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FRANCESCO DOVIGO Dipinti per la Gloria di don Bosco (1938) Ricostruzione delle vicende legate ai dipinti sul soffitto del refettorio all'Istituto Salesiano “Manfredini” voluti dal direttore don Giuseppe Ghibaudo 1

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FRANCESCO DOVIGO

Dipinti per la

Gloria di don Bosco

(1938)

Ricostruzione delle vicende legate ai dipinti sul soffitto del refettorio

all'Istituto Salesiano “Manfredini”

voluti dal direttore don Giuseppe Ghibaudo

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Ai miei cari

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Presentazione

La villa “Cà Pesaro” di Este, oggi sede dell'istituto “Manfredini” fondato da don Giovanni Bosco nel 1878, nel corso degli anni ha mutato il suo volume originario tramite varie aggregazioni. Quel rudere di villa che si presentava agli occhi dei passanti sulla strada Regia tra Ospedaletto ed Este sul finire dell'800, sarebbe crollato se don Agostino Perin, parroco “delle Grazie” e il benefattore Benedetto Pelà non l'avessero suggerito e poi acquistato“in nome e per conto” dell'astigiano-torinese don Giovanni Bosco. Una delle ricchezze artistiche del territorio sarebbe scomparsa in pochi anni, perché i proprietari dell'epoca tardo ottocentesca non se ne curavano per niente, vivendo tra Venezia e l'estero, rapiti da altri gusti rispetto i loro avi che avevano apprezzato questa zona per la tranquillità, ilclima ed il paesaggio. Inoltre la complessità dei restauri delle strutture scoraggiavano i vari potenziali acquirenti, che pur si presentarono, scettici sul possibile ritorno economico e spaventati dalle ingenti manutenzioni periodiche necessarie nel tempo.Certamente i Salesiani e don Bosco non erano degli sprovveduti e queste difficoltà le avevano messe in conto da subito. Infatti anche in altre situazioni, in Piemonte ed altre regioni dell'Italia neo-riunita dai Savoia, si erano trovati ad acquistare ville o comunqueedifici storici da tutelare, poco adatti agli usi scolastici o residenziali di giovani ospiti. Al corpo centrale lineare, al fabbricato delle stalle, alle torrette colombare, tutti edifici settecenteschi, i primi Salesiani accorparono vari nuovi edifici, cercando di mantenere una rispettosa centralità all'elemento monumentale realizzato dall'architetto formatosi alla scuola di Baldassarre Longhena, il rodigino Antonio Gaspari, progettista ad Este anche del Duomo di Santa Tecla. Si può intuire l'intento progettuale dei primi Salesiani: i nuovi corpi traversali racchiudono due spazi prima assenti, ma cari a don Bosco e fondamentali nello stile educativo preventivo, ossia lo spazio per il gioco, strumento principe per tenere alto il morale e migliorare lo sviluppo fisico dei giovani. Si sono creati due coppie di ali, come due “abbracci”, riconducibili per certi versi all'idea berniniana del colonnato di San Pietro in Vaticano: i corpi di fabbrica aggiunti alle estremità della villa originaria verso sud hanno prodotto un cortile interno assolato (estivo) e quelli aggiunti verso nord un cortile esterno ombreggiato (invernale). Emerge chiaramente al visitatore, la distinzione tra le parti antiche e quelle via via più moderne: ultima nuova struttura il laboratorio di saldo-carpenteria (2015).Trattandosi di un bene tutelato dall'ente regionale preposto, oltre che per i nuovi corpi di fabbrica anche qualsiasi intervento di 'adeguamento dell'esistente' doveva e deve essere autorizzato, con tutte le conseguenze annesse. La comunità Salesiana per mantenere al livello qualitativo massimo il patrimonio artistico-culturale del “Manfredini” ha patito e tutt'ora patisce grandi difficoltà a causa delle ristrettezze economiche. I lavori manutentivi edilizi ed impiantistici onerosi nel corso degli ultimi centotrentant'anni sono stati numerosi, tali da superare nei costi le poche nuove edificazioni. Citiamo fra le opere di restauro più recenti: il ritrovamento e ripristino degli affreschi del Salone delle Feste (attribuibili forse al pittore Giambattista Crosato) nel corpo centrale Gaspariano, lavori di consolidamento delle strutture portanti,

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sostituzione degli elementi lignei e inserimento dei riscaldamenti a pavimento, messa a norma dell'impiantistica elettrica, restauro degl'infissi, compiuti tra il 2003 ed il 2013, epoi la ristrutturazione del corpo orientale (originariamente barchessa-stalla forse realizzata su progetto del Longhena, poi ampliata e sopraelevata a seguito di incendi, facendone sala studio, quindi teatro, e giunta al volume attuale dagli anni '30 del secoloscorso) destinando il piano terreno a cucine e sala di ristorazione ed il piano superiore ad “auditorium” (più propriamente e saggiamente restituito come sala polivalente), per citare solo gl'interventi maggiori.La congregazione salesiana, anche qui ad Este, si è dimostrata sensibile alla tutela ed alrecupero dei beni storici artistici monumentali ed architettonici. I pionieri Salesiani fecero censura degli affreschi nel salone delle Feste, perché in presenza di corpi nudi e di soggetti profani, ma non ne operarono la distruzione, prevedendo forse che nel futuro la società sarebbe cambiata e certi scrupoli sarebbero stati superati.Possiamo affermare che i primi Salesiani si rivelarono lungimiranti, facendo scelte difficili, complicate, onerose, coraggiose; loro dicevano che a guidarli era lo spirito di san Giovanni Bosco e che tutto si poteva fare affidandosi alla Provvidenza (e lo dicono anche i contemporanei). Ebbero dalla loro parte non solo l'appoggio di coloro che volevano mantenere in piedi questa villa per vanto del territorio, ma anche e soprattuttoil sostegno di autorità civili e religiose, genitori e amici dell'Opera nella condivisione delle spese per garantire la sana educazione e l'adeguata formazione umana, spirituale emorale dei giovani. I “cooperatori”, ossia gli amici dei Salesiani, hanno trovato con fondi propri, con le proprie consulenze, con l'intervento di propri contatti, vari modi per sostenere le opere e le attività ordinarie, per programmare e garantire la continuità dei servizi per i giovani; chi opera a fianco dei Salesiani sa bene che “tutto va aggiornato”, non si può chiudersi al mondo, ma bisogna adeguarsi ed adattarsi ai tempi ed alle esigenze del momento presente.La gestione ordinaria e straordinaria, il sostegno della scuola e del patrimonio “salesiano”, perciò, esigono un team di persone generose competenti volontarie che si preoccupino costantemente di soccorrere i Salesiani. Vanno tenuto presenti gli alti meriti dei predecessori Salesiani, cooperatori, ex-allievi, senza il lavoro dei quali oggi sarebbe molto difficile partire con una scuola ex-novo. Elogiamo anche e soprattutto i volontari dell'oggi, poiché si occupano anche di umili lavori manutentivi indispensabili per surrogare anno dopo anno il personale salesiano che per carenza di vocazioni in sempre minore numero frequentano i corridoi della scuola.L' idea di questo libro (2014) come strumento per dibattito/interessamento popolare punta principalmente a salvare gli affreschi “dipinti per la gloria di don Bosco”, ma vuole anche fare appello verso chi si riconosce estimatore di don Bosco: per crescere nel volontariato verso il servizio ai giovani, per aderire all'associazione degli exallievi e/o agli altri gruppi della famiglia Salesiana, secondo le vocazioni e le affinità specifiche e peculiari di ciascuno.

La Presidenza dell'Unione Exallievi “Manfredini”

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Introduzione

Come segretario dell'associazione exallievi (denominata “Unione Manfredini”, facenteparte della Federazione Ispettoriale “Triveneta”, della Federazione Nazionale, dellaConfederazione Mondiale, degli “Exallievi ed Exallieve di don Bosco”, con statuto edorganigramma periodicamente eletti) sento la necessità di contribuire anche ad azionidi volontariato, in cooperazione alla Comunità Salesiana.

Come ogni altro componente dei gruppi facenti parte della Famiglia Salesianapropongo la mia disponibilità in attività para-scolastiche o di natura “salesiana”. Sentodi essere uno spirito collaborativo, ma anche e soprattutto propositivo e innovativo.Consapevole dei personali limiti di capacità e di tempo, cerco comunque di dare il mioapporto, con una semplice, forse banale, ma praticissima filosofia: “anche se poco, saràmeglio di niente”. D'altro canto, so pure di non poter trovare immediato sostegno allemie nuove proposte: ciò che entusiama me può lasciare “totalmente freddi” gli altri.Ciononostante non mi sono mai fatto prendere dallo scoraggiamento, perché, come mihanno insegnato i miei antichi educatori Salesiani, “si deve far tutto ispirandosi a donBosco, e per restituire il bene ricevuto”. Spesso stendo bozze delle numerose ideequando mi vengono, poi le metto là in un cassetto (ossia archivio dati computer);quando mi sembra il momento propizio le rispolvero, con l'auspicio di trovare in futurocollaboratori con voglia e tempo di maturarle in qualcosa di utile, magari facendo unauspicabile gioco di squadra.

Sarà perché sono laureato in Architettura, ma girando per il “Manfredini”, mi capitaspesso di “fissare i muri”, cioè gettare lo sguardo anche in spazi reconditi per scrutarese ci sono cambiamenti o difetti nelle strutture edilizie, così come faccio per casa mia.Trovando problematiche, in passato le ho pure segnalate ad insegnanti e Salesiani, che -con mia sorpresa - molte volte dichiaravano di non essersene neanche accorti. Non so quanto possano aver influito nelle scelte dei Salesiani, certi miei suggerimentibuttati là, in 'fugacissime' chiacchierate transitando per i corridoi, ipotizzando cosa sisarebbe potuto fare per migliorare la sicurezza, la fruibilità, l'illuminazione,l'insonorizzazione, il risparmio energetico, discorsi che non sembravano catturareinteresse. Poi il tempo passava, ma certi problemi mi accorgevo non venivano risolticon sollecitudine, anzi, magari si amplificavano, e su questi vari argomenti non se netornava a parlava più. Sentivo di aver fatto comunque qualcosa di buono esternandoquelle mie considerazioni e non mi facevo perciò cruccio o frustrazione se tuttorimaneva immutato. Ma poi, a distanza di anni, ho visto realizzazioni ed opere prendereforma in soluzioni che sembravano seguire quelle tracce; quindi forse non era faticasprecata. Da un po' mi sono persuaso ad apportare il mio punto di vista, a gettare unosguardo alla programmazione futura, a fare concrete e motivate proposte. (Suggeriscoquindi a tutti coloro che hanno idee di proporle e chissà...)

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Con tali stato d'animo e disponibilità, qualche anno fa, trovandomi ad ordinarel'archivio dell'Unione (in cui non ci sono custoditi solo materiali dell'associazione, maanche oggetti accantonati, come fotografie, giornalini storici, riviste, documenti), misono imbattuto in qualcosa che mi fece pensare a lavori edilizi urgenti, ma dei quali dadecenni non se ne sentiva nemmeno parlare. E ritenni ciò che era stato custoditoamorosamente fino ad allora, meritevole d'essere “riesumato” perché nuovamente diutilità al “Manfredini”.

REALIZZARE UN LIBRO per smuovere le acque!

Gli amori per don Bosco, per il “Manfredini” e per il movimento exallievi mi hannospinto ad intraprendere questo lavoro: ... 'andava fatto!'. Poi, come penso sia giusto edoveroso per ogni opera di ricerca, ho pensato alla seconda e più importante fase e cioèla divulgazione, allargandone la diffusione con la pubblicazione del presente libro.

Esso tratta di una parte del patrimonio artistico e culturale della villa Cà Pesaro: questavariopinta eredità, per decenni poco stimata e per nulla valorizzata, che è la triade diaffreschi posti al soffitto della ex-chiesa (oggi mensa self-service studenti). L'operarealizzata nel 1938 può essere definita un unicum fra le rappresentazioni pittorichenelle opere Salesiane: qui appaiono allo stesso momento don Bosco, i suoi “figli”, gliallievi e gli ex-allievi. Questo piccolo saggio descrive, più che un'opera d'arte, la commistione di ragazzi euomini appassionati alla celebrazione di don Bosco divenuto Santo, ed accomunatidalla volontà di mantenere nel tempo la Sua gloria, perpetrare questo desiderio di festafiliale e fraterna, su una superficie solida, intoccabile ed inviolabile per l'eternità com'è(o dovrebbe essere) il soffitto di un fabbricato. Una cosa gli esperti sanno bene e cioèche anche i colori, gli intonaci, ed altri elementi che avrete modo di scoprire leggendo,subiscono un costante degrado, più o meno accelerato da fattori intrinseci ed estrinseci.Perciò quasi ottant'anni dopo l'esecuzione, è urgente intervenire.

Mi auguro che questo libretto, pur volendo essere esaustivo in ogni aspetto d'indagine,risulti accattivante da leggere per tutti. Credo spieghi aspetti dell'istituto “Manfredini”ancora quasi sconosciuti, e non nasconde la volontà di suscitare curiosità anche neilettori più acerbi di tecnicismi ad approfondire tematiche complesse, piuttosto cheappassionarsi all'arte minore, piuttosto che in prima persona compiere altri lavori diricerca.

Ma primariamente spero invogli ciascuno ad impegnarsi in prima persona affinché varicanali di finanziamento si attivino per dare presto l'avvio alle opere di mantenimento,conservazione e restauro di un patrimonio da perpetuare … per i posteri, per la storiadell'Opera di don Bosco, per l'arte del territorio estense.

Francesco Dovigoexallievo del Manfredini

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DIPINTI IN ONORE DI SAN GIOVANNI BOSCO - 1938

Don Bosco fu proclamato Santo da Papa PIO XI ilgiorno di Pasqua del 1934. Un folto numero di collegiali,insegnanti ed exallievi, era presente. I Salesiani del“Manfredini” erano così elettrizzati da quellapartecipazione che decisero, tornati ad Este, di compierequalcosa di veramente durevole e adeguatamenteconsono a celebrare don Bosco Santo. Certamente ne fupromotore ed il più convinto artefice, il direttoredell’epoca, don Giuseppe Ghibaudo: abbellire la chiesarealizzata da oltre cinquanta anni - essendovi forseancora le pareti spoglie - sembrò l’idea migliore, inmodo particolare con l’esecuzione di tre dipinti dacollocarsi sul soffitto. Così lo spazio fu incorniciato ediviso distintamente in tre riquadri: si tratta delle unicheraffigurazioni che ritraggono i Salesiani in tutto il“Collegio Manfredini”.

Dalla “Lettera del 13 Dicembre 1937” di don Ghibaudo ai genitori si legge:

“… nella Cappella del Collegio testè decorata sono ancora in progetto tre affreschi. Il primo dovrà ricordare la venuta di Don Bosco al Manfredini; il secondo il trionfo di Don Bosco Santo a Roma nella Pasqua del 1934, a cui fu presente il Collegio Manfredini al completo; e il terzo la gloria di Don Bosco in Cielo.Il comitato ha suggerito che i personaggi che dovranno

essere corona alla figura centrale di Don Bosco nei tre affreschi, devono essere essenzialmente gli alunni ed ex-alunni del Manfredini e Benefattori dell’Opera Salesiana.

Perché il pittore non abbia ad inventar le facce, si è pensato di fornire al pittore le fotografie di ognuno dei convittori. Si pregherebbe quindi che durante tale periodo di vacanza ognuno pensasse di farsi fotografare con figura completa e col volto ben nitido e faccia piamente sorridente.”

C’è da chiedersi: se il fabbricato fosse già stato costruito oppure no, all’arrivo deiSalesiani ad Este; e poi, se ci fosse già un dipinto o se le travi del tetto fossero a vista,chi sia il pittore, chi siano i volti rappresentati, ed altri elementi utili a ricostruire i fattiattorno a questi dipinti… Per scoprirlo bisogna andare un po’ indietro nel tempo epartire dando un’occhiata a mappe e documenti.

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1697 - Le mappe storiche del complesso edilizio

Dalla didascalia della più antica mappa conosciuta si verifica la proprietà: ConteManfredin Manfredini: “A(d)dì 3 Lug(l)io 1697 – Este . Il presente disegno etperticatione fatta da me Giacinto Corradini, perito del Mag.to Ecc.mo dè Beni Inculti,

di una chiusura di Terrino,Brolivo, pianti dei Frutari, erende in corte et Fondi diFabbriche il tutto di Raggionedell’Ill.mo sig. Co. ManfredinManfredini (V:VR:) , poste inContrà della Torre soto Estemisuratto da me soprad.o

perito, et trovata esser in tutto per tutto, tra Confini come in disegno: sperticati allamisura pado(v)ana. sono C(ampi) 10. Firma”.

E dal disegno in mappa si nota come la corte sia quella che corrisponderà poi al cortilein porfido, che la costruzione precedente alla villa avesse già la sua medesimaposizione e forma, allungata e rettilinea.

Tuttavia erano costruiti due livelli (otto finestre alpiano primo e tre porte e sette finestre si vedono suilati est e nord) e non tre solai come per Cà Pesaro.Vedasi anche la presenza di un annesso posto ditraverso, a chiudere il lato di ponente della corte,realizzato in due altezze, segno di molteplicifunzioni, come di modeste abitazioni per idomestici, stalla e granaio sovrapposto(probabilmente). Si notano anche torrette agli angolidella recinzione in muratura e vari accessi conpilastri; dalla “Strada comune”, dalla “Stradella

Consortiva”, ed una di servizio posteriore cheraggiunge la “Corte”, troppi ingressi e fabbricati peruna semplice proprietà di campagna: segnali chedenotano condizioni d’agiatezza per i proprietari.Attenzione ad un particolare: a nord la Strada non èquella “Regia o Postale” (la ex-statale 10), ma laStradella Consortiva che proseguiva verso est, perspegnersi sulla Strada Comune (attuale Peagnola). Solonella mappa successiva, dopo gli acquisti di ZuannePesaro di altra terra a nord, ed ampliandosi la proprietài Pesaro ottengono di deviare verso settentrione quellastradina (che oggi si chiama Via Altura).

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1733 – La chiesa non c’era al tempo dei Pesaro

Dalla seconda mappa pervenutaci, quella del1733, appaiono alcune novità: i confini dellaproprietà di Lunardo Pesaro, marcati conlinea pesante, che delimitano i terreniaccorpati fino ad allora, rimarranno invariatiper un secolo e mezzo. Si nota unampliamento della proprietà verso nord e larealizzazione della cinta muraria proprio aridosso dello scolo e della “Strada Comune”.Poi i Gradenigo nel 1878 troveranno in donBosco l’acquirente per l’intera superficie.Quel che spicca rispetto a quaranta anniprima, è il rilievo, fuori proporzione dei duefabbricati: campeggia un palazzo signorile atre solai con al piano terreno cinque porte dicui due di lato, che ricorda molto la Cà

Pesaro che conosciamo. Si noti che sulla villa viene rappresentato solo un timpano,quello di meridione, ma non è segnato quello di settentrione. Distanziato e parallelo, si distingue unaltro fabbricato, a due livelli con trearchi, simmetrico rispetto l’assedell’arco centrale. La conformazionecorrisponde a parte dell’ex-atrio (diseguito vediamo un ingrandimento dellamappa). Bisogna comunque prendereatto che il disegnatore era interessato adeterminare i confini della proprietà, ilsuolo occupato dai fabbricati, ma non le fattezze dettagliate delle costruzioni.

Sotto si legge questa annotazione: “Ad(d)ì 29 s(ettem)bre 1733 . Il presente Disegno digiusta misura è formato per mano di me Placido Corradin pub(bli):co perito di Este.Di ordine et comissione dell’ …..lente (Lunardo) dell’Ecc.(ellentissi):ma Casa Pesaro,quai dimostrasi di quali sopradelineati pezzi di terra posti alla Torre pur sotto Este.Parte di sua raggione è pure di ragg(ion):e dell’Ill.mo sig(no):r Co(nt:e) Cogolo,giusto come appar dal presente Dissegno e ciò aff.(er)mo”

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1740 - Il nipote Lunardo fa decorare il palazzo voluto da zio Zuanne

Il nome del committente per la mappa del 1733 è ricavato per deduzione perchéilleggibile nell’originale, ma sappiamo che era Lunardo. Era lui il proprietario delterreno in quell’anno, ne è prova deduttiva l’albero genealogico di famiglia:i “Pesaro” avevano cognome De’ Palmieri nel 1225, arrivati a Venezia, poi sichiamarono Dè Carosi de Pesaro e quindi solo Pesaro. Di seguito, alla ottavagenerazione compare Zuanne, nella nona generazione Lunardo.A comprare il terreno fu sicuramente nel 1705 Zuanne,ma questi morì nel 1727 e perciò non avrebbe potutocommissionare il disegno. Nel 1740 c’è già la villa masembra incompiuta. Si può desumere che il progetto el’inizio di lavori li curò lo zio, mentre il termine deilavori edilizi e le decorazioni furono seguiti dal nipote.Per facilità di lettura riporto trascritto il ramo finale delcasato Pesaro “dal Carro” (detti anche “di San Stae”):Appare subito evidente nello scorrere i nomi, tra l’altrospesso ricorrenti, che nell’albero genealogico fino al 1700 comparivano solo i maschi,perché solo essi continuavano a portare il cognome del casato. Le figlie trovavanoposto negli albi di nascita, di battesimo o di matrimonio. A noi, comunque interessano iproprietari di Cà Pesaro: sempre maschi fino al 1829 quando muore Pietro Pesaro e nel

testamento fra gli eredi, per la parte più cospicua, nomina la sorella Laura. Di leisappiamo che nel 1786 ha sposato un Gradenigo. Il marito le sopravvisse e decise divendere questa proprietà in Este, della quale non si appassionò, ne lui ne i figli, quantola madre di Pietro, Laura e di altri otto figli messi al mondo con il Lunardo Pesaro,Chiara Vendramin, che amava trascorrere parecchio tempo in questi luoghi ameni. Ildestino volle privare Lunardo e Chiara di un nipote che continuasse il casato econtinuasse ad ambire al dogato di Venezia come lui. E ben presto in Cà Pesaro, ogniarchitettura od arte, andava in abbandono e rovina.

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1828 – Catasti: Austriaco e Italiano

Dalla sovrapposizione del Catasto Italiano del secondo dopoguerra sul CatastoAustriaco del 1828 si possono verificare gli sviluppi edilizi compiuti dai Salesiani.Dalla prima immagine, il solo Catasto Austriaco, si configura la proprietà deiGradenigo così come doveva essere all’epoca in cui è stata venduta a don Bosco nel1878. Vi si nota il corpo lungo e stretto contornato da due forme semicircolari. Si tratta

di elementi murari addossati ai laticorti della Villa Pesaro ai tempidell’occupazione militare (Neaccenna don Olivati a pagina 196,nota 3, in “Notizie e discussione suCà Pesaro di Este – Appendice dellamonografia “Don Bosco alManfredini da 125 anni”) ed uncorpo parallelo più corto staccato adest, corrispondente alle stalle, poi

alcuni elementi dispersi piccoli legati solo da una cinta muraria con andamentocurvilineo, ma realizzati senza un progetto in apparenza coerente. Le parti più scurecon forma quadrilatera, a sud-est ed a sud-ovest della Villa, corrispondono a spaziaccatastati ad usi ortivi, le parti bianche con un numero identificavano i terreni coltivatia seminativi. Dal Catasto Italiano si evidenziano le costruzioni realizzate fino ad oggi.In particolare si noti che il corpo difabbrica corrispondente a ex-chiesaed ex-direzione vanno a collegarefisicamente i due corpi di fabbricaprincipali, quelli più voluminosirealizzati volutamente separati edindipendenti dai Pesaro, ambedue conl’orientamento più favorevoleall’irraggiamento solare. Per imigliori utilizzi scolastico ecollegiale, già nei primi tempid’attività Salesiana, i due corpidevono essere sembrati scomodidivisi e troppo distanziati fra loro.Con la costruzione del 1882, iSalesiani non si fecero troppi scrupoli, era normale a quel tempo: si volle unaragionevole ottimizzazione degli spazi, ma, dal punto di vista architettonico, di fatto“Cà Pesaro” perse la sua sontuosità. Logico presumere che la realizzazione dellachiesetta e degli altri fabbricati abbia dato modo ai Salesiani di mettere a disposizionedei ragazzi più aule in quella fase di partenza dell’opera salesiana che si stavavelocemente espandendo e trovava consensi ed adesioni da parte di “giovinetti”provenienti da varie località del nordest italiano.

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Le crescenti necessità di spazi, oltre che per il Collegio anche per il noviziatoSalesiano, mossero i Salesiani all’edificazione d’altri fabbricati poco impegnativi dalpunto di vista qualitativo, soprattutto destinati a depositi o pollai o laboratori che poinel tempo perdettero la loro funzioneQueste strutture semplici impegnavano ilconfine nord-orientale attorno alla Torrettache chiudeva la proprietà di MargheritaManfredini nel 1705, demolita negli anni’50, e occupavano un lato della cintamuraria che passava di fronte alla villa edaveva andamento curvo ai lati. Talistrutture erano, con tutta probabilità,realizzate in legno e dotate diun’impiantistica rudimentale. Continuandoa convivere lampade ad olio o a cherosene e materiali combustibili, non stupisce chenella “Cronaca dei Direttori” si parli d’incendi. Ce ne furono due importanti negli anni’20 del secolo scorso, su parti del complesso realizzate con materiali lignei; il primo nel1927 – così la Cronaca del direttore Rigoni:

“Nella notte precedente la Domenica delle Palme si ha il terribile incendio chedistrusse tutto il Noviziato (…) Ottobre 10 - Noviziato ricostruito (Ingegn. BolzonellaAntonio e Aiutante: Venturini Domenico) tutto in cemento armato. Refettoriograndioso per i giovani, allargato. Terrazza e sottostante portico per ricreazioneinterna dei giovani.”;

e poi nel 1929: “il secondo incendio che ebbe origine da una stufa sopra il parlatorio e il Manfredinisarebbe andato avanti chi sa per quanti anni con quelle topaie sopra il parlatorio

veramente sconce e con quel teatrino che nonconteneva tutti se non ben stretti, senza maipoter fare inviti neppure ai parenti deigiovani che in quelle ristrettezze nonavrebbero trovato posto. In tutto ilManfredini non si era una sala contenga perampiezza, e allora intervenne la Provvidenza,permettendo il II° incendio che avvenne alprincipio della Novena del S. Natale del 1929e distrusse solo quanto doveva distruggereperché si potesse preparare ai posteri un

magnifico salone di sopra, e fatto una completa e bene attrezzata palestra ginnastica.”

Fortunatamente presero fuoco solo quelle parti meno nobili, perché costruite in legno emuratura leggera e probabilmente con travature “a vista”.

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1882 - La “nuova chiesa” con direttore don Tamietti

Il fabbricato conosciuto oggi come “Refettorio del Self Service”, per distinguerlo dallaSala da pranzo annessa al Settore Ristorazione, in zona ex-atrio del Manfredini, fueretto nel 1882 su iniziativa di don Giovanni Tamietti, primo direttore del Collegio.Egli ce lo fa sapere nella sua Cronaca del “Quaderno 1878-1884”:

“Anno 1881 - 82Gli alunni arrivarono a 124. Sono poche le cose che capitarono. Per primo

noterò che aggiungemmo la classe 3° ginnasiale: e quindi dirò che fu edificata la nuova nostra chiesa e finita e benedetta. Ma tre altari,(pag. 25) l'altare maggiore collastatua della Vergine Beata e due altre statue di angeli, tutto in marmo, ci fu lasciato daun benemerito signore di Padova, togliendolo a una sua cappella privata vicino a Battaglia: costò appena £. 400. L'altare del Sacro Cuore costò £. 250, anche per bontàdi una signora, che volle farci questa carità. Quello di S. Giuseppe costò £. 150 e si ebbe da una cappelletta disfatta presso di Padova. Le due colonne di marmo rosso che sono sull'altare del S. Cuore furono regalate dalla famiglia Menin di Padova; il contraltare ci fu offerto dalla famiglia Fantinato, ---- di Padova. Quasi tutta la spesa della fabbrica fu sostenuta e soddisfatta dal Sig. Cav. Benedetto Pelà..”

(foto dell’anno scolastico 1881-1882)

Il direttore “degli esordi” avrebbe voluto ancora ampliare con nuovi fabbricati lastruttura del “Manfredini”, ma così dovette annotare solo qualche mese più tardi:

“…il 27 gennaio 1883, si presentava a Dio anche l'ultimo e il più caro, operativo, amoroso nostro benefattore, il cav. Benedetto Pelà, dopo beve malattia. Oh,se ci fu doloroso! Da cinque anni eravamo soliti vederlo ogni giorno in mezzo di noi coll'amore e colla premura di un padre, come colui che più non avea altro pensiero che il Collegio e D. Bosco. I nostri cuori si intendevano tanto bene; le anime nostre erano strette a un desiderio solo ormai, come se fosse un Salesiano esso pure. Ma Dio lo vide maturo per sé, e lo volle al premio eterno. Aveva ottantatre anni.

D'allora in poi cessarono i passivi: si voleva fabbricare la casa delle Suore, cucina, refettorio, lavanderia pel Collegio né fu più possibile.”

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1882 - Il pavimento della chiesa

Nel 1882 dai Salesiani fu fatta la scelta, forse dettata dall’economicità, di realizzare ilpavimento del nuovo corpo di fabbrica all’altezza del “parlatorio”, l’ex-portineria,quindi circa cinquanta centimetri (tre scalini) più in basso rispetto la quota del pianodella villa. Solo un breve tratto di corridoio, quello fiancheggiante la ex-direzione fu

sopraelevato, per evitare un eccessivodislivello con la villa. Negli anni seguenti,non si sa quando di preciso, fu inserita unaporta finestra all’interno del corridoio chefiancheggia la ex-chiesa, proprioall’incrocio dei due corridoi. (A fiancofoto degli anni ’40 col lungo corridoio)Oggi per superare i dislivelli sono presentiuna serie di rampe di acciaio e rifinite conmateriale gommoso antisdrucciolo,realizzate a cura di Giancarlo Scarparo e

collaboratori, con la supervisione di don Carlo Giacomuzzi. Una serie di rampe portanotutte all’altezza del piano-villa e con pendenza leggera degradano verso nord (Cucinedella Ristorazione) e verso sud (corridoio del refettorio) per agevolare soprattutto iltransito di carrelli di vivande anche verso gli ambienti della Villa, oltre che favorire ilpassaggio di persone con handicap motorii. Per l’accesso alla “direzione” si sonotagliata la porta, rifatte le cerniere e compiuti lavori all’interno dell’ambiente. Nel2012, destinando l’ambiente a cappella “dei ragazzi”, e data l’ampiezza del locale, furealizzato un semplice pianerottolo corto e una gradinata rettilinea, fiancheggiata da unmobile contenitore. Dopo nuovi restauri avvenuti alla fine del 2013 per realizzare quiun laboratorio, si tolse tutto di nuovo e si scavò anche il pavimento per far passaretubazioni degli impianti per il laboratorio della Ristorazione.Quello stretto corridoio fra chiesa e“direzione” era motivato dalla necessità didare collegamento diretto tra i due giardiniin linea retta. Si raggiungeva il cortile inporfido (o in “sampietrini”) attraverso unaporta, che nei primi anni 2010 è statarialzata mediante una rampa esterna, anorma, per consentire l’accesso facilitatoalle aule. (a fianco foto del 1970 con ospitel’onorevole Bisaglia, da cui si nota la portain fondo al cortile, com’era dal 1882 finoal 2010). Il disuso del giardino “nascosto”, la soppressione della portineria, lospostamento della direzione in aula degli stucchi del piano terra, comportò ildisinteresse verso questa uscita. Si murò la porta e si recuperò questo spazio, il trattoiniziale del corridoio, facendovi un deposito per le stoviglie della Ristorazione.

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1882/1937 - Il supporto dei dipinti

La sala, ha una pianta rettangolare, con lunghezza notevolmente pronunciata rispetto lalarghezza, e sopra di essa il tetto a due falde, che si vede dall’esterno, corre lungo tuttoil fabbricato, ed è simmetrico rispetto il suo asse longitudinale che coincide con la lineadel colmo di coppi in cotto. A sostenere coppi, listelli, travicelli ci sono una serie dicapriate in legno: travi montate a triangolo che ad incastro fungono da equilibratorestatico, sia per i pesi verticali dovuti ai materiali sovrapposti ed alla neve eventuale, maanche dalle spinte orizzontali deiventi o dei terremoti. Il sistemaincrociato d’elementi sovrastanti lecapriate proteggono le travi dallapioggia, che potrebbe essere unafonte di accelerazione di degrado.Ovviamente ogni elemento devesaper portare il peso di ciò che stasopra con una resistenza acompressione maggiore, dal piùbasso al più alto. Queste capriate intante costruzioni, anche nelle chiese, possono essere a vista (e già così potrebbe esserefinito un tetto), ma spesso non piace e si vuole abbellire. Si copre orizzontalmente persimulare un tetto piano e si decora, come nel nostro caso. La presenza di una capriata alposto di una meno complicata trave semplice è necessaria sempre nel caso di tetti acapanna, o con due spioventi, ma si ritrova in architettura anche quando ci sono ampieluci, vale a dire distanze di vuoto fra muri laterali non copribili interamente da un unicotronco d’albero.Si può calcolare quante capriate ci possono essere valutando che devono scaricare ilpeso sui muri laterali e con ogni probabilità succede dove il muro è più spesso, perciò

in corrispondenza delle lesene, ossia quellesporgenze di muro verso l’interno della sala,ritmate e presenti a coppie da entrambi i lati.Ciò che non è facilmente intuibile è la secondafunzione svolta dalle capriate, qui nell’ex-chiesa.In altre parole costituiscono la struttura cheregge anche il peso delle parti di tutto ciò che vista appeso sotto. Alle capriate lignee, secondouna tecnica detta “dell’incannucciata”, sonoattaccati dalla parte inferiore gli affreschi.Questa tecnica consiste nel creare una rete

incrociata di sostegno. Si parte con lunghi listelli o arcarecci di legno pieno, o forsecanne di bambù di pronunciato spessore, inchiodate o avvitate alla parte inferiore delletravi. Si creava così una serie di file parallele incrociate alle capriate, alla distanzainferiore ad un metro l’una dall’altra, probabilmente. Sotto i listelli erano applicatestuoie d’arelle in bambu, ossia bacchetti secchi del legno di bambù legati da fili di

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canapa o di altro materiale, una a fianco all’altra. I muratori le portavano sulleimpalcature arrotolate e le inchiodavano ai listelli mentre le srotolavano. Solitamente,dovendo fare scale e raggiungere anche anfratti in coperture più complicate rispetto aquesta sala, la lunghezza dei rametti era di un metro. E dovendo essere i rotoliabbastanza lunghi come da capriata a capriata, il peso era abbastanza impegnativo.L’andamento era incrociato ai listelli e parallelo perciò alla direzione delle capriate, mapoteva essere posta anche parallela ai listelli (meno usato). Questa maglia costituisceun’armatura di sostegno leggera, ma anche flessibile per ricevere l’intonaco edeterminare così la forma alla controsoffittatura. Tra un rametto e l’altro, essendoci lospessore delle corde, ci doveva passare per forza l’intonaco per assicurare un miglioreaggrappo.Per creare i bordi ad andamento curvilineo, si realizzavano archetti di legno. Questi,dopo essere stati saldati al muro laterale ed ai listelli delle capriate, erano pronti perricevere le stuoie di bambù, che seguivano senza problemi la curvatura della infilatad’archetti. Nel particolare d’angolo un archetto con lunghezza maggiore e dì curvatura più dolcefaceva da raccordo. Ovviamente le stuoie erano segate per non sovrapporsi: dovevanocoprire lo spazio, ma anche garantire una superficie liscia ed omogenea. Non dovevano

essere voluminose perché bastava unospessore di due centimetri all’intonacoper non crepare e per sostenersi. Nelsoffitto della ex-chiesa furono usatilistelli di legno al posto del bambù, conla stessa tecnica classica.Qui si è voluto imitare le sale della villa,il gusto Settecentesco di raccordare ilsolaio alle pareti incurvandosi. (a fiancoun restauro recente eseguito con tecnicaclassica).

Anche la decorazione ne guadagnava, senza angoli e spigoli vivi: per il modo in cui laluce viene riflessa e permette effetti più o meno fastosi a stucchi e pitture. Ma se imotivi architettonici e decorativi o figurazioni, specialmente mitologiche, siintervallavano a fondi di cieli nebulosi, in quasi tutte le ville patrizie fino a tutto ilperiodo neoclassico, in seguito i piani ottenuti con l'incannucciata furono decorati conpitture o stucchi, spesso molto carichi di colore o forme geometriche, che seguirono ivarî nuovi indirizzi artistici.Al tempo di don Ghibaudo il gusto pittorico dominante era quello liberty. Lo stileclassico, che preferiva l’esibizione di muscolature e gesti plastici richiamanti ilmovimento e la gestualità, viene abbandonato nei dipinti dei Salesiani, in cui prevaleinvece una forte simbologia scenica sulla plasticità dei corpi. Tutte le figure sonoschematicamente composte, quasi schierate, in posture talvolta irreali, secondo schemiche determinano sovraffollamenti o vuoti poco armonici. La ricerca della profondità,soprattutto fra le figure ravvicinate, ha comportato la pittura delle figure in secondopiano troppo esageratamente scure, rendendole quasi irriconoscibili.

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1938 - Tecnica usata per i dipinti: affresco a tempera

L'affresco è un'antichissima tecnica pittorica che si realizza dipingendo con pigmentid’origine minerale un intonaco fresco. Di solito sono fatti due strati; il primo, piùinterno a granulosità maggiore per una questione di resistenza, e con funzioned’aggrappo alla muratura o ad altri elementi come arelle e raramente tavole di legno e ilsecondo tipo a grana fine per facilitare il passaggio omogeneo del colore ed uniforme eper limitarlo a questa più sottile massa. Quando il pittore trasferisce il colore sulcomposto di polvere di marmo, calce e acqua, ossia il “tonachino”, avviene la“carbonatazione”, cioè entro tre ore il colore viene assorbito completamente dalcomposto. Quando vuole rendere parti più scure, aggiunge acqua, per esempio larealizzazione di ombre nei volti e nei panneggi, quando vuole rendere parti fortementechiare aggiunge del caolino o altra sostanza a base di calce nello strato più sottile.

Un disegno esemplificativorealizzato “in spaccato”, riportato afianco, spiega come di sotto alla“catena” (la trave delle capriate)sono avvitati gli arcarecci, srotolatisu di loro i listelli e poi come venga,in due fasi, distesi due tipid’intonaco. Il primo intonacopoteva essere già steso tutto, inun’unica fase, così da impastare unsolo tipo d’intonaco per volta.Questa soluzione, tuttavia, perstendere sopra il secondo, più fine,magari dopo qualche giornata giàseccato nella parte visibile, doveva

essere poi bucherellato per favorire l’adesione del secondo. Se invece si voleva esserecerti di una maggiore tenuta fra i due intonaci, si doveva preparare due impasticontemporaneamente. Quest’ultimo era il sistema più efficace, per la garanzia di tenuta.Si lavorava a “giornate”, ossia era steso il primo intonaco per la parte bastante all’areadi pittura che si sarebbe realizzato entro quattro ore. Poi sopra si stendeva il tonachinoper quella parte di disegno da fare, che poteva essere larga o estesa in base anche allavelocità del pittore, oltre che al grado di difficoltà del soggetto da dipingere. Più erabravo ed esperto il pittore, più larghe erano le giornate e prima era completato il lavoro.Certamente più fattori possono aver influito sulla durata del lavoro: il numero dellepersone che dipingevano, di quelle che preparavano gli intonaci, di quelle chepreparavano i colori ed i pennelli, dalla postura tenuta dal pittore, dalla comodità diprocurare materiale, dalla luminosità dell’ambiente, eccetera. Dalle Cronache diGhibaudo non si capisce quanto la fase d’affresco si sia protratta, ma pare che nonfosse a tempo pieno, in quanto il pittore era ancora impegnato alla Basilica del Santo diPadova. E dalle testimonianze orali e documenti, non c’è riscontro su aiutanti opraticanti al seguito del pittore.

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1938 - Lavori di controsoffittatura prima della stesura dell’affresco

Nel caso della ex-chiesa, con tutta probabilità, non si sono usati due tipi di intonaco perapporre gli affreschi, perché la chiesa avrà già avuto la contro-soffittatura ad intonaco,magari solo dipinto di bianco. Il “tonachino” è stato aggiunto, dopo umidificazione e“bocciardatura” (buchetti o rigature), sulla superficie spianata già esistente. Conquest’operazione, se non svolta in modo accorto, può esserci rimasta qualche parte ditonachino non completamente saldata al supporto. Il possibile rischio è quello per ildipinto di “spanciare” e distaccarsi, anche senza segnali di preavviso. La causascatenante della caduta al suolo, può essere il troppo peso della parte scollata rispettoalla forza di adesione laterale, l’apertura di crepe incrociate, una scossa tellurica,stillicidio (gocce d’acqua d’infiltrazione). Al momento non abbiamo dati d’alcungenere sulla natura dei lavori effettuati nel 1938, quindi non sappiamo se in realtàprima del dipinto si siano anche ristrutturate le travi delle capriate e rifatto ex-novo lacontro-soffittatura. Certamente, nel 2014, passati quasi ottanta anni dalla realizzazione,sarebbe bene che un esperto valutasse lo stato di conservazione ed elaborasse unconteggio su eventuali spese per lavori di salvaguardia.Il principale limite di questa tecnica per la creatività del pittore è il fatto di dover agirecon sicurezza: una volta lasciato un segno di colore, questo verrà immediatamenteassorbito dall'intonaco entro tre ore dalla stesura della pittura. Essendoci parti di dipintocon maggiore e minore cura, ecco che, per i volti ci saranno piccole stesure d’intonaco,per gli sfondi, più facili da realizzare, macchie più larghe. Si può con piccoliaccorgimenti capire quali sono questi limiti tra i vari pezzi di pitture anche a distanzaanni, perché è difficile spianare alla perfezione i bordi delle giornate: sono punti che osi fessurano perchè seccati in tempi diversi, o vi sono sovrapposizioni dei bordi unosull’altro (il più recente su quello più vecchio). Tali sovrapposizioni o lacune nei bordimolti pittori le trascuravano in passato soprattutto se la distanza dell’osservatore deidipinti poteva essere tale da non vedere il difetto. Così dicasi anche per la cura deiparticolari, erano più curati sulle pareti nelle parti basse, rispetto alle parti alte e isoffitti. Per dare carattere a certi elementi o per fare correzioni, i pittori colorano anchea secco sulla superficie già disegnata quand’è fresco l’intonaco; tuttavia quei trattipostumi non avranno la stessa durata di ciò che sta dietro e scompariranno prima. Nonc’è dato sapere se il pittore nell’ex-chiesa abbia ritoccato particolari o dovuto faremodifiche successive alla prima stesura. Il Direttore don Giuseppe Ghibaudo nella sua Cronaca, il 10 ottobre 1937 scrive aproposito dei lavori d’abbellimento: “Inizio pratiche pitture volta della nuova Cappella(spazio) i Sig. Greggio Dino – Cà Oddo, Veronese Nestore, Rosa Giuseppe”. Questinomi corrispondono certamente ai pittori esecutori delle ampie cornici di contorno sulsoffitto, raffiguranti cassettoni e modanature squadrate con presenza di elementicurvilinei floreali stilizzati e festoni colorati, il cui effetto, tramite chiaroscuri, sebbenecon tonalità di base più calda rispetto al bianco delle pareti, è quello di creare lasensazione visiva di maggiore profondità e distacco rispetto al soffitto. Il pittore deidipinti di don Bosco, l’anno seguente, trovò le cornici già pronte e dovette adattarsi allemisure già determinate in precedenza.

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1938 - Le impalcature nella chiesa durante le funzioni

Le impalcature saranno state imponenti ed avranno occupato buona parte della chiesa,per molti mesi, anche se in zone diverse. Probabilmente, per evitare di salire escendere, la superficie del piano di lavoro in quota sarà stata tale da permettereall’unico pittore di avere tutto l’occorrente a portata di mano. Alcuni tecnici possonodallo stile delle pennellate capire se il pittore lavorava sdraiato e ravvicinato al tetto,con distanza minore di un braccio, oppure se in piedi con braccio alzato e la testaleggermente reclinata all’indietro. Secondo la maggior parte dei critici, per inevitabilidolori cervicali, lo stile in piedi non era molto adoperato o almeno poteva durare pocotempo, perciò anche qui il pittore avrà adottato l’uso di un tavolo sul largo piano dilavoro e di deposito, dove sdraiarsi per dipingere. A quella distanza non poteva avereuna visione d’insieme di tutto lo spazio pittorico. Perciò adoperava una serie di fogliarrotolati, come tanti pezzi di puzzle del disegno da compiere, in scala di riproduzione1:1 preparati in precedenza. Essi avevano buchetti lungo le linee, che poi con unpunteruolo erano evidenziati sul tonachino freschissimo. Tolta la carta, il pittore

seguiva i buchetti e realizzava i contorni difigure e bordi come nella carta, poi completavacon le campiture piene e sfumate di colore. Nondovevano essere più larghi di un metro e lunghipiù di due. Quei fogli erano l’ingrandimento inscala dei bozzetti presentati a don Ghibaudo edapprovati. Non si sa quanto erano accurati,anche se sappiamo quali erano i temi dellerappresentazioni. A gruppi di quattro, o di nove,ecc. i fogli di “trasferimento”, monocolore,saranno stati distesi a terra oppure su una parete(meno probabile), ogni giorno e mostrati a donGhibaudo per controllo o per eventualimodifiche dell’ultimo momento. Per capirel’estensione di tali fogli, se per i bozzetti si puòparlare di un tavolo da pranzo, per tutti quellipreparatori bastava a malapena un campo dapallacanestro. Questi grandi fogli, sporchi dicolore e d’intonaco saranno stati buttati subito;

per quanto riguarda i bozzetti, se non sono stati conservati dagli eredi del pittore in unqualche baule, allora sono andati perduti o riciclati. A proposito di distaccamento degli intonaci, al 2014, sono evidenti nel centro deldipinto più grande i segni di più riparazioni di lesioni aventi forme oblunghe eparallele, tutte riconducibili a infiltrazioni di pioggia realizzate negli anni passati, su cuinessuno ha potuto dare informazioni al momento su eventuali indagini. Più ameridione, nella cornice del dipinto con don Ghibaudo, oggi è visibile e destapreoccupazione, il distacco di una parte del bordo, che evidenzia i listelli (delle stuoie)d’ancoraggio per l’intonaco”.

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1965 – Abbattimento dell’abside

Dal confronto di due fotografie, (qui sopra, una al fianco dell’altra), la prima di unConvegno Exallievi della fine anni ‘50, e la seconda di un torneo di pallamano del1997, sullo sfondo notiamo come concludeva la chiesa verso sud e come è stato poirealizzato il complesso del Tempio “Don Bosco”. Si evidenzia la presenza di vetratelaterali nella parte sommitale dell’abside, ed in basso un ampio spazio dotato diterrazza e porticato. Entrambe le strutture furono demolite per far spazio al nuovoTempio don Bosco inaugurato da Mons. Girolamo Bortignon, vescovo di Padova il 31gennaio 1965 (fonte: “Don Bosco al Manfredini da 125 anni”, pagina 136).

Si mantenne e non si abbatté l’ex-cappella, perché era un ambiente tanto ampio edarioso da essere ancora fruibile per varie funzioni collettive, con una capienza di variecentinaia di persone (compreso l’odierno uso come refettorio). Eppoi non ci si potevaprivare per sempre di un così bel complesso pittorico del soffitto, un vanto“manfrediniano” unicum fra le Case salesiane trivenete.

Con abside e cappelle 1938 Senza abside e cappelle 2014

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1986 - Don Italo Lovato e don Tullio Taller

Mi sono imbattuto solo recentemente (cioè da quando sono Segretario degli Exallievidurante il riordino del nostro archivio) in un plico di fotografie a colori formato A4 dinotevole qualità e le riproduzioni in fotocopia bianco e nero di ciascuna conannotazioni. Nei tredici anni precedenti non le avevo notate perché custodite non fra lefoto, ma fra i documenti oppure perché evidentemente cercavo altre cose e mi sono

sfuggite.Le fotografie di ottima fattura dei dipinti del soffitto dellaex-cappella, sono state realizzate a cura di don Italo Lovato(foto accanto), nel 1986. Le fotocopie sono servite percontattare gli insegnanti del 1938 ancora in vita al fine diattribuire i nomi delle persone raffigurate. Probabilmente sec’è stato un “fascicolo dei lavori” nel 1938, in cui fosseroindicate tali notizie, è andato perduto. Don Italo trovò lagentile collaborazione di don Tullio Taller, ma la memoriadi quest’ultimo non lo aiutò molto. Le Cronache non ciforniscono dati esaustivi. Neppure la “memoria storica”prof. don Aurelio Olivati, non lasciò alcunché di scritto ariguardo. Così analizzando le fotocopie si comprende che

don Taller provò ad aiutare don Italo, ma riconobbe meno della metà dei personaggi, oli confuse, in quanto dal confronto con altre fonti risultano discrepanze.

1986 – Fotocopia (numero uno) del dipinto settentrionale, con lettera di don Italo Lovato a don Tullio Taller

Il primo foglio fotocopiato inviato da don Italo a don Tullio è piegato a metà: sul davanti c’è questo:

(immagine e di fianco trascrizione del manoscritto)22.09.86

Don Tullio carissimoti salutano Lino Frasson (è stato oggetto di trapianto di fegato e rene: ora sta bene, sono passati 6 mesi senza alcun pericolo, speriamo in bene) e da Italo Granato, che ho visto da poco.Abbiamo fatto le foto della vecchia chiesa se tu puoi mettere i nomi ti mando le stesse e in un foglio a parte mi metti i nomi di chi ricordi fai un’opera buona per i posteri.Spero!Ti ricordo sempre … a Portici, a Frascati con don Busato … e il prof. Toffanin…Auguroni, buon lavoro e memento D Italoquesta è fotocopia di una foto!

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Per comodità ho riportato la fotocopia con le frecce ed i nomi, e poi ho fiancheggiato l’immagine più nitida a colori e specificato per i lettori qualche dettaglio di posizione.Si tratta di un gruppetto ridotto rispetto i diciotto soggetti, che in realtà sono raffigurati nella “Visita di don Bosco al Manfredini del 2 aprile 1879”.

Sull’interno del foglio, nel lato destro sono stati riconosciuti da don Tullio i seguenti volti:

“Don Guerrino Guariento allora infermiere aiutante di Menegola” (inginocchiato di spalle, sotto la mano destra di don Bosco)“Casotto o Mattiolo Antonio” (inginocchiato sotto gomito destro di don Bosco)“Bottoni Renato” (tra don Bosco e finestra Cà Pesaro)“Bottoni Luciano”

“Pellizzari Ferdinando” (con le mani giunte vestito di verde)

Sul lato sinistro della fotocopia:“Girotto Vasco di Tribano ora veterinario” (giacchetta azzurra e mano sx sul cuore)“Berton Nevio di Tribano” (maglione a collo alto di colore arancione con mani giunte)

In un post-it giallo:D Tulliovedi se è possibile scrivere anche sulle altre fotocopie i nomi con la freccia come in questa. Grazie. Don Italo

Sul retro la seguente nota di don Tullio:

“NB. Vicino a Bottoni Luciano è Pellizzari Ferdinando prima dell’incidente!

(però tra il 1937 ed il 1939 non c’è un “Pellizzari Ferdinando”, ma ci sono un Ferdinando Tresoldi, un Pietro Pellizzari, quest’ultimo compagno di classe degli

altri in prima ginnasio, ma anche Lorenzo Pellizzari, di quinta elementare)

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1986 - Fotocopia numero 2, dipinto centrale, particolare con Domenico Savio

Questo affresco, DON BOSCO ENTRA IN PARADISO, nella parte centrale mostraevidenti segni di riparazioni d’emergenza. Tuttavia non sembra siano andati persivolti di persone. A don Italo interessavano le figure nella parte bassa dellaraffigurazione. Perciò ha inviato a don Tullio solo la fotocopia ingrandita di questasezione. Poiché tramandato da sempre, nei racconti dei Superiori, il primo ragazzocon il giglio, simbolo di purezza, sappiamo con totale indiscussa certezza che si trattadi Domenico Savio.

I nomi indicatisono (da sinistra adestra)“Migliorini”,“Previato”,“Facco” (1),“Facco” (2), “DQuintz”,“GasparetoSadislao”

Poi sul retroscrive questo:

“Gasparetto Sadislao – morto al Manfredini - ( a sinistra di Savio DomenicoPreviato e Previati edue Facco: unomatto e l’altroguasto!!!Don Quintz con lacroce !-facevano la Vginnasio con DonFerrarese !!- o terza b mediacon Vieceli- più sicuro V°ginnasio !!Migliorini PadoanNB Gli altri non livedo bene perché nell’oscuro- Consulta i registri di quell’anno 1938 e allora ritornano tutte le fisionomie!”

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1986 - Fotocopia numero 3, dipinto meridionale, intero

Si tratta dell’affresco DON BOSCO PROCLAMATO SANTO. Nelle comunicazioni scritte più volte il direttore don Giuseppe Ghibaudo haevidenziato sia gli argomenti delle pitture, sia le persone che avrebbero dovuto essererappresentate. Ovviamente proprio perché presenti a Roma è plausibile che l’invito aprodurre la propria fotografia sorridente dovesse essere indirizzata proprio a loro.Tuttavia molti elementi portano a considerare anche per questa rappresentazioneiconografica una commistione di significati: la cronaca di un evento, come unafotografia istantanea, data dal passaggio lungo la navata di San Pietro, in cui su variegradinate della Basilica poteva essere presente l’intero Collegio Manfredini; ilsecondo è prettamente concettuale: il riconoscibilissimo Guido Negri, a parere di donGhibaudo avrebbe meritato d’essere presente, perché considerato – seppur per brevetempo e da privatista – ex-studente del Manfredini, come altri personaggi ai quali donGhibaudo era legato da amicizia o ricevevano la sua stima, non potevano esserepresenti perché all’epoca già defunti oppure perché impegnati lontano da Roma inquella domenica di Pasqua.

Le persone riconosciute qui (scritte sul bordo da sinistra a destra e dall’alto in basso) sono: “Guido Negri”, “Pittore”, “D. Agostinelli”, “Taller”, “Casarsa”, “Aere”, “Vieceli”, “Quinz”, “Martin” (Cristofori)Nella parte bassa (da sinistra a destra) ci sono i nomi con le linee: “Ferrarese”, “Tomba”, “D.Quinz”, “Garoglio”

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Nel retro della fotocopia:

In rosso: “Lopopolo da Cologna Veneta – aveva anche un fratello minoreRebeschini PreviatoMerlin Ernesto (porta lo stendardo)I quattro Gasparetto che portano il Papa! - il Pittore che decorava al Santo era molto buono – faceva la Comunione ogni giorno!- Don Vieceli

Sotto: Preti: Don Ghibaudo – D. Ferrarese, D. Tomba - Quinz (vestito da Indiano)/ Garoglio, Martino, Vieceli / Maestra – Aere - Casarsa– Taller (in cornice)

Sul lato destro: “Tra il Pittore e D. Agostinelli c’è una figura che ricordo ma non piùil nome! Mi pare un benefattore”

Sul lato sinistro: “NB. Alcuni sono vestiti da Indiani perché nel 1934 erano venuti alcuni giorni al Manfredini! e D. Ghibaudo li volle fotografare e dipingere! (credo venissero dall’Assam)”

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1986 - Fotocopia numero 4, dipinto meridionale, particolare col Papa

Sul lato sinistro: “Gasparetto”, “Padre Abramo”Sul lato destro: “Gasparetto”, “Guido Negri”

Nel retro della fotocopia: “Padre Abramo (ex-allievo – colui che ha trovato Monteortone da vendere. Ex-allievo del Manfredini

- mediatore tra Don Ghibaudo e Don Ricaldone- poi i Gasparetto- più Guido Negri, fatto mettere da Don Ghibaudo

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1986 - Fotocopia numero 5, dipinto meridionale, particolare con Ghibaudo

Sul lato sinistro e proseguendo fino in basso a destra: “Gasparetto”, “Pittore di Padova”, “Don Agostinelli”, “Lopolo”, “Don Tomba”, “D. Ferrarese”

Retro:

Così ripropone i nomi scritti sul fronte: “Lopolo sventola il fazzoletto”, “Don Ghibaudo”, “Don Ferrarese”, “Don Tomba”, “A sinistra Uno dei Gasparetto”, “il pittore di Padova che ci ha dipinti ecc”

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1986 - Fotocopia numero 6, dipinto meridionale, particolare dei 5 Salesiani

Riporto i nomi da sinistra e proseguendo fino in basso a destra: “Don Garoglio”, “D.Della Maestra”, “Don Quinz”, “Lopopolo”, “Don Casarsa”, “Don Aere”, “Don Vieceli”, “don Martino”

Retro:

“Don Quinz – Casarsa (ora defunto) Don Della Maestra – Don AereDon Garoglio – Don Martino – Don Vieceli.”

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1986 - Lettera di ritorno da don Taller a don Lovato

Caro ItaloHo cercato di decifrare le persone, ma alcune mi sfuggono perché o ex-allievi o benefattori- Don Agostinelli perché ex insegnante del Manfredini e molto amico di D. Ghibaudo- Guido Negri e il Pittore di Padova (non so il nome – era molto pio!)- Padre Abramo dalla barba, veniva col biroccio - i 4 ex-allievi Gasparetto

e in mezzo uno che si era fermato un po’ al Manfredini e poi non lo vidi più.- D Quinz è dipinto due volte: nel sogno di Savio Domenico e qui vestito da Indiano!- Se non erro Mons Mathias aveva condotto in quell’anno alcuni Indiani pe la santificazione di D. Bosco.Erano stati ospiti al Manfredini.Ciao… salutiD. Taller T.”

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1994 – Il biglietto scritto da un muratore

Durante quei lavori voluti da don Tamietti, nell’ “anno 1882” un operaio edile, tale“Lorenzin Giovanni di Ospedaletto” mentre era intento alla realizzazione di un

solaio, lasciò un foglio manoscrittoprobabilmente all’incrocio di due elementilignei, una trave e un tavolato, per farloconservare perfettamente oltre un secolo.(foto a lato del cartoncino su cui ilprofessore ha vincolato il biglietto evergato l’appunto, ora custoditonell’Archivio Olivati, in gestione allaComunità Salesiana del Manfredini)Il biglietto non venne lasciato dal signorGiovanni all’interno della cappella: ce loconferma Don Olivati, di cui facilmente èriconoscibile la calligrafia, tramiteun’annotazione in alto “Una firma e data

su una trave della direzione. Operaio e anno di posa”. Quando venne ritrovato talereperto, il professore stava seguendo giornalmente i lavori di manutenzione, a metàdegli anni 90: si è preoccupato di conservare questo reperto, assicurandosi chevenisse ricordata anche la collocazione, cioè nella “direzione” (trasformata dal 2010in cappella e dal 2014 in laboratorio di pasticceria) e non nella ex-chiesa della qualecon fondatezza, tramite la Cronaca, si conosceva già la data di fabbricazione.Questo ritrovamento fornisce la prova che quando Tamietti parla di “nuova chiesa”,egli si riferisca alla costruzione di tutta quellaporzione di fabbricato che oggi collega la Villaalle Scuderie, e quindi cinge il cortile, per tuttala sua lunghezza sul lato di levante. La porta chedava all’esterno e che per anni è servita comeaccesso di servizio dal giardino “nascosto” o“all’italiana” com’era identificato negli anni 80,si apriva in un breve e stretto corridoio passante,ancora oggi esistente, a separare il locale ex-direzione e chiesa. (foto a lato) Qui vennericevuto il Ministro dell’Istruzione Luigi Gui nel1967: in fondo è visibile dalla foto la porta adarco, una porta a destra (ancora oggi utilizzabile,conduce nella ex-chiesa) ed a sinistra sembra cisia una porta in diretta corrispondenza cheportava in direzione e sullo stesso lato più inavanti una bacheca.

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1999 – Si mette mano ai restauri della ex-chiesa

Nel “Don Bosco al Manfredini”, giornalino periodico della Scuola Manfredini curatodall’Unione Exallievi dal 1978 al 2008, numero 2 – dicembre 2002, il SalesianoCooperatore sovrintendente dei lavori edili dell’Opera, dottor Lorenzo Marsilio,

nell’articolo “CFP: lavori di ristrutturazione edammodernamento” comunica: “Nell’anno 1999 siavviò un programma di lavori, richiesti dallanecessità di provvedere al recupero di vasti spazinell’ala nord del complesso edilizio del Manfredini,già occupati dai servizi del collegio-convitto eormai dismessi, nonché della vecchia chiesa, adibitanegli ultimi decenni a funzioni diverse (aula studio,sala giochi, laboratorio)”. I lavori di straordinariamanutenzione della ex-chiesa proseguirono fino al2002, con risultati di evidente miglioramento sianella qualità estetica (ambiente più chiaro eluminoso, infissi sistemati, pavimentazionemigliore) che d’impatto ambientale, con la stesuradell’impianto di riscaldamento a pavimento. Ilconsumo per il riscaldamento è ora più razionale ed

efficiente. Tale spostamento “storico” del refettorio dal lato occidentale al latoorientale del complesso edilizio si può considerare un’efficace ed indovinatarazionalizzazione dello spazio a disposizione, perché se da un lato nella parteoccidentale possono prendere posto aule e laboratori del CFP, in questa parte dellaproprietà si possono utilizzare gli ambienti per funzioni multiple. In fondo alla sala,dove un tempo iniziava il presbiterio ed erano collocati gli altari, oggi c’è la linead’impianto per la moderna distribuzione self-service delle vivande per la mensastudenti. Gl’insegnanti di saldatura dei primi anni 2000hanno realizzato leggeri tavolini bi-posto a quattro piedi,dimensionati quel tanto che basta ad appoggiarefronteggiati due vassoi self-service. Sono molto pratici siada alzare che da manovrare anche a vantaggio dellepulizie, rispetto i giganteschi tavoli con sotto-mensole daotto posti, oramai anche logori per il lungo pluriennaleutilizzo, ma anche per essere affiancati e combinati in varimodi, all’occorrenza. Come mensa studenti si ottiene ilmassimo della copertura di posti con tre file e quattrocorsie in lunghezza. Se la sala deve ospitare conferenze,alcuni pannelli forniti di ruote mascherano tutta la pareteoccupata da contenitori porta vivande, banconi vetrati,apparecchiature e contenitori alla vista degli auditori. Il restauro, comprendente pavimento e tutte e quattro le pareti, ha escluso interventisui dipinti.

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2000 – Dott. Andreotti e don Aurelio Olivati sull’autore dei dipinti

Il primo ad interessarsi della storia della ex-chiesa fra gli exallievi è stato il prof.Antonio Andreotti, il quale ha realizzato molte riflessioni e memoriali autobiograficiriguardo la vita di collegio, trattando ciò che succedeva sui banchi di scuola, inrefettorio, nella sala da studio, nelle passeggiate, nelle feste e nelle gite, tracciandoanche descrizioni di via quotidiana troppo interessanti per non essere tramandate. Inun articolo su “Don Bosco al Manfredini” del 2000, per suscitare l’interesse deicoetanei e nelle generazioni più giovani ha trattato della chiesa, visitata giornalmenteper otto anni e poi, recentemente negli anni di partecipazione al Consiglio Direttivodell’Unione in occasione dei pranzi conviviali. Riporto solo la parte relativa aidipinti:

Il nome del prof. “Semeraro” è stato riferito da don Olivati nella Monografia del1978, ma non corrisponde al nome del pittore, bensì di un illustre esperto d'arte suoconoscente e consulente. Mi sono chiesto allora dove potesse essere riportata notiziadell’esecutore. Così ho ri-cominciato a “rovistare” l’archivio dell'associazioneexallievi. Ecco trovata una pista: lo nomina e qualifica senza dubbio il direttore donGiuseppe Ghibaudo, non nella Cronaca ordinaria della Casa, bensì nel memoriale peril 60° di fondazione del “Manfredini”, appellandolo come “Miglioraro”. Quindi inrealtà il nome che il professor Olivati aveva letto nello stesso testo o sentito nominareda altri Salesiani non era Semeraro, bensì “Miglioraro”. Sarà forse incorso in errorenel riportare il nome per lapsus o a causa dell’assonanza nella pronuncia. Se gliappassionati indagatori avessero ri-scoperto allora, nel 2000, il “Profilo Cronologicodel 1938”, l’articolo avrebbe avuto il nome corretto del pittore e sarebbero già notemolte notizie che stiamo oggi indagando. Peraltro, se ci fosse stato maggioreinteresse attorno a don Italo Lovato, ancora quattordici anni prima, forse avremmodecifrato tanti enigmi, perché erano in vita tanti più ragazzi e adulti di quel 1938.Riporto qui le due pagine (92 e 93) in quel manualetto dattiloscritto, che trattano della“Cappella”:

Da: “PROFILO CRONOLOGICO DEL COLLEGIO SALESIANO"MANFREDINI" DI ESTE- del 1938

= 92 =32

A P P E N D I C ERESTAURI DELLA CAPPELLA

Da quindici giorni si sono iniziati i lavori per l'esecuzionedi tre affreschi sul soffitto della Cappella restaurata. - Essi rappresenteranno rispettivamente: Don Bosco al Manfredini nel 1879; la gloria di Don Bosco in Cielo; il Collegio Manfredini a Roma per la Canonizzazione.Sono stati affidati alla sapiente cura del Prof. Miglioraro, il quale, assieme al Casanova attende alle pitture nella Basilica del Santo a Padova.Durante le vacanze estive passate il decoratore Capuzzo diLegnaro eseguì con gusto squisito il completo restauro della Cappella. Sullo sfondo generale di una tinta in marrone chiaro, con riflessi di verde e giallo, completamente intonati ai colori degradanti delle nuove vetrate, il pittore eseguì sul soffitto del Presbiterio i simboli dei quattro Evangelisti: opportune diciture latine evangeliche richiamano concetti della giovinezza.Ai lati del presbiterio si succedono, in colori evanescenti,su di uno sfondo a finto damasco, i simboli dell'alleanza edell'arca di Noè.Le lesene rappresentano, in un avvicendarsi di toni diversi isimboli dei Sacramenti e delle Virtù.

= 93 =Anche la nicchia della Madonna è stata ritoccata: su sfondooro, incorniciata da una tinta intonata al resto della Cappella, tra due colonnine, in finto marmo rosso, con capitelli a foglia d'acanto dorate, brilla la bella Ausiliatrice di Don Marchisio.L'opera più interessante è il nuovo altare. Eseguito in pietra dolce e marmo rosso, verde e bianco da una Ditta di Padova, è, nelle sue linee semplici e stilizzate opera assai bene intonata alla nostra chiesetta.Una particolarità caratteristica dell'altare è rappresentata da sei reliquiari fissi, incastonati nel marmo, che, entro teche di marmo dorato, racchiudono le reliquie di S. G. Bosco; del B. Cottolengo; del B. Cafasso;di Santa Teresina del Bambino Gesù; di S. Francesco di Sales; di S. Filippo Neri; di S. Vincenzo de Paoli.Il restauro ha conferito alla Cappella una intonazione mistica e piacevole che invita alla preghiera.”

Mi viene da commentare: “Che peccato non ci sia più niente di tutto questo…”. Quel che allora era considerato vecchio ora sarebbe prezioso antiquariato. Si poteva salvare tutto e non costruire verso sud: la scelta operata di abbattere l’abside per far posto ad una costruzione moderna poteva essere evitata, costruendo la nuova chiesa verso nord a fare da controparte scenica all’ala “delle suore” rispetto il corpo centraledella Villa ed aprire per la chiesa anche un accesso autonomo verso strada.

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Le persone riconosciute o nominate nei dipinti dal Taller

Unica fonte disponibile per saperne di più sugli allievi o sui Salesiani riconosciuti, è l’Annuario “Storico”. Questo volume realizzato nel 1984 dall’exallievo e dirigente dell’associazione, Mario Saccomani, racchiude il registro d’indirizzi degli alunni, ed anni di frequenza loro e dei Salesiani, dal 1878 fino ai primi anni 80. Ecco i dati:

Taller Tullio Sac. fu al Manfredini insegnante dal 1935 al 1939 e dal 1950 al 1954 Lovato Italo Sac. fu- studente al Manfredini dal 1937 al 1939 (quindi anche lui era lì all’epoca!)- insegnante dal 1950 al 1962- preside ed economo dal 1978 al 1986

Girotto Vasco allievo dal 1937 al 1943 in dipinto settentrionale– nato a Tribano

Berton Nevio allievo dal 1937 al 1942 in dipinto settentrionale- di Tribano

Bottoni Luciano allievo dal 1937 al 1942 in dipinto settentrionale- di Porto Tolle

Bottoni Renato allievo dal 1936 al 1942 in dipinto settentrionale- di Porto Tolle

Casotto Carmelo allievo dal 1937 al 1942 citato in copia dip. settentrionale- di Monselice

Casotto Orlando allievo dal 1935 al 1940 citato in copia dip settentrionale- di Monselice

Mattiolo Antonio allievo dal 1930 al 1939 in dipinto settentrionale- di Musile di Piave

Pellizzari Pietro allievo dal 1937 al 1942 dipinto settentrionale ?- nato a Lerino di Torri di Quartesolo

Pellizzari Lorenzo allievo dal 1937 al 1943 dipinto settentrionale ?- residente a Vicenza

Tresoldi Ferdinando allievo dal 1938 al 1942 dipinto settentrionale ?- residente a Padova

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Lopopolo Antonio allievo dal 1933 al 1939 dipinto meridionale- residente a Cologna Veneta

Lopopolo Giuseppe allievo dal 1937 al 1943 dipinto settentrionale- residente a Cologna Veneta

Migliorini Bonfà Antonio all.dal 1931 al 1938 dipinto centrale- residente a Rovigo

Previato Luigi allievo dal 1933 al 1937 dipinto centrale- residente a Grignano Polesine

Previati Antonio allievo dal 1936 al 1942 citato in copia dipinto centrale- residente a Occhiobello

Padoan Bruno allievo dal 1932 al 1938 dipinto centrale- residente a Grignano Polesine

Rebeschini Vittorio allievo dal 1931 al 1938 citato in copia dipinto centrale- residente a Monselice

Merlin Ernesto allievo dal 1937 al 1942 dipinto settentrionale- residente a Torino

Facco Antonio allievo dal 1931 al 1938 dipinto centrale- residente a Campo San Martino PD

Facco Francesco Mariano all.dal 1937 al 1943 dipinto centrale- residente a Campo San Martino PD

Gasparetto Stanislao allievo dal 1927 al 1934 dipinto centrale- residente a Rovigo (+ 1934)

I Salesiani riconosciuti da don Taller:

Don Guerrino Guariento 1939 / da 1967 a 1968 dip. meridionale+ 02.02.1986

Don Giuseppe Ghibaudo da 1914 a 1915 / da 1932 a 1938 dip settentrionale+ 01.06.1951

Don Antonio Agostinelli chierico al Manf. dal 1929 al 1931 dip settentrionale+ 16.06.1971

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Don Ernesto Tomba dal 1934 al 1947 - dip settentrionale+ 23.07.1972

Don Nello Ferrarese 1927 / dal 1937 al 1940 - dip settentrionale+ 17.04.2002

Don Luigi Garoglio dal 1927 al 1939 - dip settentrionale+ 07.05.1941

Don Giuseppe Della Maestra 1924 / dal 1927 al 1930 / dal 1935 al 1944 - dip sett.+ 06.04.1970

Don Valentino Quinz 1932 / dal 1935 al 1937 /1944 / dal 1946 al 1948 - dip sett. - e dip centrale

Don Firmino Casarsa 1930 / dal 1934 al 1939 - dip settentrionale

Don Umberto Aere 1932 / 1939 - dip settentrionale+ 07.07.1994

Don Agostino Vieceli dal 1919 al 1924 / dal 1934 al 1943 - dip settentrionale+ 02.02.1943 ad Este

Don Tullio Taller 1932 / dal 1935 al 1939 / dal 1950 al 1954 - dip settentrionale + 05.02.1999

Personaggi non Salesiani:

Papa Pio XI nel dipinto: settentrionale

Il Pittore nel dipinto: settentrionale

Guido Negri nel dipinto: settentrionale

Padre Abramo nel dipinto: settentrionale

4 ragazzi dell’Assam nel dipinto: settentrionale

Un benefattore con i baffi nel dipinto: settentrionale

Benedetto Pelà nel dipinto: meridionale

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Il primo dipinto: Don Bosco al Manfredini

La scena rappresenta la visita del Padre Fondatore al collegio Manfredini, ma serveanche da ammonimento a tutti i ragazzi che sono passati e passeranno di qui:ricordarsi sempre di venerare Maria Santissima e Suo Figlio, come ci ha insegnatolui, don Bosco. Il Santo dei giovani è spesso rappresentato in questo atteggiamento,perciò di sicuro non è stata una idea originale o una libera scelta del pittore, bensìun’esplicita richiesta dei committenti.Gli studenti del 1938 hanno prestato i loro volti ai ragazzi del primo anno scolastico ea sinistra, sotto Maria Ausiliatrice si può certamente riconoscere rappresentato ildirettore designato da don Bosco, per avviare il Collegio: don Giovanni Tamietti.

Il numero di sedici fanciulli non ècasuale, ma desunto dai registri discuola.Ecco la lista dall’annuario “Saccomani”(3+6+2+2+2+1=16):Potrebbe trarre in inganno la presenzadei nomi di “Antonio Venturini”,“Agostino e Benedetto Pelà”, conosciuticooperatori estensi di don Bosco. Inrealtà si tratta dei loro nipoti che dall’etàdi sei anni o più grandicelli (provenienti

da altre scuole iniziate gli anni precedenti) sono entrati in collegio.Una curiosità: il pittore, dietro alla testa di Tamietti ha realizzato una finestra dove inrealtà dovrebbe starci una porta. Dall’antica fotografia del 1878 quella porta effettivamente c’era, perciò si tratta di una distrazione da parte del pittore, su unlavoro altrimenti certosino poiché riporta fedelmente ogni particolare architettonico.

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Si guardi il livello del pavimento della villa, sopraelevato da vari scalini dinnanzi alla

porta centrale. Oggi c’è un solo gradino tra la pavimentazione esterna e quellainterna. La riduzione di dislivello è frutto di copiosi riporti di terra per facilitare ildeflusso delle acque nel giardino interno, resosi problematico a causa soprattuttodella presenza delle alberature, fatte crescere fino ai primi anni ‘Settanta.

Uno stratagemma per ricordare agli osservatori l’episodio della visita di don Bosco eper onorare anche il Cavaliere Benedetto Pelà è quello di datare il monumento che stain basso a sinistra dell’affresco apponendovi la data della visita del Santo fondatore.In realtà don Bosco non inaugurò mai un monumento a Pelà, ma gli consegnò untitolo onorifico concesso dal Papa: testimone oculare il direttore don Tamietti:

Giunge in Este il 2 aprile 1879, nel qual giorno il Sig. Benedetto Pelà voleva celebrare il suo settantesimonono compleanno. Ma il caro nostro superiore, sempre pieno di gratitudine verso coloro che ci beneficiano non era punto venuto in Este colle mani vuote. Egli aveva ottenuto dal sommo pontefice Leone XIII, e portava il Breve con cui il Santo Padre insignivadell'ordine di S. Silvestro e Gregorio il sig. Benedetto come segno delpontificio suo gradimento per quanto aveva fatto in favore del nuovo Collegio Salesiano a dono della cristiana gioventù. Così in mezzo agli evviva ed alle congratulazioni degli astanti, e la commozione grata e profonda del Sig. Cav. Benedetto Pelà si fece una festa rara e indimenticabile.

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Il secondo dipinto: DON BOSCO IN PARADISO

Nel dipinto del 1934 era plausibile che ivolti dei personaggi rappresentati fosseroproprio i reali collegiali presenti a Romain carne ed ossa; nelle altre due scene,quella in Paradiso e nella Este diottant’anni prima, gli allievi certamentefungevano da modelli.Dal testo della lettera di don Ghibaudo sicomprende facilmente quanto ci tenesse aquest’opera, ed in particolare vuole farsapere ai genitori i personaggi chesarebbero stati riprodotti: oltre a donBosco, i Salesiani (Collegio Manfredini alcompleto), gli alunni, gli ex-alunni, ibenefattori. Quindi il lavoro diricostruzione dei nomi delle personeraffigurate operato da don Tullio, ancheper sua ammissione, non poteva che essereparziale, in quanto anche se avesseindividuato tutti gli allievi, avrebbesicuramente ignorato ex-alunni ebenefattori. Le gravi lacune pittoriche alcentro del riquadro, per quanto molto

estese non vanno a coprire volti di personaggi riconoscibili, in quanto si pensa che gliangeli presenti, come i cherubini e lepersone in lontananza (fra le qualicomunque si nota ancora unaccompagnatore vestito in tonacanera) si trovino in una condizione disantità, perciò i giovani che hannoprestato il loro volto sono solo quellidella prima fascia in basso (di fiancoho ingrandito e deformato unacartolina antica per mostrare cosa èandato perduto). La cerchia d’angeliportano scritte ed oggetti: la scrittache campeggia è quella del motto didon Bosco “dammi le anime, il resto lascia” e gli oggetti sono chiese e strutturerealizzate dal Santo nella sua vita terrena, come a dimostrare che per entrare inParadiso vanno compiute opere buone.

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Il terzo dipinto:Collegio Manfredini a Roma per la canonizzazione di don Bosco

Questo è il dipinto posto più a meridione, vicino agli altari. L’ordine dei dipinti puòconsiderarsi cronologico in base agli eventi rappresentati: prima don Bosco fa visitaal Manfredini nel 1879 (dipinto settentrionale), poi alla Sua morte entra in Paradisonel 1888 (dipinto centrale), quindi a Roma viene proclamato Santo ufficialmente nel1934 (dipinto meridionale), con un “movimento per l’osservatore che va dal fondodella chiesa verso la zona celebrativa. I dipinti sono orientati per essere guardati dal“popolo” verso l’abside (cioè tutti i personaggi hanno piedi a sud e teste a nord). Mentre nel dipinto settentrionale, appare un’icona luminosa contenente MariaAusiliatrice e nel centrale la luce emanata da Dio Onnipotente, in questaraffigurazione si dà particolare rilievo al simbolo papale.Cromaticamente, mentre nel centrale c’è una dominanza d’azzurri, negli altri dueaffreschi predomina la doratura. In sfondo scuro vengono rappresentate appena percettibili le pareti della basilica diSan Pietro in Roma, espediente che da risalto ai volti. La presenza di una scalinata apiù livelli non ha alcuna valenza simbolica, ma risulta un comodo escamotage utile alpittore per rappresentare in prospettiva un alto numero di personaggi.

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Qualche commento sulle figure riconosciute da don Tullio Taller

Non c’è dubbio che la persona indicata come Stanislao Gasparetto sia quelloritratto, perché la sua morte avvenuta già l’anno prima del viaggio a Roma avevalasciato grande commozione; il giovanetto dette testimonianza di bontà, altruismo ereligiosità, come testimonia il fratello Antonio in un articolo apparso su “Don Boscoal Manfredini” del 1999:

I piccoli ospiti dall’Assam

Dalla cronaca di don Ghibaudo “Il Periodico Giov. Missionaria del Febbraio 1935 pubblicava il seguente articolo.

Un caro amico delle Missioni.Stanislao Gasparetto, di anni 14, del Collegio Manfredini di Este (Padova), lasciava questa terra per il Paradiso, il sabato 17 Novembre 1934.

Sul letto di morte, pur tra gli strazi dell’agonia, esprimeva chiara la sua volontà di lasciar tutto il suo pecunio – lire 300 – all’amico assamese Emilio Katlchua, che aveva conosciuto durantele Feste di Don Bosco a Roma e poi a Este, quando i piccoli assamesi furono ospiti del Manfredini”

A me personalmente Lorenzo Pellizzari (qui inuna foto scattata in teatro al “Manfredini” neglianni ’80 a confronto con il “Pellizzari” indicatoda don Taller) allievo del “Manfredini” dalsettembre 1938 al giugno 1943, giunto alConvegno Centenario alla mattina del 19Maggio 2013 e proprio incontrandomi al suoarrivo nel refettorio-ex-chiesa, guardò alsoffitto e disse che anche lui vi era dipinto. Glichiesi di indicarmi il punto preciso. Si sedettein silenzio a guardare verso l’alto per riordinare

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i ricordi. Non so da chi, ma io fui distratto per l’incipiente organizzazione della festaexallievi, e poi non ho più avuto modo di rincontrarlo. Io propendo sia lui il“Pellizzari” che don Tullio identificò nel terzo dipinto, quello di settentrione con lafacciata del Manfredini.

La Cronaca del direttore Ghibaudo che riporta:“Agosto 1938 - Lavori di manutenzione per la casa qua e là. Nella Chiesa i pittoricontinuano a lavorare per gli affreschi in tre grandi quadri 1) Don Bosco alManfredini, 2) Il Manfredini – Sac. e alunni assistono al Corteo Papale per laCanonizzazione di Don Bosco, Don Bosco in gloria. Corteo delle anime salvate.”Quindi il pittore, avrà pure iniziato nel 1938, ma probabilmente non aveva ancorafinito entro l’anno: probabilmente ha ritratto non solo i giovinetti indicati da donTullio nell’annata 1937/38, ma anche altri nell’anno successivo 1938/39, anno in cuiha cominciato a frequentare la scuola l’oggi avvocato Lorenzo Pellizzari.

Don Tullio indica la persona con la barba “padre Abramo”, perché lo ricordavavenire al Manfredini in quell’epoca a negoziare per l’acquisto da parte dei Salesianidi Monteortone. Potrebbe avere ben più peso l’idea di rappresentare Benedetto Pelà,e l’idea di apporre un monumento con benefattore nel terzo affresco potrebbe esserestato deciso in una fase successiva.

Guido Negri è incontestabilmente dipinto fra i portantini del papa. Il dettaglio deltratto lo fa coincidere con la più famosa delle fotografie scattate al Capitano Santo.Articolo di don Olivati su Negri, con fotografia:

Don Agostinelli Non si comprende a quale titolo compaia (secondo Taller) questo sacerdote amico di Ghibaudo, e non vi sia traccia invece di tantissimi chierici e sacerdoti presenti a Roma nel 1934 in quel viaggio romano oppure a disposizione per essere ritratti tra il 1938 ed il 1939 fra i novizi provenienti da tutto il Triveneto, solo di quest’ultimo biennio, cioè quello in cui il pittore era al lavoro sul soffitto della ex-chiesa.

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Chi è il pittore

Ricercando il “Miglioraro” definito da Ghibaudo non ho trovato alcun pittore. Invece, dopo un’approfondita ricerca bibliografica e iconografica, ritengo di poter identificare l’autore, “il pittore molto pio”, che “faceva la Comunione ogni giorno” con Galliano Migliolaro, aponense.

Il pittore senza ombra di dubbio, quindi, non è di Padova, ma di Abano Terme, ilquale dipinge prima col Casanova al Santo e nella seconda fase della sua carriera

lavorativa con il fratelloArmando in uno stiledefinito neo-imperiale,liberty, o riduttivamente“fascista” (qui un esempiod’affresco realizzato adAbano Terme - Padova -Villa Bugia nel 1939 - lafoto è di Riccardo Dubrini-, che si può ritenere la suaopera magistrale, ossia il“ciclo di affreschi con oltre25 secoli di storia di Abano.

Oltre a ritrarre personaggi quali Tito Livio, Pietro d’Abano, Armando Diaz e altriancora, vengono rappresentati i più importanti episodi di storia aponense: “Tiberioconsulta l’oracolo di Gerione” , “Cornelio interroga l’oracolo di Gerione e vaticinala sconfitta di Pompeo”, “Teodorico ordina all’architetto Aloisius di restaurare leterme di Abano”, “Cecilia d’Abano visita i suoi possedimenti”). Vicino al simbolismospiritualista più che al liberty, ha dato nel padovano e veneziano numerose prove delsuo gusto ornatistico, con fraseggi legati a colori vivi e caldi (a differenza del fratelloArmando che da solo espresse un uso pesante del nero di bordi e ombreggiamenti difrequente molto cupi), sia nelle decorazioni che nei panneggi, e del suo letterariomodo d'intendere la figurazione, enfatizzando, quasi a voler rendere non reali, bensìteatrali tutte le scene rappresentate. Nello stesso periodo, l’anteguerra, e per due decenni seguentii due fratelli pittori furono impegnati non solo su temi pagani,ma anche in varie chiese per temi religiosi: come all’internodella chiesa della Trinità in Padova. I fratelli Armando eGalliano Migliolaro hanno affrescato nel 1948 il catinoabsidale; i soggetti rappresentati sono la Vergine con uncorteggio di angeli, patriarchi, padri della Chiesa e Apostoli.Si tratta di una tecnica a tempera realizzata a frescosull’intonaco. L’altare del Sacro Cuore nella chiesa di Tavo, che era l’altarmaggiore della vecchia parrocchiale, risale al 1675-1699. La

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navata è ornata da una serie d’affreschi, realizzati dai fratelli Galliano e ArmandoMigliolaro tra il 1954 ed il 1956. Nel presbiterio sono raffigurate la Pentecoste,l’Ultima cena, il Padre nostro. Nella navata è rappresentata la Proclamazione deldogma dell’assunzione di Maria in cielo da parte di papa Pio XII (nella foto)Sull’autore si può leggere quanto riporta il sito della città di Abano Terme (http://www.abanopeople.it/2014/01/09/villa-bugia-e-la-ghiacciaia/):“Galliano Migliolaro nacque ad Abano il 25 Aprile del 1896. Non si sa bene quandoiniziò a dipingere, ma lo fece a Padova con Achille Casanova. Con il fratelloArmando affrescò sicuramente l’altare del Santissimo nella Basilica del Santo aPadova, sotto la guida del pittore incaricato Casanova. Sempre al Santo fu chiamato

ad affrescare il chiostro delle magnolie. Oltre alciclo di Villa Bugia, altre opere a luiattribuibili si trovano nelle chiese del SacroCuore di Torreglia di Santa Maria inVanzo,della Mandria,della SS.Trinità all’Arcellae del Seminario Vescovile, nelle chieseparrocchiali di Albignasego e di Conselve, diCaselle di Selvazzano Dentro, di Boccon di Vo,di Tavo, di Creola, di Pedescala, di Rozzampia,di Zampia di Thiene, di Barbona di Rovigo, diTerrassa Padovana, di Baone, di Vescovana, eancora ad Este, a Pieve di Curtarolo, a SantaMaria di Sala e a Galliera Veneta, spesso incollaborazione con il fratello Armando. GallianoMigliolaro morì a Montegrotto il 4 Agosto1963”(Qui di fianco raffronto l’evidente autoritrattorealizzato in Villa Bugia con il volto attribuito alpittore da don Taller)

Suo maestro fu il pittore Achille Casanova(1861-1948) minerbiese, famoso per il ciclopittorico della Basilica del Santo a Padova,realizzato tra il 1903 e il 1939, in cui Gallianogli fece da apprendista (non proprio dall’iniziodei lavori perché nel 1903 aveva solo sette anni)secondo un ampio progetto iconografico didecorazione della parte absidale; impegno che si

chiuse con il bellissimo “L’albero di Jesse”, realizzato da Achille Casanova (esicuramente anche Migliolaro) nel transetto nord, “opera in cui l’autore” - afferma ilCronista francescano - “enfatizza la devozione di sant’Antonio verso l’ImmacolataConcezione”.

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Chi sono le persone non riconosciute da don Taller?

Molti sacerdoti, coadiutori e chierici non sono citati fra i personaggi dipinti, anche sepresenti a Roma.

Dalla cronaca 1934-35:Personale pel nuovo annoDirettore Don Ghibaudo GiuseppeM° dei Novizi Don Manzoni GiuseppePrefetto Don Garbuglio LuigiCatechista Don Ernesto Tomba Professore di IVConsigliere Scol. Don Stefanutto Giuseppe “ VConsigliere Don Martino Cristofori Franc. Matem.Confessore Don Vieceli Agostino Prof. di III“ Don Martinelli Giov. Conf. e Ins. NoviziSacerdoti Resen Antonio II Gl“ Zampese Davide I GlChierici Casarsa [Firmino] e Taller [Tullio] Ass. studio“ Furlani Teseo Matem Geog“ Da Rold Enrico V El

Quinz Valentino III IVCoadiutori 7 Scaffone – Airale Alessandro – Zanetti

Menegola – Brogliato – Raise – Calz.

Poteva poi, don Ghibaudo, elogiando ed approvando l’operato dei benefattori e degliexallievi dell’epoca, non far dipingere anch’essi sul soffitto?

Di certo, per la vicenda legata a Stanislao, i suoi quattro fratelli Gasparetto già daoltre un quinquennio exallievi nel 1938, sono stati ricordati da tanti Salesiani comeanch’essi ritratti fra i portantini del Papa sul lato posteriore. I loro nomi sono (dal piùanziano al più giovane): Ermenegildo, Francesco, Antonio, Luigi, purtroppo tuttiscomparsi al 2014.Tanti altri exallievi probabilmente sono stati dipinti ma i Salesiani contattati eranoinsegnanti dei ragazzi all’epoca e non diretti conoscenti degli exallievi.Con tutta probabilità, le persone in alto a destra che vanno incontro al Papa, radunatein gruppetti con abbigliamenti civili simili, sono composti da varie personalità delleassociazioni presenti all’epoca nel collegio. Di sicuro il più evidente all’epoca eraBortolo Galletto, il presidente degli Exallievi. Fra i benefattori e gli exallievi, Bortolo Galletto era sia l’uno che l’altro per donGhibaudo. Ecco ciò che riporta la monografia del 1953 anno Settantacinquesimo delManfredini su di lui:

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Pensando alla vena oratoria del presidente degli exallievi, probabilmente la figura piùalta col braccio destro alzato che sventola un fazzoletto, come nella postura diinnalzare un proclama, una persona non più tanto giovane, stempiata, magra,apparentemente sofferente, tuttavia elegante (“anziano e magnifico”) sembra proprioadatta a lui (più che ad un allievo di tredici anni come sostiene il Taller).Se fosse proprio Galletto, dovremmo considerare tutti exallievi coloro che locircondano e vestiti alla sua stessa maniera: completo grigio. Si vedono chiaramentetre volti, corrispondenti forse al Consiglio Direttivo dell’Unione exallievi di quelperiodo.

Se si vuole azzardare, forse si riconoscono oltre gli exallievi altri tre gruppi distinti: ilprimo al cui capo sta chi porta la croce con le scritte “1934 Anno Santo – sanGiovanni Bosco” e può essere, visto l’aspetto molto giovanile del portatorel’Associazione Domenico Savio, poi i Cooperatori con la bandiera celeste, ed infinei componenti del corpo insegnanti e studenti con la bandiera più grande “CollegioManfredini a Roma Pasqua 1934”.

Ma anche dalle parole riferite sull’exallievo Camillo Naselli-Feo, dalla Cronaca didon Tomba qualche anno dopo, si può presupporre buoni rapporti e reciproca stimaanche con don Ghibaudo:“Dal 1929 in poi ad Este non si facevano pubbliche feste in onore di Don Bosco. Oraper la benevolenza di Mons. Naselli-Feo, Abate Mitrato della città, si spera introdurre la bella abitudine di celebrare ogni anno la Festa di Don Bosco. Il Duomo di Este si presta magnificamente per una celebrazione solenne e devoto con largo concorso di fedeli.”così si presume, anche per opportunità, la possibilità che sia stato rappresentatoanch’egli in quel memoriale iconografico.

E se invece Ghibaudo avesse pensato più in grande? Dato che aveva inserito Negri(non poteva essere vivo nel 1934 a Roma) poteva benissimo aver progettato diinserire altri importanti personaggi della storia del Manfredini (e tra essi alcuni nonpiù in vita), ossia i direttori del Manfredini, guarda caso nove fino ad allora. Perciòfaccio un parallelo con le fotografie ed i personaggi che circondano il Ghibaudo percompararne le fisionomie:

don Giuseppe Ghibaudo – Dir. 1932/38

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don Pietro Gallo - Direttore 1892/1902

don Giovanni Tamietti – Dir. 1878/1892

don Matteo Rigoni - Direttore 1925/32

don Ferdinando Ramelli – Dir. 1919/20

don Pietro Cogliolo - Direttore 1914/1947

don Natale Signoretti - Direttore 1902/10

don Secondo Marchisio - Direttore 1910/14

don Giuseppe Festini - Direttore 1920/25

Certi elementi sono sovrapponibili quasi perfettamente tra i volti dipinti e quelliimmortalati nelle fotografie dei direttori. Al pittore andrebbe riconosciuta in tal casoanche un'indiscutibile abilità nella rotazione della vista da frontale a laterale (o trequarti), e conseguentemente nell'interpretazione delle profondità dei tratti somatici. Opiù banalmente poteva beneficiare di altre immagini con i direttori visti di profilo,oggi non più disponibili. Anche se mancano fonti scritte che descrivano in mododettagliato e confermino quale sia la più corretta interpretazione delle identità deipersonaggi, si valuti comunque che tale opera era stata ideata da don Ghibaudo e chei suoi contemporanei potevano non averne condiviso la più minuziosa progettualità.Avrebbe più senso ritenere i personaggi raffigurati come rappresentativi di tutta laFamiglia storica del Manfredini e non solo quella di un solo anno scolastico. Se cosìfosse, don Ghibaudo avrebbe fatto un 'regalo' postumo desiderato da tutti i direttorisuoi predecessori: assistere di persona alla proclamazione di don Bosco Santo.

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Bibliografia e fonti:

- “Profilo Cronologico Del Collegio Salesiano "Manfredini" Di Este- del 1938

- “Cronaca dei Direttori – da Tamietti 1878-91 a Tomba 1938-46”

- “Lettera del 13 Dicembre 1937” del direttore don Giuseppe Ghibaudo

- “Notizie e discussione su Cà Pesaro di Este – Appendice della monografia “Don

Bosco al Manfredini da 125 anni”

- “Don Bosco al Manfredini da 125 anni” monografia del 2003

- Giornalino semestrale “Don Bosco al Manfredini” a cura dell’Unione Exallievi

- Sito internet www.abanopeople.it

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Indice

Presentazione - a pagina 03

Introduzione - a pagina 05

DIPINTI IN ONORE DI SAN GIOVANNI BOSCO - 1938 - a pagina 07

1697 - Le mappe storiche del complesso edilizio - a pagina 08

1733 - La chiesa non c’era al tempo dei Pesaro - a pagina 09

1740 - Il nipote Lunardo fa decorare il palazzo voluto da zio Zuanne - a pagina 10

1828 - Catasti: Austriaco e Italiano - a pagina 11

1882 - La “nuova chiesa” con direttore don Tamietti - a pagina 13

1882 - Il pavimento della chiesa - a pagina 14

1882/1937 - Il supporto dei dipinti - a pagina 15

1938 - Tecnica usata per i dipinti: affresco a tempera - a pagina 17

1938 - Lavori di controsoffittatura prima della stesura dell’affresco - a pagina 18

1938 - Le impalcature nella chiesa durante le funzioni - a pagina 19

1965 - Abbattimento dell’abside - a pagina 20

1986 - Don Italo Lovato e don Tullio Taller - a pagina 21

1986 - Fotocopia (numero uno) del dipinto settentrionale - a pagina 21

1986 - Fotocopia numero 2, dipinto centrale - a pagina 23

1986 - Fotocopia numero 3, dipinto meridionale - a pagina 24

1986 - Fotocopia numero 4, dipinto meridionale, Papa - a pagina 26

1986 - Fotocopia numero 5, dipinto meridionale, Ghibaudo - a pagina 27

1986 - Fotocopia numero 6, dipinto meridionale, 5 Salesiani - a pagina 28

1986 - Lettera di ritorno da don Taller a don Lovato - a pagina 29

1994 - Il biglietto scritto da un muratore - a pagina 30

1999 - Si mette mano ai restauri della ex-chiesa - a pagina 31

2000 - Dott. Andreotti e don Aurelio Olivati sull’autore dei dipinti - a pagina 32

Appendice Restauri della cappella in Profilo Collegio del 1938 - a pagina 33

Le persone riconosciute o nominate nei dipinti dal Taller - a pagina 34

Il primo dipinto: Don Bosco al Manfredini - a pagina 37

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Il secondo dipinto: DON BOSCO IN PARADISO - a pagina 39

Il terzo dipinto: Collegio Manfredini a Roma - a pagina 40

Qualche commento sulle figure riconosciute - a pagina 41

Chi è il pittore - a pagina 43

Chi sono le persone non riconosciute da don Taller? - a pagina 45

Bibliografia e fonti - a pagina 49

Indice - a pagina 50

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Fotografie realizzate da ignoto non oltre l’anno 1960; commentate sul retro da don Aurelio Olivati negli anni ’80, epoca nella quale l’attuale refettorio era usato come “sala da giochi”.(custodite dal 2014 in Archivio dell’Unione Exallievi)

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Dipinto meridionale

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Dipinto centrale

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Dipinto settentrionale

(in copertina e retro copertina: particolare del dipinto meridionale)

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Este - 16 Agosto 2016

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