l’ex presidente della Commissione genitori poiché permette, di anno in anno, di avere un’osservazione efficace al fine d’intervenire nel miglior modo possibile: “risulta assolutamente necessario disporre di un articolato, ma nello stesso tempo agile, sistema di valutazione, in grado di consentire il monitoraggio nel tempo dell’evoluzione delle persone con disabilità mentale di età avanzata”.62 Queste valutazioni permettono di osservare il processo d’invecchiamento a tempi regolari così da promuovere quegli interventi più adatti alla persona come per esempio la stimolazione cognitiva. Infatti “anche durante la vecchiaia è importante continuare una stimolazione cognitiva, perché il cervello è in grado di funzionare efficacemente, facendolo

                                                                                                               60 COTTINI Lucio, op.cit., p. 147, 148 61 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 8 62 COTTINI Lucio, op. cit., p. 146

   

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in modo diverso, rispetto alle età precedenti”.63 A La Fonte1, quindi, se da un lato si considera l’invecchiamento della persona con la quale si opera e le relative funzioni interessate, dall’altra vi è l’immagine che qualcosa ancora si possa fare. Edu.4 durante il focus group afferma: “Credo che comunque anche nella fase dell’anzianità si può ancora apprendere, secondo me. (…) È più difficile ma si può ancora. (…) È chiaro dipende dalla salute, dal contesto che ti trovi, dipende da tante cose, dagli stimoli eccetera”.64 Questo pensiero è confermato da Cottini il quale scrive che “anche durante la vecchiaia, dunque, è possibile agire in termini educativi, perché il cervello e, dunque, la mente, è in grado di funzionare efficacemente, facendolo in modo diverso, rispetto alle età precedenti”;65 e ancora “il livello di capacità cognitive (…) si connette e dipende anche da una serie di variabili ambientali”.66 C’è da sottolineare, però, che le valutazioni funzionali al Centro diurno vengono fatte anche su utenti più giovani che stanno vivendo altre fasi della vita. Questo è un aspetto positivo poiché è risaputa l’importanza delle valutazioni precoci al fine di valutare meglio lo stato della persona e gli interventi da attuare. Inoltre, come sostiene la capo struttura nell’intervista, anche la posizione dell’educatore, la sua motivazione e l’approfondimento si sono modificati. Per quel che concerne la posizione dell’educatore è bene citare l’atelier Creaidea. All’interno di questo spazio il ruolo dell’operatore è diventato soprattutto quello di mediatore tra gli utenti stessi. In questo senso egli stimola la relazione e aiuta a risolvere o affrontare al meglio le dinamiche relazionali che potrebbero crearsi. In tutto questo la comunicazione, l’animazione del gruppo e il dialogo – come anche all’interno degli altri atelier – diventano fondamentali ed elementi del quotidiano. Nel processo d’invecchiamento i disabili che vivono da soli o in casa sono coloro con il maggior rischio di emarginazione e/o isolamento sociale. Pertanto, promuovere tra gli utenti del Centro diurno dei rapporti forti e incisivi, diventa un obiettivo assai proficuo dal quale gli stessi potrebbero ricavarne beneficio. Al Centro diurno, visto l’interesse degli operatori anche su quest’aspetto, si possono notare delle amicizie tra ospiti, anche di età differenti, che si trasportano anche in altri contesti nei quali passano il loro tempo libero. Quest’aspetto è molto importante poiché vi è “la necessità di considerare l’educazione al tempo libero come un indicatore irrinunciabile dell’integrazione sociale e del benessere emozionale della persona con ritardo mentale”.67 Inoltre il dialogo e lo scambio sono utili anche per affrontare il processo d’invecchiamento. Edu.3 in merito dice: “(…) sicuramente una cosa è parlarne. I nostri utenti hanno delle capacità… relativamente alte per poter cominciare a discuterne (…), nell’usare il corpo

                                                                                                               63 COTTINI Lucio, op. cit., p. 154 64 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 9 65 COTTINI Lucio, op. cit., p. 55 66 ibidem, p. 106 67 ibidem, p. 223

   

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tanto sui cambiamenti, le esperienze di uno a confronto con l’altro”.68 Questo avviene anche negli altri atelier. Edu.4 dice, infatti, che si parla spesso sul futuro, su cosa succederà e agli utenti sorgono tante domande in merito. Quindi l’aspetto della relazione, come afferma Edu.9, “il fatto di stare tutti insieme attorno a un tavolo, di sentirsi parte di un gruppo, di poter condividere più la parte emotiva”69 assume molta importanza. In questo senso si può fare riferimento alla membership: “il sentimento di sentirsi parte del gruppo. È una rappresentazione mentale che permette di identificare il gruppo come opportunità per la soddisfazione di bisogni: protezione, stima, autostima, identità, sicurezza, ecc”.70 Questo sentimento di maggiore apertura al dialogo è emersa anche dal focus group con gli utenti. Un utente, infatti, parlando dei cambiamenti avvenuti da Laboratorio a Centro diurno, evidenzia che oggi c’è più tempo per parlare dei propri pensieri esponendolo con connotazione positiva e trovando consendo dai compagni presenti. Per quel che concerne la motivazione, è bene una presa di coscienza degli educatori rispetto alle condizioni della persona considerando la stessa rispetto alla sua individualità, misurando singolarmente ogni intervento su ciascuno, a partire dal modo di formulare gli obiettivi: dall’ottica soprattutto di sviluppo, come sostiene la capo struttura nell’intervista, ecco che è entrata anche quella del mantenimento nella quale è bene formulare obiettivi perseguibili e raggiungibili. Questo è possibile attraverso un’attenta osservazione e conoscenza dell’utente e del contesto in cui ci si trova e delle risorse che si hanno a disposizione e/o dei limiti che si trovano. La formulazione di obiettivi adeguati, oltre che incidere positivamente sulla motivazione dell’utente, ricade anche su quella dell’educatore che, avendo prefisso obiettivi adatti alla persona, trae beneficio dai risultati, anche se poco visibili. In merito a ciò, durante il focus group, è nata la metafora del bagaglio inteso come le competenze e le risorse che l’utente dispone. “Ci sono dei pre-requisiti (…), quanto ciascuno, come uno arriva a quello che può essere l’età dell’invecchiamento. (…) Penso che la risposta di oggi è proprio quella di munire questa valigia e riuscire a mettere in questo bagaglio il più possibile funzionale ad avere più strumenti per affrontare le cose”.71 In questo senso gli interventi sono “finalizzati a potenziare le competenze cognitive per ridurre i rischi di decadimento o perlomeno per rallentarlo e allontanarlo”.72 Dallo scambio tra gli operatori, inoltre, è emerso che il bagaglio si può sì riempire, ma è altrettanto importante “guardare quali sono i vestiti che ci sono dentro, riconoscerli e magari cucire da una parte, allargare dall’altra, ma devi sapere che c’è”.73 Infatti “il fatto di avere alcuni spazi di indipendenza costituisce una grande conquista di dignità umana e di desiderio di vivere. Occorre quindi ovunque e comunque promuovere lo sviluppo e il mantenimento                                                                                                                68 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 10 69 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 11 70 Modulo Processi nell’équipe, prof. Nuzzo A. e prof. Pirozzi F., SUPSI/DEASS, Manno, Anno accademico 2013-2014, appunti personali 71 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 8 72 COTTINI Lucio, op. cit., p. 106 73 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 9

   

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delle competenze della persona; non renderla dipendente e passivizzarla. (…) Ernesto De Martino (…) fa giustamente la distinzione tra agire ed essere agito; nel primo caso la persona riesce ad autodeterminarsi, nel secondo caso viene determinata da altri”.74 È quindi importante, come dice Edu.3 nel focus group, che l’educatore riconosca questo bagaglio, ma è altrettanto e forse più importante che ne sia consapevole (anche) l’utente. Usufruendo inoltre della metafora del vestito come adeguamento del proprio intervento, e utilizzando le parole di un educatore, si può dire che “la modalità di adeguare il vestito c’è dappertutto, ma sicuramente il vestito di Ceramica non è lo stesso vestito del Creaidea”75 proprio per la predisposizione diversa dello spazio e della sua offerta. Riprendendo il concetto di approfondimento, c’è stato un cambiamento nello sguardo all’utente rispetto alla salute, sia essa fisica sia psichica: non che prima non ci fosse, ma che, come sostiene la capo équipe nell’intervista, ha assunto un’importanza diversa dove l’osservazione è diventata uno strumento assai rilevante. Con l’invecchiamento, inoltre, sono cambiate anche le relazioni: tenendo presente che per ogni persona c’è una rete, la stessa si è ampliata, con altre o nuove figure professionali, allargandosi. La cooperazione nella presa a carico è ribadita anche da Goussot il quale sostiene che le diverse figure professionali (educatori, psichiatri, infermieri, ecc.) “devono imparare a collaborare e a rendere complementari i loro punti di vista, devono dialogare nella gestione del processo di presa in carico e nell’accompagnamento”.76 Rispetto alla rete, composta anche dagli educatori, è stato chiesto loro e alla capo struttura se la loro formazione fosse idonea per la presa a carico degli utenti nella fase della vecchiaia. La capo struttura, per quel che concerne un centro diurno come quello di La Fonte1, non nutre dubbi in questo senso, benché vi sia un costante aggiornamento all’interno, per esempio attraverso la supervisione, e all’esterno, come la formazione continua o la partecipazione a conferenze tematiche. Gli operatori sostengono che l’esperienza abbia contribuito in modo sostanziale nel formarli e, a coloro che non l’hanno, è data comunque l’opportunità di entrare nel campo, che già ne ha, imparando dai colleghi. Ciò nonostante affermano la necessità di un aggiornamento continuo. Quest’aspetto è percepito anche dal presidente della Commissione Genitori, il quale afferma che gli operatori, sebbene siano migliorati negli anni, non sono formati per approcciarsi in modo idoneo al fenomeno dell’invecchiamento della loro utenza e quindi “ci sarà sicuramente un’evoluzione sulla, sul tipo di personale (…). In questi istituti la posizione dell’educatore è sempre importante, però dovrebbe essere affiancata anche da queste, da questi infermieri o specialisti in geriatria”.77 Alcuni apprendimenti che negli anni sono stati necessari sono per esempio quelli attribuiti al settore sanitario; da lì è probabile che sia nata la sensazione, smentita in seguito nel

                                                                                                               74 GOUSSOT Alain, a cura di, op. cit., p. 84 75 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 13 76 GOUSSOT Alain, a cura di, op. cit., p. 85 77 Allegato Trascrizione intervista all’ex presidente della Commissione dei genitori della Fond. La Fonte, p. 4

   

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focus group, per la quale il ruolo dell’educatore al Centro diurno stia diventando sempre più di cura. Potrebbe esserne un esempio quello di un utente di La Fonte1 che, avendo messo la dentiera, nel momento dopo il pasto ha necessitato l’apprendimento da parte degli educatori per la sua pulizia. Un gesto che se prima era solo nell’immaginario degli operatori, a oggi è diventato parte del quotidiano. Quindi è bene far capo al detto “sbagliando s’impara”, creando così un bagaglio che “serve oggi e sta entrando”,78 ma anche essere consapevoli che una conoscenza tecnica più approfondita rispetto al fenomeno e all’approccio con esso, garantisce una presa a carico, forse, più funzionale e adeguata al ciclo di vita e alla persona stessa. Questo anche se essere educatore è “un po’ come fare il genitore, nessuno te lo insegna (…) si cresce insieme e… e si sta imparando”.79 Un altro aspetto emerso dalla raccolta dati è quello della “cura emotiva” intesa come un’attenzione particolare nell’accompagnamento. Da una parte vi è quella riferita agli utenti per quel che concerne i cambiamenti del ciclo di vita e alla loro influenza sulla persona, sia essa positiva sia negativa. “Anche l’esperienza del dolore e della sofferenza rappresenta una fase in cui apprendere qualcosa su se stesso, sugli altri e sulla condizione umana: la capacità di ascoltare la parola sofferente del soggetto disabile permette di creare quello spazio autenticamente affettivo che affievolisce la sofferenza e permette di aprire (…) delle isole di benessere relativo (…) che aiutano la persona ferita nel corpo e nell’anima a vivere momenti, fossero solo parziali, di vita umana dignitosa. Nella relazione occorre passare da quello che Michel de Certeau (…) chiama la “scrittura dell’altro” a una “scrittura collettiva” (…). Una scrittura che sia la scrittura dell’esperienza relazionale tra l’operatore e la persona disabile; una scrittura dove sia presente la vita e i sentimenti di chi vive la disabilità nell’età adulta e nell’invecchiamento”.80 L’autore afferma anche che gli operatori “non sono preparati a gestire questa dimensione della vita della persona disabile che invecchia nella misura in cui fanno anche fatica a gestire la relazione con la propria sofferenza e con l’idea stessa di dolore e di malattia”.81 Questo viene ribadito anche da Edu.8 che afferma che “la cura non è solo per gli utenti ma anche per l’educatore stesso”.82 Dall’altra parte la cura emotiva è intesa per le famiglie, oltre che per il sostegno morale, per quello che riguarda i distacchi; infatti, la capo struttura nell’intervista dice che bisognerebbe allenarli. In questo senso significherebbe ragionare in modo approfondito sulla possibilità di concedere alle famiglie un “campo di allenamento”. “Nel momento in cui le persone con disabilità mentale hanno la possibilità di fare un piano su che cosa accadrà quando i genitori non ci saranno più, si sentiranno molto più sicuri”.83 Nel suo libro, questa

                                                                                                               78 Allegato Trascrizione intervista alla capo struttura, p. 2 79 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 18 80 GOUSSOT Alain, a cura di, op. cit., p. 51, 52 81 ibidem, p. 51 82 Allegato Trascrizione focus group con gli operatori, p. 8 83 COTTINI Lucio, op.cit., p. 148

   

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“palestra” – già presente nei pensieri istituzionali –, Cottini la chiama “residenzialità breve” e la considera come la “predisposizione di contesti abitativi che possano essere utilizzati per periodi circoscritti di tempo, che vanno da pochi giorni (…) fino a un paio di mesi circa. Le funzioni (…) sono diverse: consentire un distacco dalla famiglia per periodi limitati di tempo, (…); permettere ai genitori di prendersi un periodo di “stacco”, per poter coltivare interessi personali (…); rappresentare un supporto in condizioni di necessità non altrimenti affrontabili (…)”.84 Inoltre l’équipe tiene presenti le variabili che potrebbero influenzare l’apprendimento o il deterioramento, quali per esempio la salute, la rete, il contesto (lavorativo e/o abitativo) e gli stimoli; quindi vi è uno sguardo che va oltre il proprio contesto lavorativo e tiene in considerazione più aspetti che, interdipendenti dagli altri, assumono una notevole importanza e incidenza nella vita delle persone disabili. Per concludere, quindi, vi sono più aspetti che, rispetto al ruolo e all’intervento educativo, si sono modificati, o hanno dovuto essere (diversamente) considerati: la prospettiva intesa come l’introduzione della valutazione funzionale e l’incidenza del fenomeno sulla posizione dell’educatore, la sua posizione e l’approfondimento; la comunicazione, l’animazione di gruppo e il dialogo; il bagaglio inteso come la considerazione soggettiva di ogni persona al fine di adeguare il proprio intervento; l’osservazione; la collaborazione dei diversi soggetti presenti nella rete; la cura emotiva intesa sia verso gli utenti sia alle famiglie; e ancora la formazione degli operatori e le variabili che potrebbero condizionare il tutto. 7. CONCLUSIONI Il presente lavoro di tesi era volto a indagare se e in che modo il fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza presente presso il Centro diurno La Fonte1 di Agno, avesse modificato il ruolo e l’intervento educativo degli operatori attivi nella struttura. I risultati dell’indagine, svolta attraverso diverse modalità di raccolta dati, hanno senz’altro permesso di rispondere alla domanda di ricerca. Diversi sono stati gli approcci alla fase della vecchiaia, a partire dall’Istituzione stessa che, negli anni, si è interrogata sul fenomeno e vi ha risposto attraverso la creazione di un gruppo di lavoro che lo trattasse nello specifico. Intanto non sono state da meno le serate informative, e/o volte alla sensibilizzazione, alle quali hanno partecipato sia professionisti (psicologi, psichiatri e geriatri), sia i genitori e gli educatori. Inoltre sono state organizzate delle visite presso altre strutture per cogliere spunti interessanti e osservare altre realtà. Il lavoro e lo sguardo a questo tema, però, non sono terminati: vi è una continua riflessione rispetto a ciò che si potrebbe attuare per un futuro progetto istituzionale.

                                                                                                               84 COTTINI Lucio, op.cit., p. 195, 196

   

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Entrando nello specifico di La Fonte1, invece, il passaggio più caratterizzante, è stato quello da Laboratorio a Centro diurno che ha spostato l’aspetto della produzione, allora tra gli obiettivi principali, in retroscena favorendone altri maggiormente necessari all’utenza di quel momento: l’accoglienza ha assunto una valenza più grande, i tempi di lavoro sono andati rallentando e la gestione delle pause è specifica per ogni atelier. Gli atelier interni, inoltre, hanno giocato sulla loro formazione e la proposta di attività, adattando quest’ultime.

La parte centrale di questo lavoro riguardava il ruolo e l’intervento educativo. Gli stessi, negli anni, si sono modificati e/o hanno dovuto considerare nuovi aspetti o farlo in modo diverso. In questo senso è cambiata la prospettiva che ha introdotto la valutazione funzionale come strumento essenziale per osservare e garantire un intervento adeguato e monitorato nel tempo. Inoltre si è modificata la posizione dell’educatore, la sua motivazione e l’approfondimento che esso stesso fa anche attraverso la comunicazione, l’animazione di gruppo e il dialogo che hanno assunto una diversa importanza. L’osservazione è diventata essenziale al fine di promuovere e valorizzare il bagaglio dell’utente tendendo al contempo presente la sua individualità e misurando ogni intervento singolarmente. La rete, e la collaborazione degli elementi che la costituiscono, è un altro aspetto che negli anni ha assunto maggiore importanza. Inoltre si è introdotta la cura emotiva sia essa verso gli utenti, sia mirata alle famiglie, nonché una considerazione alle variabili che potrebbero influenzare positivamente o negativamente la fase dell’invecchiamento. Infine è emersa la necessità di nuovi apprendimenti da parte degli educatori per affrontare il quotidiano, come pure la loro formazione in merito che, a oggi, è sostituita dall’esperienza, dalla supervisione e dalla formazione continua. L’aspetto formativo, però, dovrà essere maggiormente pensato e curato includendo anche la presa a carico dei disabili che invecchiano, poiché è un (nuovo) fenomeno con il quale saremo tenuti a confrontarci nei prossimi anni e già lo stiamo facendo.

Il lavoro da attuare a livello istituzionale è ancora tanto e le idee e i progetti futuri si stanno pensando. Dall’altra parte vi è anche l’aspetto finanziario, del quale in parte è responsabile il Cantone che dovrà considerare questo fenomeno, cercando di sostenere le strutture presenti sul territorio ticinese promuovendone una presa a carico il più adeguata possibile. Il tutto attraverso valutazioni che, riprendendo le parole tratte dall’intervista svolta all’ex presidente della Commissione Genitori della Fondazione, dovrebbero forse essere spinte più dal punto di vista umano e delle necessità e meno da quello economico e finanziario.

   

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7.1. Limiti Un limite da esporre è senz’altro la fatica nel trovare una letteratura specialistica sul tema centrale di questo lavoro, poiché i testi trovati e consultati erano o rimandavano spesso agli stessi autori, oppure riguardavano la fase della vecchiaia di persone normodotate o con specifiche disabilità (ad esempio persone affette dalla sindrome di down). Un altro limite riguarda il focus group. Per questo lavoro di tesi ho deciso di svolgerne due: uno con gli educatori del Centro diurno e l’altro con gli utenti. La mancata esperienza in merito ha fatto emergere in me sentimenti d’insicurezza per la gestione di questi momenti (ad esempio come, quando e se intervenire nella discussione). Per quel che concerne quello svolto con l’équipe, un limite è stato l’assenza di due educatori all’incontro. Uno era assente per una malattia durata un mese circa, mentre l’altro doveva partecipare a un corso di aggiornamento: il loro contributo avrebbe magari potuto favorire l’emergere, proprio per il principio dell’influenzamento reciproco, diversi pensieri e/o riflessioni. Infine, in merito al focus group svolto con l’utenza, ho deciso di non registrare l’incontro. Pertanto, un limite, potrebbe essere la scelta di trascrizione “in diretta” dei dati per la quale, qualora avessi trascritto la registrazione, avrei riscontrato maggiori elementi o averli potuti presentare meglio dandogli più valore. 8. RIFLESSIONI FINALI Con il presente lavoro sono riuscita a cogliere gli elementi che, nel corso degli anni, si sono modificati per approcciarsi al fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza disabile, sia a livello di Fondazione, sia, più nello specifico, per quel che concerne il Centro diurno La Fonte1 con i suoi atelier e il ruolo e l’intervento educativo degli operatori. Questo mi ha permesso di rendermi maggiormente consapevole rispetto al lavoro che si svolge e che mutua negli anni per ottenere un risultato soddisfacente o il migliore che, con i mezzi a disposizione, si possa raggiungere. La ricerca mi ha indirizzato anche verso l’aspetto economico, inteso come i sussidi di cui le strutture sul territorio dispongono. Questo non è stato approfondito in questo lavoro poiché non ne era lo scopo, anche se, in veste di futura operatrice sociale, è bene tenerlo presente. La raccolta dati, le letture, gli scambi con i colleghi, i riferimenti ai moduli scolastici della formazione svolta presso la SUPSI utilizzati per lo svolgimento della Tesi, sono stati utili sotto molteplici aspetti. Da una parte mi hanno permesso di acquisire conoscenze in maggior misura sul fenomeno dell’invecchiamento dei disabili e allo stesso tempo dei normodotati. Dall’altra parte, oltre che a consentirmi di rispondere alla domanda di ricerca, hanno fatto nascere in me altri interrogativi per i quali sicuramente nel futuro prossimo cercherò risposte: vi è una consapevolezza da parte della politica rispetto al fenomeno e

   

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alla mancanza d’istituzioni adeguate? Quale sarà la futura risposta in merito? La formazione volgerà la sua attenzione anche a questo nuovo fenomeno? Quanto tempo ci vorrà per concretizzare, se vi è la reale volontà, questi progetti e cosa succederà nel frattempo? Sicuramente le mie conoscenze non mi permettono di rispondere in modo sufficiente a questi interrogativi, ma da alcune letture svolte per l’elaborazione di questo lavoro so che vi è una sensibilità politica nei confronti dei disabili nonché al tema dell’invecchiamento e ancor più rispetto all’invecchiamento delle popolazione in generale e a come fronteggiarlo. Inoltre, centrando l’attenzione a La Fonte1, sebbene vi sia consapevolezza del fenomeno e una continua riflessione in merito, mi chiedo quanto esso sia realmente adeguato alla presa a carico dell’utenza che invecchia, considerando soprattutto che all’interno della struttura vi sono utenti molto giovani. È vero, negli anni gli adeguamenti attuati non hanno influenzato la loro presa a carico, ma cresceranno anche loro. Nel focus group è emerso che se da una parte la diminuzione della produttività e l’adeguamento dei ritmi di lavoro sono stati attuati per coloro che stanno invecchiando, dall’altra rispecchia le esigenze di coloro che stanno imparando; e la casistica che corrisponde alla fascia intermedia, a oggi, è poco presente. Ma quando essa ci sarà? Come si adeguerà la struttura? Come cercherà di rispondere alla nuova fascia d’età (quella intermedia a oggi quasi assente) senza penalizzare le altre? Una riflessione, inoltre, va anche agli utenti che sono prima di tutto persone, e alla loro vita che è caratterizzata dal continuo spostamento in strutture: dalla scuola dell’infanzia a quelle successive per poi entrare nel mondo del lavoro o svolgere un’attività occupazionale, arrivando infine a dover, per scelta dei genitori o necessità, lasciare il nucleo famigliare e trasferirsi in un foyer: diversi contesti, diversi volti, diverse sensazioni – positive e negative – che, forse, non sono la loro scelta. E allora mi chiedo, se in tutto questo, se nella presa a carico e nel continuo adeguamento delle istituzioni, vi sia la consapevolezza riguardo a questi aspetti e la volontà di ascoltare anche le persone di cui ci prendiamo a carico: i loro reali bisogni e le loro reali richieste. Questo al fine di non cadere nella trappola per la quale pensiamo di agire per il loro bene, quando forse lo facciamo solo per il nostro. Ciò che più mi ha regalato lo svolgimento di questo lavoro in veste di futura professionista è senz’altro l’importanza di una continua riflessione. Sebbene apparentemente una struttura, un approccio o una modalità di educazione sia buona o migliore rispetto a un’altra, vi è sempre qualcosa su cui si può lavorare e altro che si può migliorare, a partire da noi stessi. Anni fa mai si sarebbe pensato di parlare oggi d’invecchiamento dei disabili e oggi, magari, non si pensa che in futuro ci saranno altri fenomeni su cui discutere e con i quali confrontarci o aspetti che fino ad allora non si avevano preso in considerazione. Ci sono molti elementi da considerare a partire dal contesto socio-culturale nel quale viviamo e che è in continua trasformazione, fino ad arrivare alla formazione di professionisti, alle nuove professioni che hanno dovuto trovare spazio e, forse, a nuove forme di

   

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collaborazione che saranno necessarie per adeguarsi maggiormente ai nuovi fenomeni come quello trattato nel presente lavoro. Concludendo, credo dunque che osservazione e auto-osservazione siano due concetti fondamentali che ogni operatore dovrebbe far propri. L’osservazione riguarda ciò che lo circonda: ambiente sociale, istituzionale e politico. L’auto-osservazione, invece, come costante, permette di non cadere nella trappola, realmente utopica, di sentirsi arrivati.

   

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BIBLIOGRAFIA E DOCUMENTI CONSULTATI Lavori di diploma

FUSCO Giovanni, Handicap e invecchiamento, tendenze emergenti e traccia per una possibile presa a carico, SUPSI, DLS, Canobbio, gennaio 2000

VANOLLI Romina, Gli anni passano, i bisogni cambiano… l’istituzione evolve?, SUPSI, DSAS, Manno, novembre 2011

WERTHMÜLLER Xenia, L’isola che non c’è? La vita adulta delle persone disabili in istituto, SUPSI, DSAS, Manno, settembre 2014 Libri e riviste

COLELLA Francesca, Focus group. Ricerca sociale e strategie applicative, 1a ristampa 2014, 1a edizione 2011

COTTINI Lucio, Bambini, adulti, anziani e ritardo mentale – Progetti per la continuità educativa, Società Editrice Vannini, Gussago (Brescia), 2003

COTTINI Lucio, Disabilità mentale e avanzamento d’età. Un modello di intervento multidimensionale per una vita di qualità, Milano, Franco Angeli, 2008

FRANCHINI Roberto, La figura dell’animatore nelle strutture per anziani, Milano, Franco Angeli, 2002

GIUDICI Francesco, CAVALLI Stefano, EGLOFF Michele, MASOTTI Barbara, Fragilità e risorse della popolazione anziana in Ticino, Ufficio di statistica, 2015

GOUSSOT Alain, a cura di, Il disabile adulto, anche i disabili diventano adulti e invecchiano, San Marino, edizione Maggioli, 2009

PALMIERI Cristina, Dal progetto educativo individualizzato al progetto di vita, In “Animazione Sociale”, Aprile 2006 Riferimenti a corsi scolastici SUPSI-DEASS

Modulo Cicli di vita, prof. Lavizzari P., SUPSI/DEASS, Manno, Anno accademico 2012-2013

Modulo Modelli e concetti dell’azione educativa, prof. Poletti F., SUPSI/DEASS, Manno, Anno accademico 2014-2015

Modulo Percorsi nelle disabilità, prof.ssa Balerna C., SUPSI/DEASS, Manno, Anno accademico 2013-2014

Modulo Processi nell’équipe, prof. Nuzzo A. e prof. Pirozzi F., SUPSI/DEASS, Manno, Anno accademico 2013-2014

   

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Alma Mater Studiorum, Università di Bologna <https://www.unibo.it/sitoweb/alain.goussot/cv> Consultato il 13 luglio 2015

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Enciclopedia Treccani <www.treccani.it> Consultato il 15 agosto 2015

Immagine di copertina <http://odiami.pianetadonna.it/come-assistere-un-anziano-154595.html> Consultato il 30 agosto 2015

La Fonte, fondazione a sostegno della persona disabile <http://www.lafonte.ch> Consultato il 10 giugno 2015

Repubblica e Cantone Ticino. Ufficio degli invalidi <http://www4.ti.ch/dss/dasf/ui/chi-siamo/sostegno-e-integrazione-sociale-alle-persone-con-andicap/> Consultato il 13 luglio 2015 Documenti PDF

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CESA-BIANCHI Marcello, PRAVETTONI Gabriella, CESA-BIANCHI Giovanni, Invecchiamento biologico e psicologico, Parte IV, Ciclo di vita, Paolo Moderato, Francesco Rovetto, Psicologo: verso la professione, 4/ed <http://www.ateneonline.it/moderato-rovetto4e/approfondimenti/10.pdf> Consultato il 13 luglio 2015 Notiziario ufficiale La Fonte d’informazione, no. 26, novembre 2012

   

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Fondazione la Fonte - Documento Sistema Gestione Qualità (SGQ):

Fondazione la Fonte, SGQ LIV 2 COD 2.3.1-02 / VERS: 07/2013-03

Fondazione la Fonte, SGQ LIV 3 COD 2.3.1-02 / VERS: 07/2013-03 ALLEGATI

1. Documento di complemento all’intervista alla capo struttura

2. Trascrizione dell’intervista alla capo struttura

2.2. Documento “Descrizione di impiego capo struttura”

3. Documento di complemento all’intervista all’ex presidente della Commissione genitori della Fondazione La Fonte

4. Trascrizione dell’intervista all’ex presidente della Commissione genitori della Fondazione La Fonte

5. Documento di complemento al focus group con gli operatori

6. Trascrizione del focus group con gli operatori

7. Documento di complemento al focus group con gli utenti

8. Trascrizione degli elementi più rilevanti emersi dal focus group con gli utenti

9. Documento “Evoluzione demografica 1998-2014”

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Documento di complemento all’intervista alla capo struttura L’intervista ha avuto luogo nell’ufficio della capo struttura e si è tenuta in due momenti: il primo mercoledì 3 giugno 2015, il secondo martedì 8 giugno 2015. Gli incontri sono durati in totale un’ora e mezza circa. Le domande iniziali hanno permesso di capire da quanti anni è attiva la capo struttura presso il centro diurno La Fonte1 e quali sono le sue mansioni principali. In un secondo momento sono state poste domande che hanno permesso di cogliere la sua idea rispetto all’invecchiamento e alle persone attive a Fonte1 che a suo parere stanno vivendo questa fase (caratteristiche, atelier di riferimento e compiti principali). Le domande restanti, invece, erano più di approfondimento per capire quale fosse stato, nel caso, il lavoro svolto a livello di Fondazione e Centro diurno per fronteggiare il fenomeno dell’invecchiamento dell’utenza e quello che invece, forse, è in previsione. Didascalia: R: ricercatore I: intervistato ( ): aggiunta di risate, riferimenti,… …: pausa, sospensione

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Trascrizione dell’intervista alla capo struttura R: “Da quanti anni lavori presso la Fonte1?” I: “(risata) In settembre 31.” R: “Quale ruolo ricopri all’interno dell’istituto e quali sono i tuoi compiti principali?” I: “Beh, il ruolo è quello di capostruttura. Come compiti principali te li riprendo dal mansionario. Beh sicuramente la gestione operativa della struttura, vuoi il documento o vuoi che te lo leggo e poi scrivi direttamente? (riferendosi al documento “Descrizione di impiego” che si trova all’interno del Sistema di gestione della qualità. Vedi allegato numero 2.2).” R: “Ma se posso tenere il documento…” I: “Puoi tenerlo. Quindi progettazione, sviluppo, gestione, supervisione, cura e coordinamento degli aspetti legati al personale… A processi di lavoro alla produzione della presa carico dell’utente. Cura e coordinamento delle attività proprie della struttura attribuita e dei processi di comunicazione interna ed esterna. E documentazione e rendicontazione al Consiglio di direzione in merito all’operatività messa e da mettere in atto. Divulgazione della cultura istituzionale e del sapere ai gruppi di lavoro attribuiti. E trasmissione delle necessità di formazione rilevate sul personale appartenente alla struttura e un eventuale partecipazione a gruppi di lavoro specifici, interni e/o esterni all’istituzione, su mandato istituzionale: gruppo invecchiamento… beh ero agente qualità quindi per una decina d’anni e così via. Tutte cose che poi andavano ad aggiungersi in questo senso. Io te lo lascerei (riferendosi al documento).” R: “Sì grazie. Quando si parla d’invecchiamento dell’utenza, a tuo parere, a cosa si fa riferimento?” I: “(risata) Per quanto mi riguarda l’invecchiamento che coinvolge ciascuno di noi, in questo senso, che per logica è conseguente del percorso di vita anche dell’utente portatore di handicap in questo senso. Se guardo l’utente lo guardo… cioè quindi se parlo di invecchiamento, in questo caso lo guardo come utente nella presa a carico. Bisogni e presa a carico, chiaramente: la famiglia, il futuro, l’educatore rispettivamente l’équipe, la struttura, in questo contesto chiaramente il centro diurno, ma pure l’istituzione che è il progetto istituzionale. Adesso te le ho dette partendo dal basso verso l’alto ma sono convinta che per l’immediatezza parto dal basso, ma per il futuro la logica è dall’alto verso il basso, cioè non è possibile… si diventa impotenti a un certo punto se lavori solo sull’utente. Penso sì sia questo. Per me vuol dire trattare l’argomento invecchiamento in funzione propedeutica rispetto ai futuri invecchiamenti… quindi ai giovani, rispetto ai giovani. Io penso che l’utente anziano o l’invecchiamento dell’utenza mi ha… ci ha e mi ha confrontato con quello che può essere la trasformazione nel futuro della presa carico dell’utente. Trent’anni fa proprio lavorando anche in quest’ambito… trent’anni fa si

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lavorava in un modo, oggi non si lavora più in quel modo, sì perché sono passati trent’anni, ma anche perché determinate riflessioni hanno avuto la loro influenza. Anche la scoperta secondo me dell’invecchiamento dell’utente, perché davvero era qualcosa che non era conosciuto. La mortalità era sicuramente nel passato molto più alta a questo livello, di conseguenza sono state un apprendere e non apprendere dall’esperienza per noi per poi fare un bagaglio che ci serve oggi e sta entrando. Quindi è vero che se dopo andremo a vedere la testistica nel corso dell’intervista, è diventata necessaria per misurare l’involuzione o ha avuto senso per ragionare attorno al senso della misurazione dell’involuzione, ma se non la mettiamo in pratica dall’inizio non ha nessun senso anche la testistica. Ecco un po’ in quel senso.” R: “Nel centro diurno Fonte1 quanti utenti pensi che rispondano a una casistica definibile come anziana?” I: “Dipende un po’ da che cosa intendiamo per anziano. Io ho preferito in tutti questi anni nel lavoro all’interno della struttura, ma proprio anche un po’ sulla base dell’esperienza, andare a differenziare delle aree o delle fasce. Delle fasce che ci hanno fatto vedere un po’, proprio in questo senso partendo dall’esperienza, ci hanno fatto vedere quanto esistono fasce legate allo sviluppo, una fascia legata al mantenimento, piuttosto che a una della cura. Fino a oggi, più o meno, andiamo un po’ a differenziarle per fasce d’età, quindi dico dai 18 circa ai 34 abbiamo l’area dello sviluppo, dai 35 ai 44 quella del mantenimento, dove l’intervento è mirato a questo, e a volte già dai 45 incominciamo già ad avere quelle osservazioni che ci richiedono più un intervento di cura dove il mantenimento sicuramente continua, ma siamo attenti chiaramente in un altro modo ai bisogni dell’utenza. Per cui abbiamo definito sviluppo, mantenimento e cura le tre fasce. Attualmente, quindi ad oggi, siamo, se stiamo a questa divisione, 11 nell’area dello sviluppo, 2 nell’area del mantenimento e 16 nell’area della cura. È chiaro che non vuol dire che tutti sono anziani, però ognuno, o più che altro la cura, ci fa dire “Bene stiamo attenti a tutti quegli indicatori che ci dicono fate attenzione”. Cioè o curate meglio quest’aspetto piuttosto che l’altro, che sia legato alla salute, che sia legato alle donne alla menopausa, che sia legato a vari aspetti che chiaramente siamo andati a scoprire col tempo. Ti ho risposto? (risata). Quindi mi è difficile dire anziani. Io lo vedo sempre come processo e poi penso che non può essere preso globalmente, va preso individualmente proprio perché se lo guardiamo nell’ambito della cura possiamo vedere degli utenti che di per sé ci sembrano dei giovincelli (risata) ma che se non prendiamo in considerazione dove si trovano secondo me facciamo un torto. Non per questo riduciamo le stimolazioni subito, da subito, però è solo una chiave di lettura, nient’altro.” R: “Quali sono le loro principali caratteristiche?” I: “Bella! (risata) Beh una è l’età, ok. Sicuramente l’età è una delle caratteristiche. La necessità e il bisogno, forse più che caratteristiche andrei a evidenziare quelli che sono i

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bisogni prioritari. Il bisogno di mantenimento to cure, quindi ecco di… stimolazione continua in questo senso. Il bisogno di, a volte, riduzione degli stimoli. Penso che questa è un’altra delle grandi caratteristiche, o della miglior suddivisione degli stimoli. Non tutti di un colpo come succedeva una volta, perché non sono più in grado chiaramente di… Il bisogno di ritmi diversi, il bisogno di… sì, mi verrebbe da dire questo. Però è difficile dire caratteristiche perché davvero uno è diverso dall’altro.” R: “Però quelle che riconosci come comuni sono l’età…” I: “Sì, sono proprio date dai bisogni”. R: “In quale atelier lavorano e quali sono i loro compiti principali?” I: “La questione degli atelier è interessante perché penso che in tutti questi anni abbiamo visto diverse trasformazioni quindi momenti in cui… penso che qua riesco a trovarti un documento. Nella storia sicuramente abbiamo avuto diverse trasformazioni, quindi inizialmente gestivamo una casistica mista all’interno degli atelier. Poi man mano che i numeri cambiavano, perché questo è sicuramente l’altro bisogno, man mano che il numero degli utenti con bisogni specifici cresceva, si è trattato poi a un certo punto di fare un certo ordine, ma prima di tutto di andare a riflettere se aveva senso l’ordine. Perché in quel momento funzionava la presa a carico, per l’utente sicuramente ricco di stimoli, però a volte anche iper stimolato come ambiente. Per l’educatore un ampio raggio d’intervento, quindi da bisogni molto differenziati quindi più di sviluppo piuttosto che di cura, mi viene da dire in questo senso… per cui si trattava un po’ di vedere come riuscire a semplificare e anche a meglio mirare gli interventi. Da lì le prime riflessioni, quindi il far nascere alcune mezze giornate di gruppo incontro, ricordo ancora questa era un po’ l’indicazione, quindi con attività specifiche mirate a una tipologia d’utenza più anziana. Per poi arrivare un giorno a creare l’atelier Incontro che poi è diventato l’atelier Creaidea perché in quel momento era altrettanto creativo. Sicuramente togliendo quello che era un presupposto ancora presente legato a una produttività, mai richiesta come produttività così di per sé, ma sicuramente come identificazione con il lavoro. Per cui da lì sicuramente l’atelier Creaidea è l’atelier che ha risposto… mi vien da dire che però gli stessi utenti li ritroviamo anche in un atelier di Attività conto terzi… piuttosto che in altri atelier. Perché la differenza? In Creaidea andiamo a trovare sicuramente gli utenti che più di altri necessitano di un ambiente tranquillo. Quindi l’ambiente dell’incontro, dello scambio, della chiacchiera ma anche della stimolazione, ma una stimolazione mirata… mirata, puntuale, molto probabilmente rituale, ritualizzata, quindi che rispondesse davvero ai bisogni dell’utente da questo punto di vista. Gli altri utenti che hanno, che fanno parte della cura come prima si diceva, che non sono in questo atelier sono utenti che sono ancora in grado di stare quindi in un atelier diverso, stimolante, a volte produttivo, dove anche il confronto con gli altri utenti è sempre nello scambio, è sempre anche nel buon’adattamento alla situazione. Quindi ecco che non a caso vediamo utenti anche in altri atelier. Aggiungerei che comunque ciascun atelier ha dovuto modificarsi perché il passato ci vedeva come

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laboratorio occupazionale, ma sicuramente dove la produttività aveva un suo senso, dove l’identificazione dell’utente era sicuramente sul lavoro, dove anche l’operatore era molto stimolato dalle ordinazioni esterne piuttosto che dalle proposte che faceva. Quindi sicuramente c’era un progetto. Ecco questo progetto ha dovuto cambiare. Ha voluto dire sì cambiare per l’utente perché i bisogni erano evidenti, quindi non ce la faceva. Ma dall’altro lato non era possibile cambiarlo per l’utente se non cambiava prima nella… nell’impostazione dell’operatore, quindi che doveva in un certo senso rinunciare a determinate cose dove sicuramente la frustrazione è uno dei temi che è entrato in merito all’interno della gestione e non solo. Penso che la frustrazione è stato uno dei primi temi. Ricordo sempre, qui eravamo ancora a Viganello, parlo del ’97, forse qualche anno prima o due anni prima, dove a confronto con un primo utente che in quel momento si confrontava con la demenza e poi con altre situazioni parallele ma diverse, dove un’educatrice si chiede, pone la domanda in équipe dicendo: “Ma vorrà dire che noi in un futuro non potremmo più pensare di lavorare in questo modo, quindi la produttività ok, e dovremmo andare a vedere qualcos’altro?” Ecco quello penso sia stato un po’ il momento in cui ha voluto dire cambiare, prendere in considerazione il cambiamento di quello che sto producendo in questo momento forse un giorno non lo farò, ma perché non avrò l’utenza in quel senso. La trasformazione del Centro diurno, quindi il passaggio da laboratorio occupazionale a centro diurno 2004, aprile 2004, sul momento non ha modificato granché a questo livello, ma chiaramente man mano che passano gli anni, l’inserimento dei nuovi utenti è veramente diverso da quello che avevamo prima e quindi la tipologia di utenti che vengono inseriti sono diversi da quelli di prima, quindi con un bagaglio di competenze e sicuramente minore che ci chiederà di essere preso in considerazione negli anni. Perché la casistica è cambiata, sicuramente è più grave.” R: “E i compiti principali che svolgono all’interno degli atelier?” I: “Gli utenti?” R: “Sì, proprio in generale…” I: “Beh sono diversi per atelier. Forse non so se ti rispondo dicendo che sicuramente quello che viene tenuto come luogo comune affinché questo argomento diventa argomento da parte di tutti, è la gestione del calendario, quindi la gestione dell’agenda settimanale, del programma settimanale, questo anche in un’ottica preventiva. È un apprendimento che li aiuta a situarsi quindi a livello temporale piuttosto che a livello spaziale, e che sicuramente è uno dei requisiti che nel tempo diventa sempre più importante. Quindi se uno possiede quello abbiamo per lo meno la strutturazione per permettergli di meglio muoversi quando incominciano a perdere alcune competenze di questo tipo. Quindi sicuramente quest’aspetto. E poi all’interno di ogni atelier, partecipare all’attività quotidiana. Poi a livello di compito mi viene da dire per ciascuno quello che ha bisogno. Sicuramente da parte dell’educatore l’occhio sulle stimolazioni, quindi assolutamente mantenimento di tutte le autonomie possibili legate all’utente, questo da

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parte… ma questo fa parte anche del progetto educativo. E questo sicuramente fino al momento in cui l’utente esce da qua è un lavoro che viene mantenuto. Chiaro se non c’è la base a quel punto si rivedrà un attimo come affrontarlo, ma intanto mi viene da dire, se non ci sono i requisiti di base è, però penso che sono queste. Difficile da sintetizzare i compiti.” R: “Durante lo stage e documentandomi su internet, so che un gruppo di persone si è riunito per approfondire il tema dell’invecchiamento della persona disabile. Quando si sono svolti gli incontri e chi ha partecipato? Quali sono le principali tematiche che avete trattato e i rispettivi elementi principali emersi?” I: “Mi viene da dire che il tema dell’invecchiamento è un tema che trattiamo da molti più anni. Probabilmente prima come struttura visto che a livello istituzionale non c’era ancora questa presenza di anziani e dove il tema invecchiamento non era ancora qualcosa che veniva rilevato ampiamente. Per cui in quei casi è stato indispensabile non tanto star li ad attendere, quanto diventare attivi nella riflessione, anche perché i primi coinvolti sono gli educatori quindi i quali devono confrontarsi sono loro e quindi si trattava di dire “Beh vediamo come fare”. In questo senso è stato fatto tutto un lavoro di riflessione fatto attraverso le supervisioni, piuttosto che il confronto in équipe, piuttosto che il confronto nei gruppi di lavoro, nelle attività. Sicuramente ci metteva a porre domande e interrogativi e sono alla base penso in quello che è la partenza di un lavoro in questo senso. Parallelamente a queste riflessioni venivano adeguate, posti alcuni adeguamenti all’interno della struttura proprio in risposta a bisogni che man mano andavano a evidenziarsi. Finalmente nel 2004 siamo riusciti a portare, a rispondere a un mandato, su nostra sollecitazione, a un mandato dalla direzione. Siamo riusciti a rispondere con una traccia, perché dicevamo “Questo tema non è poi solo un tema nostro, ma diventa anche un tema, diventerà anche un tema, di altre strutture”. E a oggi confermo che lo è diventato. E in quell’ambito ok avevamo semplicemente lanciato, tracciato una lista di tematiche e contenuti da trattare come fondazione. Un documento che è rimasto fermo sulla scrivania, sicuramente che attendeva i suoi tempi e che a livello di fondazione ha necessitato un’attesa, ha necessitato di tempo, per poi essere affrontato finalmente come gruppo di lavoro nel 2010, mi sembra, sì settembre del 2010. Nel settembre del 2010 abbiamo iniziato con quindi i capistruttura, forse i più coinvolti e quelli interessati, e il coordinatore delle strutture. In quest’ambito si è trattato un attimo di vedere come sviluppare il lavoro e come dicevo prima si è trattato proprio di affrontare, allestendo, facendo un’analisi globale quindi intanto di quella che era la fondazione. In quest’ambito si è trattato di cominciare a fare, a raccogliere intanto dati, visto che si ripartiva. Quindi riprendere un attimo il documento del 2004 intorno a quella che era la mappa delle tematiche e revisionarlo in funzione del lavoro che si voleva affrontare. Andare a definire i bisogni rispetto all’utenza, le risorse del personale, un’ipotesi di percorsi di vita istituzionale, sono stati sicuramente le tematiche principali. In questo senso si è fatta chiaramente una raccolta dati rispetto

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all’utenza piuttosto che al personale, per andare a vedere rispetto al personale proprio quale fosse in quel momento la tipologia di personale che avevamo a disposizione e quali potevano essere eventuali risorse già presenti all’interno del personale. Questo è stato l’inizio del lavoro. In un secondo tempo, quindi 8-9 mesi dopo, nel 2011, si è avviato il lavoro invece. Lo stesso gruppo si è trovato con la dottoressa Zürcher che ci seguiva già da anni nell’ambito delle supervisioni, quindi con la quale la tematica dell’invecchiamento, proprio mirata anche alla presa carico degli utenti, è stata più volte toccata più molto approfondita, anche perché si era direttamente coinvolti quindi già ci stava tutta la riflessione in corso. E in più all’interno del gruppo di lavoro è entrata Marianna che portava da parte sua sicuramente un forte interesse per la tematica, mi vien da dire anche conoscenza, e per quella che è la sua formazione anche strumenti di lavoro che potevano essere con lei indagati e valutati e tutto il resto. Marianna oggi è chiaramente psicologa quindi in questo senso portava riflessioni in merito. Si trattava d’incontri più o meno mensili, mah un 4-5 incontri all’anno forse attorno a questa tematica, con l’obiettivo… le riflessioni con la dottoressa Zürcher andavano attorno alla presa a carico, alla necessità di strumenti per meglio valutare lo stato delle funzioni e definire i trattamenti necessari per preservare l’autonomia. Anche perché queste sono state sempre un po’ le riflessioni fatte in sede proprio di presa a carico dei nostri utenti, suoi pazienti, quindi riflessioni che già ci coinvolgevano, solo che qua si trattava di ragionarli proprio a livello macro. Ecco, in quest’ambito è stato sicuramente approfondito sicuramente il tema comune, o il tema che ci ha accompagnato in questo lavoro, in questa seconda fase, era legato anche a dicevamo alla testistica e quindi anche alla conoscenza sì in loco, quindi quello che noi avevamo a disposizione, ma anche nel confronto con altri ambiti, anche perché ci si è incontrati in questo senso con altre fondazioni… pensiamo a Madonna di Rè e Noi, piuttosto che OTAF e Istituto Don Orione. Ma si è anche usciti dal territorio andando in Italia a visionare altre situazioni che potevano confrontarsi o ritenevamo si stessero confrontando con la stessa tematica.” R: “È stata fatta una riflessione rispetto alle famiglie? Se no, perché? Se sì, cos’è emerso?” I: “Ma la riflessione con le famiglie è fatta indipendentemente dal trattamento dell’invecchiamento, nel senso che forse anche in questo caso posso dire che si è partiti un po’ dall’esperienza, quindi il confronto quotidiano con l’utente ci faceva ragionare rispetto al suo futuro. Un futuro che con i famigliari è stato più volte toccato o diventava indispensabile toccare. Perché toccare? Perché indispensabile? Perché sicuramente è uno degli argomenti che meglio viene evitato, o veniva evitato forse è più corretto. Per cui trattare l’argomento con le famiglie voleva dire anche però non trattarlo una volta all’anno, è impossibile. Quindi andare a costruire una modalità di incontri che ci permettesse di entrare all’interno delle problematiche, di questa piuttosto che di altre. Ricordo che allora vedevo determinati famigliari, o vedevamo determinati famigliari, a moduli di 3-4 mesi a

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seconda della necessità nell’ottica proprio di un percorso, dove con la famiglia andavamo a offrire un setting dov’era possibile riflettere attorno all’utente e riflettere attorno alle fatiche di quel momento della famiglia nella presa a carico dell’utente, perché chiaramente stava presentando, l’utente stava presentando problematiche specifiche, non conosciute fino a quel momento. E sicuramente questo è stato un percorso che ha permesso anche alla famiglia, ad alcune famiglie, di fare un po’ il passo verso il dopo di noi, o adesso chi altro per noi mi vien da dire. Questo anche nell’ottica dell’avvicinamento a quella che è la conoscenza dei foyers, quello che può essere un bisogno per la famiglia che comincia a entrare in difficoltà perché persa in quel momento, piuttosto che per l’utente che ha nuovi bisogni chiaramente. Quindi io penso sì, prima sul terreno, quindi direttamente con la famiglia. Poi nell’ambito delle conferenze del personale, quindi come riuscire ad avvicinare le famiglie in questo senso, quindi conferenze del personale sì, conferenza dei genitori ad hoc, a più riprese in formule diverse per far entrare questo tema. Devo dire non facile. Forse la presenza dei famigliari più anziani a quel momento veniva chiaramente a mancare, ma non a caso, però intanto diventava per altri sicuramente già un elemento che diceva “Beh intanto guardiamolo al futuro, anche questo senso, quello che serve ora servirà, diventa utile, per chi in futuro si troverà a confrontarsi con queste tematiche.” Sì penso con le famiglie ha voluto dire farlo a tappeto, quindi nell’incontro individuale non è possibile… l’altra parte è più difficile. Avevamo un progetto, così ma nel pensiero, proprio di gruppi d’incontro tra famiglie, quindi gruppi d’incontro che potevano essere serali, dove davvero anche l’esperienza di ciascuno poteva essere messa a disposizione degli altri. Un pensiero che ho sempre tenuto nel cassetto con l’idea dai un giorno lo faremo, devo dire vabbè non ci siamo mai riusciti ma proprio per una questione di priorità e di tempo in questo senso. Sicuramente quella può essere forse, poteva o potrebbe essere una formula che permette al genitore di non essere così solo di fronte a questi aspetti che chiaramente richiedono un’attenzione e un confronto con la separazione che è sì quella del figlio ma è anche la propria come genitore.” R: “Qual è la struttura delle Fondazione che ha subito il cambiamento più visibile e perché?” I: “Ma mi vien da dire, sicuramente le due strutture che si sono confrontate subito attorno al tema, quindi Fonte1 e Fonte3. Perché beh, Fonte3, quindi l’abitativo, perché andava chiaramente a raccogliere o a ospitare utenti che non erano più in grado inizialmente di vivere in famiglia e quindi vuol dire che i genitori in questo senso erano anziani e quindi anche gli utenti non è che fossero tanto più giovani. Forse così, la prima motivazione è questa, con la speranza sempre che non diventi semplicemente la risposta a questo tipo di presa a carico ma sia la risposta invece anche al bisogno dell’utente di avere una vita sua particolare in questo senso, però forse diciamo che è stato il primo approccio. Per il Centro diurno perché? Perché l’utenza che entra al Centro diurno è abbastanza stabile, cioè le uscite dal Centro diurno le possiamo contare sulle dita di mezza mano, di una

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mano (risata). Per cui altri rimangono e quindi gli utenti che trent’anni fa, per quella che è la mia osservazione, avevano vent’anni, oggi ne hanno cinquanta. Quindi ecco che in questo senso lo sguardo continuo sull’evoluzione o sull’involuzione di ciascuno nei confronti chiaramente anche con l’invecchiamento.” R: “Cos’è stato attuato, a tuo parere, all’interno di Fonte1? Cioè, visto il cambiamento più visibile, cos’è stato attuato concretamente?” I: “Beh intanto la costruzione di un linguaggio comune a livello d’équipe che nasce come linguaggio comune a conseguenza di osservazione, osservazione condivisa, scambio continuo. (Suona il telefono). Allora dicevo uno sguardo… beh intanto l’osservazione in funzione poi della costruzione di un linguaggio comune, una riflessione attorno a che cosa dovesse essere necessario rispetto alla tipologia d’utenza considerata, cosa potesse essere necessario osservare. Da lì perché osservare determinate cose, quindi determinati funzionamenti e come registrarli e da lì la riflessione attorno agli indicatori e la costruzione d’indicatori specifici.” R: “In che modo il tema dell’invecchiamento ha toccato il ruolo dell’educatore e il suo intervento educativo?” I: “Beh penso sicuramente la prima cosa che ha cambiato è la prospettiva. Se nell’ambito della presa a carico dell’utente in generale la prospettiva è in evoluzione, in questo caso si trattava di vedere che tipo di evoluzione, se sempre si tratta di evoluzione nell’involuzione, piuttosto che dell’involuzione. Sembra una stupidata ma penso che su queste tre diverse forme cambia la propria posizione, cambia anche quella che può essere la motivazione, cambia quello che può essere l’approfondimento. Penso che da quel lato sì sono i grossi cambiamenti che ci sono. È stata toccata anche la posizione dell’educatore perché intanto tratta un argomento non più verso il giovane ma verso l’anziano e per tanti educatori forse sono giovani, per cui hanno ancora da scoprire un mondo. Quindi da quel punto di vista guardare indietro è molto più facile che guardare avanti e andare a scoprire cos’è quell’incognita del davanti. Dall’altro lato ha potuto permettere o a messo lì domande, interrogativi e quindi anche se vogliamo quella che poteva essere la ricerca, l’andare a scoprire. Penso che abbia cambiato anche la formulazione degli obiettivi. Se precedentemente tutto era nell’ottica dello sviluppo, o tanto era nell’ottica dello sviluppo, penso che portare la parola mantenimento avesse un suo senso all’interno del ragionamento che si stava facendo. Però anche di fronte alla parola mantenimento vuol dire “Che cos’è questo mantenimento? E mantenere che cosa?” Ecco, forse l’educatore è diventato colui che favorisce poi, dopo lo sviluppo, il mantenimento delle cose. Magari è il mantenimento degli apprendimenti, e direi che la partita non è la più facile del mondo se parliamo d’invecchiamento. L’intervento educativo ricordo il momento in cui dicevamo “Beh un intervento educativo nella pedagogia andiamo a vederla rispetto al bambino, e mo’ come la chiamiamo? La guardiamo nell’andrologia? Andiamo oltre?” Io penso che non

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è un argomento chiuso, penso che sia una costante, una costante riflessione attorno al mio agire rispetto all’occuparmi di qualcuno che sta invecchiando, quindi l’adulto che invecchia. Per cui penso che sicuramente quello che è entrato come altri ingredienti nella presa a carico sempre di più sono state altre sfere, come la sfera della salute, la quale non possiamo ignorare perché è prioritaria, diventa basilare per poter fare tutto il resto. Che sia saluta psichica piuttosto che fisica. E quindi anche tutto l’aspetto fisico, funzionale, è diventato importante. Diversamente importante, lo era già prima nell’ottica dello sviluppo, ma nell’ottica del mantenimento garantisco che è ancora un’altra partita in questo senso. È cambiata la rete, se allora l’educatore lavorava… allora io parlo adesso, prendiamo trent’anni fa, dove l’educatore lavorava prevalentemente con l’équipe. Oggi l’educatore non può più lavorare solo con l’équipe e basta. Ecco che entrano all’interno della rete altre figure, quindi incominciamo a inserire il medico, se il medico è necessario. Pensiamo alle prese a carico con il foyer in modo particolare, il medico generico chiaramente intendo, o la psichiatra in questo caso, quindi come accompagnamento in questa fase della vita che sicuramente va a toccare tantissimo. Pensiamo solo al mondo femminile quanto la menopausa abbia sollevato, abbia sollevato pensieri, pensamenti e ripensamenti. Non necessariamente con le soluzioni a portata di mano, perché ogni utente è diverso dall’altro e quindi di conseguenza anche lì, ogni intervento va misurato singolarmente su ciascuno e quindi anche questa è stata una partita. Se pensiamo poi a chi abbiamo attorno. Abbiamo attorno dei genitori anziani, quindi in quest’ambito ha voluto dire relazionarsi con dei genitori anziani, parlando del figlio anziano che implicava trattare chiaramente l’argomento invecchiamento ma anche futuro in questo senso, quindi mi ritrovo di nuovo a parlare di questa parte. Dove magari sono state utili altre figure. L’assistente sociale, per alcuni, a sostegno della famiglia, piuttosto che, sto proprio pensando in alcuni casi magari l’intervento di parenti, sorelle, fratelli, rispetto all’accompagnamento. Ecco che sono cambiate un po’ anche le relazioni, hanno dovuto cambiare. La rete ha dovuto allargarsi riconoscendo a ciascun elemento della rete un campo di osservazione che però se rimaneva fine a sé stesso non dava un risultato, ma se messi in comunicazione, se messi in rete, ci permettevano di meglio rispondere ai bisogni di ciascuno. Penso che questo è stato il grande cambiamento del lavoro attorno a chi stava invecchiando che però oggi diventa anche il lavoro che parte dall’inizio in questo senso con le figure che ci sono e poi, man mano che si va avanti, integrandole a seconda di quelli che sono i bisogni. Ti ho risposto?” R: “Sì. Il fenomeno dell’invecchiamento ha toccato in qualche modo la struttura degli atelier? Se sì, quali e come?” I: “Beh se lo guardo su trent’anni in assoluto. Allora, già forse detto che i cambiamenti all’interno dell’istituzione, della struttura sono avvenuti man mano. Io penso davvero che quando dico “Ogni due tre anni dobbiamo modificare o rivedere” fa un po’ sorridere altre persone, ma dall’altro lato è vero che i bisogni continuano a cambiare. Se guardo quindi a

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distanza di trent’anni, se l’argomento iniziale era più o meno produttivo, oggi questo sta scomparendo. Ciò non vuol dire che non ci siano atelier che mantengono ancora questo aspetto del lavoro, dove tanti utenti hanno ancora bisogno, con il quale tanti utenti hanno ancora bisogno di confrontarsi e identificarsi come lavoratori, quindi questo sì. Però che sono come dicevo già cambiati i ritmi. I ritmi, sono cambiate anche le risposte qua all’interno. Diciamo che all’interno della struttura, beh era nato anche qua tanti anni fa l’esperienza Incontro, quindi quello è stato qualcosa costruito apposta che poi si è trasformato in Creaidea. Non tanto per la produttività o per la parte creativa dell’atelier stesso, ma quanto per la costruzione di un ambiente più tranquillo. Più tranquillo, quindi anche dove fossero inseriti un numero di utenti ridotto rispetto agli altri atelier, quindi incominciamo a confrontarci con atelier di quattro, a volte cinque, ma per due mattinate, utenti. E poi penso che le altre particolarità dipendono proprio dalla costruzione dei gruppi. Se io penso al pomeriggio, un atelier di ACT è sicuramente diversamente tranquillo dal mattino e così via. Quindi di per sé non è che abbiamo bisogno di uno spazio differente, quanto un’organizzazione differente all’interno dell’Organizzazione. E questo è l’altro aspetto che sicuramente ha richiesto all’educatore di ripensarsi all’interno dell’atelier. Volendo potremmo tenere ritmi di questo tipo in ogni atelier, ma è chiaro che l’utenza determina la modalità no?.” R: “Quali erano i bisogni da soddisfare e quali sono quelli oggi?” I: “Ma forse i bisogni di allora erano quelli dell’occupazione degli utenti e della stimolazione attraverso gli atelier, quindi avevamo forse a livello di programmazione una, un’organizzazione che permetteva a ciascun utente che frequentava il centro diurno a tempo pieno di frequentare due, tre atelier. In questo modo aveva la possibilità di sperimentarsi in diversi spazi e con stimoli diversi. Il passaggio ci ha fatto un po’ rivalutare quali potevano essere invece le esigenze dell’utente a un certo punto, o sì, il bisogno primario che era quello della continuità. Forse non solo per l’utente, mi vien da dire anche per l’educatore che aveva bisogno di guardarlo nella continuazione. Qui mi vien da dire che forse, parallelamente, anche il tempo di occupazione dell’educatore andava cambiando. Se una volta chi lavorava all’interno del centro diurno lavorava a tempo pieno e quindi questa problematica aveva sicuramente uno sguardo molto più allargato, rispondendo anche ad altri bisogni legati più a un bisogno di lavoro a tempo parziale, certe cose hanno dovuto essere curate, certi aspetti hanno dovuto essere curati finché si potesse garantire la continuità nell’osservazione dell’utente. Quindi forse non solo bisogno degli utenti in questo caso ma anche degli educatori. Quindi dicevo ecco, si è passati sicuramente alla frequentazione, magari lo stesso di altri atelier, però non per tutti uguale no? Cioè, quindi adeguandolo a ciascuno in questo senso, e non più per stimolazione ma anche per ricerca di tranquillità. Quindi penso che forse uno dei punti importanti da soddisfare sono state il riuscire, pur mantenendo un ritmo più rallentato, riuscire a garantire l’adeguata stimolazione individualizzata al bisogno di ciascuno. Una partita non

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indifferente se però andiamo a riconoscere ciascun utente per quello che è il suo… è. L’altra questione, l’altro cambiamento, è sicuramente stato un incominciare a mettere lì una raccolta dati che prima non avevamo, quindi andare a cercare degli indicatori che ci permettessero di tenere sott’occhio un po’ la situazione. Mai mi sarei sognata anni fa, anni anni, anni, anni fa (risata), di registrare la caduta. Sì nel dossier dell’utente, ma registrare oggi le cadute ci permettono di leggere le cadute, il luogo, ci permettono immediatamente di raccogliere un dato che non va perso assolutamente all’interno di una presa a carico. Anche questo sembra banale, ma quando tu incominci ad avere lì il foglio e le vedi, è successo proprio per un utente dell’atelier di cui ti occupavi, dici “Ma guarda!” no? Nel classeur rischi di non vederlo, quindi sicuramente ad esempio questo piuttosto che beh altri aspetti legati proprio… la menopausa. Questa ha richiesto veramente una registrazione puntuale per poter andare a rispondere in modo adeguato. Ecco questo è sicuramente uno dei bisogni anche importante che con la psichiatra che segue molti dei nostri utenti è diventata tematica, attenzione e presa a carico specifica in questo caso. E anche in questo ambito, a me viene da dire quindi l’ambito di presa a carico, ha richiesto sicuramente il linguaggio comune, quindi tutti, la costruzione di un linguaggio comune affinché tutti parlando di caduta, tutti parlando di menopausa, si arrivasse a capire quello che si sta dicendo. Perché se ciascuno è nella sua interpretazione, abbiamo chiaramente su un utente solo non so quale tipo d’intervento. Anche questo sembra forse non così ovvio, mi dico che invece per quanto mi riguarda è stato uno dei passaggi più importanti. Anche qua il cambio di operatore, di operatori che entrano da un’altra struttura, richiedono proprio un passaggio costruttivo a questo linguaggio con la differenza che chi entra porta altri punti di vista e quindi ecco che non permette altro di arricchire, ma dall’altro lato per chi entra invece c’è l’arricchimento dal gruppo stesso quindi sempre in un’ottica di scambio, ma uno scambio che va codificato.” R: “Quali riflessioni sono state fatte in passato all’interno dell’équipe di Fonte1 rispetto al fenomeno e quali sono, se esistono, quelle attuali? Quindi rispetto al tema dell’invecchiamento.” I: “Beh forse il primo tema è “Cosa sta succedendo?”. Quindi attorno a questo il confrontarsi con qualcosa che non era all’ordine del giorno prima di tutto, che presentava delle variabili diverse, e quindi ci richiedeva di tradurcele. Come affrontarlo era sicuramente la seconda tematica, quindi “Da soli?” Cosa che era importante non fare, sicuramente il “da soli” ci permetteva di incominciare a vedere delle cose, ma potevano essere meglio viste se con noi qualcun altro ci aiutava a ragionare attorno. Poteva essere la psichiatra, quindi nell’ambito della supervisione, piuttosto che riferimenti esterni che abbiamo visto, quindi dalla psicologa dell’ospedale, della clinica Hildebrand che lavorava con il dottor Quadri, il dottor Quadri stesso che è venuto da noi. Ecco quindi sicuramente uno scambio con persone che la tematica già trattavano o ne trattavano una parte e quindi potevamo chiaramente fare un lavoro di scambio e di integrazione delle conoscenze.

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L’altro, dopo aver capito cosa succede e com’è possibile affrontarlo, era come prevenire. Quindi sì entriamo nel merito di chi sta invecchiando, ma entriamo nel merito di ciascuno di noi che invecchia. Dal primo giorno in cui nasce a quando arrivano qua a 18 anni e poco dopo ne hanno 19. Quindi voleva dire “lavoriamo in un’ottica di prevenzione”. Non tanto per prevenire l’invecchiamento, ma una prevenzione che permettesse, se già non l’ho detto, di fornire un bagaglio agli utenti che meglio, che potesse meglio aiutarli andando avanti, in quel senso. Quindi trent’anni fa quando sono nati i laboratori voleva dire lavorare, oggi non vuol dire solo lavorare come centro diurno, vuol dire fornire un bagaglio prima e dare un po’ tutte le possibilità, permettere di fare il massimo delle acquisizioni possibili, impegnarsi da quel lato in quel senso, negli apprendimenti.” R: “E le riflessioni attuali? Se esistono.” I: “Quelle attuali, se devo rispondere proprio nel qui e ora, e spero proprio diventi di nuovo, diventerà, nelle prossime due settimane viene proprio lanciata la questione, è proprio un provare a ritornare su questa documentazione della testistica. Quindi vedere davvero come riuscire ad affrontare il lavoro nell’ambito della testistica affinché questa testistica possa entrare come indicatore sicuramente, ma dall’alto lato possa essere utile all’operatore per indirizzare, per sempre meglio indirizzare, il progetto individuale dell’utente. Ma rispetto alle riflessioni attuali, beh intanto sicuramente continueremo la riflessione dal punto di vista della testistica riuscendo a renderla sempre più appropriata e strumento di lavoro. Non penso necessariamente solo all’invecchiamento, ma proprio nell’ottica preventiva, quindi questo è sicuramente il grosso tema. L’altro sollevato in ambito di équipe sono le riflessioni d’accompagnamento ai genitori, ai famigliari anziani, in questo momento di confronto con quella che già è la separazione per il genitore rispetto alla separazione finale. Ma dall’altro lato proprio anche a come riuscire a essere ancora positivi nella relazione con il figlio che chiaramente in questo momento crea, o li pone o li confronta in modo specifico con l’invecchiamento. Quindi come essere accompagnatori o quale nuova formula di accompagnamento riuscire a trovare, più adeguata e realizzabile. Perché questa è l’altra parte. Cioè, quindi possiamo cogliere, sfide ne avremo tantissime ma dovremo riuscire a inserirle all’interno del contesto all’interno dei campi di azione che chiaramente noi abbiamo. Questo è un po’...” R: “Pensi che la figura dell’educatore come le competenze che gli si attribuiscono, siano ancora validi per rispondere ai bisogni dell’utenza che sta invecchiando?” I: “Mah, all’interno di un centro diurno devo dire che non mi vengono ancora dubbi in questo senso. È chiaro che diventa indispensabile che le persone siano in costante aggiornamento all’interno. Penso adesso ai giovani che sono entrati, chiaramente per loro è ancora materiale abbastanza nuovo che apprendono forse in modo, in modo pratico, quindi proprio attraverso il quotidiano, in questo senso dove sicuramente diventa necessario stimolare la riflessione attorno. Quindi penso… sì, al momento non vedo grossi

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cambiamenti, ma sicuramente un costante aggiornamento. Aggiornamento che può essere fatto all’interno, aggiornamento che può essere fatto anche all’esterno quindi in ottica di formazione continua.” R: “A livello istituzionale esiste un piano d’azione per fronteggiare i nuovi bisogni e l’invecchiamento dell’utenza? Se sì qual è? Se no, lo riterresti necessario?” I: “A livello istituzionale oggi direi che esistono dei piccoli piani in ogni ambito che necessitano sicuramente ancora di un buon lavoro d’integrazione, quindi lo penso come strutture che hanno dei pensieri ma non sono ancora diventati il pensiero, non sono ancora diventati un progetto definitivo. Quindi esiste l’idea, ma non è quella definitiva quindi in questo senso. Penso solo alle riflessioni attorno a quale potrebbe essere il passaggio da una struttura all’altra, quali competenze dare a una struttura piuttosto che a un’altra, sia questa residenziale quindi abitativo. Se andiamo a fare le differenze per un residenziale che richiede l’autonomia durante la giornata, quindi il posto di lavoro, chiaramente non sarà un residenziale che va bene per sempre per gli utenti che abitano li dentro. Sia questo anche per il lavorativo, posso rendere nel lavoro e quindi essere produttivo all’interno di un laboratorio per un tot, probabilmente ci sarà un momento col quale devo confrontarmi con riduzioni piuttosto che cambiamenti. Fino a oggi penso che si riesca ancora, o si è tentato di dare risposte mirate a ciascuno, penso che proprio anche per quello che è l’età media dell’istituzione, che in questo momento non sono in grado di darti però possiamo chiederlo, diventa necessario avere un piano d’azione sicuramente più allargato. È vero che a livello istituzionale poi nascono, ci sono ancora altre riflessioni che si sentono, corridoio o meno. Quindi invecchio nella mia struttura e quella è casa mia? Oppure la mia struttura diventerà per me un’altra struttura? Sono tematiche non indifferenti, sia dal punto di vista del “Bene pensiamolo”, che poi del chiaro con quali variabili, come starò in quel momento in cui sarò invecchiato, quali saranno i bisogni di quel momento e quindi: davvero si è in grado di fare i tuttologi all’interno di ogni struttura? Ecco questo sicuramente è quello che cambia, sì, per cui vabbè’ le riflessioni ci sono, andranno messe in comunicazione.” R: “Ritieni che La Fonte1 sia adeguata ad accogliere o far continuare a lavorare utenti anziani?” I: “Ritengo che questo, ritengo di sì, nel senso che per la casistica della quale ci occupiamo oggi sì. Anche perché penso che non è tanto la struttura che è adeguata o meno, ma come la struttura riesce a modificarsi in funzione dei bisogni. Per cui parto dal presupposto che finché un utente è in grado di gestire e di saper gestire un ambito come questo dal punto di vista degli spazi, dal punto di vista degli stimoli, anche se stimoli ridotti, benissimo posso dire sì un utente può arrivare. Il problema è quando un utente non è più in grado di fare un cambiamento per esempio fra casa, e quindi fra notturno e abitativo, e diurno. Quindi quando fa fatica a entrare in qualcosa che cambia il progetto iniziale. Ci

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siamo già trovati in queste situazioni dove a quel momento, pensiamolo proprio anche legato anche ai foyers, abbiamo semplicemente unificato la presa a carico all’interno del foyer. Perché già il foyer offre tanti stimoli, se poi bisogna gestirne di qua e di là forse è meglio ridurli. Costantemente viene fatta questa valutazione no?.” R: “Cosa si potrebbe attuare, a tuo parere, per fronteggiare al meglio l’invecchiamento dell’utenza e la sua presa a carico al centro diurno?” I: “Ma io, nel qui e ora, mi è difficile dire che cosa. Forse andare a individuare o sicuramente rivalutare adesso nel qui e ora qualche posizione sulle prese a carico del pomeriggio no? Cioè quindi rivedere un attimo se la complessità del, o se l’atelier, la diversificazione degli atelier, riescono ancora adesso a rispondere un po’ ai diversi bisogni sia questi dell’invecchiamento piuttosto che altro. Questione che adesso incomincio a tenere lì, perché chiaramente non basta un dato. L’entrata dei nuovi utenti mi dirà un attimo quale sarà il futuro e quindi di conseguenza è chiaro che non posso solo ragionare solo sull’invecchiamento, ma devo guardare sulla globalità, richiedendo intanto di rispondere, a ciascun atelier di riuscire a rispondere in modo adeguato. Ci sono delle situazioni borderline che mi fanno un po’ riragionare, chiaramente guardate con anticipo no in questo senso. Penso al meglio, sicuramente non perdere per strada il tema, quindi non lasciarlo solo al gruppo invecchiamento, ma riuscire a vedere come poter integrare i ragionamenti dell’équipe rispetto al gruppo invecchiamento e vedere un attimo cosa il gruppo invecchiamento porta all’équipe in questo senso. Quindi un costante lavoro d’integrazione che richiede tempo comunque, perché intanto il lavoro non è così staccato, cioè come capo struttura sicuramente sono portatrice in questo senso. Chiaro che diventi portatrice nel momento in cui questo diventa necessario. L’altro forse riuscire a rappresentare, questa è la sfida, a livello istituzionale un attimo che cosa vuol dire all’interno della struttura prendersi a carico di una tipologia di utenza, dove davvero questo diventa difficile, perché trovare dei parametri che facciano la differenza fra questo e l’utenza giovane e tutto il resto non è così ovvio. Quando si tratta di quantificare diventa difficile. Molto probabilmente è più facile leggendo un po’ il percorso di ciascun utente. Ultimamente mi tornava un po’ questa situazione, posta anche da un famigliare, proprio quello del trovare, e forse questo è un altro argomento che ci aiuta ad affrontare un po’ il tema invecchiamento, e forse andrebbe fatto con anticipo, è proprio trovare un po’ la strada, la via per allenare i distacchi. Il tema del distacco è sicuramente un tema all’ordine del giorno all’interno della struttura, ma diciamo che i distacchi dalla famiglia sono un tema anche questo stra ripetuto e stra visto, ma che per mancanza di campo di allentamento, di palestra per l’allenamento, non si riesce a fare. Concretamente vuol dire: il famigliare che mi dice “Mi piacerebbe che mio figlio provasse un po’” non è così che piacerebbe ma, il famigliare che sente il bisogno, è chiaro che si trova sempre confrontato con la mancanza di strutture che possano permettere di fare questo allenamento. Un allenamento che secondo me è nelle due direzioni. La situazione attuale me lo mostra molto, quindi sì per

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l’utente che impara a staccarsi dal famigliare per fare l’esperienza, e i campi vacanze e così via sicuramente nel suo percorso sono diventati importanti, però diciamo che qui c’è di nuovo un’altra situazione. Piuttosto che il famigliare o i famigliari devono fare, possono fare lo stesso allenamento e scoprire che il figlio si può trovare bene, la figlia si può trovare bene e così via. Ecco io penso che questo è forse una partita, una sfida che, anche questa è da anni che si mette lì, anche ai famigliari, quindi sensibilizzandoli tutti, ma che sicuramente ci fosse la palestra d’allenamento, oppure, ci fosse il famoso appartamento a disposizione per questi allenamenti, riconosciuto a livello cantonale e tutto il resto… forse non lo sappiamo eh, strutturandolo per calendario, strutturandolo per tempistiche quindi e tutto il resto, magari si potrebbe riuscire a portare i nostri utenti a fare questa esperienza e quindi anche i genitori o i famigliari. Questo sicuramente è uno dei punti grossi.” R: “Vorresti aggiungere qualcos’altro?” I: “Ma forse aggiungerei, magari ripetendomi, però al limite cancelliamo o non lo scriverai (risata)… ma penso che tutto quello che è stato fatto fin qui e che secondo me ha senso anche fare andando avanti, è proprio un studiare l’invecchiamento in funzione propedeutica nell’ottica proprio, in funzione del trattamento del giovane. Quindi penso che è questo il senso che spero di essere riuscita a dare con l’intervista. Quindi andando a vedere quali sono gli apprendimenti necessari, quali sono le autonomie indispensabili, quale può essere la gestione, quali sono gli arricchimenti. Fino a qui non abbiamo mai parlato della comunicazione aumentativa alternativa che è entrata non tanto per dire l’utente non è in grado, sa leggere, sa scrivere, o magari non sa leggere o non sa scrivere e quindi dobbiamo usare i pittogrammi, ma perché abbiamo scoperto che i pittogrammi o l’immagine è qualcosa che rimane andando avanti, mentre la parola o la lettura della parola magari non sempre, ma l’immagine arriva molto più veloce all’utente che ha difficoltà, che non tanto la parola, quindi quella verbale piuttosto che lo scritto. Quindi sicuramente l’andare a cercare, ecco sempre più strumenti in questo senso, di aiuto, ma sempre in funzione del meglio affrontare un po’ il percorso dell’invecchiamento. Al momento non mi viene altro.” R: “(sorriso) Va bene, grazie.”

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DESCRIZIONE DI IMPIEGO CAPO STRUTTURA FONDAZIONE LA FONTE SGQ LIV 2 COD 3.1.2-01 / VERS: 03/2013-03 PAG 1 DI 3 EL / APP: CONSIGLIO DI DIREZIONE

DESCRIZIONE DI IMPIEGO Posizione Servizio Livello di funzione Capo struttura Socio-educativo

Socio-professionale Quadro intermedio

Superiori Subalterni Gremio organizzativo Coordinatori Collaboratori e utenti Obiettivi della funzione (a cosa serve la posizione)

Conduzione, gestione e organizzazione dei comparti di lavoro inerenti la sede attribuita, supervisione della presa a carico socio – educativa e socio - professionale dell’utenza in sintonia con le linee guida istituzionali.

Compiti principali (mansioni principali) Professionali Gestione operativa della struttura:

• progettazione, sviluppo, gestione, supervisione, cura e coordinamento degli aspetti legati al personale, ai processi di lavoro / produzione, alla presa a carico dell’utente

• cura e coordinamento delle attività proprie della struttura attribuita e dei processi di comunicazione interna ed esterna

• documentazione e rendicontazione al Consiglio di direzione in merito all’operatività messa / da mettere in atto

• divulgazione della cultura istituzionale e del sapere ai gruppi di lavoro attribuiti

• trasmissione delle necessità di formazione rilevate sul personale appartenente alla struttura

Eventuale partecipazione a gruppi di lavoro specifici, interni e/o esterni all’istituzione, su mandato istituzionale

Comunicazione (con chi interagisce)

Rapporti funzionali con i membri del Consiglio di direzione, con gli altri capi struttura, con i collaboratori della/e struttura/e, con la rete primaria e secondaria dell’utenza.

Conduzione (responsabilità su che gruppo di lavoro)

Équipe di struttura e gruppi di lavoro designati ad hoc.

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DESCRIZIONE DI IMPIEGO CAPO STRUTTURA FONDAZIONE LA FONTE SGQ LIV 2 COD 3.1.2-01 / VERS: 03/2013-03 PAG 2 DI 3 EL / APP: CONSIGLIO DI DIREZIONE

Competenze decisionali (area di competenza)

Pianificazione / coordinamento, organizzazione / supervisione, verifica e controllo

• del progetto di struttura • della presa a carico dell’utenza • delle attività educative, extraeducative e di produzione (dove

presenti) • dei processi di lavoro e delle attività del personale impiegato

nella struttura Organizzazione

• dei collocamenti di stage, apprendisti, volontari, programmi occupazionali e altre misure attive

• delle attribuzioni di risorse di economia domestica (dove previsto) • delle supplenze attribuite

Facoltà di delega puntuale su progetti e aspetti operativi.

Responsabilità (di che cosa risponde)

• della conduzione della struttura in linea con il progetto esistente • degli obiettivi economici di produzione • della verifica e controllo delle attività che ricadono sotto i compiti,

le competenze e le responsabilità dei collaboratori • dell’aggiornamento documentale relativo ai processi e alle attività

di lavoro, all’organizzazione interna e alla presa a carico dell’utente

• delle attività interne del sistema di gestione della qualità e salute e sicurezza sul lavoro, secondo le indicazioni e la pianificazione prevista dai coordinatori

• della rendicontazione al Consiglio di direzione in merito all’operatività messa / da mettere in atto, attraverso la documentazione amministrativa e le evidenze previste

Requisiti / competenze / esigenze connesse all’impiego Professionali • Profilo

formativo Formazione superiore in ambito educativo o equivalente.

• Esperienze professionali e know-how

• Comprovata esperienza in campo socio-educativo o socio-sanitario

• Comprovata esperienza nella conduzione di team • Conoscenza dei principali applicativi informatici • Conoscenza ed esperienza nei sistemi di gestione della qualità. • Conoscenza dell’ambito salute e sicurezza sul lavoro. • Conoscenza del contesto sociosanitario e del modello di

finanziamento in vigore

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DESCRIZIONE DI IMPIEGO CAPO STRUTTURA FONDAZIONE LA FONTE SGQ LIV 2 COD 3.1.2-01 / VERS: 03/2013-03 PAG 3 DI 3 EL / APP: CONSIGLIO DI DIREZIONE

Personali • Capacità di conduzione di gruppi di lavoro, di cura e sviluppo del personale, spiccato senso di responsabilità, adesione e identificazione nei valori istituzionali; attitudine al lavoro di gruppo, motivazione, flessibilità, risoluzione dei problemi

• Capacità di trasmettere e favorire le autonomie di lavoro e l’assunzione di responsabilità

• Capacità di comunicazione, integrità morale, orientamento ai risultati, proattività e imprenditorialità

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Documento di complemento all’intervista all’ex presidente della Commissione genitori della Fondazione La Fonte

L’intervista ha avuto luogo venerdì 31 luglio 2015 a casa dell’ex presidente della commissione genitori ed è durata quaranta minuti circa. All’intervista ha partecipato anche la moglie, che ha sempre seguito il marito nella sua attività alla Fondazione. Le domande erano volte a indagare il rapporto tra Commissione genitori e genitori stessi, come pure quello tra la Commissione e il Centro diurno La Fonte1. Inoltre sono state poste delle domande con il fine di capire in che modo la Commissione (e dunque i genitori) hanno affrontato negli anni il tema dell’invecchiamento e la percezione degli stessi rispetto al ruolo e all’intervento educativo: se hanno colto, nel caso, le modifiche avvenute in questi due aspetti. Infine è stato chiesto all’ex presidente, in previsione futura, cosa si potrebbe fare a suo parere per fronteggiare al meglio il fenomeno. Didascalia: R: ricercatore I: intervistato M: moglie intervistato ( ): aggiunta di risate, riferimenti,… …: pausa, sospensione ___ : parole o parti non comprensibili dalla registrazione ----- : nomi e cognomi (per garantire la privacy)

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Trascrizione dell’intervista all’ex presidente della Commissione genitori della Fondazione La Fonte

R: “Per quanti anni è stato presidente della commissione dei genitori e quali erano i suoi compiti principali?” I: “Beh ormai l’è da… allora… io son stato 25 anni nel Consiglio di fondazione della Fonte e praticamente da 25 anni sono membro della Commissione genitori, la Commissione genitori non è che c’è un presidente, non è che c’è che ha dei compiti particolari. Si può dire che il compito principale era quello, è stato quello, finora adesso sarà qualcun altro, di preparare un incontro, almeno un incontro per i genitori e di trattare un argomento che potrebbe interessarli.” R: “Un incontro annuale?” I: “Un incontro annuale, sì.” R: “Ok.” I: “Poi ci sono stati anche altri incontri, magari abbiamo organizzato delle cene, poi… e poi avere un po’ il contatto con i genitori i quali volevano sapere qualcosa. Allora c’è gente che telefonava, si incontrava qualcuno, si discuteva un po’ i problemi che avevano e ho cercato di fare un po’ da tramite tra i genitori e la Fondazione. Mai direttamente però con gli educatori, io non… non avevo la competenza di andare da un educatore e dire “Guarda che la mamma della tale mi dice che” e così via perché non sarebbe stato giusto no? Dovevo seguire un po’ la via di servizio e quindi praticamente mi rivolgevo al direttore della Fondazione e poi lui trattava un po’ la cosa, mi dava la risposta e io la facevo poi avere ai genitori che erano interessati, ecco.” R: “Ok.” I: “Allora… quali erano i suoi compiti principali… Il compito principale è stato quello praticamente di cercare di creare un gruppo di genitori un po’ unito ecco, ma in pratica i genitori sono già passati attraverso altre associazioni come l’Atgabbes o associazioni specializzate, di modo che… erano già coinvolti in un certo modo in tanti argomenti.” R: “Sì. Come funziona il rapporto tra commissione genitori e i famigliari stessi?” I: “Ecco, questo mi sembra già di averlo detto.” R: “Quindi, diciamo, voi non so… arriva un nuovo utente all’interno della struttura la Fondazione gli fa sapere di questa Commissione ai genitori?” I: “Lo fa sapere, e lo… fa sapere al Consiglio di Fondazione e nel Consiglio di Fondazione ci sono anche i membri della Commissione. Non è che la Commissione esamina se può essere assunto o non assunto e così via. Cioè anche quei problemi lì arrivavano in Consiglio di Fondazione e in Consiglio di Fondazione… i membri della Commissione genitori sono anche,

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eravamo tre membri del Consiglio di Fondazione quindi dopo nel Consiglio di Fondazione c’è chi ha dei compiti, chi ha altri compiti, c’è chi ha soprattutto l’aspetto finanziario, chi ha l’aspetto degli… l’aspetto delle strutture e poi la Commissione genitori si occupava ecco di questa giornata, o di questi incontri, con i genitori.” R: “Facoltativi quindi, cioè i genitori decidono se parteciparvi o se…” I: “Sì non c’è niente di obbligatorio, assolutamente niente di obbligatorio. Erano poi sempre i soliti che partecipavano. Non è che c’è un grandissimo… se c’era una necessità, se c’era un argomento che interessava venivano. Ecco adesso per esempio in questi ultimi anni l’argomento principale era proprio l’invecchiamento.” R: “Sì.” I: “E quindi quello, per quello abbiamo avuto un po’ più purtroppo successo perché la gente veniva, voleva sapere cosa succede adesso che il figlio invecchia e così via no? Allora lì abbiamo organizzato almeno tre serate penso eh.” R: “In un anno?” I: “No no in un anno, in tre anni. Ma poi il problema veniva seguito anche fuori perché c’era l’Atgabbes che trattava questi problemi, la Diamante che trattava questi problemi di modo che poi i genitori andavano un po’ dove volevano diciamo. Ecco no, o anche… le riunioni erano aperte a tutti. Qualche volta l’abbiamo messo anche sul giornale se c’era per esempio un… un ospite, un geriatra o così… veniva messo sul giornale e chi voleva partecipare partecipava. Di solito c’erano genitori e educatori che…” R: “Ok.” I: “Certe volte si sentivano anche in dovere di essere presenti, ecco.” R: “Come funziona il rapporto tra commissione genitori e le strutture? Più nello specifico con il Centro diurno di Agno?” I: “Non c’è un… un rapporto diretto tra Commissione genitori e strutture, ma va sempre via al Consiglio di Fondazione o di Direzione, a dipendenza dal problema. Poi se si andava dal direttore, se la cosa era un po’ grave, veniva poi portata in Consiglio di Fondazione, ecco. R: “Ok.” I: “C’è anche il Consiglio esecutivo. Il Consiglio esecutivo si riunisce molto più sovente e lì discutono proprio i problemi quasi giornalieri della… della Fondazione ecco.” R: “Alcuni dei quali portavate anche voi come Commissione…?” I: “Sì anche lì arrivavano lì. Io non ero in questo Consiglio esecutivo ma c’era il signor ----- che era della Commissione genitori ed era anche del Consiglio esecutivo. Questo è diciamo un po’ l’ente che, con il direttore, discutono un po’ i problemi del giorno, ecco, che poi vengono portati avanti. Quindi anche con il… nello specifico con il Centro diurno di Agno, Centro diurno di Agno è la casa… è la casa lì a…”

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R: “È Fonte1, dove c’è…” I: “Centro diurno ah sì scusa, sì. L’altra è la Casa cortile, il Centro diurno è lì dove c’è la M. No non c’era una linea diretta con loro. Io con la M. parlavo, perché lei ogni tanto mi raccontava un po’ certe cose che le dicevano i genitori e io da lì, li portavo avanti alla Direzione o al Consiglio di fondazione, ecco. R: “Ok.” I: “Ma non c’era…” R: “Cioè, formalmente non c’è un rapporto diretto?” I: “No no, se la M. telefonava o mi diceva qualche cosa… io cercavo di prendere questa notizia e di farla passare dove mi sembrava più giusto, ecco, in quel senso lì.” R: “In che modo è stato affrontato il tema dell’invecchiamento con i genitori?” I: “Eh qui è stato affrontato praticamente in serate, in serate di formazione e istruzione. Abbiamo avuto per esempio due geriatri, uno dottor Quadri e due il dottor Bertoldi, sono due geriatri, che hanno fatto un anno dopo l’altro delle conferenze e qui c’è stata un’ottima, una buona partecipazione dei genitori che hanno posto anche parecchie domande, ma forse i genitori non hanno avuto la risposta che si aspettavano. Perché il problema, ognuno arrivava a queste conferenze con il suo… il proprio problema, dicevano “Adesso mio figlio, cosa fate di mio figlio che ha 60 anni e che non va più bene in questa struttura? Cosa succede?” Devo dire che nessuno ha potuto dare una risposta e la risposta non c’è ancora oggi. Però possiamo anche dire una cosa, che nessuno è rimasto a piedi. In pratica… queste persone hanno, per tutte è stata trovata una sistemazione singolarmente. Perché il problema dovrebbe venire dalla, dalla politica, dal Cantone. Cosa facciamo di queste persone che invecchiano e sono disabili, dove li mettiamo, e così via no? E lì non c’è ancora la risposta precisa. Però posso dire che per esempio a Fonte3 c’è un ospite che ha più di 80 anni. Non è mai stato mandato via, altri magari sono stati, sono stati dirottati su case per anziani perché a un certo momento anche la disabilità… si avvicina di più alla vecchiaia, arriva un livello che il disabile o certi anziani sono quasi sullo stesso livello.” R: “I bisogni sono gli stessi?” I: “Sono uguali ecco no?” M: Però tutte queste serate hanno aiutato a sensibilizzare gli educatori, che i ga vü anca della formazione, immagino, in merito no?” I: “Veramente è stato molto utile poiché hanno aperto una porta nuova, quella della prevenzione. Infatti, questi medici hanno puntato molto sull’aspetto dello screening: di poter valutare le capacità di queste persone in diversi tempi della vita in modo da poter prevenire eventuali peggioramenti repentini o roba del genere. E questo ha aiutato, perché io ho saputo che parecchi, eh parecchi, alcuni genitori si sono poi rivolti a questi geriatri per esaminare il

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problema, per sapere loro figlio in che situazione era e… e forse è stato anche un po’, possiamo dire che sono state anche delle serate un po’ di conforto poiché facevano capire che in fondo questo invecchiamento non è poi tanto diverso dall’invecchiamento delle persone normali in certi casi, è che in tanti casi purtroppo, se vogliamo chiamarla malattia, ma la situazione reale dell’ospite va poi ad accumularsi con la… con l’invecchiamento ecco. Quindi qui non c’è una risposta, però hanno ricevuto penso una certa assicurazione che nessuno, nessuno viene abbandonato. Penso che ci si aspettano delle soluzioni da parte del Cantone qui no? Come risolvere questo problema. Vogliono creare delle case appositamente? Vogliono… apposite? Vogliono inserirli in case per anziani? E la preoccupazione dei genitori è un po’ quella lì, cosa succede Dopo di noi? Ecco, e questa risposta dovrebbe venire nei prossimi anni. Purtroppo ci troviamo in una situazione di… dove i problemi vengono valutati da un punto di vista economico e finanziario e non dal punto di vista umano e delle necessità e… ormai il Cantone ha difficoltà finanziarie, ci sono restrizioni, tagliano a destra e sinistra e questo è un problema un po’ marginale nell’insieme del problemi cantonali, ecco.” R: “Secondo i genitori il ruolo e l’intervento educativo si sono modificati in relazione al fenomeno dell’invecchiamento?” I: “Ma dunque qui il problema è veramente un problema grosso poiché il personale delle, degli istituti, non è formato per l’invecchiamento degli ospiti. E qui dobbiamo dire che…” M: Però si sono adattati, almeno dall’esperienza personale che abbiamo.” I: “Sì, modificati sa po’ dì sì, se vogliamo dire modificati. Però anche loro si sentano un po’… si sentano impreparati perché… ce l’hanno detto, me l’hanno detto. Parecchi educatori mi fanno “Ma adesso noi queste persone che abbiamo qui invecchiano, i problemi sono più problemi di infermieristica geriatrica e noi siamo educatori.” E quindi lì ci sarà sicuramente un’evoluzione sulla, sul tipo di personale che dovrà essere in questi istituti. Bisogna dire che per esempio a Fonte3 adesso ci sono già due infermieri, beh forse mia al 100%.” M: “Sono tre le infermiere ma non a tempo pieno, a tempo parziale.” I: “Sì, una però con la funzione di educatrice, mia propri da infermiera.” M: “Però si alternano e c’è sempre un infermiere presente, si sente.” I: “Ciò che prima, forse… non so nei laboratori protetti, pensiamo a 50 anni fa quando sono nati i laboratori protetti, non si pensava a mettere un’infermiera. Si pensava a mettere un educatore, anzi all’inizio erano magari bravi artigiani e… gente che faceva lavorare un po’ questi ragazzi. Poi adagio adagio è subentrato il problema della formazione, educatori, e adesso quasi quasi in queste… in questi istituti la posizione dell’educatore è sempre importante, però dovrebbe essere anche affiancata anche da queste, da questi infermieri o specialisti in geriatria. Soprattutto se i ragazzi rimangono lì oltre una certa età, ecco.”

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M: “Ecco ma gli infermieri sono soprattutto nell’istituto del foyer, non nei laboratori perché lì gli ospiti, gli utenti sono ancora… diciamo autosufficienti, possono…” I: “Sì, chiaro. Però il problema dell’invecchiamento si sposta…” M: “Ah beh chiaro lo vedono anche a Fonte1, sicuramente vedono…” I: “È legato anche alla speranza di vita che è aumentata parecchio. Prima c’erano dei termini di vita per queste persone diciamo disabili che erano… non so 50 anni era già una bella età. Adesso i 50 anni sono ancora giovani quasi no? E addirittura come dico, c’è gente, c’è una persona che supera, che passa gli 80 anni. Bom sono le eccezioni, però si sono modificate… come nel, nel resto della popolazione, come noi. Purtroppo o meglio così campiamo di più, però ha creato nuovi problemi e questi si riflettono anche in queste istituzioni.” R: “Abbiamo tralasciato questa domanda: Qual è la percezione dei famigliari rispetto al fenomeno dell’invecchiamento? È saltato fuori nelle serate quando i genitori dicono “Ok, mio figlio sta entrando…?” I: “La percezione è una percezione di preoccupazione. La preoccupazione di cosa succederà dopo, d’incertezza di… Noi l’abbiamo…” M: “Sì nasce gradatamente perché non è che uno da un giorno al domani si trova invecchiato, è una regressione continua, veloce o lenta, ma è comunque continua e ci si rende conto che c’è l’invecchiamento vedendo, sentendo gli educatori, il laboratorio che non segue più, non sopporta più il ritmo e tutte queste cose. È una cosa che subentra adagio adagio e adagio sul corso dell’utente in fin dei conti, non è una cosa immediata, è una cosa che… ci si accorge che non ce la fa più a far questo, non può più seguire quello, adagio adagio e discutendo sugli educatori si trova… si capisce perché loro vedono il ren… tra virgolette il rendimento come sa… l’utente come sa seguire, come sa sopportare i ritmi della giornata.” I: “Però noi l’abbiamo anche vissuta un po’… un po’ di colpo quasi questa situazione. Perché a un certo momento, parlando di nostro figlio F., come mai… questa caduta in poco tempo, cosa c’è, cosa succede, cosa c’è… e poi ti dicono “È uno scalino dell’invecchiamento.” Ecco lì è un momento difficile perché si possono anche prendere decisioni sbagliate in quel momento. Perché si potrebbe anche pensare, da noi a una certa… quindi per i genitori è un momento di grande preoccupazione quando dicono “C’è l’invecchiamento.” E poi ma adesso noi cosa facciamo? E lì cominciano a nascere tanti… tante idee. Uno dice “No deve continuare nell’istituto.” E l’altro “No ma deve andare in casa per anziani.” Un altro dice “No ma addirittura…” Non so io “Nel reparto Alzheimer.” E lì entra allora… l’importanza degli esami che fanno che sono, che danno un quadro della situazione che permette di misurarlo ancora tra qualche anno ecco.”

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M: “Sì queste valutazioni sono importantissime perché ci sono poi dei termini di paragone che è importante avere da parte di specialisti con gli esami che servono veramente per vedere come evolve la situazione.” R: “Secondo voi i genitori sono abbastanza informati su queste cose o ci vuole una sensibilizzazione più presente anche da parte magari degli educatori, piuttosto che…” M: Durante le serate è stato raccomandato… dopo dipende dalla sensibilità del genitore penso…” I: “Per esempio non so, i… i bollettini che circolano delle diverse associazioni, ci sono sempre degli argomenti sull’invecchiamento, penso che un genitore normalmente dovrebbe leggerlo ecco. E in più tutti i genitori sono in contatto con i dei medici, con dei medici di famiglia, non è che il genitore… ormai il problema sanitario in queste persone è molto presente e quindi non so c’è il medico di famiglia, c’è la psichiatra, c’è… c’è una rete in giro…” M: “Poi ci sono gli educatori che sollecitano, che aprono l’occhio su quest’aspetto.” I: “Forse l’educatore è il primo che può dare dei segnali, può dire… ci sono anche dei…, delle… delle statistiche, ormai è provato, almeno questi articoli, che il problema dell’invecchiamento nelle persone disabili si incomincia a sentire a 40 anni, non è per tutti così, ma lì inizia proprio la fase. Quindi è un po’ come nel resto delle persone, non so, problema di vista, uno che ci vede bene, cominciano a 50 anni, almeno per me.” M: “Eh, prima, prima.” (Risata) I: “Vai dall’oculista e dici “Eh guardando il computer, insomma… mi fa male la testa e così.” E lui “No no non è il computer, è l’età che ha lei.” Quindi, anche lì bisognerebbe tenere, ma sicuramente succede, queste persone che hanno… fino a 30 anni, 35, questi ragazzi sono gioiosi, giocano, sono come bambini. Dopo noi magari purtroppo continuiamo a considerarli bambini, e questo è un altro problema, però a 40 anni c’è qualche campanello che suona, ecco e lì bisognerebbe… ma io penso che nell’équipe delle… anche forse anche a Fonte1 avete notato, diciamo ma questo potrebbe essere quel problema lì. Chiaramente poi non tocca all’educatore portare la diagnosi e dire…” M: “No la diagnosi no ma…” I: “È meglio verificare il problema.” M: “E certo, dei segnali per far si che… si esamini di più ___” I: “Quindi oggi come oggi i genitori sono abbastanza informati ecco. Se proprio uno non sa niente è perché non vuole interessarsi o non so… ecco non segue un po’ quello che succede insomma. Direi proprio di sì.”

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R: “E sono abbastanza supportati? Cioè sono accompagnati abbastanza per affrontare l’invecchiamento dei figli?” M: “Eh lì, noi per gli altri non possiamo dire niente, la nostra esperienza personale è una, ma le altre…” I: “Mah, se loro seguono un po’ i consigli che ricevono sicuramente sì, non so perché… facciamo un esempio. Lì alla Fonte ci sono anche, ci sono degli incontri diretti con i genitori, dei colloqui con i genitori. Allora se una persona va al colloquio con l’educatore o la capa struttura, il capo struttura gli dice “Guarda che questo ragazzo, questa ragazza, ha dei problemi e così e così, sarebbe opportuno rivolgersi a…” no? Ecco questo è anche un po’ un problema importante. In questi colloqui si può ottenere tantissimo se il genitore lo accetta quello che dice la, il… capo struttura. Possiamo fare il nostro esempio. Noi siamo stati al colloquio adesso all’inizio dell’anno con la capo struttura di Fonte3, abbiamo detto… l’anno scorso dopo anni che F. non andava più in piscina l’abbiamo portato in piscina e abbiamo visto che nuota ancora e… si diverte ed è contento e così. Allora abbiamo detto che a noi farebbe piacere se trovate il tempo di portarlo in piscina, mettiamoci d’accordo. E ha risolto il problema, lo portano in piscina. Cioè proprio da quel colloquio lì… è nata l’idea. Naturalmente sembrava una cosa logica.” M: “No è stata realizzata.” I: “È stata realizzata.” M: “Soprattutto, l’idea c’era ma è stata realizzata.” I: “È stata realizzata, ecco. E poi lei ha detto (riferendosi alla moglie) “Mah magari sarebbero 4-5 anni che non ha più un controllo dal neurologo, sarebbe magari bella cosa andare.” E hanno preso l’appuntamento.” M: “No no le cose funzionano. Io penso che se i ragazzi, chiamiamoli sempre ragazzi anche se non lo sono più, però sono seguiti o partecipano a un foyer, a un laboratorio o in una struttura, l’aiuto c’è. Per chi invece tiene a casa il ragazzo in famiglia non so, ma naturalmente noi abbiamo un’esperienza delle strutture della Fonte e abbiamo sempre avuto un bel sostegno. Perché il ragazzo non lo vedo, non lo vediamo solo noi, che poi certe cose non si vedono quando si hanno in famiglia, ma con altri occhi fuori… loro ci hanno sempre indicato e sostenuto e… aperto gli occhi su certe situazioni. Io penso che quando un ragazzo va in una… in un laboratorio o così sicuramente c’è una bella collaborazione con gli educatori, con il capo struttura.” I: “Poi perché il ragazzo può essere tenuto a casa dopo i 18 anni eh, fino ai 18 anni in pratica ha una scolarizzazione e quindi deve seguire… e quindi penso che, penso che ricevono tutte queste informazioni insomma.” M: “Sì però dopo uno che lo tiene a casa, dai 18 anni, probabilmente si abitua a vedere una situazione e non si accorge più di certe… o magari si accorge ma con un certo tempo in

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ritardo. Mentre quando sei a contatto con altre persone, che poi come in un laboratorio non è mai solo un educatore che lo vede ma fanno dei momenti, parliamo della Fonte, magari fanno dei momenti con un monitore e con altri e così, di modo che ci sono diverse persone che possono dare la loro opinione sulla… sull’utente.” I: “Possiamo dire che le cose non sono ancora perfette, ma di perfetto non c’è niente, però noi abbiamo vissuto per 50 anni questi problemi di integrazione. Prima, la grande parola di una volta era integrazione, oggi ci sono degli articoli di giornale, la parola integrazione in questo ambito non c’è quasi più poiché è stata… una volta era un problema grosso, i problemi dei laboratori, il problema della scuola speciale e così. E adesso siamo arrivati al problema degli anziani, comunque con dei progressi enormi. A questo punto della situazione c’è il pericolo di peggiorare la situazione, cioè che… non si riesca più a progredire per ragioni appunto più di razionalità o di economia o… per quei problemi lì. Altrimenti non sarebbe giusto fare delle critiche su come funzionano le cose, ecco. Però ci sono anche quelli che non sono contenti. Nessun genitore di un ragazzo disabile è contento, perché la situazione in sé non è una situazione di gioia, però… se noi pensiamo a come siamo a livello di servizi dobbiamo per lo meno essere soddisfatti, ecco. Pensiamo un po’ così, magari parla con qualcun altro ed è più distruttivo, ecco.” R: “Ecco qua ci sta a pennello la settima domanda: secondo lei cosa si potrebbe fare oggi per fronteggiare al meglio l’invecchiamento dell’utenza? Quindi ci si può accontentare, ma…?” I: “No, sicuramente si…” M: “Mai adagiarsi, ma cercar di migliorare.” I: “Lo scopo principale è quello di mantenere la funzionalità della persona e quindi poter, quello che dici sempre te (rivolgendosi alla moglie), tenerlo in allenamento.” M: “Eh sì.” I: “Noi, non per parlare di noi, ma…” M: “Cercare di stimolarlo un po’.” I: “Ecco, stimolarlo, motivarlo… e così il problema. Se noi trattiamo questi disabili come anziani della casa per anziani, seduti in poltrona tutto il pomeriggio… eh così non facciamo tanto per loro. Lei a visto quel teatrino che fa un gruppo di infermieri del Canton Ticino dove fanno l’esempio di un infermiere…” M: “Non sono infermieri credo.” I: “No, il personale di una casa educatrice… di una casa per anziani, e dove un’educatrice tratta una persona anziana. Bellissimo, vedi tutti gli errori che fa. Ecco quella è stata una bella… pomeriggio d’istruzione per il personale della Fonte. E allora questa signora si presenta lì, prima di tutto tutta agitata con il telefonino perché aveva dei problemi anche a

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casa e così no? Con questo anziano, lo fa sedere e gli dice “Allora adesso facciamo le perline.” Cioè… delle perline. E lui gli ha detto una parolaccia. Ecco, insomma, non dobbiamo far fare delle perline tutti i giorni a questi ragazzi, ma dobbiamo cercare di mantenerli funzionali. Ecco, portarli fuori, cosa sa po’ dì… partecipare, renderli attivi, farli lavorare in cucina, farli lavorare in giardino, anche se magari fanno disastri.” M: “Ecco però per esempio il F. l’hanno aiutato a pulire il…” I: “Il furgone.” M: “Il furgone.” I: “Lui era felice.” M: “A lavare l’auto lì a Neggio. Un educatore ha detto “Eh il F. ci ha aiutato e l’ha fatto bene, insomma (risata). Bene non so, ma comunque è stato occupato, è stato valorizzato. Il fatto di poter fare qualcosa no? E non star lì seduto.” I: “E questo problema tocca. Ecco allora per entrare in questo discorso qui di cosa si potrebbe fare oggi, tocca il personale che dev’essere… purtroppo è tirato, forse si sarà accorta lì (rivolgendosi al ricercatore) il personale è un problema finanziario. Lei è stata lì come stagiaire?” R: “Sì.” I: “Le hanno dato lo stipendio?” R: “Sì sì.” I “Gliel’hanno dato?! Sì?! Ah ecco mi fa piacere, perché a un certo momento c’erano delle stagiare che i pagava nianca pü. Ecco, bom, non è il singolo problema, però se non possono assumere personale per occuparsi… perché a far lavorare un attimino un ragazzo che pulisce il furgone ci vuole qualcuno che lo guarda se no quello là magari gli strappa via i tergicristalli per modo di dire no? E poi le strutture, ecco questo è anche importante. Per esempio una struttura come quella di Neggio, che è una bellissima villa, è un posto stupendo per godersi il panorama, però non è più funzionale, soprattutto per anziani. Quindi migliorare… avere abbastanza personale, avere strutture idonee e mantenere questa funzionalità no? Questo, e questo però ha sempre a monte il problema finanziario. Perché noi… non so abbiamo visto lì a Neggio, non funzionavano le tapparelle, e… non so è durata due anni perché non si finanziava la riparazione delle tapparelle. C’erano ospiti che gli è stai denta due mesi con la tapparella abbassata tutto il giorno. Proprio dietro c’è questo problema. Quindi… alla fine si ritorna alla base, alla politica, a chi deve prendere queste decisioni e che dovrebbe avere e rivedere un pochino… e si fa il possibile, si scrivono… si… la Fondazione spesso va a chiedere allo Stato e così, dopo però lì viene creato un ordine di priorità e le cose vanno avanti così. Con una situazione attuale piuttosto statica si dovrebbe potersi muovere in quella situazione lì: più personale, più personale specializzato e strutture più idonee. Non so se le abbiamo dato qualche elemento.”

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R: “Sì, veramente grazie.” I: “E qui è entrata un po’ in un campo specifico di… sicuramente in altre Fondazioni agiscono magari diversamente. Ha preso contatto con la Diamante? Sorengo, Diamante… bom alla base arrivano tutti lì, che ci vuole il finanziamento. Salvo Sorengo per le strutture, perché Sorengo è una fondazione che ha molta disponibilità. È stata la prima in Ticino e diversi anni fa la gente offriva parecchio a Sorengo perché era l’unica, non l’unica… c’era la famosa Sorella Cora.” M: “È lei che ha creato l’ospizio…” I: “E lì hanno potuto beneficiare di lasciti… adesso tutti cercano, tutti hanno bisogno. Non solo le fondazioni di questo tipo, ma anche fondazioni… se vediamo cosa arriva in casa di gente che ha bisogno e così… tanti aiuti si disperdono un po’ in tanti tipi di riali ecco.” R: “Volete aggiungere qualcosa?” I: “No, se ha ancora una domanda ma…” R: “No io no.” I: “Ti ta vö di quaicoss?” (rivolgendosi alla moglie) M: “No, no, va bene.” I: “L’invecchiamento è una cosa che… colpisce tutti e vuol dire adagio adagio perdere sempre qualcosa e così, ma vale per tutti non solo per i disabili.” (Risata) R: “Ecco forse questo lo avete affrontato con i genitori, cioè, nelle serate avete affrontato il fatto che l’invecchiamento con il figlio va a pari passo con quello del genitore?” I + M : “Sì, sì.” M: “Sì ma tutti si rendono conto di questo. Alcuni genitori diminuiscono le forze e dunque… è normale che… no?” I: “Ho conosciuto un genitore che ogni riunione, dell’Atgabbes, quindi 25-30 anni fa al minimo, almeno 30 anni fa, ogni riunione veniva, tirava fuori e diceva “Adesso dobbiamo pensare a quando saremo morti noi” questo uomo diceva, il nome non lo ricordo più. Ecco vedo ancora suo figlio che andava ancora lì alla ___ a prendere i prospetti delle macchine, ___ gli piacevano le macchine. E a ogni riunione arrivava questo uomo e insomma alla fine diceva “Adesso dobbiamo risolvere questo problema perché sarà poi un problema di tutti.” A un certo momento il figlio è morto prima del papà. Allora, tante volte è giusto eh pensare ai problemi futuri, del futuro lontano, però non si deve neanche distruggersi per quello poiché la vita un po’ continua. Noi abbiamo dei figli e siamo tranquilli, i nostri… il fratello e la sorella del F. si occuperanno di lui, la fiducia… nel nostro Paese, non hanno mai lasciato, non so, non hanno mai lasciato andar male, si capita anca chel, gente che finisce male perché non era stata, ma

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c’è una buona rete e quindi abbiamo questa preoccupazione l’abbiamo ma non una preoccupazione…” M: “Assillante.” I: “Assillante, ecco. Dobbiamo vivere anche un po’ con una certa fiducia nel futuro.” R: “E dalla sua esperienza i genitori hanno fiducia nelle istituzioni, nella Fondazione La Fonte?” I: “Io penso che nella maggior parte sì. C’è anche qualcuno che non è stato contento, ecco, c’è anche qualcuno che era esigente oltre il limite del normale poiché noi possiamo essere esigenti nei confronti del… non so… di un educatore o così, però non si può pretendere oltre il limite anche… penso che certi non capisco dov’è il limite della sopportabilità e… non si può incolpare gli altri per dei problemi che poi sono anche dalla nostra parte certe volte. Però il grosso, diciamo almeno l’80%, è contento della Fondazione. Quelli che non si vedono sono contenti. Quelli che venivano, che vengono alle riunioni, adesso noi andremo senza compiti particolari, lo dicono anche che sono contenti ma che si potrebbe fare questo, quello e quell’altro. C’è anche chi ha cambiato, ha cambiato istituto. Ma questo capita dappertutto, è come nelle scuole penso no? Ci sono dei genitori che magari in una scuola che va bene e la maggior parte è contenta, magari loro non sono contenti e cambiano la scuola al ragazzo. Poi ci saranno dei motivi ecco.” R: “Ecco allora grazie.”

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Documento di complemento al focus group con gli operatori Domande alle quali avrei voluto ottenere risposte tramite il focus group:

• Come l’équipe percepisce l’invecchiamento dell’utenza; • Cosa l’équipe intende per utente disabile anziano, quali sono i suoi bisogni e se sono

cambiati rispetto al passato; • In che modo l’educatore ha affrontato e affronta l’invecchiamento all’interno del tuo

atelier; • Quali modifiche ha subito il suo ruolo e l’intervento educativo; • Se l’istituzione è adeguata ad accogliere l’utenza che invecchia o se si potrebbero

apportare delle modifiche per fronteggiare al meglio l’invecchiamento dell’utenza e la sua presa a carico al centro diurno;

• Se l’équipe ritiene la propria formazione idonea per la presa a carico nei confronti dell’utenza anziana.

Come ho strutturato l’incontro Dopo una breve introduzione sulla ricerca per la tesi e le regole di funzionamento per il focus group (non parlare uno sopra all’altro, nessuna opinione è sbagliata, è importante ciascun pensiero,…), ho consegnato ai partecipanti un foglio con i seguenti stimoli:

“L’utente disabile anziano ha le stesse caratteristiche di un anziano normodotato.”

“I bisogni di un utente nella fase dell’invecchiamento, se non i ritmi che vanno a rallentarsi, sono i medesimi degli altri utenti.”

“Il ruolo educativo e l’intervento sono diventati più di cura.”

“In che modo hai affrontato l’invecchiamento all’interno del tuo atelier?”

“La Fonte1 è adeguata alla presa a carico dell’utenza che invecchia o vi sarebbero delle modifiche da apportare?”

“La vostra formazione è idonea alla presa a carico del disabile che invecchia?”

Presi uno per volta, e concedendo interventi di circa quindici minuti per ogni stimolo, ho lasciato la parola agli educatori partecipando soltanto in veste di moderatrice.

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Trascrizione del focus group con gli operatori Luogo: atelier Ago e Filo, Centro diurno La Fonte1, Agno Data: giovedì 11 giugno 2015 Durata: un’ora e mezza circa Assenti: due educatori, per malattia e per una riunione. Didascalia: R: ricercatore Edu. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 10: gli educatori presenti (): aggiunta di risate, riferimenti,… …: pausa, sospensione ___: parola o frase non comprensibile dalla registrazione audio R: “Allora, so che avete già fatto diversi focus group, con Edu. 1, non so per la tesi…” Edu. 2: “No, io no.” R: “Vabbè, le regole principali per il focus Group sono un po’ quelle che favoriscono il clima, quindi: non parlare uno sopra all’altro, aspettare che ognuno finisca il proprio intervento e vi chiedo un tono di voce abbastanza alto così che riesco a riportare veramente le parole che avete detto e non pezzetti, non ci sono opinioni giuste o sbagliate ed è importante che parliate tutti perché il focus Group si basa proprio sul principio di influenzamento reciproco per il quale se a te viene un’idea e io metto qualcos’altro, magari tu puoi cambiarla, puoi argomentare di più e così via. Eh, niente. Vi distribuisco un foglio dove ci sono tre frasi e tre domande, il tempo è un’ora e mezza, quindi io pensavo di occupare un quarto d’ora per ogni domanda più o meno. Il tempo lo tengo io così non siete influenzati da questa cosa e niente. Vi distribuisco i fogli se riesco a non tremare troppo. (risata di gruppo) Non so se tutti lo sapete, ripeto comunque il tema di ricerca di tesi che sarà sull’invecchiamento e la domanda, che non è ancora definitiva però delinea un po’ quanto andrò a produrre è: “Gli educatori del centro diurno La Fonte1 hanno modificato, negli ultimi cinque anni, il loro ruolo e l’intervento educativo di fronte all’invecchiamento delle persone con handicap? Quindi il tema centrale è l’invecchiamento dell’utenza con la quale siete confrontati quotidianamente. Magari leggo la prima frase e poi chi ha voglia di iniziare a parlare. Allora: l’utente disabile anziano ha le stesse caratteristiche di un anziano normodotato.”

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Edu. 3: “Io c’ho già una domanda: queste sono frasi della ricerca che hai prodotto tu, per cui è scientifico quello che c’è scritto o è una provocazione?” R: “Sono un po’ provocazioni…” Edu. 3: “Ok.” R: “O degli input che ho creato io per voi.” Edu. 4: “Una cosa che mi viene in mente rispetto a questa frase è che noi abbiamo potuto constatare diverse volte che la, diciamo l’età dell’invecchiamento nei nostri utenti è, comincia un po’ prima rispetto alla popolazione in generale. Non so se gli altri sono d’accordo, però, sì diversi dei nostri utenti, già a 45-50 anni son già… come delle persone di 70 anni. Quindi una caratteristica un po’ diversa secondo me è questa: subentra prima, non in tutti però in buona parte. Dal mio punto di vista c’è questa caratteristica.” Edu. 3: “Non so se anche è vero, ma…” Edu. 5: “Possiamo, scusate, solo concordare che alziamo davvero il volume così possiamo tenere le finestre aperte.” Edu. 6: “Va che non cambia granché…” Edu. 5: “Scusami è Michela.” R: “No, niente.” Edu. 3: “Che forse, è… quando definiamo l’utente in fase d’invecchiamento, poi la regressione è più pronunciata? Più veloce? Rispetto… non so se il declino, a volte, quello che ho visto, è più forte rispetto a quello che può succedere a un anziano. Non per forza sempre, però in quelli che ho vissuto io, sì, spesso.” Edu. 7: “Ma i processi delle volte sono simili agli anziani… c’è un declino, poi c’è una stasi, poi c’è un declino, poi. Magari più rapidi come dicevi tu, però anche da dei nostri utenti si vede proprio, la prima data dove cadono…poi per un po’… Hanno magari delle certe cose che sono simili però magari più veloci di un… si ha sempre un momento di assestamento poi spesso, in questi momenti di assestamento, è quando vai, arrivi ancora a salvaguardare certe capacità. È un modo, un momento dove si può lavorare con l’utente purché ha avuto un cambiamento diciamo, cercare di non farmi andare ancora a quello scalino successivo.” Edu. 8: “Io trovo, è vero i processi secondo me sono simili, hanno anche spesso età differenti e quello che cambia sostanzialmente, almeno riferendo più alla nostra utenza, un’altra utenza magari non lo so, qui la nostra utenza sono le competenze iniziali che hanno le persone. Perché… ci sono competenze differenti per cui anche ritmi e processi differenti, però molto simili. Io ho notato per esperienza delle similitudini tra l’invecchiamento di un nostro utente e una determinata malattia ipotizzata, perché forse non si possono neanche…, e nella vita normale.” Edu. 7: “A me fa ricordare sempre la storia di F. quando, cioè il fatto che i primi, i primi utenti che avevano i sentori di Alzheimer, all’inizio erano difficili da etichettare perché come dice

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Edu. 8 hanno già dei deficit e… grazie anche al fatto di aver avuto l’esperienza con utenti all’interno di Fonte1 che stavano invecchiando abbiamo potuto mettere le antenne per quelli che arrivano adesso. Cioè tutto questo lavoro sull’invecchiamento è già stato messo in atto dai primi invecchiamenti che ci hanno… ed è difficile all’inizio a capirlo in quel momento lì e magari anche a farlo capire ai genitori o a chi ci stava attorno. Quindi è già da anni che si instaura un lavoro del genere, che si è instaurato un lavoro di attenzione verso l’invecchiamento del disabile, grazie a noi.” R: “Secondo quello che state dicendo, quali sono gli elementi per i quali dite “Ok, questo utente sta entrando nella fase dell’invecchiamento. Cioè, quando uno è adulto e quando uno è adulto anziano?” Edu. 6: “Infatti è la domanda che avevo fatto io, nel senso: non avendo anziani in famiglia o per esperienza no, nel senso quando una persona va in casa anziani che è anziano e quando uno è disabile anziano e quindi è da centro per disabili dove ci sono più anziani? Ecco. No cioè guardo te (riferendosi a un altro educatore) perché… (risata). Nel senso c’è un minimo dove uno dice, non è che a trent’anni uno si va in casa anziani a livello di età, alla pensione, prima o dopo una malattia?” Edu. 9: “Io penso che una caratteristica è il tempo… con il quale, dico, una persona riesce a tenere l’attenzione rispetto a un compito, la capacità di stancarsi nel fare un, anche nella vita quotidiana no? Di reggere un ritmo che è sempre stato così da anni e poi a un certo punto tu vedi che comincia a essere affaticato no? Perché appunto si distrae, perché ti arriva magari con il volto più stanco, perché piano piano perde delle competenze che aveva prima no? Quello che mi stavo chiedendo, anche ripercorrendo un po’ all’indietro i nostri anziani che ci hanno insegnato no, ci hanno dato proprio una visione, è che sono tutti anziani che hanno concluso il loro ciclo di vita con una malattia come l’Alzheimer o cose del genere. Mentre nell’anziano normodotato c’è questa è, però non è detto che per forza l’anziano, tutti gli anziani vadano a finire con l’Alzheimer. C’è anche l’anziano, come mio nonno, uno dei due (sorride), dico che si è spento perché a un certo punto il corpo diceva “Basta” no? (sorride) era arrivato oltre ai 90 anni. Mentre qua, anche magari s’è più giovani, vedi un F., vedi… ora tanto dico i nomi, dico, anche se si fanno rimangono internos… R: “Sì, sì.” Edu. 9: “Hanno comunque, sviluppano delle caratteristiche di compromissione proprio della… e, forse del, di capacità no che vengono poi, come dette, riassunte in, spesso con il termine di Alzheimer, quando Alzheimer è proprio una malattia… precisa. Edu. 5: “Diagnosticata è, l’altra è la demenza.” Edu. 9: “Ecco, oppure demenza.” Edu. 2: “Io nella mia esperienza, mi riferisco di più in foyer perché qui sono qui da poco, noi, là si parlava di invecchiamento quando si incominciava a vedere sicuramente quello che ha

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detto l’Edu. 9, ma anche il rallentamento nel fare. Non so, se per esempio li si chiedeva di essere pronti, uno si svegliava per esempio alle 7, di essere a tavola vestito alle 7:15-7:20, magari ci metteva di più. Ecco tutto questo rallentamento nel fare oltre anche una intolleranza magari agli stimoli, al troppo stimolo, quindi più una chiusura e beh soprattutto questi due. Poi chiaro anche a livello fisico, quindi, questo che diceva Edu. 3, una cosa dopo l’altra che tutto si accelera. Quindi il rallentamento e gli stimoli, questo tanto. R: “Visto che parlate di ritmi, introdurrei la seconda frase.” Edu. 1: Posso rispondere? Posso fare una riflessione? R: “Sì.” Edu. 1: “Secondo me una cosa che hanno in comune, cioè una caratteristica in comune, è proprio l’aver bisogno di qualcuno che si prende cura della persona. Magari ok, la… una persona disabile ha avuto tutta la vita bene o male qualcuno che si è preso cura di lui, quella normodotata no, perché ad un certo punto è diventata autonoma, però con l’invecchiamento comunque hai bisogno di cure, quindi qualcuno che ti aiuta.” Edu. 3, 4: “Anche secondo me” Edu. 3: “La perdita di autonomie, cioè… dalle più semplici alle… a quelle più complesse. Ma spesso vediamo delle piccole autonomie, dal tenere la chiave, al perderla in giro, al dimenticare piuttosto” Edu. 9: “Memoria.” Edu. 3: “Memoria, ecco queste sono delle caratteristiche che… che a me fanno accendere un campanellino”. Edu. 5: “Secondo me, l’altra cosa che aggiungerei, è che tanto, ma anche un po’ in risposta, invecchiare avviene dal primo giorno no, cioè se noi guardiamo, è chiaro che a vent’anni, trenta, sicuramente c’è la fase dell’invecchiamento. Però quello che mi veniva rispetto alla domanda sulle caratteristiche, mi viene da dire che lì dove siamo confrontati con delle patologie, abbiamo preso l’Alzheimer piuttosto che la demenza, la distanza fra l’utente disabile e l’utente normodotato, l’anziano normodotato, diventa molto piccola. Edu. 4: “Si avvicina” Edu. 5: “Mi vien da dire che lì, il confronto, siamo abbastanza, ci si muove abbastanza paralleli. Tanto è vero che anche da queste esperienze no che si va a raccogliere stimoli, idee, no, cioè, che sicuramente possono essere d’aiuto no, per quello che è il nostro progetto, per quello che è il bisogno di determinati utenti. Io penso che questa è la, se proprio sulla domanda caratteristiche, mi viene che dove ci sono le patologie, dove non ci sono è chiaro che…” Edu. 3: “Io penso che l’età anagrafica è diversa ancora, per quanto il disabile ha una speranza di vita maggiore rispetto ad anni fa, il normodotato ce l’ha ancor maggiore, per cui questo avvicinarsi nelle cose hanno completamente…”

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Edu. 8: “È anche x quello che determinate malattie sono più evidenti oggi che in passato.” Edu. 3: “Vengono anche studiate di più nel disabile perché sono…” Edu. 7: “Riconosciute.” Edu. 3: “Riconosciute prima.” Edu. 5: “E questo è un evento tosto perché quando noi abbiamo iniziato a ragionare, si parlava prima di un utente, ad esempio all’Alzheimer per la sindrome di down non poteva essere trattata, la farmacia, cioè i farmaci per l’Alzheimer non venivano riconosciuti dalla cassa malati. Tanto per dire cosa voleva dire no, quindi che cosa significava questo dal punto di vista invece dell’andare a riconoscere quello che dice l’Edu. 3 no, cioè quindi… possibilità di individuazione di quello che può essere il percorso.” R: “Se vi dico: “I bisogni di un utente nella fase dell’invecchiamento, se non i ritmi che vanno a rallentarsi, sono i medesimi degli altri utenti” voi cosa mi dite?” Edu. 4: “Una persona che invecchia ovviamente ha, subentrano altri bisogni. Quindi… non per forza sono i medesimi. Poi dipende, ci sono degli utenti giovani che magari hanno gli stessi bisogni o si avvicinano di più a dei bisogni di un utente in fase d’invecchiamento: meno stimoli, ambiente più tranquillo, per esempio, meno attività, adeguare le attività, i progetti all’età, alle capacità eccetera. Però questo può essere anche in un utente più giovane che non regge no, non regge… quindi sì, si possono anche avvicinare e molto.” Edu. 7: “Certe volte, almeno quello che ho notato, anche i cambiamenti in certi… in certi nostri utenti, specialmente nelle donne, una cosa che può essere incisiva è il passaggio alla menopausa dove ci sono dei cambiamenti corporei, anche se non è ancora invecchiamento, ci sono, se guardiamo una R., ci sono dei cambiamenti corporei talmente forti che non è ancora invecchiamento ma crea una disabilità e un impoverimento della capacità di apprendimento, a un certo punto, non so se… sono… Edu. 3: “Però.” Edu. 7: “Cioè quasi quasi, in certe nostre utenti, l’avvento della menopausa però ti può aiutare a…” Edu. 3: “Però Edu. 7” Edu. 7: A fare cadere, a entrare nella fase anziani più velocemente che non in una persona adulta normale. Quindi… sono ancora alla prima domanda, ma era…” Edu. 3: “Rispetto a questo, cioè, la menopausa, o l’andropausa, che è sicuramente un passaggio fisico importante, porta comunque anche nella persona normodotata un cambiamento importante, poi la gestione che uno riesce a fare di questo cambiamento è diverso, però è vero che… Edu. 4: “Le risorse sono diverse.” Edu. 3: “Fisicamente questo cambiamento è importantissimo, per cui quello che tu dici è un segno importante della persona normodotata o disabile che avviene.”

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Edu. 7: “Probabilmente, tornando adesso alla sua domanda, è in quel momento lì, proprio in quel momento lì, i nostri utenti hanno bisogno di essere accompagnati…” Edu. 3: “Maggiormente.” Edu. 7: “Maggiormente perché c’è qualche cosa nel loro fisico…” Edu. 3: “Difficile da comprendere.” Edu. 7: “Che è difficile da comprendere. Come l’invecchiamento, più tardi, sarà difficile da comprendere, quindi una persona disabile dovrà essere accompagnata molto di più.” Edu. 3: “Sì.” Edu. 7: “Nei cambiamenti fisici che… uno è quello nelle donne, poi più tardi avranno nuovi… un altro colpo d’invecchiamento. Però, penso che ta’ set dacordi no?” Edu. 3: “Ma io penso che in questa, in questa seconda frase, è la gravità della disabilità che fa in modo che, cioè, la base della persona, quindi la gravità della disabilità, adesso si parla del ritardo mentale, che ha uno piuttosto che un altro. Poi gli puoi mettere assieme un disabile più grave insieme a un anziano meno grave, magari hanno gli stessi bisogni piuttosto che il contrario. Per cui è difficile… è difficilissimo metterli assieme ma come nella normalità. Edu. 8: “Penso che già noi interveniamo sulla… abbiamo il PSG che parla di apprendimento, mantenimento e cura per cui sono tre fasi e quello indipendentemente dall’età, perché c’è chi.” Edu. 3: “Anagrafica.” Edu. 8: “Anagrafica sì. Per cui, ecco, sicuramente ogni fase ha bisogno di strumenti per quella fase lì. Per cui non sono, non per forza devono essere uguali, sono molto dipendenti dalla persona, anche indipendentemente dall’età, dal suo ciclo insomma.” R: “Quindi rispetto a un’utenza che invecchia, e qui arrivo con la terza frase, si può dire che il ruolo educativo e l’intervento sono diventati più di cura?” Edu. 4: “Non per forza secondo me. Se una persona ha delle difficoltà fisiche sicuramente sì. È chiaro come diceva l’Edu. 8 che quando un utente è giovane si cerca di tirar fuori tutte le potenzialità, quindi intervieni più incisivamente su appunto lo sviluppo di tutte le potenzialità e le autonomie. Mentre con un utente anziano dovrebbe essere già stato fatto o comunque puoi proseguire però è più un mantenimento. Però… non per forza diventa più di cura, dipende dalla salute anche. Se penso a una N.” Edu. 7: (Risata) Edu. 3: “Che è la più anziana.” Edu. 4: “È più forse una cura rispetto alla parte magari emotiva eccetera con tutto quello che comporta, però anche il fatto di poi, perché subentrano anche altri argomenti tipo la famiglia, i genitori che muoiono, che non ci sono più, tutta la parte… no, famigliare, quindi si in questo senso… Edu. 5: “Forse bisogna intendersi su cosa è cura.”

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Edu. 4: “Eh, perché è molto aperta la domanda, quindi… era inteso a livello generale?” R: “È una frase, quindi, libera interpretazione vostra.” Edu. 4: “È una parte che bisogna sicuramente curare questa, però possono subentrare altre cose nella vita di una persona come la morte anche di un genitore in un giovane per esempio, quindi è al di là dell’età anagrafica in fondo. È vero che queste cose succedono più gli utenti anziani, che gli muoiono i genitori, quindi sotto questo punto di vista sicuramente, sotto un altro punto di vista dipende dallo stato di salute tanto.” Edu. 7: “Quasi se, per dire che il ciclo di vita dell’utente è legato anche al ciclo di vita del genitore. Quindi c’è un cambiamento nell’utente ma anche del genitore.” Edu. 4: “E influenza questo l’utente.” Edu. 7: “In una persona normodotata, si c’è l’invecchiamento del genitore ma dev’essere lui a occuparsene, mentre qui c’è un genitore che magari muore, e l’utente… cioè… quindi… su un utente anziano puoi parlare di un ciclo di vita del genitore stesso. Quindi ci sono dei cambiamenti forti. E quando parli di cura allora, chiaramente c’è una cura maggiore, un accudimento maggiore della situazione. Ci sono più situazioni, non è solo l’utente ma è tutto… come diceva Edu. 4.” Edu. 9: “Comunque quello che stavo pensando è che l’età anagrafica comunque fa la differenza perché tu puoi avere un giovane che è molto compromesso, comunque una parte di sviluppo te la, anche se minima…” Edu. 8: “Te la giochi.” Edu. 9: “La giochi sempre. Mentre sull’anziano al massimo vai sul mantenimento e sulla cura, cioè sullo sviluppo non ce n’è più. Edu. 3: “È vero quello che diceva prima l’Edu. 4 che… che ci sono delle situazioni che non per forza sono state vissute da giovane disabile, cioè, i nostri, se si pensa per esempio a una S. che adesso è ultra cinquantenne, giusto?” Edu. 8: “53. Eh… 54!” Edu. 3: “Determinati apprendimenti non sono stati fatti da lei, per lei, insieme a lei quando era piccola. Sono stati fatti in una fase già di mantenimento-cura. Per cui tanto dipende dal percorso che ha avuto questa persona.” Edu. 4: “Certo.” Edu. 3: “Perché se si pensa, per chi ha conosciuto una S. di cinque anni fa, e gli apprendimenti che ha fatto negli ultimi cinque anni, sono paragonabili quelli che sta facendo un D. o una L. in età anagrafica completamente diversa. Ma perché il lavoro non è stato fatto in maniera così ottimale o così individualizzata perché lei potesse arrivare a determinate autonomie. Per cui ci si ritrova ad avere più giovani con i quali lavorare in maniera… sì, da subito, o ci si lavora di più con i giovani quindi si arriva poi ad avere una cura nell’età anziana. Ed è vero che ci si è ritrovati anche con degli anziani disabili coi quali c’era ancora un grande

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margine perché all’epoca questo tipo di lavoro non veniva fatto, per cui è veramente individuale la… il ragionamento. Si sta imparando a lavorare con gli anziani, una volta non c’erano o non… non si faceva.” Edu. 4: “Come per le persone normali l’età anagrafica si è allungata anche nei disabili.” Edu. 3: “E certo.” Edu. 8: “Sì, se penso ai nostri utenti, il ruolo educativo e l’intervento sono diventati più di cura, se penso a utenti che sono qui da trent’anni eh sì, è normale perché hanno comunque una storia, un percorso… tutti gli utenti che ricordo, quasi trent’anni, quasi trent’anni fa (sorride), sicuramente avevano altre competenze, avevano altri bisogni, che col tempo vanno adeguati. Per cui sicuramente questo… si è andato verso una cura maggiore di questo, magari anche cura intesa come, non solo fisica, ma anche emotiva o per quegli aspetti lì. Per cui questo sicuramente c’è stato negli anni. Dopo che il lavoro… no ci sono anche… coi nuovi, coi giovani è un’altra cosa, bisogna anche fare l’esperienza. Penso anche come educatore, se sei qui da trent’anni, cioè… la cura non è solo per gli utenti ma anche per l’educatore stesso insomma.” Edu. 5: “Però quello che diceva Edu. 3 e che sostengo totalmente è proprio la questione del bagaglio. Lei lo dice Edu. 8: “Sì.” Edu. 5: “In un altro modo però se S., prendiamo per esempio S., è perché S. quelle competenze comunque in un modo o nell’altro le ha apprese.” Edu. 8: “Le aveva.” Edu. 5: “Attraverso l’esperienza o altro. Quindi ci sono dei pre-requisiti che ci sono da quel punto di vista e quindi anche lì la questione del bagaglio, quanto ciascuno, come uno arriva al… a quello che può essere l’età dell’invecchiamento, com’è munito… penso che la risposta di oggi è proprio quella del munire questa valigia e riuscire a mettere in questo bagaglio il più possibile funzionale ad avere più strumenti per affrontare le cose, siano questi… poi penso che li vedremo no? Cioè… penso che questo è il senso del nostro lavoro che si è sviluppano negli anni.” Edu. 3: “Non so se generalizzo, cioè diventa troppo aperta la mia riflessione, però è vero che c’è una società che è molto più aperta quindi anche tutte delle autonomie che vengono proposte e sviluppate nel disabile è maggiore rispetto a prima.” Edu. 8: “Sì.” Edu. 3: “Se pensi a tutte le colonie piuttosto che la SIL, piuttosto che, son tutte delle attività che il giovane disabile o l’anziano disabile può affrontare e che quindi l’educatore accompagna a questo e quindi…” Edu. 4: “Come andare a prendere il trenino da soli… a prendere i mezzi pubblici insomma.”

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Edu. 3: “Secondo me è cambiato tanto… da più punti di vista, per cui anche il nostro lavoro è molto diverso. R: “Ma riprendendo la metafora del bagaglio, secondo voi quando un utente disabile è anziano, è nella fase dell’invecchiamento, il bagaglio è chiuso e quindi non entra più niente, c’è solo da tener dentro le cose che già abbiamo messo o si può riempire?” Edu. 7: “Non tanto riempire ma… andare magari a riaprirlo, per vedere cosa c’è dentro e… Edu. 2: “O magari cambiarlo.” Edu. 7: “O magari cambiarlo o dar questa… minimo di fiducia del percorso, del… dare valore a questo percorso, cioè dare valore a questo bagaglio. Dando valore a questo bagaglio, non so come dire, si dà forza all’utente nel continuare, o nel ricordare, o sapere. Anche se ha perso le competenze, però è una persona con un valore che porta con sé penso, in quel senso no? Quindi non è da chiudere e dimenticare, anzi, è da aprire e guardare.” Edu. 2: “E mettere in mostra.” Edu. 7: “Insieme e mettere insieme, mettere in mostra.” Edu. 4: “Ma già solo il lavoro di mantenimento comunque vuol dire tenere aperto e fare un grosso lavoro perché… se non alleni certe cose costantemente le perdi ma questo tutti noi insomma, poi con l’invecchiamento… Quindi già questo è tenere aperto e poi io credo che comunque anche nella fase dell’anzianità si può ancora apprendere, secondo me. È chiaro che è più difficile ma si può ancora.” Edu. 7: “Magari più che apprendere, scoprire.” Edu. 4: “Ma anche apprendere secondo me.” Edu. 7: “Sì, ma ritorniamo al discorso iniziale.” Edu. 4: “È chiaro dipende dalla salute, dal contesto che ti trovi, dipende da tante cose, dagli stimoli eccetera, però…” Edu. 8: “Si cerca di tenere aperto facendo uscire il meno possibile.” Edu. 3: “A me viene, in questa metafora, a me viene il fatto, come diceva l’Edu. 7, di guardare quali sono i vestiti che ci sono dentro, riconoscerli e magari cucire da una parte, allargare dall’altra, ma devi sapere che c’è. E quindi se c’è puoi rimetterlo addosso all’utente, alla sua misura.” Edu. 7: “Anche come ricordo: il vestito che mettevo ieri oggi non lo metto più magari, però ho un bel ricordo di quel vestito, poi magari lo posso ancora mettere.” Edu. 3: “Però quanti più vestiti hai messo nella valigia prima tante più possibilità hai…” Edu. 4: “E certo.” Edu. 3: “Di potertelo cambiare e sentirti comodo dopo. Questa è la… se si parla del bagaglio, quello che mi viene. Ma è anche per l’adulto o l’anziano normodotato.” R: “Eh qua dovreste rispondere un po’ soggettivamente, adesso non so voi due in coppia (riferendomi a chi gestisce insieme a un altro educatore l’atelier di cui è responsabile), chi ha

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in mano lo stesso atelier, e… In che modo hai affrontato l’invecchiamento all’interno del tuo atelier? Non so se tu Edu. 5 puoi essere complementare per Edu. 10 (assente per malattia).” Edu. 5: “Edu. 1 (supplente di Edu. 10) è brava (sorride) però va bene.” Edu. 3: “Ma noi se possiamo, è sicuramente una cosa parlarne. I nostri utenti hanno delle capacità… relativamente alte per poter cominciare a discuterne con loro e portare l’attenzione già sul fisico, se pensiamo alla menopausa, a mettere a confronto i sintomi di uno con l’altro, nel riconoscerlo, nell’usare il corpo tanto sui cambiamenti, le esperienze di uno a confronto con l’altro, se penso alla L. alla N., questa è una delle cose che abbiamo fatto.” Edu. 7: “Anche le più giovani, cioè…” Edu. 3: “Una C., sì sì.” Edu. 7: “Una C.,” Edu. 3: “Stavo pensando a cose più… sì” Edu. 7: “Se, anche se si guarda a livello di atelier la produzione… ma se penso che era un atelier produttivo, dove si produceva molto di più, attualmente non è la cosa primordiale, c’è ancora ma ci andiamo tranquillamente, cioè… tante… è più un lavoro sul gruppo. Se c’è, un minimo di produzione la si continua, è un modo di scambio e di animazione del gruppo e di… di tirar fuori quella ___ di tutti no?” Edu. 3: “Però adeguando.” Edu. 7: “Sì, anche alla mattina prima di partire a lavorare non è entriamo e lavoriamo. Entriamo, portiamo cosa… il nostro bagaglio di riserva e lo portiamo per svilupparlo. Già c’è un accudimento entrando nell’accoglimento mattutino che è… che è diverso da prima. Dove tutti poi si mettevano anche al lavoro proprio in modo individuale. Mentre adesso ognuno ha bisogno di raccontare la sua ed essere ascoltato, è già diverso, cioè che è cambiato è quello. Lo stesso gruppo ha cambiato le modalità di entrata e…” R: “Quindi è l’atelier che si è adeguato al gruppo?” Edu. 7: “Entrambi. Io penso che è un’andata e un ritorno, cioè… adesso l’atelier non è solo l’educatore, è un…” Edu. 3: “Muoversi assieme.” Edu. 7: “È muoversi assieme tra l’utente e l’educatore, perché si sente… dove si può andare di petto.” Edu. 4: “L’atelier io credo che è in continuo movimento a dipendenza degli utenti che ci sono all’interno. È chiaro che… noi abbiamo degli utenti anziani e degli utenti giovani per cui… e poi anche come diceva Edu. 7, la produzione non è l’obiettivo per cui… anche noi abbiamo dovuto diminuire molto sia per gli utenti anziani sia per gli utenti giovani che sono in fase di apprendimento. Il discorso dell’invecchiamento… si tratta spesso, se ne parla, soprattutto se ne parlava molto quando c’era A. perché per lui è un… tante domande che escono, ma anche

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tipo il L. quando arriva in atelier. Rispetto a cosa succederà dopo, rispetto se andrò in una casa per anziani, rispetto… e quindi sì parlarne, questo… assolutamente sì… condividere…” Edu. 9: “E poi… sì e poi il lavoro comunque è molto più mirato. Cioè se un tempo si lavorava… tutti per un obiettivo, più o meno era sì abbastanza diversificato, ma oggi come oggi è veramente il vestitino che tu cuci sull’utente. Poi quello che è l’elemento comune è la relazione, il fatto di stare tutti insieme attorno a un tavolo, di sentirsi parte di un gruppo, di poter condividere più la parte emotiva. Ma a livello lavorativo… anche siamo molto… e poi anche quello, siccome è lo strumento anche poi per gestire la parte emotiva, è comunque un vestito che tu cuci addosso. Siamo molto più portati a, veramente, a seguire l’utente che entra con le sue, con i suoi bisogni e così. Quindi c’è quello che appunto ha un ritmo più veloce, e l’altro invece, che come tu hai visto (rivolgendosi al R.), magari entra, incomincia a disegnare, lo devi accogliere, lo devi far parlare, eccetera eccetera.” Edu. 4: “Siamo noi che dobbiamo adeguarci (sorride) ai cambiamenti, sicuramente non loro a noi o all’atelier. E poi, se è il caso, bisogna introdurre in alcune situazioni nuovi strumenti… di aiuto, di… per ricordarsi, per… per abbassare l’ansia… meno stimoli, sono tutte strategie che ogni atelier sicuramente adotta a dipendenza dell’utente.” Edu. 8: “E anche da noi è, adeguando… sicuramente l’accoglienza, la cura di determinati aspetti è… è diversa. Poi adeguando l’attività, sicuramente adeguando e differenziandola all’interno del gruppo stesso… ognuno per le sue competenze che ha, per cui… ci sono stati parecchi adeguamenti. Poi è vero con gli strumenti differenti e… sempre a dipendenza, ecco, del bisogno degli utenti che arrivano. Importante è essere in movimento a dipendenza di chi hai all’interno. Cercare di personalizzare maggiormente l’’intervento in base alle capacità, alle necessità e nel limite del possibile anche ai desideri dell’utente che c’è all’interno.” Edu. 6: “Ma il mio atelier è molto giovane, quindi sono poco toccato, nel senso l’unica che entra nella parte anziana è S., penso che tutta la parte di accudimento, la parte di stimolazione… se io vedo che S. è abbastanza stanca o… non so non è in forma quel giorno tutto viene adattato a S., nella misura proprio di S. stessa. Gli altri sono molto giovani, quindi magari hanno altre preoccupazioni al momento e non il fatto che stiano diventando anziani, ecco. Edu. 5: “Forse però ci sono delle attività diverse fuori che fai no? Non d’atelier, magari…” Edu. 6: “Sì adesso se penso alla… così mi unisco a Creaidea e a un’uscita che facciamo il lunedì o il soundbeam che è al giovedì dove ci sono delle, degli utenti in fase anziana, è vero che abbiamo adattato anche l’uscita del lunedì a… alle esigenze stesse. Nel senso non è più un’uscita mirata a dover fare chilometri o… ma un’uscita adattata, a un D. che non sta bene o un’uscita adattata perché troppo caldo per tutti quindi il percorso è davvero bene e poi c’è la parte di riposo, ecco… è stato tutto modificato agli utenti stessi e adattato posso aggiungere.”

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Edu. 8: “Hai anche un atelier giovane, cioè non è tanti anni che questo atelier è inserito nella, nel centro diurno. Mentre altri, da quando io sono qua, ci sono sempre, magari hanno cambiato nome, hanno cambiato l’attività, hanno cambiato tanti modi, però ci sono sempre stati se penso… quasi tutti a parte il…” Edu. 6: “Mosaico.” Edu. 8: “Mosaico e…” Edu. 5: “Creaidea.” Edu. 8: “Un po’ più… qualche anno in più il Creaidea insomma che prima era denominato…” Edu. 3: “Incontro.” Edu. 8: “Eh sì è vero. Avevo i programmi del 2006 da macinare.” Edu. 9: “Poi l’apertura dell’atelier Creaidea, che prima si chiamava appunto ehhh, è stato penso proprio il primo…” Edu. 3: “Sì.” Edu. 8: “Sì.” Edu. 9: “Atelier nato proprio in funzione di tutto questo, di questa osservazione che si era fatta sugli utenti: sul bisogno di avere un altro ritmo, su una presa a carico più mirata a non so, il colloquio, cioè… effettivamente meno lavorativa. Perché poi eravamo tutti partiti con dei, degli atelier artigianali più o meno o comunque sul fare.” Edu. 5: “Più che atelier forse si erano aperti i progetti Incontro, infatti era il pomeriggio del giovedì…” Edu. 8: “Sì, sì, sì.” Edu. 5: “Il mercoledì mattina per la tal cosa, quindi erano delle mini esperienze che miravano…” Edu. 7: “Tipo la passeggiata.” Edu. 5: “Sì miravano a sperimentare, poi da lì li diventare atelier perché la popolazione degli anziani, degli utenti più anziani, era abbastanza concentrata, quindi diversi utenti con demenza senile piuttosto che Alzheimer… e poi invece anche lì è cambiato, ci son state delle dimissioni e anche la popolazione… un Creaidea molto creativo, per quello aveva il nome Creaidea, sicuramente anche perché chi lo conduceva aveva uno spirito proprio dell’educare-divertimento… mettiamola così (risata), per poi diventare? Lascio a te (rivolgendosi a Edu. 1), poi riaggancio.” Edu. 1: “Per come… riagganciandomi appunto a Edu. 9, a quello che diceva, Creaidea è proprio, da un punto di vista proprio dell’ambiente, predisposto ad accogliere persone in età di… avanzata diciamo, di invecchiamento. E le attività appunto sono attività… il tutto è basato più sulla relazione con l’utente e meno, come diceva Edu. 9, sull’attività. E quindi… anche il, il comunicare e parlare con... fare un po’ da mediatore diciamo, anche fra di loro no? Fra gli

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utenti, se ci sono delle problematiche… ma oltre a quelle ci sono i genitori che invecchiano e quindi cercare di far capire anche a loro che si invecchia, ecco, cosa vuol dire.” Edu. 5: “Forse aggiungerei… perché si tratta di tenere d’occhio la popolazione globale… forse sono gli utenti, sicuramente gli utenti più anziani, ma che non sono più in grado di stare così, in altri ambienti più popolosi e più dinamici. Cioè c’è un limite a un certo punto nella gestione, quindi ci sono ancora degli utenti anziani, ci sono degli utenti su con l’età, che sicuramente sono in atelier, prima sentivamo di Ceramica, ma dall’altro lato ce ne sono altri che in Ceramica non ci potrebbero stare perché il bisogno è quello di tranquillità. Ecco che da lì nasce l’atelier Incontro, l’atelier Creaidea risponde proprio a questa esigenza: numero di utenti, vita… sicuramente ridotto, vita più tranquilla, vita ritmata, mi vien da dire anche una programmazione molto rituale… ma molto… che segna, che aiuta anche nel, nel passaggio di giornate e non giornata… all’utente dall’altro lato però che riconosce spazi di… attività o di relax… in modo sicuramente diverso dagli altri atelier. Costruito anche qua, io penso di nuovo, se l’immagine del vestito è un po’ quella che ci ha accompagnato fin qua, diciamo che qua ci sono dei vestiti che forse negli altri atelier vanno meno bene, sono dei vestiti diversi, di nuovo no? E quindi tutto viene su lì. Quindi la modalità di adeguare il vestito c’è dappertutto, ma sicuramente il vestito di Ceramica non è lo stesso vestito del Creaidea.” Edu. 2: “Beh, l’atelier di Economia domestica penso che sia il più giovane in assoluto perché credo che sia M. che ha trenta… la più anziana tra virgolette, quindi per ora non è toccato. Anche se, da quello che ho capito, è appena… ci sono appena stati dei cambiamenti. Per esempio alcune signore che adesso sono da voi (riferendosi ai due educatori responsabili dell’atelier Ago e Filo) prima erano su.” Edu. 3: “Sì!” Edu. 2: “Quindi un altro bel ritaglio del vestito… aggiustamento immagino.” Edu. 3: “Sì!” Edu. 5: “È stato…” Edu. 7: “Un cambiamento interno dove qui c’erano dei giovani e sono andati su e gli altri sono venuti giù.” Edu. 2: “Sì, sempre nell’ottica di… immagino vedere questo famoso vestitino dov’è finito, eccolo e… immagino.” Edu. 5: “Beh non erano più in grado di gestire quello che… cioè l’utenza di per sé, la domanda era più alta di quella che forse poteva rispondere, e quindi anche il bisogno era diverso per l’utente e quindi ecco perché lo spostamento. Mentre per i giovani arrivati ecco che diventa invece uno spazio di apprendimento per arricchire il loro bagaglio in quel senso, e poi vedremo dove arriveremo da quel punto di vista. Io aggiungerei ancora Edu. 2, sempre, ma perché penso che con l’adeguamento degli atelier c’è stato sicuramente anche le proposte di determinate attività. Alcune ci sono ancora, alcune abbiamo dovuto togliere

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perché c’era iper stimolazione. L’attività del mercoledì pomeriggio piuttosto che quella del mattino sono sicuramente mirate all’invecchiamento.” Edu. 2: “Beh, del mercoledì mattina… il cammino lento sì, il mercoledì pomeriggio… intendi il giornalino?” Edu. 5: “Beh anche il giornalino è nato anche in quel senso, come un’attività dove poi anche determinati utenti di questo tipo riescono a essere molto attivi.” Edu. 2: “Sì, sì.” Edu. 5: “Per il loro bagaglio no? Quindi trovi la…” Edu. 2: “Sì, sì,.” Edu. 5: “La trasformazione ben investita no da quel punto di vista.” Edu. 2: “Sì, esatto, ma in generale appunto sono qua da poco e non ho un atelier, ma quello che vedo è che c’è veramente un’attenzione a questo bagaglio e a quello che c’è dentro e quindi un, sempre usando la metafora ago e filo, un riguardare sempre che vestiti vanno, quali ci sono, quali invece sono proprio da cambiare. Quindi sicuramente è qualcosa che caratterizza il centro diurno questo, sì.” Edu. 3: “Hai già risposto a un’altra domanda.” Edu. 2: “Sono sempre in avanti.” (risata di gruppo) Edu. 8: “In generale è stato risposto all’altra domanda.” R: “Vabbè ve la faccio…” Edu. 5: “Forse io aggiungerei qua le attività di movimento: sono state sicuramente le attività che sono state incentivate a un certo punto, ma per rispondere proprio a una popolazione che non avrebbe potuto… fare attività motorie a to cure… palestra, piuttosto che ginnastica, palestra piuttosto che piscina. Per cui si è trattato un po’ di adeguarle, forse questa è stata l’altra cura… che è stata fatta dal punto di vista della stimolazione. Adeguata.” Edu. 9: “Un’altra cosa che abbiamo anche modificato sono stati proprio anche le tempistiche no?” Edu. 8: “Sì esatto.” Edu. 9: “Aprire più tardi, non fai più la pausa del mattino la fai all’interno perché è troppo confusivo per tutti essere insieme… insomma, anche gli orari sono stati modificati.” Edu. 4: “Prima iniziavamo alle 8:00.” Edu. 8: “E poi anche la tempistica dei cambiamenti di gruppo e così, i tempi si sono ristretti. Cioè sei sempre in discussione, più… in tempi più ristretti e la adegui sempre al bisogno. Se penso all’entrata di A. ha fatto fare una piccola modifica, le nuove entrate saranno poi da valutare o… le altre entrate… uscite… quello dipendono un po’ da… mentre una volta erano molto, c’era più staticità e meno, meno bisogno anche di questi cambiamenti. In passato. Parlo da, per esperienza eh, sei giovane.” (riferendosi a Edu. 6)

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R: “Quindi secondo voi il centro diurno Fonte1 è adeguato alla presa a carico dell’utenza che invecchia o vi sarebbero delle modifiche da apportare?” Edu. 3: “A me questa frase “è adeguato” da staticità. Io penso che nell’invecchiamento e comunque nella presa a carico in genere ci debba essere movimento, quindi lo è il più possibile e siamo in movimento. Io penso che, che questa è la chiave.” Edu. 6: “Sì adeguato dà l’idea di… “la struttura è adeguata a” cioè come spazio.” Edu. 7: “Quindi tu lavori… ___.” Edu. 6: “Beh però quando pensi, quando girano con i girelli non so se è proprio adeguato adeguato quando due porte si sbattono contro e… oppure uno passa e l’altro no.” Edu. 4: “Porte scorrevoli.” Edu. 6: “Non lo so se… è adeguata per quello che al momento abbiamo, ecco. Però se uno volesse fare delle migliorie si possono fare.” Edu. 8: “Non penso che intendeva quello.” Edu. 6: “No, però dico la mia idea… la Fonte1 è adeguata, se uno lo riferisce alla struttura…” Edu. 4: “È una domanda aperta… può essere riferito alla struttura e giustamente.” Edu. 6: “Se uno pensa alla struttura “è adeguata” è quello. Se, è vero, se pensi a quello che si offre come attività e come modo di accogliere gli utenti sì è adeguata all’utenza ecco, penso, da quello che dite.” Edu. 4: “O si sta adeguando.” Edu. 6: “O si sta adeguando.” Edu. 8: “È anche vero che ci sono due cose. Uno quello che puoi fare tu e uno quello che devi prendere quello che c’è. La struttura è questa, è così, bisogna fare al limite qualche adeguamento, è stato fatto, è vero, i gabinetti son stati fatti e così. Mentre il… i contenuti puoi modificarli perché non dipendono dalle pareti ecco.” Edu. 3: “Io penso che bisogna sempre ambire a, a meglio. Però, siamo, siamo work in progress.” (risata di gruppo) Edu. 8: “___ tutti, lavoriamo per voi.” (risata e commenti in gruppo non comprensibili) Edu. 6: “Stiamo lavorando per voi.” Edu. 5: “Per me è un dire… cioè… sicuramente può rispondere a, a. Penso che comunque ha dei limiti, cioè ci sono dei limiti che vanno riconosciuti no? Cioè, c’è un limite di sicurezza, un limite di… che sicuramente va a porre il… il confine fra sì un utente può starci, un utente non ci può stare. Cioè penso che questa è una realtà che abbiamo sperimentato.” Edu. 8: “Sì.” Edu. 5: “E di conseguenza probabilmente non è che to cure riusciamo a rispondere a tutti, dipende dall’utente anche, cioè fino a dove l’utente riesce a dare.” Edu. 4: “Rispetto…” Edu. 5: “A star dentro bene, ecco.”

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Edu. 4: “Rispetto alla presa a carico dell’utenza che in vecchia, nel senso, io la interpreto come l’utenza che c’è qui che invecchia. Giustamente ci sono le difficoltà da tener conto, strutturali proprio, di sicurezza eccetera. Un’altra cosa che mi viene in mente e che non è proprio riferita direttamente a questa domanda, però anche la… cioè Fonte1 è adeguata a prendere, alla presa a carico di una fascia ampia di età dell’utenza no? Però quello che abbiamo constatato è che adesso abbiamo una fascia di giovani e una fascia di anziani e non c’è una fascia intermedia. E questo, dal mio punto di vista, è… io lo sento come un carico maggiore per l’educatore perché c’è questa fascia di utenti giovani che hanno bisogno di essere seguiti per apprendere le autonomie eccetera, è c’è la fascia di utenti anziani che ha bisogno… cioè solo negli ultimi… io non sono qui da tanti anni, gli ultimi sei anni, io ho visto un bisogno maggiore d’intervento dell’educatore per aiutare l’utente, per seguire l’utente. Quindi una presa a carico più impegnativa con queste due fasce e non abbiamo questa fascia intermedia che dovrebbe essere quella che ha acquisito le autonomie, che comunque riesce a muoversi bene e… e che ci risparmia un po’ a noi, ecco. Quindi un maggiore investimento di energie da parte dell’educatore.” Edu. 3: “È vero anche, cioè proprio come domanda, che le entrate, i giovani, sono completamente diversi, cioè le difficoltà maggiori che… che ci sono delle entrate, creano questa difficoltà che tu stai… evidenziando? Nel senso che non è solo l’invecchiamento, è che il giovane di oggi è sicuramente un giovane più impegnativo di quello che avevamo 10 anni fa.” Edu. 7: “Probabilmente la, io adesso non posso fare il paragone, però mi da l’impressione, come abbiamo già constatato e ne abbiamo già discusso, che con queste nuove entrate, che questi… ma io penso anche un po’ negli altri giovani normodotati no? Che gli manca tutta una serie di… cioè a livello educativo proprio no? Che… arrivano e non sanno lavarsi le mani, non si sanno vestire, non sanno… cioè devi fare tutto. Anche quell’apprendimento che dovrebbe già essere stato fatto: a casa, alla scuola speciale eccetera. Quindi è un investimento grosso con questi giovani è, bisogna proprio stargli dietro in tutto. E quindi con la fascia giovane e la fascia anziani gli educatori hanno un bel da fare, ecco.” (risata) Edu. 7: “Bello perché lei chiedeva di comparare gli anziani nostri con gli anziani normodotati e tu dici “Eh ma anche i giovani che ci arrivano, tra l’altro i giovani in generale…” manca un tassello educativo. (risata) Comparare giovani e giovani…” Edu. 4: “Eh sono tanto protetti, tanto…” Edu. 8: “Dai genitori.” Edu. 4: “Che si sostituisce l’adulto a loro… al fare e… e dopo non imparano o imparano dopo.” Edu. 7: “Oppure magari si dà più ___ a certi apprendimenti, a livello di scuola speciale, e certi apprendimenti, e non nelle cose basilari per stare in…”

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Edu. 4: “In società.” Edu. 7: “Della vita di tutti i giorni no? O l’allacciarsi le scarpe… o altre cose, non so: sapersi lavare le mani. Magari facendo tutte altre attività interessantissime ma proprio una base…” Edu. 8: “Per questa evoluzione, vi ricordate nel 2006 com’erano i gruppi e quante persone c’erano nei gruppi? Sto macinando i fogli adesso e mi è capitato, è stato interessante. Ceramica si occupava di otto persone. Tutti i gruppi erano sei persone, calcolando che c’erano già dentro delle persone…” Edu. 4: “C’era un gruppo in meno però.” Edu. 3: “Eh certo non c’era Mosaico.” Edu. 8: “C’era un gruppo in meno ma questo va appunto, va nella domanda della presa… per queste modifiche. Per cui entra in questo discorso. Io le guardavo oggi ed effettivamente… c’erano anche due educatori in meno oltre che un gruppo in meno.” Edu. 3: “Sì ma non c’era l’A., non c’era il L., non c’era…” Edu. 4: “Un sacco di gente.” Edu. 8: “C’era una C., c’era una… con altri bisogni però bisogni che…” Edu. 3: “C’era una A., c’era una C., certo!” Edu. 8: “C’era un F. che stava entrando…” Edu. 5: “La P., la D.” Edu. 8: “È interessante, mi sono capitati oggi da macinare e guardavo e ho detto “Cavoli!”.” Edu. 7: “Però è vero che funzionavamo con degli atelier più numerosi.” Edu. 8: “Ma con altre modalità, altre cose per cui ecco, e questo era il 2006 per cui dieci anni fa.” Edu. 6: “Dieci, quasi vent’anni.” Edu. 8: “A me ha fatto riflettere il fatto di vedere quei gruppi e quelle composizioni.” Edu. 4: “Io non so rispetto anche alle famiglie. Perché io ho un po’ l’impressione che anche rispetto alle famiglie, di questi giovani, le famiglie degli anziani… ormai pore, scompariscono piano piano. Però anche dei giovani è un grosso investimento perché devi corrergli dietro, non si presentano, anche le riunioni delle volte si dimenticano. Insomma, anche lì no?” Edu. 5: “Sono culture diverse secondo me. Quelle… adesso io uso il trent’anni fa ma possiamo anche usare il vent’anni fa e adesso ci si muove a livello famigliare molto, in modo molto diverso sì. Da un lato l’immagine che sicuramente hanno più aiuti quindi sicuramente dovrebbe muoversi o essere più… più attenta mi vien da dire. Sicuramente con più attenzione o con più aggiornamento oggi. Poi però è vero che noi abbiamo altre situazioni che sono veramente non quelle di allora. Mi vien da dire sì gli stranieri o ché portano altre tipologie di problematiche in questo ambito che vanno ad accumularsi sulla presa a carico dell’handicap in sé. Quindi penso che questo sicuramente ha modificato. Ma mi piaceva un po’ prima invece sull’intervento che facevi Edu. 4. La questione… io penso che noi abbiamo degli

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indicatori che ci evidenziano un po’ la popolazione che avevamo allora e che avevamo oggi e che ci dice… quindi non è soggettivo “Mi sembra che…” visto che dicevi i giovani di oggi. Però anche… degli indicatori che dicono “La popolazione di adesso è sicuramente più grave che quella di dieci anni fa. Oggi con gli anziani siamo a gestire la popolazione che avevamo come laboratorio non come centro diurno. Calcoliamo che nel qui e ora sono anche utenti con buone risorse. La domanda è “Che cosa succederà con l’utenza di oggi che, se dieci anni fa c’era il passaggio da laboratorio a centro diurno, in quel momento per alcuni anni eravamo abbastanza tranquilli, però il salto che abbiamo fatto invece, che facciamo adesso solo dopo diversi anni cambia la popolazione ed è quella da centro diurno, secondo me andrà a segnare ancora in modo diverso quello che sarà il futuro di questi utenti. Che per questo penso l’immagine del bagaglio è un po’ quello che ci accompagna al momento. Cioè quindi come curare il bagaglio. Penso qua lo vediamo proprio dagli indicatori, quindi la gravità sicuramente, la popolazione e poi vedremo, anche sì famiglie sicuramente qualcosa è cambiato. Su questo abbiamo meno indicatori.” Edu. 4: “Cominciamo ad averne” (Sorride) Edu. 5: “È soggettivo no? Dovremmo vederlo…” Edu. 9: “Abbiamo anche famiglie dove tutti e due lavorano rispetto a vent’anni fa dove magari lavorava soltanto uno, la maggior parte.” Edu. 4: “Il modo di approcciarsi alla struttura mi dà l’impressione che è un po’ diverso.” Edu. 5: “È davvero aperto l’interrogativo. Se adesso guardo sono… questa riflessione che tu fai mi fa vedere molto la parte straniera, che sia Inghilterra o che sia altra cosa. Però mi è difficile vedere su altri, fammi un esempio?” Edu. 4: “Chi è che abbiamo di nuovi che non sono stranieri scusa eh? (Risata di gruppo) Mi è difficile fare la distinzione se non abbiamo…” R: “Posso…” Edu. 4: “Stiamo divagando, hai ragione.” R: “Grazie. Vi dò l’ultima domanda così poi se volete continuate la discussione. (Risata di gruppo). La vostra formazione è idonea alla presa a carico del disabile che invecchia?” Edu. 4: “Il disabile che invecchia è una cosa nuova comunque, è abbastanza nuova. Quindi sicuramente formazione e formazione aiuta e bisogna farla.” Edu. 4: “Penso sia un po’ come fare il genitore, nessuno te lo insegna (risata) cioè, nel senso che si cresce insieme e… e si sta imparando.” Edu. 6: “Si invecchia insieme.” Edu. 8: “Esattamente è quello che… ti garantisco che il fatto di… l’avanzamento degli anni e il contorno famigliare che intorno a te invecchia e tutto è una formazione continua (sorride) per cui, almeno…”

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Edu. 4: “Scusa, io penso che rispetto a un utente anziano che non ha delle patologie particolari che subentrano, tipo l’Alzheimer, noi come educatori penso che abbiamo gli strumenti per far fronte. Sono queste nuove cosa che mi danno l’impressione che siamo un po’ meno preparati e dovremmo un po’ più formarci. Però anche nella popolazione normale ritorno a dire che tutte queste demenze senili eccetera è tutta una questione che si sta affrontando: come affrontare, le case per anziani, come… cioè strutture adeguate eccetera. Perché non ci sono, le stanno aprendo o non sono molte eccetera. Quindi anche per noi è una problematica che dobbiamo, dovremo affrontare e capire… imparare a capire quali sono gli indicatori che ci fanno capire che sta subentrando… un po’ lo abbiamo già visto in alcuni utenti. Però, ecco, rispetto a queste cose qua dovremmo un attimino approfondire, penso, sì. Per avere un po’ più strumenti.” Edu. 2: Sì la formazione sul campo sicuramente sono d’accordo con voi. Magari si potrebbe chiedere alla SUPSI di fare qualcosa. Anche nella formazione proprio di base oltre che i corsi. Perché io è vero che l’ho finita dieci anni fa mettiamo, io non mi ricordo che c’era una qualche materia, un qualche corso, specializzato.” Edu. 3: “Invecchiamento.” Edu. 2: “C’era da voi?” Edu. 3: “Sì.” Edu. 2: “Ecco.” Edu. 8: “Quello in base all’esperienza di ognuno… approfondire i vari campi in base all’esperienza di ognuno e al settore in cui lavori.” Edu. 2: “Sì chiaro questo è un altro…” Edu. 8: “Non puoi neanche pretendere che una formazione… ti dà le cose di base ma dopo devi… io ribadisco…” Edu. 2: “Sì ma come c’è tempo per fare dei… è vero che abbiamo parlato prima “Il gioco con l’educazione” però se devi fare quattro ore di marionette puoi anche trovare il tempo di fare, non so, una riflessione se non proprio un corso sulle… non so maggiori patologie e invecchiamento? O l’educatore come si pone con l’invecchiamento, quello che dicevamo: mantenimento, apprendimento e… Secondo me varrebbe la pena, se poi già lo fanno tanto meglio. Però ai miei tempi… (risata).” Edu. 6: “Penso non solo corso, come dicevamo l’esperienza fa tanto. Bisogna solo capire magari in una realtà ticinese che cosa si sta muovendo e come lo fanno altre… se alcune case anziani si stanno specializzando per accogliere dei disabili o viceversa se le strutture di disabili si stanno trasformando a…” Edu. 3: “Case per anziani.” Edu. 6: “A case per anziani ecco. Non so come si sta muovendo adesso qui sul territorio, se si muove qualcosa o no.”

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Edu. 8: “In evoluzione.” Edu. 3: “Penso che siamo sul tema. Cioè nel senso il Cantone si sta adeguando, ci sono case per anziani con aree addette solo all’Alzheimer, piuttosto che… ci sono degli studi, c’è… se si pensa solo all’interno qua è stato fatto un approfondimento sull’invecchiamento con psichiatri, con medici, con geriatri. È una cosa che è nuova come dicevano Edu. 4 ed Edu. 9, ci si sta adeguando, all’interno si fanno delle formazioni nostre piuttosto che. È vero che si potrebbe pensare sempre di più e penso che sia un tema che andrà approfondito. È una cosa relativamente nuova e… per cui non c’è ancora tanta esperienza, per cui… penso anche che sarà interessante quando arriveranno i giovani che avranno un altro tipo di formazione con gli anziani.” Edu. 8: “È in fase di sperimentazione questa cosa. Sentivo l’altro giorno alla radio che a Castelrotto hanno aperto questo percorso sui cinque sensi. Da altre parti hanno fatto dei percorsi proprio per queste patologie. Per cui è tutta una cosa anche in sperimentazione.” Edu. 5: “Noi già da un po’ di anni facciamo ___, quindi diventa interessante da…” Edu. 9: “Io penso anche una cosa, che, per rispondere proprio alla domanda se noi siamo, se la nostra formazione è idonea, penso che noi ci siamo formati nel tempo e penso che sul territorio, forse, ditemi, siamo una delle struttura che è più all’altezza di gestire questa cosa nel senso che l’abbiamo sperimentata sulla nostra pelle. Se il centro diurno in vent’anni è cambiato rispetto appunto a vent’anni fa così tanto è perché questa attenzione sull’invecchiamento la si è posta già tanti anni fa. Facendo appunto, rilevando, determinati elementi che hanno portato poi il lavoro con la dottoressa Zürcher, il cambiamento degli atelier, un modo di lavorare che sicuramente è diverso da quello che avevamo vent’anni fa. Poi è chiaro che ci sarà sempre da migliorare perché non è che… però io penso che noi si può dire la nostra da un punto di vista di esperienza.” Edu. 7: “Io volevo riprendere un po’ quello che si diventa genitori facendo. È come se noi nel gruppo, nella situazione concreta, ci siamo messi in discussione. Però non eravamo solo una coppia di genitori, ma eravamo un gruppo che ci chiedevamo, ci ponevamo questioni. Un po’ per dire quello che diceva Edu. 9. Dal momento che il problema si è manifestato abbiamo dovuto adeguare, ci siamo anche formati.” Edu. 5: “Penso che è corretto dire che sono vent’anni che ci stiamo formando perché eravamo ancora a Viganello con determinate domande. E se guardo a oggi, adesso prendo per esempio, visto che devo divertirmi anch’io un po’, prendo Giuseppe ha lato: è vero non ha vent’anni di esperienza e di riflessione attorno e molto probabilmente davvero questa è la differenza, oltre a non avere i tempi, sul terreno. Ma nel senso proprio di davvero tanta formazione ha dovuto essere fatta così, penso ancora in corso per domande che vengono poste rispetto a prese a carico da altri… di famigliari. Dopo rispetto al “sul terreno” te lo dico quando sarà il microfono spento” (Risata di gruppo)

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Edu. 6: “Puoi metterlo a verbale questo” (Ride) Edu. 4: “È già lì” (Ride) Edu. 3: “A me viene da dire anche una cosa però, che è vero che noi, io, Edu. 6 e i giovani non abbiamo questa esperienza sul campo ma è vero anche che noi entriamo nel campo con già esperienza quindi uno sguardo che secondo me è interessantissimo, quello che adesso loro che sono più giovani di me ancora, ma perché c’è già dentro una mentalità.” Edu. 6: “Sì sì, è quello.” Edu. 3: “Quando io dicevo il cambiamento che c’è della società, del disabile oggi, è quello che quest’attenzione che magari non ci si poneva neanche vent’anni fa rispetto a come l’educatore dev’essere per l’anziano.” Edu. 6: “Cambia il punto di vista, però… il pensiero c’è.” Edu. 5: “Però al momento quando parlo, ragiono, così adesso dicevo scherzando. Metto te in un bagno porca miseria… porca miseria no è (Ride) Sei stata ___ notevolmente nell’assicurazione voglio poi vedere che tu abbia la stessa esperienza in quel senso. Però è un po’ il click che diceva prima l’Edu. 9 quando dice “È attraverso l’esperienza che apprendi.” Cioè quell’apprendimento lì ce l’hai. Per Edu. 6 vuol dire intanto incominciare a scoprirla…” Edu. 6: “A pensare.” Edu. 5: “A conoscerla, incominciare a pensarla che sicuramente è diverso.” Edu. 6: “Sì, sì.” Edu. 5: “Però ciò non toglie che si può formarci continuamente, però molto probabilmente portando all’interno diventa importante il discorso.” R: “Va bene, allora io vi ringrazio…” Edu. 6: “Ah è finito? Per fortuna.” (Risata)

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Documento di complemento al focus group con gli utenti In accordo con la capo struttura è stato creato un incontro con gli utenti di Fonte1 per parlare con loro del passaggio da Laboratorio a Centro diurno e dell’invecchiamento. Lo stesso è durato all’incirca un’ora ed era presente anche la capo struttura la quale, oltre che fungere da moderatrice, mi ha aiutata nello stimolare la discussione. Per la raccolta dei dati ho annotato i punti salienti nel corso dell’incontro. Informazioni generali Il gruppo di utenti con il quale mi sono confrontata è stato selezionato con la capo struttura attraverso i criteri che andavano a confermarne l’adeguatezza rispetto alla ricerca per il lavoro di Tesi (età, presso il Centro diurno da anni, capacità verbale). L’età e il genere delle persone si suddivide come qui di seguito:

- N., femmina, 73 anni; - M., femmina, 52 anni; - F., femmina, 56 anni - M., maschio, 59 anni; - C., femmina, 52 anni.

Domande guida per l’incontro

1. Cos’è cambiato dal passaggio da Laboratorio a Centro diurno? 2. Qual era il vostro atelier di riferimento? 3. Quali erano i vostri compiti principali? 4. Qual è il vostro atelier di riferimento? 5. Quali sono i vostri compiti principali? 6. Secondo voi cos’è l’invecchiamento? 7. Quando si diventa vecchi? 8. Quali sono i bisogni che si hanno?

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Trascrizione degli elementi più rilevanti emersi dal focus group con gli utenti Rispetto al cambiamento da Laboratorio a Centro diurno, una volta collocato il passaggio a livello temporale grazie all’aiuto della capo struttura, le modifiche che ci sono state messe in luce dagli utenti sono le seguenti. Dapprima ricordano gli atelier. La creazione dell’atelier Mosaico e il Creaidea (prima atelier Incontro). La modifica del secondo è avvenuta perché c’erano utenti più anziani. Un altro atelier che ha cambiato nome è quello di Tessitura (oggi Ago e Filo) all’interno del quale venivano svolti diversi lavori: tessitura, candele, marmorizzazione, quadri, cesti in vimini. Nell’atelier di Ceramica (attivo ancora oggi con lo stesso nome) veniva prodotta oggettistica varia. In quello di ACT erano invece prodotte provette, scatole, penne, spremi tubi, porta chiavi. Vi era inoltre l’atelier di Falegnameria. Rispetto al cambiamento ricordano un maggior lavoro al Laboratorio, ridotto con il passaggio al Centro diurno. Perché? Perché si ha più tempo e si fanno meglio le cose, per l’età degli utenti, per la stanchezza e perché ci sono più acciacchi. Un altro elemento che hanno ricordato, stimolati dalla capo struttura, è l’orario d’apertura che si è posticipato. Le motivazioni, secondo loro, sono l’età e permettere alle persone di dormire di più e di essere “più fresche”. Un utente, inoltre, afferma che oggi ci sono molte più attività fuori dagli atelier; indagando queste sono: terapie, computer e attività di movimento. Inoltre dice che c’è più tempo per parlare dei propri pensieri. Gli atelier di riferimento e i compiti che svolgevano principalmente sono:

- F.: Ceramica, dove lavorava al tornio e produceva oggetti; - M. (maschio): ACT, dove produceva penne e siringhe; - C.: Tessitura, dove lavorava con il telaio, creava sciarpe, centri tavola, arazzi; - N.: Tessitura, svolgeva lavori a maglia, ricamava e tesseva borse; - M. (femmina): Tessitura, dove creava a maglia degli scialle, lavorava con il telaio e

creava delle bamboline della squadra del Lugano piuttosto che dell’Ambrì.

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Gli atelier di riferimento e i compiti che a oggi svolgono principalmente sono: - F.: Ceramica, produce vasi, piatti e li colora, ha creato un orologio; - M. (maschio): Ceramica, scrive al computer, spezzetta la carta per la barbottina,

spezzetta la terra o ne fa delle palline, fa gli esercizi con la ciclette; - C.: Ago e Filo, dove ricama (anche con le perline) e lavora a maglia; - N.: Ago e Filo, dove ricama (anche con le perline) e fa dei cuscini; - M.: Ago e Filo, dove disegna, pittura e ricama;

Quando chiedo loro perché non producono più le stesse cose o come mai certi atelier sono cambiati o non ci sono più, le risposte generali sono:

1. Perché non c’è più E. (un’educatrice); 2. Perché ci sono poche comande; 3. Perché non c’è più qualcuno che ci insegna; 4. Perché produciamo meno.

Dopo aver loro spiegato che ho saputo che alcuni hanno cambiato atelier (due utenti da Economia domestica ad Ago e Filo), chiedo loro se ne sanno la ragione. Gli utenti in questione rispondono, utilizzando le loro parole, che non riuscivano più a far tutto. Secondo gli utenti con i quali mi sono confrontata, l’invecchiamento è “quando si hanno anni in più”. Si diventa vecchi a diverse età. C’è chi tra loro dice a 60 anni, chi ha 80 e chi a 90. Un utente, però, afferma che si è vecchi quando ci si sente vecchi. In generale, però, tutti menzionano alcuni elementi che caratterizzano l’”essere vecchi”, ossia: non riuscire a far niente, l’essere mosci, non aver voglia di lavorare, la stanchezza, non riuscire più a riprendere a lavorare (p.es. dopo una malattia), aver voglia di andare in pensione. Alla domanda se loro sono anziani, tutti rispondono di no. Per concludere, sempre secondo gli utenti, i bisogni degli anziani sono la necessità di un aiuto domiciliare per le cose che non si riescono a fare da soli (bagno, mangiare, pulizie) e il bisogno di compagnia. Un utente, inoltre, fa riferimento alla casa per anziani.

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Evoluzione demografica 1998-2014