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Vincenzo Riccio

ESSERE GENITORI ESSERE SCUOLA

OGGI

Da www.fantasiaweb.it

2

INDICE

Introduzione 2

I CONVERSAZIONE: per quale motivo per lo sviluppo del bambino

è così importante la prima e seconda infanzia della vita?

11

Una partita a scacchi da non perdere 11

Il nostro tempo: vivere al meglio il giorno 21

Il punto della conversazione 29

II CONVERSAZIONE: dopo la prima fase di sviluppo del bambino,

che vede protagonisti la mamma e il papà, come si amplia la

cerchia delle relazioni e delle influenze sul bambino?

30

Costruire relazioni positive, ambienti di vita favorevoli allo

sviluppo del bambino.

40

L’amore: un sentimento da difendere, i cinque motori

dell’amore.

41

E se si è separati? 45

Il punto della conversazione 50

III CONVERSAZIONE: per avventurarsi nei diversi ambienti di vita i

bambini, ma anche i ragazzi, hanno bisogno di sentirsi sicuri.

come si può facilitare lo sviluppo di questa fiducia, dare e

trasmettere sicurezza ai bambini, ai ragazzi?

53

Ruolo-funzioni-competenze-azioni-responsabilità:

la catena degli eventi.

53

La conferma che una persona è “la pecora nera” del

gruppo si basa su un’alleanza tra due o più persone dello

stesso gruppo pronte a rinforzare il giudizio negativo sulla

vittima sacrificale.

60

Il “Dono”, un film per educare. 64

Un nodo cruciale della scuola.

gradualità ed integrazione dei ruoli:

essere bambino/ragazzo-essere alunno.

71

3

IV CONVERZAZIONE: un’intervista impossibile, risponde Jean

Piaget. Oggi si può parlare di una nuova “new age” di bambini?

76

Dall’alimentazione del corpo a quello della mente. 78

La miccia che innesca l’esplosione degli apprendimenti: la

sfida.

82

La sfida è l’arma segreta di una buona crescita. 84

V CONVERSAZIONE: oggi si può parlare d una nuova “new age” di

bambini?

92

VI CONVERSAZIONE: Riuscire a fare interventi educativi giusti e

adeguati alle necessità del bambino/ragazzo è l’obiettivo di ogni

genitore, ma anche do ogni insegnante. Quali suggerimenti ci può

dare per facilitare questo nostro compito?

108

Tiro con l’arco, le frecce dell’educazione. 115

La funzione del ruolo alunno. 128

VII CONVERZAZIONE: un tema che merita una riflessione: “La

funzione della delega”. Purtroppo chi lavora è costretto ad

affidare i propri figli ad altri. Che ne pensa?

133

La delega educativa non delegabile 135

4

Apro la lettura di questo piccolo libro

con delle poesie da leggere con

serenità, anche più volte, per entrare

dentro le parole e recuperare il

sentimento che cercano di suscitare.

5

AALLLLEE NNOOSSTTRREE MMAAMMMMEE

Un battito,

prima:

era il tuo cuore.

Un seno caldo,

poi,

era il tuo amore.

Poi: un gioco tenue, dolce, caro,

tra le tue mani e le mie dita.

E per sempre il tuo profumo di mamma

sarà nella mia vita.

Poesia di Vincenzo Riccio

6

7

Lettera a mio figlio

di Vincenzo Riccio

Tu sei la pelle della mia carne,

l'alito della mia esistenza.

Non sono io che ho dato la vita a te,

ma tu l'hai donata a me.

Il tuo seme d'amore è germinato,

cresciuto,

dentro la mia vita.

Vedo con i tuoi occhi;

sento con le tue orecchie;

rido con i tuoi sorrisi;

soffro nelle tue angosce.

In me pensano i tuoi pensieri,

ardono i tuoi desideri,

bruciano le tue rabbie.

Nella tua speranza

È racchiusa tutta la mia esistenza.

Spingo in avanti il tempo,

faccio girare il mondo: solo per te.

I miei pensieri ti inseguono,

anche quando non ci sei:

tra i banchi di scuola,

il verde dei giardini,

le strade dei quartieri.

8

Le parole, che lasci sparse qua e là nell'aria,

tornano fino a me:

le aspetto.

Come aspetto lo scampanellio del portone,

inconfondibile,

quasi festeggiasse il tuo ritorno.

Quel calcio spiritoso, che accompagna la porta al tuo

rientro.

Quella puntuale bugia sul bus che non è passato,

il compagno che hai accompagnato,

l'orologio che ha dimenticato di ricordarti l'ora.

Una bugia?

NO!

La verità della tua età.

E ancora.

Lo scorrere del giorno in attesa della sera,

che chiude fuori il mondo,

regalandoci, puntuale, il nostro incontro:

quella tenera intimità racchiusa nel vociare,

nel ridacchiare, nel guardare anche la TV,

fino al tuo ciao della buona notte,

che rassicura il cuore.

Chiudo l'ultima finestra

Facendo l'occhiolino al cielo;

quasi a scusarmi che lo lascio fuori:

"Ciao, ci vediamo domani,

con un altro sole."

9

Questo libro nasce dalla constatazione che oggi

noi grandi: genitori, mamme, papà, ma anche nonni e nonne;

noi scuola: docenti, educatori, dirigenti;

noi istituzioni: Comuni, Regioni, Governi;

noi Chiesa: fedeli, sacerdoti, parrocchie;

ci troviamo di fronte ad una SFIDA che non può essere persa,

riorganizzare la rete delle relazioni umane in un mondo che ha subito e sta

subendo un travolgente cambiamento degli eco-sistemi.

É come se un inerme umano fosse stato preso e catapultato all’improvviso su un

altro pianeta con un’altra lingua, altri ritmi di vita, altri valori. Cosa proverebbe

questo umano? Un panico spaesamento, una perdita di identità, una diffidenza

verso tutto e tutti.

L’unica difesa? L’isolamento e l’attesa, l’ansia per l’adesso e per il domani, la

paura dell’altro.

10

Questa è la condizione che molti di noi si trovano a vivere.

L’altro pianeta? Fuor di metafora, è il nostro mondo che si è trasformato e si sta

trasformando troppo in fretta sotto i nostri piedi e sotto la nostra pelle.

L’uomo, con la sua naturale struttura fisica e psicologica, non ce la fa a stare

dietro a cambiamenti così repentini; non riesce “a mangiare e a digerire” questo

smodato pasto che deve consumare ogni giorno: nuove tecnologie, nuovi modelli

di gestione delle reti sociali, nuovi stili di vita, nuove etiche, nuovi modelli

lavorativi…

(puoi continuare tu ad aggiungere nuove pietanze).

E ogni giorno si deve ingozzare di nuovi piatti: mangiare, mangiare, mangiare e

ancora mangiare senza mai essere sazi e, cosa più grave, senza riuscire a digerire

questi tecno-pasti.

“Ma scusi, oggi siamo pieni di RETI RELAZIONALI. Non si fa che parlare di net-

work, social network, inter-net…”

Verissimo. Oggi la nuova parola magica è “NET”, rete. Qualunque attività, lavoro,

deve essere un Net-lavoro, una Net-informazione, una Net-relazione, una Net-TV.

Potrei continuare. E poi c’è la rete delle reti: World Wide Web, cioè internet.

“E allora?”

11

E allora il problema non è la rete, la net in quanto tale, che propone un modo

nuovo di organizzare la vita.

“E quale sarebbe il problema?”

La domanda giusta è: a cosa, a chi dovrebbe servire la Rete?

“La risposta mi pare ovvia: all’uomo.”

Giusto, la rete dovrebbe essere un mezzo per meglio soddisfare i bisogni reali

dell’uomo.

Ma non basta. Non dell’uomo inteso quale genere umano, e già così sarebbe un

passo avanti, ma della PERSONA, di quella persona con tanto di nome e cognome

ed identità.

Mi permetto di parafrasare alcune parole di Madre Teresa di Calcutta.

A chi Le osservava che “…fare la carità significa ridurre le responsabilità del

governo verso i bisognosi e i poveri.” Madre Teresa rispondeva che “Di questo io

non mi preoccupo, perché i governi , di solito, non offrono amore. Faccio solo

quello che posso: il resto non è affar mio.” Per Madre Teresa al centro della sua

missione c’era la persona, quella persona che aveva davanti, con un viso, una

sofferenza reale, e quella persona in quel momento era il bene più grande da

abbracciare e curare.

Ecco, la PERSONA, la persona che si ha più vicino alla propria mano, deve essere al

centro del nostro NET, della nostra rete di interessi.

Che l’uomo abbia fame dell’uomo, vale a dire di relazioni con altre persone, è

dimostrato proprio dall’esplosione e dall’utilizzo massiccio che si fa della rete

internet e in particolare dei social-network come facebook, per citarne uno dei più

conosciuti.

“E questo non è un fatto positivo?”

Decisamente no, giacché la rete è diventata un sostituto delle relazioni reali,

dell’incontro con quella persona fisica con i suoi problemi , i suoi bisogni. La rete

non ci dà responsabilità di persona; qualunque problema, contrarietà si risolve

staccando la spina, interrompendo la relazione virtuale con l’altro o gli altri ,

anch’essi virtuali, giacché solo apparentemente sono persone, in realtà sono dei

file archiviati in una banca-dati di un server, il grande fratello, installato in un

luogo senza nome.

“Sarà pure vero, ma allora che bisogna fare? Dobbiamo rinunciare ad utilizzare la

rete, staccare la spina da internet, abbandonare le nuove tecnologie?”

12

Assolutamente no.

Non voglio fare un’analisi approfondita

delle diverse problematiche legate

all’uso della rete; in una successiva

conversazione vedremo come la rete, e

soprattutto le innovazioni dovute

all’informatica abbiano dotato l’uomo

di nuovi straordinari mezzi e supporti di

lavoro, di indagine, di cura.

Quello che voglio osservare è che a

fronte di una innovazione frettolosa e

speculativa, (l’introduzione sul mercato

di nuove tecnologie risponde solo a

bisogni commerciali e non reali. Si stima che ogni anno sul mercato siano immessi

nuovi oggetti tecnologi in sostituzione di quelli vecchi di appena 12 mesi: cellullari,

ipod, tablet…), a fronte di una rivoluzione mondiale dell’informazione, della

comunicazione, dei sistemi di interscambio della moneta, non si è avuta una

parallela attività formativa delle persone adulte e dei giovani. Si è assistito e si

assiste ad una assenza totale di una pedagogia, che potremmo definire NET-

PEDAGOGIA.

Nessuno ha saputo valutare il reale impatto che la rivoluzione informatica e

multimediale avrebbe avuto sul sistema società.

Dobbiamo prendere coscienza che viviamo un’epoca di rivoluzioni, di

cambiamenti epocali. Un sistema di valori, di idee, di modelli di vita, di

produzione di beni, di consumi, di gestione e produzione dell’informazione è

cambiato e sta cambiando sotto i nostri piedi e sotto la nostra pelle: con questo

nuovo mondo dobbiamo fare i conti. E vi assicuro che non possiamo scendere;

non possiamo che viverlo, amarlo e difenderlo, questo piccolo grande mondo, o

come protagonisti, o subirlo come nuovi schiavi.

La storia dell’uomo è segnata da momenti di cambiamenti epocali, che hanno

fatto cambiare il corso della storia e modificato profondamente la sua vita, le sue

idee, le sue conoscenze. Ne accenno alcune di quelle che ricordiamo tutti.

L’avvento di Cristo, la crisi dell’Impero romano, la scoperta che la terra è rotonda

e non piatta, la rivoluzione industriale, la scoperta dei batteri e della penicillina, la

13

conquista del concetto di libertà e uguaglianza, l’invenzione del primo

microprocessore, la passeggiata sulla luna, l’elaborazione della mappa

cromosomica dell’uomo.

Oggi viviamo una nuova rivoluzione, quella di internet, del mondo virtuale, della

globalizzazione dei sistemi, una rivoluzione che non riusciamo a capire e gestire

perché la stiamo vivendo. Ma non solo. Questa rivoluzione che ci troviamo a

vivere ci spaventa più delle altre perché organizza nuovi modelli di vita sulla base

di una esperienza che non ci appartiene; non poggia e non parte da noi, da cose

concrete che noi possiamo toccare, controllare, manipolare; è una rivoluzione

volatile, sfuggente, sconosciuta; una rivoluzione che ci sta riorganizzando la vita

senza di noi e al di là di noi. Una rivoluzione che non garantisce automaticamente

il nostro diritto di identità, il rispetto della persona, la dignità umana.

Questa rivoluzione ha bisogno di rimettere al centro il naturale protagonista:

l’uomo, la persona.

Questo deve essere il nostro impegno: recuperare la nostra missione, essere

protagonisti della nostra storia di uomini.

Lasciatemi dire. In questa situazione di precarietà, di volatilità di valori e di

etiche, l’essere Cristiani, credenti, garantisce una prospettiva e una solida base

di speranza per il futuro, una sicurezza per riavviare la nostra storia, una marcia

in più per coinvolgere l’altro in un progetto di cambiamento.

Per quanto mi riguarda, spero per te, per coloro a cui il libro è rivolto, e anche per

chi questo libro lo ha promosso, l’impegno è quello di vivere questo

cambiamento da protagonisti, impegnandoci in un’opera di formazione che

sappia ricostruire un tessuto di relazioni, di modelli di vita, di impegni lavorativi,

che mettano al centro la persona, con tanto di nome e cognome, la persona con la

sua dignità, la persona con il rispetto delle sue idealità e valori, che per chi crede è

l’amore verso l’altro, senza né se e né ma.

Il mio impegno relazionale è occuparmi prima di chi ho vicino, dopo di quelli più

lontani, secondo un gradiente di spazialità.

Questo non vuol dire non ascoltare le sofferenze o le povertà lontane a cui

possiamo dare una risposta soprattutto tramite le organizzazioni cattoliche e/o

laiche, ma dare reale attenzione a chi ho vicino e tra quelli che ho vicino a chi ha

più bisogno.

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Occuparsi a distanza di

qualcuno è più facile ed

istintivo, non richiede

continuità, non presuppone

coinvolgimento, assunzione

diretta di responsabilità,

evita i conflitti. Il mio

coinvolgimento è delegato

ad oggetti: denaro,

indumenti, alimenti. Richiede

un investimento temporale

bassissimo: una firma sul 730, un sms, un vaglia: ma anche questo è giusto e

soprattutto utile.

Sono riportate due schede che permettono di effettuare un’analisi personale delle

tue net-relazioni. La prima scheda A è destinata alle persone adulte, la seconda

scheda B la si può usare a scuola o in famiglia per far prendere consapevolezza

delle relazioni che il bambino/ragazzo ha.

Il tuo impegno relazionale verso chi è diretto? Individua la persona verso cui è

diretto, o dovrebbe essere diretto, il tuo impegno relazionale nei quattro livelli,

una persona o un gruppo di riferimento per ogni area: in famiglia, fuori della

famiglia, sul posto di lavoro/scuola, all’esterno.

Nota: il nostro impegno relazionale può essere diretto anche verso un animale,

capita.

Compilare questo schema ti aiuterà a fare il punto sulla tua NET-Relazionale: su

quelle che hai, su quelle che ti mancano e quelle che vorresti avere.

Le schede possono essere utilizzate per analisi diverse, sia positive, ma anche

negative: le persone con cui si hanno dei problemi, dei conflitti.

15

RIFLESSIONE PERSONALE: SCHEDA A

16

RIFLESSIONE PERSONALE: SCHEDA B

17

In questo libro riporto le conversazioni che ho durante i corsi di formazione per

genitori e docenti nelle scuole. Ogni capitolo scaturisce da una domanda che mi è

stata posta. Tuttavia per facilitare la lettura del libro ho cercato di riorganizzare le

conversazioni in modo sequenziale. Ogni capitolo però può essere letto

indipendentemente dagli altri.

Lo stile usato è quello dell’immediatezza. Per rendere più chiari i contenuti mi

sono avvalso di immagini e disegni. È stata utilizzata anche la tecnica del fumetto

e dell’intervista. Descriverò le conversazioni come se parlassi direttamente ad una

persona, a lei. Quindi anche il modo di scrivere sarà immediato, discorsivo, e, se

non le dispiace, le darò del tu. Non per mancanza di educazione ma per una forma

di confidenza e per rendere le risposte più immediate.

“Io però continuerò a darle del lei, per rispetto, per via anche dell’età.”

Quando lo riterrò opportuno inserirò, per coinvolgerti, una tua “RIFLESSIONE

PERSONALE”, proponendoti una scheda in cui protrai analizzare il tuo punto di

vista sul tema trattato. Non si sa mai, potrebbe tornare utile.

Nei corsi apro ogni lezione con una poesia che può rappresentare uno spunto di

riflessione, così farò anche in questo libro, spero di fare cosa gradita. In ogni caso

si può saltare… ma mi offenderei. Non sarebbe una cattiva idea fotocopiare una

poesia e regalarla ad altre persone. Un modo originale per entrare in contatto con

l’altro.

Non resta che cominciare le nostre conversazioni.

Se dopo la lettura vuoi dei chiarimenti o vuoi porre delle domande, mi potrai

inviare una e-mail all’indirizzo: [email protected], ti invierò direttamente la

risposta.

Consigliare la lettura di queste conversazioni è un modo per avviare un

cambiamento (2)

18

PER QUALE MOTIVO PER LO SVILUPPO DEL BAMBINO

È COSÌ IMPORTANTE LA PRIMA E SECONDA INFANZIA

DELLA VITA? Conversazione

Premesso che la prima infanzia è il periodo che va da 0 a 2 anni, e la seconda dai 3

ai 5/6, io direi che altrettanto importante è la terza infanzia, detta anche

fanciullezza, che va dai 6 ai 10/11 anni, periodo che coincide con la scuola

primaria.

UNA PARTITA A SCACCHI DA NON PERDERE.

La prima infanzia è quella più carica di conseguenze positive o negative per lo

sviluppo del bambino. Vediamo il perché con questo esempio.

Guardiamo lo schema 1.1.

Un bambino appena nato può essere raffigurato come una scacchiera per giocare

a scacchi o a dama, scegli tu in base al gioco che conosci. (1)

Perché il gioco si possa svolgere è necessario che ci siano tutti i riquadri, cioè 64, e

che ogni casella sia ben distinta; solo se le caselle sono ben separate e visibili si

può muovere con sicurezza la pedina.

Continuando con il nostro esempio immaginiamo che ogni casella della scacchiera

corrisponda ad una dimensione fisica o psichica del bambino, figura 1.2: una

casella corrisponde alla vista, un’altra all’udito, un'altra ancora alla memoria,

quella vicina al sistema cardio-vascolare e così via.

(1) L’idea di pensare al bambino come ad un scacchiera è stata ripresa da una trasmissione di Piero

Angela.

19

Fig. 1.1) Le caselle ben delineate mi

permettono di spostare con chiarezza il

pedone da una casella all’altra. So da dove

parto e dove finisco.

Fig. 1.2) Ogni casella corrisponde a una

dimensione fisica o psichica del bambino: la

sua memoria, la vista, l’apparato cardiaco,

ecc.

Tutti questi aspetti rappresentano la dotazione naturale con cui un bambino

“normale” viene al mondo. Una casella ben delineata, con i contorni netti, indica

che lo stato di salute di quella funzione è normale. Quindi in un bambino normale

ogni aspetto è, per cosi dire, ben distinto, in ogni casella si vede con chiarezza che

cosa c’é. É come se il bambino dicesse… (fig. 1.3)

20

Fig. 1.3) Il bambino è pronto a iniziare il gioco della vita. Ha tutte le carte in regola, è un bambino

normale, oggi si dice normodotato. Inizia il gioco. Mamma e papà cominciano a muovere le pedine

sulla vita del bambino. A seconda di come reagirà daranno la risposta successiva. É questa

permanente e continua interazione: mosse di mamma e papà e risposte del bambino che

costituisce la partita della vita del bambino.

Cerchiamo di ricordare questa domanda del bambino: “Giochiamo?” La

riprenderemo tra poco.

21

A questo punto la responsabilità della partita passa nelle mani di mamma e papà.

Sono loro che decidono, volontariamente o inconsapevolmente, che tipo di partita

iniziare.

Soffermiamoci sulla partita, figura 1.3.

I protagonisti primari sono mamma e papà. Primari perché in una condizione

normale, sana, sono i genitori i primi a cominciare a giocare con il proprio

bambino. In situazioni meno ideali si inserisce in questo gioco, da subito, una

figura o figure esterne (nonni, altri parenti, tate, asilo nido, ecc.), ed è chiaro che

in questo caso il gioco prende una strada diversa da quella prevista o auspicata da

mamma e papà.

Ma continuiamo con la prima ipotesi. Mamma e papà sono i protagonisti del

gioco.

In questo gioco che funzione ha il bambino? Una funzione passiva, subisce il

gioco; gli strumenti che ha per opporsi a eventuali “mosse” sbagliate fatte da

mamma e papà sono minime. I segnali che può lanciare all’esterno, per dire

questa cosa va o non va, sono essenzialmente due: il pianto e il sorriso. In realtà

un bambino è in grado di comunicare, soprattutto con la mamma, attraverso altri

codici più sofisticati e raffinati per es. l’odore della pelle, lo stato di tensione del

proprio corpo, gli sguardi, la modulazione della voce, ma questa speciale forma di

comunicazione richiede che mamma e papà sappiano leggere e rispondere a

questo linguaggio; per fare questo non serve addestramento, la natura dota di

questa attitudine naturalmente mamma e papà, ma perché si sviluppi questa

capacità i genitori devono manifestare una attenzione amorevole verso il proprio

figlio.

Vediamo in questo fumetto come si sviluppa il gioco, partendo dal presupposto

che ci troviamo davanti ad una famiglia normale: bambino normodotato, genitori

mamma e papà attenti e competenti nel loro ruolo genitoriale.

22

Fig. 1.4)

La prima relazione

madre-padre-bambino è

una relazione di contatto,

di presenza fisica:

contatto-voce-sguardi-

carezze. In certi momenti

della giornata è

importante l’essere tutti e

tre insieme; si determina

una fusione emotivo-

affettiva-sensoriale.

Fig. 1.5)

In un bambino

normodotato i segnali che

manda come il pianto

hanno sempre una causa

identificabile, sta

all’attenzione ed

esperienza di mamma e

papà saperli identificare. I

genitori devono avere la

disponibilità a leggere in

profondità i bisogni del

bambino.

23

Fig. 1.6 e 1. 7)

Il gioco che i genitori

cominciano con il

bambino si sviluppa

attraverso tante e diverse

partite che vanno a

toccare tutte le caselle:

oltre la crescita e il

benessere fisico anche la

curiosità, la creatività,

l’intelligenza, la memoria,

l’attenzione. I genitori

devono giocare partite

diverse nello stesso

tempo; questo consente

uno sviluppo integrato

ed armonico del

bambino. Il bambino ha

tre tipi di appetiti: fisico,

psicologico, affettivo.

Spesso si pone

l’attenzione solo su quello

fisico: “Guarda come

cresce bene!”

trascurando di giocare gli

altri due campionati:

quello per lo sviluppo

psicologico e quello per lo

sviluppo emotivo-

affettivo-relazionale.

24

Fig. 1.8) La saggezza che il bambino dimostra nel fumetto ci deve rassicurare. Essere buoni genitori

non vuol dire far tutto bene senza sbagliare. Una mamma e un papà hanno una tendenza naturale

a svolgere tale ruolo, basterebbe ascoltare le proprie naturali emozioni verso il proprio figlio e il

gioco è fatto. Essere genitori non vuol dire stare sempre li a pensare: “devo essere un bravo papà,

devo essere una brava mamma…” Essere genitori significa svolgere tale compito con amore,

dispobilità, attenzione ai reali bisogni del bambino in una visione globale di sviluppo del bambino

considerando sempre che il bambino non è solo peso, statura e guance paffute, ma anche

emozione, affettività, intelligenza, creatività, individuo, persona.

“Ma scusi, se è cosi facile fare i genitori a che serve questo libro, e perché si dice

che il ruolo dei genitori è sempre più difficile?”

Io non ho detto che fare i genitori è facile, ho detto che è naturale fare il papà e la

mamma, o meglio dovrebbe essere naturale, e che lo sia è dimostrato dal fatto

che ci sono tanti esempi di ottime coppie, mamme e papà, che svolgono tale

funzione in modo ottimale.

“E allora?”

Un attimo di pazienza. Vorrei completare il discorso che sto facendo.

25

L’esempio della partita a scacchi ci permette di comprendere con immediatezza

come le partite che si possono giocare sono infinite e le prime mosse che facciamo

porteranno a sviluppare il gioco in una direzione piuttosto che in un'altra. In una

parola. Le nostre azioni modificano in ogni caso il destino di nostro figlio, ma

anche il nostro destino.

“Esagerato!”

Non sono esagerato. La vita è fatta così. Pensa per un attimo a come sarebbe stata

la tua vita se anziché “quella volta…”

“Quale volta?”

Si fa per dire. Pensa ad un evento della tua vita e valuta le conseguenze che

avrebbe avuto il fare una scelta diversa. Se anziché capitare nella sezione A della

scuola capitavi nella sezione C. Se anziché prendere l’auto in quel momento

l’avessi presa cinque minuti più tardi, io, per lo meno, non avrei tamponato il

camion dell’immondizia. Se anziché sedermi in quella fila e in quel posto

all’università mi fossi seduto in un altro punto, sempre io non avrei conosciuto

mia moglie.

Unisci l’utile al divertimento. Dopo aver letto

questa conversazione guardati, se non l’ha già

fatto, e riguardalo se già l’hai visto, il film:

“Sliding Doors” del 1998 .

È un bellissima storia romantica la cui

protagonista Helen, licenziata si dirige verso

casa. L’apertura e la non apertura della porta

della metropolitana dà vita a due vite

parallele; un esempio di come un’azione

piuttosto che un'altra possa cambiare il

percorso della vita. Non a caso al regista Peter

venne in mente di realizzare il film dopo un

incidente stradale; capì come un evento

casuale avesse potuto cambiare la sua vita.

26

Fig. 1.9 Il film è un esempio di come anche piccoli avvenimenti possono cambiare in modo

radicale la nostra vita. È un invito a non sottovalutare mai gli avvenimenti della giornata, la

vita è fatta di piccoli eventi concatenati.

Che la vita sia una concatenazione di eventi è normale, questa constatazione non

ci deve spaventare, ma responsabilizzare. Dovremmo fare le cose sempre, come si

dice, secondo scienza e coscienza. Purtroppo spesso per pigrizia, per mancanza di

volontà, per mancanza di un buon consiglio, per la combinazioni di circostanze

sfavorevoli, prendiamo una strada contraria a quella che avremmo voluto o

dovuto prendere. Con questa ultima osservazione ho iniziato a rispondere alla tua

precedente domanda.

“In che senso?”

Che spesso i genitori non riescono ad ascoltare la voce del loro naturale talento a

fare la mamma o il papà per motivi non dipendenti dalla propria volontà. Un

27

esempio per tutti:

la perdita del posto di lavoro, di una malattia importante in famiglia. Questi eventi

eccezionali automaticamente focalizzano l’attenzione e le risorse psicologiche su

di essi, a danno degli altri obblighi ordinari, che passano in secondo piano. Questo

è normale.

Fig. 1.10) Scegliere le strade della nostra vita non è facile; spesso qualcuno sceglie per noi. Quando

tale scelta dipende da noi, quasi sempre, lo dovremmo fare secondo scienza e coscienza. È da

saggi chiedere un consiglio, essere orientati. Non bisogna essere presuntuosi: la pianificazione

della vita richiede collaborazione e confronto.

Qui si può riprendere la domanda del bambino su cui avevo chiesto di fermare

l’attenzione: “Io sono pronto a giocare, mamma e papà, giochiamo?”

Nella risposta di mamma e papà troviamo tutta la responsabilità e la

consapevolezza che comporta l’essere genitori.

Alcune possibili risposte.

“Sì, sono pronto e consapevole, giochiamo.”

“Non mi sento pronto per fare il genitore, ma, se dobbiamo giocare, giochiamo,

e che Dio me la mandi buona”.

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“Io non me la sento proprio di giocare a fare il genitore, delego questa mia

responsabilità”.

“Se sapevo che era così complicato fare il genitore, avrei rinunciato”.

Non voglio sapere qual è stata la tua risposta. Ma in ogni caso non ci si deve

scoraggiare. Incertezze le possiamo avere tutti, gli errori fanno parte della vita di

tutti i giorni, si tratta di recuperare consapevolezza, avviare i dovuti

aggiustamenti e ripartire con rinnovato entusiasmo.

UNA RIFLESSIONE CHE PUÒ AIUTARE.

Il nostro tempo: vivere al meglio il giorno.

Non vivere la tua giornata troppo in funzione del futuro prossimo o lontano.

Il nostro progetto di vita deve stare sullo sfondo, come in un quadro, lo si deve

lasciare riposare sulla tela, mentre dobbiamo portare l’attenzione sul nostro

giorno, sul particolare di questo giorno, che è quello che viviamo in primo piano.

Noi esistiamo e viviamo nel presente, momento per momento. È proprio la

costruzione degli attimi del nostro giorno che dà consistenza al nostro progetto di

vita, consapevoli che esso cambia in ragione della nostra giornata. Rendere rigido

il nostro progetto esistenziale e condizionare i nostri giorni ad esso significa:

non vivere appieno la vita, vivere nell’ansia di sbagliare, non sapersi perdonare gli

immancabili errori che durante il giorno si fanno; perdere la speranza di poter

ricominciare.

Rifare tutto un quadro: “È una parola, e chi ce la fa!” Ritoccare solo un particolare,

è facile e alla portata di tutti. Per questo vivere giorno per giorno, valorizzare

ogni attimo di esso è una scelta di rispetto verso il tempo, la vita e noi stessi.

Dobbiamo imparare a guardare i particolari del giorno, di questo giorno. La nostra

vita sarà diversa.

Il mio impegno: è vivere al meglio questo giorno, con un sguardo sfumato al

futuro; sempre considerando che quel futuro è un mio futuro possibile, non certo

e definito; è come un’aurora boreale, cambia i suoi sfumati e fantasmagorici

colori ad ogni alba.

Spesso le nostre giornate diventano pesanti, gravose, insopportabili; è come se

qualcuno ci mettesse sulle spalle una cesta con troppi pesi da trasportare.

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“E chi è questo schiavista che ci carica la cesta, rendendola pesante,

insopportabile?”

La risposta non ti piacerà.

“Davvero, e perché?”

Perché siamo noi stessi, per lo più, che ogni giorno riempiamo la cesta di sassi, di

pesi.

È vero, alcuni pesi siamo costretti a portarli, ce li caricano addosso gli altri, non li

possiamo evitare, come quello di una lavoro troppo duro, o che ci costringe ogni

giorno a tre ore di viaggio, come quello di “un capo” che ci tratta al lavoro come

se fossimo suoi schiavi; e si potrebbe continuare.

Ma molti pesi li aggiungiamo noi, siamo noi che ci sovraccarichiamo o non

distribuiamo bene i carichi della nostra giornata. Spesso non abbiamo l’umiltà di

condividerli.

“Davvero, e perché facciamo questo?”

Questa è un’altra bella domanda. Io provo a dare la mia interpretazione, ma ce ne

potrebbero essere altre.

Come al solito utilizzo un disegno, la figura che segue, 1.11.

Il disegno illustra abbastanza

bene il problema. Non possiamo

caricare su un giorno i pensieri, i

problemi, gli impegni del domani;

ogni giorno deve avere il suo

giusto carico di problemi, ma non

solo di problemi, anche di gioie, di

distrazioni, di spazi per gli affetti.

Il nostro giorno deve contenere

nella giusta misura e nella giusta

importanza tutto quello di cui ha

bisogno per essere vissuto in

serenità. Questo non vuol dire

che non ci possono essere giornate più difficili, più cariche di ansie e di

preoccupazioni, ma queste devono rappresentare l’eccezione, non la regola. Se si

vive sempre in emergenza, in ansia, le giornate diventano un inferno.

30

Nella realizzazione di serene e positive relazioni familiari l’organizzazione del

tempo e degli impegni, durante il giorno, rappresenta un’arma vincente.

Organizzare la nostra giornata significa condividere e programmare insieme con

l’altro, con la famiglia, le nostre giornate. Inoltre si deve sempre ricordare che i

giorni non sono tutti uguali; i giorni delle festività sono giorni diversi e devono

prevedere attività diverse. Non si possono usare tali giorni, sacri nell’economia

delle relazioni familiari, come estensione di giorni lavorativi, rinchiudendoli nella

frase: “Per me non esistono feste, devo sempre lavorare.” Questo non può essere,

la famiglia, i bambini o i ragazzi, devono poter vivere tale giorno come un giorno

“diverso”, un giorno in cui è possibile fare cose diverse, divertenti, passare una

giornata insieme rilassata, serena.

La festa è una giornata che svolge più funzioni per la famiglia: serve a ricaricare

fisicamente, si dorme di più, si fanno le cose rilassate senza l’assillo della sveglia

che suona; per i bambini più piccoli c’è la possibilità anche di un incontro

ravvicinato nel lettone di mamma e papà con una battaglia a cuscinate, o rotolarsi

nel letto. Per chi è credente, si va a Messa, o si partecipa a Cerimonie religiose.

Non ho parlato di domenica appositamente per rispettare le diverse fedi e

credenze. È un giorno in cui è possibile sentire che il gruppo famiglia c’è, esiste, è

solido; farsi una chiacchierata in più e raccontarsi pure una barzelletta. Io

personalmente sono contro i compiti scolastici per le festività. Tale impegno

durante il giorno di festa è disturbante e rappresenta una variabile di tensione.

Ripropone un obbligo in un giorno in cui l’unico obbligo deve essere quello di

vivere la festività. L’unico obbligo, per i credenti, è la dimensione religiosa.

Può sembrare poco, ma se riesci a rimettere le cose a posto con il tempo della tua

giornata, le dinamiche familiari sicuramente cambiano in meglio. Provateci. Basta

poco.

ABBIAMO PARLATO DEI BAMBINI NORMODOTATI; UN ACCENNO AI BAMBINI

DIVERSAMENTE ABILI.

Comprendere, o meglio, cercare di comprendere che cosa accade nel cuore di una

mamma e di un papà quando gli nasce un bambino diversamente abile, cioè

disabile, può aiutare me e te che non siamo stati toccati da questo evento, la

scuola, gli operatori, le istituzione, ad assumere un atteggiamento più partecipe e

31

di condivisione dei problemi legati alla disabilità e a non far sentire soli quei

genitori.

Riprendiamo quanto detto per la fig. 1. 1.

In un bambino normodotato le caselle delle diverse aree di sviluppo sono tutte

ben delineate, precise. Questa chiarezza degli spazi di sviluppo del bambino

permette ai genitori di muoversi con sicurezza da una casella all’altra e al bambino

di rispondere nel modo adeguato, congruente, all’azione di mamma e papà.

Mettiamo a confronto la scacchiera di un bambino normodotato fig. 1.12 e la

scacchiera di un bambino disabile grave, fig. 1.13. Per la comprensione

dell’esempio non serve identificare di che tipo di disabilità si tratta, ci basta sapere

che l’handicap è molto grave.

Fig.1. 12) Bambino normodotato. Il genitore sa

quale mossa fare perché le caselle delle aree di

sviluppo sono chiare. E alla mossa fatta dal

genitore il bambino risponde in modo

adeguato.

Fig.1. 13) Bambino disabile. Il genitore non sa

che mossa fare. Non riesce a comprendere che

cosa c’è in quella casella non delineata,

confusa. Più grave é l’handicap più la

distruzione delle caselle può essere totale ed

estesa. Le reazioni del bambino non sono

adeguate e congruenti all’azione del genitore.

La fig. 1.12, equivalente alla fig. 1.13, già l’abbiamo commentata.

Approfondiamo la fig. 1.3.

I genitori si trovano davanti un bambino con una grave disabilità. Di fronte ad una

situazione così grave i genitori si sentono smarriti e impotenti. Questa impotenza

nasce dal fatto che a fronte di azioni di cura normali da parte di mamma e papà il

32

bambino reagisce in modo anormale. Il bambino piange. I genitori mettono in atto

tutte quelle azioni che normalmente si fanno per placare il pianto di un bambino:

lo si alimenta, si vede se è sporco, si verifica se ha coliche, se non ha linee di

febbre, se non ha sbattuto e così via. Ma, nonostante tutto, il bambino continua a

piangere, di continuo, non si riesce a placare. Nasce la disperazione. Pediatra,

accertamenti, indagini, diagnosi: “Grave disabilità”.

Stato d’animo dei genitori. E’ come se un fortissimo e distruttivo terremoto

sconquassasse la mente e il cuore di mamma e papà. È come se uno tsunami nero,

catramoso, spazzasse via tutti i sogni di vita della persona. E’ come se un incubo

decidesse di non svanire al risveglio. Tutto questo e altro ancora succede nella vita

di una mamma e di un papà. Anch’essi diventano diversamente abili per i parenti,

per gli amici, per i conoscenti, per la società, per le istituzioni, per la scuola. E devo

dire, per onestà professionale, che tali eventi catastrofici lasciano più segni nel

cuore della mamma che del papà. Spesso, troppo spesso, la stessa mamma, ma

non solo, si sente colpevole di aver messo al mondo un disabile, come se la causa

dell’evento negativo fosse dentro di lei, l’avesse procurato lei. La disabilità del

figlio taglia la vita della mamma, la scompone in due parti: il sogno di vedere nel

distacco del cordone ombelicale l’inizio di una meravigliosa vita che si sveglia, un

seme che prende forma e germoglia nella terra dell’esistenza umana, il suo

pensiero narcisistico di vedersi realizzata e continuata in un’altra vita: “mio

figlio”; e l’incubo impietoso che gli nega per sempre queste gioie.

Da adesso in poi, dalla diagnosi di disabilità, comincia un percorso ad ostacoli, la

lotta per affermare in ogni caso il diritto alla vita del proprio figlio disabile. In

questa lotta la donna madre e l’uomo padre spesso riscoprono il valore della vera

vita, diventando involontari eroi, guerrieri alla conquista di giustizia sociale.

Come in ogni catastrofe si mobilita subito all’istante il soccorso internazionale, la

generosità dell’uomo, lo slancio alla donazione. Che si placa però e svanisce con il

susseguirsi dei giorni. Poi anche quell’evento diventa notizia, trafiletto, storia,

archivio. Il problema ritorna ad essere il suo problema, il suo dramma, la sua

storia. E spesso, troppo spesso, queste mamme e questi papà “diversamente abili”

si ritrovano soli.

Dovrebbe nascere, in noi persone, in noi istituzioni, in noi scuola, una rispettosa

compartecipazione all’evento, duratura e costante, che si traduca in forme di

sostegno e di attenzioni istituzionali, di diritti garantiti, nei confronti dei disabili e

33

dei genitori. E questo si deve dire che c’è. Esistono da noi in Italia forme molto

avanzate di norme a tutela delle persone diversamente abili. La scuola ha fatto

passi da giganti dai lontani anni ‘70, quando ancora erano attive le classi

differenziali, ad oggi. Anche la società civile ha sviluppato nuove sensibilità ed

attenzioni verso le disabilità. Le istituzioni garantiscono forme di sostegno

economico e di servizi socio-assistenziali.

“E allora?”

E allora si tratta, da una parte, di rinverdire e difendere quanto previsto e

garantito. I diritti quando diventano routine perdono in slancio ed efficacia. E i

diritti che toccano la sfera delle persone più fragili hanno bisogno sempre di difese

e attenzioni. Un esempio per tutti, almeno nella regione Lazio. Per gli alunni

diversamente abili gravi nelle scuole è garantita la presenza dell’insegnante di

sostegno e dell’AEC (assistente educativo, garantito dall’Ente locale). Questo

servizio è affidato a figure non preparate e che spesso cambiano nel corso

dell’anno non garantendo il diritto alla continuità che richiede un disabile grave.

L’integrazione nella scuola richiede un intervento di competenze integrate: scuola,

AUSL (le aziende sanitarie), Enti Locali, genitori. Ormai la presenza degli specialisti

della AUSL non è più garantita e quanto previsto dalla vigente normativa, Legge

104, è disatteso.

Si deve fare inoltre osservare che il diritto alla frequenza delle persone

diversamente abili nelle scuole paritarie e parificate non è di fatto garantito.

Infatti le disposizioni prevedono cha la scuola paritaria possa affiancare un

docente di sostegno all’alunno disabile, facendosi però carico di anticipare la

spesa del docente aggiunto, salvo successivi rimborsi. Rimborsi che si sa non

arriveranno mai, nei casi più fortunati dopo alcuni anni. E quindi di fatto questo

diritto non può essere garantito.

La preoccupazione che comincia ad assillare i genitori non più giovanissimi con un

figlio disabile è il “Dopo di Noi”. Vale a dire. “Che ne sarà di nostro figlio dopo la

nostra morte?”.

Il senso dell’integrazione scolastica degli alunni diversamente abili non sta solo nel

garantire un diritto al bambino o ragazzo disabile, ma anche nella capacità da

parte della scuola di sviluppare, negli alunni normodotati, il senso di

collaborazione, di comprensione delle problematiche legate all’handicap, nello

sviluppare la capacità di saper collaborare in modo attivo alla gestione dei

34

problemi che la vita ci pone; nei docenti, la presenza di alunni diversamente abili,

deve attivare la capacità di una programmazione e di una organizzazione dei

tempi scuola diversificata, uno stile di intervento integrato tra diverse figure e i

diversi insegnamenti, l’attenzione a garantire il rispetto dei diritti educativi e

formativi di tutti gli alunni. Su questo punto mi permetto di insistere: TUTTI GLI

ALUNNI DEVONO ESSERE GARANTITI NEL LORO DIRITTO DI ESSERE DIFESI E

RISPETTATI, SIA ESSI NORMODOTATI CHE DIVERSAMENTE ABILI. Credere che gli

alunni diversamente abili abbiano più diritti degli altri bambini è un’affermazione

non esatta.

Gli alunni diversamente abili non hanno più diritti, ma gli stessi diritti degli

alunni normodotati; hanno invece esigenze diverse, richiedono la mobilitazione

di risorse straordinarie, la corresponsabilità interistituzionale, ma i diritti sono

gli stessi.

Il mancato rispetto di questo assunto è stato causa ed è causa di inserimenti non

efficaci, spesso di rifiuto dell’alunno disabile grave o con particolari problemi

comportamentali.

Va detto, questo a merito della scuola, soprattutto dell’infanzia e primaria, che

l’integrazione di alunni disabili lievi, o di media gravità che non presentino disturbi

anche comportamentali, è ormai un dato acquisito e ordinario.

Il nostro impegno:

vigilare sul rispetto dei diritti già garantiti;

impegnarsi affinché anche nelle scuole paritarie si possa attuare il diritto reale

all’integrazione;

sollecitare una formazione continua per i docenti di sostegno e le altre figure

chiamate a collaborare all’integrazione;

sviluppare, nei ragazzi più grandi, delle forme di volontariato, che li avvicinino

ai problemi delle persone disabili, anche con progetti integrati Scuola, Asl, Ente

locale, con il riconoscimento di crediti formativi.

35

IL PUNTO DELLA CONVERSAZIONE

La responsabilità dello sviluppo nella primissima infanzia è completamente

delegata ai genitori.

Non si tratta solo della quantità di tempo che si dedica al proprio figlio, ma anche

di:

qualità del rapporto che deve essere sereno, attento ai bisogni del bambino;

di interazione: fisica, contatto, abbracci, sorrisi;

interazione verbale: parlare, raccontare, giocare con la voce;

interazione ludica: giocare con il bambino;

condivisione e compartecipazione dei genitori a tutte le fasi dell’educazione da

parte della coppia, anche condividendo le rispettive deleghe e funzioni “Tu ti

occupi più di questo io di quello.”

Nel bambino si devono saziare i tre appetiti:

fisico: alimentazione e crescita;

psicologico: intelligenza, creatività, attenzione;

emotivo-affettivo: contatto, comunicazione, accoglienza, abbracci…

Avere l’umiltà di chiedere consiglio quando non si sa o prima di fare scelte

importanti che possono modificare la nostra o l’altrui vita.

Vivere il giorno caricandolo del giusto peso, organizzare la giornata lasciando un

tempo per tutte le dimensioni importanti della tua vita: lavoro, partner, figli,

distrazioni. La festività è un giorno sacro, un giorno di riscoperta della vita in

comune, della vita in famiglia.

Avere una particolare attenzione nei confronti delle persone diversamente abili.

36

POESIA

ALLE NOSTRE MAMME Di Vincenzo Riccio

37

DOPO LA PRIMA FASE DI SVILUPPO DEL BAMBINO,

CHE VEDE PROTAGONISTI LA MAMMA E IL PAPÀ,

COME SI AMPLIA LA CERCHIA DELLE RELAZIONI E

DELLE INFLUENZE SUL BAMBINO? Conversazione

La prima fase di sviluppo del bambino rappresenta la piattaforma di lancio verso la

conquista del mondo.

Una condizione di serenità e sicurezza emotivo-affettiva del bambino è la

condizione per dargli quella dose di coraggio per affrontare questo intricato

bosco della vita, dove una poltrona è una montagna, un adulto un gigante, una

sedia una capanna, una automobile una casa viaggiante, gli stridenti rumori della

casa e della strada voci misteriose di un mondo sconosciuto.

Guardiamo la fig. 2,1.

Rappresenta le fasi di differenziazione del bambino. Da una vita osmotica, fase 1,

in cui il bambino vive nella madre e in essa si nutre e respira, si passa al primo

distacco, la nascita: si cambia pianeta. Il bambino si presenta al mondo con una

propria identità, come persona, ma che ha ancora bisogno, per sopravvivere, delle

cure materne e paterne. La sua vita è in parte ancora in un rapporto osmotico,

soprattutto con la mamma. Le cure che riceve in questo primo anno, il senso di

positiva e soddisfatta sazietà dei suoi tre appetiti: fisico, psicologico, emotivo-

affettivo, rappresentano il carburante, la forza di espansione per la conquista del

mondo. L’amore che riceve in questo primo anno sedimenta, e diventa le

fondamenta solide e sicure della casa della sua vita nascente.

Il periodo successivo, fase 3, in cui al bambino si presenta l’occasione di scoprire

che il mondo è fatto di altre voci, di altri visi, di altri odori, di altri suoni ,

rappresenta la prima spedizione verso il pianeta Terra. Il coraggio di saper

affrontare senza troppi timori questo nuovo spazio gli deriva dalla sicurezza che

dietro di lui, dentro di lui, vicino a lui, c’è sempre la lunga mano dell’amore di

mamma e papà, la capanna dove rifugiarsi in caso di pericolo.

Questa considerazione vale anche per la fase 4 quando al bambino si apre il

mondo esterno della scuola, del giardino, degli adulti sconosciuti, degli altri pari,

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bambini e bambine egoisti come lui pronti a tutto pur di affermarsi e gridare: “Ci

sono anch’io!”

fig. 2.1. INTERAZIONE BAMBINO AMBIENTE.

L’espansione del proprio io verso il mondo esterno, la conquista di nuovi mondi, è

la naturale tendenza dell’uomo. Questa spinta verso l’esterno, che comprende

tutte le dimensioni: mondo fisico, persone, ricerca, conoscenza, religione, è

presente a tutte le età, in tutte le fasi della vita; non a caso una delle più temute

39

malattie psichiatriche, la depressione, determina un ritirarsi della persona dal

mondo: da tutto e tutti, anche da se stessi. Simile a questo stato, e anticamera

della depressione, è il sentirsi soli, abbandonati, inutili, senza speranza.

La storia dell’uomo è tutta qua. Avere, ritrovare, stringere una, tante mani,

durante il suo viaggio nei mondi della vita: questa certezza dà forza e speranza. I

grandi dello spirito, o gli umili carichi di fede, trovano lo slancio a qualunque sfida

nella parola di Cristo che vive in essi, ma anche loro hanno bisogno di una mano

viva da acchiappare per sentirsi uomini. Lo stesso Cristo curava e rispettava con

amore le sue amicizie, a partire da quelle con gli apostoli.

In questa osservazione appena fatta è il segreto dell’essere uomini, persona.

E questa regola vale sempre, per tutta la vita. Nei bambini della prima e seconda

infanzia, nei fanciulli, nella preadolescenza e nell’adolescenza, negli adulti e negli

anziani, la regola della vita è sempre la stessa: avere e sapere creare intorno a sé

una rete di affetti, di relazioni interpersonali, di ambienti di vita che “Mi

supportino e mi accompagnino sempre”.

Quello che cambia da un’età all’altra non è questo principio, ma la tipologia delle

reti relazionali e il potere di relazione che si ha in esse.

Mi permetto di insistere su questo punto perché alla base delle nostre scelte di

vita come genitori, come figli, come docenti, come educatori, come responsabili

di enti ed istituzioni, c’é il rispetto di questa semplice regola: avere, creare,

mantenere relazioni positive.

Analizziamo la figura 2.2.

La prima capanna dell’infanzia, rappresenta le prime esperienze di vita, quelle con

mamma e papà. È la tenda dell’amore, dove il bambino può rifugiarsi in modo

sicuro: questa è la tenda di tutte le tende. Deve essere solida e sicura. Il bambino

si potrà avventurare nel primo mondo, quello dell’ambiente familiare allargato,

perché sa che in qualunque momento, in caso di pericolo, dietro le sue spalle c’è e

ci sarà la tenda di mamma e papà, dove troverà un rifugio sicuro.

40

Fig. 2.2 IL VILLAGGIO DELLA VITA. OGNI CAPANNA È UNA TAPPA DELLA VITA.

Ogni capanna rimane per sempre dentro di noi. la nostra vita è un villaggio di esperienze dove vive

e cresce la nostra esistenza.

41

La tenda simboleggia il nostro essere interiore: emotivo, affettivo, cognitivo

(intelligenza, memoria, attenzione, ecc.), relazionale; il patrimonio di sicurezze,

certezze, positività, ma anche negatività ed incertezze che ci portiamo dentro.

Le tende rappresentano le diverse tappe della vita. Ognuna contiene le esperienze

positive o negative che si accumulano nel percorso dell’esistenza. Insieme le

tende costituiscono il villaggio dentro cui germoglia, si sviluppa e cresce la vita di

ognuno di noi.

Naturalmente la prima tenda, la tenda delle tende, rimarrà incancellabile. Questa

radice rimarrà dentro di noi. L’amore positivo dei genitori è inestirpabile, in

particolare quello verso la mamma.

I papà non se l’abbiano a male, ma un figlio rappresenta in realtà, non

simbolicamente, la carne della carne della madre, e questa linfa originale circolerà

sempre dentro i rami e le foglie della nostra vita.

Come facilmente si intuisce dalla figura, ogni periodo della vita si nutre, trova gli

alimenti necessari alla sua crescita, il suo sostentamento, in un particolare mondo.

Ma solo a condizione che il mondo, lo spazio di vita precedente, abbia saputo

soddisfare in modo adeguato e positivo i bisogni del bambino; abbia saputo

saziare i suoi tre appetiti: fisico, psicologico, emotivo-affettivo.

“Si puoi spiegare meglio, cosa vuoi dire esattamente?”

Certamente. Guarda la figura, la 2.3.

Nel primo tavolo, dalla nascita a 2-6 anni, il bambino mangia i cibi offerti da

mamma e papà. Nel secondo periodo lo stesso bambino, da 3-6 anni, mangia cibi

offerti oltre che da mamma e papà anche dal mondo esterno (scuola dell’infanzia,

altre persone, ambienti diversi).

In questa prima figura è rappresentato un bambino che ha ricevuto gli alimenti

giusti e in giusta quantità. Il bambino passa da una fase di sviluppo all’altra sazio;

ogni suo appetito è stato soddisfatto in modo adeguato. Possiamo dire che non ha

“buchi nello stomaco”, non sente nessun “languorino”. Si alza dal tavolo della

prima infanzia sazio, esce dal locale con il sorriso sulle labbra e, senza rimpianti, si

avvia al secondo ristorante; lo aspetta un nuovo tavolo imbandito da nuovi cuochi.

E’ pronto per le degustazioni e l’assaggio di nuovi cibi.

La figura 2.4. rappresenta una bambina nelle stesse condizioni della figura

precedente, solo che questa volta, la bambina non è molto soddisfatta del servizio

mensa. I cuochi, in questo caso, mamma e papà, non gli hanno servito tutte le

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pietanze di cui necessita la sua crescita; qualcosa non è stato servito nella giusta

quantità, addirittura si sono dimenticati di servire qualche pietanza. Hanno

pensato, mamma e papà: “Bastano anche due primi abbondanti e ben conditi per

saziarla. Possiamo fare a meno di preparare la frutta e il dessert. Cresce bene lo

stesso!” Non è così. La bambina si alzerà dal tavolo con dei “Buchi nello stomaco”

con dei “Languori nostalgici”, uscirà da quel ristorante pensando a quello che non

gli hanno servito. Quel piatto non servito rimarrà un’idea fissa. Quando si siederà

alla nuova mensa, sicuramente mangerà i nuovi cibi, ma non riuscirà a gustarli e

digerirli nel modo giusto, il suo stomaco gli dirà “Ho ancora fame del budino pre-

maman. Se non sazi questo buco non riesco a digerire bene questi nuovi alimenti.”

Fig. 2.3. Il bambino in epoche diverse ha necessità di essere nutrito con cibi adeguati alla sua età:

come consistenza (a un bambino di 4 mesi non si può dare un pollo arrosto), come congruenza e

consonanza affettiva (un bambino di un anno ha bisogno di coccole, abbracci, baci, contatto fisico

con mamma e papà, un preadolescente queste attenzione le evita, non le gradisce: “ Ma che fate,

mica sono un bambino!”.) Quindi ogni età ha bisogno del “cibo” giusto.

43

Fig. 2.4. In questa illustrazione la bambina si lamenta di non ricevere il cibo giusto per la sua

crescita. Questo mancato nutrimento la bambina lo avverte come una mancanza, un’assenza di

cure. Nelle fasi successive di sviluppo la bambina sentirà sempre queste carenze che vorrebbe

colmare; solo se troverà un ambiente attento e pronto a soddisfare i suoi reali bisogni, il suo

“appetito” potrà essere saziato. La bambina dovrebbe riceve a tempo opportuno il cibo necessario

e adeguato al suo sviluppo.

“Vuol dire che il bambino potrà sentire questa mancanza, per tanto tempo? Mi

sembra curiosa la cosa. Ma se poi riceve cibo, vale a dire stimoli, attenzioni nel

modo giusto, non potrà colmare, annullare, questo “buco nello stomaco”?”

Hai messo il dito sul problema.

Certamente “i buchi nello stomaco”, le carenze affettive, o di altro tipo,

sicuramente si possono colmare, recuperare, anche annullare, ma questo

dipende:

1) dalla gravità delle carenze. Ci sono dei traumi infantili talmente forti che

difficilmente si potranno annullare; si potranno compensare, suturare, ma il segno

della ferita, del trauma non potrà mai scomparire del tutto. Si pensi ad un trauma

di violenze, di maltrattamenti, di abbandoni subiti nella prima o seconda infanzia. I

giornali ne danno testimonianza impietosa ogni giorno. Si deve sempre ricordare

44

che un evento, un’azione, che a noi grandi sembra di poco conto e irrilevante, per

un bambino piccolo può essere traumatica. E non dobbiamo lasciarci ingannare

dalle apparenze: “Che ti dicevo, vedi, gli è piaciuto il film. Non ha avuto nessuna

reazione negativa, di paura.” Può essere anche così, ma può essere, e capita, che

quel mostro, quella scena di sangue, quella violenza, si riaffacci in un incubo dopo

un giorno, un mese, provocando comportamenti di insicurezza: “Ma perché non

vuoi più dormire nel tuo lettino?”. O sedimenti in uno stile comportamentale

aggressivo: “Oggi mi ha chiamato la tua maestra. Perché dai morsi ai compagni,

non l’hai mai fatto.” O ancora si sfoga in ingiustificate paure “Gli è venuta la paura

di qualunque oggetto tagliente o con punta, non riesce più a prenderli in mano.

Soprattutto i coltelli.”

2) Dalla capacità dei nuovi ambienti di saper cogliere e leggere i bisogni reali del

bambino e quindi anche dei suoi vuoti emotivo-affettivi, relazionali, cognitivi e

predisporre piani di intervento educativi adeguati e compensativi.

3) Da una stretta collaborazione tra gli organizzatori dei nuovi spazi di crescita. Se

pensiamo alla scuola dell’infanzia ci dovrebbe essere una stretta collaborazione

tra genitori e docenti.

“Allora possiamo dire che piccole disattenzioni educative nei diversi periodi dello

sviluppo del bambino non sono gravi, non lasciano tracce, mentre bisogna stare

attenti a non procurare ed esporre il bambino a forti eventi traumatici. Possono

essere eventi traumatici anche i litigi tra genitori?”

Eccome! Sentire mamma e papà che litigano, che a volte se le danno non è

sicuramente un bel vivere. E in un bambino procurano danni seri nella sfera della

sicurezza, della fiducia, della speranza, delle relazioni.

Voglio precisare che io amo usare la parola “mondi” per indicare spazi diversi della

vita. Mondi perché ognuno di essi ha linguaggi, regole, valori, idealità, diversi,

richiede competenze e abilità adatte a quel mondo.

Il mondo dell’adolescente è completamente diverso da quello di un bambino di 3-

6 anni, come questo da quello di un bambino di 8 anni.

Tali mondi non si possono sovrapporre né confondere, hanno dei confini, che

seppur sfumati, non si possono ignorare e travalicare impunemente. Un esempio

per tutti. Oggi esiste una crisi generazionale adolescenziale dovuta al fatto che si

vuole far continuare a vivere un ragazzo di 30-35 anni in un mondo

adolescenziale, con tutte le conseguenze negative che questo comporta e che

45

sono sotto gli occhi di tutti. Un ragazzo a 30-35 anni è in età adulta piena, non è

più un adolescente. Non basta una giustificazione sociologica che, per salvare

capre e cavoli, afferma che: “Oggi il mondo è cambiato, la vita si è allungata e così

anche il periodo adolescenziale è ormai indeterminato.” Beati adolescenti di 40

anni, e giovani adulti cinquantenni in piena fase di nuovi innamoramenti! Non che

non sia meraviglioso innamorarsi. Ma questa è un’altra storia. E per chiarezza, non

c’entra niente il bigottismo o l’essere o non essere moderni: è un problema di

rispettare l’identità di ognuno e il ruolo di ogni persona nei diversi mondi e nei

diversi tempi.

Importantissimo. Facciamo vivere i bambini dentro i confini adatti alle loro

capacità e competenze. Non cadiamo nel trabocchetto che “Essere moderni

significa esporre i bambini a tutte le esperienze. E poi come si fa a selezionare

quello che è giusto e quello che non è giusto per l’età del bambino?”

Non dobbiamo illuderci che il semplice fatto di esporre un bambino a vivere

esperienze adatte a bambini più grandi lo faccia crescere o la faccia “Più

intelligente.” Non è vero.

COSTRUIRE RELAZIONI POSITIVE, AMBIENTI DI VITA FAVOREVOLI

ALLO SVILUPPO DEL BAMBINO.

Un punto fermo.

Un bambino, un ragazzo, una persona è sempre il risultato di relazioni vissute in

mondi diversi, il nostro impegno è fare in modo di rendere, per quanto possibile,

affettivamente rilevanti, e tendenti verso il segno positivo, gli ambienti dove il

bambino vive.

Più i bambini sono piccoli e più é facile organizzare spazi positivi, anche perché

l’organizzazione di questi ambienti dipende da meno persone, all’inizio solo da

mamma e papà.

In ogni caso bisogna fare qualche rinuncia, metterci la buona volontà.

Il segreto per rendere le cose facili? E’ amare e amarsi, anche e soprattutto tra

mamma e papà.

46

L’AMORE: UN SENTIMENTO DA DIFENDERE.

I CINQUE MOTORI DELL’AMORE.

“Scusa, ma come la mettiamo con le coppie separate, con le coppie di fatto,

con…”

Bella domanda! Non nascondo che ogni tanto sento che questa domanda spunta

tra le parole che parlano di figli, di relazioni, di impegno, d’amore, ma

inconsapevolmente la ricaccio via. Ma ormai non posso più svicolare.

I separati… Un problema che chiama in causa e coinvolge oltre ai diretti

interessati, i figli, la società, la scuola, la Chiesa. Non sono queste le pagine dove

affrontare tale tema in modo articolato e approfondito, ma che vada affrontato è

indubitabile, anche perché è una realtà con alte percentuali di rappresentanti e si

fa strada un nuovo modello di unioni, quelle di fatto.

“E come lo vuole affrontare in queste pagine, senza che diventi noioso?”

Vorrei partire dalla causa che porta alla separazione: l’amore.

Ci si sposa, se si ama, e se l’amore tra due persone è reciproco.

Il matrimonio non può che nascere nell’amore: dubbi d’amore verso l’altro

devono essere sempre un campanello di allarme per rinviare una decisione così

importante come il matrimonio, carica di conseguenze ed impegni.

L’amore troppo spesso viene considerato e percepito come eterno. Con tutto il

rispetto, nel mondo, di eterno, che io sappia, c’è solo l’anima, per chi crede

nell’Eterno.

L’amore tra coniugi va coltivato, nutrito, rispettato, rinverdito giorno per giorno,

difeso. Va considerato come una meravigliosa e delicata pianta che ha bisogno di

cure e attenzioni costanti. Ricordando che ognuno degli amanti (chi ama) è allo

stesso tempo giardiniere e fiore. Si devono saper alternare in questa doppia

funzione.

Io vorrei mettere l’accento proprio sulla parola: difeso.

L’AMORE VA DIFESO.

Senza mandarla per le lunghe, che altri meglio di me hanno affrontato il tema

dell’amore e dell’innamoramento, vediamo che vuol dire difendere l’amore.

Facciamo riferimento alle quattro figure che seguono.

47

Fig. 2.5. LA CASA DELL’AMORE.

48

Il muro rappresenta l’amore, questo solido e misterioso sentimento che trasforma

due estranei in anime gemelle, il fruscio dell’altro in musica e il suo odore in

festosa primavera.

Lo spessore e la consistenza del muro rappresentano la profondità e la purezza

dell’amore, la sua altezza il coinvolgimento che tale amore ha per gli innamorati.

Ebbene anche il muro più alto e consistente cede se viene preso tutti i giorni a

martellate e se nessuno provvede a riparare i danni, passandoci una mano di

pittura o di calcina.

È quello che avviene nella fig. 2.5 dove i due innamorati armati del loro amore, il

pennello e la cazzuola, giorno per giorno provvedono a rinfrescare il loro muro

dell’amore.

Lo difendono anche costruendo intorno al loro amore, intorno alla loro famiglia,

un virtuale recinto protettivo, che non vuole essere un mezzo per vivere in

isolamento, mettere fuori il mondo. No. È un sistema di allarme, una specie di

sonar, che permette di capire quando si sta mettendo a rischio la salute del

proprio amore e della propria famiglia.

Non ci si deve nascondere. Oggi le tentazioni di sfuggire alle proprie responsabilità

sono tante. Gli stessi modelli di vita che la società, il lavoro, ci impongono

mettono a rischio la nostra capacità di controllo. Il tempo vita che si passa

fisicamente insieme, all’interno della famiglia: mamma, padre, figlio/i, si è

paurosamente ristretto. Le preoccupazioni per l’esistenza ci sottraggono energia e

ci rendono più vulnerabili.

Non ce lo dobbiamo nascondere, siamo a rischio, e tutti.

Da qui la necessità di creare sistemi di allarme e di difesa più efficaci.

TUTTA LA VITA È IN FUNZIONE DI CINQUE AMORI, CHE POTREMMO DEFINIRE I

MOTORI DELLA VITA:

L’AMORE PER SE STESSI, L’AMORE PER L’AMANTE (CHI SI AMA), L’AMORE PER I

FIGLI, L’AMORE PER IL PROSSIMO E TRAMITE QUESTO L’AMORE PER DIO.

Un motore fa da puntello, da sostegno all’altro, come un architrave circolare: se

cede, se si allenta, se entra in crisi uno dei cinque motori dell’amore, tutto il

sistema amore è a rischio.

“Bell’idea, ma per chi non crede in Dio il sistema non funziona.”

49

Il sistema funziona sempre. Chi non crede in Dio deve mettere al suo posto un

valore etico, una morale, se vuoi un’ideologia. Se questo valore manca il sistema

dell’amore è fragile, molto fragile.

Non vorrei sembrare scocciante, ma se si analizzano le problematiche, per non

dire crisi esistenziali, che oggi viviamo, ci rendiamo subito conto che il sistema

amore manca di due motori fondamentali: l’amore per il prossimo, che si può

anche tradurre nel rispetto della persona e per la sua dignità, e la mancanza di

“Fede”, la metto tra virgolette per intendere tutto: Dio, Etica, Ideologia, Morale…

Fig. 2.6. I cinque motori della vita: mamma, papà, figlio, prossimo (le altre persone), Dio (fede,

principi etici, ecc.),. Ognuno di questi motori spinge la vita nei diversi momenti dell’esistenza, e

l’uno é di rinforzo all’altro.

50

E SE SI È SEPARATI?

Quando l’amore smette di essere istituzione di se stessa, quando il muro

dell’amore è andato in frantumi e la speranza di ricostruirlo è andata in mille

pezzi, non rimane ai due ex amanti (chi ama) che affidare la vita non più alle vere

regole dell’amore, ma a quelle finte delle istituzioni. Sono queste, come il

tribunale dei minori, che cercano di rendere credibile l’affetto, l’impegno, i ruoli

dell’essere genitori, spacchettando il tempo e il vissuto dei figli in fogli di

calendario da tenere d’occhio, per aiutarli a raccapezzarsi su quando e come

vivere questi nuovi tempi dell’amore. Indicano, tali istituzioni, anche il nuovo

ruolo che i figli di separati devono assumere.

Da qui discende la risposta al problema dei separati.

Essi devono sapere, che al di là delle singole responsabilità come ex, questo nuovo

ruolo comporta un cambio di registro: essi da oggi in poi hanno l’obbligo di essere

padri e madri, un obbligo controllato, fatto di rispetto di norme, decreti,

ingiunzioni; di rispetto di orari di entrata e di uscita in questa funzione di genitore

temporizzato.

“Ma non esagera, non sempre è così.”

È vero, non sempre per fortuna, ma spesso è così.

“Qual è la soluzione?”

La soluzione vera è di non arrivare alla separazione. Ma qualcuno dice che in

alcuni casi è inevitabile, è l’unica soluzione ragionevole.

Molte cose della vita non si possono separare di netto: o bianche o nere. In molte

circostanze è necessario saper guardare anche le sfumature del grigio che aiutano

a sbirciare dentro le pieghe del problema e a trovare le giuste e le doverose

soluzioni; a volte è necessario, per vederci meglio, accendere anche delle piccole

lampade tascabili per guardare più attentamente dentro le pieghe della

separazione.

La separazione è una di queste realtà.

Essa rappresenta un esempio del potere della rabbia, dell’odio; essa testimonia la

capacità distruttiva che queste emozioni negative possono avere sulla vita delle

51

persone; poiché il vero artefice, il protagonista, il carnefice del matrimonio , della

relazione è il puro odio, la sfrenata, devastante, incontenibile aggressività che da

esso deriva.

“Mi permetto di contestare questa osservazione. La causa vera del divorzio è

l’atto di tradimento, venuto allo scoperto, di uno degli amanti (chi ama).”

Va precisato che l’atto di tradimento non sempre è una relazione extraconiugale;

spesso, la causa della separazione, è la dichiarazione della fine di un affetto: “Non

ti amo più, non voglio più vivere con te!” Anche questo é un tradimento, a volte

più inspiegabile per l’altro che ama: è un tradire l’impegno ad amarsi per sempre,

a vivere insieme per tutta la vita. Per chi ama veramente, che l’altro ci possa

lasciare, è inconcepibile. Per l’innamorato, l’amore contiene in sé l’assunto che

l’amore è per sempre.

Fatta questa necessaria precisazione, cerchiamo di capire quello che avviene nella

capanna dell’amore dopo che è stata accesa la miccia della rabbia, innescata dalla

scoperta del tradimento. Il fumetto sotto riportato propone una scena tipica che

precede e innesca il dramma della separazione.

Il partner quella sera porta a casa una bomba ad orologeria, la bomba dell’odio.

Spesso neanche chi procura il danno sa esattamente quello che succede, pensa,

spera, crede di essere “capito”, di essere “compreso”, spera che “mia moglie

capirà, capirà che non lo faccio per cattiveria. È capitato. Non ci posso fare niente.

È andata così. Dovrei rinunciare. E perché? Voglio vivere questa storia fino in

fondo. Mio figlio? Ma continuerò a volergli bene, sarà sempre mio figlio. Lo faccio

anche per lui. Non voglio che mi veda scontento, nervoso, sempre irritato. Carla

capirà, sono sicuro: è una donna moderna, intelligente, sicura. Capirà.”

E con queste convinzioni apre la porta di casa, se la chiude dietro lentamente,

quasi a voler prendere tempo e studiare il momento giusto per lanciare la bomba

dentro le vite di persone che sembrano a lui ormai estranee.

52

Fig. 2.7. LA SEPARAZIONE.

Un odio che si impossessa della mente, del cuore, del corpo e che, tramite questi,

passa all’azione: la mano armata dell’odio è l’aggressività.

L’Amore è come una clessidra che contiene in sé due sentimenti opposti: amore-

odio. Girata da una parte, lascia scorrere e fluire il tempo dell’amore, capovolta,

lascia penetrare nel tempo della vita la vischiosa sabbia dell’odio.

Una volta che la clessidra è stata girata, il futuro della persona tradita, della sua

famiglia, dei figli, anche del possibile recupero della relazione traumatizzata,

dipende proprio da come sarà gestita l’aggressività; dipenderà dalla capacità della

persona di sopportare la carica della bomba, di avere una camera di scoppio, il suo

cuore, la sua mente, la sua fede, capace di contenere la deflagrazione, senza far

danni all’esterno. E’, continuando ad usare l’esempio militare, il sacrifico del

soldato eroe che per salvare i suoi commilitoni, copre lo scoppio della bomba

nemica con tutto il suo corpo.

53

Troppo spesso lo scoppio non è controllato e travolge in modo traumatico anche i

figli. I figli diventano dei commilitoni da “usare” per vincere le battaglie contro il

comune nemico: il papà infedele. Capita che il partner tradito usi come strategia

difensiva quella di far terra bruciata davanti al marito traditore: figli, parenti,

conoscenti, tutti devono sapere “quello che ha fatto; il male che ha procurato alla

sua famiglia.”

E per contrappasso spesso il portatore di bomba cerca di recuperare terreno con il

figlio usando una strategia equivalente a quella della mamma.

Sta di fatto, che in mezzo a questa guerra di emozioni negative estreme, chi ne

esce più mal ridotto è il figlio: le prende da tutti e due.

La famosa frase “Tanto mio figlio capirà!” è una delle più grandi scemenze che

circolano nella mente dei separati e che si possano attribuire al pensiero di un

bambino che vive la separazione.

Per il bambino la separazione è inspiegabile; e più il figlio è piccolo, più risulta

difficile capire l’evento. Non che un bambino di 10/11 anni la possa capire o

giustificare; forse ha più strumenti cognitivi ed emotivo-affettivi per difendersi. A

qualunque età, la separazione di mamma e papà (perché per il figlio dei due ex

amanti, chi ama, sono, restano e resteranno per sempre MAMMA E PAPÀ), è un

trauma. Punto e basta.

Un esempio aiuta più di cento

parole. Figura accanto 2.8.

Mamma e papà per un

bambino sono due robuste

radici di albero su cui è stata

costruita tra i rami la capanna

dell’amore e per l’amore, e lui

lì vive. Da quelle radici

traggono forza e linfa i rami

che sostengono la sua casa.

All’improvviso qualcuno

taglia, recide, una delle due

radici. Che c’è da capire! E’ un

fatto malvagio che mette in

54

pericolo la sicurezza di tutto l’albero, dei rami della capanna. L’ansia, il terrore,

l’insicurezza, si impossessano del bambino. E là, sospeso su precipizio, l’ansia di

precipitare nel vuoto è forte e costante. E così vivrà fino a quando qualcuno

metterà un sostegno di sicurezza, o addirittura rimetterà la radice al suo posto,

dopo un bel trattamento di attack.

Che fare?

Una prima soluzione è saper fare un grande lavoro di prevenzione e preparazione

al matrimonio. Proporrei addirittura delle campagne d’informazione e formazione

per sviluppare la consapevolezza alla bellezza e alle responsabilità dell’amore.

Una volta che si è arrivati alla separazione non c’è soluzione, la separazione è un

dato di fatto che automaticamente fa scattare meccanismi di garanzia per i

minori, i figli. Meccanismi che non sempre funzionano, non sempre garantiscono

quello che dovrebbero o vorrebbero garantire: la difesa del benessere dei figli.

Permettimi una riflessione ad alta voce, che può anche non essere condivisa.

Il sistema che regolamenta la separazione commette un errore: avere come unico

obiettivo il benessere dei figli, giusto. Ma sarebbe più funzionale ed equo un

sistema che garantisse il sistema persone: ex madre, ex padre e figli. Questo

perché frequentemente le sentenze riducono una delle due parti (che non sempre

è quella che ha colpa, il picconatore del muro dell’amore) alla miseria, alla pura

povertà, al degrado, alla perdita di dignità, e in tale condizione tale persona, padre

o madre, perde anche il diritto a vedere il figlio, seppure secondo un ristretto

calendario.

Che insegnamento sociale, civico, etico, di senso di giustizia può ricevere un figlio

che vede il proprio papà, la propria mamma, privati della loro dignità?

Lascio a te la risposta.

La vita non può funzionare così.

I numeri dei separati e delle coppie di fatto diventano sempre più grandi.

Non si possono ignorare tali condizioni esistenziali.

I bambini, i ragazzi, figli di separati, pongono alla scuola delle nuove sfide; essi

hanno delle sensibilità acuite dal disagio che hanno vissuto e vivono; provano

emozioni che si traducono in comportamenti che richiedono attenzione.

Bisogna liberarsi di alcuni stereotipi sui separati e le coppie di fatto (quali sono i

tuoi stereotipi, se ne hai ?), rimboccarsi le maniche e recuperare una pedagogia

che parta e che tenga conto anche di queste nuove forme di relazioni.

55

Più di qualche sacerdote ha avviato una pastorale per i separati. A me sembra una

buona cosa, anche considerando che spesso la separazione è la scelta di uno solo

dei coniugi, l’altro/a la subisce, caricandosi di responsabilità e colpe che non gli

appartengono, ma che deve in ogni caso condividere: diventa un separato/a

contro la propria volontà. Per chi crede è un problema, non da poco.

Servirebbe un sistema di sostegno psicologico per i separati per aiutarli al

controllo dell’odio. L’odio non va distrutto, soffocato, non è possibile, va diluito e

indirizzato nel modo giusto facendolo diventare nuova energia di vita positiva. E

allo stesso tempo, servirebbe un supporto che svolgesse una funzione di

supporto, di spalla, in un momento così critico della sua vita. Questo è possibile

con un efficace sostegno psicologico.

IL PUNTO DELLA CONVERSAZIONE

Per crescere la persona deve essere “nutrita nel modo giusto per

qualità e quantità di cibo”; il cibo sono affetti, attenzioni, stimoli,

adeguati ambienti di vita.

E ogni periodo della vita: infanzia, fanciullezza, adolescenza, ha i suoi cibi

e i suoi cuochi (mamma, papà, educatori, docenti, amici, ecc.). I cuochi

debbono avere la capacità di capire i bisogni della persona e preparare le

giuste pietanze per saziarla.

L’amore tra due persone, uomo donna, per durare tutta la vita, lo si

deve curare e difendere, anche a costo di qualche rinuncia e sacrificio.

La soluzione alle separazione delle coppie sposate? Non separarsi. La

strada è quella di avere consapevolezza dei propri sentimenti prima del

matrimonio e degli impegni che richiede una unione che dura tutta la

vita.

Se incontri difficoltà nella vita, e questo è normale, la strada vincente è

avere sempre pronta una mano da stringere per ricominciare. Tu

quante mani hai a disposizione pronte a lasciarsi afferrare e a starti

vicino nei casi di difficoltà? Fai un elenco scritto, usando la scheda che

segue; ti può aiutare a fare il punto dello stato delle tue relazioni

56

affettive, che ti ricordo non sono solo moglie o marito, ma anche i

genitori, nonni, zii, figli, amici, un sacerdote, una organizzazione…

RIFLESSIONE PERSONALE: la mia NET-RELAZIONE.

Fig. 2.9 La tua NET-RELAZIONE. Scrivi i nomi delle persone, gruppi, su cui puoi realmente contare in caso di necessità e di

bisogno. Scrivi il nome, chi sono e che tipo di aiuto ti potrebbero dare in caso di necessità. Le necessità possono essere le

più diverse, identificale tu. Per individuare la tua reale NET-RELAZIONE considera anche situazioni di necessità estreme.

57

POESIA

DUE RIGHE PER PAPÀ di Vincenzo Riccio

58

PER AVVENTURARSI NEI DIVERSI AMBIENTI DI VITA I

BAMBINI, MA ANCHE I RAGAZZI, HANNO BISOGNO DI

SENTIRSI SICURI. COME SI PUÒ FACILITARE LO

SVILUPPO DI QUESTA FIDUCIA, DARE E TRASMETTERE

SICUREZZA AI BAMBINI, AI RAGAZZI? Conversazione

La risposta a questa domanda è contenuta in modo implicito in quanto abbiamo

detto nelle due precedenti conversazioni.

Mi preme fare una precisazione. Queste conversazioni hanno uno specifico

obiettivo: evidenziare da una parte le problematiche psicologiche, sociali, culturali

che oggi incontrano i genitori nel fare il loro mestiere e dall’altra come il modo di

affrontare questi problemi incida sullo sviluppo del bambino e dei ragazzi.

Nel fare questa operazione è necessario mettere sotto osservazione i fattori più

importanti, a mio modesto parere, che influenzano la funzione e il ruolo

dell’essere genitori; e sarà proprio dal come gestiranno tale “incarico” naturale o

assunto (naturale è quello dei genitori naturali; assunto è quello dei genitori

adottivi o di chi prende in carico, con un nuovo matrimonio, anche i figli del nuovo

partener.) che si avranno i diversi stili genitoriali, con tutte le conseguenze

formative, positive o negative, sui figli.

RUOLO-FUNZIONI-COMPETENZE-AZIONI-RESPONSABILITÀ:

LA CATENA DEGLI EVENTI. 3,1

Cinque parole che ci fanno storcere la bocca.

Cinque parole che difficilmente mettiamo in una relazione obbligatoria e

necessaria tra di loro.

Cinque parole che fanno parte formalmente di qualunque manuale di diritto, di

qualunque regolamento, di qualunque contratto che sottoscriviamo.

Parole come competenze, funzioni, responsabilità si evitano, e, se proprio si

debbono usare, si cerca sempre di differire al domani le azioni che discendono da

tali obblighi.

59

Un breve chiarimento sul significato che assumono questi termini in questa

conversazione.

IL RUOLO è la veste che assumiamo, che automaticamente ci mettiamo, o ci

mettono addosso, in rapporto alla nostra età, al gruppo a cui apparteniamo,

all’ambiente di nascita, al nostro lavoro, e così via.

E così abbiamo un ruolo:

in rapporto alla nostra età: di bambino, di ragazzo, di adulto, di anziano;

in rapporto al gruppo di appartenenza o che frequentiamo: gruppo

familiare, degli amici, ambiente di lavoro, gruppo sportivo, ambiente

politico.

Mi fermo qui, gli esempi potrebbero continuare, ma per il nostro discorso

bastano.

Ognuno di questi ruoli automaticamente comporta lo svolgimento di una funzione

e la funzione si svolge attraverso azioni, compiti, comportamenti; lo svolgimento

di tali compiti comporta l’assunzione di responsabilità.

Ogni nostra azione, si voglia o non si voglia, è carica di responsabilità; dirette, se

quello che faccio ha una immediata ricaduta su di un’altra persona; indirette se la

mia azione non incide direttamente su un avvenimento, ma incide

involontariamente. Faccio un esempio. Parcheggio l’automobile in seconda fila in

un punto che chiaramente comporta intralcio al traffico. Poco dopo arriva un altro

automobilista che non vede immediatamente la mia auto, per evitarmi inchioda,

l’automobilista che segue lo tampona. Di chi è la colpa? Per il codice della strada

non è mia, ma del secondo automobilista; ma oggettivamente sono io la causa

dell’incidente che ho parcheggiato in modo da creare un rischio potenziale al

traffico; questa è la responsabilità indiretta.

E’ bene visualizzate e memorizzare, attraverso la fig. 3.1, la catena degli eventi,

potrebbe a te, a me, servire per avere maggiore chiarezza delle nostre

responsabilità riguardo ai ruoli che noi rivestiamo a casa, al lavoro, e per

ripensare a come le azioni che facciamo procurano eventi sia su persone, ma

anche su ambienti e cose, sia direttamente che indirettamente, a volte positivi, a

volte negativi.

60

FIG. 3.1 LA CATENA DEGLI EVENTI: RUOLO DEI GENITORI. Dal ruolo che si riveste discendono una

sequenza di funzioni, competenze, atti e responsabilità. Ognuno di noi riveste nella vita ruoli

diversi. Tali ruoli cambiano in rapporto agli ambienti, ai gruppi di riferimento, all’età.

Perché un ruolo sia svolto in modo adeguato è necessario che chi lo svolge sia consapevole e attui

tutta una serie di passaggi che rendono quel ruolo efficace.

61

RIFLESSIONE PERSONALE: I MIEI RUOLI NELLA VITA.

3.2. Con questo schema puoi analizzare qualunque ruolo, di genitori: mamma-papà, di partner:

marito-moglie, di nonno/a, amico, di figlio/a; sul lavoro: docente, capo di istituto, dirigente,

operaio, impiegato; di studente. Utilizzato con attenzione permette di riflettere sulle proprie

funzioni e, nel caso, svolgerle meglio, in modo più consapevole e responsabile.

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Per far comprendere con immediatezza l’importanza che ogni nostra azione ha

sugli altri, faccio l’esempio della pacca sulla spalla. Una persona depressa, o in un

momento di chiara difficoltà, in qualche modo ci fa capire che ha bisogno di aiuto.

Noi possiamo: a) mettergli la mano sulla spalla, ascoltarla, lanciargli una parola di

speranza, b) ignorarla e anzi deprimerla di più con la nostra indifferenza.

Le conseguenze della nostra azione a o b sono chiare. Positive nel primo caso,

negative e distruttive nel secondo. Possiamo illuderci che la nostra responsabilità

dell’atto compiuto è ininfluente sull’altra persona. Ma è evidente che non è così,

almeno per chi crede nelle relazioni umane e ha una attenzione verso l’altro.

Ricordiamoci, lo dico a te e a me, che una pacca sulla spalla ce la chiedono, tutti i

giorni, anche quelli che ci stanno più vicini, moglie o marito, figli, un amico, un

collega di lavoro. Alcune battute illuminanti.

“Scusa caro, che ne pensi di questa idea per sistemare la stanza del bambino, mi è

venuta in mente stanotte… ascolta”

“Ne parliamo stasera, adesso ho fretta. Ciao, e la notte dormi.”

“Papà puoi vedere se questo compito l’ho fatto bene, non mi ricordo…”

“Parlane con tuo fratello più grande, adesso non posso…”

“Scusi, ma che pure queste cose di poco conto possono avere delle conseguenze

sull’altro, mi sembra esagerato, e poi effettivamente a volte non si ha tempo di

stare a sentire.”

Chiariamo subito che ci sono pacche sulla spalla anche piccolissime,

apparentemente non importanti: pacche invisibili. Ma la vita è fatta di piccoli

gesti, di piccole attenzioni, per fortuna. Immagina se avessimo a che fare sempre

con grandi eventi, grandi problemi tutti i giorni!

È vero, capita di non avere tempo per dare una risposta immediata…

“E allora lo vede che è normale rispondere così?”

Un momento ho detto che “non si ha tempo di dare una risposta immediata…”

ma possiamo fare in modo di impegnarci a dare la risposta più tardi.

“E come si fa?”

Si fa. La sicurezza che noi manterremo l’impegno sta nel nostro modo di

rispondere e di relazionarci all’altro.

Riprendiamo gli stessi dialoghi di sopra.

“Scusa caro, che ne pensi di questa idea per sistemare la stanza del bambino, mi è

venuta in mente stanotte… ascolta.”

63

Prima di rispondere il marito si avvicina alla moglie la guarda in viso,

“Accennami la tua idea… Interessante! Stasera l’approfondiamo. Ciao amore.”

“Papà puoi vedere se questo compito l’ho fatto bene, non mi ricordo…”

“Fammi vedere… “ Prende il quaderno gli dà una rapida occhiata. “Per quando ti

serve la soluzione? Se subito, lo vedi, non posso: sto andando al lavoro, puoi

chiedere a tuo fratello, poi questa sera ci ridiamo un’occhiata insieme. Mi fa

piacere vedere come avete risolto il problema. Ciao, buona scuola.” Lo saluta con

una bacio e una carezza.

“Ma per fare tutto questo bisogna essere…”

Non bisogna essere niente: basta avere un’attenzione affettuosa e un rispetto

verso la moglie, o il marito, o il figlio. Il tempo, se uno lo calcola, é lo stesso nei

due dialoghi. Solo che nel primo caso ha lasciato scontenti sia la moglie che il

figlio, creando tensione e malumore, nel secondo ha lasciato un segno di serenità

nella giornata di tutte e due.

“Vorrei un chiarimento: cosa sono le pacche invisibili?”

La vita di una persona è trapuntata , nel bene o nel male, da queste pacche

invisibili; sono esse che condizionano le sue scelte e che orientano le sue reazioni.

Senza esagerare, possiamo dire che fanno di una vita una meravigliosa avventura

o un’odissea, difficilmente a lieto fine, al contrario del mitico Ulisse.

Vediamo perché.

Vorrei fare due esempi.

Primo esempio. Ambiente: un nucleo familiare composto da mamma, papà e due

figli, il più piccolo Mario di 6 anni, il più grandicello Giovanni di 8 anni.

Ambientazione: tutti seduti a tavola, è l’ora di cena, il momento per dare spazio

alle chiacchiere del giorno.

Il dialogo.

Papà, chiede con voce affettuosa a Mario, il piccolo di casa.

“Mario come è andata la scuola oggi?...”

Nella domanda, senza aspettare, si inserisce Giovanni, il più grande, vuole far

sapere alla famiglia che oggi la maestra gli ha messo bravo, bravo!... un successo

che vuole comunicare a tutta la famiglia, visto che lo considerano, a prescindere,

una schiappa.

Giovanni

“Oggi la maestra mi ha chiamato alla cattedra mi ha interrogato e messo br…”

64

La frase di Giovanni viene troncata dall’intervento deciso e che non ammette

repliche della mamma.

Mamma

“…Papà ha chiesto a Mario, non a te, lascialo parlare, lui è il più piccolo, ha più

bisogno di ascolto di te che sei grande.”

Rivolgendosi a Mario affettuosamente.

“Dai Mario, raccontaci.”

Mario

“Bene, sono stato molto bravo, la maestra mi ha messo due bravissimi, uno in

italiano, uno in disegno.”

Papà, tutto orgoglioso, gli lancia un bacio.

“Bravo il mio genio della famiglia…”

La mamma, inserendosi alla fine della frase,

“Non come tuo fratello! Mai una soddisfazione, mai. Ogni volta che ci chiama la

maestra è solo per rattristarci il cuore. Giovanni potrebbe fare di più ma non è

attento, Giovanni dovrebbe applicarsi di più, ma è svogliato, e Giovanni, e

Giovanni. Figuracce che fanno male al cuore di una mamma…”

Papà, anche lui, attaccandosi ai punti della frase come per non lasciare spazio a

repliche, continua

“… e anche di un papà. Pazienza, lui è fatto così. (Cambiano tono verso Mario) Ma

per fortuna che abbiamo il genio di casa, bello del suo papà!”

Una conversazione come tante all’ora di cena in famiglia.

I pensieri di Giovanni sono intuibili. Per non farti influenzare da me, pensali e

scrivili tu in questo fumetto: solo un paio di aggettivi, bastano.

65

Fig. 3.3. Famiglia di Giovanni a cena.

Questo dialogo evidenzia in modo chiaro che Giovanni:

è il negativo della famiglia, tra i due fratelli è quello che non riscuote

successo.

È quello su cui si scaricano le negatività, le insoddisfazioni della famiglia.

È l’agnello nero, pecora no, perché è piccolo.

È candidato a diventare il capro espiatorio della famiglia per quanto

riguarda il ruolo di figlio.

Ora affinché questa situazione di negatività, che emerge dalla cena in famiglia

verso Giovanni, non si stabilizzi e non produca effetti negativi sullo sviluppo

emotivo, affettivo, relazionale, ma anche sul suo modo di affrontare la vita:

fiducia/sfiducia verso se stesso, fiducia/sfiducia verso la capacità di saper

affrontare la vita nei suoi diversi aspetti, è necessario:

a) Che tali “esuberanze negative” non si manifestino in modo continuativo e

permanente, ma solo occasionalmente, e siano frutto di una sana e

oggettiva presa di coscienza di reali problematiche, a cui però deve sempre

seguire uno stimolo positivo, di incoraggiamento, con delle proposte

operative. Atteggiamenti di rimprovero tendenti sempre al negativismo,

alla colpevolizzazione, senza un incoraggiamento che solleciti le positività

nel bambino, sono distruttive.

b) Che a tali rinforzi negativi non si accompagnino, in modo continuativo,

pacche sulle spalle invisibili venefiche, affidate:

66

al tono della voce, poco dolce e carezzevole, ma spesso tagliente e

scostante;

agli abbracci e contatti fisici, per lo più limitati allo stretto

necessario e senza un evidente trasporto;

al bacio della buona notte sempre sfuggente e dopo quello dato a

Mario, che risulta, se confrontato, meno duraturo, meno profondo,

meno penetrante;

ai rimproveri che accompagnano le azioni di Giovanni, qualunque

esse siano: “Stai attento a non sbattere, stai attento a chiudere

bene l’acqua, chiudi bene il cassetto, guarda a dove metti i piedi.”

“Non dimenticare come al tuo solito la merenda a casa.”

Va specificato che non sempre il genitore è consapevole dei comportamenti

negativi che manifesta nei confronti del figlio. Soprattutto le pacche sulla

spalla invisibili negative passano inosservate, giacché per lo più nascono da

una reazione inconscia o sub cosciente nei confronti del figlio. Il genitore

spesso esprime la consapevolezza di tali atti negativi attraverso frasi del tipo:

“Forse esagero nei rimproveri e negli atteggiamenti negativi nei confronti di

Giovanni.” Consapevolezza che si accompagna alla convinzione che tali rinforzi

negativi sono oggettivamente necessari: “É vero io esagero, forse, ma Giovanni

se li merita tutti. Tutto è no, non si impegna, disubbidisce, a scuola mai una

soddisfazione, e l’elenco sarebbe lungo da dire. Basta poi chiedere al padre o al

fratello, vedrà, confermeranno tutto.”

La conferma che una persona è “la pecora nera” del gruppo si basa su

un’alleanza tra due o più persone dello stesso gruppo pronte a rinforzare il

giudizio negativo sulla vittima sacrificale.

Cerca di non far parte di questa schiera, anzi interrompi la catena di

negatività con rinforzi positivi.

Un bambino, un ragazzo, diciamo una persona, diventa “la pecora nera”, a

condizione che si crei un’alleanza negativa, tra due o più persone all’interno di

un gruppo, e che l’una rinforzi le convinzioni dell’altra, nel manifestare e

mantenere comportamenti negativi nei confronti della persona designata

come capro espiatorio:

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“Hai proprio ragione, non ne fa una giusta.”

“Ma perché Giovanni si comporta così?”

“Eppure ha tutto l’amore che si può avere da una mamma e da un papà.”

“Ascolta i tuoi genitori, Giovanni, adesso non capisci, ma quando sarai

grande capirai. Ubbidisci. Cambia.”

“Ci vuole pazienza con un bambino così, speriamo che crescendo…, ma ci

spero poco.”

Facciamolo insieme, tu lo fai per conto tuo, io per conto mio, proviamo a

scoprire chi è la tua, la mia, pecora nera all’interno della famiglia, tra gli amici,

nel posto di lavoro. Che ci sia, è sicuro.

Questa riflessione ci può aiutare a cambiare atteggiamento e far star meglio

quella persona. Basta poco: una battuta negativa in meno e una battuta

positiva in più, quindi veramente poco, per far star meglio qualcuno.

Tanto per scherzare. Se la norma sul mobbing si potesse applicare e utilizzare

in famiglia ne vedremmo delle belle. Ma prima o poi ci sarà sicuramente da

parte dei bambini un sindacato che promuoverà una class action, un’azione

collettiva per richiedere un risarcimento ad un’azienda o istituzione per un

danno subito da tante persone.

Scherzo, ma mica tanto. Pensate ai bambini soldati, ai bambini sfruttati nel

lavoro, ai bambini abusati sessualmente da innominabili esseri non umani, ai

bambini tralasciati e abbandonati a se stessi nelle nostre società opulente, a

quella schiera di elemosinanti a cui la vita ha negato la gioia dell’infanzia e

della fanciullezza.

(Disegno schema per analizzare il capro espiatorio

indicare il gruppo di riferimento, la persona capro espiatorio, chi ha dato avvio

a tale fenomeno, come si esprime (riportare frasi, comportamenti).

Passiamo al secondo esempio.

Ambiente: la scuola, docenti, gli alunni utenti del servizio.

Premessa.

Più si scende di grado nella scuola più sono rilevanti i rinforzi positivi o negativi

distribuiti dai docenti, per la definizione del ruolo di alunno di ogni singolo

bambino. Sappiamo quanto sono importanti i giudizi espressi dai grandi,

68

docenti, nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria. I giudizi e gli

atteggiamenti manifesti o silenti, quelli che sopra abbiamo chiamato pacca

sulla spalla silenziosa, che giorno per giorno portano i docenti a disegnare e

definire l’identikit del nuovo bambino-alunno. Non dobbiamo meravigliarci

che questo accada, è normale. È normale che intorno al bambino i docenti

traccino il loro identikit, è inevitabile, quello che non è accettabile è che tale

identikit una volta strutturato rimanga invariabile nel tempo. Che questo

purtroppo accada, lo ricaviamo da alcune espressioni che circolano nello slang

della scuola: “Marco? Non me ne parlare, quando lui non c’è in classe si

respira: tutto un altro clima!” “C’é poco da fare, è intelligente, ma uno scansa

fatiche. Mi fa sgolare dalla mattina alla sera. Non so come fare.” “Io quello

l’ho capito subito, dalla prima. E non mi sbaglio, quello non cambia, andrà

avanti così fino alla quinta.” “Guarda, ho deciso, o Andrea cambia e si allinea

alla classe o convoco i genitori… Decidessero loro se tenerlo o cambiare

scuola, se se lo portano via fanno un favore alla classe.” Insegnante con le

spalle agli alunni, scrive sulla lavagna. Sente un forte brusio. Parte il

rimprovero: “Sempre tu Giovanni. La vuoi smettere e fare silenzio?” Giovanni?

É assente in quel momento, è al bagno. Anche il mormorio, il chiasso che si

crea in una classe ha sempre un promotore, un alunno che lo accende; sei

volte su dieci, è anche vero: l’accendi-chiasso è lui, ma, almeno per le quattro

volte che non lo è, gli andrebbe fatto credito, al povero Giovanni. Se tu che

leggi sei genitore non ti meravigliare perché lo stesso fenomeno avviene

anche a te. Più spesso di quello che credi, assegni colpe a tuo figlio che non ha

commesso, rifugiandoti poi in angolo con frasi del tipo: “Però spesso lo fai.”

Naturalmente, guai a chiedere scusa. Anche ai figli si dovrebbe chiedere scusa

se si sbaglia. Invece sembra che i grandi non possano sbagliare, mai. E se

sbagliano, l’errore di valutazione va coperto. Il grande ha ragione a

prescindere.

Nell’economia dell’organizzazione psicologica della persona lo stereotipo è un

modello di catalogazione che ci fa risparmiare risorse, e lo usiamo più di

quanto possiamo pensare: a casa, al lavoro, a scuola, nei diversi ambienti di

vita relazionale. Lo stereotipo è un modo frettoloso, ma economico di fare

una istantanea al carattere, ai modi di essere e di pensare di una persona .

Quindi nessuna meraviglia che si usi anche a scuola per farsi un’idea degli

69

alunni. Sta alla professionalità dei docenti controllare questo meccanismo di

catalogazione degli alunni e sottoporlo a sistematica verifica. Il docente, per

così dire, dovrebbe fare ogni tanto il tagliando ai propri alunni, sottoporli a

verifiche non preconcette, resettando il proprio giudizio e le proprie

valutazioni; ricordandosi che il bambino è in una fase evolutiva, in pieno

cambiamento, e possono essere proprio i nostri giudizi e valutazioni

stereotipate che lo possono ingessare in un ruolo negativo per lungo tempo.

In questo processo di formazione dell’identikit del bambino-alunno un ruolo

importante rivestono anche la mamma, il papà, la famiglia. Argomento

delicato che tratteremo in una successiva conversazione.

“Ma possibile che gli stereotipi sono così potenti nella formazione delle

impressioni che ci formiamo delle persone?”

Giudica tu. Ti riporto alcuni esempi estremi di stereotipi radicati storicamente

nella cultura comune e nel comune sentire.

Elenco degli stereotipi più noti:

sugli ebrei, sugli zingari, sui neri, sui napoletani, sui milanesi, sui romani.

Questi ultimi tre ci fanno anche sorridere, ma i primi tre sono tragici, anche

per le conseguenze storiche che hanno avuto su quelle persone: persecuzioni,

schiavismo, isolamento.

“Ma non siamo tutti razzisti!”

Per fortuna no. Ma io non ho parlato di razzismo, che è un’altra cosa, ma di

stereotipi, che sono però l’anticamera del razzismo. Ed è proprio per evitare

di cadere in un razzismo strisciante, che è necessario abituarsi a ragionare e

rivedere i punti di vista e le nostre convinzioni sugli stereotipi.

Possiamo dire che il razzismo è uno stereotipo radicale, negativo, estremo,

totale.

Sopra, per meglio illustrare l’importanza delle azioni che giornalmente compiamo

nella vita, ho fatto riferimento al film “Sliding Doors”; qui invece vi propongo il

film “Il Dono”, una pellicola che ci permette di analizzare il ruolo e la funzione,

che giocano nella formazione di una persona, la famiglia, l’impegno personale, il

rinforzo positivo, i pregiudizi.

70

FILM Gifted Hands - Il dono (Gifted Hands:

The Ben Carson Story) diretto da

Thomas Carter e interpretato da Ele

Bardha, Loren Bass, Geoffrey

Beauchamp, Prodotto nel 2009 in USA.

Un ragazzo frustrato con problemi di

apprendimento a scuola riesce a

superare gli ostacoli che la vita gli pone

davanti diventando un rinomato

neurochirurgo.

Questa storia vera contiene in sé tutti gli elementi che sono dentro il processo

educativo dei figli:

1) La presenza di una famiglia, in questo caso la sola mamma, che svolge in

modo positivo il suo ruolo, nonostante le condizioni sociali, economiche e

culturali. In un ambiente per giunta dove il razzismo ancora era di casa.

2) La potenza del rinforzo positivo verso i figli. Anche di fronte agli insuccessi

lei non li frustra, ma li valorizza, rinforzando l’ego dei ragazzi.

3) La capacità della mamma di contenere i propri problemi: non sa leggere,

è ignorante, ha problemi di depressione, ha problemi economici. Li

gestisce dentro di lei. Scaricarli sui ragazzi potrebbe significare distruggerli.

Quale percezioni avrebbero della vita? Un modello di madre negativa

avrebbe potuto creare un modello di insuccesso. “No, me li tengo per me

questi problemi, non è giusto che li scarichi sui mei figli, non sono ancora in

grado di comprenderli, elaborarli, né di aiutarmi.”

4) La funzione fondamentale della scuola, nella figura di un’insegnante che

sa cogliere l’essenza dell’insegnamento: accettare Benjamin per quello che

è senza mortificarlo, aspettando che manifesti i primi successi. È

71

un’insegnante senza pregiudizi, non si lascia ingannare dalle apparenze, e

quando Benjamin, per la prima volta, svolge un compito fatto bene, ne

gioisce con lui.

5) La condivisione delle emozioni in famiglia. Come è giusto condividere le

difficoltà e gli insuccessi è altrettanto importante valorizzare e gioire dei

successi dei propri figli.

6) Il limite al rispetto dell’altro: lo stereotipo e il razzismo. Nel momento del

massimo successo: Benjamin è premiato come migliore alunno dell’anno.

Un’insegnante, non la sua, sente dentro la rabbia di tale successo e lo

manifesta verbalmente attraverso un grande dubbio: ”Come può un

ragazzo nero, povero, senza il padre, con forti svantaggi, essere più bravo

di voi?”

7) L’influenza di cattive amicizie è sempre in agguato. Basta poco per

prendere strade sbagliate che portano verso la rovina della propria vita.

Le conflittualità che ingenerano le influenze dei suoi nuovi compagni porta

Benjamin a commettere un paio di atti sconsiderati: aggredire la madre

con il martello, accoltellare un altro ragazzo; solo il caso, il destino, evita la

tragedia.

Dietro le quinte di questa storia c’è il collante dell’amore di una madre che ha

saputo costruire con i propri figli un rapporto di rispetto, di tenace impegno a

spronarli verso una vita positiva, a guardarli crescere con attenzione, di silenziosa

rinuncia e controllo delle sue difficoltà. Merita ricordare che tutte e due i figli di

questa madre hanno avuto successo: Benjamin è diventato un famoso

neurochirurgo, ancora vivente, che ha eseguito la prima operazione chirurgica di

separazione di due gemelli siamesi uniti per la testa, e l’altro figlio un affermato

ingegnere.

Una storia che rappresenta un modello di riferimento per riflettere in modo attivo

sul processo educativo in tutte le sue fasi, se ne consiglia vivamente la visione.

72

IL RUOLO DI RINFORZO DELLA MAMMA.

Positiva, rinforza Benjamin.

Nella mente di Benjamin ci sono tutte le

cose del mondo, sta a lui tirarle fuori.

E questo incoraggiamento è costante.

UNA BUGIA A FIN DI BENE.

La mamma, per non scoraggiare i figli e dare

un esempio negativo, nasconde che non sa

leggere.

Manifestare la sua ignoranza avrebbe

potuto creare scoraggiamento nei ragazzi.

LA FUNZIONE DI STIMOLO DELLA MAMMA.

La mamma stimola i ragazzi alla lettura,

partecipa al loro apprendimento, li

incoraggia.

Da notare che è stata la mamma a rendersi

conto che dietro le difficoltà di Benjamin

c’era una difficoltà visiva.

73

ARRIVANO I PRIMI SUCCESSI.

I progressivi successi danno a Benjamin

nuove sensazioni, non si sente più l’ultimo

della classe, il più somaro della classe.

Poiché tutti lo credono stupido ha timore a

manifestare il successo.

Mette le mani avanti: “Non ho imbrogliato.”

IL RUOLO FONDAMENTALE

DELL’INSEGNANTE.

Benjamin ha avuto la fortuna di trovare

un’insegnante con grande professionalità e

umanità. Non ha mai scoraggiato il ragazzo

anche negli insuccessi, lo ha sempre

sollecitato a fare meglio, sempre con un

sorriso.

Accoglie il successo di Benjamin con grande

gioia.

LA CONDIVISIONE DEL SUCCESSO.

Il ragazzo condivide con la mamma il

successo, sa dentro di lui che molto lo deve

a lei, alla sua mamma. La sua migliore fan.

74

LA GRANDEZZA DI UNA MADRE: NON

SCARICARE SUI PROPRI FIGLI LE PROPRIE

PREOCCUPAZIONI.

La mamma depressa decide di fare una cura

per stare meglio, stare meglio significa

aiutare meglio i propri figli. Ma non lo dice

ai ragazzi. Una simile comunicazione

potrebbe essere distruttiva per l’equilibrio

dei ragazzi.

IL PRIMO GRANDE SUCCESSO PUBBLICO:

LA PREMIAZIONE.

Benjamin viene premiato come il miglior

alunno dell’anno, ma la festa è guastata

dalla dall’infida emozione che produce lo

stereotipo e il razzismo:

“Possibile che un nero, povero, senza padre,

con grande svantaggi, possa essere meglio

di voi?”

Lo sgomento. Parole che tagliano il cuore,

spesso le speranze.

75

E’ “le cattive amicizie” possono cambiare

la storia di Benjamin.

Sollecitato, acquista un coltello.

Il conflitto tra quello che sente per la

famiglia e l’influenza delle nuove amicizie

negative lo portano addirittura a minacciare

la madre con il martello.

Benjamin Carson nel film Il vero Dr. Ben Carson

Benjamin Carson (Detroit, 18 settembre 1951) è

un medico statunitense. È direttore di

Neurochirurgia Pediatrica al Johns Hopkins

Hospital dall’età di 33 anni. Ha ricevuto nel 2008

dal Presidente George W. Bush la medaglia

presidenziale della libertà , una delle maggiori

onorificenze civili in America.

UN NODO CRUCIALE DELLA SCUOLA.

GRADUALITÀ ED INTEGRAZIONE DEI RUOLI:

ESSERE BAMBINO/RAGAZZO-ESSERE ALUNNO.

76

Un bambino, un ragazzo, nell’andare a scuola assume un ruolo diverso,

diventa alunno, con tutto quello che comporta lo status di scolaro.

Come al solito più si scende nel grado della scuola più la scissione, la

separazione, tra l’essere bambino e l’essere alunno dovrebbe essere minore,

nel primo anno della scuola dell’infanzia addirittura annullarsi.

Mi farò dei nemici, e forse le precedenti affermazioni già hanno aperto le

sottoscrizioni, ma pazienza, quello che va detto va detto.

SCISSIONE E INTEGRAZIONE DEI RUOLI NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA.

Il bambino di tre anni entra in questo nuovo mondo portandosi dietro tutto se

stesso, addirittura ha difficoltà a distinguere se stesso dagli altri e dal mondo,

figurarsi il chiedergli all’improvviso di smettere di essere bamb ino e diventare

scolaro. Semplicemente non è possibile. Questo vuol dire che nella scuola

dell’infanzia devono coesistere i due ruoli, e il primo, quello di bambino, é

dominante sull’altro, che si deve affacciare e presentarsi con gradualità.

Possiamo dire estremizzando. Nella scuola dell’infanzia prima c’è il bambino,

con tutti i suoi bisogni e necessità e poi il bambino-alunno.

La fig. 3… schematizza questo passaggio e questa interazione.

L’immagine del bambino, da 0 a 3 anni, è ben delineata, più delineata rispetto

alle altre tre, che rappresentano la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la

scuola media. Il ruolo dell’alunno comincerà discretamente ad affacciarsi nella

77

Fig. 3. LA RELAZIONE TRA RUOLO DI BAMBINI E RUOLO DI ALUNNO NELLA SCUOLA.

78

fascia 3-4 anni, per diventare più distinto, tra 4-5 anni, e ancora più evidente

tra i 5 e i 6 anni, ma mai sostitutivo del ruolo di bambino.

Questo non vuol dire che non si debba avviare quel processo di socializzazione

e di crescita relazionale che comporta il rispetto di regole e di impegni. Infatti

la domanda critica per definire gli obiettivi che si devono far raggiungere al

bambino nell’ambito delle attività scolastiche e quindi quale formazione si

debba richiedere al bambino-alunno al termine di una classe scolastica è

contenuta anche all’interno degli orientamenti e programmi scolastici, se letti

con sana considerazione dell’utente finale a cui vanno applicati: il bambino.

Per la scuola dell’infanzia possiamo dire che l’obiettivo da far raggiungere al

bambino-alunno è quello della socializzazione, del rispetto dell’altro, della

comunicazione e interazione strutturata con gli altri bambini. Quindi, non un

alunno definito in base agli insegnamenti strutturati: leggere e scrivere, come

purtroppo capita spesso.

SCISSIONE E INTEGRAZIONE DEI RUOLI NELLA SCUOLA PRIMARIA.

Possiamo dire, senza tema di essere smentiti, che nella scuola primaria, fin

dalla prima classe, il ruolo del bambino-alunno diventa dominante su quello

del bambino-bambino. Fin dai primi giorni l’apparato istituzionale della scuola,

i cosiddetti programmi, l’estrema divisione degli insegnamenti, oltre al

numero eccessivo di docenti, a partire dalla prima classe, bloccano lo spazio

libero del bambino-bambino costringendolo ad entrare in quello di bambino-

alunno.

“Scusi, ma a scuola i bambini vanno per imparare non per giocare. E questo da

subito.”

Sicuro. Ma il passaggio da uno stadio ad un altro, da un mondo scolastico ad

un altro richiede alla persona, sempre, un periodo di adattamento.

Questo il primo punto.

Secondo. Qual è la finalità della scuola primaria e della secondaria di primo

grado? Quella di formare una persona partendo dagli stili di apprendimento,

dal modo di essere di ogni singolo alunno; per questo è scuola dell’obbligo. La

cosiddetta individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento. E come

si può realizzare questa se non si parte, non si conosce, “non si gioca” con

l’alunno-bambino, l’alunno-ragazzo?

79

Devo dire ad onor del vero che molte insegnanti della scuola primaria, non

dico tutte, direi una bugia, con notevole sforzo cercano di lasciare, soprattutto

in prima, spazio al bambino-bambino, e quelle che lo fanno sanno per

esperienza che questo sacrificio le ripaga. Bambini che hanno avuto

l’opportunità di vivere questo passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola

primaria in modo graduale, vivendo dentro questo nuovo mondo prima da

bambini-bambini, il loro ruolo naturale, e poi da bambini-alunni, hanno

affrontato in modo positivo il percorso scolastico.

Non altrettanto avviene alle medie di primo grado. Qui è più difficile trovare

esperienze di gradualità di passaggio dalla scuola primaria alla scuola

secondaria di primo grado.

Lo schema sopra riportato dovrebbe rappresentare un punto di riferimento

per graduare il passaggio e l’integrazione da un ruolo ad un altro: da bambino-

bambino a quello di bambino-alunno, a quello di alunno-bambino.

Questo spostamento di parole non è un gioco, ha un preciso significato.

Nell’ambito della scuola primaria, nelle classi prime e seconde la relazione

dovrebbe essere BAMBINO-ALUNNO, dove l’accento è spostato sul bambino;

è partendo dalla persona bambino che si avvia tutto il lavoro preparatorio per

portarlo ad essere un allievo alunno.

In terza, quarta e quinta, la relazione si inverte: ALUNNO-BAMBINO, qui

l’accento si sposta sull’alunno, ci si avvia verso l’assunzione di un ruolo e di

una funzione più matura dell’essere alunno, ma sempre con una grande

attenzione al bambino.

Mai dimenticare che ci si trova in una fase di sviluppo critica, non dimenticare

mai che di fronte abbiamo un bambino. In certi casi, anche frequenti e noti ai

docenti, è necessario, io dico sarebbe necessario, perché non sempre avviene,

rimettere al centro del processo formativo la prima relazione BAMBINO-

ALUNNO per avviare un fattivo processo di recupero e di formazione,

allentando il processo di alunnizzazione, scusate la brutta parola.

Di nuovo faccio osservare quanto in tutto questo processo, sia importante la

presenza attiva e compartecipata dei genitori. Ma lo vedremo in un’altra

conversazione.

80

Un’ultima osservazione. Un argomento che sfioro ogni tanto, quello degli

alunni diversamente abili. Per loro vale la regola del continuare, per lo più e in

rapporto alla gravità dell’handicap, ad essere a scuola: BAMBINO-BAMBINO.

E’ per questo che spesso la scuola va in crisi, essa, la scuola, non è strutturata

per gestire situazioni in cui la persona bambino, o ragazzo che sia, continui ad

avere solo il ruolo di bambino-bambino senza arrivare a quello strutturato e

canonico di alunno-bambino. La grande difficoltà dell’organizzazione per

attuare un efficace integrazione di un alunno diversamente abile, è quella di

dover destrutturare un sistema, una programmazione, un ambiente e

riaggregarlo sulla base di esigenze che non sono quelle di un alunno-bambino.

Non è una critica. È una constatazione che dovrebbe permettere di ripensare e

ricalibrare strategie e risorse, e garantire l’integrazione di queste ultime da

parte degli organismi preposti. Il disabile pone alle istituzioni una richiesta

diversa e ha necessità di risposte straordinarie.

81

UN’INTERVISTA IMPOSSIBILE.

RISPONDE JEAN PIAGET.

OGGI SI PUÒ PARLARE DI UNA NUOVA “NEW AGE” DI

BAMBINI?

NOI GENITORI, NOI DOCENTI AVVERTIAMO CHE SONO DIVERSI,

IN CHE COSA E PERCHÉ? Conversazione

JP.

La risposta mi sembra scontata: NO! E questo semplicemente perché neanche un

bambino di ieri è uguale allo stesso bambino di oggi. La meraviglia dei bambini sta

nel cambiamento.”

Io

Quindi, professore, niente di nuovo. Il bambino è sempre un bambino, che sia

dell’antica Roma, o di oggi , i bambini sono sempre uguali.

JP

Io, caro giovanotto... uso il termine giovanotto a prescindere dall’età: lei infatti la

vedo un po’ attempatello. Le dicevo… che un bambino sia sempre un bambino

non c’è dubbio, in ogni periodo della storia, in ogni cultura, il bambino è sempre

bambino, come l’adulto è sempre un adulto. Quello che cambia nel tempo, e

quindi nei diversi periodi e ambienti, sono da una parte il ruolo e la funzione che

ha il bambino in quella società, dall’altra le risorse e gli strumenti (scuole,

giocattoli, sport, tempo libero) che si mettono a disposizione dei bambini per far

loro conoscere e scoprire il mondo, e infine il valore e il rispetto che si ha per il

cucciolo dell’uomo.

IO

Può essere più chiaro professore?”

JP

Le faccio un esempio. Nell’antica Roma il ruolo dei bambini cambiava in funzione

della casta di appartenenza: i bambini schiavi avevano un destino non troppo

82

allegro, i bambini cittadini di Roma, un altro. Gli strumenti che si mettevano a

disposizione di quest’ultimi per sviluppare l’intelligenza erano molto limitati,

bambole, soldati fatti di legno e l’educazione era in funzione della vita futura del

piccolo romano, per lo più la guerra. È chiaro che i futuri lavori a cui erano

predestinati condizionavano fortemente i comportamenti e i modelli di vita da

simulare nei giochi.

Ai giorni d’oggi l’intelligenza e la curiosità dei bambini è stimolata da giochi che

rispecchiano gli usi, i costumi, le tecnologie del mondo contemporaneo; i giochi di

simulazione che fanno i bambini rispecchiano questo mondo.

Quello che non è cambiato, da un epoca all’altra, è la curiosità, il bisogno di

mangiare stimoli, la voglia di vivere in ambienti creativi e stimolanti; in una parola,

la voglia di essere bambini.

Io

Lei spesso usa parole e frasi di tipo “alimentare” nel descrivere lo sviluppo del

bambino, sembrerebbe un cuoco più che uno psicologo.

Jp

Vedo che è attento. Le parole che uso fanno spesso riferimento al cibo,

all’alimentazione, alla digestione; questo dipende dal fatto che io, prima di essere

uno psicologo, sono un biologo. La biologia mi ha insegnato che l’uomo ha

sempre fame di qualcosa e per conseguenza ha bisogno di mangiare e saziarsi.

quando è sazio si sente soddisfatto, ma questo stato di benessere, di sazietà

dura poco: dopo ricomincia il ciclo. Alcuni esempi. Mentre il corpo, la pancia,

hanno bisogno per essere saziati di alimenti che si mangiano con la bocca: frutta,

verdura, pasta; l’intelligenza, la mente, per nutrirsi ha necessità di cibi che si

mangiano con gli occhi, con le mani, con le orecchie e l’olfatto, che si toccano e

manipolano.

Io

Dunque possiamo dire che l’uomo ha tanti tipi di fame: da quella per una bella

bistecca, alla fame d’amore, di relazione con gli altri, di conoscere e scoprire, di

divertirsi, di credere…

JP

Potrebbe continuare, e l’elenco sarebbe molto lungo.

83

DALL’ALIMENTAZIONE DEL CORPO A QUELLO DELLA MENTE.

OLTRE AL CORPO OCCORRE FAR CRESCERE E SVILUPPARE ANCHE LA MENTE DEL

BAMBINO, COME?

Io

Questa chiacchierata è interessante, ma il mio obiettivo, professore, è quello di

dare una mano a genitori, docenti, educatori, e perché no, anche ai nonni, agli zii

e alle baby sitter a far capire loro come funziona l’apprendimento nei bambini e

come si può facilitare e promuovere il loro sviluppo emotivo-affettivo e

relazionale.

JP

Io continuerei con gli esempi alimentari, sono molto più comprensibili di tanti

paroloni.

Io

Oggi, professore, con un’espressione in voga, quando quel che si dice è

immediato, chiaro, forte, si usa dire che arriva subito alla pancia.

JP

Facciamo così anche noi, andiamo dritti alla pancia.

Ad un bambino piccolo, diciamo di quattro mesi, la mamma di solito dà il suo

buon latte, non credo gli presenti una coscia di pollo, per il semplice fatto che non

saprebbe come mangiarla e seppure avesse questa sovrannaturale capacità di

ingurgitarla non riuscirebbe a digerirla. Il suo stomaco non è pronto per alimenti

solidi.

Invece il suo gustoso latte lo beve, lo digerisce e, fatto fondamentale, lo assimila,

vale a dire lo trasforma in sostanze che accrescono e sviluppano tutto il suo corpo.

Questo concetto di assimilazione è fondamentale. Perché un bambino può

mangiare anche chili di cibo, ma se non lo assimila é tutta masticazione

sprecata, senza assimilazione il corpo non cresce. È noto a molte mamme come il

mancato assorbimento di cibo sia stato causa di molte preoccupazioni per la

crescita del proprio bambino.

Io

Questo significa che ad ogni età il bambino deve mangiare cibi in grado di

mettere in bocca, masticare o bere, digerire e assimilare. Ma allora come impara

a mangiare cibi diversi?

84

JP

Questo è il punto critico che mamme, papà, ma chiunque ha a che fare con i

bambini dovrebbe saper gestire.

Vediamo lo stesso bambino un po’ cresciutello, diciamo sette mesi, mese più

mese meno. In questo periodo inizia lo svezzamento. Vale a dire mamma e papà

cominciano ad integrare l’alimentazione di base, il latte, con altri alimenti:

omogeneizzati, pappette, frullati, e così via. Ma come al solito non gli danno la

famosa coscia di pollo.

I genitori usano una saggezza naturale: sanno graduare e integrare

l’alimentazione nel modo giusto verificando se il bambino è in grado di digerire i

nuovi alimenti. Spesso i bambini rifiutano nuovi cibi e lo svezzamento richiede più

tempo. La nuova alimentazione non sostituisce all’improvviso la vecchia, il latte,

ma si integra poco alla volta con questa. Solo quando ci si rende conto che ormai il

bambino è in grado di mangiare, digerire e assimilare i nuovi cibi, si lascia la

vecchia alimentazione, il latte, che, come è noto, non si abbandona mai in un

bambino, ma diventa secondaria e integrativa della nuova.

Io

Ho capito.

Quello che vuole dire con questo esempio é che anche l’apprendimento segue le

stesse regole: il cibo rappresenta gli stimoli che si propongono al bambino, la

digestione è la capacità di un bambino di mangiare gli stimoli presentati,

l’assimilazione invece è la capacità di assorbire gli stimoli dopo averli digeriti, per

farli diventare “nuova intelligenza”, nuovi apprendimenti, nuove emozioni.

JP

Bravo, sta recuperando.

Proprio così. Lo sviluppo degli apprendimenti è basato su questo ciclo perenne:

stimoli, digestione, assimilazione. E proprio come il corpo ha bisogno di cibi

gustosi, che fanno venire l’acquolina in bocca, così i cibi per l’intelligenza e gli

apprendimenti debbono essere squisiti, altrimenti il bambino nemmeno li vuole

assaggiare, li sputacchia fuori proprio come fanno i bambini quando rifiutano un

alimento.

Io

Allora questa è la grande sfida, la grande battaglia che devono combattere i

genitori, educatori, docenti: predisporre stimoli, proposte di apprendimento

85

nuove, gustose, appetitose.

Non è facile.

JP

Non è vero. Scusi, ma lei, quando si mette a tavola, non pretende che la tavola sia

bene apparecchiata, che i cibi siano cotti al punto giusto, conditi in modo gustoso,

accompagnati da contorni adatti e un buon vino, serviti da un cameriere gentile e

attento, e a fine pasto ricevere un dessert degno di un re, e, per chi è abituato,

concludere il pasto con un buon caffè e un liquorino?

Io

Sicuro, poi io, tra l’altro, sono una buona forchetta.

JP

Anch’io, e si vede.

E allora perché non si può fare la stessa cosa per gli apprendimenti?

Io

Eh, perché no?

JP

Ma lei non sa proprio niente, io le faccio la domanda e lei la rifà a me.

Io

Perché vorrei una risposta autorevole, io non sono molto conosciuto, ed è un

conto dire “… l’ha detto Piaget!” ed un conto è dire “… l’ha detto Riccio!” E chi mi

si fila.

JP

La mancanza di attenzione all’apprendimento è dovuta al fatto che non ci

rendiamo conto di quanto esso sia importante nei bambini e di quanto una

stimolazione al momento giusto, nella giusta quantità e con le dovute

presentazioni rappresenti un accrescimento della mente altrettanto importante

dell’accrescimento corporeo.

Io mi permetto di aggiungere anche un altro motivo.

La pigrizia e la scusa che non si ha tempo.

JP

Di cause ce ne possono essere anche altre, una per tutte: servirebbe una

formazione ed un’informazione più attenta sia ai genitori che agli educatori sulle

pietanze e le giuste diete per l’intelligenza, lo sviluppo emotivo-affettivo e

relazionale.

86

Io

Servirebbe un dietologo dell’intelligenza. Questo dovrebbe essere lo psicologo,

credo.

JP

Come crede! Ma lei non vuole fare il suo mestiere?

Io

Sicuro professore.

I suoi esempi mi hanno fatto venire un’altra ipotesi che potrebbe essere

importante.

Forse la mancata attenzione allo sviluppo dell’intelligenza è dovuta al fatto che il

genitore da una parte non sa sempre quali sono gli stimoli giusti da far mangiare al

bambino e dall’altra, anche se lo nutre di stimoli, gli effetti di queste mangiate

sulla crescita e lo sviluppo degli apprendimenti non li vede; al contrario di un bel

piatto di pastasciutta o di una bella bistecca.

“Mangia, bello di mamma, mangia la carnina che cresci. Guarda come sei bello

sodo. Mangia, bello di mamma!” Espressioni di questo tipo é usuale sentirle, ma

espressioni del tipo: “Mangia, bello di papà, questo pezzo di giocattolo, divertiti

con questo video educativo, vedrai come ti cresce l’intelligenza!” non si sentono

spesso in giro.

E questo, caro professore, fa capire quanto in questo settore dello sviluppo del

bambino sia importante una grande informazione e formazione per spiegare la

rilevanza che ha sul futuro bambino/ragazzo/adulto un adeguato sviluppo

cognitivo, emotivo-affettivo, relazionale e della comunicazione; dobbiamo

rendere più attente le mamme e i papà, gli educatori in genere, a cogliere i

segni, oggi si usa dire gli indicatori, dell’accrescimento dell’intelligenza, della

comunicazione, dello sviluppo emotivo affettivo del bambino, ma anche dei

ragazzi.

Possiamo dire con certezza che:

un’intelligenza viva e pronta, una corretta capacità di gestire la sfera emotivo-

affettiva, un’ottima competenza nell’area della comunicazione e delle relazioni,

rappresentino le armi vincenti per il successo nella vita di ognuno di noi.

Jp

Vedo che la nostra conversazione è servita a qualcosa.

87

È giusta questa idea: spesso non mettiamo abbastanza attenzione e cura su quegli

aspetti della vita che non sono visibili immediatamente. Penso al tema della

prevenzione delle malattie. Pensiamo al fumo o ad un uso eccessivo di alcool.

Sappiamo che fanno male, ma siccome non vediamo e sentiamo immediatamente

gli effetti negativi e devastanti che possono procurare al nostro corpo, adottiamo

la politica dello struzzo: sotto la testa e sopra il cappello.

LA MICCIA CHE INNESCA L’ESPLOSIONE DEGLI APPRENDIMENTI: LA SFIDA.

QUAL È IL POTERE MAGICO DI QUESTA PAROLA?

Io

Mi pare che possiamo concludere questa intervista, professore, ci siamo detti

tutto.

JP

Tutto?

Io

No!?.. Che cosa manca?

JP

Lei è sicuro di essere uno psicologo! Forse avendo preso la laurea per

corrispondenza qualche lezione l’ha saltata.

Caro il mio giovanotto, manca la chicca finale, il grilletto dell’apprendimento, per

meglio dire la miccia che fa scattare la motivazione del bambino

all’apprendimento.

Io

E quale sarebbe professore?

JP

La SFIDA. In tutte le attività della vita quello che ci spinge ad intraprendere

un’attività, un gioco, una nuova avventura è la sfida: la voglia di confrontarsi con

se stessi (ma anche con gli altri) per raggiungere il successo, riuscire; e più si ha

successo più si è portati ad affrontare nuove sfide con fiducia.

Io

La sfida!...

JP

88

Sicuro la sfida. Il grilletto della vita è la sfida, essa è la miccia che fa scattare la

voglia irrefrenabile di intraprendere nuove attività. Guai a non proporre al

bambino sfide. Ma guai anche a mettergli davanti sfide impossibili, sfide che non

può mai vincere. Un bambino abituato ad uscire sempre perdente da tutte le

attività che intraprende è un bambino infelice, è un bambino votato all’insicurezza

nella vita. Guai a quei genitori, educatori, docenti che tempestano il bambino con

affermazione di questo tipo: “Lascia stare tanto non sei capace!” “Ci fosse una

volta che riesci a fare la cosa giusta.” Potrei continuare, ma un elenco completo lo

puoi fare da solo. Gli insuccessi creano dentro la mente del bambino, nel suo

cuore, nelle sue emozioni, dei buchi neri di sfiducia che succhiano dentro

qualunque speranza.

Io

Non esagera, professore? Mi sembra un po’ forte questa affermazione.

JP

Le assicuro che non lo é. Io non ho detto che tutti i genitori, tutti gli educatori,

tutti i docenti lo facciano, ma quei pochi che lo fanno, e questi ci sono, creano

danni seri ai bambini, al loro futuro di ragazzi e di uomini. Si devono correggere,

assolutamente si devono correggere.

Io

Come?

JP

Proponendo ai bambini, ai ragazzi sfide possibili, rinforzando anche con la

comunicazione verbale e non verbale, il loro ego: “Su, non fa niente, riproviamo,

vedrai che ci riesci. Capita a tutti di sbagliare, non è un dramma.” Smettendo

assolutamente di denigrare il bambino, il ragazzo. Questo non vuol dire dirgli

sempre “bravo!” a prescindere, assolutamente no. Vuol dire che nei momenti di

crescita, ma questo vale sempre, bisogna saper integrare e dosare i due

comportamenti: uno, proponendogli sfide possibili, al fine di motivarlo ad

impegnarsi in una attività; due, facendogli prendere contatto con gli insuccessi, le

frustrazioni servono, in modo costruttivo, facendo osservare dove sbaglia e

perché e mostrandogli come superare l’ostacolo. Un insuccesso può e deve

essere visto come la base di una nuova sfida per crescere e migliorare.

Io

Ma professore, mi scusi, lei sta parlando di una rivoluzione educativa!

89

JP

Mi creda giovanotto, è solo questione di addestramento, di abitudine. Uno stile di

vita se usato tutti i giorni diventa parte di noi stessi e quindi un modo di fare.

É un po’ come abituarsi a salutare le persone e a dire grazie, ad essere puntuali e

ordinati.

Abitudini e stili di vita. Tutto qua.

IO

Tutto qua!?..Lo dico per lei professore, io queste cose le scrivo, non so come le

prenderanno le mamme, i papà, gli educatori, i nonni e affini.

JP

Lei le scriva e abbia fiducia, l’uomo è migliore di quel che sembra.

Io

Di questo sono convinto professore. Per dirla con le parole del filosofo cinese Lao

Tzu “Fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce.” Ad indicare

che il bene è discreto, silenzioso, impercettibile, ma è presente ed è la forza che

alimenta il mondo; al contrario del male che crea frastuono, rumore assordante,

sembra più grande di quello che è perché il suo boato è talmente forte e la sua

eco è così ripetuta che schiaccia il bene nel sottofondo dell’esistenza umana.

LA SFIDA È L’ARMA SEGRETA DI UNA BUONA CRESCITA.

CONSIDERATA LA RILEVANZA CHE HA NEL PROCCESSO DI EDUCAZIONE LA

POSSIAMO SPIEGARE MEGLIO? Jp

Scambiamoci i ruoli, lei spiega e io gli faccio delle domande, almeno mi rendo

conto se questa conversazione è stata utile. Tocca a lei.

Io

La sfida si ha nel momento in cui si presenta ad un bambino, o ad un ragazzo, un

compito, o gli si chiede di svolgere un’attività. Se la richiesta è troppo difficile per

l’età o per le competenze che quel bambino/ragazzo ha a disposizione,

difficilmente la potrà vincere; se al contrario la sfida è adeguata all’età e alle

capacità del bambino il successo è assicurato.

JP

Mi dica, un bambino, o ragazzo che sia, perché dovrebbe interessarsi ad un

gioco, ad una attività, chi glielo fa fare?

90

Io

È quello che vorrei chiedere a lei, anche da parte dei genitori e dei docenti, ma

proverò a rispondere io.

È la curiosità, la voglia di scoprire, di conquistare il nuovo, che è insita

nell’uomo, che porta il bambino a “fare”.

E questa curiosità, questa voglia di scoprire, scatta quando lo stimolo che gli si

presenta è per lui attraente, lo percepisce come gustoso, insomma gli fa venire

l’acquolina in bocca.

E uno stimolo è attraente per il bambino quando lui è in grado già di manipolarlo,

di capirlo concettualmente, gestirlo manualmente almeno per il 70/80% per

cento, con le competenze che già possiede.

Jp

Interessante questa spiegazione. Provi anche con qualche esempio.

Io

Se si dà ad un bambino un giocattolo troppo complesso per le sue capacità, che fa

il bambino? Lo prende, lo guarda, ci gioca un attimo poi lo lascia. Questo è dovuto

al fatto che lui avverte automaticamente che il gioco “È troppo difficile per me,

meglio giocare con la scatola, so che cosa ci posso fare.”

Non a caso i costruttori di giocattoli scrivono sui giochi: “adatto dai 3 ai 6 anni”, lo

fanno per aiutare i genitori a scegliere nel modo giusto.

JP

Certamente. La regola della SFIDA è proprio questa: saper scegliere un gioco,

un’attività, una proposta educativa o didattica che permetta al bambino di

viverla come “Questa è una sfida che posso vincere. E’ alla mia portata. so dove

mettere le mani.”

Se la sfida è troppo difficile da affrontare, il bambino ha bisogno di qualcuno che

lo aiuti, lo accompagni verso la strada giusta; è questo il compito dei genitori, degli

educatori, dei docenti, ognuno per le proprie competenze e funzioni.

Io

Grazie professore, e mi scusi se l’ho fatta parlare in modo così semplice e

impreciso scientificamente, me ne assumo tutte le responsabilità.

JP

Il fine giustifica i mezzi, seppure non sempre.

91

FIG. 4.1 SVILUPPO DELLA PRENSIONE.

Il bambino per affinare la sua capacità di prensione parte da quello che già sa fare

in precedenza. Man mano che cresce, la curiosità lo porta ad esplorare il mondo,

la voglia di afferrare è grande. Durante queste esplorazioni gli si presentano tante

sfide per esercitare la sua capacità di afferrare, prendere gli oggetti. Gli oggetti

che incontra rappresentano gli alimenti per stuzzicare la sua curiosità, la capacità

92

di afferrarli: la sfida. Il bambino si rende conto automaticamente delle sue

capacità ed eccolo allora armeggiare con lo stesso oggetto, o altri similari, infinite

volte; la ripetizione delle azioni è una caratteristica del bambino. Mentre ripete

apprende. Questo addestramento per prove ed errori lo porta a nuove conquiste;

la sua abilità nell’afferrare si perfeziona.

Le nuove abilità che il bambino acquisisce si chiamano schemi. Lo schema lo

possiamo definire come la procedura, le azioni, che il bambino compie per

ottenere un risultato. E così l’insieme dei movimenti necessari per prendere un

oggetto si chiama: schema della prensione del ciuccio, schema della prensione dei

cubi, schema per l’uso dei colori.

OSSERVAZIONI.

A) Il bambino ha necessità di esplorare, muoversi, afferrare, manipolare. Gli

oggetti della casa, i giocattoli, ma anche il naso, le orecchie i capelli di mamma

e papà sono alimenti per la sua curiosità. Quindi impedire questa naturale e

innata spinta alla scoperta e al movimento è dannosa per lo sviluppo del

bambino.

“Ma rompe tutto, invade tutto!”

Soluzione per i bambini piccoli. Attrezzare uno spazio baby dove il bambino

possa liberamente muoversi ed esplorare, ricco di oggetti ed opportunità. Però

non deve essere una gabbia.

Per i fanciulli (6-10 anni). Anche loro hanno necessità di un loro angolo, stanza

se possibile, da attrezzare per le loro esplorazioni che non sono ormai solo

manipolative, ma anche cognitive, culturali, del tempo libero.

Per i ragazzi un loro angolo per salvaguardare la propria privacy è

fondamentale.

B) I grandi devono proporre ai bambini/ragazzi sempre sfide adatte alla loro età

e oggetti, alimenti, in grado di stuzzicare il loro appetito.

Ma allo stesso tempo lasciare anche al bambino/ragazzo la possibilità di fare le

sue sfide, cercare gli alimenti che più lo allettano. Spesso noi grandi diciamo:

“Quello non è adatto a te, smettila.” “ Ma lo vuoi capire che ormai sei grande e

queste cose non si fanno più!” “Giocare con le figurine alla tua età!”

Attenzione. Questo non vuol dire lasciare a se stesso il bambino/ragazzo al

contrario significa osservarlo da lontano, monitorarlo con discrezione, e là ove

93

necessario fare interventi correttivi, ma sempre positivi; vale a dire dargli delle

proposte alternative.

Se c’è stata , da parte di mamma e papà, una continua attenzione, se il bambino è

stato sempre seguito nel modo giusto, il bambino avrà acquisito automaticamente

i comportamenti e gli stili di vita a cui si deve attenere.

Al contrario se non c’è stata e non c’è continuità negli interventi educativi non si

può pretendere che il bambino/ragazzo accetti serenamente interventi proibitivi

e correttivi improvvisi.

Indicatori di quest’ultimo stile sono: le grida, gli strilli, le minacce estreme che si

usano perché il bambino “ubbidisca.”

È difficile che un bambino abituato alla ribellione, al non rispetto delle regole, a

fare il finimondo di fronte ai “NO!” di mamma e papà, possa, dall’oggi al domani,

cambiare atteggiamento, diventare, come si dice “santo”. Un bambino

maleducato è una polveriera in costante attività, esplode al primo “No!”, al primo

contrasto, al primo diniego. E il circolo si chiude: si crea la catena dei no, la catena

degli urli e dei pianti. Chi cede alla fine sono mamma e papà: “Per non sentirlo.”

“Per non fare brutte figure!” “Reagisce come se lo stessi torturando.” “Ormai non

so che fare.” “Chi sa che penseranno i vicini di casa!” “Secondo me è carattere: tale

quale al nonno.” E le frasi da snocciolare sono infinite. Sono tutti indicatori di

perdita di potere, di ruolo, di relazione, e allo stesso tempo richieste di aiuto.

Qualche volta l’aiuto, i genitori, lo chiedono al bambino stesso, sperando in una

specie di trattato della pace. Pia illusione.

Soluzioni?

Nel mondo della scuola, il concetto di sfida è alla base della programmazione

individualizzata. Una buona programmazione è quella che riesce a proporre delle

sfide didattico-educative adeguate alle reali competenze degli alunni.

94

Fig. 4.2 IL TERMOMETRO DELL’APPRENDIMENTO: LA SFIDA.

95

Tenendo conto della regola di base: una nuova sfida per essere motivante e

accessibile deve essere manipolabile in senso cognitivo al 70/80%, con le

competenze già possedute dagli alunni. Questo in linea di massima i docenti già lo

sanno. La difficoltà sta nell’applicare questa regola in modo operativo e costante

al singolo alunno. È una delle sfide della scuola, la reale possibilità della

individualizzazione degli insegnamenti verso il basso e verso l’alto. Ovvero la

possibilità di creare dei percorsi di apprendimento adeguati agli alunni con

problemi specifici di apprendimento (dislessia, discalculia, disturbi dell’attenzione

o della memoria), o al contrario creare occasioni personalizzate di apprendimento

per i geni, o per i bambini molto intelligenti, e ti assicuro che ce ne sono.

La figura sotto riportata chiarisce come il concetto di sfida si applichi sia alle

attività di tipo psicomotorio, del fare con il corpo, sia alle attività del fare con la

mente.

Fig. 4.3 LO SVILUPPO DELL’APPRENDIMENTO: DAL PENSIERO SENSO-MOTORIO AL PENSIERO

OPERATORIO.

96

I genitori, gli educatori, i docenti nel momento in cui propongono al

bambino/ragazzo una sfida dovrebbero porsi le domande riportate nei tre

fumetti.

Va fatto notare che esistono sfide strutturate e non strutturate.

Quelle non strutturate sono quelle che spontaneamente ogni giorno ci capita di

dover affrontare nel fare quotidiano. È chiaro che per questo tipo di sfide non ci

poniamo ogni volta le tre domande, ma le proponiamo ed affrontiamo

spontaneamente, come ci viene. Le tre domande dovrebbero essere presenti

come sfondo, come stile comportamentale.

Mentre le sfide strutturate sono quelle che si affrontano o si devono affrontare

con una riflessione, un ripensamento. I genitori si trovano davanti a queste sfide

abbastanza spesso, diciamo che si accorgono che si tratta di una sfida strutturata

quando si pongono questa domanda: “Che cosa è meglio fare?” “Come possiamo

stimolare nostro figlio?” “Come gli possiamo far superare questa difficoltà che

incontra?”

I docenti si trovano davanti alle sfide strutturate all’atto di definire la

programmazione e gli interventi individualizzati. Il massimo delle sfide strutturate

se le trovano con gli alunni diversamente abili.

97

OGGI SI PUÒ PARLARE DI UNA NUOVA “NEW AGE” DI

BAMBINI?

NOI GENITORI, NOI DOCENTI AVVERTIAMO CHE SONO DIVERSI,

IN CHE COSA E PERCHÉ? Conversazione

La domanda, in modo provocatorio, parla di una “new age” di bambini”, come si

può parlare di una “new age” di preadolescenti, e non semplicemente di una

nuova generazione. In sé questa definizione, coniata provocatoriamente per

l’occasione, contiene una grande intuizione, vediamo perché.

Osserva la fig. 5.1

FIG. 5.1. EVOLUZIONE GENERAZIONALE. Fino ad oggi ogni generazione poggiava la propria crescita,

ereditava usi costumi, modi di fare, dalla generazione che la precedeva: mamma, papà, famiglia,

ambiente ristretto di riferimento.

98

La figura mostra come ogni generazione, la cui durata era di 20/25 anni, si

poggiasse, per crescere, sulla generazione che la precedeva; da una parte sulla

famiglia ristretta: mamma/papà/fratelli e quella allargata:

nonni/zii/cugini/parenti; dall’altra sull’ambiente ristretto di riferimento: dalla

parrocchia, intere generazioni si sono formate negli oratori, al quartiere, al piccolo

paese. Una forte influenza inoltre avevano valori irrinunciabili, quali : la patria, il

partito, l’ideologia, l’essere cristiano, e così via. Non solo, tali aggregazioni

restavano, anche dopo il matrimonio, il più importante punto di riferimento e di

orientamento per la vita di gruppo.

Inoltre non va dimenticato che a partire dagli anni ‘60 un’influenza sulla

formazione delle generazioni ha cominciato ad avere la televisione.

“Ma anche oggi le cose non è che sono molto cambiate.”

Non direi. Oggi è in atto una rivoluzione che non ha precedenti nella storia

dell’uomo. L’unico paragone, che mi viene in mente come esempio, è la torre di

Babele. All’improvviso, uomini, che fino ad un attimo prima si capivano,

condividevano uno stesso linguaggio, diventarono estranei gli uni agli altri.

In pochi anni, prendiamo come data il 1999 (1), facciamo 2000 per comodità,

qualcuno, o qualcosa, ha costruito un ascensore che ha cominciato a trasportare

l’umanità su di un altro pianeta, su di un mondo parallelo, dove si usano nuovi

linguaggi, nuovi stili di vita, nuove etiche; un mondo dove il confine tra il possibile

e l’impossibile diventa sfumato, e il discernimento tra ciò è che reale e ciò che è

virtuale é sempre più confuso.

99

FIG. 5.2 FUGA NEL MONDO VIRTUALE. Rappresenta lo spostamento delle attività dell’uomo dal

mondo analogico, reale, al mondo digitale, virtuale, invisibile dove tutto è affidato alle

“macchine”.

In questo secondo mondo, che vive di vita propria a prescindere dagli abitanti,

l’evoluzione della specie umana ha intrapreso un'altra strada, ha cominciato un

nuovo capitolo della sua storia.

“Scusi ma di cosa parla? Non è che ha sbagliato conversazione, io non la seguo.”

Hai ragione, chiarisco.

Questo nuovo ascensore su cui sempre più persone salgono e vivono, passando

una parte della vita su questa terra e una parte su un mondo virtuale, usiamo

100

questo termine per capirci, è rappresentato dalla rivoluzione informatica e

tecnologica che stiamo vivendo a partire appunto dall’anno 2000, circa.

È sempre più forte la spinta, io direi la fuga, a vivere in questo mondo informatico,

a diventare un ragno elettronico all’interno di questa immensa ragnatela a quattro

dimensioni che è la rete delle reti: internet.

“Come lo dice è impressionante, sembra una catastrofe universale. Io sarei più

ottimista.”

Essere ottimisti non vuol dire non guardare le cose per quello che sono, con i

risvolti positivi che hanno, ma anche con i rischi e i pericoli che fanno correre

all’uomo.

“Allora ci dica subito quelli positivi e poi, se ci sarà tempo, speriamo di no, ci dirà

quelli negativi.”

Premetto che non abbiamo lo spazio per affrontare il tema della rivoluzione

informatica in questa conversazione, la tratto solo in funzione delle problematiche

educative delle nuove generazioni.

Ma a scanso di equivoci, e per far capire che il mio atteggiamento è positivo, in

ogni caso, mi permetto di sottoscrivere quanto segue.

Non sono assolutamente vere le frasi che spesso si usano per lamentarsi a

prescindere:

“Eh, una volta si che si stava bene!” “Ai tempi miei era tutta un’altra cosa.”

101

Fig. 5.3 LA MEDICINA DEL PASSATO.

Frasi assolutamente false. Una volta non si stava meglio, si stava peggio, questo é

sicuro. Chi vuole continuare a sostenere il contrario è pregato di prendere

un’immaginaria astronave del tempo e fare un salto nell’epoca sotto indicata e

nelle condizioni fisiche descritte.

Periodo medioevo, anno, fai tu, stato di salute: due denti cariati, un’infezione alle

vie urinarie e, tanto per gradire, un’appendicite; condizioni economiche molto

molto precarie, ma anche per il ricco le cose non cambiavano di molto, anzi erano

peggiori, giacché potendoselo permettere veniva curato. Ed essere curati, si fa per

dire, significava affidarsi a medici con patente di tortura (da ricordare che

l’anestesia è al di là da venire e così la cura delle infezioni; il catetere più flessibile

era di ferro battuto a mano.)

Dopo questo non credo che valga la pena di fare altri viaggi nel passato.

Per non parlare dell’alimentazione, dell’igiene, del rispetto della persona,

dell’infanzia, del lavoro. Sindacati? Uguaglianza? Lasciamo stare.

102

Oggi si sta meglio, meglio, meglio: sicuro. E le nuove tecnologie hanno creato e

stanno creando una medicina in grado di diagnosticare e curare, sempre più in

modo meno invasivo e con risultati di attendibilità diagnostica e successi

terapeutici sempre più alti e rassicuranti.

“E allora di che si lamenta, che è tutta questa storia del pianeta virtuale?”

La cosa che fa rabbia nell’uomo è che avendo oggi a disposizione tecnologie,

risorse di conoscenza immense, capacità di costruzione ed invenzione

inimmaginabile fino a qualche anno fa, lascia che ancora nel mondo ci siano

ingiustizie e sopraffazioni che sono sotto gli occhi di tutti.

Queste nostre conversazioni sono una riflessione proprio sul come, incidendo

sull’educazione e sulla formazione delle nuove generazioni, si possano migliorare

le condizioni di vita degli uomini. E quindi non si tratta di negare o contrastare le

conquiste della scienza e della tecnologia, ma di fare in modo che essa sia messa

al servizio dell’uomo e di tutti gli uomini.

Io credo profondamente che una società che sappia affrontare nel modo giusto

la formazione delle nuove generazioni sia una società che mira ad una visione

del mondo a favore e non contro l’uomo.

“Le sue sono belle parole, ma seppure queste conversazioni le leggessero 100.000,

un milione di persone e tutte si impegnassero a portarle avanti, saremmo una

goccia nel mare, e una goccia…”

“… e una goccia rende quel mare diverso”, un altro mare, per riprendere quanto

diceva Madre Teresa di Calcutta.

Il primo atto per essere dei protagonisti del cambiamento, è attuare il

cambiamento nel piccolo, nel chiuso del proprio orto esistenziale, nella propria

casa, applicare i cambiamenti e gli impegni di cambiamento su se stessi, e

smettere di pensare… “Ma tanto gli altri…” “Ma perché gli altri…” “Perché devo

essere io il primo…”

Per vincere questa sfida applichiamo la regola di Piaget: calibrare la sfida alle

nostre reali capacità e possibilità. E allo stesso tempo calibrarla sull’oggi, sulla

vita vissuta nel presente e non su quella da vivere nel futuro.

Lo dico a te immaginando che sei genitore, educatore, docente.

La tua azione si svolge sempre nell’oggi e sempre sul bambino/ragazzo che hai

davanti e che ti chiede risposte; pensa a lui, solo a lui, con quel nome, con quel

viso, con quegli occhi, con i suoi pregi e i sui limiti, dimentica il resto.

103

Dopo questo chiarimento riprendiamo con la fig. 5.4

FIG. 5.4 L’ALBERO DELLE GENERAZIONI. Le generazioni da A,5 fino ad A,1 mantengono la stessa

forma triangolare, vale a dire si sviluppano una dall’altra , riconoscendosi per cultura, usanze,

modi di fare. All’improvviso emerge dall’albero una nuova forma, non più triangolare, che

interrompe questa continuità. Questa nuova generazione: nuova new age bambino, crea

discontinuità con la generazione che la precede A,5.

104

Questa figura schematizza quello che sta succedendo attualmente nella nostra

società relativamente al mondo dell’infanzia, dei bambini e in quello degli

adolescenti. In breve. Fino a ieri, diciamo 20/25 anni fa, l’influenza della vecchia

generazione (noi ci limitiamo alla famiglia e alla scuola) sui figli era per così dire

evidente, ovvia, assicurata, e i figli accettavano, con le dovute proteste che fanno

parte di una sana dialettica evolutiva, tale implicita influenza.

Alla base di questa intesa c’erano una serie di prerequisiti che rendevano possibile

la reciproca comprensione: un patrimonio linguistico simile, prospettive di vita

future condivisibili, competenze cognitive (modalità e stili di apprendimento)

equivalenti; in una parola, possiamo dire che le due generazioni a confronto

avevano molte più cose che le univano da quelle che le potessero dividere.

La fig. 5.5 rende evidente i comuni denominatori tra le due generazioni.

FIG. 5.5. INFLUENZE GENERAZIONALI. ogni generazione accetta di ricevere dalla precedente la

trasmissione di alcuni dei valori che influenzeranno la sua crescita, il suo sviluppo, i suoi modi di

sentire e di vivere. La trasmissione di alcuni valori da una generazione ad un’ altra è inalienabile

in quanto fanno parte del patrimonio genetico dell’uomo.

105

“Certo, a guardare il mondo di 20/25 anni fa e quello di oggi c’è da rimanere

sbalorditi, ne sono cambiate di cose.”

Il pregio, e allo stesso tempo il difetto dell’uomo, è la sua capacità di meravigliarsi,

ma anche di terrorizzarsi, con l’emotività di un bambino di fronte al nuovo; ma

allo stesso tempo trasformare la novità in dato ordinario in poco, pochissimo

tempo. Questa sua capacità di assuefazione trasforma anche eventi straordinari, e

che meriterebbero un’allerta costante, in routine. Questa dote dell’uomo, utile in

via di massima, può avere conseguenze disastrose allorquando gli eventi che si

presentano hanno, o possono avere, una rilevanza tale da determinare dei

cambiamenti sulla vita familiare o dell’individuo, sul sistema ambientale,

sull’organizzazione del lavoro, sul processo educativo e formativo dei nostri figli.

Inoltre vivere nel cambiamento non dà il giusto distacco emotivo e logico per

gestirlo. Le azioni che si vivono ci coinvolgono improvvisamente, spesso non ci

danno neanche il tempo di capire l’avvenimento che si vive.

E tutto è avvenuto e sta avvenendo proprio così: in modo silenzioso e inaspettato.

Il nuovo grande evento che ci troviamo a vivere è la rivoluzione informatica-

multimediale. Io direi che l’uomo, come società, non se l’aspettava; non è stato in

grado di leggere i segnali, che pure erano presenti, a quell’epoca. Il limite alla

comprensione di quel che sarebbe successo da lì a dieci, quindici anni, era, ed

ancora lo è, nelle sue limitate capacità di comprendere la velocità degli

sconvolgimenti sociali, tecnologici, che avrebbe provocato, che provoca e

provocherà l’informatica. Possiamo dire che l’uomo della vecchia generazione, che

è ancora quella presente, ha continuato e continua ad elaborare il reale con

strumenti cognitivi e strategie organizzative adatte ad un vecchio mondo; il

nuovo, che è quello che viviamo, non é neppure confrontabile con il vecchio.

L’informatica è stata vista come una nuova, grande e funzionale opportunità di

creare benessere, sveltire le pratiche burocratiche, organizzare la sicurezza e

così via. La presunzione, la solita arroganza dell’uomo, è stata quella di pensare di

poter tenere a bada, alle catene, il nuovo demiurgo della società mondiale,

l’informatica. Così non è stato. Questo nuovo Moloc, furbo come non mai, ha

lasciato all’uomo l’illusione di essere un domestico amico, un formidabile alleato

buono, ma così non è stato, e non è, e questo perché neanche esso, questo nuovo

demiurgo, conosce la sua forza e le sue spaventose travolgenti potenzialità di

rimodellare usi e costumi. E’ come se un nuovo vaso di Pandora fosse stato

106

scoperchiato, ma ancora non sappiamo tutte le inimmaginabili novità che ci

riserva.

Questo é accaduto e sta accadendo.

Riprendiamo il modello della fig. 5.3 ed elaboriamolo nella fig.5.4

FIG. 5.6. SEPARAZIONE GENERAZIONALE. L’ Influenza che le nuove tecnologie informatiche,

multimediali, di comunicazione stanno avendo sulle nuove generazioni. Le variabili indicate sono

esemplificative.

107

Lo schema sopra riportato evidenzia come le nuove tecnologie informatiche e

multimediali, applicate in tutti i settori e in tutte le attività dell’uomo, stiano

modificando i parametri di riferimento delle vecchie generazioni.

Alcuni esempi. Pensare al posto di lavoro, come si diceva una volta, fisso, é

fuorviante, non corrisponde più alla realtà almeno per l’80% della forza lavoro. I

sistemi di comunicazione sono tutti proiettati a creare un sistema audio/video

integrato ed interattivo onnipresente e onnitrasportabile, vedi cellullari, tablet,

ecc.

Le attività di intrattenimento e i giocattoli dei bambini sono riformulati tutti in

termini multimediali e virtuali.

La cultura e l’istruzione sono

ormai teletrasportate e

interrelate in un archivio di rete

infinito, in continua espansione,

sempre disponibile e

consultabile, per lo più gratuito

o a basso costo. L’informazione

e le notizie ci corrono dietro, ci

inseguono ormai in modo

assillante e con una ripetizione

ossessiva.

Possiamo dire che i supporti

tecno-informatico-multimediali,

che sempre più si stanno

imponendo in tutti i settori della

vita dell’uomo, si sono inseriti in mezzo, tra i valori, le modalità di essere e di

pensare della vecchia generazione e la nuova, creando una specie di spessa ed

irregolare lente di rifrazione che modifica, trasforma, riformula, sostituisce tali

valori e modalità organizzativa della vita.

Questo spiega il distacco che si è creato e sempre più si sta creando tra il vecchio e

il nuovo mondo. Un esempio di sostituzione del reale con il virtuale.

108

Fig. 5.7

La popstar avatar Hatsume Miku, la

prima cantante virtuale creata al

computer.

I giapponesi affollano i suoi concerti

dove la popstar si esibisce dal “vivo”

sotto forma di ologramma 3D.

In Giappone migliaia di fans impazziscono per una popstar virtuale, creata con il

computer, si chiama Hatsune Miku. L'aspetto è stato ideato con un software di

grafica, la voce con uno speciale sintetizzatore: il Vocaloid. Hatsune Miku (che

significa "prima voce del futuro") può contare su numerosi spettatori che

riempiono i suoi concerti.

Questo è uno dei tanti esempi di quello che le nuove tecnologie sono in grado di

elaborare.

“E allora che dobbiamo fare?”

Nulla. O meglio, dobbiamo assumere un atteggiamento positivo, di presa d’atto di

questa realtà. L’evoluzione tecnologica deve essere vista come un’opportunità e

non come un ostacolo o impedimento al progresso. Nostro compito, il compito

di tutti noi come persone e come istituzioni, è quello di fare in modo che esse

siano utilizzate al fine di migliorare le condizioni di vita delle persone. E per fare

questo occorre governare l’introduzione e l’uso delle nuove tecnologie

attraverso una duplice attività:

a) una costante e continua attività di formazione ed informazione che coinvolga

le diverse fasce della popolazione, dalla scuola dell’infanzia alla terza età; esistono

esperienze di formazione di persone della terza età all’uso delle nuove tecnologie.

b) Una costante attività di pianificazione socio-politica, che moduli l’uso e

l’introduzione delle nuove tecnologie nel tessuto della vita reale delle persone nel

rispetto delle loro reali esigenze. Un’immissione delle nuove tecnologie nel

109

sistema sociale, economico-finanziario, delle comunicazioni, senza una preventiva

valutazione dell’impatto che possono avere nella vita delle persone, può risultare

drammatico.

La crisi economico-finanziaria che viviamo è dovuta proprio ad un utilizzo

sconsiderato e pervasivo delle nuove tecnologie informatiche e multimediali. Un

esempio di conseguenze negative: la perdita di posti di lavoro dovuta alla

sostituzione della forza lavoro-uomo, con la forza lavoro-macchine informatiche.

Alcuni esempi tanto per non restare nel vago. L’introduzione del telepass sulle

autostrade, l’introduzione di sportelli automatici in banca, lo spostamento di tutte

le attività amministrative e contabili su internet, l’utilizzo di risponditori telefonici

automatici robotizzati; potrei continuare. Qualcuno potrebbe osservare: “Ma così

sono stati migliorati i servizi.” È vero, spesso è così, non sempre. Ma tutti i posti

lavoro persi come sono stati recuperati? Scusami per questa digressione, il fatto è

che questa crisi globale, dovuta all’informatica, la stiamo vivendo tutti noi, con

delle gravi ripercussioni anche sui servizi sociali ed educativi.

Torniamo ai nostri discorsi. Noi ci occupiamo solo del primo punto:

1) che i bambini e i ragazzi, sotto l’influsso e il quotidiano uso delle nuove

tecnologie, stiano subendo una modificazione degli stili di apprendimento, ma

anche dei comportamenti, é sotto gli occhi di tutti.

2) che questo sia un processo inarrestabile, è un’altra ev idenza.

L’uso delle nuove tecnologie sta completamente modificando le capacità e gli

stili di apprendimento dei bambini, si sta passando da un apprendimento basato

solo sulla parola-parlata/parola-scritta, ad uno basato sull’immagine/parola-

parlata/parola-scritta, dove l’immagine la fa da padrona, la parola scritta diventa

sempre più accessoria e semplificata. Si sta passando da uno stile di

apprendimento graduato, con tempi di gestione basati sui bioritmi della

persona, a tempi di apprendimento sempre più ristretti e rapidi imposti

dall’esterno.

Vediamo con un’illustrazione le conseguenze che ne derivano sul processo

educativo dalle considerazioni appena fatte.

Il treno simboleggia il convoglio della formazione nei confronti dei

bambini/ragazzi. Formato da tre carrozze: scuola, famiglia, bambini; insieme

rappresentano la triade del processo educativo. Solo una stretta integrazione tra

queste tre componenti garantisce il successo formativo.

110

Fig. 5.8 IL TRENO DELLA FORMAZIONE. Formato da tre vagoni che trasportano i tre protagonisti

del processo educativo nel bambino.

Il treno della formazione nella precedente generazione viaggiava su tre vagoni

dello stesso convoglio, su uno stesso binario, a simboleggiare che la scuola e la

famiglia erano in grado di comprendere i reali bisogni di sviluppo del bambino.

Oggi le cose sono cambiate. Una serie di eventi A, quelli sopra descritti

(multimedialità, internet, nuove tecnologie, ecc.), hanno provocato una

separazione dei tre vagoni facendoli viaggiare su tre binari paralleli. Questo a

111

significare cha la scuola e la famiglia hanno perso il contatto con i bambini. Non

comprendono più appieno quello di cui hanno bisogno, non riescono ad

organizzare un nuovo modello educativo che tenga conto dei cambiamenti che le

nuove generazioni stanno subendo. Eventi B che sono rappresentati da una

formazione e da una presa d’atto operativa dei cambiamenti intervenuti

dovrebbero riportare sullo stesso binario le tre carrozze, e ricomporre il convoglio

per raggiungere la stazione insieme, la stazione è l’obiettivo, la realizzazione di

una formazione completa ed integrata con le realtà del tempo.

“Ma il bambino rappresenta il fruitore, quello che riceve gli interventi di

formazione, perché allora lo considera un protagonista al pari della famiglia e

della scuola?”

Questa tua domanda mette il dito nel punto debole del processo educativo,

considerare il bambino non come compartecipe e protagonista attivo della sua

formazione, ma come un fruitore più o meno passivo dell’intervento.

Il disegno del treno evidenzia proprio i ruoli che nel processo educativo

dovrebbero avere le tre componenti.

Viaggiare insieme significa affrontare attraverso una compartecipazione attiva il

percorso della formazione.

La separazione dei vagoni sta ad indicare che si può creare, come si è creato, un

distacco, una separazione, tra bambino reale , quello del mondo di oggi, quello

sopra descritto, e la visione che sia la scuola che la famiglia hanno del bambino.

Loro vorrebbero avere un bambino che continuasse a viaggiare sul loro treno, su

un binario che lo porta ad osservare paesaggi superati, a visitare spazi di

apprendimento non più attuali, a conformarsi ad un percorso formativo che non

corrisponde più ai tempi.

L’impegno delle componenti è quello di far riconvergere i vagoni su uno stesso

binario che ricomponga le visioni dei processi formativi, non abbandonando

all’improvviso l’esistente, ma arricchendolo di tutti quegli spunti, supporti, scenari

attinti dal mondo contemporaneo con tutti i nuovi supporti e sussidi tecnologici,

multimediali, che rappresentano, oggi, i nuovi alimenti della curiosità dei bambini.

“Tutto bello, ma come si fa praticamente?”

Una riflessione.

Non si considera il fatto che nel processo educativo-formativo i vantaggi e i

112

risultati della formazione non vanno a ricadere solo sulla testa del bambino, ma

obbligatoriamente anche sui genitori e i docenti.

“Che vuol dire?”

Voglio dire che, nella dinamica formativa, ognuno dei protagonisti del percorso

formativo, mamma/papà/docenti/bambino sono allo stesso tempo maestri e

discenti. È vero che é il bambino che apprende ed impara, ma allo stesso tempo

insegna qualcosa ai genitori e ai docenti. Non considerare questo aspetto,

presente in ogni caso nel processo educativo, è alla base della negazione del

bambino come protagonista e artefice della sua formazione.

L’ascolto dei figli è fondamentale. A qualunque età ci insegnano qualcosa e

facendo questo ci migliorano come genitori e come docenti.

Se non ascolti tuo figlio, se non parli con lui e lo valorizzi, è inutile qualunque

progetto educativo.

Si deve dire che la scuola sta accogliendo questa sfida a fare entrare il nuovo

mondo nella scuola, in modo molto faticoso, e spesso, purtroppo, utilizzando

procedure non adatte. Non basta dotare una scuola di computer, di lavagne

interattive multimediali (lim), o altro, non è questa l’innovazione di cui qui si

parla. Questi supporti tecnologici rappresentano sussidi, supporti; è nella

programmazione, negli stili di intervento e di coinvolgimento dei bambini che si

misura l’innovazione. Ricordando che innovare non significa buttare a mare

niente, significa far entrare il nuovo dentro, miscelandoli ne deve uscire una

scuola non rivoluzionaria, ma capace di accogliere, ascoltare e rispondere alle

esigenze formative di una “new age” di bambino.”

113

RIUSCIRE A FARE INTERVENTI EDUCATIVI GIUSTI E ADEGUATI

ALLE NECESSITÀ DEL BAMBINO/RAGAZZO È L’OBIETTIVO DI

OGNI GENITORE, MA ANCHE DI OGNI INSEGNANTE.

QUALI SUGGERIMENTI CI PUÒ DARE PER FACILITARE QUESTO

NOSTRO COMPITO? Conversazione

Rilevare criticità, porre domande è facile, difficile è trovare le risposte giuste, o

per lo meno avere indicazioni sul dove e il come trovare le soluzioni al nostro

problema, ma ancora più difficile è applicare concretamente le soluzioni per

risolvere il nostro problema.

“Perché è così difficile trovare le risposte giuste ai nostri problemi?

Questa domanda mi permette di illustrare il perché non è facile modificare un

nostro modo di fare e d’essere. Per accettare un consiglio e mettere in atto tutte

le azioni che servono per applicare una soluzione ad un determinato problema è

necessario avere la capacità di modificare alcuni nostri comportamenti e stili

comunicativi.

Le cinque vignette che seguono ci possono aiutare a visualizzare il problema.

Possiamo immaginare la crescita e lo sviluppo della persona come l’edificazione

e lo sviluppo di una casa. Il progetto è rappresentato dalla dotazione genetica

naturale della persona.

Quando il bambino è piccolo la casa è in costruzione, fig. 6.1. I mattoni ancora

non sono sistemati e il cemento che li tiene uniti ancora non si è indurito. I

muratori, mamma, papà, potranno realizzare il progetto di edificazione

realizzando una casa in stili diversi. L’influenza educativa e relazionale in questo

periodo rappresentano la calcina con cui sono uniti i mattoni, il collante della casa-

persona. Più questo collante sarà tenace, più la casa del bambino sarà solida e

sicura.

A 6 anni la costruzione della casa è a buon punto, fig. 6.2. Il progetto va avanti. Ai

primi muratori se ne sono aggiunti altri: parenti, insegnanti, amici, e tanti altri

ancora; i quali possono ancora incidere sulle rifiniture della casa. A questa età, sei

anni, si ha la fase critica per la formazione, inizia la fase dell’arredamento

dell’appartamento. Gli arredi sono le idee, l’educazione, le influenze etiche e

religiose, la somma di tutte quelle esperienze che formano la persona.

114

Fig. 6.1. Nel bambino piccolo la casa è ancora in

fase evolutiva e quindi può assumere forme

diverse. L’influenza esterna incide molto sul

progetto di costruzione.

Fig. 6.2. Verso i 6 anni il progetto è a buon

punto, ma ancora è possibile fare delle

variazioni al piano di costruzione. Ancora è

possibile influire fortemente sullo sviluppo del

bambino

Fig. 6.3. Le mura della casa sono ultimate. Gli

infissi sistemati, i primi mobili cominciano ad

essere collocati nella casa, ma ancora l’arredo è

da decidere.

Fig. 6.4. In età adolescenziale dentro la casa

sono stati messi molti mobili e molti vestiti,

questi ancora sono alla rinfusa, si possono

ancora cambiare e sostituire.

Questa fase è critica, giacché inizia l’esperienza delle relazioni formali con gli altri;

inizia lo sviluppo della capacità di valutazione, di osservazione, di ascolto, di critica

115

costruttiva, o viceversa di chiusura e non ascolto.

Tutta questa dinamica influirà sulla capacità della persona di confrontarsi in modo

positivo con altre idee, di valutarle e quindi di accettarle o rifiutarle, ma dopo

giusta valutazione.

L’apertura mentale a sapersi confrontare con altri punti di vista, seppure già

avviata nell’infanzia, trova nella scuola primaria la vera palestra di allenamento.

Serve un bravo allenatore, un docente che faccia del confronto tra pari, della

capacità di ascolto e di comunicazione, l’arma vincente dei suoi alunni.

A 9/10 anni la costruzione muraria è finita, anche le rifiniture sono in corso di

stabilizzazione, saranno rinforzate con la preadolescenza.

Fig. 6.4, è l’adolescenza, il periodo degli entusiasmi sfrenati, delle spinte

all’innovazione e al cambiamento; è il mondo che si rinnova, e germogliano i semi

di una nuova generazione. La casa ormai è fatta. L’arredamento è andato avanti;

nelle stanze sono stati sistemati mobili, i vestiti in abbondanza (idee, ideologie,

religione, etica, ecc.) sono sparsi in ogni dove della stanza; alcuni sono stati

sistemati per bene con stampelle dentro l’armadio, altri fanno fatica a trovare

posto. È la precarietà ideologica dell’adolescenza che ancora non ha deciso se

vestire quegli abiti, portarli in tintoria per una bella ripulita o in sartoria per

modificarli, o addirittura buttarli nel cassonetto e sostituirli con un altro

guardaroba più moderno e più adatto alla sua personalità.

116

Fig. 6.5. Questa è la mia casa, per tutta la vita abiterò qui. L’ho arredata con

attenzione, non manca niente. Possono cambiare poco: ho tutto. E poi perché

dovrei cambiare? Le cose che ho mi vanno bene. Sono un po’ vecchie? Per me no,

a me piacciono.

E siamo all’età adulta, fig. 6.5. La casa con il tempo si è solidificata. Gli armadi

ormai hanno disegnato sulla parete e sul pavimento le loro sagome, segno di

stabilità e amovibilità nel tempo. I mobili sono pieni di storie di vita, le idee sono

consolidate, le convinzioni sui valori della vita definiti, la visione del mondo

stabile. Cambiare idea, rivedere i propri punti di vista? Perché? Per quale ragione?

In questo progetto edilizio e di arredamento sta la storia dell’uomo, ad esso si

applica il principio di economicità: mantenere per quanto più possibile una

condizione di stabilità fisica, cognitiva, ideologica; ogni cambiamento, se non

necessario ed emergenziale, va evitato. La vita funziona sulla base del principio

del risparmio: ottenere il massimo con il minimo di investimento, cioè di

117

cambiamento; ed ogni cambiamento richiede impegno, fatica; significa munirsi

di pennello e dare una bella ridipinta alla casa, ma dopo aver raschiato e

scartavetrato le vecchie incrostazioni; o, fatica ancora più grande, buttare via

alcuni vestiti, idee, punti di vista, e sostituirli con altri.

Tutto qua. La similitudine sopra riportata ci permette di comprendere come,

per realizzare un cambiamento, è necessario:

1) valutare e credere che la soluzione sia effettivamente efficace alla

soluzione del problema;

2) inserire tale proposta di cambiamento all’interno della propria mente e

farla propria, rielaborandola con il resto dell’arredo. Una nuova idea per

essere accettata deve essere compatibile, o resa compatibile, con il resto

dell’arredamento. Se la nuova idea è troppo diversa da quelle che già si

hanno si crea una dissonanza estrema, e quindi un conflitto. È come

mettere in un appartamento arredato con un sobrio stile inglese, al centro

della stanza, un mobile di ikea: brr, orrore!

3) rendere la soluzione operativa attraverso uno sforzo che comporta un

dispendio di energia, che si traduce in una riorganizzazione del proprio

stile di vita o dei propri comportamenti, o in una cambiamento delle

relazioni madre-padre, relazioni docente-alunno-famiglia;

4) consolidare nel tempo i nuovi comportamenti fino a farli diventare

ordinarietà, cioè comportamenti abituali.

“Non avrei mai pensato che per far cambiare qualche cosa occorresse tutta questa

fatica. C’è da scoraggiarsi!”

E di fatto spesso ci si scoraggia.

Si rileva il problema, si chiede anche aiuto, si scrivono e accettano anche le

soluzioni, ma poi non le si applicano o le si applicano personalizzandole,

giustificando tali modifiche con il solito “Sicuramente ha ragione, ha colto nel

segno, ma mi sembra esagerata la soluzione. Come faccio, io non ho tempo.

Secondo me non gli abbiamo detto che anche tuo padre era così. Potrebbe essere

un fatto ereditario.”

“E allora?”

E allora, e allora. Da questo esempio si possono ricavare almeno cinque

indicazioni:

1) che gli interventi educativi vanno fatti all’età giusta;

118

2) più piccolo è il bambino, più è facile modificare comportamenti non

corretti, o recuperare ritardi, per esempio negli apprendimenti;

3) che educare i bambini al confronto delle idee, nel rispetto delle posizione

proprie e di quelle degli altri, è l’antidoto contro la rigidità e amovibilità

del proprio punto di vista, e insegna a guardare il mondo da altre

angolature;

4) educare il bambino al lavoro di équipe: saper lavorare insieme, per

raggiungere uno stesso obiettivo, è un grande laboratorio di vita, perché

mette in pratica quanto detto nel punto 3;

5) se ci si rende conto che da soli non si è in grado di risolvere il problema è

bene rivolgersi ad uno specialista, a quello giusto e a quello bravo. Non ci

si deve mai vergognare di chiedere un sostegno, mai.

Rispetto all’argomento appena trattato mi sembra opportuno fare un

chiarimento, per non essere frainteso. Guardiamo lo schema 6.6.

119

Fig.6.6. EQUILIBRIO DELL’UOMO= STABILITÀ. I 4 punti fermi della vita.

120

L’uomo per il suo equilibrio ha bisogno di punti di riferimento sicuri e stabili nel

tempo. Fare entrare in crisi i sistemi di riferimento dell’uomo significa fare entrare

in uno stato di ansia esistenziale la persona e i sistemi sociali in cui vive.

Il cambiamento è necessario e fa parte dell’evoluzione storico-culturale,

scientifico-tecnologico dell’uomo, ma il cambiamento va graduato ed integrato

nei sistemi di riferimento. Saltare la fase di adattamento dell’innovazione con i

punti di riferimento esistenti produce disadattamento.

Non va confusa la capacità dell’uomo di affrontare in modo aperto e dinamico le

problematiche che gli si presentano nella vita quotidiana o nell’organizzazione di

questa, con i suoi macrosistemi di vita: le impalcature che danno sostegno e

significato alla sua esistenza, quali la certezza del lavoro, la fede, un nucleo

familiare di riferimento, la sicurezza per sé e per i suoi cari, il rispetto della dignità

umana…

Senza queste certezze e senza questi valori, che possono sicuramente cambiare da

cultura a cultura, vivere la vita diventa veramente difficile.

Quello di cui ho parlato sopra si riferisce alla capacità e alla normale apertura

mentale che una persona deve avere per affrontare in modo positivo le

problematiche che tutti i giorni la vita gli mette davanti, sia in famiglia che sul

lavoro.

Quindi è all’interno di sistemi di riferimento sicuri che si può affrontare con

successo il cambiamento. Ad un padre di famiglia che non ha più il lavoro e

reddito sicuro, con due figli a carico da sostenere, è difficile parlargli di modificare

lo stile educativo e comunicativo nei confronti dei figli.

Questo ce lo dovremmo sempre ricordare: non si possono affrontare problemi

importanti nel campo dell’educazione a prescindere dai contesti di riferimento

in cui il bambino vive; non farlo sarebbe un inutile chiacchiericcio.

Ricordiamoci come assunto di base imprescindibile: l’uomo non può vivere in un

sistema senza valori e in una SOCIETÀ LIQUIDA.

“Che vuol dire una società liquida?”

È un termine che si usa in internet per indicare una pagina che sullo schermo può

essere modificata in grandezza e forma in qualunque momento e da ogni singola

persona, quindi una pagina liquida, proprio come l’acqua del mare cangiante ad

ogni momento del suo fluire.

121

E così una società liquida è quella che cambia i suoi sistemi organizzativi e di

riferimento continuamente e fa perdere la rotta frequentemente ai propri

cittadini; è come mettere le persone su una barca senza timone e lasciarle in

mezzo all’oceano in balia delle onde.

Fig.6.7 SOCIETÀ LIQUIDA. La barca lasciata alla deriva in mezzo al mare rappresenta una società

liquida, una società che cambia troppo spesso i suoi punti di riferimento e i suoi modelli di

sviluppo e i riferimenti organizzativi. Questa società crea persone allo sbando e senza rotta.

Adesso posso dare una risposta più completa alla domanda che mi hai fatto

all’inizio di questa conversazione.

TIRO CON L’ARCO, LE FRECCE DELL’EDUCAZIONE.

In questa seconda parte della conversazione voglio affrontare il problema legato

al Patto Educativo.

Per Patto Educativo intendo l’accordo più o meno formale ed esplicito che

dovrebbe essere stipulato tra coloro che hanno il compito e la responsabilità di

effettuare un intervento formativo su di un bambino/ragazzo.

“Che vuol dire stipulare un patto educativo, e perché si deve fare?”

122

Prendiamo una coppia di genitori con un bambino di tre anni.

Tutti gli interventi educativi che hanno messo in atto per far crescere il loro

bambino derivano da un accordo comune tra mamma e papà sul che cosa è giusto

fare e che cosa non va fatto per educare il figlio. In questo caso il Patto Educativo,

fare o non fare, rimane implicito, non viene mai discusso, scadenzato, organizzato

formalmente, si agisce e basta; sicuramente se ne parla, ma non si arriva mai ad

un impegno formale.

Le cose cambiano in caso di separazione della coppia. Per garantire una

omogeneità di intervento formativo, spesso è lo stesso giudice che formalizza gli

atti educativi da agire nei confronti del bambino.

Prendiamo un’altra situazione. Mamma, papà, bambino e nonni. I genitori per

motivi di lavoro sono costretti ad affidare il proprio figlio ai nonni, per tempi

abbastanza lunghi della giornata. Questa delega comporta un implicito

affidamento ai nonni anche di interventi formativi a carico del bambino. È chiaro

che lo stile educativo dei nonni può entrare in conflitto, come spesso accade, con

quello dei genitori. Per non andare ad un conflitto esplicito con i nonni i genitori

lasciano correre, sopportando queste incursioni nella sfera educativa come il male

minore, rispetto al problema: “Ma a chi altri lo potremmo affidare Marco!? Noi

dobbiamo lavorare.” “È meglio così. Sopportiamo. Lo fanno a fin di bene.”

In questa situazione definire un Patto Educativo esplicito, seppure non

formalizzato da atti scritti, sarebbe una soluzione. I genitori dovrebbero definire

con i nonni le linee educative a cui tengono e che non vorrebbero vedere

vanificate.

La chiarezza dei principi educativi, su cui i genitori non possono transigere, va

sempre esplicitata. È chiaro che non si tratta di definire piccole cose, accadimenti

estemporanei che si possono presentare durante la giornata con i nonni, ma

fondamentali. Per esempio, per dirne una: “Non vogliamo che Marco giochi con

video giochi.” “Visto che Marco non ha problemi di allergie, vorremmo che a

tavola mangiasse tutto quello che si prepara.”

Ma la necessità di definire il Patto Educativo si presenta con l’entrata del

bambino nel mondo della scuola.

Per rendere più immediata la spiegazione sul Patto Educativo, utilizzo come

esempio il tiro con l’arco.

123

Fig. 6.8. TIRO CON L’ARCO: LE FRECCE DELL’EDUCAZIONE. Schema che illustra tutte le componenti

che intervengono nell’attività formativa del bambino o del ragazzo.

124

Le componenti che intervengono nell’atto educativo sono:

1) la persona a cui è diretto l’intervento, nel nostro caso è il

bambino/ragazzo, nello schema è rappresentato dal tirassegno;

2) le persone che lo attuano, genitori, docenti, ecc. nel nostro caso ognuno

di questi formatori è definito universo educativo. È stato scelto il termine

“universo” per indicare il fatto che ognuno ha un proprio modo di pensare,

di essere, propri modi di fare nello svolgere il proprio ruolo, un proprio

stile di comunicazione;

3) la forza e la direzione con cui viene effettuato l’intervento formativo. La

forza è data dalla somma dei formatori che intervengono. Esempio. Se sul

bambino agiscono mamma e papà insieme l’impatto educativo sarà più

forte che se agisse solo uno dei due. Mentre la direzione è data dalla

condivisione dell’intervento. Vale a dire più si è d’accordo sul che cosa va

fatto più si riuscirà a formare positivamente il bambino/ragazzo, vale a

dire, utilizzando l’esempio del tirassegno, si riuscirà a colpire il bambino

nel punto giusto;

4) infine è necessario lo strumento, il mezzo che ci permette di effettuare

l’intervento. Nel nostro esempio è rappresentato dall’arco, nella realtà lo

strumento è rappresentato dal contesto dove si effettua la formazione e

da tutti i sussidi utilizzati per facilitarlo. Contesti e sussidi sbagliati non

consentono di attuare nel modo giusto gli interventi previsti. Un esempio

vale più di cento spiegazioni. Se il nostro obiettivo comune è insegnare al

bambino a scrivere, il contesto più adatto per farlo sarà la scuola, il mezzo

la penna e la carta. Se il contesto è sbagliato (si sceglie la famiglia), o i

mezzi sono assenti, sarà difficile raggiungere l’obiettivo prefissato.

Da quanto appena detto deriva la catena degli atti formativi.

125

Fig. 6.9. CATENA DEGLI ATTI FORMATIVI. I passaggi che sono da rispettare nel programmare un

intervento formativo rivolto al bambino/ragazzo

Vediamo adesso, attraverso le figure sotto riportate, le diverse situazioni che si

possono avere nell’organizzazione ed effettuazione degli interventi educativi.

126

FIG.6.10 SITUAZIONE IDEALE. Tutti gli universi educativi hanno lo stesso obiettivo educativo e lo

attuano tutti con le stesse modalità. Ideale perché, nella realtà, la diversità nel modo di attuare

anche uno stesso obiettivo sono normali.

La fig. 6.10 illustra una situazione educativa ideale. Infatti non è possibile che

tutti gli universi educativi perseguano gli obiettivi educativi nello stesso modo.

Ognuno di essi, svolgendo funzioni educative diverse, affronterà la formazione del

bambino/ragazzo con funzioni e stili diversi. Sia la famiglia che la scuola hanno

come obiettivo lo sviluppo e la crescita integrale del bambino, ma ognuno dei due

universi persegue questa finalità attraverso obiettivi e strategie diverse. La

famiglia ha competenze diversificate da quelle della scuola. Quello che devono

condividere, famiglia e scuola, sono le finalità comuni, mettendo a disposizioni la

reciproca disponibilità e collaborazione per raggiungerle, sempre nel rispetto delle

reciproche competenze e professionalità.

127

FIG.6.11 SITUAZIONE REALE. Gli universi educativi hanno lo stesso obiettivo educativo,

condividono che cosa è bene fare per il bambino, ma ognuno attua questo obiettivo con le proprie

modalità. Ogni universo educativo spinge la freccia in punti vicini al centro, punto critico. Questa

somma di spinte determinerà la direzione della freccia educativa, che colpirà il bersaglio

educativo, il bambino, all’interno di un’area adeguata a svilupparlo e farlo crescere.

La fig. 6.11 illustra la situazione che si presenta normalmente nel processo

educativo. Gli universi educativi, genitori, scuola, condividono le stesse finalità

formative. Per attuarle ognuno collabora nel rispetto delle proprie competenze e

secondo il proprio stile di intervento. Sono queste variabili che determineranno la

precisione con cui la freccia educativa colpirà il bambino nel modo giusto, vale a

dire a stimolare le reali potenzialità e i bisogni di crescita del bambino/ragazzo.

Questo modello di intervento evidenzia come la “normalità” si trovi all’interno di

un vasto spazio. La natura ci ha messo in grado di non essere perfetti. Riesce a

colmare i nostri errori, entro un certo margine. Questo è rassicurante. Se così non

128

fosse i disadattamenti nei bambini/ragazzi sarebbero molto più frequenti e gravi

di quello che sono. Basta un minimo di disponibilità e di collaborazione tra genitori

e scuola per ottenere buoni risultati nello sviluppo del bambino, ma quel minimo

ci deve essere.

Quando questa collaborazione viene meno ci trova a dover affrontare quanto

illustra la fig. 6.12.

Fig. 6.12 SITUAZIONE DI PERICOLO, BORDELINE. Gli universi educativi non hanno lo stesso

obiettivo educativo, non condividono che cosa è bene fare per il bambino. Ognuno attua il proprio

obiettivo in modo individuale senza rapportarsi agli altri. Ogni universo educativo spinge la freccia

in punti diversi dal centro. Questa somma di spinte determinerà la direzione della freccia

educativa, che colpirà il bersaglio educativo fuori dall’area che facilita lo sviluppo del bambino.

La fig. 6.12 rappresenta la situazione di rischio che corre un bambino/ragazzo

allorquando gli universi educativi non condividono le finalità formative da

perseguire, oppure ognuno vuole seguire i propri di obiettivi senza considerare gli

altri Universi Educativi. È chiaro che in questo caso il bambino/ragazzo sarà

bombardato da iniziative dissonanti, da interventi tra loro conflittuali e

129

contrapposti, che avranno poco a che vedere con le reali necessità del

bambino/ragazzo, il quale rimarrà sospeso nella terra di nessuno. Se non

interverranno risorse sostitutive e integrative il bambino/ragazzo correrà gravi

rischi di disadattamento. Devo dire che per fortuna queste situazioni si

presentano non frequentemente. Una percentuale di questi bambini/ragazzi, sono

i casi che a volte finiscono sulla scrivania del tribunale dei minori, e spesso anche

nella cronaca nera dei quotidiani.

Infine si può presentare uno scenario educativo patologico come quello mostrato

nella figura che segue.

Fig. 6.13 SITUAZIONE PATOLOGICA. Questa situazione si presenta quando gli universi educativi

sono in palese conflitto e utilizzano il bambino come un campo di battaglia su cui sfogare le loro

rabbie e conflittualità. Il bambino come persona non esiste, è solo un pretesto per litigi e contrasti.

130

Situazioni come quelle illustrate con la fig. 6.13 si presentano in relazioni molto

conflittuali con vere e proprie esplosioni di rabbia. Una delle situazioni tipiche è

quella che si presenta in casi di separazioni molto conflittuali, dove i genitori

separati utilizzano i figli per sfogare le proprie rabbie e rivendicazioni. Possiamo

parlare di un BAMBINO DI GOMMA per indicare questo tirare il bambino da una

parte e dall’altra per schierarlo dalla propria parte. Il bambino-figlio non esiste

più. Non esiste un progetto educativo. L’educazione viene delegata al caso; è il

bambino che spesso diventa educatore di se stesso, con tutte le conseguenze che

questa condizione può procurare.

È molto raro, ma situazioni di estrema conflittualità si possono presentare anche

tra la famiglia e la scuola, in questi casi il problema si può risolvere con lo

spostamento del bambino in un'altra scuola; è difficile che un inconciliabile

conflitto tra docente e famiglia, al di là delle ragioni, si possa ricomporre

all’interno della stessa classe.

È chiaro che situazioni di questo tipo richiedono interventi forti e decisi, anche

ricorrendo a terze parti.

“Gli schemi ci hanno chiarito che cosa effettivamente può succedere in diverse

situazioni educative, ma come possono effettivamente collaborare scuola e

famiglia per realizzare il bene comune del bambino/ragazzo?”

È a questo punto che entra in gioco il PATTO EDUCATIVO.

Devo fare alcune premesse.

1) Un patto educativo, come qualunque contratto, è stipulato tra due o più

persone. Nel nostro caso i firmatari del patto sono la Scuola/Docenti e i

Genitori (la coppia: mamma-papà, o solo uno dei due in caso di

separazione o morte).

2) Il patto educativo si stipula per concordare in modo chiaro che cosa spetta

alle due parti, vale a dire quali sono i compiti della scuola/docenti e quelli

della famiglia.

3) Il patto educativo comporta in ogni caso una delega dal detentore della

patria potestà, i genitori, ad un organismo/professionista esterno, la

scuola/docenti.

4) La stipula del patto educativo può essere una scelta, come per la scuola

dell’infanzia, o l’asilo nido, o obbligatoria, come per la scuola dell’obbligo.

131

5) Un patto educativo può andare a definire obiettivi e compiti non

formalizzati e previsti da leggi, come nel caso di un patto educativo tra

famiglia e un centro sportivo, tra famiglia e baby sitter, o chiarire e

concordare una patto educativo che si basa su specifiche norme e

responsabilità, come quelle previste per la scuola dell’obbligo.

Prendiamo in considerazione il Patto Educativo tra scuola dell’obbligo e famiglia.

Guardiamo lo schema 6.14.

Nel momento in cui la famiglia fa la scelta della scuola a cui affidare la formazione

e l’istruzione del proprio figlio, e come ho avuto modo di dire, è una scelta critica

poiché decide del futuro di una persona, stipula di fatto un PATTO EDUCATIVO

ISTITUZIONALE.

“Perché istituzionale?”

Perché il genitore scegliendo quella scuola, con quel nome, con quelle

caratteristiche, con quell’indirizzo, ricordiamoci che la scelta può essere anche tra

scuola pubblica e scuola privata, tra privata laica e privata cattolica, accetta di

fatto un pacchetto di norme, di regole, a cui si deve attenere perché il proprio

figlio possa diventare alunno di quella scuola.

Questo aspetto istituzionale é di fatto trascurato, sottaciuto; si dà per scontato

che ci sia anche la scuola come istituzione, con le sue norme, ma che cosa questo

significhi e che tipo di diritti e doveri ne discendano pochi si degnano di

approfondirlo. Prova ne sia la scarsa conoscenza, e anche lo scarso valore, che i

genitori, ma anche gli stessi operatori scolastici attribuiscono ai seguenti

documenti:

Programmi Istituzionali della scuola, Piano dell’Offerta Formativa, Carta dei

Servizi.

Io personalmente ritengo che questo Patto Educativo Istituzionale andrebbe

riscoperto e valorizzato al massimo, giacché questi documenti rappresentano,

da una parte la “Costituzione” (programmi nazionali) della scuola, e dall’altra i

regolamenti (POF) di attuazione e i diritti-doveri (Carta dei Servizi) dei

professionisti della formazione (docenti) e dei suoi fruitori (alunni e famiglie).

132

Fig. 6.14 PATTO EDUCATIVO ISTITUZIONALE. È il patto che si stabilisce tra la famiglia e la scuola che

è scelta dai genitori per il proprio figlio.

133

Fig. 6.15 PATTO EDUCATIVO PERSONALIZZATO. È il patto educativo che si stabilisce tra i genitori e i

docenti della classe frequentata dal figlio. Questo patto comporta una stretta collaborazione tra

genitori e docenti della classe dell’alunno.

134

La scuola rappresenta una comunità socio-culturale, un campo di addestramento

al vivere civile e compartecipato, all’interno del quale bambini e ragazzi si

addestrato alla vita, e acquisiscono tutte quelle competenze (cognitive,

comunicative, relazionali, culturali, etiche) necessarie per avventurarsi con

successo nei campi sportivi del mondo.

Perché la vita di questa comunità “protetta” funzioni correttamente occorre che

ognuno si assuma con responsabilità le funzioni legate al suo ruolo. Ed è qui che

il Patto Educativo Personalizzato trova la sua ragion d’essere.

NESSUN INTERVENTO FORMATIVO PUÒ AVERE SUCCESSO SE NON SI HA UNA

CONOSCENZA COMPLETA E DINAMICA DELLA PERSONA SU CUI SI VA AD AGIRE

L’ATTO DELLA FORMAZIONE.

La mappatura, per così dire, del bambino/ragazzo la può solo tracciare la coppia

madre-padre, o solo uno dei due in casi particolari.

La presentazione del proprio figlio al docente/i è un obbligo e non un optional,

non assolvere a questa funzione significa svantaggiare il proprio figlio.

Non presentare il proprio figlio ai docenti significa far partire gli interventi

formativi alla cieca, con tutti i danni che questo può procurare nella relazione

alunno-docenti, sia dal punto di vista relazionale che degli apprendimenti;

determina un ritardo nella capacità dei docenti di centrare l’area giusta dello

sviluppo dell’alunno (fig. 6.11).

LA FUNZIONE DEL RUOLO ALUNNO.

Ho parlato più volte dei diversi ruoli e delle diverse funzioni che nel processo

educativo hanno gli universi educativi.

Guardiamo lo schema sotto riportato. Si evidenzia come il Sistema Formativo è

costituito da tre universi educativi: GENITORI-ALUNNO-SCUOLA/DOCENTI.

Spesso ci si dimentica dell’alunno, lo si vede per lo più come un soggetto passivo

del processo formativo su cui agiscono di fatto famiglia e scuola. Non è così. Il

bambino/ragazzo, nel momento in cui diventa alunno, assume un nuovo ruolo che

richiede un tempo di adattamento, un periodo di addestramento, per svolgerlo

nel modo giusto. L’addestramento è previsto all’interno di qualunque attività. Il

135

lavoratore all’inizio deve fare uno stage formativo, l’insegnante un tirocinio e una

costante attività di formazione, mentre per due delle componenti del sistema

formativo scolastico, genitori e alunno, tale tempo formativo non è previsto, da

un giorno all’altro devono ricoprire un nuovo ruolo senza nessuna “preparazione”.

Mancando questo momento formativo si lascia uno spazio indefinito sia ai genitori

che all’alunno di interpretare a modo loro questi due nuovi ruoli.

“Ma cosa vuol dire esattamente, che i genitori e gli alunni dovrebbero essere

preparati, informati sulle responsabilità, i diritti e doveri che discendono

dall’essere genitori e alunni?”

Esattamente. La presentazione della Carta dei Servizi scolastica e del POF

dovrebbe rappresentare un momento di informazione fondamentale per i

genitori.

Dovrebbe essere obbligatorio, nella prima riunione di classe, che i docenti si fanno

carico di consegnare e presentare in modo articolato i diritti e doveri dei genitori e

della scuola.

La stessa cosa andrebbe fatta per gli alunni per i diversi livelli di scuola e all’inizio

di ogni classe, ma non con un sermone del tipo “Voi da oggi fate la IV classe e

dovete studiare di più.” Ma attraverso un compartecipata ricerca sul ruolo

dell’alunno, riconoscendogli oltre ai doveri, quali sono i loro diritti di studenti.

136

Fig. 6. PROTAGONISTI DEL SISTEMA FORMATIVO.

137

Da qui l’importanza del Patto Educativo che si deve stipulare tra Genitori e

Scuola/Docenti, anche con il coinvolgimento del protagonista del processo

educativo: il bambino/ragazzo studente.

Lo schema chiarisce che tre sono i protagonisti del processo formativo, ognuno

con ruoli e funzioni diverse:

1) al genitore che assume la veste di genitore padre-madre di studente, che

non è lo stesso dell’essere solo madre-padre di un bambino che non

frequenta la scuola, gli viene richiesta una collaborazione e una

partecipazione sistematica al progetto educativo e formativo del proprio

figlio;

2) al docente, professionista dell’educazione e della didattica, spetta il

compito di trasmettere, da una parte, specifici apprendimenti (leggere,

scrivere e far di conto, come si diceva una volta), e dall’altra, promuovere

uno sviluppo integrale della persona alunno;

3) all’alunno, centro di riferimento degli interventi di formazione, spetta la

competenza di essere il catalizzatore degli apprendimenti, partecipando

attivamente al processo attraverso: un impegno allo studio, alla

rielaborazione personale degli apprendimenti, atti di volontà che pieghino

e adattino le esperienze scolastiche al proprio stile cognitivo, ai propri

vissuti.

All’interno del patto educativo personalizzato deve riemergere l’importanza

dell’alunno. E questo si realizza attraverso:

1) una conoscenza integrale del bambino-alunno che si ottiene attraverso

due canali: collaborazione dei genitori; screening mirati da parte del

docente sull’alunno;

2) organizzazione di metodi di studio, che consentano all’alunno il massimo

di espressione personale e di percorsi espressivi individuali. Un esempio in

matematica. Vanno sempre proposti problemi che consentano soluzioni

multiple e non una sola strada risolutiva.

3) Qualificare spazi destinati alle relazioni interpersonali attraverso

strutturati momenti scolastici dedicati a tale attività, dove i bambini

imparino il valore della comunicazione interattiva: saper ascoltare-saper

parlare.

138

4) Promuovere e sviluppare il lavoro di équipe, come modello di crescita e

cooperazione per analizzare, progettare e risolvere problemi, nel rispetto

dei ruoli e delle funzioni assegnate ad ogni componente del team.

139

UN TEMA CHE MERITA UNA RIFLESSIONE: “LA

FUNZIONE DELLA DELEGA”. PUTROPPO CHI LAVORA È

COSTRETTO AD AFFIDARE I PROPRI FIGLI AD ALTRI.

CHE NE PENSA? Conversazione

Un argomento caldo, come si usa dire oggi, che riveste una particolare importanza

per lo sviluppo del bambino da 0 a 13 anni è la DELEGA EDUCATIVA, vale a dire

l’affidare ad una persona diversa da mamma e papà la responsabilità educativa

del proprio figlio.

Il problema della Delega Educativa è diventato oggi un problema di primo piano,

io direi che è quasi una emergenza educativa.

Innanzitutto si devono distinguere due tipi di deleghe:

1) quella obbligatoria, come quella che facciamo alla scuola;

2) e una non obbligatoria, ma necessaria, per far fronte all’attività lavorativa.

La prima forma di delega, come già detto, l’affidiamo alla scuola, che con il suo

orario scolastico copre una doppia esigenza, quella formativa, ma anche quella di

copertura del tempo libero del proprio figlio. Non a caso la scelta del tempo pieno

nasce proprio dalla necessità di contemperare questa doppia esigenza: educativa

e di dopo scuola. Tutti i genitori sanno come, alla chiusura delle scuole, entrino in

una crisi di delega: “E adesso a chi lo affidiamo Matteo, dobbiamo lavorare.”

La seconda forma di delega, quella non obbligatoria, ma necessaria, è invece

coperta da delegati diversi: nonni, quando ci sono e se disponibili, sport,

ludoteca, baby sitter, amici, parrocchia.

Queste due forme di delega sono necessarie ai genitori, non ne possono fare a

meno.

Qui si apre una grande riflessione. Di fronte ad un problema sempre più

emergente, come quello della delega obbligatoria e a quello della delega per

necessità che cosa può fare la scuola? Che cosa può fare la parrocchia?

140

LA SCUOLA.

Dico subito che la scuola si trova tra l’incudine e il martello. Da una parte deve

ottemperare alla sua funzione istituzionale che è quella educativo-formativa,

tanto per intenderci, leggere, scrivere e far di conto, e dall’altra dovrebbe far

fronte anche ad una richiesta di delega del tempo libero, occuparsi del bambino

dopo il tempo scuola.

Come risponde la scuola? Diciamo che ce la sta mettendo tutta. Ma si trova a

dover affrontare problemi per cui non è preparata. Diciamo subito che il tempo

pieno, così come è attualmente pensato, confonde la missione che ha, con quella,

che di fatto, gli viene imposta dalla richiesta dei genitori, svolgere una funzione di

delega per il pomeriggio. Pochi genitori, se potessero, sceglierebbero il tempo

pieno; questo dimostra come questo modello di scuola debba essere rimodulato

rispetto alla funzione che dovrebbe svolgere. Ma torniamo alle soluzioni che

attualmente la scuola ha messo e mette in atto. Grazie all’autonomia scolastica

le iniziative sono diversificate; qui svettano quelle scuole con dirigenti scolastici

con capacità organizzative di talento. Si va dal pre-scuola, al dopo scuola;

dall’attivazione di iniziative sportive a quelle culturali e di intrattenimento, tutte

naturalmente affidate ad organizzazioni esterne e a pagamento, con quote di

iscrizione, dobbiamo dire, molto basse.

“Queste sono belle iniziative. Ma non basta.”

È vero, questo non basta semplicemente perché sono ancora occasionali, non

strutturate, e affidate alla buona capacità organizzativa delle singole scuole.

Si richiede un momento di riflessione sulla scuola come spazio educativo e come

spazio ricreativo. Questo passaggio è fondamentale giacché si può correre il

rischio di confondere le due funzioni: la scuola ha una sua specifica missione che

non è ricreativa; molte esperienze in atto confondono i due livelli con delle

conseguenze negative e una confusione dei ruoli e delle funzioni.

“Che vuol dire?”

Voglio dire che la scuola, intesa come istituzione, incaricata di promuovere la

formazione del bambino e del ragazzo dal punto di vista educativo-didattico, va

distinta dalla scuola come complesso fisico, struttura, all’interno della quale

possono essere svolte attività di tempo libero non di competenza della scuola

come istituzione. Le attività del tempo libero debbono essere tenute

completamente distinte, per tanti motivi. Il tempo libero andrebbe organizzato

141

all’interno di un progetto annuale, dove la scuola concorre a definire le

progettualità, ma affidando ad un organismo esterno la gestione

dell’organizzazione, degli spazi concessi, della responsabilità complessiva, anche

civile e penale, delle attività, anche con il pagamento delle utenze e delle pulizie

degli spazi utilizzati. Una scuola aperta ai bisogni del quartiere, ma attenta a

distinguere responsabilità e funzioni.

LA PARROCCHIA.

La funzione di accoglienza dei bambini e dei ragazzi, da parte della parrocchia

per la gestione del tempo libero, è di fondamentale importanza. Già tanto si fa,

ma sicuramente necessita di un forte rilancio. L’oratorio di vecchia memoria deve

essere riscoperto e rimodulato in chiave moderna, facendo uso anche delle nuove

tecnologie. Moltissime parrocchie sono ricche di spazi ludici e sportivi.

L’organizzazione del tempo libero dovrebbe essere vista in una doppia missione:

come occasione di incontro in chiave cristiana, e come servizio alla comunità dei

credenti e dei laici del quartiere.

Come ultimo argomento vorrei spostare l’accento su una delega educativa che

esula dalle due sopra riportate.

LA DELEGA EDUCATIVA NON DELEGABILE.

Una delega educativa che attiene obbligatoriamente al ruolo e alla funzione di

genitori è rappresentata dalla funzione di mediatore tra il bambino é il mondo

che mamma e papà debbono svolgere come missione legata al loro essere

genitori.

È tipico osservare, in tutte le specie animali, i comportamenti di mediazione che

svolgono i genitori tra i loro cuccioli e il mondo che li circonda. È grazie alla

sicurezza e alla presenza vigile dei loro genitori che i cuccioli riescono ad

avventurarsi nelle prime esplorazioni, certi che al pur minimo pericolo mamma e

papà sono pronti ad intervenire. Questo tema l’ho già in parte affrontato nella

seconda conversazione quando ho parlato del Villaggio della Vita, fig. 2.2, qui lo

voglio puntualizzare dal punto di vista dell’Espansione della Vita.

Guardiamo lo schema 7.1

142

FIG. 7.1 ESPANSIONE DELLA VITA. Due forze in costante lotta: quella verso la conquista del

mondo, quella del ritorno a casa, in famiglia.

La caratteristica del ciclo dell’esistenza di ogni persona è espandere la propria

vita in ambienti diversi: scuola, relazioni interpersonali, lavoro. Il successo di tale

espansione è legato al come i genitori hanno saputo svolgere la loro funzione di

mediatori tra il loro bambino e il mondo. Più la mediazione è stata positiva più il

bambino avrà accumulato energia positiva, forza, per avventurarsi nel mondo. Più

il bambino è piccolo più tale spinta all’espansione è debole, freccia grigia

tratteggiata; mentre è forte la forza centripeta che spinge il bambino a tornare nel

grembo di mamma e papà, freccia nera continua. Con il passare dell’età la forza si

inverte. Nell’adolescenza la forza centrifuga, ad avventurarsi nel mondo, è

143

intensa; mentre la forza centripeta, a rimanere in famiglia, diminuisce. Merita

ricordare come qualche volta il desiderio (egoismo?) di mamma e papà sarebbe

quello di non veder mai mutare la forza centripeta, vorrebbero che l’attaccamento

per la famiglia restasse sempre immutato. Non è possibile.

La figura schematizza come la forza vitale all’espansione, che è naturalmente in

ogni persona, la porti alla conquista di spazi diversi. Tu avrai sicuramente presenti

i primi giorni della scuola dell’infanzia o della prima classe, il timore,

l’insicurezza dei bambini ad abbandonare la mano della mamma o del papà. È un

grande momento! Il bambino parte alla conquista di un nuovo mondo, di nuove

fantastiche avventure, perché la scuola può essere, e dovrebbe essere, una

fantastica avventura. Quanti bambini hanno varcato la soglia dell’aula, il nuovo

mondo dove non trovano più la rassicurante presenza di mamma e papà, in

lacrime, in disperazione? Le insegnanti quante rassicurazioni, quanti abbracci

hanno dovuto dispensare in sostituzione di quelli di mamma e papà, per poi

sentirsi dire: “Ma mamma torna, mi viene a prendere?” E giù lacrime! Non è raro

che questa disperazione duri più di qualche giorno.

Il distacco, momento critico dell’esistenza, è un evento che si ripresenta puntuale

agli appuntamenti importanti della vita: nascita, asilo nido, scuola dell’infanzia,

primaria, matrimonio...

A questi distacchi ci dobbiamo preparare, ci dobbiamo allenare. I nostri grandi

allenatori sono sempre loro, mamma e papà, qualche volta dei loro sostituti.

“Ma come ci si prepara al distacco?”

Con la sicurezza. Più un bambino dentro è pieno di sicurezze, di rinforzi positivi

per e verso la vita, più sarà in grado di distaccarsi da mamma e papà; non per

abbandonarli, ma allargare la sua visione del mondo, che include sempre i primi

e veri amori della sua vita: mamma e papà.

“Da che nasce la necessità di addestrare il bambino a conquistare il mondo?

Dai suoi limiti, dalle sue limitate capacità a fare da sé, dalle sue limitate capacità

logiche. Se un bambino di pochi mesi, ma anche di tre anni, venisse abbandonato

a sé, sarebbe incapace di provvedere al suo sostentamento, morirebbe in poco

tempo. Questa mancanza di capacità a provvedere a se stesso riguarda non solo

l’accrescimento fisico, ma anche lo sviluppo psicologico in tutti i suoi aspetti:

emotivo-affettivo, il bambino ha bisogno di essere nutrito d’amore; comunicativo-

relazionale, il bambino ha bisogno di essere nutrito di parole, di linguaggi, di

144

relazioni interpersonali; cognitivo, il bambino ha bisogno di nutrire la sua

intelligenza, la sua memoria, la sua attenzione, ecc.

145

Fig. 2.2. IL FANTASTICO MONDO DEI BAMBINI.

146

La fig. 2.2 illustra il mondo dei bambini, un mondo molto lontano da quello degli

adulti. La dimensione magica e fantastica domina la sua percezione. I draghi, i

mostri sono realtà. Che questo sia il reale mondo di un bambino piccolo lo

dimostrano alcune espressioni che fanno parte dell’esperienza comune dei

genitori, ma anche degli educatori.

Il bambino ha sbattuto alla sedia e piange. “Vieni qui, picchiamo la sedia che ti ha

fatto male, così impara a non farti male.”

Quante paure suscitate da spettacoli televisivi non controllati si impossessano dei

sogni dei bambini, e non vogliono dormire più soli?

Gli esempi di quanti danni si possono procurare ai vissuti dei bambini da una

mancata e attenta intermediazione dell’adulto tra il mondo e il proprio bambino,

sono innumerevoli. Gli adulti troppo spesso ignorano, vuoi per ignoranza, non

conoscono la psicologia del bambino, vuoi per pigrizia, vuoi per indifferenza,

vuoi per cento altri motivi, l’importanza del loro ruolo di genitori in questa

delicata fase di crescita del loro bambino: da 0 a 8 anni.

Ma è soprattutto da 0 a 6 anni che questa funzione di mediatore educativo è

fondamentale.

“Ma come fa il genitore a sapere quello che è giusto fare?”

Questa domanda che spesso mi sento fare, l’avverto sempre come provocatoria e

giustificativa. Un coppia che vive la propria relazione in modo positivo e la

nascita del proprio figlio come una gioia infinita, automaticamente assume nei

confronti della prole comportamenti adeguati alla sua crescita. Potrà non

conoscere le basi dello sviluppo psicologico del bambino. Ma questo risulterà

ininfluente se la loro presenza e relazione con il figlio è costante: parlano con il

bambino, gli raccontano fiabe, giocano con lui, scoprono il mondo insieme;

guardano la TV insieme e solo certi spettacoli, usano, con i più grandicelli, anche i

video-games, o il computer, ma sempre insieme su temi controllati e adatti all’età.

Il ruolo di mediatore educativo del genitore, in questa prima parte della vita del

proprio bambino, risulterà efficace se si rispetteranno almeno questi principi:

1) dare il massimo di ascolto e di presenza partecipata: parlare ed ascoltare

il bambino il più possibile; ma sicuramente la sera, prima di coricarsi, al

mattino, al risveglio, quando lo si accompagna a scuola, dopo il ritorno da

scuola.

147

2) Utilizzare per interessarlo argomenti e attività adatte all’età del bambino,

due in modo particolare:

a) la fiaba. I bambini sono particolarmente attratti dai racconti, poiché

le fiabe sono costruite nel rispetto della mentalità del bambino.

Soprattutto vanno raccontate in modo interattivo, il bambino deve poter

far domande, chiedere, deve poter vedere il viso di mamma e papà mentre

raccontano, abbracciarli nei passaggi più paurosi. La richiesta di riascoltare

la stessa fiaba deve essere soddisfatta. Ogni volta che il bambino riascolta

la fiaba è come se l’approfondisse.

b) Il gioco. Il gioco per il bambino non è un passatempo come per

l’adulto, è il suo modo di esprimersi, il suo modo di lavorare sul reale, di

conoscerlo, scoprirlo, manipolarlo e quindi farlo proprio come esperienza

mentale. Frasi come: “Ma stai sempre a giocare, ormai sei un ometto.”

Non hanno senso. Il bambino ha fame di gioco. Questo spiega perché la

sera non vorrebbe mai andare a dormire. E soprattutto ha fame di giochi

di movimento. Il bambino ha le cellule in moto perpetuo, devono trovare

sfogo. Il movimento per il bambino non è solo attività “sportiva”, ma il

mezzo attraverso il quale conosce e scopre il mondo. Nella conversazione

con Jean Piaget abbiamo illustrato come l’intelligenza astratta, derivi e si

sviluppi dall’intelligenza senso-motoria, cioè dai sensi e dal movimento. Ho

anche parlato di un angolo delle esplorazioni libere, un angolo creato in

uno spazio della casa a disposizione del bambino. Mamma e papà, nelle

prime fasi di vita del loro figlio, devono partecipare al gioco in tutte le

sue forme; essi stessi fanno parte del gioco, il bambino li usa come

“giocattoli viventi.” “Tu papà fai questo, tu mamma sei quest’altro.”

Quanti nonni si lasciano spupazzare come vecchi bambolotti per

assecondare i giochi del nipote? E questo perché al centro del mondo c’è

lui e lui solo, il bambino, tutti gli altri sono stimoli, giochi, tappezzeria del

suo mondo, che si deve sempre piegare ai suoi voleri. E proprio attraverso

questo gioco che mamma e papà infilano dentro i primo no, i “non si fa”.

Stabiliscono le prime relazioni e rapporti di causa ed effetto: “Vedi se

questa tazza cade, si rompe, e poi non si aggiusta più.” Sempre attraverso

il gioco dei ruoli il bambino impara a rispettare le regole della

comunicazione interattiva.

148

Il gioco rappresenta, per l’educazione, una palestra aperta 24 ore al

giorno; sta a noi genitori, a noi educatori, a noi docenti, iscriverci e

partecipare; è attraverso i giochi che passano le regole, il rispetto,

l’impegno, la partecipazione, la creatività, lo sviluppo dell’intelligenza.

Che cosa non si deve fare.

Questa prima delega educativa che conduce il bambino verso il mondo non può

essere delegata a cuor leggero.

Da 0 a 3 anni il genitore non dovrebbe mai delegare la sua funzione di mediatore

educativo. Dico dovrebbe perché a volte le situazioni di vita, il lavoro, richiedono

l’affidamento del bambino, in così tenera età, ad altri. In questo caso bisogna

optare per persone “sane” di famiglia, nonni, zii, o per una baby sitter che venga a

casa, il bambino è rassicurato dal suo ambiente di vita. La baby sitter va scelta con

molta cura.

Da 3 a 6 anni si presenta la prima delega esterna, quella alla scuola dell’infanzia.

Si deve essere consapevoli che in questo periodo, in cui il bambino inizia la prima

avventura, il primo vero distacco da mamma e papà, la funzione di mediatore

educativo dei genitori deve essere rafforzata per far sentire al bambino che,

seppure per una parte della giornata non staranno più insieme, il loro amore, la

loro attenzione non è mutata.

Da 0 a 7/8 anni non si deve mai delegare alla TV, ai video games, la funzione di

interfaccia educativa. Da 0-a 4 anni non va mai lasciato solo davanti alla TV,

anche la visione di un fiaba televisiva, di un cartone animato, oggi la maggior parte

sono carichi di aggressività, deve avvenire con la mediazione di mamma o papà.

Non va mai sottovalutato il potere formativo e l’influenza che ha la televisione

sulla mente del bambino, sullo sviluppo dell’emotiv ità, sui gusti e le scelte. Lo

stesso dicasi per i video-games.

NON SI DEVE UTILIZZARE LA TV O I VIDEO GAMES COME SOSTITUTI BABY SITTER,

O SOSTITUTI MATERNI O PATERNI.

Non bisogna cedere ai capricci del bambino che dice: “Ma tutti i miei compagni lo

vedono.” Non è perché tutti vedono quel programma televisivo, sia una cosa ben

fatta guardarlo. Accettare tale giustificazione rappresenta un alibi per il genitore

per lasciare correre, sorvolare.

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Se proprio si deve lasciare il bambino, ma sempre per brevissimo tempo, davanti

alla TV., e mai sotto i quattro anni, si devono scegliere programmi adatti. Le nuove

tecnologie permettono di controllare la visione dei programmi televisivi

selezionati dai grandi.

Con questo concludo queste conversazioni.

Vorrei chiudere con un’ indicazione.

ALLA BASE DELLE NOSTRE AZIONI CI DEVE SEMPRE ESSERE UN BUON SENSO

CONDITO DI AMORE, RISPETTO PER GLI ALTRI E PER SE STESSI, ADDIZIONATO

DA SANI CONSIGLI E MOLTIPLICATO CON UNA GIUSTA INFORMAZIONE.

Questo libro ha cercato di mettere a disposizione alcuni consigli e una giusta

informazione; il buon senso e l’amore… sono a tuo carico.

Ringraziandoti della presenza in lettura, un caro saluto, aspetto un tuo commento

via e-mail ([email protected]) grazie.

Vincenzo Riccio