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UNIVERSITA’ DI PISA DIPARTIMENTO DI FARMACIA Corso di Laurea Specialistica in FARMACIA Tesi di Laurea Studio del ruolo del sistema endocannabinoide in cellule staminali di melanoma cutaneo maligno. Relatore Candidato Prof. Stefano Fogli Sara Barbani Correlatore Dott.ssa Sara Carpi Anno accademico 2014/2015

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Specialistica in

FARMACIA

Tesi di Laurea

Studio del ruolo del sistema endocannabinoide in cellule

staminali di melanoma cutaneo maligno.

Relatore Candidato

Prof. Stefano Fogli Sara Barbani

Correlatore

Dott.ssa Sara Carpi

Anno accademico 2014/2015

1

INDICE

Capitolo 1. Introduzione 4

1.1 Il Sistema endocannabinoide 4

1.1.1 Endocannabinoidi 4

1.1.2 Recettori 5

1.1.3 Sintesi e metabolismo 7

1.1.4 Ruolo fisiologico 10

1.1.5 Sistema endocannabinoide e cancro 10

1.2 Melanoma cutaneo 12

1.2.1 Definizione di melanoma 12

1.2.2 Epidemiologia 13

1.2.3 Fattori di rischio 15

1.2.4 Patogenesi molecolare 18

1.3 Cellule staminali tumorali di melanoma 21

1.3.1 Cellule staminali tumorali e sistema

endocannabinoide 22

Capitolo 2. Scopo della ricerca 24

Capitolo 3. Materiali e metodi 25

3.1 Materiali per gli studi funzionali 25

2

3.1.1 Linee cellulari 25

3.1.2 Soluzioni e tamponi utilizzati 27

3.2 Materiali per gli studi di biologia molecolare 29

3.2.1 Kit e reagenti 29

3.2.2 Primer 30

3.3 Materiali per Western Blotting 32

3.4 Metodi utilizzati negli studi funzionali 33

3.4.1 Scongelamento della linea cellulare 33

3.4.2 Mantenimento in coltura 34

3.4.3 Congelamento cellulare 35

3.5 Metodi utilizzati negli studi di biologia molecolare 36

3.5.1 Estrazione dell’RNA totale 36

3.5.2 Retrotrascrizione 38

3.5.3 Real-Time PCR 39

3.5.4 TaqMan PCR 40

3.6 Metodi utilizzati per l’analisi tramite Western Blotting 42

3.6.1 Estrazione proteica 42

3.6.2 Quantizzazione proteica 43

3.6.3 Western Blotting 44

Capitolo 4. Risultati e discussione 51

4.1 Profilo di espressione genica dei componenti del sistema

endocannabinoide nel melanoma. 51

3

4.1.1 Valutazione dell’espressione del recettore CB1 in

cellule di melanoma. 51

4.1.2 Valutazione dell’espressione del recettore CB1

in cellule staminali di melanoma. 52

4.1.3 Valutazione dell’espressione del recettore CB2

in cellule di melanoma. 53

4.1.4 Valutazione dell’espressione degli enzimi

coinvolti nella biosintesi e nel catabolismo di AEA in

cellule di melanoma. 54

4.1.5 Valutazione dell’espressione degli enzimi

coinvolti nella biosintesi e nel catabolismo di 2-AG in

cellule di melanoma. 54

4.2 Profilo di espressione proteica del recettore CB1 nel

melanoma. 56

Capitolo 5. Conclusioni 57

Nomenclatura 59

Bibliografia 61

Indice tabelle 74

Indice figure 75

Ringraziamenti 76

Introduzione Capitolo 1

4

CAPITOLO 1

Introduzione

1.1 Il Sistema endocannabinoide

Il sistema endocannabinoide (ECS) è costituito da un insieme di elementi eterogenei

che nello specifico sono (Pertwee R.G., 2010):

- Cannabinoidi endogeni o endocannabinoidi in grado di attivare i rispettivi

recettori;

- Due tipi di recettori dei cannabinoidi, il recettore CB1 ed il recettore CB2;

- Proteine responsabili della sintesi, dell’uptake e del metabolismo degli

stessi endocannabinoidi.

1.1.1 Endocannabinoidi

Gli endocannabinoidi sono stati identificati come ligandi endogeni specifici in

grado di attivare i recettori dei cannabinoidi. Il primo endocannabinoide individuato

è stato l’anandamide (AEA) a cui ha fatto seguito l’osservazione di un metabolita

endogeno, il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG).

Introduzione Capitolo 1

5

Figura 1 Strutture chimiche dei principali composti che agiscono sul sistema endocannabinoide.

1.1.2 Recettori

Fino ad oggi, sono stati identificati due recettori dei cannabinoidi: i recettori CB1 e

CB2. Si tratta di recettori transmembrana con una somiglianza totale del 44% ed un

omologia strutturale nei sette domini transmembrana del 68% (Fig.2).

Figura 2 Strutture dei recettori CB1 e CB2.

Si tratta di recettori accoppiati a proteine G che trasmettono il segnale mediante due

meccanismi: inibizione dell’adenilato ciclasi e stimolazione di specifiche proteine

chinasi. La loro attivazione innesca la biosintesi di ceramide, lipide implicato nella

Introduzione Capitolo 1

6

regolazione di processi apoptotici e proliferativi; inoltre, il recettore CB1, è anche

responsabile della modulazione dei canali al potassio e di canali al calcio voltaggio-

dipendenti (Fig.3).

Figura 3 Meccanismo d’azione del recettore CB1 a livello presinaptico.

Il CB1 è presente principalmente a livello del Sistema Nervoso Centrale dove la

sua localizzazione è prevalentemente presinaptica, inibendo il rilascio di numerosi

neurotrasmettitori come serotonina, dopamina, noradrenalina e glutammato. Lo si

ritrova in diverse aree del cervello, in particolare nei gangli della base, a livello

dell’amigdala e nella substantia nigra (pars reticolata), nell’ippocampo, nel globo

pallido (interno ed esterno) e nel cervelletto. E’ distribuito anche in diversi siti

periferici, quali tessuto adiposo, cuore, fegato, polmone, midollo osseo, ovaio,

testicoli, prostata, timo e tonsille.

Il recettore CB2 è invece principalmente espresso a livello del sistema immunitario:

mastociti, linfociti B, T4 e T8, macrofagi, cellule natural killer e monociti, ma anche

nei tessuti responsabili della produzione e della regolazione delle cellule del sistema

immunitario come milza, timo, tonsille e tessuto linfoide associato all’intestino.

Recenti studi hanno dimostrato la sua presenza anche a livello del sistema nervoso

centrale, ma in aree diverse rispetto a dove è situato il CB1 ed in quantità molto

minore (Van Sickle et al., 2005).

Introduzione Capitolo 1

7

Inizialmente la stimolazione del recettore CB1 era stata esclusivamente associata

agli effetti psicoattivi della cannabis, mentre il CB2 si pensava fosse coinvolto

esclusivamente in eventi relativi al sistema immunitario. Recentemente, questa idea

originaria si è evoluta nel concetto secondo cui entrambi i recettori sono in grado

di controllare funzioni centrali e periferiche, come sviluppo neuronale, processi

infiammatori e metabolici e rilascio di ormoni (Di Marzo V., 2009).

1.1.3 Sintesi e metabolismo

I principali agonisti endogeni del sistema endocannabinoide sono l’anandamide

(AEA) e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG).

La biosintesi di AEA comprende due fasi: la prima fase prevede la formazione di

N-arachidonoil-fosfatidiletanolammina (NArPE) dalla fosfatidiletanolammina

grazie all’N-aciltransferasi calcio-dipendente; la seconda fase è caratterizzata dalla

vera e propria conversione di NArPE in AEA grazie all’enzima l’N-

acylphosphatidylethanolamine-hydrolyzing phospholipase (NAPE-PLD)

La biosintesi del 2-AG, invece, inizia a partire dal sn-1-acyl-2-

arachidonoylglycerols (DAGs), il quale viene convertito in 2-AG mediante l’azione

di due enzimi DAG lipasi calcio-dipendenti, DAGL-a e DAGL-b.

I due endocannabinoidi sono inattivati attraverso due fasi: uptake cellulare

attraverso trasportatori di membrana, “endocannabinoid membrane transporter”

(EMT), ed idrolisi enzimatica intracellulare.

L’AEA viene principalmente inattivata dall’enzima Fatty Acid Amide Hydrolase

(FAAH) e portata ad acido arachidonico ed etanolammina; oltre a quest’ultimo,

anche l’enzima l’N-acylethanolamine acid amidase (NAAA) è coinvolto

nell’idrolisi di AEA con implicazioni fisiologiche non ancora ben conosciute.

Il 2-AG è inattivato e convertito in glicerolo ed acido arachidonico in parte,

dall’enzima FAAH, ma principalmente dal monoacylglycerol lipase (MAGL),

responsabile dell’idrolisi del 2-AG per l’85% nel cervello. Inoltre, il 2-AG, può

essere inattivato da due proteine integrali di membrana, l’ABHD6 e l’ABHD12.

Introduzione Capitolo 1

8

L’AEA e il 2-AG sono anche dei substrati per gli enzimi cyclooxygenase-2 (COX-

2), lipossigenasi (LOX), e citocromo P450; è possibile che questi ultimi giochino

un ruolo di controllo sui livelli degli endocannabinoidi attraverso processi di ossido-

riduzione producendo prostaglandine, esteri del glicerolo, idrossianandamidi e

idrossieicosanoidi, implicati in diverse attività biologiche e soprattutto coinvolti in

processi infiammatori (Hermanson DJ. et al., 2011).

Figura 4 Catabolismo degli endocannbinoide AEA e 2-AG.

Biosintesi, azione e degradazione di questi endocannbinoidi vengono innescate “on

demand” e sono normalmente limitate nel tempo a causa della natura lipofila di tali

composti, al percorso biosintetico fosfolipide-dipendente e alle variazioni delle

concentrazioni di calcio di alcuni enzimi implicati nella loro produzione (Alger BE.

et al., 2011).

Introduzione Capitolo 1

9

Figura 5 Biosintesi e catabolismo degli endocannbinoidi (Galve Roperh et al., 2013).

Schematicamente possiamo rappresentare tale ciclo suddiviso in più fasi:

1. Sintesi: La sintesi di AEA e 2-AG avviene su richiesta dei lipidi di

membrana grazie ai propri enzimi specifici, NAPE-PLD e DAGL,

rispettivamente, nell’ambiente intracellulare.

2. Trasporto: AEA e 2-AG si muovono attraverso la membrana lipidica grazie

all’azione di trasportatori di membrana.

3. Azione: AEA e 2-AG agiscono sui propri target, recettori CB1 e CB2,

innescando una risposta intracellulare. AEA, una volta sintetizzato, può

inoltre rimanere nell’ambiente intracellulare per interagire con un altro tipo

di recettore, il TRPV1, il quale presenta un sito di legame interno per il

proprio ligando.

4. Reuptake: Dopo aver interagito con i propri target, gli endocannbinoidi sono

riportati nell’ambiente intracellulare mediante i trasportatori di membrana

per la loro inattivazione.

Introduzione Capitolo 1

10

5. Inattivazione: AEA viene idrolizzato dal FAAH in etanolammina ed acido

arachidonico, mentre il 2-AG è idrolizzato da MAGL, ed in minor parte

anche da FAAH, in glicerolo ed acido arachidonico.

1.1.4 Ruolo fisiologico

Il Sistema endocannabinoide risulta essere coinvolto in diversi processi fisiologici.

A livello del sistema nervoso centrale, gli endocannabinoidi intervengono nella

regolazione delle funzioni cognitive e delle emozioni nei circuiti neuronali della

corteccia, dell’ippocampo e dell’amigdala. Modulano il controllo dei movimenti e

della postura, la percezione delle sensazioni dolorifiche ed inoltre detiene funzioni

a livello gastrointestinale, cardiovascolare e respiratorio. Infine, attraverso

meccanismi di cross-talk con gli ormoni steroidei ed ipotalamici, gli

endocannabinoidi possono agire sull’assunzione di cibo e sulla riproduzione.

Parallelamente a tali funzioni fisiologiche, gli endocannabinoidi sembrano essere

implicati in diverse situazioni patologiche. E’ stata infatti riscontrata la presenza

dei recettori cannabinoidi sulle cellule del sistema immunitario, permettendo così

di ipotizzare un loro ruolo nel dolore cronico e nella neuroinfiammazione. Inoltre,

sono stati riscontrati alti livelli di endocannabinoidi in modelli sperimentali di

malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson, disordini gastrointestinali,

malattie metaboliche e disturbi del comportamento alimentare, come obesità ed

anoressia.

1.1.5 Sistema endocannabinoide e cancro

Il coinvolgimento del sistema endocannabinoide in processi tumorali è una

questione molto complicata che ad oggi rimane ancora aperta e necessita ulteriori

studi per quanto riguarda i meccanismi attraverso cui esso agisce; è stato comunque

dimostrato come questo sistema possa rappresentare un target significativo per

varie terapie in quanto, con i propri recettori, sembra essere coinvolto in processi

proliferativi e di migrazione delle cellule tumorali (Van Dross R. et al.,2013), in

particolare sembra che, vari tipi di neoplasie, presentino una regolazione alterata

Introduzione Capitolo 1

11

del sistema endocannabinoide. Molti studi stanno cercando di capire l’esistente

correlazione tra i livelli di espressione dei recettori cannabinoidi e la malignità

associata alle diverse tipologie di tumori; infatti è stato dimostrato come in alcuni

tumori, per esempio quello pancreatico e quello prostatico, elevati livelli dei

recettori CB1 e CB2, siano indice di un’elevata aggressività del tumore e quindi di

una precoce mortalità sui soggetti; nell’adenocarcinoma del colon, invece, non è

stata riscontrata alcuna correlazione, al contrario, sembra sia presente un

decremento dell’espressione di tali recettori(Daniel J. et al., 2011).

I cannabinoidi sembrano esercitare numerosi effetti dipendenti dalla linea cellulare

o dal tipo di tumore, ma la cosa interessante è il fatto che numerosi studi abbiano

riscontrato che, un’interazione con i propri recettori, determini un inibizione della

crescita del tumore attraverso diverse vie di segnale. Ciò è stato osservato in

differenti tipi di tumori quali glioma, glioblastoma, tumore al seno, cancro alla

prostata, tumore tiroideo, carcinoma del colon, leucemia e tumori ai linfoniodi. Una

scarsa regolazione del sistema endocannabinoide può promuovere la formazione di

un tumore sotto determinati tipi di condizioni fisiologiche che incrementano la

proliferazione e la migrazione delle cellule tumorali.

Differenti meccanismi sono implicati nell’azione anti-tumurogenica degli

endocannabinoidi e comprendono effetti citotossici e citostatici determinati dalla

modulazione della regolazione del normale ciclo cellulare, induzione dell’apoptosi

ed effetti anti-metastatici come inibizione della neo-angiogenesi e migrazione delle

cellule tumorali. Nello specifico, è stato visto, come i composti cannabinoidi siano

capaci di determinare un arresto del ciclo cellulare, in varie fasi, a seconda della

linea cellulare tumorale, per esempio in linee di tumori al seno è stato osservato un

arresto del ciclo cellulare in fase S, mentre in linee di glioblastoma, l’arresto,

avviene in fase di transizione G1/G0. Per quanto riguarda il fenomeno di induzione

apoptotica, invece, sembra dovuto all’inibizione di varie vie di segnale coinvolte

nella sopravvivenza delle cellule e che portano ad una down-regulation di alcune

proteine anti-apoptotiche, come la survivina. Ciò è stato evidenziato in alcuni studi

su glioma, leucemia e tumore pancreatico, utilizzando dei composti agonisti dei

Introduzione Capitolo 1

12

recettori cannabinoidi, i quali ne determinavano la loro attivazione e un

conseguente incremento della sintesi ex-novo di ceramide, un lipide pro-apoptotico.

Infine, altri tipi di studi, hanno osservato elevati livelli di AEA e 2-AG in differenti

tipi di tumori come glioblastoma, meningioma, carcinoma della prostata e del colon

e sarcoma endometriale. Tali livelli sono regolati dai corrispondenti enzimi che

sintetizzano e metabolizzano questi endocannabinoidi, perciò è stata valutata anche

la loro presenza, soprattutto in cancro alla prostata, ed è stato osservato un

incremento dell’espressione di FAAH in questo tessuto tumorale piuttosto che nello

stesso tessuto in condizioni sane. L’iperespressione di questi enzimi deputati al

catabolismo degli endocannabinoidi sta a significare una riduzione di questi ultimi

che non agiscono più sui propri recettori e quindi un aumento della proliferazione

cellulare e avanzamento del tumore stesso.

Per tutte queste ragioni, il sistema endocannabinoide, può rappresentare un

importante target per interventi farmacologici mirati al trattamento del cancro

(Daniel J., 2011).

1.2 Melanoma cutaneo

1.2.1 Definizione di melanoma

Il melanoma è una neoplasia maligna che origina da una crescita incontrollata dei

melanociti, cellule che sono deputate alla produzione del pigmento melanina (Fig.

6). Come mostrato in figura, tali cellule si trovano a livello della membrana basale

che separa l’epidermide dal derma sottostante e producono melanina che viene

distribuita alle cellule squamose e basali che compongono l’epidermide.

Il melanoma può originare a partire da un neo, dando così origine al melanoma

della pelle, ma anche da altri tipi di tessuti pigmentati nell’occhio o nell’intestino

(National Cancer Institute, Melanoma, 2014). Per la sua malignità è chiamato anche

melanoma maligno, melanocarcinoma, melanoepitelioma, melanosarcoma

(Merriam-Webster, 2014).

Introduzione Capitolo 1

13

Figura 6 Rappresentazione schematica di cute sana.

1.2.2 Epidemiologia

Fino a pochi anni fa, il melanoma era considerato un tipo di neoplasia piuttosto rara,

soprattutto negli adolescenti, ma adesso la sua incidenza è in continua crescita (Tsao

et al., 2004) tale da essere divenuto il secondo tumore più comune in età

adolescenziale (Kauffmann et al., 2014).

Negli ultimi dieci anni, il melanoma della pelle, è notevolmente cresciuto fino ad

arrivare a mostrare 132.000 nuovi casi, e ciò significa un incremento di circa il 15%

rispetto alla decade precedente (Tsao et al., 2004). Queste incidenze variano

considerevolmente tra le differenti zone geografiche del pianeta in cui abitano

diversi tipi di popolazioni tra cui ritroviamo la razza caucasica, che è quella

maggiormente colpita dalla neoplsia, rispetto ad individui appartenenti ad altre

etnie. Il tasso di incidenza più alto, in rapporto al numero di abitanti, è stato

osservato nelle popolazioni di Australia e Nuova Zelanda rispetto a Nord America

e Europa, nella cui ultima è presente una graduale riduzione da nord a sud. Per le

popolazioni asiatiche e quelle con pelle nera, compresi individui appartenenti al

Introduzione Capitolo 1

14

ceppo ispanico (nativi americani e popolazioni dell’Africa, eccetto Sud-Africa), il

tasso di incidenza diminuisce notevolmente (Globacan 2012, 2014).

Figura 7 Percentuali di casi stimati di melanoma cutaneo per tutte le età e per entrambi i sessi (Globacan 2012, 2014).

Nel 2014, negli Stati Uniti, sono stati diagnosticati circa 76.100 casi di melanoma,

dei quali 9.700 sono deceduti (Siegle et al.,2014); invece, in Italia, si stimano

11.000 nuovi casi con una piccola predominanza maschile (Aiom-airtum, 2014). E’

stato inoltre osservato come il melanoma stia rapidamente aumentando nell’uomo

a differenza di altri tumori maligni (Fig.8) (Jemal et al., 2011) e, alcuni studi

statistici, hanno evidenziato che i siti d’insorgenza di tale neoplasia, in ordine di

percentuale decrescente, sono: il tronco (43.5%), le estremità (33.9%), i siti sacrali,

quali siti sublinguali e palme (11.9%), testa e collo (10.7%).

Il melanoma può presentarsi in persone di qualsiasi età, ma principalmente negli

adulti che detengono un’età media al momento della diagnosi e con una successiva

e conseguente mortalità che si aggira tra i 61 e i 68 anni (Weinstock, 2012).

Introduzione Capitolo 1

15

Figura 8 Incidenza e mortalità di melanoma nel mondo per tutte le età (Globacan 2012, 2014).

Il tasso di sopravvivenza registrato per il melanoma è invece del 98% nel caso si

tratti di melanoma allo stadio I o II, mentre nel 16% dei casi, il cancro può portare

alla formazione di metastasi in siti od organi distanti (Wolchok, 2014).

1.2.3 Fattori di rischio

Il rischio di sviluppo di melanoma dipende sia da fattori di rischio endogeni che da

fattori di rischio ambientali. Il fenotipo della pelle, il numero totale di nevi

melanocitici, la presenza di nevi a rischio displasia, l’esposizione al sole,

l’ereditarietà di melanoma che può trasmettere mutazioni del gene CDKN2A, cioè

il gene soppressore tumorale (Aitken et al., 1999) ed una lunga serie di alterazioni

Introduzione Capitolo 1

16

genetiche (Gudbjartsson et al., 2008), possono aumentare lo stato di

immunodeficienza dell’individuo rappresentando fattori di rischio personali.

Questi fattori (Tab.1) sembra siano responsabili dell’aumento dell’incidenza del

melanoma cutaneo a livello globale (Gandini et al., 2005).

Tabella 1. Fattori di rischio per melanoma cutaneo (Helfand et al., 2001).

Per ridurre l’incidenza e la mortalità causata dal melanoma è importante anche

valutare e riconoscere l’esistenza di diversi gruppi di individui che detengono, per

diverse caratteristiche, differenti livelli di rischio; perciò è fondamentale il fattore

prevenzione (Tsao et al., 2004). Prendendo il singolo soggetto, gli elementi di

maggior interesse predisponenti alla malattia sono la presenza di numerose

lentiggini, associate spesso a carnagioni chiare che si abbronzano poco e con

tendenza all’ustione solare ed un elevato numero di nevi melanocitici e/o

displastici. Alcuni studi, hanno inoltre dimostrato come sia presente un’elevata

incidenza di melanoma in soggetti anziani e di sesso maschile (Fig.8) (Lasithiotakis

et al., 2008). Inoltre è importante anche il fattore ereditario e cioè la presenza

antecedente della stessa neoplasia in qualche familiare, questo perché possa

spingere il soggetto stesso a seguire idonee strategie di prevenzione; è stato infatti

calcolato che la probabilità di sviluppo di un secondo melanoma a distanza dai 5 ai

10 anni è del 2.8% e 3.6%, rispettivamente (Goggins et al., 2003).

Introduzione Capitolo 1

17

Da non trascurare è il fattore genetico: studi genetici molecolari hanno infatti

mostrato l’importante ruolo di due geni (CDKN2A e CDK4) (Fig.9), per i quali una

mutazione a carico può rappresentare un elevato fattore di rischio (Fargnoli et al.,

2006; Meyle et al., 2009).

Figura 9 Prevalenza di mutazioni a carico del gene CDKN2A come fattore ereditario di melanoma (Harland et al., 2014).

Tra i fattori di rischio ambientali ha un’importanza rilevante l’esposizione ai raggi

UV, la quale, generalmente, raddoppia il rischio di sviluppo di melanoma in

soggetti esposti e soprattutto nel fenotipo di persone con pelle chiara (Vainio et al.,

2000). Studi epidemiologici recenti confermano la presenza di una correlazione tra

intensa esposizione solare, che spesso porta ustioni e scottature, e lo sviluppo della

neoplasia (Gandini et al., 2005). Rimane tuttavia da identificare la componente

della radiazione solare capace di scatenare l’evento tumorale; gli UVR infatti

risultano essere suddivisi in tre bande di lunghezza d’onda diversa: UVA, UVB e

UVC. Grazie all’assorbimento da parte dell’ozonosfera, la superficie terrestre

riceve per il 99% UVA, una percentuale che va diminuendo a causa della riduzione

dello strato di ozono, portando così ad una maggiore permeazione dei raggi UVB.

Entrambe le lunghezze d’onda sono capaci di danneggiare i DNA: gli UVA, in

maniera indiretta, formando specie reattive dell’ossigeno, mentre gli UVB

direttamente inducendo la formazione di legami covalenti tra basi adiacenti. Questa

Introduzione Capitolo 1

18

loro azione e l’aumento della loro intensità, avvalora l’ipotesi di un ruolo decisivo

della radiazione solare nello sviluppo del melanoma cutaneo. Tuttavia,

considerando anche i numerosi fattori concomitanti, rimane da chiarire ancora oggi

quali siano le componenti maggiormente coinvolte ed il loro ruolo nello sviluppo

del tumore (Palmieri et al., 2009). Altri fattori di rischio ambientale possono essere

anche il contatto con agenti nocivi, come arsenico o radiazioni ionizzanti, con i

quali, spesso, il soggetto, viene a contatto per esigenze lavorative.

Insufficienze del sistema immunitario, dovute a chemioterapie, trapianti o AIDS,

e anomalie genetiche, il cui ruolo è ancora oggi materia d’indagine, rappresentano

altri fattori di rischio importanti per questo tipo di neoplasia (Markovic S.N et al.,

2007).

1.2.4 Patogenesi molecolare

Il melanoma è caratterizzato da diverse vie di segnale molecolari (signaling

pathways) coinvolte nel controllo della proliferazione e della morte cellulare.

L’iperattivazione o la riduzione dell’attività di questi componenti risultano essere

coinvolti nella trasformazione oncogenica dei melanociti. Le principali vie di

segnale alterate nel melanoma sono Rb/E2F, MAPK/ ERK, PI3K/ Akt/, NF-Kb,

Wnt/β-catenin, Notch, Jak/STAT, cyclin/CDK, JNK/c-Jun/ AP-1, MITF ed alcuni

fattori di crescita.

Introduzione Capitolo 1

19

Figura 10 Ciclo cellulare nelle cellule eucariote (Currais et al., 2009).

-MAPK/ERK pathway

La via di segnale MAPK (mitogen-activated protein kinase) / ERK (chinasi

regolatoria extracellulare) è anche conosciuta come via Ras-Raf-MEK-ERK, il cui

nome deriva dalle proteine che la compongono. L’attivazione di questa via media

eventi critici di crescita, progressione, apoptosi, adesione, migrazione e

vascolarizzazione nel melanoma (Eisenmann et al., 2003; Wood et al., 2001).

Ras appartiene ad una classe di proteine chiamate “small GTPase”, localizzate nelle

membrane, le quali inducono la trasduzione di un segnale intracellulare; mentre le

chinasi Raf, MEK e ERK risiedono nell’ambiente citoplasmatico (Fig.11).

Introduzione Capitolo 1

20

Figura 11 Attivazione della via MAPK/ERK (Chin, 2003).

Dopo il legame di alcuni ligandi, come fattori di crescita, con i rispettivi recettori

tirosin-chinasici (tyrosine chinasi, RTK), questi ultimi dimerizzano attivando la

cascata MAPK. Come le altre proteine GTPasi, la Ras si attiva tramite la

fosforilazione di GDP (guanosina difosfato), forma inattiva, a GTP (guanosina 5’-

trifosfato). Infatti, nella forma quiescente, la Ras esiste legata al GDP, ma il legame

con SOS, una piccola GTPasi, causa un cambiamento conformazionale di Ras che

si dissocia dal GDP per legare il GTP, attivando il segnale e quindi dando avvio alla

cascata fosforilativa di Raf. Successivamente Raf fosforila MEK (MEK1 e MEK2),

il quale a sua volta fosforila ERK attivandolo e, quest’ultimo, trasloca nel nucleo

dove fosforila specifici substrati coinvolti nella regolazione di varie risposte

cellulari (Chin, 2003). ERK induce la trascrizione di vari fattori trascrizionali

coinvolti nella regolazione della proliferazione, prevenzione apoptotica e

transizione G1/S del ciclo cellulare (Uzdensky et al., 2013).

La mutazione delle proteine Ras o Raf porta ad una permanente proliferazione

cellulare, invasione del tumore e metastasi; tali mutazioni sono state osservate nel

90% dei casi clinici di melanoma (Smalley, 2010).

Introduzione Capitolo 1

21

La sottofamiglia di Ras comprende tre isoforme: H-Ras, K-Ras e N-Ras;

quest’ultima è maggiormente coinvolta nella patogenesi del melanoma, infatti,

mutazioni a suo carico, sono state trovate nel 15-30% dei casi (Sekulic et al., 2008).

La sottofamiglia di Raf, invece, consiste delle isoforme A-Raf, B-Raf e C-Raf

(chiamata anche Raf-1); tra queste le mutazioni a carico di Braf sono le più rilevanti

nel melanoma e ne sono state trovate nel 60-70% di casi di melanoma primario e

anche un’elevata percentuale nei nevi melanocitici cutanei. Questo è considerato un

fattore di rischio coinvolto nell’iniziazione e successivamente nella progressione

del melanoma; infatti sono state descritte più di 40 mutazioni per il gene BRAF e

tra queste la più rilevante è la BRAF T1799A, caratterizzata dalla sostituzione di

acido glutammico con valina (V600E) nel dominio chinasico della rispettiva

proteina. La proteina BRaf mutata attiva permanentemente ERK stimolando la

proliferazione cellulare Questa mutazione è stata trovata nell’80-90% delle

mutazioni a carico di BRAF nel melanoma (Platz et al., 2008).

1.3 Cellule staminali tumorali di melanoma

Le cellule staminali tumorali (CSC “Cancer stem cells”) sono una tipologia di

cellule responsabili non solo della formazione del tumore stesso, ma anche del suo

mantenimento e progressione, inoltre sono anche ritenute responsabili dei fenomeni

di resistenza a vari agenti tossici (Girouard et al., 2011). A causa di tali proprietà,

le CSC che sopravvivono in chemioterapia, sono in grado di ristabilire di nuovo il

tumore (Emma L. et al., 2015).

In origine, il tumore, viene avviato da una normale cellula staminale che trasforma

il proprio fenotipo in neoplastico ed assume le seguenti proprietà:

-Capacità di autorinnovamento costituendo così una “popolazione immortale”;

-Danno origine a cellule derivate (non-CSC) che possono dividersi un numero

limitato di volte dando luogo alla massa tumorale;

-sono resistenti alla chemioterapia standard (Roger S., 2015).

Introduzione Capitolo 1

22

Le cellule staminali tumorali di melanoma, chiamate anche cellule iniziatrici di

melanoma (Fig.12) e per la loro morfologia sfere, sono cellule capaci di

autorinnovarsi cioè di formare altre cellule multipotenti e dare origine, sotto

opportuni stimoli, alla formazione ed alla progressione del melanoma (Dong Fang

et al., 2005).

Figura 12 Cellule iniziatrici di melanoma (MMICs) (Lee et al., 2014).

La chemioterapia e/o la radioterapia utilizzate per debellare il tumore, risultano

essere funzionali solo sulle cellule coinvolte nella proliferazione del tumore stesso,

ma non sulle CSC che sono più resistenti e possono far progredire e dare un nuovo

avvio al tumore stesso (Schatton et al., 2008). Le biopsie di melanoma hanno

rivelato come questo contenga dall’1 al 20% di cellule staminali tumorali (Na et al.,

2009; Schatton et al., 2008). Inoltre nel 2008 Quintana con i suoi collaboratori

hanno dimostrato che 1 cellula di melanoma su 4 può iniziare un nuovo tumore in

animali con immuno-deficienza e più del 25% delle cellule di melanoma sono

potenzialmente tumorogeniche. Pertanto lo sviluppo futuro di nuove terapie contro

il melanoma mira alla ricerca di specifici marker espressi selettivamente in cellule

iniziatrici di melanoma.

1.3.1 Cellule staminali tumorali e sistema endocannabinoide

Il sistema endocannabinoide sembra essere coinvolto in meccanismi di regolazione

appartenenti alle cellule iniziatrici/staminali nel sistema nervoso centrale (Galve et

Introduzione Capitolo 1

23

al., 2013) e nella differenziazione delle cellule staminali di glioma (Compagnucci

et al., 2013).

Altri studi hanno dimostrato la correlazione tra ECS e cellule staminali dimostrando

come il trattamento con fitocannabinoidi, possa arrestare lo sviluppo dei primi

embrioni in blastociti, probabilmente attraverso un meccanismo CB1-dipendente

(Paria et al.,1998; Nones J. et al., 2010). Tuttavia, il blocco farmacologico dei

recettori CB1 e CB2 risulta indurre morte delle cellule staminali, in quanto il

sistema endocannabinoide è coinvolto nei meccanismi di sopravvivenza di queste

ultime (Jiang S. et al., 2007). Su queste basi è stato ipotizzato che la presenza dei

recettori CB1 e CB2, indice della presenza del sistema endocannabinoide, a livelli

basali, sia collegata alla sopravvivenza delle cellule staminali mentre la presenza

del sistema endocannabinoide ad elevate concentrazioni innesca una cascata

autofagica a livello embrionale (Oh HA et al., 2013).

Scopo della Ricerca Capitolo 2

24

Capitolo 2

Scopo della ricerca

Lo scopo di questo progetto è stato quello di valutare la presenza ed il significato

del sistema endocannabinoide (con i suoi recettori CB1 e CB2 e gli enzimi deputati

alla sintesi ed al metabolismo degli endocannabinoidi endogeni AEA e 2-AG) in

melanociti, linee cellulari di melanoma, cellule isolate da singolo paziente e in

cellule staminali tumorali. In particolare abbiamo valutato il coinvolgimento del

sistema endocannabinoide nello sviluppo del fenotipo neoplastico ed il possibile

cross-talk con la via B-RAF, coinvolta nella trasmissione del segnale di

proliferazione, in cellule portatrici o meno della mutazione attivante V600E.

Materiali e metodi Capitolo 3

25

CAPITOLO 3

Materiali e metodi

3.1 Materiali per gli studi funzionali

3.1.1 Linee cellulari

A375

Le A375 (American Type Culture Collection, ATCC, Rockville; MA, USA) sono

cellule di melanoma cutaneo umano che crescono adese alla superficie della fiasca,

aderendo al pavimento di poli-lisina ed hanno un aspetto allungato. La linea

cellulare è caratterizzata da un tempo di duplicazione di circa 16-20 ore (Goodall,

Carreira et al. 2008 Cancer research). Le cellule sono state mantenute in coltura in

incubatore con il 5% di CO2 a 37°C in un terreno costituito dal mezzo base RPMI

1640 (Rosewell Park Memorial Institute 1640 Medium) ricostituito con 10% di siero

fetale bovino (FBS, Life Technologies, Monza) e 1% della miscela 1:1 degli

antibiotici penicillina (50 UI/ml) e streptomicina (50 µg/ml).

Figura 13. Cellule A375 a bassa densità (sinistra) ed alta densità (destra) di crescita [Sito ATCC: http://www.lgcstandards-atcc.org/~/media/Attachments/4/9/9/0/1823.ashx].

Materiali e metodi Capitolo 3

26

MeWo

Le MeWo sono cellule derivanti da cellule di metastasi linfonodali di melanoma

cutaneo maligno umano e crescono aderendo al pavimento della fiasca con un

tempo di replicazione di circa 30 ore. Tali cellule sono state mantenute in coltura in

incubatori a 37°C con il 5% di CO2 in un terreno costituito dal mezzo base di RPMI

1640 ricostituito con il 10% di FBS e 1% degli antibiotici Penicillina e

Streptomicina.

Figura 14. MeWo a bassa densità (sinistra) e ad alta densità di crescita (destra). [http://cellbank.nibio.go.jp/legacy/celldata/jcrb0066.htm#reference].

501 Mel

Le 501Mel sono una linea maligna di melanoma cutaneo umano e crescono adese

al pavimento della fiasca con un tempo di replicazione di circa 40 ore. Vengono

mantenute in coltura in incubatori a 37°C con il 5% di CO2 in un terreno di coltura

costituito dal mezzo base Dulbecco’s Modified Medium (DMEM, Sigma Aldrich,

Milano) ricostituito con il 10% di FBS e 1% della miscela di antibiotici penicillina

e streptomicina.

Materiali e metodi Capitolo 3

27

Melanociti NHEM

I melanociti (NHEM primary normal human epidermal melanocytes PromoCell

GmbH, Germany) sono cellule umane sane isolate dell’epidermide di donatori sani,

giovani o adulti, derivanti da differenti locazioni tra le quali viso, seno, addome e

dita. Si trovano nello strato basale, ma si diramano tra i cheratinociti in strati

sovrastanti. Circa il 5-10% delle cellule dell’epidermide sono melanociti ed hanno

la funzione principale di produrre la melanina, la proteina responsabile per la

pigmentazione della pelle, occhi e capelli. Essa protegge le cellule della pelle e, in

profondi strati, esercita tale funzione contro gli effetti pericolosi delle radiazioni

UV (http://www.promocell.com/products/human-primary-cells/melanocytes).

Queste cellule crescono in incubatore a 37°C con 5% di CO2 nel proprio mezzo di

coltura specifico, Melanocyte Growth Medium M2 (PromoCell GmbH, Germany),

ed hanno un tempo di replicazione di 7-14 giorni.

Figura 15 Melanociti NHEM (http://www.promocell.com/products/human-primary-cells/melanocytes).

3.1.2 Soluzioni e tamponi utilizzati

RPMI

Il Rosewell Park Memorial Institute 1640 Medium (RPMI, Life Technologies,

Monza) è il terreno di coltura usato per consentire la crescita e la proliferazione

delle cellule A375 e MeWo. Il mezzo utilizza un sistema tampone con bicarbonato

e come indicatore rosso fenolo che per valori di pH intorno a 7.4, in cui le cellule

crescono bene, presenta un colore rosso-arancio che vira al giallo quando, in seguito

a proliferazione cellulare, si ha acidificazione del mezzo per produzione della CO2

proveniente dal metabolismo cellulare. Assume, invece, una colorazione violacea

Materiali e metodi Capitolo 3

28

in presenza di pH alcalino indicando che le cellule non sono metabolicamente attive

o che la regolazione della CO2 è alterata.

DMEM

Il Dulbecco's Modified Medium (DMEM, Sigma-Aldrich, Milano) è il terreno di

coltura usato per consentire la crescita e la proliferazione delle cellule 501Mel.

Contiene amminoacidi, vitamine, sali, glucosio, glutammina e, come indicatore di

pH, il rosso fenolo. Per valori di pH intorno a 7.4, in cui le cellule crescono bene,

presenta un colore rosso-arancio che vira al giallo quando, in seguito a

proliferazione cellulare, si ha acidificazione del mezzo per produzione della CO2

proveniente dal metabolismo cellulare. Assume, invece, una colorazione violacea

in presenza di pH alcalino indicando che le cellule non sono metabolicamente attive

o che la regolazione della CO2 è alterata.

Melanocyte Growth Medium M2

Il mezzo M2 (Promocell GmbH, Germany) è il mezzo di coltura utilizzato per il

mantenimento e la crescita dei melanociti umani, privo di siero e privo di PMA

(Phorbol Myristate Acetate). Tale mezzo contiene tutti i fattori di crescita e

supplementi necessari per la crescita di tali melanociti ad eccezione di antibiotici

ed antimicotici. E’ stato formulato per essere utilizzato in incubatore a 37°C e 5%

di CO2.

FBS

Il fetal bovine serum (FBS, Life Technologies, Monza) è costituito da fattori di

crescita e proteine che hanno il compito di facilitare la sopravvivenza, la crescita e

la divisione cellulare e per questo viene addizionato al mezzo.

Penicillina/Streptomicina

La miscela 1:1 degli antibiotici penicillina (50 UI/ml) e streptomicina (50µg/ml)

(Penicillina/Streptomicina, Sigma Aldrich, Milano) viene usata per evitare la

proliferazione batterica all’interno della coltura cellulare.

Tripsina

La miscela tripsina-EDTA (Trypsin-Versene (EDTA) Mix 10X, Life Technologies,

Monza) è una soluzione contenente una proteasi, la tripsina, capace di produrre tagli

Materiali e metodi Capitolo 3

29

proteolitici a livello del legame tra l’arginina (membrana cellulare) e la lisina

(supporto trattato) permettendo il distacco delle cellule. Tale funzione è sfruttata

per degradare le proteine della matrice su cui le cellule crescono in adesione. Nella

soluzione è presente anche EDTA, un agente chelante, aggiunto per migliorare

l’attività proteolitica della tripsina poiché, legando cationi come calcio e magnesio

presenti nell’ambiente extra-cellulare, gli impedisce di nascondere i legami

peptidici su cui agisce la tripsina.

PBS

Il phosfate saline buffer (PBS, Sigma Aldrich, Milano) è un tampone costituito da

una soluzione salina acquosa contenente cloruro di sodio, cloruro di potassio e

fosfato di sodio. La sua funzione è quella di mantenere i valori di pH costanti e

isotonici. Non essendo tossico per le cellule, viene usato per i lavaggi delle colture

cellulari con lo scopo di eliminare i detriti.

3.2 Materiali per gli studi di biologia molecolare

3.2.1 Kit e reagenti

L’estrazione dell’RNA totale dalle cellule è stata eseguita con RNeasy MiniKit

(Quiagen, Milano) che comprende: RNeasy Mini Spin Columns, Collection Tubes

da 1,5 e 2 ml, acqua RNase-Free e buffer (buffer RLT, buffer RW1 e buffer RPE).

La retrotrascrizione è stata eseguita utilizzando il kit QuantiTect Reverse

Transcription Kit (Quiagen, Milano), comprendente gDNA Wipeout Buffer 7x,

QuantiscriptR, Reverse Transcriptase, Quantiscript RT Buffer 5x, RT Primer Mix e

acqua RNase-Free.

Le reazioni di PCR sono state effettuate usando HotStarTaq® PCR (Quiagen,

Milano). Il Kit è costituito da: PCR Buffer 10x, HotStarTaq MasterMix, acqua

RNase-Free.

Il gel per la corsa elettroforetica è stato ottenuto utilizzando agarosio (EuroClone,

Milano) e tampone TBE 0,5x contenente acido borico 0,9M, EDTA 0,01M, Tris

Materiali e metodi Capitolo 3

30

1M (Sigma-Aldrich, Milano). Ladder 100pb e blu di Bromofenolo-xilene sono stati

forniti da Sigma Aldrich (Milano).

La Real-Time PCR è stata effettuata usando due tipi di sonde: la sonda SsoFast™

Eva GreenR Supermix (Bio-Rad, Hercules, USA), e le sonde TaqMan®Gene

Expression Assays (Applied Biosystems®, Life Technologies) dirette verso CB1R,

CB2R e 18S.

Oltre ad ottenere i cDNA mediante retrotrascrizione degli mRNA ottenuti dalle

rispettive cellule in coltura, ci sono stati forniti i cDNA di linee cellulari isolate da

singolo paziente nell’ambito di una collaborazione con il laboratorio di Biologia

della Cellula Tumorale, Core Research Laboratory, Istituto Toscano Tumori

(Firenze) diretto dalla dott.ssa Barbara Stecca (Tab.2).

Tabella 2. Cellule isolate da singolo paziente (Stecca et al., 2013). .

3.2.2 Primer

I primer sono oligonucleotidi sintetici che hanno il compito di innescare la sintesi

del nuovo filamento di cDNA durante la fase di amplificazione delle real-time PCR.

Per ogni sequenza bersaglio serve una coppia di primer, il forward (complementare

al filamento in direzione 3’-5’) ed il reverse (complementare al filamento in

direzione 5’-3’). I primer del nostro oggetto di studio sono stati scelti facendo

riferimento a sequenze presenti in letteratura. Le sequenze scelte sono state

analizzate utilizzando il programma “Primer Blast”

(http://www.ncbi.nlm.nih.gov/tools/primer-blast/index.cgi), un programma che

permette di valutare la specificità di ogni coppia per il target ed evitare la

formazione di prodotti di amplificazione genica indesiderati. Le sequenze dei

primer utilizzati sono riportate in Tabella 3. GAPDH e β-actina sono geni

Materiali e metodi Capitolo 3

31

housekeeping, cioè geni costitutivamente trascritti e tradotti poiché codificano

proteine ed enzimi fondamentali per la vita della cellula.

Tabella 3.Sequenza dei primer utilizzati in RT-PCR e real-time PCR; primer forward (F) e primer reverse (R).

Per quanto riguarda le sequenze delle sonde TaqMan CB1 e CB2, queste ci sono

state fornite dalla parte ThermoFisher Scientific di Life Technologies, i quali ne

sono i diretti proprietari, quindi l’intera sequenza è segreta e non può essere fornita

al cliente. Quello che possiamo fare è controllare dove sia disegnato il saggio,

utilizzando i dati provenienti dall’Assay Location” (nella tabella “View Details”

per ognuno dei saggi), che dà la posizione, la base centrale su cui si appaia la sonda,

la lunghezza del prodotto e con questi dati ricostruire la sequenza di legame.

-CNR1(esempio)

Prodotto di amplificazione: 113 pb

Assay location: 5576 (che significa la posizione 5576 della sequenza di riferimento

di GeneBank).

Quindi, considerando la metà della lunghezza del prodotto di amplificazione, conto

56 pb a monte e a valle della sequenza, e quindi troviamo la regione di riferimento

riconosciuta dal saggio: 5576-56=5520; 5576+56=5632 (dalla 5520esima alla

5632esima base della sequenza di riferimento).

Materiali e metodi Capitolo 3

32

Tabella 4. Sonde TaqMan utilizzate in Real-Time PCR.

3.3 Materiali per Western blotting

SDS

Il sodio dodecil sulfate (SDS) è un detergente anionico che, rompendo i legami ad

idrogeno e le interazioni idrofobiche, provoca la distruzione delle strutture

secondarie e terziarie delle proteine. L’utilizzo di questo detergente rende costante

il rapporto massa/carica permettendo la separazione proteica in base al peso

molecolare. E’ usato in soluzione al 10% in di acqua milliQ.

Soluzione di acrilammide

L’acrylamide-solution al 30% (Euroclone spa, Italia) è costituita da monomeri di

acrilammide (l’ammide dell’acido acrilico) e da piccole quantità di N,N’-

metilenbisacrilammide, più comunemente nota con il nome di bis-acrilammide.

Nello specifico, quest’ultima è un composto essenzialmente formato da due

molecole di acrilammide legate da un gruppo metilenico.

Catalizzatori: TEMED e APS

La tetrametilendiammina (TEMED, Bio-Rad, CA, USA) ed il persolfato di

ammonio (APS, Bio-Rad, CA, USA) sono due catalizzatori utilizzati per

velocizzare il meccanismo di formazione dei gel di poliacrilamide.

Specificatamente, il TEMED catalizza la decomposizione dello ione persolfato

portando alla formazione di un radicale libero che reagisce con un monomero di

acrilammide, generando così un nuovo radicale libero, che reagirà con un’ulteriore

molecola di acrilammide.

Materiali e metodi Capitolo 3

33

Anticorpi

Gli anticorpi primari utilizzati sono: un anticorpo monoclonale di coniglio diretto

verso l’intera lunghezza del recettore CB1 umano (Cod.172970, Abcam,

Cambridge, Regno Unito), un anticorpo monoclonale di topo diretto verso la β-

actina di origine umana (Cod. MAB1501, Merck Millipore, Darmstadt, Germany)

e sempre un anticorpo monoclonale di topo diretto verso la proteina BRAF (Cod.

sc-5284, Sanya Cruz Biotechnology).

I rispettivi anticorpi secondari sono anticorpi coniugati con enzima HRP

(Horseradish peroxidase) anti-rabbit (Cod.28603588, Millipore S.A.S, Molsheim)

e anti-mouse (Cod.sc-5284, Santa Cruz Biotechnology). Questo enzima è capace di

amplificare un segnale debole aumentando così la rilevabilità di una molecola

bersaglio. La sua presenza è resa visibile con l’utilizzo di un substrato, il quale viene

ossidato dall’HRP determinando dei cambiamenti rilevabili con metodi

spettrofotometrici. In questo studio il substrato che viene convertito è il Luminolo

in condizioni di Chemiluminescenza (ECL, Enhanced Chemiluminescence, Santa

Cruz Biotechnology) producendo, al termine della reazione una luce rilevabile.

3.4 Metodi utilizzati negli studi funzionali

3.4.1 Scongelamento della linea cellulare

Lo scongelamento è la procedura necessaria per riportare le cellule in uno stato

metabolico attivo dopo che sono state conservate congelate in azoto liquido o in

congelatore a -80°C per un determinato periodo di tempo.

Il criotubo viene agitato meccanicamente a mano con moto rotativo per facilitare lo

scongelamento, visibile per formazione di una soluzione liquida all’interno. A

questo punto il contenuto viene aspirato ed introdotto in una provetta sterile da 15

ml aggiungendo 5-6 ml di mezzo di coltura completo, preventivamente riscaldato a

37° C a bagno maria, agitando completamente la provetta in modo da equilibrare la

sospensione cellulare con il mezzo. La soluzione contenente le cellule viene quindi

risospesa e poi lasciata riposare a temperatura ambiente per qualche minuto prima

di centrifugare la provetta a 1100 rpm per 5 minuti. A centrifugazione ultimata, il

sovranatante viene eliminato mediante aspirazione, mentre il pellet cellulare viene

Materiali e metodi Capitolo 3

34

risospeso in 3-4 ml di mezzo completo. La sospensione cellulare viene poi trasferita

in una fiasca per coltura contenente circa 5 ml di mezzo completo arrivando ad un

totale di 9-10 ml di contenuto e posta nell’incubatore (37°C, 5% CO2).

3.4.2 Mantenimento in coltura

La linea cellulare è mantenuta in una fase di crescita esponenziale in fiasche per

colture cellulari T75 (Starstedt, Verona, Italia) all’interno dell’incubatore. Le

cellule vengono controllate quotidianamente: il mezzo di coltura consumato,

arricchito di sostanze di scarto del metabolismo cellulare che causano il viraggio

dell’indicatore acido-base dal rosso al giallo, viene regolarmente sostituito con

mezzo fresco.

Quando le cellule raggiungono circa un 80% di confluenza, un’ulteriore crescita

potrebbe comportare la formazione di multistrati cellulari che si sovrappongono

l’uno sull’altro.

Per evitare tale condizione, tutto il mezzo di coltura è aspirato dalla fiasca e viene

eseguito un lavaggio con 5-6 ml di tampone fosfato (PBS, Sigma Aldrich, Milano)

per pulire la superficie di crescita da eventuali detriti rimasti. Rimosso il tampone,

si aggiunge 1 ml di Tripsina/EDTA (Sigma Aldrich, Milano) diluita in 1 ml di

tampone PBS per staccare le cellule dalla superficie di crescita. La fiasca viene

portata nell’incubatore all’incirca per 1 minuto, in modo da attivare l’azione della

tripsina.

Dopo aver verificato al microscopio che le cellule si siano staccate (se così non

fosse facilitiamo il meccanismo con agitazione meccanica a mano), aggiungiamo

5-6 ml di mezzo di coltura per inattivare l’azione proteolitica dell’enzima, quindi la

sospensione cellulare viene trasferita in una provetta da 15 ml e centrifugata a 1100

rpm per 5 minuti a temperatura ambiente. Al termine della centrifugazione, il

sovranatante viene eliminato e il pellet cellulare risospeso in mezzo di coltura

completo. Le cellule possono essere seminate nuovamente in fiasca in modo tale da

raggiungere il numero idoneo per poi utilizzarle per gli esperimenti, oppure essere

congelate per conservarne una certa aliquota.

Materiali e metodi Capitolo 3

35

Tutte le operazioni riguardanti la coltura cellulare sono condotte sotto cappa a

flusso laminare, con un sistema di sterilizzazione a raggi U.V. quando il flusso è

interrotto o in assenza dell’operatore.

3.4.3 Congelamento cellulare

Il congelamento cellulare è la procedura necessaria qualora si voglia conservare le

cellule per un lungo periodo di tempo in uno stato di quiescenza.

Il mezzo di congelamento utilizzato per le cellule è costituito da FBS e 10% di

DMSO. Le componenti del mezzo di congelamento contribuiscono a stabilizzare le

cellule per il loro mantenimento a bassissime temperature (in azoto liquido o

congelatore a -80°C): l’FBS contiene proteine che possono esercitare una funzione

stabilizzante e protettiva sulla membrana in seguito ai danni che il congelamento

può provocare ed il DMSO agisce da criopreservante avendo la funzione di ridurre

le dimensioni dei cristalli di ghiaccio che si formano all’interno delle cellule.

Di norma, viene preparato, già aliquotato in eppendorf, 1,53 ml di FBS e mantenuto

a temperatura di -20°C; al momento della preparazione della sospensione cellulare

da congelare si aggiungono 170µl di DMSO raggiungendo e la sospensione

cellulare, raggiungendo così il volume massimo che può essere occupato all’interno

del criotubo.

La procedura di congelamento consiste di una prima parte in cui le cellule vengono

staccate e centrifugate come nella normale procedura del mantenimento in coltura.

Dopo centrifugazione (1100 rpm/5 minuti), il sovranatante viene rimosso ed il

pellet risospeso in 1,53 ml di FBS contenuto all’interno delle eppendorf aliquotate

e mantenute a -20°C indipendentemente dalla dimensione del pellet (se il

precipitato è eccessivamente abbondante si possono preparare più criotubi). Infine

viene aggiunta il restante volume di DMSO ed il criotubo viene alloggiato nel

contenitore per la conservazione in congelatore e tale procedura deve essere

abbastanza veloce in quanto il DMSO risulta essere non ottimale per le cellule a

temperatura ambiente.

Materiali e metodi Capitolo 3

36

3.5 Metodi utilizzati negli studi di biologia molecolare

3.5.1 Estrazione dell’RNA totale

L’estrazione di RNA totale da cellule è un processo che viene eseguito con lo scopo

di ottenere una quantità sufficiente di RNA da poter utilizzare per la

retrotrascrizione di c-DNA.

L’RNA totale viene estratto in condizioni e con materiali RF (RNase-Free) per

limitare la degradazione dell’RNA da parte dell’enzima RNase (Fig.16).

Il protocollo di estrazione si articola nelle seguenti fasi:

1. Staccare le cellule in coltura mediante il processo di tripsinizzazione, quindi

centrifugare a 1100 rpm per 5 minuti.

2. Eliminare il sovranatante e sottoporre il pellet a tre lavaggi consecutivi con

PBS, quindi risospenderlo alla fine in mezzo di coltura completo RPMI, in

volume variabile a seconda delle dimensioni del pellet.

3. Procedere alla conta cellulare con la camera di Burker, dopodichè

centrifugare a 1100 rpm per 5 minuti.

4. Eliminare il sovranatante ed aggiungere 1ml di PBS, quindi centrifugare a

1100 rpm per 3 minuti; tale procedura viene eseguita due volte.

5. Al termine dei due lavaggi, aspirare il sovranatante ed aggiungere il buffer

RLT ricostituito (10µl di beta-mercaptoetanolo per 1 ml di buffer RLT non

ricostituito), per indurre la lisi cellulare. Il volume di RLT da utilizzare per

la lisi dipende dal numero di cellule presenti nel campione, secondo la

proporzione fornita dalle istruzioni del fornitore del kit (Tab.5)

Numero di cellule (n) Volume RLT

n < 5x106 350 µl

5x106< n < 1x107 600 µl

Tabella 5. Volume di tampone RLT da utilizzare in base al numero di cellule o al supporto utilizzato.

6. Agitare la provetta con il buffer, in modo da lisare il pellet, ma dato che alla

lisi cellulare corrisponde un aumento della viscosità della soluzione, per

Materiali e metodi Capitolo 3

37

evitare la formazione di grumi o filamenti, è necessario utilizzare una

bacchetta in modo da omogenizzare quanto più possibile il contenuto del

lisato.

7. Trasferire il lisato in una eppendorf, quindi si aggiunge un volume di etanolo

RF 70%, pari a quello di buffer RLT utilizzato, agitando continuamente per

evitare la formazione di due fasi.

8. Caricare una quantità massima di 700 µl di lisato cellulare per ogni spin

column, quindi inserire la colonna in un collection tube da 2 ml e

centrifugare per 1 minuto a velocità maggiore di 10000 rpm.

9. Eliminare l’eluato e procedere con la digestione del DNA genomico

attraverso il kit RNase Free DNase Set (Qiagen, Milano):

- Aggiungere 350 µl di Buffer RW1 e centrifugare per 15 secondi a

velocità maggiore di 10000 rpm e si lascia agire per 15 minuti.

- Dopo questo breve lasso di tempo si aggiungono 350 µl di Buffer RW1

e si centrifuga nuovamente.

- Eliminato l’eluato si aggiungono 500 µl di Buffer RPE e si procede con

una nuova centrifugazione per 15 secondi ad una velocità maggiore di

10000 rpm e si elimina nuovamente l’eluato.

- Si caricano quindi altri 500 µl di Buffer RPE e si procede con una nuova

centrifugazione per 2 minuti a velocità maggiore di 10000 rpm.

- A questo punto, senza aggiungere Buffer, si centrifuga per 1 minuto

sempre a velocità maggiore di 10000 rpm, si elimina il tubo collettore,

ed utilizzando una eppendorf si aggiungono 40 µl di acqua RNase Free

sulla membrana, che viene lasciata idratare per qualche minuto.

- Si centrifuga un’ultima volta per 1 minuto a velocità maggiore di 10000

rpm e l’eluato ottenuto contiene l’RNA, quindi si elimina la colonna e

si alloggia la eppendorf in ghiaccio.

Per determinare la concentrazione e la purezza dei campioni ottenuti sono state

effettuate delle misurazioni spettrofotometriche con NanoQuant Infinite 2000

(TECAN, Salzsburg, Austria) a due lunghezze d’onda: 260 nm e 280 nm. La stima

della purezza del campione è data dal rapporto fra l’assorbanza a 260 nm e quella a

280 nm ed il valore ottenuto dovrà essere compreso tra 1,8 e 2: quanto più il valore

si avvicina a 2, tanto maggiore sarà la purezza dell’RNA estratto.

Materiali e metodi Capitolo 3

38

Figura 16. Schema della procedura per l'estrazione dell'RNA (RNeasy MiniKit, Quiagen, Milano).

3.5.2 Retrotrascrizione

La retrotrascrizione consente di ottenere dall’RNA estratto dalle cellule il cDNA,

che sarà, a sua volta, usato come stampo per la successiva reazione di

amplificazione. La retrotrascrizione viene effettuata seguendo la procedura

descritta dal QuantiTect® Reverse Transcription Handbook (Quiagen, Milano),

riportata di seguito:

1. Scongelare sia l’RNA sia i componenti del kit (gDNA Wipeout Buffer,

QuantiScript Reverse Transcriptase, QuantiScript RT Buffer, RT Primer

Mix, RNase Free Water) e porli in ghiaccio, centrifugandoli prima

brevemente così da far scendere eventuali gocce e si posizionano poi

nuovamente in ghiaccio. E’ necessario inoltre preparare anche la reazione

del DNA genomico (2 µl di gDNA Wipeout Buffer 7x, 1µg di RNA totale,

Materiali e metodi Capitolo 3

39

RNase Free Water q.b a 14 µl) e, come fatto precedentemente, si centrifuga

per far scendere eventuali gocce ed infine si posiziona il tutto in ghiaccio.

2. Incubare i campioni con l’RNA per 2 minuti nel termociclizzatore a 42°C e

posizionarli poi nuovamente in ghiaccio; tale procedura consente di

eliminare il DNA genomico dai campioni.

3. Preparare la Reverse Transcriptase Master Mix: 1 µl di QuantiScript

Reverse Transcriptase, 4 µl di QuantiScript RT Buffer 5x, 1 µl di RT Primer

Mix, i quali vengono aggiunti all’RNA totale privo di DNA genomico (14

µl), ottenuto al punto precedente, per un volume totale di 20 µl.

4. Centrifugare per far scendere eventuali gocce e posizionare in ghiaccio.

5. Incubare nel termociclizzatore seguendo il protocollo specifico per la

retrotrascrizione, in modo tale da attivare l’enzima QuantiScript Reverse

Transcriptase: 30 minuti a 42°C, 3 minuti a 95°C e infinito per 4°C.

I campioni di cDNA ottenuti saranno poi utilizzati per le reazioni di PCR o

conservati a -20°C.

3.5.3 Real-Time PCR

La real-time PCR è stata eseguita per quantificare l’espressione genica del NAPE-

PLD, DAGL-a, DAGL-β, MGLL e FAAH, e degli housekeeping GAPDH

(gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi) e -actina.

I primer forward e reverse, l’acqua, cDNA e la mix sono stati scongelati

preventivamente in ghiaccio.

In ogni well si addizionano:

-5 µl di sonda Syber Green (che va aggiunta per ultima perché è fotosensibile);

-400 nM di primer forward;

-400 nM di primer reverse;

-20 ng di cDNA ottenuto dalla retrotrascrizione dell’RNA estratto e diluito con un

rapporto 1:16;

-acqua quanto basta per ottenere un volume finale di 10 µl.

Materiali e metodi Capitolo 3

40

I protocolli di real-time PCR eseguiti si compongono delle seguenti fasi (Tab.6)

Tabella 6.Protocollo per real-time PCR con sonda SYBER Green.

La temperatura di annealing utilizzata per la GAPDH è di 59°C, DAGL-A (59°C),

DAGL-β (62°C), MGLL (62,8°C), FAAH (53,8°C) e NAPE-PLD (47°C).

3.5.4 Real-time PCR con sonde Taq-man

Le TaqMan sono dei tipi di sonde che sono state progettate per aumentare la

specificità della PCR quantitativa, sono infatti sonde ad ibridazione specifica per il

frammento d’interesse marcate con molecole fluorescenti (Fig.16).

Materiali e metodi Capitolo 3

41

Figura 17. Meccanismo d'azione della sonda TaqMan utilizzata in PCR quantitativa.

Negli esperimenti è stata utilizzata la Taqman® Gene Expression Assays

contenente:

-Master Mix II, no UNG, 2X

-TaqMan®Gene Expression Assay Mix 20X contenente i due primer d’interesse e

6-FAM™;

-RNase-free water;

Si procede seguendo le seguenti fasi:

1.Preparazione della piastra per Real-Time PCR

Ogni pozzetto della piastra da riempire deve contenere un volume finale di 20µl e

si introducono le componenti nel seguente ordine con le rispettive concentrazioni:

-acqua e cDNA (50 ng) (linee tumorali di A375, 501Mel, MeWo, SSM2C, M26C,

Me5 e Melanociti; e sfere di A375, SSM2C, M26C, Me5) per un volume di 9µl;

-Mix 10µl;

Materiali e metodi Capitolo 3

42

-Sonda TaqMan 1µl (CB1, CB2 e il 18s).

2. Protocollo e parametri della Thermal Cycling

-Attivazione della Polimerasi 95°C per un tempo di 10 minuti (eseguto per un solo

ciclo);

-Denaturazione 95°C per un tempo di 15 secondi;

-Annealing 60°C per un tempo di 1 minuto; questi ultimi due step ripetuti per 40

cicli.

Tabella 7. Protocollo di Real-Time PCR con sonde TaqMan.

3.6 Metodi utilizzati per l’analisi tramite Western Blotting

3.6.1 Estrazione proteica

L’estrazione proteica è stata eseguita per ottenere i lisati proteici da utilizzare per

lo studio dell’espressione proteica con Western Blotting.

Tale processo avviene secondo le seguenti fasi:

1. I componenti del kit vengono sciolti e si prepara la soluzione di lisi

addizionando 500µl di Ripa Lysis Buffer, 5µl di PMFS, 5µl del cocktail di

inibitori delle proteasi, 5µl di sodium othovanadate e 5 µl di NaF (inibitore

delle fosfatasi).

2. Dai dischi dove sono state precedentemente seminate e trattate le cellule si

aspira il mezzo ed, i dischi stessi, vengono collocati in ghiaccio, lavati con

PBS freddo ed infine aggiunti del tampone appena preparato.

3. Staccare le cellule con lo scraper e la sospensione cellulare ottenuta viene

trasferita in una eppendorf e mantenuta in ghiaccio.

Materiali e metodi Capitolo 3

43

4. Sonicare le eppendorf con la sospensione per 5 secondi quattro volte,

alternando la sonicazione in ghiaccio; infine incubare per 1 ora a 4°C.

5. Centrifugare a 4°C a 1100 rpm per 10 minuti e trasferire il surnatante,

costituito dal lisato proteico, in una nuova eppendorf che sarà conservata a

-20°C.

3.6.2 Quantizzazione proteica

La quantizzazione delle proteine è un metodo che viene eseguito per la

determinazione del contenuto proteico che si ritrova all’interno del lisato ottenuto

dalle nostre cellule. Nei nostri esperimenti abbiamo utilizzato il “Metodo di

Bradford”, un metodo che rileva la presenza delle proteine mediante il legame di

queste ultime con il colorante Coomassie Blue. Il procedimento è costituito da due

fasi:

1. La prima fase prevede di costruire una retta di taratura utilizzando soluzioni

standard di albumina bovina (BSA). Le soluzioni standard sono preparate

nell’intervallo di quantità tra 1 e 10 µg di proteina per una buona applicabilità del

metodo.

- si preparano tante eppendorf quanti sono i punti della curva di taratura, compreso

il bianco.

- aggiungere ad ogni eppendorf le quantità di acqua indicate in tabella (Tab.8) e

successivamente le quantità di soluzione madre di BSA (1mg/10 ml); aggiungere

infine per ognuna 200 µl di Bradford e vortexare fino a quando si verifica una

variazione di colore da marrone al blu, indice della presenza delle proteine.

L’intensità di tale colorazione è direttamente proporzionale al contenuto proteico.

- attendere 10 minuti e trasferire il contenuto delle eppendorf in cuvette per la lettura

spettrofotometrica a 620 nm.

Materiali e metodi Capitolo 3

44

Tabella 8.Valori per taratura con BSA secondo metodo Bradford.

2. La seconda fase ha lo scopo di dare una lettura di assorbanza allo

spettrofotometro in base al contenuto proteico del nostro lisato. Si procede nel

seguente modo:

- prelevare 10 µl di lisato proteico e metterli in una eppendorf, denominandola con

il nome della linea cellulare da cui deriva.

- aggiungere per ognuna 790 µl di acqua e 200 µl di Bradford, e vortexare.

- attendere 10 minuti e trasferire la soluzione, che ha virato colore da marrone al

blu, in cuvette per poi eseguire la lettura allo spettrofotometro a 620 nm. Ricordarsi

di eseguire la lettura anche del bianco ne quale si aggiunge PBS al posto del lisato

proteico.

Al termine di queste due fasi, viene costruita una retta di taratura nella quale si

interpolano i dati di assorbanza ottenuti dai nostri campioni per determinarne la

concentrazione proteica incognita.

3.6.3 Western Blotting

Il Western Blotting è una tecnica che consente di valutare ed analizzare le proteine

separate con elettroforesi grazie al riconoscimento da parte di anticorpi specifici.

1. La prima parte del protocollo prevede di separare le proteine mediante la

procedura di SDS- PAGE (SDS polyacrylamide gel electrophoresis), un tipo di

elettroforesi che si basa sulla capacità denaturante dell’SDS. L’elettroforesi

Materiali e metodi Capitolo 3

45

pertanto avviene su gel di poliacrilammide, in presenza di sodio dodecil solfato

(SDS), un composto denaturante in grado di legarsi alle proteine e distruggere i loro

legami ad idrogeno e ponti di solfuro, promuovendo così la perdita della loro

struttura secondaria o terziaria. Questo step è indispensabile per permettere ai

complessi proteina-SDS che si formano, di separarsi tra loro solo in funzione della

massa, annullando le cariche degli amminoacidi che influenzerebbero la

migrazione.

2. A questo punto inizia la corsa dove i complessi carichi negativamente migrano

verso il polo positivo del campo elettrico applicato e la loro mobilità risulta essere

inversamente proporzionale al Log10 del loro peso molecolare.

2.1 Per eseguire tale corsa vengono utilizzati due diversi tipi di gel: lo Stacking gel,

che permette di posizionare e concentrare i campioni negli appositi pozzetti,

affinchè questi possano iniziare la loro corsa elettroforetica dallo stesso punto; il

Resolving gel sottostante, ha invece la funzione di separare le proteine dei vari

campioni sulla base del loro peso molecolare (Fig.18).

Inizialmente si prepara quindi il gel di corsa secondo quanto è riportato dal

protocollo (Tab.9).

Tabella 9. Sostanze e relative quantità usate nella preparazione dei gel.

-Il Resolving Buffer è costituito da Tris base 1,5 M diluito in acqua milliQ e portato

a pH di 8.8.

-Lo Stacking Buffer è formato da Tris base 0,5 M diluito con acqua milliQ e portato

a pH di 6.8.

Materiali e metodi Capitolo 3

46

Le due miscele vengono agitate e, solo al momento dell’uso, vengono aggiunti i

catalizzatori APS (ammonioperisolfato 10%) e TEMED (Tetrameti-Etilen-

Diammina), il quale, una volta attivato da APS, funziona da catalizzatore rendendo

reattiva l’acrilamide ed inducendo così una polimerizzazione radicalica e la

formazione del gel.

Si procede quindi prima al caricamento del Resolving gel ed, una volta che il gel si

è solidificato, viene caricato lo Stacking gel, all’interno del quale si inserisce il

pettine che permette la formazione dei pozzetti al cui interno saranno caricati i

campioni.

2.2 Una volta preparato il gel, questo viene introdotto nella camera di elettroforesi,

immerso nel tampone di Running (TRIS 25 mM, 0,1% SDS e glicina 192 mM, il

tutto portato a pH di 8.3).

Prima di procedere al caricamento dei campioni è opportuno verificare che il livello

del liquido all’interno della camera sia più elevato di quello esterno. Si procede

quindi al caricamento dei campioni nei pozzetti, dopo averli scaldati per 3 minuti a

37°C così da favorire ulteriormente la completa denaturazione proteica per poi

effettuare la corsa elettroforetica a 110 V per circa 90 minuti.

Figura 18. Schema dell'SDS page.

Materiali e metodi Capitolo 3

47

3. Terminata la corsa elettroforetica, il gel di poliacrilamide contenente le proteine

separate, viene trasferito su membrana di nitrocellulosa, riequilibrata

precedentemente in tampone di Blotting (TRIS 25 mM, 0,1% di SDS, 20% di

Metanolo, 192 mM di glicina, il tutto portato a pH di 8.3).

3.1 Si procede dunque alla preparazione del Sandwich costituito nell’ordine dal

catodo verso l’anodo di spugna/ carta da filtro/ membrana di nitrocellulosa/ gel/

carta da filtro/ spugna. Durante tale procedura bisogna fare molta attenzione ad

evitare la formazione di bolle (Fig.19).

Figura 19. Componenti del sandwich e camera di trasferimento.

3.2 Il sandwich viene inserito all’interno di una camera di trasferimento immerso

in soluzione di Blotting fredda e si fa passare corrente a 330 mA per 90 minuti

perpendicolarmente al gel, provocando così il trasferimento delle proteine dal gel

alla nitrocellulosa.

3.3 Terminato il blotting, il sandwich viene aperto e la membrana viene colorata

per verificare il corretto trasferimento delle proteine, usando come colorante una

soluzione composta da: 0,1% di naphtol blue black, 10% di metanolo e 2% di acido

acetico. Successivamente si procede con la fase di decolorazione utilizzando una

soluzione formata al 50% da metanolo e 7% di acido acetico.

3.4 Si prosegue con la fase di Blocking che serve a bloccare tutti i siti di legame

aspecifici sulla nitrocellulosa. La membrana è quindi incubata in soluzione di

Materiali e metodi Capitolo 3

48

blocking (TRIS 20mM 2,42 g/l, NaCl 500mM 29,4 g/l pH 8.0, Tween-20 0,05% e

no-fat milk 5%) per 45 minuti su una bascula, così da essere mantenuta

costantemente in agitazione.

4. Trattamento con gli Anticorpi

4.1 Durante il tempo precedente nel quale la nitrocellulosa si trova sulla bascula in

soluzione di blocking, si procede con la preparazione della soluzione diluita con

anticorpo primario per β-actina (1:1000), CB1 (1:1000) e BRAF (1:1000) in

soluzione di blocking all’ 1%.

Terminato il periodo di incubazione, la soluzione viene rimossa e si aggiunge

successivamente quella contenente l’anticorpo primario e si lascia incubare tutta la

notte su una bascula a 4°C.

4.2 Il mattino successivo, una volta recuperata la soluzione con l’anticorpo in cui è

stata incubata la nitrocellulosa, vengono effettuati 3 lavaggi, ciascuno di 5 minuti,

con la soluzione di TBS- Tween 0,1% con il fine di eliminare l’anticorpo primario

non legato, lavorando con i campioni collocati su una bascula a temperatura

ambiente.

4.3 Terminata tale procedura si aggiunge la soluzione contenente l’anticorpo

secondario specifico precedentemente preparato alla opportuna diluizione, β-actina

Ab II anti-mouse (1:4000), CB1 Ab II anti-rabbit (1:4000), BRAF Ab II anti-mouse

(1:4000), lasciando incubare per 2 ore (Fig.20).

4.4 Finita questa incubazione, si effettuano tre lavaggi ciascuno con la soluzione di

TBS- Tween 0,1% a temperatura ambiente e della durata di 5 minuti.

Materiali e metodi Capitolo 3

49

Figura 20. Rappresentazione del trattamento delle nitrocellulose con anticorpo primario e secondario.

5. L’ultima fase del Western blotting consiste nella rilevazione delle bande

corrispondenti alle proteine di interesse con lo strumento ImageQuant LAS 4000

(Fig.21).

Figura 21. Strumento ImageQuant LAS 4000.

Tale strumento ha una risoluzione elevata, fino a 6,3 MPel (3072 ×2048 pixel) ed

una profondità di fuoco pari a 480mm. Il rumore di fondo è ridotto grazie al sistema

di raffreddamento a -25°C; la quantificazione è uniforme ed è possibile eseguire

Materiali e metodi Capitolo 3

50

rilevazioni multiplex nelle quali, la sensibilità, è tale da permettere il rilevamento

anche di 40 ng di proteine.

Le membrane vengono poste su pellicola e su di esse viene versata goccia a goccia

la soluzione con reagente luminescente ECL (preparata in rapporto 1:1) per 1

minuto. Al termine del tempo stabilito, le membrane vengono ricoperte da pellicola

ed inserite nello strumento che eseguirà la rilevazione delle bande corrispondenti

alla proteina di interesse nei diversi campioni.

Risultati e discussione Capitolo 4

51

CAPITOLO 4

Risultati e Discussione

4.1 Profilo di espressione genica dei componenti del sistema endocannabinoide

nel melanoma

4.1.1 Valutazione dell’espressione del recettore CB1 in cellule di melanoma

Lo studio di real-time PCR, usando sonde TaqMan, ha dimostrato che il recettore

dei cannabinoidi di tipo 1 (CB1R) è espresso nelle linee cellulari tumorali A375 e

501Mel e nelle cellule derivanti dal paziente Me5. I melanociti, la linea cellulare

MeWo e le cellule derivanti dal paziente SSM2c e M26c non esprimono, o

esprimono il recettore CB1 a livelli molto inferiori (Fig.22).

Figura 22. Espressione del recettore CB1 in diverse linee di melanoma cutaneo maligno.

I risultati suggeriscono una possibile associazione tra l’espressione del recettore

CB1 e la presenza della mutazione BRAF V600E. Infatti, il recettore risulta essere

espresso a più alti livelli nelle linee tumorali mutanti rispetto a quelle con genotipo

BRAF wild type. Questi risultati sono in parte in linea con quelli riportati nella

Risultati e discussione Capitolo 4

52

letteratura (Haskò et al., 2014; Kenessey et al., 2011), anche se la possibile

associazione tra CB1 e BRAF non è stata ancora chiaramente dimostrata.

4.1.2 Valutazione dell’espressione del recettore CB1 in cellule staminali di

melanoma.

L’espressione del gene che codifica per il recettore CB1 nelle cellule staminali di

melanoma aveva un profilo analogo a quello osservato nelle cellule tumorali da cui

derivavano, in particolare le linee A375 e Me5 (BRAF mutato) lo esprimevano a

livelli più elevati rispetto a quelli nelle staminali derivate da cellule con BRAF wild

type (SSM2c e M26c) (Fig.23). Il rapporto di espressione tra linea parentale e

derivata staminale era circa 10:1 per le cellule 501 Mel e 1:1 per le A375 (Fig. 22

e 23).

Figura23. Espressione del recettore CB1 nelle cellule staminali di melanoma.

È stato dimostrato che il recettore CB1 è espresso in cellule staminali di glioma

(Aguado et al., 2007) e in cellule di carcinoma embrionale P19 (Gustafsson et al.,

2013), mentre non ci sono evidenze della loro presenza nelle staminali di melanoma

Risultati e discussione Capitolo 4

53

cutaneo maligno. Questi risultati quindi incoraggiano allo studio del ruolo del

sistema endocannabinoide nelle cellule iniziatrici di melanoma.

4.1.3 Valutazione dell’espressione del recettore CB2

Dagli studi in real-time PCR non emergeva la presenza del recettore CB2 sia nelle

cellule staminali, sia nelle rispettive tumorali primarie e nelle linee A375, 501 Mel

e MeWo (Tab.10). Come controllo positivo è stato utilizzato cDNA estratto da

cellule Jurkat (linfociti T immortalizzati) nelle quali è stata precedentemente

dimostrata la presenza del recettore CB2 (Börner et al., 2007).

Il ruolo indiretto dei recettori CB2 nel controllo della progressione e disseminazione

del melanoma nel SNC è stato comunque dimostrato in vitro (Haskò et al., 2014).

Tabella 10. Espressione del recettore CB2.

Risultati e discussione Capitolo 4

54

4.1.4 Valutazione dell’espressione degli enzimi coinvolti nella biosintesi e nel

catabolismo di AEA

L’espressione dei geni codificanti per gli enzimi NAPE-PDL e FAAH è stata

dimostrata nella linea di melanoma A375 ma non nelle cellule staminali

corrispondenti, nei melanociti, nelle altre linee cellulari tumorali e nelle cellule

derivanti da pazienti utilizzate nel nostro studio (Fig.24).

Figura 24. Espressione degli enzimi NAPE-PLD e FAAH deputati rispettivamente alla sintesi e al catabolismo di AEA.

Il rapporto tra i livelli di espressione di NAPE-PDL e FAAH nelle cellule A375 era

circa 300:1 indicando una propensione da parte di questa linea a sintetizzare AEA

in eccesso rispetto alla capacità di catabolismo cellulare.

4.1.5 Valutazione dell’espressione degli enzimi coinvolti nella biosintesi e nel

catabolismo di 2-AG

Lo studio di espressione genica ha evidenziato livelli particolarmente elevati di

espressione del gene che codifica per DAGL-A nella linea A375, e in misura minore

nelle altre linee saggiate, comprese le staminali derivate dalla stessa linea A375 e i

normali melanociti (Fig. 25).

Risultati e discussione Capitolo 4

55

Figura 25. Espressione degli enzimi DAGL-a, DAGL-b e MAGLL deputati rispettivamente alla sintesi e al catabolismo di 2-AG.

DAGL-B è espresso soprattutto nelle staminali ssM2c e a livelli molto più bassi

nelle staminali sA375, mentre nelle altre linee l’espressione dell’enzima era

trascurabile (Fig. 25). L’espressione di MAGLL, l’enzima deputato al catabolismo

del 2-AG, è stata osservata nei normali melanociti ma non nelle cellule tumorali e

nelle staminali corrispondenti valutate nel nostro studio (Fig. 25). I nostri risultati

evidenziano uno sbilanciamento del metabolismo del 2-AG nelle cellule tumorali

rispetto ai normali melanociti, che sembra favorire la sintesi dell’endocannabinoide.

L’enzima MAGLL è noto essere presente in molte cellule e tessuti del nostro

organismo coinvolto nei meccanismi lipolitici alla base della sintesi e della

liberazione di lipidi. Recenti studi hanno evidenziato un collegamento tra elevata

espressione di MAGLL e malignità in tumori come il carcinoma prostatico non

dipendente dagli androgeni. Sembra infatti che in questa specifica neoplasia la

maggiore quantità di lipidi disponibili contribuirebbe positivamente all’attivazione

di molecole-segnale tumorali aumentando la migrazione, la sopravvivenza e la

crescita della neoplasia (Nomura et al., 2010).

Risultati e discussione Capitolo 4

56

4.2 Profilo di espressione proteica del recettore CB1 nel melanoma

Sulla base dei risultati di esspressione genica, abbiamo utilizzato i lisati proteici

ottenuti dalle linee cellulari tumorali A375, 501Mel, e MeWo per valutare il livello

di espressione del recettore CB1.

Figura 26. Espressione proteica del recettore CB1 in linee cellulari di melanoma.

Rispetto alla β-actina, utilizzata come housekeeping, è molto espressa nelle linee

saggiate, i livelli di espressione del recettore CB1 erano relativamente bassi a parità

di quantità iniziale di proteine analizzate. Pertanto, negli esperimenti successivi, è

stata quasi raddoppiata la quantità di proteine caricate nel gel di poliacrilamide (80

µg anziché 50 µg) per il CB1. In queste condizioni, la banda corrispondente al

recettore CB1 (54 KDa), era maggiormente espressa nelle linee cellulare BRAF

mutate (A375 e 501Mel) rispetto alla linea cellulare MeWo, con genotipo BRAF

wild type (Fig.26). I risultati erano in accordo con quelli ottenuti mediante real-time

PCR.

.

Conclusioni Capitolo 5

57

CAPITOLO 5

Conclusioni

Il sistema endocannabinoide ha un ruolo funzionale importante nella proliferazione

cellulare e per questo è studiato molto in relazione ai meccanismi di crescita

tumorale. Attraverso gli esperimenti che hanno caratterizzato questo lavoro di tesi

abbiamo iniziato a valutare ciò che nella letteratura scientifica non è ancora ben

chiaro, e cioè il ruolo del sistema endocannabinoide nel melanoma cutaneo

maligno.

I risultati degli esperimenti sulla trascrizione genica dimostrano che il recettore CB1

è più espresso nelle linee cellulari di melanoma con mutazione del gene BRAF (che

codifica per una proteina coinvolta nei processi di proliferazione cellulare) rispetto

alle cellule tumorali con un genotipo BRAF wild type, suggerendo un possibile

collegamento con la maggiore aggressività cellulare associata alla presenza della

mutazione. Lo studio ha inoltre evidenziato l’espressione di tale recettore anche

nelle cellule staminali tumorali derivate da linee BRAF mutate ma non in quelle

derivate da cellule BRAF wild type o nei normali melanociti. Non è stata invece

evidenziata la presenza del recettore CB2, in termini di trascrizione genica, nelle

linee cellulari studiate. Nonostante il ruolo di questo sottotipo recettoriale nel

mantenimento del fenotipo cellulare tumorale sembri non essere determinante, il

suo significato funzionale nella progressione di questa neoplasia necessità di

ulteriori chiarimenti.

Un’altra importante osservazione è stata eseguita sulle cellule tumorali, cresciute in

terreno di coltura con presenza o meno di siero, per valutare un’eventuale

variazione dell’espressione del CB1 e della proteina BRAF. A tal proposito

abbiamo potuto evidenziare il fatto che, nelle cellule private del siero, vengano

messi in atto dei meccanismi compensatori, in risposta alla mancanza di nutrienti,

per i quali si ha un aumento dell’espressione sia del CB1 che di BRAF e quindi

possiamo concludere che, tali cellule, abbiano una maggiore aggressività, rispetto

alle stesse cresciute in terreno di coltura completo.

Conclusioni Capitolo 5

58

Infine, abbiamo dimostrato l’espressione genica di enzimi deputati alla sintesi e al

metabolismo degli endocannabinoidi endogeni, AEA e 2-AG. I risultati indicano

che, rispetto ai normali melanociti, le cellule di melanoma cutaneo maligno

sembrano metabolicamente orientate a conservare la sintesi di endocannabinoidi.

Questi studi rappresentano un punto di partenza importante indicando un possibile

ruolo del sistema endocannabinoide nel melanoma cutaneo maligno. Sono in corso

d’opera esperimenti con tecniche di silenziamento genico, finalizzati a valutare il

significato funzionale del recettore CB1 nella linea A375. Dati preliminari indicano

che il silenziamento del recettore induce un rallentamento della crescita tumorale

in vitro e una minore attività clonogenica delle cellule tumorali, nella direzione

degli studi di trascrizione genica oggetto di questa tesi di laurea. Il nostro obiettivo

è quello di capire se la modulazione del sistema endocannabinoide possa

rappresentare una nuova e concreta strategia farmacologica in grado di arrestare

questa devastante malattia.

Nomenclatura

59

Nomenclatura

2-AG 2-arachidonoilglicerolo

501 Mel Linea cellulare di melanoma metastatico

A375t Linea cellulare di melanoma metastatico

A375s Sfere di melanoma metastatico della linea A375

AbI e AbII Anticorpo primario e secondario

AEA Anandamide

APS e TEMED Catalizzatori per gel di Western Blotting

BRAF V600E Mutazione a carico della proteina BRaf

CB1 e CB2 Recettori cannabinoidi

CDK Ciclina chinasi-dipendente che inattiva Rb

CMC Cellule staminali tumorali

COX-2 Enzima coinvolto nel metabolismo di 2-AG

CT Ciclo Threshold

DAGL-A e DAGL-B Enzimi che sintetizzano il 2-AG

DMEM Dulbecco’s Modified Medium, mezzo di coltura

DMSO Dimetilsolfossido, parte del mezzo di congelamento

ECS Sistema endocannabinoide

ERK Extracellular signal-regulated kinases

FAAH Enzima che metabolizza l’AEA

FBS Siero fetale bovino

GAPDH Gene housekepping

M2 Melanocytes Growth Medium, mezzo di coltura

Nomenclatura

60

MAPK Mitogen-actvated protein kinase

Me5 t Linea tumorale isolata da paziente

Me5 s Sfere della linea corrispondente Me5

Me26c t Linea tumorale isolata da paziente

Me26c s Sfere della linea corrispondente Me26c

MGLL Enzima che metabolizza IL 2-AG

MeWo Linea cellulare di melanoma metastatico

NAPE-PLD Enzima che sintetizza l’AEA

P/S Penicillina/ Streptomicina

PBS Phosfate saline buffer

Rb retinoblastoma, soppressore tumorale

RPMI Rosewell Park Memorial Institute, mezzo di coltura

SDS Sodio dodecil solfato

SSM2c t Linea tumorale isolata da paziente

SSM2c s Sfere della linea corrispondente SSM2c

TA Temperatura di annealing

TM Temperatura di melting

Try Tripsina

61

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74

Indice delle Tabelle

Tabella 1.1 Fattori di rischio di melanoma cutaneo 16

Tabella 3.2 Cellule isolate da singolo paziente 30

Tabella 3.3 Sequenza dei primer utilizzati in Real Time PCR 31

Tabella 3.4 Primer utilizzati in sonde TaqMan 32

Tabella 3.5 Volume di tampone RLT da utilizzare in base al numero di cellule 36

Tabella 3.6 Protocollo di real-time PCR con sonda SYBERGreen 40

Tabella 3.7 Protocollo di real-time PCR con sonda TaqMan 42

Tabella 3.8 Valori per taratura con BSA, Metodo Bradford 44

Tabella 3.9 Sostanze per preparazione gel in Western Blotting 45

Tabella 4.10 Espressione del recettore CB2 53

75

Indice delle Figure

Figura 1.1 Struttura chimica dei principali composti cannabinoidi 5

Figura 1.2 Struttura dei recettori cannabinoidi CB1 e CB2 5

Figura 1.3 Struttura del recettore CB1 6

Figura 1.4 Catabolismo degli endocannabinoidi 8

Figura 1.5 Biosintesi e metabolismo degli endocannabinoidi 9

Figura 1.6 Rappresentazione schematica di cute sana 13

Figura 1.7 Percentuali dei casi di melanoma 14

Figura 1.8 Incidenza e mortalità di melanoma nel mondo 15

Figura 1.9 Prevalenza di mutazioni a carico del gene CDKN2A 17

Figura 1.10 Ciclo cellulare in cellule eucariote 19

Figura 1.11 Rappresentazione della via di segnale MAPK/ERK 20

Figura 1.12 Cellule iniziatrici di melanoma 22

Figura 3.13 Rappresentazione linea cellulare A375 25

Figura 3.14 Rappresentazione linea cellulare MeWo 26

Figura 3.15 Rappresentazione melanociti NHEM 27

Figura 3.16 Schema di estrazione dell’RNA 38

Figura 3.17 Meccanismo d’azione della sonda TaqMan 41

Figura 3.18 Schema dell’SDS page 46

Figura 3.19 Componenti del sandwich e camera di trasferimento 47

Figura 3.20 Trattamento della nitrocellulosa con i rispettivi anticorpi 49

Figura 3.21 Strumento ImageQuant LAS 4000 49

Figura 4.22 Espressione del recettore CB1 51

Figura 4.23 Espressione del recettore CB1 in cellule staminali di melanoma 52

Figura 4.24 Espressione NAPE-PLD e FAAH 54

Figura 4.25 Espressione DAGL-a, DAGL-b e MAGL 55

Figura 4.26 Espressione proteica del recettore CB1 in linee di melanoma 56

Figura 4.27 Espressione proteica del recettore CB1 e BRAF in linee starvate e non

starvate 57

76

Ringraziamenti

Desidero ringraziare il Professor S. Fogli, mio relatore, per la sua disponibilità e

pazienza, ma soprattutto professionalità, mostrata nei mie confronti durante tutto

il periodo di tesi.

Un sentito ringraziamento va a tutto il laboratorio di farmacologia, Dott.ssa Carpi,

nonché mia correlatrice, Dott.ssa Polini e Prof.ssa Nieri, che mi hanno supportato

ed aiutato nello sviluppo di questo lavoro fornendomi suggerimenti preziosi.

Infine desidero precisare e ringraziare l’importante collaborazione con l’ITT

(Istituto Toscano Tumori), in particolare la Dott.ssa Barbara Stecca, grazie ai

quali ci sono stati forniti elementi necessari per eseguire i nostri studi.