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3 Informatore di vita parrocchiale ANNO XXI- n. 3 SETTEMBRE 2010 Sede: Piazza San Maurizio, 10 21040 VEDANO OLONA (VA) Tel. 0332.400109 - www.parrocchiavedano.it IN QUESTO NUMERO EDITORIALE................................................................... 4 VITA DELLA CHIESA La beatificazione del caridnal Newman……......7 VITA PARROCCHIALE Il 25° di ordinazione di don Giuseppe Marinoni .................................... 9 Programma festa patronale.............................12 Un amico è un sostegno potente; chi lo trova ha trovato un tesoro ........................................13 STORIA DELLA CHIESA Le “cose nuove” di Papa Leone XIII ...............15 INVITO ALLA LETTURA L’isola del mondo ............................................18 La schiena di Parker .......................................19 VITA DORATORIO Oratorio 2010…un’altra avventura ..................20 Cavalese… che campeggio! ...........................21 Proposte cinematografiche ............................. 22 UN SANTO PER AMICO Vescovi Milanesi - I Parte ............................... 23 IN MARGINE A UNA POESIA Come le foglie ................................................. 27 NOTE DARCHIVIO ...................................................... 29 RICORDIAMO CHE................................................... 30 Direttore responsabile Don Roberto Verga

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Informatore di vita parrocchiale

ANNO XXI- n. 3

SETTEMBRE 2010

Sede:

Piazza San Maurizio, 10

21040 VEDANO OLONA (VA)

Tel. 0332.400109 - www.parrocchiavedano.it

IN QUESTO NUMERO …

EDITORIALE ................................................................... 4

VITA DELLA CHIESA

La beatificazione del caridnal Newman……......7

VITA PARROCCHIALE

Il 25° di ordinazione di

don Giuseppe Marinoni .................................... 9

Programma festa patronale............................. 12

Un amico è un sostegno potente; chi lo trova

ha trovato un tesoro ........................................ 13

STORIA DELLA CHIESA

Le “cose nuove” di Papa Leone XIII ............... 15

INVITO ALLA LETTURA

L’isola del mondo ............................................ 18

La schiena di Parker ....................................... 19

VITA D’ORATORIO

Oratorio 2010…un’altra avventura .................. 20

Cavalese… che campeggio! ........................... 21

Proposte cinematografiche ............................. 22

UN SANTO PER AMICO

Vescovi Milanesi - I Parte ............................... 23

IN MARGINE A UNA POESIA

Come le foglie ................................................. 27

NOTE D’ARCHIVIO ...................................................... 29

RICORDIAMO CHE… ................................................... 30

Direttore responsabile

Don Roberto Verga

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EDITORIALE

Carissimi,

quest’anno ricorre il IV centenario della can-

onizzazione di san Carlo Borromeo, grande

vescovo milanese e co-patrono, con

sant’Ambrogio, della nostra diocesi. Per

questo l’Arcivescovo ha voluto porre al

centro del nuovo anno pastorale proprio san

Carlo: saremo così aiutati ad approfondire

questa figura affascinante, nella convinzione

che guardando ai santi possiamo procedere

nel nostro cammino, perché essi sono come

guide sicure che ci indicano dove porre i

piedi nella nostra salita verso la cima della

montagna, quella santità a cui tutti siamo

chiamati.

don Roberto

L‟Arcivescovo ha voluto scrivere, per il

nuovo anno pastorale, una lettera ai fedeli

ambrosiani, dal titolo: «Santi per vocazione!».

In essa, che si apre con l‟invito alla santità

quale espressione matura del cristianesimo

sull‟esempio di San Carlo, si sviluppano

quattro capitoli. Il primo, introduttivo, «Da

Gerusalemme a Gerico», riprende la parab-

ola del Buon Samaritano quale metafora del

cammino nel mistero di Dio e nell‟amore per

il prossimo. Gli altri tre - «San Carlo e la croce

di Cristo», «San Carlo e la santità della Chi-

esa», «San Carlo e la vocazione del cristiano»

- rileggono la parabola nella filigrana della

vita e della santità del grande Borromeo e si

chiudono ciascuno con proposte pastorali

(«Va‟ e fa‟ anche tu così») suggerite dall‟Ar-

civescovo. Oltre alla lettera ai fedeli ambro-

siani, è stato preparato anche un sussidio,

«In cammino con San Carlo», in cui si trovano

sette «Schede degli impegni del percorso

pastorale». Eccole: carta di comunione per la

missione; avvio e rilancio della fase battesi-

male dell‟iniziazione cristiana; segni concreti

di carità; per una rinnovata pastorale vocazi-

onale; visita alle famiglie; formazione di base

dei laici; preghiere e gesti per il Quarto cen-

tenario della canonizzazione di san Carlo.

Come sussidio alla riflessione pubblichiamo

una recente intervista che il cardinal Tetta-

manzi ha rilasciato per introdurre il nuovo

anno pastorale.

Sarà san Carlo la figura spirituale al centro

del nuovo anno pastorale: perché?

«L‟anno pastorale che inizierà tra pochi

giorni sarà molto importante per la Chiesa di

Milano: il 1° novembre ricorrerà il IV cen-

tenario della canonizzazione di san Carlo. La

nostra diocesi, negli ultimi decenni, ha cele-

brato con solennità due altri importanti anni-

versari: nel 1965, con il cardinale Giovanni

Colombo, venne ricordato il IV centenario

dell‟ingresso in Diocesi del Borromeo. Paolo

VI, che da poco aveva lasciato Milano perché

divenuto pontefice, aveva inviato un bellis-

simo Radiomessaggio ai fedeli ambrosiani.

Poi, nel 1984, il cardinale Carlo Maria Mar-

tini volle ricordare i 400 anni della morte di

san Carlo. In questa occasione Giovanni

Paolo II venne, per la seconda volta, a Mi-

lano a concludere il grande anniversario. Per

questo IV centenario della canonizzazione

siamo desiderosi di poter ricevere dal Santo

Padre Benedetto XVI una Lettera alla nostra

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Chiesa ambrosiana, in attesa che venga tra

noi nella primavera del 2012 per il VII Incon-

tro Mondiale delle Famiglie che, per sua

scelta, si terrà nella Città di Milano. Un se-

colo prima, per il III centenario della canoniz-

zazione di san Carlo, il papa Pio X aveva

promulgato l‟Enciclica Editae saepe, mentre

l’Arcivescovo di Milano di allora - il cardinal

Andrea Carlo Ferrari - aveva scritto ben tre

Lettere pastorali».

Qual è il tema chiave del cammino che at-

tende la Diocesi?

«Per il nuovo anno pastorale vorrei sottolin-

eare con grande forza la fondamentale vo-

cazione di tutti alla santità. L‟anno scorso

abbiamo parlato di “Pietre vive” per indicare

il nostro essere Chiesa, ma noi sappiamo

che le pietre vive sono tali solo nella misura

in cui sono “sante”. Il grande e vero destino

di tutti è la santità. Di qui il nostro impegno a

far sì che tutta la molteplice attività pas-

torale della Diocesi abbia come sua linfa

vitale la consapevolezza, lo slancio, la gioia

del sentirsi quotidianamente chiamati alla

santità.

Guarderemo a san Carlo per capire in che

modo, su quali strade è diventato santo,

anche se - come tutti - aveva i propri difetti».

Una figura ricca quella del compatrono della

diocesi di Milano. Quali aspetti vuole eviden-

ziare?

«Due i tratti fondamentali della sua spiri-

tualità che desidero sottolineare. Il

primo è il suo amore di dedizione alla

Chiesa, alla Chiesa concreta: fu ar-

civescovo per tutti, in mezzo alla gente,

dentro il suo popolo. Pur morendo a soli

46 anni, egli ha compiuto la Visita pas-

torale tre volte in una diocesi molto

estesa, che allora contava circa seicen-

tomila abitanti. Visite fatte a cavallo o a

piedi in montagna, con gli scarponi chio-

dati ai piedi, pur di arrivare dappertutto.

È questo un grande messaggio anche

per la Chiesa di Ambrogio e Carlo di

oggi: la mission-

arietà non sig-

nifica solo andare

dovunque per an-

nunciare e testi-

moniare il Van-

gelo, significa

anche accogliere

le persone che

incontriamo o

vengono a noi per

i più diversi mo-

tivi, anche non religiosi. Rinnovo ancora una

volta l‟invito perché nel prossimo anno pas-

torale le nostre comunità cristiane si lascino

coinvolgere nello slancio missionario di an-

nunciare l‟amore di Dio per tutti attraverso

parole e gesti di ascolto, dialogo, accog-

lienza, solidarietà.

Il secondo tratto - in realtà è il primo, quello

sorgivo di ogni altro - della spiritualità di san

Carlo è il suo amore appassionato al Croci-

fisso. Tra i tantissimi quadri che sono sparsi

in diocesi e che lo ritraggono, i più ce lo pre-

sentano con gli occhi fissi sul Crocifisso o nel

raccoglimento della preghiera, della contem-

plazione. Dall‟amore per il Crocifisso san

Carlo traeva il suo amore per ogni uomo, so-

prattutto se povero, malato, solo ed emargi-

nato».

Povertà e sobrietà sono temi che in questi

anni lei ha fortemente richiamato agli am-

brosiani...

EDITORIALE

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EDITORIALE

«Il cardinale Borromeo fu anche esemplare

per la vita di povertà e di essenzialità da lui

liberamente scelta. La sobrietà, che significa

giusta misura nell‟uso delle cose, ha un rap-

porto profondo con questa povertà, che è

vivere con tutto ciò che il Signore ci dona e

che comunque non è nostro possesso o pro-

prietà che non può essere condivisa.

La sobrietà parla di donazione, apertura,

condivisione con gli altri. In questo senso la

sobrietà diventa la “cifra” moderna del

come, evangelicamente, noi siamo

chiamati a usare i doni che il Signore ci offre

ogni giorno».

Nei due suoi più

recenti interventi

si è rivolto in

modo accorato

alla Città. In oc-

casione dell’ucci-

sione a pugni per

strada della si-

gnora filippina

Emlou ha chia-

mato tutti a sen-

tirsi responsabili

d i t u t t i .

N e l l ’ o m e l i a

dell’Assunta ha

chiesto a chi ha

un incarico di guida e responsabilità nella

società di lavorare per il bene comune e non

per il proprio tornaconto. Guardando alla Mi-

lano di oggi, san Carlo quali parole aggi-

ungerebbe?

«Più che parole offrirebbe fatti, ossia una

straordinaria testimonianza di vita total-

mente dedita agli altri e al loro bene: non

affatto al proprio interesse. Lo vedo in mezzo

alla gente, pronto ad accogliere il grido dei

poveri e degli ultimi. Dalla chiesa passa alle

strade della Città, le attraversa portando

sulle spalle e nel cuore la Croce. La mostra a

tutti perché, guardando alle ferite e alle

piaghe del Signore, possano riconoscere

l‟amore misericordioso di Dio e possano, a

loro volta, testimoniarlo agli altri con le opere

della carità compassionevole e della sacro-

santa giustizia reclamata dai deboli e dagli

oppressi.

Il Cristo della croce è per tutti, non rifiuta a

nessuno il suo amore che libera e salva. Imi-

tarlo in questo non è solo sequela di lui e del

suo Vangelo, ma è anche amore alla Città,

servizio autentico al bene comune. È la

Croce la vera sorgente e la spinta più forte

della speranza. E di una nuova speranza ha

oggi bisogno la nostra Città».

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VITA DELLA CHIESA

Il Santo Padre Benedetto XVI nel suo prossimo

viaggio in Inghilterra beatificherà il cardinal New-

man, grande protagonista della chiesa moderna.

Per questo presentiamo un breve profilo bi-

ografico e spirituale del prossimo beato.

John Henry Newman, primo di 6 fratelli, nasce a

Londra il 21 febbraio 1801. Il padre, John, era

un banchiere mentre la madre, Jemina Foun-

drinier, discendeva da ugonotti emigrati dalla

Francia dopo la revoca dell'Editto di Nantes. Nel

1808 Newman entra nella scuola di Ealing (in

quei tempi fuori Londra) dove ricevette un'edu-

cazione elevata e mani-

festò la sua notevole

intelligenza. Nel 1817

entra nel Trinity College

di Oxford dove ottenne il

titolo accademico di

"Bachelor of Arts". Il 13

giugno 1824 viene ordi-

nato diacono nella Chi-

esa Anglicana e divenne

coadiutore della parroc-

chia di St. Clement ad

Oxford. Il 29 maggio

1825 viene ordinato

sacerdote anglicano. Dal

1826 al 1832 si occupa

della formazione cul-

turale di molti studenti

universitari e fu in

stretto contatto con

Pusey, John Keble e Hur-

rel Froude. Il 14 marzo

1828 diventa parroco

nella chiesa universitaria

di St Mary, dove svolse

una intensa attività pastorale, soprattutto medi-

ante la predicazione che riscosse molti consensi,

fino al 1843. Ad Oxford, poté ascoltare, era il 14

luglio 1833, il discorso di John Keble "National

Apostasy", sermone che segnò il sorgere dell'Ox-

ford Movement, di cui Newman divenne la figura

più rappresentativa. Newman rinunciò alla par-

rocchia universitaria di St. Mary e il 9 aprile

1842 si ritirò con alcuni amici a Littlemore, dove,

lavorando alla stesura del celebre "Essay on de-

velopment of christian Doctrine", maturò la sua

conversione alla Chiesa Cattolica.

Quando nel 1846 Newman si reca a Roma as-

sieme ad alcuni compagni, anch'essi anglicani

convertitisi al cattolicesimo, non è ancora sicuro

di entrare in un ordine religioso oppure diventare

un sacerdote secolare. Nel Memorandum del

1848 Newman scrive che si prese in considerazi-

one il progetto di entrare nell'ordine dei Reden-

toristi ma alla fine si scelse l'Oratorio di San

Filippo Neri.

Newman iniziò a frequentare la Chiesa Nuova e i

sacerdoti della comunità. Quando prese la deci-

sione ufficiale di diventare Oratoriano chiese in

via formale al Papa di poter fondare un Oratorio

a Birmingham e richiese

di poter adeguare le Cos-

tituzioni dell'Oratorio

romano alle necessità

presenti in Inghilterra.

Nel 1847 Newman as-

sieme a sei compagni

inizia il noviziato presso

l'abbazia di Santa Croce

dove un'ala dell'edificio

viene messa a loro dis-

posizione. In quattro

mesi vennero studiate le

Costituzioni, la spiritu-

alità e le tradizioni

dell'Oratorio.

Dopo l 'ordinazione

sacerdotale, il 2 febbraio

1848, confortato dall'in-

coraggiamento di Papa

Pio IX fondò il primo Ora-

torio di San Filippo Neri

in Inghilterra. Nel 1854

Newman viene nominato

rettore dell'Università

Cattolica di Dublino, carica che ricopre per quat-

tro anni. Il 12 maggio 1879 Newman fu creato

Cardinale da Papa Leone XIII, che in tal modo gli

riconobbe "genio e dottrina". Il neo Cardinale

scelse come motto "cor ad cor loquitur", perché

egli non pretese mai di fare qualcosa di grande

che fosse ammirato dagli altri, ma di comunicare

con la semplicità e la cordialità dell'amico

quanto era richiesto dal principio: "prima di tutto

la santità". Dopo alcuni anni di crescente debo-

lezza, celebrò la sua ultima Messa in pubblico il

giorno di Natale del 1889 e morì nella sua cam-

era a Edgbaston l'11 agosto 1890, dopo aver

La beatificazione del cardinal Newman

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VITA DELLA CHIESA

sperimentato ed offerto con fede tante soffer-

enze ed incomprensioni, sospetti ed opposizioni,

acuite dalla straordinaria sensibilità del suo

animo. Sua Santità Benedetto XVI procederà al

Rito di Beatificazione domenica 19 settembre

2010, nel corso della Celebrazione da lui pre-

sieduta nell‟Arcidiocesi di Birmingham.

Profilo spirituale

Definito il Padre "assente" del Concilio Vaticano

II durante e dopo le assisi conciliari, il cardinale

Newman era una guida sicura - affermò di lui

Paolo VI - per tutti coloro che “sono alla ricerca di

un preciso orientamento e di una direzione at-

traverso le incertezze del mondo moderno” ed

anticipò riflessioni teologiche ed orientamenti di

pensiero che risuonarono abbondantemente

nell‟ultimo Concilio Ecumenico, tanto da far dire

a molti che egli è il moderno “Dottore della Chi-

esa”.

“In occasione del secondo centenario della nas-

cita del Venerato servo di Dio John Henry New-

man - scriveva Giovanni Paolo II nella lettera

Pontificia commemorativa dell‟anniversario (che

segue a quelle che lo stesso Pontefice indirizzò

negli anniversari del 1979 e del 1991) - mi

unisco volentieri ai Vescovi dell‟Inghilterra e del

Galles, ai sacerdoti dell‟Oratorio di Birmingham e

a una schiera di voci in tutto il mondo, nel lodare

Dio per il dono del grande Cardinale inglese e

per la sua duratura testimonianza. […] Newman

nacque in un‟epoca travagliata non solo politica-

mente e militarmente, ma anche spiritualmente.

Le vecchie certezze vacillavano e i credenti si

trovavano di fronte alla minaccia del razional-

ismo da una parte e del fideismo dall‟altra. Il ra-

zionalismo portò con sé il rifiuto sia dell‟autorità

sia della trascendenza, mentre il fideismo

distolse le persone dalle sfide della storia e

dai compiti terreni per generare in loro una

dipendenza insana dall‟autorità e dal sopran-

naturale. In quel mondo Newman giunse

veramente a una sintesi eccezionale fra fede

e ragione che per lui erano “come due ali

sulle quali lo spirito umano raggiunge la con-

templazione della verità” (cfr. Fides et ratio,

Introduzione; cfr. ibidem, n. 74). Fu la con-

templazione appassionata della verità a con-

durlo a un‟accettazione liberatoria

dell‟autorità le cui radici sono in Cristo, e a

un senso del soprannaturale che apre la

mente e il cuore umani a una vasta gamma

di possibilità rivelate in Cristo."

Newman era stato educato nella Chiesa Angli-

cana, aveva conosciuto a quindici anni una

prima “conversione” spirituale che lo introdusse

nel cammino della perfezione evangelica, era

diventato sacerdote nella sua Chiesa e parroco

di St. Mary, aveva fondato il Movimento di Oxford

per lo studio dei Padri della Chiesa e la storia del

cristianesimo antico, aveva scoperto nella Chi-

esa Cattolica la Chiesa di Cristo ed aveva deciso

di entrarvi nel 1845 con un passo di enorme

coraggio, nel 1847 ricevette a Roma l‟ordinazi-

one sacerdotale: una vita vissuta alla luce della

coscienza formata, nel calore della preghiera,

nell‟incessante studio e nell‟annuncio apostolico

della Verità: “profonda onestà intellettuale,

fedeltà alla coscienza ed alla grazia, pietà e zelo

sacerdotale, devozione alla Chiesa di Cristo ed

amore per la sua dottrina, incondizionata fiducia

nella Provvidenza ed assoluta obbedienza al vol-

ere di Dio” caratterizzano - scriveva Giovanni

Paolo II nella Lettera commemorativa del I cen-

tenario dell‟elevazione alla sacra Porpora - “il

genio di Newman”.

“Rendendo grazie a Dio - conclude la Lettera

Pontificia del 2001 - per il dono del venerato

John Henry Newman, in occasione dei duecento

anni della nascita, preghiamo affinché questa

guida certa ed eloquente nella nostra perplessità

diventi anche nelle nostre necessità un interces-

sore potente al cospetto del trono della grazia.

Preghiamo affinché la Chiesa proclami presto

ufficialmente e pubblicamente la santità esem-

plare di uno dei campioni più versatili e illustri

della spiritualità inglese”.

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VITA PARROCCHIALE

Quest’anno don Giuseppe Marinoni, per sette

anni coadiutore a Vedano, presenza cara a

tutti i vedanesi, festeggia il 25° di ordinazio-

ne sacerdotale. Abbiamo pensato di intervi-

starlo, così da condividere con lui questo

momento di gioia e di ringraziamento al Si-

gnore.

Come è nata e si è sviluppata la tua vocazione

sacerdotale? In seminario poi come è matu-

rata e consolidata e quali "maestri della fe-

de" ti hanno confermato su questa strada?

R.: Di per sé questa domanda dovremmo ri-

volgerla a Dio: è Lui che chiama, a noi la ri-

sposta. A questo proposito ricordo che la pri-

ma lettura, scelta per l‟Ordinazione Sacerdo-

tale, era Deuteronomio 7 dove Dio ricorda ad

Israele che è stato scelto non perché più for-

te o migliore di altri popoli ma soltanto per

amore.

Riconosco quindi che è questo Amore di Dio

che mi ha affascinato fin da piccolo chia-

mandomi alla sua sequela. Ho scoperto que-

sto amore affascinante: nella vita dei preti

che ho incontrato, nella bellezza della liturgi-

a, che sempre mi ha attratto, e nell‟interesse

per la vita di Gesù e per il racconto della Bib-

bia e dei Vangeli.

Poi è venuta la bellissima esperienza del Se-

minario (10 anni) fatta di

amicizia e di preti: l‟amicizia

con tanti compagni di vita

che hanno dato a me, figlio

unico, la gioiosa scoperta di

una nuova fraternità; e preti

veri educatori dal pulpito e

nel confessionale: penso ai

padri spirituali e rettori, e

dalle cattedre di scuola, i

miei insegnanti.

Seminario, soprattutto, è stato

per me l‟incontro con Gesù,

lì ho imparato a conoscerlo,

ad amarlo, ho scoperto la

gioia e la bellezza della preghiera, della Lec-

tio Divina e dell‟ adorazione.

Inoltre Seminario ha voluto dire la gioia e la

fatica dello studio: mi hanno dato un metodo

(le cose belle hanno sempre un prezzo) e la

gioia per la bellezza della nostra fede cristia-

na cattolica, attraverso lo studio della Bibbia

e della Teologia.

Giugno 1985 prima destinazione da novello

sacerdote a Vedano Olona: come hai mosso

i primi passi in mezzo ai giovani e quali i ri-

cordi più belli o significativi?

R.: Il primo passo, non diverso da quello di

oggi, prete di 50 anni da 25 anni, la quotidia-

na scoperta che il prete altro non è che un

discepolo e un apostolo di Gesù, un discepo-

lo che sempre cerca di ascoltarlo e conoscer-

lo per amarlo e seguirlo, e un apostolo che

desidera far conoscere e amare Gesù ai suoi

fratelli.

Per questo l‟ essere prete lo si sperimenta in

pienezza, non in astratto e da soli, ma

all‟interno di una comunità, la Chiesa, dove

si vive quella comunione e missione, oggi

tanto indispensabile per vivere e annunciare

il Vangelo in questo mondo che cambia.

Penso infatti che il mio essere prete debba

molto alle tre comunità parrocchiali, più il

collegio, che ho incontrato in questi 25 anni,

Il 25° di ordinazione di don Giuseppe Marinoni

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VITA PARROCCHIALE

e per questo se continuamente ringra-

zio il Signore per il dono bellissimo della

vocazione sacerdotale, non mi stanco di

ringraziare le tre comunità di Vedano

Olona, Tradate e Gorla Maggiore che mi

hanno accolto e insegnato che cosa si-

gnifica essere prete.

Tra le “mie” comunità (dico così perché

mi siete cari, siete parte integrante della

mia vita) Vedano ha nel mio cuore un posto

unico e particolare. Lì concretamente ho

imparato ad essere e a fare il prete, si può

dire che si è compiuto il passaggio dalla

teoria (seminario) alla pratica (la parroc-

chia).

I ricordi e i doni più belli sono certamente le persone, don Giuseppe (detto: don Giu-

seppone) che con sua sorella Carla mi

ha accolto con premura e affetto,

l‟eredità che don Angelo mi ha consegnata e

che subito mi ha spronato ad intraprendere

un serio lavoro spirituale in mezzo ai giovani

fatto di presenza in oratorio (come dimenti-

care le bellissime vacanze fatte in monta-

gna), catechesi e predicazione (i tre giorni di

esercizi spirituali vissuti come il momento

forte della proposta), confessioni e direzione

spirituale, una comunità di adulti, di famiglie,

di ammalati che mi hanno testimoniato una

fede matura in Gesù Cristo.

Tra queste persone non posso non fare due no-

mi, la zia Vincenza e il sempre presente Enzo

che in quegli anni sono stati la mia famiglia.

A tutti devo ripetere il mio grazie.

Un ulteriore passo nel cammino sacerdotale è

a Tradate nel 1992; qui l'essere prete e la

tua azione pastorale si è ampliata in una re-

altà più complessa: che cosa hai ricevuto e

dato e cosa porti come bagaglio dell'espe-

rienza tradatese?

R.: Il passaggio da Vedano a Tradate mi è

costato molto perché sentivo che tanto anco-

ra c‟era da fare in mezzo a voi, ma,

nell‟obbedienza al Vescovo e alla volontà di

Dio, ho trovato la pace del cuore.

Il ministero cambiava in parte perché mi era chiesta una triplice attenzione su tre fronti

pastorali tutti estremamente stimolanti: la

parrocchia, il collegio-scuola cattolica, il de-

canato. Ricordo questi 10 anni come anni di

maturazione umana, cristiana e pastorale.

Potrei riassumere in due attenzioni pastorali, che sempre devono accompagnarmi, il dono

dell‟esperienza tradatese: lavorare sempre

di più in profondità dedicando molto tempo

all‟ascolto di Dio e del cuore dell‟uomo; lavo-

rare sempre di più insieme creando collabo-

razione e corresponsabilità.

Per questo col passare degli anni sento di aver bisogno per “essere” e “fare” il Prete dei due

doni che la splendida pagina di Emmaus (Lc

24,13-32), ci presenta: i doni della Parola e

del Pane. Annuncio della Parola, anzitutto

quella di Dio, ascoltata, meditata, pregata,

predicata, condivisa, studiata; e poi l‟ atten-

zione alla Parola della gente che si può a-

scoltare quotidianamente nelle case, sulle

strade, soprattutto nel dialogo personale o

nel sacramento della riconciliazione. Lo

spezzare del Pane: quello eucaristico, cuore

della fede della vita dei credenti, che nutre la

fede del popolo di Dio e dei suoi ministri,

che si nutrono di Cristo, lo adorano, lo ama-

no, fanno “comunione”; e poi il Pane della

carità, della fraternità, della condivisione,

dell‟amicizia, della comprensione e del per-

dono.

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VITA PARROCCHIALE

Nel 2002 parroco a Gorla Maggiore e ora an-

che decano della Valle Olona; l'esperienza

sacerdotale giunge alla sua pienezza: come

stai vivendo e operando questa "stagione"

della tua vita?

R.: La quotidiana e affettuosa vicinanza a

due bravi parroci, don Giuseppe a Vedano e

don Luigi (oggi vescovo e vostro vicario) a

Tradate, è stata la miglior scuola pratica per

imparare a fare il parroco.

Lo stile pastorale di questi due sacerdoti mi ha sostenuto nell‟accogliere con serenità e fidu-

cia questo nuovo incarico che mi chiedeva

una responsabilità su tutta una comunità,

dal bambino che nasce al morente che si

appresta a vivere l‟incontro definitivo con il

Signore. In questo senso si può parlare di

una pienezza del ministero del parroco per-

ché abbraccia tutto l‟arco della vita umana e

cristiana.

Con sorpresa, anzitutto mia, i miei confratel-

li nel 2006 mi hanno chiesto di svolgere un

ulteriore ministero come decano per coordi-

nare il cammino pastorale delle 14 parroc-

chie del decanato Valle Olona.

Ma l‟essere parroco e anche decano non

sono, come suggerisce la domanda, la pie-

nezza dell‟esperienza sacerdotale. Da que-

sto punto di vista sento ancora di essere in

cammino per vivere un discepolato del Si-

gnore Gesù sempre più autentico e un apo-

stolato sempre più generoso, carico

dell‟entusiasmo dei primi anni e

dell‟esperienza di 25 anni.

Pienezza sacerdotale è quanto ho scelto come regola di vita (ai giovani di allora dico: vi ri-

cordate l’insistenza sulla regola di vita?) e

che ho scritto sull’immaginetta del 25° :

“Teniamo fisso lo sguardo su Gesù che dà

origine alla fede e la porta a compimen-

to” (Ebrei 12,2).

Pienezza sacerdotale per un prete di 50 anni, nell‟anno del suo 25°, si potrebbe sintetizza-

re in questa frase: “dalla santità desiderata

alla povertà offerta”.

Ringrazio il Signore che ha messo nel mio

giovane cuore il desiderio della santità (così

ho iniziato tra voi il mio ministero) e lo ringra-

zio ancora di più perché sa accogliere anche

la povertà della mia inadeguata risposta co-

me quel piccolo dono che posso offrire alla

gloria di Dio e per il bene dei fratelli.

A voi carissimi, sempre legati da questi vincoli di

fede e di sincero affetto, chiedo il dono di

una preghiera al Signore. Grazie

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VITA PARROCCHIALE

SETTEMBRE 2009

PROGRAMMA FESTA PATRONALE

Mercoledì 15 In San Pancrazio

Giovedì 16 Ore 20,30 triduo di preparazione alla festa patronale

Venerdì 17

Sabato 18 Dalle 15,00 confessioni in chiesa parrocchiale

Ore 18,00 Messa e apertura pesca di beneficenza

Ore 21.00 In chiesa parrocchiale concerto d’organo

Domenica 19 Ore 11,30 S. Messa solenne

Ore 12,30 pranzo in oratorio (prenotazioni entro giovedì 16)

Ore 20,30 processione (*)

Il Gruppo Alpini presenzia, scortando la statua di S. Maurizio

(*) La processione partirà dalla chiesa parrocchiale e percorrerà via dei martiri, Papa Innocenzo, Casa

di riposo, via Garibaldi, Fara Forni, Don Minzioni, Spech, Sciesa, 1° Maggio, Matteotti.

Lunedì 20 Ore 20,30 In chiesa parrocchiale solenne concelebrazione in suffragio

di tutti i defunti

PROGRAMMA FESTA DELL’ORATORIO

Domenica 26 Ore 10,00 S. Messa in chiesa parrocchiale

Ore 12,30 pranzo in oratorio (prenotazioni entro giovedì 23)

Ore 14,30 grandi giochi per ragazzi e genitori

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VITA PARROCCHIALE

"Un amico è un sostegno potente; chi lo

trova ha trovato un tesoro" (Sir 6, 14 ss).

C’era una volta un complesso di sette strumenti

musicali: erano un pianoforte, un violino, una chi-

tarra classica, un flauto, un sassofono, una cor-

netta e una batteria. Vivevano nella medesima stanza, ma non andava-

no d’accordo. Erano così orgogliosi che ognuno

pensava di essere il re degli strumenti e di non

aver bisogno degli

altri. Non solo, ma

ciascuno voleva

suonare le melodie

che aveva nel cuo-

re e non accettava

di eseguire uno

spartito. Tutti rite-

nevano ciò un’ im-

posizione intollera-

bile che violava la

loro libertà di e-

spressione.

Quando al mattino

si svegliavano o-

gnuno cominciava

a suonare libera-

mente le proprie melodie e per superare gli altri

usava i toni più forti e violenti. Risultato: un infer-

no di caotici rumori. Sicché tutti chiamavano quel

complesso l’Orchestrana.

Una notte capitò che la batteria non riuscisse a

chiudere occhio per il nervoso. Per passare il tem-

po cominciò a scatenarsi con le sue percussioni.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Per la

prima volta tutti gli strumenti si trovarono

d’accordo su una cosa: la decisione di andare o-

gnuno per conto suo.

Stavano per uscire quando alla porta bussò una

bacchetta con uno spartito sotto il braccio in cer-

ca di strumenti da dirigere.

Parlando con garbo e diplomazia chiese loro di

fare una nuova esperienza, quella di suonare o-

gnuno secondo la propria natura, ma con note,

ritmi e tempi armonizzati.

“Con un occhio guardate lo spartito, con l’altro i

miei cenni, dopo che avrò dato il via, disse la bac-

chetta”.

Un po’ perché erano molto stanchi del caos in cui

vivevano, un po’ per la curiosità di fare una nuova

esperienza, accettarono.

Si misero a suonare con passione dando ognuno

il meglio di se stesso e con una obbedienza totale

alla bacchetta… magica.

A mano a mano che

andavano avanti si

ascoltavano l ’un

l’altro con grande pia-

cere. Quando la bac-

chetta fece il cenno

della fine un’immensa

felicità riempiva il loro

cuore: avevano ese-

guito il famoso “Inno

alla gioia” di Beetho-

ven. L’Orchestrana

e r a d i v e n t a t a

un’Orchestrina.

Come si fa a stare

insieme?

La sfida è prendere coscienza che siamo differen-

ti.

Noi siamo differenti per età, per provenienza so-

ciale, per formazione, cultura, sesso, lavoro, e può

sorgere una domanda: come si fa ad entrare in

rapporto, in comunione con l‟altro? Con il dialogo!

Dovremmo saper dialogare. Conoscersi è alla ba-

se dell'amicizia, senza conoscersi non c'è amicizia

o questa è un sentimento ideale e vago. La nostra

vita è una crescita e ricerca continua, anche se

con progressi o fermate. L'amicizia è uno dei luo-

ghi fondamentali della crescita nostra, crescita

che ha sì una dimensione strettamente personale,

ma anche familiare, di gruppo.

Gesù fa così con i suoi amici e vuole fare così an-

che con noi. Tutti gli incontri di Gesù nel Vangelo,

in particolare la relazione con i suoi amici predilet-

ti, gli apostoli, sono cammini di crescita, di stimolo

a migliorarsi. Gesù molto spesso sostiene i suoi

amici, li stimola ad andare avanti, a non avere pa-

ura.

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VITA PARROCCHIALE

Questo cammino di crescita è continuato e pro-

gredito durante la vacanza di quest‟anno in Fore-

sta Nera, incantevole regione della Germania

meridionale. Durante i nostri incontri serali, dopo

aver pregato con i bambini, l‟argomento di di-

scussione era “cercare Dio” attraverso

l‟esperienza di Dio dell‟altro: durante il tempo

libero, parlando di Lui, cercando l‟essenziale,

ispirandoci alla vita dei Santi o affrontando il

difficile compito di genitori/educatori.

Concludevo, nel precedente articolo, sostenendo

che ogni partecipante alla vacanza ogni volta

portava a casa molto più di quanto si aspettasse;

anche questa volta è andata così. Dobbiamo

essere noi stessi, con la nostra diversità, par-

tendo da ciò che ci unisce che, per noi cristiani,

si realizza in Dio.

“Oh guata : un fungo, e quivi un altro:

oh quanti funghi usciti son per tutto ap-

pena han vista quella poca di piova” Giacomo Leopardi

La vacanza….

47 persone (chi più, chi meno, grandi e piccini)

contagiate dalla passione per la raccolta del fun-

go più pregiato: Il Porcino (Boletus Edulis). Mai

visti così tanti e così facili da cogliere. Il dispia-

cere per il tempo non clemente è stato superato

dal regalo che i boschi della zona ci hanno fatto

in maniera così generosa. Accompagnati dagli

sguardi indifferenti !?! degli abitanti i nostri più

accaniti “fungiatt”, incuranti della pioggia, hanno

riempito cestini e contenitori di fortuna con deci-

ne di chili di porcini, esibendoli poi come trofei

durante il dopocena.

Incuranti degli aspetti logistici (pulitura, conser-

vazione, trasporto) i più appassionati hanno ac-

cumulato la loro fortuna in ogni angolo della ca-

sa, custodendo gelosamente il bottino accumula-

to. Solo pochi sono finiti in cucina, peraltro biso-

gnosa di un aiuto gustoso, perché è proprio vero

che è…

“Facile regalare argenti e ori, una toga, un

mantello: regalare funghi, questo è difficile”.

Marziale (poeta romano)

Nonostante tutto questo siamo anche riusciti a

fare le escursioni che avevamo programmato. Il

bel tempo della seconda parte della settimana ci

ha poi permesso di gustare totalmente le bellez-

ze naturali del posto, che, a proposito ,si chiama

Todtmoos, e anche l’accogliente piscina comu-

nale. La tanto attesa partita Italia-Germania infi-

ne è stata sostituita con una meno gloriosa, ma

altrettanto agonistica, Genitori-Figli.

Insomma un bilancio ancora una volta sicura-

mente positivo, e quindi di stimolo per cercare

sempre nuove occasioni per stare insieme.

A presto

Mario

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Il 15 maggio 1891 fu promulgata l‟enciclica

Rerum novarum di Leone XIII, dedicata alla que-

stione sociale. «Destò gran meraviglia», scriveva

don Luigi Sturzo 12 anni dopo, «quando questo

vecchio di circa 82 anni pubblicò l‟enciclica… e

allora, nell‟agitarsi delle teorie che presiedono

allo sviluppo di questa corrente sociale, quel do-

cumento parve quasi socialista; e persino i giova-

ni ancora liberali nell‟animo loro borghese temet-

tero; temettero molti, anche ecclesiastici, di que-

sta nuova forza unita al popolo, e dalle lontane

Americhe si volevano sconfessati i Cavalieri del

lavoro e dall‟Austria vicina i cristiani sociali di

Lueger e delle nazioni latine i democratici cristia-

ni».

In poche parole, don Sturzo descrisse effettiva-

mente l‟effetto di quella “bomba” pontificia, e

insieme sintetizza situazione e forze dei pionieri

del cristianesimo sociale nel mondo. I cavalieri

del lavoro, negli Stati Uniti, erano un‟associazione

operaia d‟ispirazione operaia cristiana non con-

fessionale, con oltre 700 mila iscritti, osteggiata

da alcuni vescovi, ma difesa da altri,fra cui James

Gibbons, vescovo di Baltimora. I cristiano-sociali

avevano suscitato un ampio movimento nel mon-

do germanico, soprattutto per l‟azione del vesco-

vo di Magonza, von Ketteler. In Austria questo

movimento aveva dato vita al partito cristiano-

sociale, guidato da Karl Lueger, che fu poi a lun-

go borgomastro di Vienna; e origini analoghe ave-

vano in Francia e in Italia i gruppi democratici

cristiani, che operavano però in condizioni molto

più difficili.

Già si è detto del ritardo con cui il mondo cattoli-

co prese coscienza della questione sociale

nell‟età contemporanea, per una scarsa consape-

volezza storica delle leggi del mercato capitalisti-

co, mentre si vedevano con preoccupazione le

tendenze dell‟associazionismo operaio a muover-

si in maniera autonoma sul piano professionale e

politico. Non si devono sottovalutare mote grandi

iniziative assistenziali e professionali nate in

campo cattolico, già ispirate al concetto della fun-

zione sociale della proprietà, e alla critica del libe-

rismo classico.

Ma fu solo a partire dal 1870 in avanti che si an-

dò sviluppando (in Francia, Belgio, Germania, Au-

stria, Svizzera) una vigorosa corrente di studi so-

ciali, tendenti a superare la vecchia concezione

dell‟economia caritativa. In questi anni cominciò

a operare l‟Unione di Friburgo, grande laboratorio

internazionale

di ricerche,

che vedeva i

cattolici impe-

gnati a fondo

nella questio-

ne sociale. In

Italia si occu-

pavano del

problema la

sezione di e-

conomia so-

ciale cristiana

dell‟Opera dei

Congressi (la

prima “Azione cattolica” a livello nazionale nel

nostro Paese) e l‟Unione cattolica di studi sociali,

presieduta da Giuseppe Toniolo. Tutta questa

attività di ricerca preludeva alla comparsa della

Rerum novarum, la più grande e più studiata en-

ciclica di Leone XIII.

Nato a Carpineto romano nel 1810, Gioacchino

dei conti Pecci era entrato dopo l‟ordinazione sa-

cerdotale nella diplomazia pontificia, e dal 1843

al 1846 fu nunzio apostolico in Belgio, dove il

dibattito assai vivo sulla questione sociale lasciò

in lui più di un segno. Divenne poi vescovo di Pe-

rugia, guidando per un trentennio quella diocesi,

e nel 1877 fu nominato camerlengo della Chiesa.

Morto Pio IX, un conclave rapido (36 ore) lo eles-

se al pontificato il 3 marzo 1878.

Le sue preoccupazioni per la miseria operaia so-

no già presenti nelle sue 2 prime encicliche, en-

trambe del 1878: la In scrutabili Dei consilio e la

Quod apostolici numeris. Esse già contengono

più di un accenno alle teorie sul diritto di proprie-

tà, sulla divisione dei beni e sulla lotta di classe.

Nella seconda, poi, Leone XIII insiste sull‟attività

assistenziale, e invita i cattolici a fondare società

operaie e artigiane, «che, poste sotto la tutela

della religione, abituino tutti i loro soci a tenersi

contenti della loro sorte, a sopportare con merito

la fatica e a menar sempre quieta e tranquilla la

vita. Paternalismo e invito alla rassegnazione so-

no dunque ancora prevalenti in questi testi ponti-

fici.

Con la Rerum novarum siamo molto più avanti.

La condizione operaia non vi è affrontata di lato,

ma interamente, in tutta la sua complessità. Ecco

perché la sua apparizione suscitò allarme nel

mondo più conservatore e grande entusiasmo fra

i cattolici, forse più per quel che rappresentava in

Le “Cose Nuove” di Papa Leone XIII

STORIA DELLA CHIESA a cura di Gianluca

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quel momento che per il contenuto programmati-

co.

Essa diede un aiuto importante a quei militanti

che combattevano lo Stato assenteista, ed erano

impegnati nell‟organizzazione dei mezzi di difesa

degli operai contro la legge del profitto. Tra essi,

Carlo de Cadorna, don Luigi Sturzo, don Romolo

Murri, ispiratori dei gruppi democratici cristiani.

L‟enciclica non dava soluzioni definitive; non sce-

glieva tra uomini professionali semplici, formate

cioè da soli operai o da soli datori di lavoro, e u-

nioni professionali miste, con operai ed imprendi-

tori insieme; ma affermava il principio della liber-

tà di associazione, e ricordava che questo diritto

traeva origine dalla natura stessa intrinsecamen-

te socievole dell‟uomo; perciò l‟associazione, pur

essendo nell‟ambito dello Stato, non deduceva il

suo diritto all‟esistenza dal riconoscimento stata-

le.

Alla stesura del testo della Rerum novarum si

dedicarono uomini di forte preparazione filosofi-

ca, come il gesuita Matteo Liberatore e il cardina-

le Tommaso Zigliara, autori rispettivamente del

primo e del secon-

do schema. Il ter-

zo schema è una

rielaborazione del

testo di Zigliara,

corretta e riveduta

dal cardinale Maz-

zella e da padre

Liberatore, esten-

sore del testo defi-

nitivo.

L’usura

“divoratrice” e il monopolio

L’enciclica comincia con l’indicare la causa della

questione dell‟insorgere sociale: l‟abolizione delle

antiche corporazioni di arti e mestieri senza nulla

sostituire ad esse. «Accrebbe il male», afferma il

testo, «una usura divoratrice che, sebbene con-

dannata tante volte dalla Chiesa, continua lo

stesso sotto altro colore, per opera di ingordi spe-

culatori. Si aggiunga il monopolio della produzio-

ne e del commercio, tanto che un piccolissimo

numero di straricchi ha imposto all‟infinita molti-

tudine di proletari un giogo poco meno che servi-

le».

Accennando alla soluzione socialista della trasfor-

mazione della proprietà privata in quella colletti-

va, l‟enciclica difende la proprietà privata come

diritto di natura. La terra con i suoi beni è data

all‟uomo in usufrutto universale. E questo usu-

frutto, per realizzarsi, ha bisogno della proprietà

privata. Contro le dottrine della lotta di classe,

Leone XIII sostiene il principio dalla collaborazio-

ne fra le classi, aggiungendo: «Dei capitalisti poi e

dei padroni sono questi i doveri: non tenere gli

operai in luogo di schiavi; rispettare in essi la di-

gnità della persona umana, nobilitata dal carat-

tere cristiano. Agli occhi della ragione e della fede

non è il lavoro che degrada l‟uomo ma anzi la no-

bilita col metterlo in grado di vivere con l‟opera

propria onestamente: quello che veramente è

indegno dell‟uomo è abusarne come di cosa a

scopo di guadagno». L‟enciclica si chiude con

l‟invito ai cattolici a dare «tutta la forza dell‟animo

e la generosità dello zelo» per contribuire alla so-

luzione dell‟ “arduo problema”operaio.

La nascita dell’Azione cattoli-

ca

Appena proclamato il Regno d’Italia (1861) nac-

que fra i cattolici il desiderio di unione, per oppor-

si alle leggi anti-clericali, e anche per difendere

ciò che restava dello Stato pontificio. Nel 1865 si

costituì a Bologna l‟Associazione cattolica per la

difesa della libertà della Chiesa in Italia: persegui-

tata dal governo, visse soltanto pochi mesi. Sor-

sero però altre iniziative: nel 1868, sempre a Bo-

logna, nacque la Società della Gioventù Cattolica

Italiana, a opera di Mario Fani e Giovanni Acqua-

derni. Nel 1870 a Firenze, allora capitale, fu fon-

data l‟Unione Cattolica Italiana per il progresso

delle buone opere in Italia.

Dopo la caduta dello Stato pontificio si sentì il

bisogno di un vigoroso coordinamento delle attivi-

tà cattoliche, e fu lanciata l‟idea di Congressi na-

zionali periodici. Il primo si riunì a Venezia nel

1874; durante il secondo (Firenze, 1875) nacque

l‟dea di un‟opera permanente, destinata a prepa-

rare i successivi congressi e a costituire comitati

regionali, diocesani, parrocchiali: così nacque

l‟Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici in

Italia. L‟animava uno spirito intransigente nei

confronti dello Stato accompagnato da ferma ob-

bedienza alla Santa Sede e da uno sforzo di pe-

netrazione attraverso istruzioni religiose, econo-

mico-sociali, culturali; e anche attraverso iniziati-

STORIA DELLA CHIESA

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STORIA DELLA CHIESA

ve per la conquista di

amministrazioni locali.

Tuttavia i dirigenti

dell‟Opera non riusciro-

no a capire i tempi nuo-

vi: si perpetuò così una

certa confusione tra

azione religiosa, sociale

e politica, e tra i compiti

del clero e quelli del

laicato.

Papa Pio X, nel luglio

1904, decise di scioglie-

re l‟Opera, ristrutturan-

do il movimento cattoli-

co italiano sulla base di

3 Unioni: quella popola-

re, quella economico-

sociale, quella elettora-

le. Si delineò quindi una

d i s t i n z i o n e t r a

“movimento cattolico”e

azione cattolica più

strettamente intesa, che restava compito

dell‟Unione popolare (diretta inizialmente da To-

niolo e promotrice fra l‟altro delle settimane so-

ciali) e dalla risorgente Società della Gioventù

cattolica. All‟Unione popolare, poi, Benedetto XV

attribuì nel 1915 maggiori responsabilità, e una

struttura basata su una giunta centrale e su giun-

te diocesane, per coordinare attività delle asso-

ciazioni allora esistenti; e cioè, oltre alle Unioni, la

Gioventù cattolica, l‟Unione donne (nata nel

1909) e la Federazione universitari (Fuci), nata

nel 1896 al Congresso di Fiesole.

Questo schema si esaurì dopo la prima guerra

mondiale, con la nascita della Confederazione

italiana del lavoro (Cil) e del partito popolare, di

ispirazione cristiana nettamente aconfessionali.

Vennero sciolte successivamente sciolte le Unio-

ni, e Pio XI riordinò l‟Azione cattolica su 4 “rami”

fondamentali: Gioventù maschile, Gioventù Fem-

minile, Unione donne,

Unione uomini, oltre

alla Fuci. Lo stesso

papa Ratti ne precisa-

va lo spirito definen-

d o - l a q u a l e

«partecipazione dei

laici all‟apostolato

gerarchico della Chie-

sa».

Questa era l‟Azione

cattolica destinata a

operare durante il

regime fascista. E si

può senz‟altro affer-

mare che co-sì confi-

gurata ebbe la possi-

bilità di sopravvivere

in una fase di totalita-

rismo politico (e uno

degli obiettivi fonda-

mentali del Concorda-

to del 1929 fu pro-

prio quello di assicurare questa sopravvivenza),

di restare “altra” dal fascismo stesso e dalle sue

organizzazioni, e di poter svolgere un ruolo deter-

minante sia durante la Resistenza che dopo il

fascismo. Nel 1946, con nuovi statuti, Pio XII re-

stituì poi piena responsabilità ai laici e incoraggiò

lo sviluppo di un vasto e capillare associazioni-

smo per categorie.

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STORIA DELLA CHIESA INVITO ALLA LETTURA a cura di Sergio

L’isola del mondo

Ci sono romanzi che hanno la pretesa di essere

“totali”, di dare cioè una visione e un‟interpretazi-

one che abbraccia la vita e la realtà in modo am-

pio e profondo. Tale è L’isola del mondo, dello

scrittore americano Michael D. O. Brien, autore di

alcuni bei romanzi di stampo apocalittico, come Il

Nemico e Il Libraio, già recensiti su queste pagine

in passato.

Anche L’isola del mondo si colloca nel mezzo del

grande scontro tra Bene e Male, ma questa volta

tutta la vicenda è legata alla vita di Josip Lasta,

poeta croato, figura inventata dello scrittore, ma

che possiede tutti i tratti della storia reale. Nella

vicenda biografica di Josip il conflitto tra Bene e

Male emerge in modo forte, poiché egli si trova fin

da piccolo a subire le ferite della buia storia del

„900: prima la seconda guerra mondiale, poi le

persecuzioni compiute dai comunisti jugoslavi

contro i cattolici, con violenze e morti, distruzioni

e prigionie. Ma Josip riusce a fuggire dalla Jugo-

slavia, verso l‟Italia e poi l‟America, dove il pro-

tagonista vive il confronto con il consumismo

esasperato che toglie all‟uomo il gusto della

bellezza e della semplicità.

Josip nel cammino della vita comprende, con

dolore ma al tempo stesso gioia, che le sue soffer-

enze non sono senza un senso, se associate a

quelle del Crocifisso: è nella fede che egli rilegge i

mali subiti, fino ad arrivare alla capacità di riap-

pacificarsi con il proprio passato e i criminali che lo

hanno abitato. Dunque O‟Brien non rinuncia a porre

dei temi e delle tesi forti alla base del libro: non a

caso tornano tre domande nel racconto: “Chi sei?

Da dove viene? Dove vai‟”; alla fine il protagonista

riuscirà a rispondere, in modo implicito, quando capisce che solo nella fedeltà a Cristo l‟uomo può

veramente essere uomo, può sperimentare l‟amore e il perdono, così come solo per opera dello

Spirito Santo il male può diventare fonte di bene per gli altri e per sé. In questo percorso Josip gi-

ungerà a riappropriarsi della capacità di godere della bellezza, per cui dopo molte sofferenze, rius-

cirà nuovamente a riprendere la penna e scrivere poesie, che sono il suo canto d‟amore per la vita e

per il creatore, come il volo di una rondine, la lastavica in croato, l‟uccello bellissimo che accom-

pagna Josip per tutta la sua vita.

L’isola del mondo,

di Michael D. O’Brien,

San Paolo, 843 pagine, 26 €

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STORIA DELLA CHIESA INVITO ALLA LETTURA a cura di Alvisio

La schiena di Parker

Ho voluto conoscere Flannery O‟Connor, quando ho saputo

qual è stata la malattia che l‟ha portata alla morte.

Flannery O‟Connor è una delle voci più originali e prestigio-

se della letteratura americana del Novecento. Nacque nel

1925 in Georgia; colpita da lupus eritematoso, la malattia

che le aveva portato via il padre e che allora concedeva

aspettative di vita assai brevi, convisse per ben 15 anni

con il suo male e morì nal1964,dopo aver scritto racconti e

romanzi che sono diventati pietre miliari nella letteratura

americana. La sua ristretta produzione letteraria è caratte-

rizzata da uno stile chiaro, veloce, realistico, che dà vita a

vicende per lo più grottesche e violente, in un brulicare di

simboli e rimandi. I suoi sono personaggi strampalati che si

rivelano inflessibili cercatori di assoluto, anime pervicace-

mente chiuse in se stesse, fino a quando un fatto imprevi-

sto non sopravviene a scardinarne convinzioni e chiusure. Al Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini si è parlato

anche di lei; io non ho perso nessuna occasione di appro-

fondire la sua personalità e la sua opera: ho seguito le con-

ferenze che trattavano di lei e ho visitato la mostra che

illustrava la sua vita e i suoi scritti.

Il libro che invito a leggere è una raccolta dei racconti più

significativi, che insegnano a guardare con stupore la real-

tà così com‟è, perché in ogni immagine, in ogni situazione

c‟è una densità di mistero che richiede una prospettiva più

ampia e più attenta della scena umana. “Più a lungo guar-

date un oggetto e più mondo ci vedrete dentro” diceva Flan-

nery che restava “imbambolata” di fronte al mistero dei suoi

personaggi molto terrestri: nelle sue opere dominano l‟ascolto, il rispetto e l‟obbedienza nei confron-

ti della realtà, tanto che lei non temeva di guardare in faccia ciò che appare brutto, il malato, il grot-

tesco.

Ti aspetti dal libertino un‟azione da libertino, dal devoto un‟azione devota, dal filantropo un‟azione

generosa e così dal cattivo un‟azione malvagia; ma sarà così? I suoi personaggi sembrano in ogni

istante sul punto di compiere qualsiasi azione, allineati a un “via” che è al principio di ogni loro possi-

bilità; non ci si può fidare della logica e della coerenza, perché il mistero della libertà dell‟uomo ca-

ratterizza l‟opera narrativa della O‟Connor e l‟imprevedibilità è alla base della sua arte. Così la sal-

vezza può venire da una assassino e, invece, un cieco egoismo può essere l‟espressione di un filan-

tropo umanista.

Il nostro occhio, spesso talmente abituato a vedere le cose sempre allo stesso modo, é atrofizzato,

incapace di scoprire la ricchezza profonda e misteriosa. Leggere le pagine di Flannery compie il pro-

digio, e lì dove prima vedevi nero, adesso sei in grado di vedere le forme e i colori di un mondo che

neanche immaginavi.

Come verrà accolto Parker, strano e libertino personaggio di uno dei racconti di Flannery, che ha il

corpo interamente coperto di fantastici tatuaggi e che decide un giorno di stupire la brutta e pia don-

na che ha sposato offrendo a lei tutta la sua schiena tatuata con la più bella icona del volto di Cri-

sto?

Alla fine si capisce che Flannery O‟Connor non lascia scampo; la sua scrittura è una sfida che rilancia

sempre il “prendere o lasciare”.

La schiena di Parker,

di Flannery O’Connor

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VITA D’ORATORIO

Oratorio feriale 2010…un’altra avventura

Anche quest‟anno l‟oratorio feriale ha stupito

tutti: ci sono stati nuovi canti, una nuova caccia

al tesoro e un nuovo titolo che ha ispirato tutte le

nostre preghiere e i nostri balli. Sin dal primo

giorno l‟atmosfera calorosa del nostro grande

gruppo si sentiva: si respirava l‟adrenalina dei

ragazzi impazienti di giocare e divertirsi, un po‟ di

tensione di noi animatori speranzosi di riuscire a

farli sentire come in una grande famiglia, preoc-

cupati di non dimenticare i passi dei balletti nuovi

imparati poco prima! Come resoconto finale devo

proprio dire che “ci siamo riusciti!”; i ragazzi non

perdevano mai la voglia di mettersi in gioco ogni

volta, e i più piccoli si sono legati a noi animatori

davvero moltissimo: è stata una bella soddisfazi-

one. Durante la preghiera don Adalberto inven-

tava sempre dei piccoli giochi per coinvolgerci

tutti e farci memorizzare le letture e questo ci

ricordava molto don Enrico che faceva travestire

gli animatori da santi! Quello che mi ha sorpreso

molto è stata la partecipazione sempre attiva dei

più piccoli alle preghiere: avevano sempre la

mano alzata per dire la loro idea; il loro entusi-

asmo è stato ammirevole e dovremmo prenderne

spunto un po‟ tutti. Ogni settimana in chiesa c‟er-

ano degli scenari diversi a cui il don si ispirava

per le sue preghiere e ogni giorno apparivano

nuovi personaggi da storie straordinarie e mi

sento in dovere di dire che tutto ciò è stato accu-

ratamente disegnato e colorato dal grandissimo

Stefano Banfi con l‟aiuto dei ragazzi del laborato-

rio di pittura! Bravi davvero…Adesso passiamo

alle gite, altro ingrediente fondamentale dell‟ora-

torio. Sono state ben due, la prima a Minitalia,

dove tutti i ragazzi hanno potuto ammirare le

meraviglie dell‟Italia in un solo pomeriggio, e la

gita alle piscine Tre Re, in cui abbiamo notato

veri talenti del nuoto e dei tuffi dal trampolino! In

entrambe le gite le presenze sono state nu-

merose e siamo molto contenti di questo. Oltre

alle gite del mercoledì anche il venerdì era un

giorno speciale della settimana. Tutti i ragazzi

partecipavano alla messa mattutina delle 11.00

e poi mangiavamo la pizza o la pasta in oratorio

con il gelato e ci intrattenevamo un po‟ con i bal-

letti prima di iniziare i grandi giochi. I ragazzi dalla

5° elementare uscivano in paese accompagnati

da noi animatori per la caccia agli animali, in cui i

ragazzi devono trovare gli animatori e rincorrerli

per avere la loro firma, oppure per alla caccia agli

oggetti, ovvero la ricerca degli oggetti più strani,

da articoli sportivi a vecchie foto, che i ragazzi

devono recuperare in casa. Ma i più piccini non

sono rimasti con le mani in mano! Infatti anche

per loro si sono organizzati giochi con l‟acqua o

cacce al tesoro entro le mura dell‟oratorio. Ma

parlando di caccia al tesoro mi viene proprio in

mente l‟ultimo giorno in cui si proclama la

squadra vincitrice con l‟ultimo giocone: quello di

quest'anno si chiamava batta-caccia navale, ed è

stata una specie di grande battaglia navale a

tappe molto faticosa, ma originale. Ogni squadra,

infatti, doveva cercare dei biglietti con i nomi

delle navi da guerra o delle boe, ma non sempre

questi biglietti portavano punti alla squadra. Le

prime tre tappe consistevano in questa caccia ai

bigliettini per le vie del paese, mentre nell‟ultima

si doveva cercare un foglietto con scritta la parola

oro in uno scatolone pieno zeppo di altri pezzet-

tini di carta! La fantasia e la varietà di giochi ha

caratterizzato quest‟anno di oratorio. Tacciamo il

nome della squadra vincitrice, perché sono state

tutte delle grandi squadre. Aspettiamo impazienti

di organizzare il prossimo oratorio e di rivedere i

ragazzi entusiasti come non mai… infine

per concludere ringraziamo tutti Enzo e

la sua invincibile pazienza, i cuochi che

facevano la pasta il venerdì (che

buona!), Silvia e la sua bella voce, natu-

ralmente don Adalberto e la nostra guida

Battino! E infine grazie alle persone più

importanti…Grazie ragazzi!!

Antonia

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VITA D’ORATORIO

Cavalese… che campeggio!

Quest‟anno il campeggio estivo è stato fonte di

nuove esperienze, soprattutto per i più grandi,

infatti Don Roberto ha chiesto anche ai ragazzi

più giovani di partecipare alla vacanza in veste di

animatore e molti, me compresa, hanno accetta-

to con entusiasmo, anche se voleva dire avere

una grossa responsabilità. La partenza è stata il

10 luglio verso le 9 di matti-

na, il viaggio è stato davvero

lungo, ma i cori che si eleva-

vano dagli ultimi posti del

pullman lo hanno reso molto

piacevole! Una volta arrivati

in hotel, un bellissimo hotel a

4 stelle, ci siamo sistemati

nelle camere e subito dopo

c‟è stato il primo incontro di

preghiera, mentre alla sera

abbiamo diviso i ragazzi a

squadre. Il giorno abbiamo

subito avuto la prima gita:

non è stata pesante, ma il

posto era davvero bello! Ab-

biamo mangiato in un gran-

de prato vicino ad alcuni la-

ghetti di alta montagna e dopo aver fatto un po‟

di foto ci siamo incamminati verso l‟albergo per

una bella doccia. Le gite si alternavano a pome-

riggi presso un oratorio locale, accanto a un gran-

de parco, dove si facevano i tornei di calcio e ba-

sket o dove qualche pigrone schiacciava un piso-

lino sulle panchine! La seconda gita è stata me-

morabile e davvero faticosa! Abbiamo camminato

a lungo per circa due ore e mezza sino a raggiun-

gere un rifugio a 2671 metri d‟altezza. Il paesag-

gio era mozzafiato, si poteva toccare il cielo con

un dito e i paesi e le case sembravano così insi-

gnificanti e fragili confrontate con l‟imponenza e

la maestosità delle montagne e del cielo, davvero

bello. Al rifugio non ci siamo trattenuti molto, giu-

sto il tempo di consumare il pranzo al sacco e di

immortalare il paesaggio in una foto. La sera era-

vamo tutti distrutti, quindi abbiamo fatto alcuni

giochi per divertirci, come il mega cruciverba o il

sudoku prima di andare finalmente a dormire!

Abbiamo fatto tanta fatica, ma la ricompensa fi-

nale è stata incredibile. Incredibile come l‟ultima

Messa celebrata all‟aperto. È stato il momento

principale dell‟ultima gita, il penultimo giorno di

campeggio. Eravamo di fronte alle Pale di San

Martino, un gruppo di cime maestose che face-

vano da sfondo al nostro momento di preghiera.

L‟altare è stato fatto con tutti i nostri zaini, che,

come ha sottolineato una ragazza del nostro

gruppo da soli non valgono molto, ma tutti insie-

me hanno costruito qualcosa di divino, qualcosa

cioè che ci porta al Signore, presente lì, sopra i

nostri poveri zaini! Probabilmente la messa è sta-

to uno degli avvenimenti più

emozionanti di questo cam-

p e g g i o , c o m p r e s a

l‟assemblea fatta l‟ultimo

giorno in cui ognuno ha e-

spresso i propri pensieri o le

emozioni che la vacanza ha

suscitato: in quest‟occasione

sono state dette frasi molto

toccanti. Ogni sera è stata

occupata da giochi belli e

coinvolgenti che noi animato-

ri abbiamo preparato con

molto impegno, ma l‟ultima

sera è stata particolarmente

interessante perché organiz-

zata dai ragazzi. Si trattava

della corrida, ovvero ognuno

preparava uno scathc durante il giorno e durante

la serata si esibiva; non sono mancati gli scherzi

(tratto caratteristico dell’ultima serata di campeg-

gio), le barzellette (che raccontava un ragazzo di

singolare simpatia!) e i balli. È stato molto diver-

tente e ringraziamo il don per il gelato e la coca

cola che ci ha offerto a fine serata! Devo ammet-

tere che gli ultimi momenti sono stati i più belli

perché ormai eravamo tutti uniti, abbiamo stretto

amicizia con parecchi ragazzi sia durante le pas-

seggiate in paese o le gite, ma anche alla sera

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quando noi animatori eravamo intenti a girovaga-

re per i corridoi assicurandoci che i ragazzi faces-

sero silenzio (anche se forse parlavamo di più

noi!). Più si è uniti e più ci si diverte e si approfon-

disce l‟amicizia. Il viaggio di ritorno è stato tran-

quillo, perché eravamo tutti stanchi, e all‟arrivo ci

siamo salutati tutti con un abbraccio calorosissi-

mo. È stata davvero una bella esperienza, ma-

gari siamo partiti distaccati, magari con delle

antipatie verso qualcuno, o conoscendo solo

poche persone, ma siamo arrivati alla fine uniti,

con un gruppo unico, pronti ad aiutarsi tutti. La

rifarei mille volte una vacanza così. Bravi ragaz-

zi!

Antonia

Proposte cinematografiche

In questo numero suggeriamo i seguenti films in

dvd:

Fratelli d’Italia, di Claudio Giovannesi, (Italia

2009). Il film analizza il fenomeno dell‟immigrazi-

one, con attenzione alle seconde generazioni

immigrate in Italia e racconta la vita di tre ado-

lescenti di origine straniera che frequentano lo

stesso istituto tecnico: un diciasettenne rumeno

che ha un rapporto conflittuale con i compagni di

classe e la prof. di

italiano. Poi c‟è

Masha, diciottenne

bielorussa adottata da

una famiglia italiana,

che vorrebbe incon-

trare il suo fratello di

sangue; infine un

sedicenne egiziano

nato a Roma e fidan-

zato con un'italiana,

ma osteggiato in

questo dalla famiglia

(problema quanto mai

attuale). Luce puntata su conflitti e identità,

amori e delusioni, sogno e realtà di questi tre

giovani.

Welcome di Philippe Lioret, (Francia 2009). La

pellicola narra la vicenda, con finale purtroppo

drammatico, di un ragazzo curdo di 17 anni

scappato dall'Iraq in guerra per raggiungere a

Londra la sua ragazza, Mina, di cui è follemente

innamorato. Si analizza, pertanto, la sua odissea

piena di insidie e la sua condizione, una volta

arrivato in Francia, di immigrato clandestino con

l'unica protezione “paterna” di un istruttore di

nuoto. Stride ed è anche una sorta di critica,

partendo da ciò che viene descritto nel film, il

titolo Welcome (benvenuto)...

Vezio

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A partire da questo numero la rubrica “Un

santo per amico” vi proporrà a puntate la

vita dei vescovi che hanno retto la nostra ar-

cidiocesi. Abbiamo scelto di far precedere la

biografia del primo vescovo, Sant‟Anatalo, a

quella dell‟apostolo Barnaba, tradizional-

mente ritenuto il fondatore dell‟ Archidioece-

sis Mediolanensis.

San Barnaba apostolo

Non è facile scrivere la biografia di un santo

come Barnaba. Nei primi anni di vita della

Chiesa la maggior parte delle notizie era tra-

mandata per via orale (il primo Vangelo ad

essere scritto, quello di Marco, vedrà la luce

quasi trent‟anni dopo l‟inizio del ministero

apostolico) e per questo molte informazioni

sui primi Apostoli sono frammentarie. Nel

caso di Barnaba, per esempio, le fonti parla-

no genericamente di na-

scita avvenuta nel I seco-

lo, senza specificare se

fosse avanti o dopo Cri-

sto. È certo, invece, che

sia originario di Cipro: il

futuro apostolo è citato

per la prima volta da San

Luca nel capitolo 4 degli

Atti degli Apostoli, nei

versetti 36 e 37, quando

si narrava dell‟unione dei

primi cristiani nei periodi

immediatamente succes-

sivi alla Pentecoste, ai

primi miracoli e alle pri-

me predicazioni di Pietro.

“Così Giuseppe, sopranno-

minato dagli apostoli Barnaba, che significa

«figlio dell'esortazione», un levita originario di

Cipro, che era padrone di un campo, lo ven-

dette e ne consegnò l'importo deponendolo

ai piedi degli apostoli.”

Non era dunque palestinese di nascita men-

tre lo erano le radici della sua famiglia, origi-

naria della Giudea ed imparentata con quel-

la dell‟evangelista Marco, del quale Barnaba

era cugino, come ci testimoniò San Paolo

nella Lettera ai Colossesi (4,10).

“Vi salutano Aristarco, mio compagno di carce-

re, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al

quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da

voi, fategli buona accoglienza”

Proprio a Barnaba era stato affidato l’ebreo

Saulo subito dopo la caduta sulla via di Da-

masco e la sua conversione: divenuto nel

giro di breve tempo uno dei “pezzi grossi”

della prima comunità cristiana, sarà Barnaba

a farsi garante di Paolo presso quei fedeli

che ancora diffidavano di colui che, fino a

poco tempo prima, li aveva aspramente per-

seguitati ed aveva assistito alla barbara ucci-

sione del primo martire, Santo Stefano.

“Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con

i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non

credendo ancora che

fosse un discepolo. Allo-

ra Barnaba lo prese con

sé, lo presentò agli apo-

stoli e raccontò loro co-

me durante il viaggio

aveva visto il Signore

che gli aveva parlato, e

come in Damasco ave-

va predicato con corag-

gio nel nome di Ge-

sù” (Atti degli Apostoli,

9, 26-27).

I due continuarono a far

“coppia fissa” in occa-

sione della prima mis-

sione ufficiale di Barna-

ba, mandato dalla chie-

sa di Gerusalemme ad Antiochia, la terza cit-

tà dell‟Impero Romano dopo Roma ed Ales-

sandria d‟Egitto, dove si erano registrate pa-

recchie conversioni di pagani, inizialmente

non accolte con favore da alcuni membri del-

la comunità, che rimproverarono Pietro: “Sei

entrato in casa di uomini non circoncisi e hai

VESCOVI MILANESI – 1a PARTE

a cura di Mauro UN SANTO PER AMICO

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mangiato insieme con loro!” (Atti degli Apo-

stoli, 11,3).

“La notizia giunse agli orecchi della Chiesa di

Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad

Antiochia. Quando questi giunse e vide la

grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo vir-

tuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di

fede, esortava tutti a perseverare con cuore

risoluto nel Signore. E una folla considerevo-

le fu condotta al Signore. Barnaba poi partì

alla volta di Tarso per cercare Saulo e trova-

tolo lo condusse ad Antiochia. Rimasero in-

sieme un anno intero in quella comunità e

istruirono molta gente; ad Antiochia per la

prima volta i discepoli furono chiamati Cri-

stiani” (Atti degli Apostoli, 11,22-26).

Le successive destinazioni dei due apostoli

furono le loro rispettive terre natali, dappri-

ma Cipro e poi l‟Asia Minore, regione corri-

spondente all‟odierna Anatolia, la porzione

asiatica della Turchia. Li accompagnerà nella

loro seconda missione (narrata nei capitoli

13 e 14 degli Atti) il futuro evangelista Mar-

co, che farà da assistente a Paolo durante la

predicazione a Cipro, ma poi abbandonerà i

suoi compagni di viaggio al momento

d‟imbarcarsi alla volta dell‟Asia Minore, forse

perché spaventato dalle fatiche dei lunghi

trasferimenti o dalle ostilità incontrate. La

defezione di Marco non piacque a Paolo che,

al momento di partire per la terza missione,

non lo volle portare con sé. L‟episodio causò

anche una rottura con Barnaba, che sceglie-

rà proprio il cugino come suo compagno di

viaggio, quando fece ritorno a Cipro.

“Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba:

«Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le

città nelle quali abbiamo annunziato la paro-

la del Signore, per vedere come stanno».

Barnaba voleva prendere insieme anche

Giovanni, detto Marco, ma Paolo riteneva

che non si dovesse prendere uno che si era

allontanato da loro nella Panfilia e non ave-

va voluto partecipare alla loro opera. Il dis-

senso fu tale che si separarono l'uno dall'al-

tro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s'im-

barcò per Cipro. Paolo invece scelse Sila e

partì, raccomandato dai fratelli alla grazia

del Signore” (Atti degli Apostoli, 15, 36-40).

S o -

n o

questi gli ultimi atti certi ed ufficiali della vita

di San Barnaba, che da questo momento

non è più citato nel testo degli Atti e che, se-

condo alcuni testi bizantini redatti tra il VII e

l‟VIII secolo, si sarebbe avvicinato a Pietro,

seguendolo a Roma. Dalla capitale

dell‟impero avrebbe in seguito raggiunto

l‟Italia settentrionale, dove avrebbe fondato

la Chiesa di Milano. Secondo la tradizione

sarebbe accaduto il 13 marzo dell‟anno 53,

in un giorno nel quale la futura metropoli era

avvolta da un bianco manto di neve che si

sarebbe sciolta al passaggio dell‟apostolo,

per lasciar spazio ai primi fiori primaverili.

Barnaba sarà martirizzato da un gruppo di

giudei a Salamina, col supplizio del fuoco,

probabilmente nell‟anno 61.

Sant’Anatalo

Tutti gli anni, il 25 di settembre, l’Arcidiocesi

di Milano celebra la festa di Sant‟Anatalo,

con la quale sono ricordati anche tutti i ve-

scovi milanesi assurti a santità. Nella memo-

ria si fa un solo nome e non a caso, perché

quello di Anatalo è il primo nome a compari-

re nella lista dei vescovi milanesi. Resse

l‟arcidiocesi per circa 8 anni, dal 55 al 63, e

UN SANTO PER AMICO

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non molto si conosce sulla sua persona, sem-

pre a causa della mancanza di fonti dirette.

Pensate che solo il suo nome fu scritto in ben

8 maniere diverse, spaziando da Anatalone

ad Anatelon, da Anatolo ad Anatolio, per arri-

vare agli orientaleggianti e quasi impronun-

ciabili Anatalofle, Anatelofl e Anatolofle. Si

trova menzione scritta per la prima volta di

lui ottocento anni dopo le sue gesta, citato

dal monaco longobardo Paolo Diacono nel

testo “Gesta episcoporum Mettensium”,

scritto per conto del vescovo Angilramno di

Metz.

Un‟altra fonte, la “Datiana historia ecclesiae

mediolanensis”, redatta nell’XI secolo da un

autore rimasto anonimo, gli assegna una

doppia cattedra, per aver retto anche la dio-

cesi di Brescia dal 50 al 63.

Gli storici hanno però appurato che, con mol-

ta probabilità, la cronologia tramandata da

queste tradizioni fu “inventata” proprio nell‟XI

secolo, quando i milanesi retrodatarono la

storia dell‟arcidiocesi al fine di stabilire una

pari anzianità con la Chiesa di Roma, in mo-

do da esentarsi dalla soggezione verso

ques‟ultima, con la quale erano entrati in

conflitto a causa dell‟eresia dei Patarini e del-

la malcolta riforma imposta da Papa Gregorio

VII (la “riforma gregoriana”). Sempre secondo

gli studiosi, lo stesso apostolo Barnaba non

sarebbe mai arrivato fino a Milano e, forse,

nemmeno in Italia.

Tutti i primi atti della nostra arcidiocesi, dun-

que, sarebbero avvolti da un alone di leggen-

da, secondo la quale Anatalone fu discepolo

non solo di Barnaba ma anche dello stesso

Pietro, che lo avrebbe personalmente inviato

a Milano come primo pastore. Si dice anche

che fu costretto a vivere nella clandestinità a

causa della persecuzione di Nerone, ma qui

la leggenda non regge al confronto con i dati

storici, perché racconta che la morte lo a-

vrebbe colto nell‟anno 63, ovvero dodici mesi

prima dell‟inizio di tale persecuzione (che, tra

l‟altro, si verificò nella sola città di Roma).

Un‟altra incongruenza riguarda la costruzione

di una chiesa dedicata al Salvatore, secondo

la tradizione innalzata sul luogo dove si trova-

va un tempio pagano, terreno sul quale oggi

sorge la chiesa di San Giorgio al Palazzo: ma

questa, in realtà, fu eretta sui resti di un pa-

lazzo appartenuto all‟imperatore Diocleziano,

vissuto quasi 300 anni dopo gli eventi che ci

interessano.

Verso il V secolo alcune pezze di lino che era-

no venute in contatto col suo corpo al mo-

mento della morte furono trasportate nella

cappella “ad Concilia Sanctorum” e venerate

come reliquie. Rimane ignoto il luogo della

sua sepoltura, simbolicamente celebrata nel-

la chiesa di San Babila, anche se sul

“Beroldo Nuovo” (calendario liturgico del

1263) si può leggere che le spoglie di

Sant‟Anatalo furono tumulate nella chiesa di

San Floriano a Brescia, dove effettivamente

nel 1472 furono rinvenute delle sue reliquie,

oggi conservate nella cattedrale.

San Caio

Poche notizie certe si hanno anche su questo

vescovo, ritenuto da una parte degli studiosi

il primo vero vescovo di Milano. Resse

l‟arcidiocesi per 22 anni, dal 63 all‟85, e

anch‟esso è indicato dalla tradizione come

discepolo di Barnaba e come personaggio

coinvolto nella persecuzione neroniana.

Sempre la leggenda narra che fu lui a battez-

zare la famiglia dei protomartiri milanesi, co-

stituita dai genitori Vitale e Valeria e dai figli

gemelli Gervasio e Protasio, tutti venerati co-

me santi.

Dopo la sua morte la cattedra rimase vacan-

te, sprovvista di un pastore, per 12 anni, fino

al 97. In mancanza di conoscenze, la tradizio-

ne si è sbilanciata verso due spiegazioni per

questa lunga “sosta”: si è parlato

dell‟occupazione della sede episcopale da

parte di un non meglio identificato prelato

ma, ed è questa la versione più plausibile,

anche dell‟assenza di un pastore a causa

della seconda persecuzione cristiana, inten-

tata dall‟imperatore Domiziano (scomparso

nell‟anno 96).

San Castriciano

UN SANTO PER AMICO

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Talvolta citato come Castriziano, il terzo ve-

scovo milanese resse l‟arcidiocesi per ben

41 anni, dal 97 al 1 dicembre del 138, il

giorno della morte.

A differenza dei predecessori non era di e-

strazione popolare, ma aveva studiato, i-

struendosi seguendo i sermoni di

Sant‟Anatalo e di San Caio. Si dice anche

che quest‟ultimo lo avesse prescelto “in

pectore” quale suo successore.

Grazie alla mitezza dell’imperatore Nerva,

che fece cessare le persecuzioni, Caio riuscì

a convertire al cristianesimo un gran numero

d‟idolatri e a costruire ben tre chiese a Mila-

no. La prima fu innalzata sull‟area dell‟ hor-

tus Philippi, nella zona dove oggi sorge la

Basilica di Sant‟Ambrogio, poi furono erette

le cosiddette basiliche Porziana e Fausta

(corrispondenti alla chiesa di San Vittore al

Corpo e alla cappella di S. Vittore in Ciel d'O-

ro, che si trova all‟interno di Sant‟Ambrogio).

Discordanti le notizie sul luogo della sepoltu-

ra, che non è mai stata rinvenuta. La

“Datiana historia” indica che fu seppellito

nel cimitero di Porta Romana (nello spazio

che attualmente si colloca tra le basiliche di

San Nazaro in Brolo e di San Calimero) men-

tre antichi cataloghi riportano alla scompar-

sa chiesa paleocristiana di San Giovanni in

Conca, sconsacrata dagli austriaci nel XIX

secolo, ceduta ai valdesi ed infine demolita.

Ne rimangono scarsi resti in superficie

(visibili in Piazza Missori) e l’intera cripta,

l‟unica romanica oggi presente a Milano.

UN SANTO PER AMICO

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Era domenica, il primo di novembre del 2009, poco dopo mezzogiorno, quando, uscendo da messa, ho

visto lo spettacolo che mi ha ispirato questo testo: un turbinio di foglie mulinava nell‟aria contro il cielo

azzurro: foglie dorate o rossicce, quasi tutte insieme, si staccavano dai rami dei tigli della piazza, per un

poco danzavano in libertà, poi scivolavano a terra a coprire le macchine e l‟asfalto. La sera di quel primo

novembre, dopo la visita al cimitero, ho scritto. So che ora sono fuori tempo… ma tant‟è: la cosa è certa

al di là di ogni discussione o parere contrario; anche per chi è ostinato a far finta di niente, il fatto è sicu-

ro: arriva l‟autunno e le foglie cadono.

È per lo meno seccante: esci di casa senza il maglioncino e hai freddo; lo indossi e ti dà fastidio perché,

invece, quel giorno fa ancora caldo. È seccante perché ti obbliga a constatare che le cose cambiano, e

cambiano senza che tu possa minimamente metterci il becco! Soprattutto è seccante perché, se le cose

cambiano, vuol dire che passano; scorrono trascinate dal fiume del tempo.

E mi son ricordato dell‟antico poeta greco. L‟ho letto da ragazzo a scuola e allora mi sembrava strano

che un tale Mimnermo si lamentasse perché la gioventù, che a me sembrava immutabile ed eterna, fos-

se invece destinata a passare:

“Al modo delle foglie che nel tempo

fiorito della primavera nascono

e ai raggi del sole rapide crescono,

noi simili a quelle per un attimo

abbiamo diletto del fiore dell’età,

ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.

Ma le nere dèe ci stanno a fianco,

l’una con il segno della grave vecchiaia

e l’altra della morte. Fulmineo

precipita il frutto di giovinezza,

come la luce d’un giorno sulla terra.

E quando il suo tempo è dileguato

è meglio la morte che la vita.”

Eppure, anche se confusamente, capivo che aveva ragione lui e mi chiedevo che destino avrebbe avuto

la mia foglia. Ora so che a scuola cercano di farti credere che in fondo si tratta di un‟immagine lettera-

ria, di un puro gioco linguistico caro ai poeti delle più diverse culture: quando torna l‟autunno quel

«come le foglie», riappare nella sua inquietante verità, magari nella forma dei versi di Ungaretti:

«Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie».

Come le foglie di Mimnermo

a cura di Alvisio IN MARGINE A UNA POESIA

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E spesso prevale la conclusione nichilista: tutto finisce in niente! Poi qualche insegnante “illuminato”

tenta di consolarti, dicendo che a primavera le foglie ricrescono e tutto rinasce.

Ma tu senti che è un panteismo del tutto insoddisfacente: rinasceranno pure delle foglie, ma la foglia

che sei tu dove va a finire?

È ancora una volta Leopardi che dà la risposta inquieta:

“Lungi dal proprio ramo,

povera foglia frale,

dove vai tu? Dal faggio

là dov'io nacqui, mi divise il vento.

Esso, tornando a volo

dal bosco alla campagna,

dalla valle mi porta alla montagna.

Seco perpetuamente

vo pellegrina, e tutto l'altro ignoro.

Vo dove ogni altra cosa,

dove naturalmente

va la foglia di rosa,

e la foglia d'alloro.”

Basta una foglia che cade per spingere alla domanda sul destino. Destino, cioè destinazione, scopo,

meta: siamo immersi nel tempo che è cambiamento, moto. Verso dove?

La saggezza del popolo cristiano sa che quel moto non è casuale: «Non casca foglia che Dio non voglia».

E il cristiano Dante sapeva che quel «dove» dipende anche dalle nostre libere scelte. Per questo la gran-

de metafora delle foglie autunnali è posta all‟inizio dell‟Inferno per descrivere le anime che scendono

dalla barca di Caronte:

«Come d’autunno si levan le foglie

l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo

vede a la terra tutte le sue spoglie».

Ma c’è un posto, lassù in Paradiso, dove non c’è autunno che tenga.

Lo ricorda Cacciaguida, avo di Dante, che parla dei beati come di un albero che «frutta sempre e mai

non perde foglia».

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Vivono in Cristo Risorto

28. SCORPIONI Stamura anni 84 08.03.2010

29. DI LAVANZO Duria anni 91 30.05.2010

30. CASOLA Bruno anni 91 02.04.2010

31. RHINER Ruth anni 52 04.04.2010

32. MARIANI Camilla anni 95 08.06.2010

33. ALBINI Cecilia anni 54 30.04.2010

34. FILOSA Cristina anni 89 30.04.2010

35. LAMERA Maria Erminia anni 87 09.05.2010

36. BAROCELLI Eleonora anni 88 10.05.2010

37. GUZZETTI Franca anni 70 12.05.2010

38. BARAUSSE Maria Concetta Assunta anni 81 17.05.2010

Rinati in Cristo

06.06.2010

28. ZAVAGLIA Leonardo

01.08.2010

29. MASPERO Lisa Angela Ester

Uniti nell‟amore di Cristo

9. MESISCA Roberto e IURA Jessica 05.06.2010

10. LARGHI Gianluca e PEDROSO Jessica Adriane 05.06.2010

11. LACERRA Elio e CARPANESE Valentina 12.06.2010

12. BUSATA Davide e BRUNO Giovanna 03.07.2010

13. CIRAULO Davide e MARTINENGO Elisabetta Maria 17.07.2010

14. BOTTAZZINI Matteo e SPORTELLI Patrizia 17.07.2010

15. TOLOMEI Marco e MIOLO Elena 31.07.2010

NOTE D’ARCHIVIO

Page 28: Direttore responsabile Informatore di vita parrocchiale ... › public › allegati › VedanoSettembre10.pdf · 1842 si ritirò con alcuni amici a Littlemore, dove, lavorando alla

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RICORDIAMO CHE...

Il Battesimo comunitario viene celebrato la prima domenica di ogni mese alle ore 15.00.

I genitori interessati sono pregati di ritirare in parrocchia il foglio della domanda di iscri-

zione.

Il venerdì precedente la domenica dei battesimi, alle ore 20.30, RIUNIONE PREBATTESI-

MALE PER GENITORI, MADRINE E PADRINI in casa parrocchiale.

Ogni primo venerdì del mese alle ore 18.00 viene celebrata una S. Messa in suffragio

dei defunti nel mese precedente.

NUMERI TELEFONICI UTILI

Casa Parrocchiale (don Roberto Verga) Tel. 0332.400109

ORARIO SANTE MESSE

Festivo

ore 18.00 (sabato)

ore 8.30 - 10.00 - 11.30 - 18.00

Feriale

ore 8.30 (in chiesa parrocchiale)

ore 18.00 (in san Pancrazio)