DIOCESI DI CESENA-SARSINA -...

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DIOCESI DI CESENA-SARSINA

LA CATTEDRALE DI CESENA

a cura di Pietro Turci

Testi Marino Mengozzi e Giampiero Savini (La cattedrale) Paola Baratelli e Pietro Turci (Il museo della cattedrale) Referenze fotografiche William Ceccaroni Egidio Neri Gian Paolo Senni Gian Angelo Sirotti Pianta Oddone Pezzi In copertina Corrado Giaquinto, Genealogia della Vergine (part. con la Madonna e il Bambino)

La cattedrale - cioè la chiesa in cui si trova la cathedra, il trono episcopale - è il principale edificio sacro della diocesi dove il vescovo, unitamente al capitolo, celebra con particolare solennità le funzioni religiose, amministra i sacramenti e predica la fede. Per questo essa è collocata nel punto centrale della città storica, entro le mura, attorniata dalla domus del Vescovo, dall'aula capitolare e, in antico, da un edificio- l'ospedale per malati e pellegrini - in rapporto con le funzioni caritative del pastore diocesano. La cattedrale rappresenta dunque l'edificio più importante della città e il suo fulcro urbanistico. Ma la chiesa-madre, per ruolo e storia, è divenuta anche un luogo di collezione e fruizione pubblica in quanto custodisce, nel suo spazio definito e marcato da precise sedimentazioni storiche, opere d'arte rilevanti; in essa confluiscono non soltanto credenti e fedeli ma anche agnostici e turisti. Gli uni e gli altri, percorrendola, hanno non solo la possibilità di coglierne il messaggio artistico ma anche l'obbligo di comprenderne il sistema simbolico, la funzione e il messaggio: soltanto così, infatti, il visitatore può percepire il significato e il valore dei manufatti d'arte sacra, le ragioni delle committenze, le ispirazioni del sotteso progetto catechetico. Dipinti e sculture, arredi liturgici e manufatti sacri, nel loro sito originario o raccolti in spazio museale, trasmettono - con linguaggio talvolta complesso - non soltanto significati estetici ma anche valori e simboli, pregnanza iconografica e interpretazioni scritturali; diventano, in definitiva, veicolo dell'immaginario religioso che li ha pensati, desiderati e realizzati. Nella circostanza dell'inaugurazione del museo della cattedrale, ospitato nello storico spazio della cappella di San Tobia che in passato fu l’oratorio dell'omonimo ospedale, questa guida intende offrire al cittadino, al fedele e al turista una semplice formula di lettura e comprensione del patrimonio storico, architettonico, artistico e culturale racchiuso nella basilica cattedrale cesenate di San Giovanni Battista. DAVIDE TRAVISANI + LINO GARAVAGLIA Presidente Fondazione Vescovo di Cesena-Sarsina Cassa di Risparmio di Cesena

Pianta della Cattedrale

NAVATA DESTRA 1. Anonimo, Urna di S. Mauro, 1645 (?)

2. Bottega del Bregno (attr.), S. Antonio Abate, sec. XVI

3. Anonimo, Crocifisso di San Zenone, sec. XV

4. Ottaviano di Antonio di Duccio, Area sepolcrale del Vescovo Antonio Matatesti, 1467

5. Giovanni Battista Bregno, Altare del Corpus Domini, 1494-1505

6. Livio Modigliani, S. Girolamo, 1574 (?) PRESBITERIO 7. Giuseppe Milani, Decollazione di S. Giovanni Battista, 1782

8. Nicola Sebastio, Storie di S. Giovanni Battista, 1981

9. Giuseppe Milani, Nascita di S. Giovanni Battista, 1782 NAVATA SINISTRA 10. Antonio e Giovanni Grandi, Sarcofago di S. Severo, 1644-1645

11. Bottega di Antonio Aleotti (attr.), La Santissima Trinità adorata da S. Francesco e dal canonico Cesare Isolani, 1509

12. Meridiana di Marinace, 1022

13. Vincenzo Gottardi, S. Severo venerato da Carlo e Camillo Verardi, 1490c. CAPPELLA DELLA MADONNA DEL POPOLO

14. Bartolomeo Ramenghi da Bagnacavallo, Madonna del Popolo, anni '20-'30 del sec. XVI

15. Corrado Giaquinto, Genealogia della Vergine, 1750-1751

16. Lorenzo Bregno, S. Cristoforo, S Leonardo e S. Eustachio, 1514-1517

17. Fonte battesimale, sec. XVI

18. Girolamo Cialdieri. Beata Vergine col Bambino, angeli, i Ss. Severo e Mauro, la città di Cesena, i martiri Eugario, Firmio, Genesio e Concordia, 1625

Facciata e fianco destro

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L’esterno L'antica cattedrale di San Giovanni Battista in Superclo (pieve urbana con residenza vescovile), forse già esistente dal VI-VII secolo, era situata nella fortezza militare, chiamata Murata, sul colle Garampo (in castro, e dunque in un'area distinta dal burgus). Nell'ultimo scorcio del Trecento essa risultava ormai impraticabile a motivo dei danni arrecati da Cia degli Ordelaffi (1357), nel tentativo di opporsi all'espugnazione della rocca da parte delle truppe papali guidate dal cardinale Egidio Albornoz; in seguito fu probabilmente interessata anche dagli eventi drammatici del ben noto Sacco dei Bretoni del 3 febbraio 1377, voluto dal cardinale Roberto da Ginevra e da Giovanni Acuto. Le condizioni dell'edificio indussero pertanto i vertici diocesani (Preposto e Capitolo dei canonici) e comunali (Consiglio e Anziani della città) ad appellarsi al papa Urbano VI (Bartolomeo Prignano, 1378-1389) per avere l'autorizzazione ad una nuova costruzione; il pontefice, rispondendo con una lettera del 2 agosto 1378 al vescovo di Bertinoro (forse perché assente il presule

cesenate), raccomandò che la vecchia cattedrale continuasse a essere officiata, evitando così di ridurla a usi profani, e concedette la licenza all'edificazione della nuova fabbrica «in honorem et sub vocabulo S. Joannis Baptiste» («in onore e sotto il titolo di S. Giovanni Battista»), «quasi nello ombilico della cittade», come ebbe a esprimersi quasi due secoli dopo Nicolò II Masini (1553-1602), vale a dire in luogo della chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate, detta anche della Croce di Marmo. La nuova cattedrale di San Giovanni Battista (il titolo rimase invariato) sorse dunque nell'ultimo ventennio del Trecento, anche se i termini cronologici permangono incerti: in ogni caso fra gli anni 1378-1408. Il Masini scrive: «Fece dunque Malatesta [Andrea Malatesti, 1373-1416] fondare questo tempio alli 22 di Marzo [1408] per mano di uno eccellente architetto tedesco, il nome di cui vogliono alcuni dire che fosse Undivaldo»; secondo Scipione Chiaramonti la costruzione era pressoché terminata nel primo anno dell'episcopato

Abside e campanile

di Gregorio Malesardi (1405-1419); Pietro Burchi retrocede il compimento al 1390; sicuramente nel 1398 la chiesa era aperta al culto, ma non si conosce la data della consacrazione. Nulla si sa dell'architetto Undervaldo (i cronisti locali lo chiamano anche Andrevaldo, Undeswaldo, Andrea Valdo). Il tempio, d'impianto basilicale a tre navate, è di stile romanico nelle fiancate esterne e gotico all'interno, caratterizzato da archi e monofore. a sesto acuto, asimmetriche, nelle navate e nelle pareti laterali. La fabbrica sarà completata dal vescovo Antonio Malatesti da Fossombrone (1435-1475), cui si deve anche la costruzione dell'episcopio, completato dal successore Giovanni Venturelli da Amelia (1475-1486): gli avanzi dell'antico palazzo vescovile sono visibili nel portico di levante e in quel che rimane della sovrastante loggetta, vicino all'abside della cattedrale. La sede episcopale, che nel Seicento fu sottoposta a ulteriore ampliamento, deve l'attuale configurazione a radicali lavori compiuti negli anni Sessanta-Settanta del Novecento. L'edificio della cattedrale subì varie trasformazioni, soprattutto all'interno: nel Seicento con la costruzione della cappella Albizzi (1679), detta poi della Madonna del Popolo, e soprattutto col rifacimento del coro e coi grandi restauri operati nel corso degli anni 1681-1683 per impulso del cardinale Orsini; nel 1746 si procedette all'ampliamento e

alla sopraelevazione della cappella della Madonna del Popolo ad opera dell'architetto Pietro Carlo Borboni; nel 1867 per ragioni di spazio e viabilità fu demolito 1'originario sagrato antistante il portale; fra 1886 e 1892 l'architetto bolognese Francesco Gualandi, 1821-1902, trasformò in stile neogotico l'interno; agli anni 1957-1960 risalgono infine 1 radicali restauri voluti dal vescovo Augusto Gianfranceschi (1957-1977) e diretti dal veronese Ferdinando Forlati, protoarchitetto della basilica di San Marco a Venezia. Da segnalare che durante il pontificato di Pio VI si concepì l'idea di rifare dalle fondamenta la cattedrale, affidandone il progetto all'architetto imolese Cosimo Morelli (1732-1810), ma l'impresa, di cui rimangono i disegni, non andò in porto. La facciata nella parte inferiore è scandita da otto lesene, in quella superiore da tre timpani, triangolare quello al centro, semicircolari ai lati, accompagnati alle estremità da pinnacoli. La configurazione del fronte superiore è dovuta al completamento di fine Quattrocento, d'impronta rinascimentale, ad opera dell'architetto veneziano Mauro Codussi (1440-1504): a lui vanno attribuiti pure gli ornamenti in cotto sulle paraste, nell'architrave Sottostante il timpano e intorno all'occhio centrale. Il portale marmoreo a colonnette tortili intramezzate da pilastri, qui collocato e adattato nel 1497, mostra chiaramente l'età più antica rispetto alla facciata:

Ilario Fioravanti, Porta bronzea

proviene infatti dalla distrutta chiesa dell'abbazia benedettina di San Lorenzo fuori le mura, la cui prima notizia risale al 1208, situata in prossimità del fiume Savio. Il 17 febbraio 2001, quale memoria artistica del grande giubileo 2000, è stato inaugurato il nuovo portone bronzeo (dono della Banca di Cesena), del cesenate Ilario Fioravanti. L'opera si articola in orto formelle laterali, con scene di Vita del Battista, che delimitano le grandi ante centrali raffiguranti l'incontro di Cristo con Giovanni; la scena sovrastante rappresenta I quattro evangelisti che fiancheggiano la Crocifissione; nella lunetta Madonna con Bambino fra i Ss. Vicinio e Mauro, patroni della diocesi di Cesena-Sarsina. A destra del portale è murata una lapide in marmo rosa che menziona un'indulgenza concessa da Pio VI («Indulgenza plenaria quotidiana perpetua applicabile ancora per li defonti concessa da Pio papa VI li IX luglio MDCCXCIII»); segue una nicchia, che custodisce una Madonna con Bambino; la statua, firmata nel basamento, di fattura arcaizzante e di sapore popolare, è stata eseguita nel 1510 da Vincenzo Gottardi, pittore e scultore appartenente ad un'importante famiglia di argentieri, socio in diverse occasioni di Tommaso Fiamberti, documentato a Cesena dal 1498 al 1518. Sul fianco sinistro sono collocati; una colonna con alla sommità una croce Viaria, memoria dell'antico toponimo

Vincenzo Gottardi,

Madonna col Bambino Croce di Marmo; la statua di S. Giovanni Battista, opera del cesenate Leonardo Lucchi; l'antico fonte battesimale della cattedrale recante l'iscrizione «Frater Vincentius Maria Ursinus Romanus Ord(inis) Praed(icatorum) S(anctae) R(omanae) E(c1esiae) Presb(yter) Card(inalis) S(ancti) Xysti Archiepiscopus Sipontinus S(anctae) Caesen(atensis) Eccl(esiae) Pontifex Gravinae An(no) D(omini) MDCLXXXII exculptum» («Fra' Vincenzo Maria Orsini, romano, dell'Ordine dei Predicatori, cardinale presbitero di Santa Romana Chiesa con il titolo di S. Sisto, arcivescovo di Manfredonia, vescovo della Santa Chiesa di Cesena, nativo di Gravina, scolpito nell'anno del Signore 1682»), originariamente posto nella cappella-battistero voluta dal vescovo cardinale Vincenzo Maria Orsini

(1680-1686, poi papa Benedetto XIII, 1724-1730): vi furono battezzati il 27 dicembre 1717 Giovanni Angelo Braschi e il 15 agosto 1742 Barnaba Gregorio Chiaramonti, i due pontefici cesenati (Pio VI, 1775-1799; Pio VII, '1800-1823); vi è situato inoltre un lapidarium con varie epigrafi, in gran parte vescovili, provenienti dall'interno e qui sistemate dopo l'ultima ristrutturazione.

IL CAMPANILE Iniziato per volere del vescovo Malatesti nel 1443, fu terminato nel 1456; la torre campanaria, alta 72 metri, massiccia ma slanciata, con le monofore asimmetricamente disposte, è opera di Maso di Pietro da Val Lugano («magister Maxius quondam magistri Petri de Valle Lugani», «maestro Maso

Campanile

del fu maestro Pietro da Val Lugano»: lo stesso maestro di fabbrica della chiesa e del convento dell'Osservanza); al piano sottostante la cella campanaria, di chiaro Impianto rinascimentale, si trovano tre mattonelle in cotto, murate all'interno appena al di sopra delle monofore sui lati nord-sud-est, che documentano la data di costruzione (1456) e la firma del costruttore (M° Maxo). I1 campanile culminava con una pigna di mattoni, danneggiata da una saetta nel 1484; l'attuale cuspide risale al '1753. Le quattro bifore a tutto sesto, in marmo istriano, della cella campanaria vi furono collocate nel 1471; recano lo stemma del vescovo Malatesti.

LA CAPPELLA DI SAN TOBIA Addossata all'abside sul lato opposto al campanile e aggettante sull'attuale corso Garibaldi, la cappella di San Tobia (oggi sede del Museo della cattedrale), edificata nel 1528, mostra impianto e fattura rinascimentali e conserva il titolo dell'omonimo ospedale, ben nota istituzione assistenziale e caritativa della città. L’oratorio, non più officiato a partire dagli ultimi restauri e poi usato per la collocazione dell'organo della cattedrale, è stato in seguito liberato, ristrutturato e ora adibito a spazio museale per l'esposizione del tesoro e degli arredi liturgici della cattedrale. L'ospedale di San Tobia, documentato fin dal 1348, era prevalentemente finalizzato all'assistenza dei pellegrini. Nel

Cappella di San Tobia (esterno) 1797 fu soppresso e accorpato al vicino ospedale del Crocifisso (attestato già nel 1315, prima con il titolo di Santa Maria della Carità e poi del maestro Ugolino; il signore della città Malatesta Novello lo fece ricostruire negli anni 1452-1459 intitolando lo al Crocifisso; venne sottoposto a demolizione e rifacimento fra il 1776 e ti 1795). La cappella di San Tobia resta dunque l'unica testimonianza

superstite dell'antica sede ospitaliera; una tela con Cristo al Limbo, del 1585, dipinta da Federico Zuccari (1540c.-1609) e oggi conservata alla Pinacoteca di Brera a Milano, era stata commissionata a Roma e destinata all'altare maggiore dell'oratorio, ove è rimasta fino alle requisizioni napoleoniche; nel 1741 la tela venne incorniciata da un grandioso pannarone di stucco eseguito dal bolognese Angelo Piò.

Interno

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L’interno Il vasto interno ha ricevuto una definizione simile all'originaria in seguito ai lavori promossi dal vescovo Gianfranceschi. Le varie trasformazioni hanno inciso anche sulla conservazione e sulla dislocazione dell'arredo artistico: molto nel tempo si è perduto e la disposizione di ciò che oggi si vede nulla ha a che fare con le collocazioni originarie; lo smantellamento dei numerosi altari laterali, gli spostamenti dell'apparato artistico-monumentale e il mutamento d'uso liturgico impediscono pertanto una lettura diacronica dell'ambiente, e di conseguenza una sua valutazione appropriata. L’interno, a pianta basilicale a tre navate, è diviso da due file di sei pilastri; complessivamente è lungo m 54,25 (m 42,25 l'aula e m 12 il presbiterio), largo m 19,55 (m 9,05 la navata centrale, m 4,30 quelle laterali). Prima del 1435 esistevano tredici altari: S. Andrea Apostolo, Visitazione, Santi Apostoli, S. Girolamo, S. Giovanni Decollato, Annunciazione, S. Leonardo, S. Gregorio, S. Lorenzo, Concezione, S. Bernardino, S. Biagio, S. Antonio.

In quell'anno furono smantellati gli ultimi quattro; in seguito altari e cappelle subirono numerose variazioni di titolo e devozione. Dopo i lavori del 1886-1892 la cattedrale disponeva di undici altari, cinque in ciascuna navata più il maggiore; oggi ne restano tre: Corpus

Bottega dei Bregno (attr.),

S. Antonio Abiate

Anonimo, Crocifisso di San Zenone

Domini, maggiore, Madonna del Popolo. L'APPARATO DECORATIVO Sul lato destro della controfacciata è collocata l'Urna di S. Mauro: le spoglie del santo, dapprima venerate a Santa Maria del Monte e portate nella vecchia cattedrale intorno alla metà del secolo XIV o del successivo, furono trasferite nella cattedrale nuova in una data

che le fonti riferiscono o al 1411 o al 1470; l'urna di legno e rame dorato fu commissionata probabilmente nel 1645, per iniziativa del vescovo Pietro Bonaventura e dell'autorità municipale. la sovrasta una pregevole statua cinquecentesca di S. Antonio Abate, forse dovuta alla bottega dei Bregno; secondo Pietro Burchi, essa «si trovava nella chiesa della Madonna dell'Aiuto, in fondo al portico

dell'ospedale e prima in una nicchia sotto il portico stesso, ceduta dal Comune per il solo uso con contratto firmato il 5 febbraio 1890»; Leo Bagnoli giustamente afferma che essa proviene dall'ospedale di Sant'Antonio, sito in Borgo Chiesa Nuova; collocata in cattedrale, prima degli ultimi restauri la scultura era su un altare a lei dedicato, fra il quarto e il quinto pilastro della navata destra. Segue il Crocifisso di San Zenone, molto venerato e qui trasferito verso la metà del Novecento dall'omonima chiesa; liberato, nel corso di un restauro recente, dalle pesantezze secentesche che ne avevano camuffato l'aspetto, esso mostra in questa sua umanità ben più essenziale la sensibilità dell'autore, un anonimo quattrocentesco di àmbito bolognese. L’Arca sepolcrale del vescovo Antonio Malatesti, commissionata il 26 gennaio 1467 a Ottaviano di Antonio dì Duccio da Firenze (fratello del più noto Agostino),

fu portata a termine nello stesso anno. Collocata in origine nel Coro, nel 1496 fu trasferita al centro della navata destra; nel corso degli anni 1681-1683 venne sistemata in fondo alla navata sinistra, a incastro nel muro del campanile; dopo gli ultimi restauri fu posizionata nella sede attuale. L'opera è giunta quasi certamente frammentaria. e ridotta, specie a causa dei numerosi spostamenti; nel cartiglio si legge un'epigrafe metrica in elastici elegiaci, forse composta dallo stesso presule: «Non procul hinc celsas / struxit qui Antonius edes Et / templo antistes plurima dona / tulit. Hic iacet ethereas cons/cendit spiritus arces Semp/ronique Forum patria / terra fuit» («Non lontano da questo punto il vescovo Antonio edificò un'alta torre e arricchì il tempio di molti doni. Qui riposa il suo corpo, la sua anima si eleva in cielo; Fossombrone fu la sua patria»).

Ottaviano di Antonio di Duccio, Arca sepolcrale del vescovo Antonio Malalesti

Giovanni Battista Bregno, Altare del Corpus Domini

Al centro della navata destra, di fronte alla cappella della Madonna del Popolo, si trova l'Altare del Corpus Domini (detto anche, nella tradizione cronachistico-storiografica, di S. Giovanni Battista o della Prepositura o Altare vecchio del Corpo di Cristo). Fu progettato su commissione e, forse, ispirazione dell'arcidiacono cesenate Carlo Verardi: uomo di grande cultura teologica e letteraria, primo arcidiacono della cattedrale (carica conservata anche dopo il trasferimento a Roma), cubiculario di quattro papi (Paolo II, Sisto IV, Innocenza VIII, Alessandro VI), abbreviatore delle lettere apostoliche, Verardi nacque a Cesena nel 1440 e morì a Roma il 13 dicembre 1500; autore di vari scritti, legò il suo nome a un dramma di grande fortuna (Historia Baetica) composto nella circostanza dell'espugnazione di Granata (2 gennaio 1492) ad opera eh Ferdinando il Cattolico. Artefice della pala marmorea, condotta a termine nell'arco di tempo che va dal 1494 al 1505, è Giovanni Battista Bregno, origmario di Righeggia presso Osteno, sul lago di Lugano (doc. 1494, † 1523), fratello di Lorenzo (entrambi soprannominati Brignoni). «Magister Joannes Baptista de Brenionis habitator Civitatis Venetiarum in contrata Sancti Joannis novi sculptor seu lapicida» «maestro Giovanni Battista dei Brignoni, abitante a Venezia in contrada San Giovani nuovo, scultore o scalpellino») appartiene ad una famiglia di imprenditori-scultori assai attiva

nell'ltalia settentrionale e centrale. «Più della parte architettonico·ornamentale (che quasi sicuramente non spetta al Bregno), quella figurata è veramente notevole per la stia grande finezza plastica ed il suo squisito senso pittorico, che denunciano le loro radici nel naturalismo classicheggiante della più nobile pittura veneta e che recano più di una traccia dell'influenza del Rizzo e dei Lombardo» (Pasini). L'altare consiste in una sorta di sacra rappresentazione: al centro Gesù Cristo regge un calice sotto la ferita del costato, attorniato da S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista; ai lati sono inginocchiati a sinistra il committente Carlo Verardi, a destra Camillo Verardi, nipote di lui, cavaliere pontificio, addetto curiale al brevi, morto nel 1505 o nel 1511, come è indicato dai cartigli epigrafici posti al di sotto dei due. Nel registro superiore completano la scena quattro angeli, dei quali gli interni sono inseriti entro due oculi. La cornice del complesso, opera di collaboratori, si compone di candelabre a motivi floreali, delfini, spighe e cornucopie; alle basi putti alati reggistemma; nei fianchi uccelli, mostri e figurazioni mitologiche fra cui, sulla destra, un'araba fenice. L’altare, qui collocato in origine, fu spostato dal cardinale Orsini fra secondo e terzo pi1astro e nel 1886-1892 rimesso nella sede attuale. La grande conchiglia, risalente agli inizi del Novecento, è opera dello scultore cesenate Paolo Grilli (1857-1952).

Giovanni Battista Bregno. Altare del Corpus Domini (part. di S. Giovanni Battista) Sopra l'ingresso laterale destro S. Girolamo (1574 ?) di Livio Modigliani (Forlì 1540c., not. 1606), tela proveniente dalla soppressa chiesa dei Padri Celestini; la povertà dell'immagine dipende anche da un inopportuno restauro col quale, asportando una superficie dipinta più tarda, di dimensioni anche maggiori della Sottostante, si sono eliminate pure le velature finali del S. Girolamo. Nel foro ancora leggibile nella parte alta era collocata un'immagine antica di S. Rocco oggi scomparsa. Nel presbiterio, affrontati, due affreschi con Nascita e Decollazione di S. Giovanni Battista, firmati e datati (1782)

da Giuseppe Milani (Fontanellato 1716?-Cesena 1798), ripropongono moduli tipici del pittore, ascendenze giaquintiane, atmosfere di tragedia appena recitata, in tonalità pallide abbastanza insolite nel Milani frescante. Nell'abside tre vetrate di Nicola Sebastio, 1981, con scene della vita del Battista; i temi; Il Magnificat (a sinistra), Il Battesimo di Cristo (al centro) e Il martirio di S. Giovanni Ballista (a destra); la luce vi fa da protagonista, dominando con l'azzurro, il giallo-oro e il rossofuoco. Nella prima i tre riquadri partiscono Maria "Mater Ecclesiae" che abbraccia tutto, la visita di Maria ad Elisabetta

(con riferimenti alla difesa della vita e all'attentato a Giovanni Paolo II, il cui stemma presenta spruzzi di sangue) e Zaccaria che scrive sulla tavoletta il nome «Giovanni» alla presenza di Elisabetta con in braccio il piccolo; nella seconda la manifestazione della Trinità, Giovanni battezza Gesù nel Giordano e il valore purificante dell'acqua nella storia dell'uomo (l'immersione nel Gange, nelle isole Samoa e nel Battesimo, con vari nomi di amici romagnoli dell'artista),; nella terza la presentazione ad Erode della testa di Giovanni (con al di sopra la mano benedicente di Dio, lo stemma del vescovo Luigi Amaducci che ha commissionato l'opera, l'iscrizione in arabo «Dio è amore» e il monogramma indiano che Indica Dio), il martirio del Battista (con riferimento alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, qui raffigurati con inciso il nome di movimenti ecclesiali) e il santo fra la popolazione di Cesena, rappresentata da un frate (col volto di padre Charles de Foucauld), da un operaio (con strumenti di lavoro, la scritta «Laborem exercens» e la figura di papa Wojtyla) e da uno sportivo (con scarpette e pallone). Nella nicchia in capo alla navata sinistra vi è un'urna di marmo verde, il Sarcofago di S. Severo: proviene dalla distrutta chiesa a lui dedicata ed è opera di Antonio e Giovanni Grandi (padre e figlio), scalpellini di origine bolognese documentati a Cesena dal 1614 al 1661, che lo realizzarono negli anni 1644-1645.

Gli affreschi soprastanti, del 1509, ricomparsi nel 1960, attribuibili alla cerchia di Antonio Aleotti da Argenta (attivo a Cesena 1495-1527) e in stato di conservazione precario, rappresentano La Santissima Trinità adorata da S. Francesco e dal canonico Cesare Isolani; nel cartiglio di sinistra si legge «Individuae Trinitati Caesar doctor canonicus et vicarius hoc vivens dedit» («Cesare, dottore, canonico e vicario, ancora vivente dedicò quest'opera all'indi visibile Trinità»), in quello di destra "Benedicamus Patrem et Filium cum Sancto Spiritu» («Lodiamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo»). Il personaggio ritratto a sinistra in abiti pontificali è Cesare di Biagio Isolani (congiunto e probabilmente nipote di quel «Cordatus Insulanus iuris utriusque doctor canonicus Cesene», «Cordato Isolani, dottore in Diritto canonico e civile, canonico di Cesena» - not. 1463-1480 - che fu tra gli artefici della commissione dei ben noti Corali della cattedrale, oggi in deposito presso la Biblioteca Malatestiana); si addottorò a Bologna il 5 maggio 1490, ricevendone le insegne da Troylo Malvezzi; due anni prima era stato congregato al collegio felsineo Ancarano; nel 1505 vicario generale del Capitolo di Cesena, nel 1509 istituiva il beneficio della Santissima Trinità (da connettersi dunque alla commessa dei citati affreschi); l’anno successivo conferiva un canonicato a don Andrea fu Enrico di Amsterdam, amanuense dei Corali del duomo e organista della stessa già dal 1497.

Giuseppe Mi1ani, Nascita di S, Giovanni Battista

Giuseppe Mi1ani, Decollazione di S, Giovanni Battista

A fianco della porta che dà accesso alla sagrestia è collocato il documento lapideo più antico della cattedrale: si tratta della Meridiana del vescovo Marinace ( ... 1016-1026 ... ) ed è una lastra fittile del 1022; l'orologio solare, di cui si ignora la destinazione originaria (una chiesa? un campanile? la vecchia cattedrale?), scoperto nel 1959 durante uno scavo al di sotto del pavimento, era stato riutilizzato come chiusino di loculo ossuario; l'iscrizione recita: «Mar(ina)c(ius) ep(iscopu)s a funda / mentis renovavit / per ind(i)c(tionem) quintam» (Il vescovo Marinace restaurò dalle fondamenta durante la quinta indizione»). Segue, inserito nella parete, un bassori1ievo realizzato da Vincenzo Gottardi circa nel 1490 con S. Severo venerato da Carlo e Camillo Verardi: in origine costituiva il frontale di un altare o di un'urna per le reliquie di S. Severo, nell'omonima chiesa scomparsa di cui era rettore

il canonico Carlo Verardi; l'opera, che prima degli ultimi restauri fungeva da paliotto in un altare laterale, denuncia «l'arcaismo delle figure che compaiono fra gli archetti di vago sapore paleocristiano [ ... ]. La presunta antichità dell'opera è solo un effetto dell'impaccio arcaizzante che costringe lo scultore a compiere le sue scelte figurative nell'armamentario delle convenzioni lineari popolaresche, ancor più che tradizionali; in quanto allo "stile", o meglio al modo di definire le figure, i particolari fisionomici, i panneggi, è identico a quello della Madonna firmata sulla facciata della cattedrale; in quanto ai committenti, accompagnati da angeli e inginocchiati davanti a S. Severo "in maestà", sono certamente i due Verardi, zio e nipote, che due cartellini in cui era dipinto il loro nome (ben visibili proprio sulle loro teste) avranno reso riconoscibili meglio delle stentate fisionomie» (Pasini).

Vincenzo Gottardi, S. Severo venerato da Carlo e Camillo Verardi

Cappella della Madonna del Popolo

LA CAPPELLA DELLA MADONNA DEL POPOLO In origine cappella Albizzi, essa fu costruita al centro della navata sinistra nel 1679, per volontà del cardinale Francesco Albizzi (Cesena 1593-Roma 1684). Laureatosi a Bologna in Diritto civile e canonico, dopo la morte della moglie, che gli aveva dato alcuni figli, avvenuta nel corso del 1623, si recò a Roma, abbracciò lo stato ecclesiastico ed entrò al servizio della curia; uditore nelle nunziature di Napoli e Madrid, dal 1635 fu assessore del Sant'Uffizio, dal 1643 canonico di San Pietro, dal 1654 cardinale; eccellente polemista, ebbe un ruolo di primo piano nella lotta contro il giansenismo e fu anche giudice nel processo contro Galileo Galilei. La struttura della cappella venne modificata e dotata di cupola a partire dal 1746, su progetto dell'architetto Pietro Carlo Borboni (Lugano 1720-Cesena 1773); si procedette poi a realizzarne la parte decorativa affidando al ravennate Pietro Martinetti gli stucchi, a Corrado Giaquinto (Molfetta 1703-Napoll 1766) l'affresco della cupola con la Genealogia della Vergine (1750-1751) e a Giovanni Fabbri da Sant'Ippolito di Fossombrone la realizzazione del ricco paramento marmoreo (1753-1759) secondo il disegno del Martinetti. Struttura e decorazione costituiscono la degna cornice ad un'immagine che per i cesenati riveste grande considerazione ed è oggetto di devozione secolare: di conseguenza l'impegno economico

assunto dalla Confraternita della Madonna del Popolo deve essere senz'altro ingente, a iniziare dalla sontuosa incrostazione di marmi rari quali la breccia di Serravezza, il giallo di Siena, il diaspro di Sicilia, il giallo di Torre, il verde di Susa, l'alabastro di Montalcino, il bardiglio bigio, il bianco fino di Carrara, il nero di Rovigno. Nell'impegno sottoscritto da Giovanni Fabbri sono esclusi i quattro putti sovrastanti le porte laterali, da ascriversi con ogni probabilità al plasticatore riminese Antonio Trentanove ("1748-1812). Gli affreschi della cupola del Giaquinto, realizzati in particolare su indicazione dei due omonimi confratelli Francesco Chiaramonti (uno canonico protonotario apostolico, l'altro avvocato), sono documentati da una serie di bozzetti preparatori (datati 1749, dei sette originari

Antonio Trentanove (attr.), Angelo

Nelle pagine precedenti; Corrado Giaquinto, Genealogia della Vergine

ne restano sei, conservati nel museo di Capodimonte a Napoli). La Genealogia della Vergine, eseguita nei periodi novembre 1750-febbraio 1751 e luglio-agosto 1751, costituisce una 'macchina' scenica che sembrerebbe destinata ad essere ricordata come una delle tante realizzate sulle volte dal barocco in poi, se in essa, come sempre in Giaquinto, ogni elemento non fosse subordinato ad un senso straordinario del colore, usato in tonalità, trasparenze, morbidezze quasi da pastello, con immediatezza esecutiva. L'affresco crea un'impressione di giocoso, totale divertimento; vi si alternano, a sode figure solimeniane, più evanescenti apparizioni giaquintiane, in un

pulviscolo dorato che bagna e mette in risalto una straordinaria varietà di mezzitoni ricercati e rari. L'affresco su muro della Madonna del Popolo, eseguito da Bartolomeo Ramenghi da Bagnacavallo (1484 ?-1542?) verso gli anni '20-'30 del secolo XVI, in origine era posto su un altarolo della famiglia Bargellini, all'inizio della navata destra; nel 1593 esso fu trasferito col suo muro in fondo alla stessa; sei anni dopo per l'immagine fu coniato il titolo attuale; nel 1618 passò sopra l'altare maggiore e nel 1683 venne sistemato sull'altare della cappella albizziana, a seguito della ristrutturazione dell'intemo della cattedrale voluta dal vescovo

Corrado Giaquinto, Genealogia della Vergine (part. con Giuditta)

Bartolomeo Ramenghi da Bagnacavallo, Madonna del Popolo Orsini; nel 1709 l'effigie fu riportata in coro e di lì ritornò nel 1725 alla sua sede definitiva. 11 3 giugno 1782 Pio VI incoronò la Madonna cesenate. L'immagine, che dovette subire traversie, manomissioni e pesanti ridipinture (inevitabile conseguenza dei numerosi trasferimenti e destino di un'icona

di culto e devozione grandi), evidenzia una nobiltà di ideazione e realizzazione, un largo e sicuro senso della composizione, una naturalezza di gesti, una perfezione di particolari nei lineamenti e nei capelli: fattori che, benché la leggibilità risulti compromessa, dichiarano l'autografia del Bagnacavallo.

Lorenzo Bregno, S. Cristoforo, S. Leonardo e S. Eustachio Proseguendo lungo la navata, ecco le tre statue dI S. Cristoforo, S. Leonardo e S. Eustachio, volute da Camillo Verardi e commissionare a Lorenzo Bregno († 1524) dall'esecutore testamentario Vincenzo Toschi il 18 marzo 1514; destinate all'altare della prima cappella della navata sinistra, erano compiute il 9 febbraio 1517. La decorazione della loro cappella, affidata al maestro Giovanni di Bartolino da Palazzolo nel 1508, terminata di lì a pochi mesi, era simile a quella del Corpus Domini. L'iconografia dei tre santi è esplicitata dai rispettivi attributi: il Bambino sulle spalle di Cristoforo in abito da traghettatore (il nome origina la leggenda), i ceppi in mano a Leonardo vestito da monaco (ottenne dal re la liberazione di prigionieri), un cervo con il crocifisso tra le corna di piedi

di Eustachio in veste di soldato romano (secondo la leggenda medievale). Le sculture «si rivelano informate ad un classicismo più rotondo e maturo, che senza dubbio tiene conto dei modi dei Lombardo (che si erano già affacciati in Romagna con Tullio, attivo proprio in quegli anni per Ravenna)» (Pasini). All'inizio della navata sinistra, vicino alla porta d'ingresso, si trova il Fonte battesimale, collocato di fronte all'esedra cinquecentesca ricavata nel muro della controfacciata, con avanzi di affreschi - venuti alla luce negli ultimi restauri - raffiguranti S. Vincenzo Ferreri a sinistra e S. Rocco a destra. La vasca battesimale, posta su basamento di diversa provenienza, apparteneva alla parrocchiale di Casalbono (media valle del torrente Borello), cui era stata donata dai Doria

Girolamo Cialdieri, Beata Vergine col Bambino, angeli, i Ss. Severo e Mauro, la città di Cesena, i martiri Eugario, Firmio, Genesio e Concordia

Pamphyli di Roma, signori di Meldola. Essa reca lo Stemma del vescovo Cristoforo Spiriti (1510-1556) e l'iscrizione «Nisi quis renatus / fuit ex aqua et Sp(irit)u S(ancto) / no(n) po(tes)t i(n)troire in / regnum Dei 1541» («Se uno non è rinato ad opera dell'acqua e dello Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio»). Ed infine sulla controfacciata, al di sopra della bussola, un'imponente tempera su tela, ancora una volta proveniente da San Severo, l'antica chiesa della comunità cesenate: doveva essere in origine un grande stendardo, per questo esibisce, accanto alla Madonna col Bambino, la teoria del santi patroni, da quelli tradizionali come Severo e Mauro, ai martiri leggendari Eugario, Firmio, Genesio e Concordia. Non manca, a completarne la rappresentatività, una veduta scenografica

del recinto cittadino con tutte le emergenze in bella mostra, dalla rocca alla cattedrale col suo campanile coronato a ghianda, al palazzo del Conservatori dal coronamento merlato. La tela fu dipinta, pare nel 1625, dall'urbinate Girolamo Cialdieri (l593-1680), autore anche in patria di composizioni omologhe. LA SAGRESTIA Vi si conserva un soffitto ligneo a cassettoni del secolo XV Nel vano ha trovato degna sistemazione (proveniva da San Severo) l'arredo di sagrestia realizzato attorno al 1780 dal cesenate Fabio Urbini (1735-1814) con dovizia di intagli, colonne, specciature di radica di noce. Nell'aula capitolare si trova un grande armadio lastronato di

Fabio Urbini, Sacrestia

Urna di S. Mauro (cripta) radica di noce, lumeggiato con cornici dorate, della fine del secolo XVIII, qui trasferito dal complesso conventuale di San Francesco; da notare inoltre un lavabo in pietra d'lstria, di chiara impronta rinascimentale, databile alla seconda metà del secolo XV Alle pareti, ritratti dì vescovi cesenati dei secoli XVII-XVIII, nel soffitto stemma del vescovo Cristoforo Spiriti.

LA. CRIPTA Ricavata a seguito degli ultimi restauri, vi sono state collocate le reliquie, ricomposte in abiti pontificali e racchiuse in un'urna di cristallo, di S. Mauro, patrono secondario della città e della diocesi. Sul lato opposto si trova il sepolcro dei vescovi.