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PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURA DELLA PRO LOCO - TIGGIANO Anno IX, Numero 6 - Tiggiano, Dicembre 2009 - Distribuzione Gratuita Continua in ultima di Alfredo De Giuseppe Continua a pag. 2 di Bianca Paris Q ualche settimana fa il Governo po- nendo alla Camera il voto di fiducia, ha fatto approvare il “Decreto Ronchi” che fra l’altro prevede la liberalizzazione dei servizi pubblici locali e quindi anche la gestione dell’acqua. C’è stato il solito trambusto te- levisivo, che in genere non supera le 24 ore, con i ministri a fare dichiarazioni a raffica sulla ricerca di efficienza, sulla bellezza delle privatizzazioni a favore dei cittadini, sulla necessità di avere concorrenza. Il giorno dopo nuovo argomento berlusco- niano e via, l’acqua è già passata di moda, giornali e tv non ne parlano più, nessun partito fa una batta- glia seria e con- vinta, il popolo dorme e alla fine un bene universale diventa di pochi. E’ vero che la legge approvata prevede il mantenimento della proprietà pub- blica, ma affidare completamente a privati la gestione delle ri- sorse idriche è una mossa azzardata le cui conseguenze future non possono essere im- maginate (specie in uno Stato dove i privati gestori spesso sono uguali o interconnessi ai governanti). L’acqua è una di quelle risorse naturali che dovrebbero appartenere a tutti senza distin- zioni di razze, confini geografici, o peggio ancora di censo o capacità imprenditoriale. L’acqua da sempre è stata gestita dagli enti pubblici, solo per utilizzarla nel miglior modo possibile, limitare gli sprechi, con- durla anche in posti lontani dalle fonti idri- che. Se non ci fosse stata questa logica di buon senso e di umanità, per quale motivo una società privata avrebbe dovuto portare l’acqua ad un paesino del Capo di Leuca, con pochi utenti e un basso consumo, visto che per arrivarci bisogna investire una cifra colossale, essendo lontano almeno trecento chilometri dall’invaso più vicino? Ci sono dei beni, come l’aria e l’acqua che non appartengono a nessuno: possono es- sere gestiti dallo Stato solo per offrire a tutti un servizio equanime. Nel 2004 una risolu- zione della UE ha stabilito che “Essendo l’acqua un bene comune dell’umanità, la gestione delle risorse idriche non deve es- sere assoggettata alle norme del mercato interno”. Nel 2006 ha infine stabilito che l’accesso all’acqua costituisce un diritto fondamentale della persona e pertanto si chiede agli Stati di effettuare tutti gli sforzi affinché tutte le popolazioni povere abbiano accesso all’acqua entro il 2015”. Partendo dalle precedenti esperienze di pri- C i sono decisioni che sbalordiscono nella loro apparente insensatezza. Nella categoria rientra il Nulla Osta rila- sciato alla costruzione di una Basilica gi- gante sul promontorio di Leuca. Uno legge e, a prima botta, pensa ad uno scherzo, in seconda ad un blackout men- tale. Ma in terza riflette sul fatto che in giro di totalmente insensato c’è ben poco. E che anzi, molto spesso, più alta è l’av- ventatezza di un progetto, tanto più pro- fonde concrete e robuste sono le ragioni a sostegno. La domanda è allora: cosa c’è sotto il sogno e il bisogno di aggiungerne una seconda alla Basilica già presente? La quale non solo esiste, ma è magnifica per spiritualità storia tradizioni leggende; per maestria dei rifacimenti, per splendore della corona degli archi che, delimitandone l’amplissimo piazzale, aprono e chiudono la visuale sul mare, quasi a ricordargli l’ambivalenza del suo rapporto con la terra ferma. Dissentire su queste qualità è quasi impos- sibile. Ed è quindi naturale chiedersi: tutto questo non basta? No, non basta. E perché? Scartata subito anche l’ombra del torna- conto personale, la motivazione forte schietta ed onesta del progetto non può che essere la voglia di veder crescere sul pro- montorio di Leuca un polo di devozione tale da essere degno corrispondente del polo garganico. Se San Giovanni Rotondo ha la gloria di Padre Pio, Leuca, sembrano sottolineare i progettisti, ha dalla sua l’im- pronta di una storia profonda così, ed un panorama mozzafiato. Ed è vero. Aperta sui due mari, trafficata per secoli da genti pacifiche, ma anche da predoni e turbe bellicose, Leuca fu a lungo teatro di atrocità, ma anche di pietas cristiana e di accoglienza soprattutto a favore di monaci russi dissidenti, in fuga dalla intolleranza zarista. I quali monaci, una volta accolti, si fecero a loro volta generosi accoglienti dei disperati indigeni locali, ogni volta che gli sbarchi periodici dei predatori li stanavano dalle loro case, costringendoli a chiedere ricovero nelle celle camuffate degli stessi monaci. Dunque: inquietudini ancestrali e mai del tutto rimosse, retaggi di accoglienza cari- tativa, fulgore di natura superba. Questo è il promontorio di Leuca. Un mix di gran- dissimo fascino, non rintracciabile su nes- sun altro tratto della costa salentina. E su tutto questo ben di dio, che andrebbe protetto con i denti, così come si protegge la vita da trasmettere a chi seguirà, si in- tende costruire una maxi basilica (con an- nessi: sala congressi, sala prove per musica e cori, aule per catechismo, albergo e risto- rante per i visitatori). E chi più ne ha, più ne metta. Certo in tal modo l’obiettivo di fare del promontorio di Leuca il polo-calamita per un turismo devozionale a corrente conti- nua, sarebbe forse centrato. Non occorre la laurea in psicologia delle masse per prevederlo. Basta e avanza con- siderare il mare di precarietà in cui naviga a vista l’attuale società e soprattutto il suo ritrovarsi nel paradosso di essere tanto ca- rica del superfluo, quanto povera dell’es- senziale. Ossia della sicurezza nell’oggi e della fiducia nel domani. Uno scollamento, come mai in passato. E in quel vuoto, la fame di punti fermi so- IL PROMONTORIO DI LEUCA Cosa è - Cosa sta per diventare L’acqua è di tutti, anzi di pochi N asce un’idea nuova ed è festa, perché in ogni caso quell’idea è scintilla di vita, spiraglio di innovazione. La neonata che vi presentiamo si chiama “Scontrino gratta e vinci”. La testa che l’ha espressa appartiene a Vin- cenzo Bancarella, un giovane con la sua bella laurea in Informatica e una gran pas- sione per l’Economia. Con tali premesse cosa è andato ad inventarsi il nostro bril- lante dottore? Semplice, come ogni colpo di genio: ha in- trecciato i due fattori che forse abbondano di più sul mercato. E che sono: la speranza sempreverde di vincere qualcosa, fosse Il Gratta e Vinci fiscale pure una sciocchezza, purché sia vinta da noi; e la disattenzione verso il diritto-do- vere di chiedere e rilasciare scontrino e ri- cevute fiscali. Semplice, vero? Semplice ed efficace, se e quando si vorrà realizzarlo. Ma anche in tal caso un po’ di amaro in bocca resterà. Perché uno pensa: possibile che una società, per altri versi evoluta al punto giusto, abbia bisogno di allettamenti per esercitare quel diritto-dovere, che è pezzo importante nel motore dell’economia nazionale? C’è in questa faccenda una nota un po’ co- mica. È il persistere, nella sfera adulta e vaccinata, di una caratteristica tipica del- l’infanzia. Sono infatti i bambini ad aver bisogno dello “zuccherino” per compiere i loro bravi quo- tidiani e sacrosanti doveri.

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N asce un’idea nuova ed è festa, perché pure una sciocchezza, purché sia vinta da noi; e la disattenzione verso il diritto-do- vere di chiedere e rilasciare scontrino e ri- cevute fiscali. Semplice, vero? Semplice ed efficace, se e PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURA DELLA PRO LOCO - TIGGIANO di Alfredo De Giuseppe di Bianca Paris Continua a pag. 2 Continua in ultima Anno IX, Numero 6 - Tiggiano, Dicembre 2009 - Distribuzione Gratuita

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PERIODICO DI INFORMAZIONE E CULTURADELLAPRO LOCO - TIGGIANO Anno IX, Numero 6 - Tiggiano, Dicembre 2009 - Distribuzione Gratuita

Continua in ultima

di Alfredo De Giuseppe

Continua a pag. 2

di Bianca ParisQualche settimana fa il Governo po-nendo alla Camera il voto di fiducia, ha

fatto approvare il “Decreto Ronchi” che fral’altro prevede la liberalizzazione dei servizipubblici locali e quindi anche la gestionedell’acqua. C’è stato il solito trambusto te-levisivo, che in genere non supera le 24 ore,con i ministri a fare dichiarazioni a rafficasulla ricerca di efficienza, sulla bellezzadelle privatizzazioni a favore dei cittadini,sulla necessità di avere concorrenza. Ilgiorno dopo nuovo argomento berlusco-niano e via, l’acqua è già passata di moda,giornali e tv non neparlano più, nessunpartito fa una batta-glia seria e con-vinta, il popolodorme e alla fineun bene universalediventa di pochi. E’vero che la leggeapprovata prevedeil mantenimentodella proprietà pub-blica, ma affidarecompletamente a privati la gestione delle ri-sorse idriche è una mossa azzardata le cuiconseguenze future non possono essere im-maginate (specie in uno Stato dove i privatigestori spesso sono uguali o interconnessiai governanti).L’acqua è una di quelle risorse naturali chedovrebbero appartenere a tutti senza distin-zioni di razze, confini geografici, o peggioancora di censo o capacità imprenditoriale.L’acqua da sempre è stata gestita dagli entipubblici, solo per utilizzarla nel migliormodo possibile, limitare gli sprechi, con-durla anche in posti lontani dalle fonti idri-che. Se non ci fosse stata questa logica dibuon senso e di umanità, per quale motivouna società privata avrebbe dovuto portarel’acqua ad un paesino del Capo di Leuca,con pochi utenti e un basso consumo, vistoche per arrivarci bisogna investire una cifracolossale, essendo lontano almeno trecentochilometri dall’invaso più vicino?Ci sono dei beni, come l’aria e l’acqua chenon appartengono a nessuno: possono es-sere gestiti dallo Stato solo per offrire a tuttiun servizio equanime. Nel 2004 una risolu-zione della UE ha stabilito che “Essendol’acqua un bene comune dell’umanità, lagestione delle risorse idriche non deve es-sere assoggettata alle norme del mercatointerno”. Nel 2006 ha infine stabilito che“l’accesso all’acqua costituisce un dirittofondamentale della persona e pertanto sichiede agli Stati di effettuare tutti gli sforziaffinché tutte le popolazioni povere abbianoaccesso all’acqua entro il 2015”.Partendo dalle precedenti esperienze di pri-

Ci sono decisioni che sbalordiscononella loro apparente insensatezza.

Nella categoria rientra il Nulla Osta rila-sciato alla costruzione di una Basilica gi-gante sul promontorio di Leuca.Uno legge e, a prima botta, pensa ad unoscherzo, in seconda ad un blackout men-tale. Ma in terza riflette sul fatto che in girodi totalmente insensato c’è ben poco.E che anzi, molto spesso, più alta è l’av-ventatezza di un progetto, tanto più pro-fonde concrete e robuste sono le ragioni asostegno. La domanda è allora: cosa c’èsotto il sogno e il bisogno di aggiungerneuna seconda alla Basilica già presente?La quale non solo esiste, ma è magnificaper spiritualità storia tradizioni leggende;per maestria dei rifacimenti, per splendoredella corona degli archi che, delimitandonel’amplissimo piazzale, aprono e chiudonola visuale sul mare, quasi a ricordarglil’ambivalenza del suo rapporto con la terraferma.Dissentire su queste qualità è quasi impos-sibile. Ed è quindi naturale chiedersi: tuttoquesto non basta? No, non basta. E perché?Scartata subito anche l’ombra del torna-conto personale, la motivazione forteschietta ed onesta del progetto non può cheessere la voglia di veder crescere sul pro-montorio di Leuca un polo di devozionetale da essere degno corrispondente delpolo garganico. Se San Giovanni Rotondoha la gloria di Padre Pio, Leuca, sembranosottolineare i progettisti, ha dalla sua l’im-pronta di una storia profonda così, ed unpanorama mozzafiato. Ed è vero.Aperta sui due mari, trafficata per secoli dagenti pacifiche, ma anche da predoni e

turbe bellicose, Leuca fu a lungo teatro diatrocità, ma anche di pietas cristiana e diaccoglienza soprattutto a favore di monacirussi dissidenti, in fuga dalla intolleranzazarista. I quali monaci, una volta accolti, sifecero a loro volta generosi accoglienti deidisperati indigeni locali, ogni volta che glisbarchi periodici dei predatori li stanavanodalle loro case, costringendoli a chiederericovero nelle celle camuffate degli stessimonaci.Dunque: inquietudini ancestrali e mai deltutto rimosse, retaggi di accoglienza cari-tativa, fulgore di natura superba. Questo èil promontorio di Leuca. Un mix di gran-dissimo fascino, non rintracciabile su nes-sun altro tratto della costa salentina.E su tutto questo ben di dio, che andrebbeprotetto con i denti, così come si proteggela vita da trasmettere a chi seguirà, si in-

tende costruire una maxi basilica (con an-nessi: sala congressi, sala prove per musicae cori, aule per catechismo, albergo e risto-rante per i visitatori). E chi più ne ha, piùne metta.Certo in tal modo l’obiettivo di fare delpromontorio di Leuca il polo-calamita perun turismo devozionale a corrente conti-nua, sarebbe forse centrato.Non occorre la laurea in psicologia dellemasse per prevederlo. Basta e avanza con-siderare il mare di precarietà in cui navigaa vista l’attuale società e soprattutto il suoritrovarsi nel paradosso di essere tanto ca-rica del superfluo, quanto povera dell’es-senziale. Ossia della sicurezza nell’oggi edella fiducia nel domani.Uno scollamento, come mai in passato.E in quel vuoto, la fame di punti fermi so-

IL PROMONTORIO DI LEUCACosa è - Cosa sta per diventare

L’acqua è di tutti,anzi di pochi

Nasce un’idea nuova ed è festa, perchéin ogni caso quell’idea è scintilla di

vita, spiraglio di innovazione.La neonata che vi presentiamo si chiama“Scontrino gratta e vinci”.La testa che l’ha espressa appartiene a Vin-cenzo Bancarella, un giovane con la suabella laurea in Informatica e una gran pas-sione per l’Economia. Con tali premessecosa è andato ad inventarsi il nostro bril-lante dottore?Semplice, come ogni colpo di genio: ha in-trecciato i due fattori che forse abbondanodi più sul mercato. E che sono: la speranzasempreverde di vincere qualcosa, fosse

Il Gratta e Vinci fiscale

pure una sciocchezza, purché sia vinta danoi; e la disattenzione verso il diritto-do-vere di chiedere e rilasciare scontrino e ri-cevute fiscali.Semplice, vero? Semplice ed efficace, se e

quando si vorrà realizzarlo.Ma anche in tal caso un po’ di amaro inbocca resterà. Perché uno pensa: possibileche una società, per altri versi evoluta alpunto giusto, abbia bisogno di allettamentiper esercitare quel diritto-dovere, che èpezzo importante nel motore dell’economianazionale?C’è in questa faccenda una nota un po’ co-mica. È il persistere, nella sfera adulta evaccinata, di una caratteristica tipica del-l’infanzia.Sono infatti i bambini ad aver bisogno dello“zuccherino” per compiere i loro bravi quo-tidiani e sacrosanti doveri.

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39° Parallelo • dicembre 2009 pag. 2

Continua dalla primaIL PROMONTORIO DI LEUCA...

Voglio raccontarvi la storia di un’esistenzache sembra inventata tanto straordinaria èla natura di ogni suo tassello.Una storia che inizia e finisce nell’arco diquattro decenni (1969/09), la metà circadell’attuale aspettativa di vita.Breve sì, la storia di quella esistenza, madensa di cose belle come poche. Uno lalegge ed ha come l’impressione che unaFata, commossa dalla brevità del tempo as-segnato, abbia voluto riempirla delle gioiepiù alate. Quelle per intenderci che fannovolare lo spirito un palmo al di sopra dellepur benemerite gioie materiali.E che l’abbia fatto sussurrando: guarda inalto, cara, sempre più in alto. Non ti è statoassegnato molto tempo, utilizzalo fino al-l’ultimo istante per impadronirti di ciò chevale, impastalo con la tua intelligenza, conla tua tenacia, arricchiscilo con le tue intui-zioni. Procura che qualche altro intorno a tee dopo di te possa trarne beneficio.Ed ecco la storia:Etta Chiuri nasce a Tricase in un nido pre-zioso perché ricco di amore ideali e sicu-rezze. Sana intelligente e bella, cresceritrovandosi sempre più innamorata dellavita e della conoscenza.Questo è il livello di partenza, già alto peril favore delle circostanze e del caso; ma asbalordire sono le conquiste successive che,rapide e prestigiose, con il caso non hannonulla a che fare.Il loro elenco è lungo. Lo sintetizzo nelletappe fondamentali:nel ’93 Etta si laurea con lode in Economiaall’Università di Bari;nel ’02 per concorso, è prof. Associato inEconomia Politica a Bari;nel ’07 per concorso, è prof. Ordinario inEconomia Politica a Bari.Tra questi punti fermi, dottorati di ricercain Bocconi, Cattolica e a Bari.Fellow al centro ricerche Delta-Parigi, Con-sulenza in Banca Mondiale, Master ofScience York. Il tutto irrorato da pubblica-zioni sui circuiti più esclusivi e prestigiosidi Economia e Finanza.

MARIACONCETTACHIURIUNA METEORA BRILLANTE E FUGACE

di Bianca Paris

Ora un curriculum di tal fatta è magnifico inqualsiasi settore del sapere, ma pare cari-carsi di un valore aggiunto, quando si rea-lizza nell’ambito della Scienza Economica.Questa sarà pure un’impressione; ma è suf-fragata da un fatto oggettivo. L’economianon è una scienza come tutte le altre. Men-tre queste ultime appartengono in alterna-tiva o al settore delle scienze esatte o aquello delle scienze storico-sociali, l’Eco-nomia appartiene ad entrambi. E’per naturauna scienza ambivalente; il che richiede ilpossesso di alto rigore matematico e digrande duttilità mentale per cogliere ilsenso della mutevolezza sociale nei tempilunghi e brevi.Rintracciare in un medesimo individuo ilperfetto equilibrio fra le due attitudini nonè esperienza quotidiana.Non a caso forse il fiuto politico di Obama,fra i tanti aspiranti al ruolo di consigliere fi-nanziario, ha scelto Jamie Dimon, che èlaureato e in Psicologia e in Economia e cheormai è conosciuto come “il banchiere diObama”. Etta Chiuri la laurea in psicologianon la possedeva, ma dalla sua aveva unasensibilità raffinatissima e di quella è stataprodiga, soprattutto nei riguardi degli ul-timi.Leggerò con vivo interesse il suo lavoro“L’esercito degli invisibili” (Ed. il Mulino)sull’immigrazione clandestina, steso in col-laborazione con due colleghi, sicura di tro-vare in quelle pagine il palpito della suaattenzione per gli anelli deboli della società,imbrigliato nel rigore dell’economista.Certo il tempo disponibile alla semina ditanto studio è stato molto breve; ricco e do-rato in compenso il raccolto, ma con un re-trogusto amaro.Sotto tanta fioritura infatti una matassa

mortifera dipanava il suo filo, decisa a nonmollare la presa.Difficile razionalizzare la simultaneità didue processi tanto opposti di segno. Strug-gente dover accettare che mentre sui pianialti del laboratorio della mente si producevavita, nei meandri oscuri di certe cellule sielaborava morte. Scoraggia inoltre sapereche spettatrice numero uno di scenari comequesto è la scienza medica, la puledra pu-rosangue che, vittoriosa su molte piste, con-tinua ad arrancare su tante altre.Ora, se ci si ferma a questo quadro, il doloreper la scomparsa prematura di Etta, comedi tanti altri giovani, diventa insopportabile.Ma, a ben guardare, quel quadro non è de-solato. Anche lì dentro c’è una nota posi-tiva, la conosciamo tutti e molto bene ancheperché è stata intuita, saputa, cantata inprosa musica e poesia fin dalla notte deitempi. La tendenza a trascurarla non nesminuisce la portata, addirittura la rafforza.Parlo del fatto che fra tutte le fasi della esi-stenza umana, una sola è fulgida ed è la gio-vinezza. Tutte le altre, anche quando nonmancano di gioie, non reggono il paragone.Perché lo spicchio di paradiso è solo lì,nella giovinezza.Sentite Plutarco, l’antico pensatore greco,non a caso molto apprezzato in età roman-tica:“Muor giovane colui che al cielo è caro”Sottinteso: perché è esonerato dallo sfini-mento sottile ma inesorabile dell’avanzaredell’età.E sentite ancora come il nostro Leopardichiude “Il tramonto della luna”. Dopo averricordato che “Collinette e piagge”, passatoil buio della notte, sono inondate dal soleche risorge puntualmente, aggiunge:

Ma la vita mortal, poi che la bella

giovinezza sparì, non si colorad’altra luce giammai, né d’altra aurora.Mi verrebbe da fermarmi qui per non offu-scare tanta poesiaMa ho bisogno di aggiungere un’ultima ri-flessione. Lo farò in sottotono.La luce vera, quella ricolma della trepidasperanza del futuro, brilla dunque solo nellagiovinezza.La luce delle altre età, quando esiste, nonabbaglia, perché in essa c’è il preludio deltramonto.A Etta è stata risparmiata la malinconia diquel preludio. Nella sua breve vita ha avutotutti i doni della giovinezza.In più per lei, quel naturale stato di grazia siè arricchito di un dono elitario che sichiama passione per la conoscenza. Quandol’interesse a conoscere solo per il gusto diconoscere, precede tutti gli altri pur legit-timi obiettivi professionali e di carriera, al-lora sì che nel cuore e nella mente delfortunato esplode quella gioia sottile e pro-fonda che si può immaginare, ma che non èappannaggio di tutti.Ad Etta Chiuri quella gioia è toccata.

stanziosi, intrecciata alla sete di quell’ac-qua viva che si chiama speranza.Fame sete, bisogni primordiali e imperiosi.E quando la domanda è così alta, vuoi chel’offerta non si adegui? Lo fa, eccome. Edè così che spesso nascono… i simboli.I quali simboli, allo stringere, sono sem-plici oggetti che grazie al suddetto conte-sto, si caricano di significati arcani ediventano essi stessi promesse di felicitàfuture.E quale simbolo può battere in concorrenzala seduzione mistica di un edificio, qual èl’erigenda Basilica, che per di più nasce giàcorredato dalla sacralità di un preesistenteSantuario?Un tetto protettivo caldo accogliente con-solatore di affanni terreni in vista della glo-ria celeste. Un luogo incastonato in unanatura tanto benigna da testimoniare interra l’esistenza del paradiso.

Un simbolo di gioia spirituale certo, maanche un luogo ricco di tutti i comfort perle gioie materiali. Quest’ultimo fattore nonva sottovalutato perché sarà proprio lui adanimare l’economia del territorio. Creeràinfatti posti di lavoro, movimento di mercie denari e ricadute positive sull’indotto.Una manna sulla fame di occupazione. Maa quale costo?La domanda, è ovvio, non indaga il costoprivato. Prima di tutto perché quello è af-fare dell’impresa titolare dei lavori. E poiperché i denari vanno e vengono e, quandospariscono, c’è sempre qualcuno che sacome richiamarli sulla scena.La domanda indaga il costo pubblico, cheper definizione non si quantifica in denari,ma in valori, i quali fuor di retorica, sonobeni di tutti e non sono riproducibili. Nelsenso che, una volta perduti, non c’è stre-goneria finanziaria che sappia riportarli invita.Quel costo lì allora diventa insostenibile.Moralismo?

Per carità, lasciamo stare le etichette. Sem-brano scorciatoie utili a ragionare con ra-pidità. Nella sostanza non portano danessuna parte. Nel caso in oggetto, è inveceinteressante considerare che anche gli eco-nomisti più concreti disincantati sannobene che le due forme tipiche del capitali-smo (l’impresa e il mercato) si reggono inpiedi grazie ad una legittimazione morale.Quest’ultima può mutare (e muta) neltempo e nelle circostanze. Ma non può spa-rire per la ragione elementare che sta lì perporre un limite al comportamento egoista.Il quale, libero da tale stop, diverrebbe di-struttivo.È quindi giusto affermare che quel limite èlogico, prima ancora che etico.Calpestarlo può essere allettante. Di sicuroè facile. Il difficile è riparare i danni di quelcalpestio; danni che troppo spesso sono au-tentici disastri.Emblematico è lo scenario che oggi è sottogli occhi di tutti. È il palcoscenico tragico-mico su cui, imperterriti, continuano a dan-

zare i famigerati terremoti finanziari e i fu-nesti guasti ambientali.Sulla identità della loro egregia genitrice,gli esperti non hanno dubbi. Essa è la con-vinzione sballata che sia le risorse sia lebellezze naturali siano sterminate e rinno-vabili all’infinito.La causa primaria di quei disastri è dunquela perdita dell’ETICA del LIMITE.

La redazione ricorda ai lettori che rice-vono copia di 39° Parallelo a domicilioche ad aprile è scaduto l’abbonamento.Sicché l’invio è assicurato, e lo diciamocon rammarico, solo a coloro che effet-tuano il versamento. La Redazione rin-grazia comunque tutti i lettori perl’interesse con cui seguono la vita delgiornale.

c/c n. 37428828 intestato a Pro LocoTiggiano, p.zza Roma, 1

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39° Parallelo • dicembre 2009 pag. 5

Toma AntonioOrologeriaOreficeria

P.zza Don Tonino Bello, 28 Alessano (Le)

Sono trascorsi quaranta anni dall’autunnodel 1969, che fu definito “caldo” per l’ac-

cesa lotta avviata dalle tre principali centralisindacali italiane nei confronti delle organiz-zazioni padronali per ottenere il rinnovo di nu-merosi contratti collettivi di lavoro sulla basedi migliori condizioni economiche per i di-pendenti e della riaffermazione del diritto ditutte le maestranze ad una maggiore demo-crazia all’interno delle aziende. Al termine diquella stagione di acceso contrasto economicoe sociale, i rappresentanti dei lavoratori pote-rono vantare un’oggettiva vittoria, pur otte-nuta a prezzo di frequenti scioperi e di non rarimomenti di tensione in diverse aree del paese.Al di là delle differenti valutazioni politico-ideologiche, si può oggi affermare con sere-nità che i miglioramenti salariali el’ampliamento dei diritti sindacali ottenuti dailavoratori al termine di quella stagione di lottecostituirono il momento conclusivo del pro-cesso storico-politico di sviluppo economico esociale avviato in Italia col secondo dopo-guerra e finalizzato ad una più equa redistri-buzione della ricchezza e alla attenuazionedelle diseguaglianze tra le classi. Anche senell’atteggiamento dei sindacati non manca-rono aspetti discutibili (la teorizzazione del sa-lario come variabile indipendente rispetto aglialtri fattori produttivi e la non sempre inequi-vocabile condanna di taluni episodi di lottaviolenta), è indubbio che con la decisa azionedell’autunno 1969 le tre principali confedera-zioni (CGIL, CISL, UIL) con tutto il movi-mento organizzato dei lavoratori si reseroprotagoniste di un passaggio decisivo nellanostra storia recente, contribuendo alla nonpiù procrastinabile modernizzazione del paeseanche sul piano dei rapporti nel mondo della

DALL’AUTUNNO CALDOALL’AUTUNNO FREDDOdi Giogio Serafino

di Bianca Paris

produzione, con la affermazione del principiodella democrazia industriale. L’autunno caldo,infatti, comportò non solo un notevole mi-glioramento del trattamento economico dei la-voratori (che trovava ampia copertura neglienormi ed ormai eticamente inaccettabili mar-gini di profitto accumulati dalle aziende neidecenni precedenti), ma anche la conquista didiritti vari di natura sindacale, da esercitare al-l’interno delle fabbriche, che sarebbero statiistituzionalizzati a livello normativo nazionalepochi mesi dopo, con il varo della legge N.300 del 20 maggio 1970, più nota come sta-tuto dei lavoratori. E’ altrettanto indubbio che

l’azione dei sindacati fu agevolata dalla fasedi espansione economica generale ancora incorso alla fine degli anni Sessanta, che vedevauna ancora forte richiesta di forza lavoro daparte delle aziende per mantenere elevati stan-dard produttivi necessari per fare fronte alladomanda del mercato interno ed internazio-nale e poneva così le maestranze in una piùfavorevole posizione contrattuale, anche nellerivendicazioni attinenti alla stabilità del rap-porto di lavoro.La situazione prese a mutare dal decennio suc-cessivo, con le ricorrenti crisi economiche, idevastanti processi di ristrutturazione indu-

striale, il crollo della domanda internazionale,la globalizzazione dei mercati, la spietata con-correnza dei paesi emergenti e la dislocazionein essi di importanti e numerosi impianti pro-duttivi, fenomeni (non sempre dovuti alla ca-sualità storica) che, unitamente ad un mutatoquadro politico-ideologico e ad una crisi diidentità e rappresentatività delle organizza-zioni sindacali, hanno finito per culminarenell’attuale fase di regressione generale, in cuinei rapporti industriali sono state messe in di-scussione numerose conquiste ottenute conanni di lotte e sacrifici ed è stato sostanzial-mente cancellato il diritto alla stabilità delposto di lavoro. In questo quadro desolante,che vede soprattutto ilMezzogiorno esposto alrischio dell’emargina-zione dallo sviluppo edella perdita degli inse-diamenti produttivi, l’au-tunno caldo del 1969 èormai purtroppo solo unricordo lontano, ma chedeve essere mantenutovivo soprattutto per le or-ganizzazioni sindacali ela classe politica più sensibile verso la tuteladelle classi deboli. Ricordare l’autunno del1969 e i suoi effetti sulla storia politica ed eco-nomico-sociale del nostro paese significa es-sere consapevoli della necessità direimpostare un saldo e condiviso impegno ci-vile e morale per la tutela del lavoro a tutti i li-velli e di avviare una nuova stagione diriforme e di conquiste di giustizia, senza lequali le nostre comunità non potranno averealcuna concreta prospettiva di sviluppo futuro.

Liceo Ginnasio “A. Manzoni” Milano - anno 1969/70

Un adulatore disse una volta all’allora Pre-sidente USA:

“Sono sicuro che la grande maggioranza deicittadini del nostro Paese approva le vostreopinioni”.Nessuno approva le opinioni altrui, ribattè concalma il Presidente. Ciò che tutti noi siamosempre disposti ad approvare, e con entusia-smo, sono le nostre personali opinioniespresse da qualcun altro.Quello statista era F. D. Rooswelt, politico dialto profilo entrato in carica nel’33 con pienipoteri in materia economico-finanziaria, perfronteggiare la tragica crisi di quegli anni.Un personaggio certo non da poco, per di piùdotato di sicuro scandaglio psicologico. Diffi-cile dissentire infatti da quella sua risposta,sintetica e tagliente al punto giusto.Perché è vero che la propensione a simpatiz-zare con chi dà voce pubblica a quello che giàsi aggira nella nostra zucca, ce l’abbiamo tutti.Se poi a fare da ignaro portavoce è un perso-naggio autorevole, allora la nostra autostima siesalta e diventiamo più indulgenti con gli altri.Avviene il contrario ogni qual volta da una po-stazione pubblica (che sia alta media piccola omicroscopica non fa differenza) parte un’opi-nione opposta o anche solo non in sintonia conla nostra. Che facciamo in tal caso? Disap-proviamo, come è giusto ed auspicabile chesia. Ma spesso questa reazione legittima, nonci basta. Ed è allora che per punire l’incauto,lanciamo frecce, magari dopo averle intintenel gusto di offendere.Gli esempi si sprecano. E non sarà certo chiscrive a scandalizzarsi, consapevole com’è di

Spigolatureessere in prima persona a rischio di analoghecadute di stile.Eppure questa in tema è particolare; forse me-rita un’analisi più approfondita. La dedico achi dispone di un grammo di interesse tempoe pazienza. Tutti gli altri voltino pure pagina.Ed è fatta.Dunque vediamo: ci piace sentir affermare,possibilmente in pubblico e in alto loco, ciòche noi avevamo già pensato in proprio.E questo è un fatto. Ma è un fatto che lasciaperplessi. Perché, passato il primo momentodi euforia, è inevitabile la domanda: che mene faccio di questa opinione fotocopia dellamia?Nulla, non possiamo farcene nulla. Perchéquella identità azzera ogni possibilità di dia-logo; sterilizza la diversità che è fattore di cre-scita reciproca.L’esito è la tendenza ad appiattirsi sulla co-moda e sicura zattera del “senso comune” ilquale te lo raccomando, passa per essere unconcentrato di saggezza. Mentre, intessutocom’è di ovvietà e pregiudizi, proprio lui ra-senta il NON-SENSO.Ma in tutta questa faccenda una cosa buonac’è. Ed è la seguente: sul conformismo si ri-piega sempre per ragioni ben precise. Saràpaura dei fastidi, voglia di catturare affetto

simpatia amicizia, o altro ancora. Il fatto certoè che si tratta di una scelta studiata, presa afreddo.Al contrario, la visione che uno ha della vita,poiché è l’essenza della sua personalità, nonaspetta certo di essere programmata, masprizza per istinto dalla naturalezza del suo“esistere”. E caratterizza tutto ciò che fa e chenon fa; che dice e che non dice. E soprattuttocome lo fa e come lo dice.Ora, giusto per tirare le somme di questachiacchierata, ai fini della fruttuosità di undialogo qualsiasi (da quello casereccio aquello più impegnato) del tutto inutile risultaessere sia l’opinione fotocopia di quella chegià uno possiede; sia quella che si stende sullaovvietà del senso comune. Entrambe sterili,fanno perdere solo tempo. Per conseguenza,il dialogo vitale, quello che apre orizzonti, sti-mola riflessioni, è quello che si svolge tra duedialoganti che NON la pensano allo stessomodo.Alla fine magari ognuno resterà con la propriaopinione, ma non sarà più quello che eraprima perché, al minimo, avrà appreso che èpossibile vedere uno stesso argomento da unadiversa prospettiva. Efficacissima a tal propo-sito la battuta di un famoso economista.Se due tizi si scambiano fra di loro un euro, si

ritrovano esattamente come prima. Se invecel’uno scambia con l’altro una propria idea,ciascuno dei due si ritrova con due idee.E sarà un guadagno per entrambi.Ed ora trasferiamo questa analisi nell’ambitodella nostra comunità. Circa dieci anno or-sono, la Pro Loco promosse la nascita di 39°Parallelo, il foglio locale che, in linea con lospirito della istituzione, fu aperto fin dal 1°numero a chiunque avesse avuto tempo vogliaad offrire collaborazione su tematiche a sua li-bera scelta.La risposta venne da pochissimi volenterosi, iquali crescendo via via di numero scoprironofra di loro l’esistenza di una affinità negli in-teressi culturali e nella sensibilità a certe pro-blematiche socio-economico-politiche.Tal profilo, non programmato, si è poi con-cretizzato per chi sa quale alchimia sociale,ma anche per il fatto che, fuori di quella cer-chia, c’era silenzio e indifferenza.Ora la suddetta situazione non va affatto con-siderata rigida e preclusiva per nessuno. 39°Parallelo cui pure non mancano limiti e fragi-lità, non è fazioso. I suoi spazi erano e restanoaperti a tutti gli interventi; ritenuti benvenutitutti, a cominciare (per le suddette ragioni)dagli interventi in controcorrente con la lineadel giornale.Unica, ma inderogabile, preclusione è che noncontengano offese alle persone. Perché il ri-spetto verso ciascuna di esse è dovere prima-rio di ogni convivenza che voglia dirsi civile.

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di Luigi Maria Guicciardi

39° Parallelo • dicembre 2009 pag. 7

PERIODICO DELLA PRO LOCO - TIGGIANO

Sede: Piazza Roma, 1 - 73030 Tiggiano (Le)Reg. Tribunale di Lecce n. 775/2001 reg. stampa

Direttore editoriale:Bianca Paris

Coordinatore redazionale:Ippazio Martella

Redazione:Massimo Alessio, Concettina Chiarello,Maria Antonietta Martella, Stefano Marzo,

Enzo Ferramosca, Silvia Serafino, Anna Serafino,Luigi Ricchiuto, Giuseppe Ricchiuto, Ippazio Morciano,

Leonardo Martella, Roberto Ottobre

Direttore responsabile:Antonio Silvestri

Collaboratori:Luigi Maria Guicciardi, Alfredo De Giuseppe,

Emanuele Martella, Giorgio Serafino,Pasquale Ricchiuto, Paolo Rausa, Giacomo Cazzato

Foto Archivio Pro Loco (salvo diverse indicazioni)La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita

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Chiuso in tipografia il 5 dicembre 2009

E’ l’anno delF u t u r i s m o

centenario, il2009, perchè il ce-lebre Manifestovenne pubblicatoa Parigi, su Le Fi-garo il 20 Feb-braio del 1909.Ma quella rivolu-zione culturale

permanente, internazionale e globale eracominciata da tempo, e già molte mentigeniali e combattive ne erano militanti. Epiù avanti, nel pieno fulgore del movi-mento - diciamo dal 1909 al 1924 e ancoraoltre nonostante (o grazie?!) la dittatura - ilsuo segno continuò a lasciare tracce pro-fonde in tutti i campi della cultura mo-derna. Al cui confronto appaiono effimeree personalizzate perfino quelle del Dadai-smo, spesso velleitario e sviluppatosi so-prattutto nel colmo della prima guerramondiale. II Futurismo fu un blocco diidee unitario, invece, come una giovanilefilosofia. Il più vecchio tra i Futuristi - loammise Marinetti con orgoglio in uno deiManifesti successivi - aveva trentanni. Ri-spetto al Manifesto del 1909, l’esperi-mento programmato era iniziato prima,soprattutto con la pubblicazione di una ri-vista culturale che ancora oggi è un mo-dello di grafica, ordine editoriale, varietàdi argomenti, che oltretutto pubblicavatesti francesi, inglesi, tedeschi e americaniin lingua originale (“... c’è un giovanepoeta americano, si chiama Ezra Pound”).La rivista era nata nel 1905 e pubblicò perquattro intere annate cultura di varia uma-nità ma pur sempre contro la solennità for-zata della tradizione sonnolenta: sichiamava Poesia, e la redazione era a Mi-lano in Via Senato N.2, cioè in casa di Ma-rinetti. Per avere un’idea precisa ma anchepittoresca di quegli anni, il lettore

dovrebbe consul-tare gli scritti di“Paolo Buzzi(anima della rivi-sta stessa) pubbli-cati da LaMartinella di Mi-lano nelle annatedal 1981 al 1984sotto il titoloPane e PoesiaBuzzi e GiovanniAcquaviva furono

gli unici Futuristi autentici da me cono-sciuti. II primo abitava a Milano nellastessa mia via e a lui ho dedicato una “let-tera” per l’al di là ispirata dal volo dellerondini sotto gli ulivi del Salento. Ecco:la macchina, la luce, il moto perpetuo, ilvolo, l’ardimento, insomma, il Futuro,

MMAARRIINNEETTTTII,, IILL CCHHIIAARROO DDII LLUUNNAA,, LLAA GGUUEERRRRAA MMAA AANNCCHHEE LL’’UUTTOOPPIIAA DDEELL FFUUTTUURROO

sono il germe di una mutazione che pertroppo tempo fu ritenuta goliardica e uto-pistica, ma che almeno in parte crebbeentro un secolo sotto varie forme, com-presa la degenerazione di alcune. Sul Futurismo è stato scritto moltissimo, ein tempi più o meno recenti vennero adesso dedicate parecchie mostre comme-morative, comprese le ultime di Milano,sede storica del Futurismo. Una di esse ri-corda Paolo Buzzi in particolare. Ma temoche i visitatori non ne ricavino un concettopreciso, e vengano piuttosto attratti dallemanifestazioni più iperboliche, parados-sali, spettacolari, provocatorie: un formi-dabile senso premonitore delle attualicomunicazioni di massa, e anche questodovrebbe far riflettere. Ci sono soprattuttodue assiomi marinettiani che agivano, eagiscono tuttora come pugni nello sto-maco: “uccidiamo il chiaro di luna” e“guerra, sola igiene del mondo”. II primoe celebre mottoapparve su Poe-sia solo nel 1911e sotto forma dinovella pedago-gica: c’e tutto apag. 6-7 del vo-lume Sintesi delFuturismo, unaraccolta impor-tante curata daLuigi Scrivo(Ed. Mario Bul-zoni, Roma1968). Leggendo, appare chiaro che è unametafora: la Luna è in realtà per Marinettila sirena di una cultura soporifera, di un ro-manticismo sfiancato dalla tradizione, diun decadentismo di moda e assai comodoperchè anche proficuo. Del resto la codaesausta del romanticismo disgustava già ilCarducci, per il “manzoniano che tiraquattro paghe per il lesso”. Mi disse Buzziche il Marinetti aveva bisogno come pochidella luna-sirena, ma poi sulla femminaprevaleva la veloce creazione. II secondomotto, sulla guerra, visto da oggi, daun’Europa devastata negli anni Quaranta,può fare orrore. La frase, per un cinico igienista potevaanche andare, allora. Ma quello che Mari-netti intendeva, già nel primo Manifesto,era soprattutto igiene morale contro la po-tenza di un’Europa di ferro con cui viag-giava l’Italia vaso di coccio. Poi c’eral’infatuazione niciana (Nietzche) del-l’Uomo-Superuomo, echeggiata anche dalD’Annunzio nel dramma Più che l’amore(1906) dove si vede consumare il delitto(almeno in metafora) sull’altare dell’im-presa. Ubriacatura intellettuale più irre-

dentismo contro il cuneo austriaco delTrentino, il porto austriaco di Trieste, e ilnon sapere come la guerra era divenuta.Altro che Solferino e San Martino. Però siarruolarono e alla fine si contarono undicio quindici morti, alcuni illustri (Sant’Eliae Boccioni) feriti e mutilati (Russolo, Vi-viani, Marinetti e Soffici), molte medaglie,d’argento e di bronzo. Reduci, svillaneg-giati dalla plebe, si appoggiarono al fasci-smo senza esserne servi. Nel Congressodel 1924 Marinetti rinfacciò a Mussolinidi non essere più i1 vecchio compagno “diun’Italia disinteressata, ardita, antisociali-sta, anticlericale, antimonarchica”. Fu unuomo “contro”. Caduto il Duce indossò lacamicia nera e fu anche Presidente del-l’Accademia d’Italia. Quando morì a Bel-lagio (Lago di Como nel 1944) non era piùnessuno. Pensare che da ricco signore eraarrivato dall’Egitto e da Parigi ad acco-gliere in via Senato sotto una grande lam-pada moresca gli ingegni più effervescentidel momento, mecenate ed aruspice di unmondo nuovo. Che in effetti grazie a lorobolliva, eppure finiva per ascoltare e ri-flettere. Esemplare il resoconto stenogra-fico del discorso di Giovanni Papini alTeatro Costanzi di Roma nel 1913. Papiniparla contro Roma e contro BenedettoCroce, e subito gli insulti e le imprecazioni(anche pesanti) si sprecano. E così via,però di lampo in lampo del tellurico ora-tore, cominciano a diradarsi. Fascino e cer-vello. Fin quasi a cessare. E Papini neapprofitta per sparare alla fine micidialibordate. Perchè il Futurismo fu ben altro,fu il terreno di coltura del disagio di moltagente comune che dovette attendere, perveder svegliarsi la “città di paralisi” cheera l’Italia, la grande Esposizione Univer-sale del 1906 a Milano. Prima - l’avevascritto Pompeo Bettini nel 1895 - “vedremle capre su le tue ruine / perchè forse di noistanca è la Storia / e il nostro vino non dàpiù la gioia / il nostro sangue non dà più lagloria.” II Futurismo fu ben altro che goliardia espettacolo. Molta parte della sua utopiad’un futuro la vediamo oggi nel presente.Le città future di Sant’Elia, disegnate quasicent’anni fa, ricordano i disegni di Leo-nardo in forma avveniristica e le vediamooggi ovunque. Le teorie musicali di BalillaPratella arrivarono assai prima del Mani-festo di Arnold Schönberg (1930-32), trat-tando il modo enarmonico atonale eaggiungendovi l’abolizione della quadra-tura del ritmo con le sincopi (jazz). Boc-cioni trattò la scultura a mo’ di sequenzacinematografica inseguendo il movimentoe la dinamica con l’uso di materiali etero-genei oltre il canonico bronzo o la cera-

mica. Le stoffe create da Balla ispirandosial segno e ai colori della natura annun-ciano già gli stupendi tessuti di Missoni.Le ricerche di Acquaviva sulla terza di-

mensione in pit-tura, con velature acollages traspa-renti e distanziati,hanno ispirato piùcomode e lucrosecomposizioni spa-ziali contempora-nee a noi. Nelteatro, le provoca-zioni futuriste con-tro il drammaborghese, sono di-

ventate carezze al confronto di certe attualimesse in scena, anche se i nuovi dramma-turghi non provano più la “voluttà di es-sere fischiati” (Marinetti) perchè crudeltà,violenza e sesso sono di tutti i giorni. Eanche Darwin dovrebbe oggi considerarel’incombere dell’iperbole futurista per cuil’uomo si evolve fisicamente nel motore,computer e telefoni oggi inclusi. Le sintesiparolibere sono progenitrici degli slogan,dei flashes, degli spots: aboliti avverbi eaggettivi, verbi all’infinito, grafica scom-paginata a colpi di caratteri eterogenei e didiversa grandezza. Però dopo attenta let-tura non vi era pagina parolibera che nonrivelasse ben chiari i concetti e le inten-zioni. Non sempre accade oggi. II capola-voro è Conflagrazione, di Paolo Buzzi.Edito postumo, nel 1963, da Il Fauno Edi-tore, Firenze. Tutta la guerra, emozioni emotivi, degli anni ‘14-‘18, in tavole paro-libere (307) di tuoni, lampi, umanità-disu-manità, visioni, notizie di stampa,repulsione, esaltazione, dolore infinito.

Filippo Tommaso Marinetti

Luigi Russolo

Giovanni Papini

Paolo Bozzi

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39° Parallelo • dicembre 2009 pag. 10

Nata a Saronno il 26 ottobre 1797, fu la piùcelebre cantante lirica del XIX secolo.Dopo i primi studi di canto e solfeggio conuno zio materno e a Como con il maestroLotti, frequenta il Conservatorio di Milano. Giuseppe Scappa, maestro di cembalo ecompositore, la fa esordire come contraltonel 1815 al Teatro Filodrammatici di Milanonella sua opera “Le tre Eleonore”.L’esordio non fu felicissimo, ma il successonon si fece attendere: un anno dopo, allaSalle Favart di Parigi, trionfa con “Il Prin-cipe di Taranto” di Ferdinando Paër.Nello stesso anno sposa l’avvocato Giu-seppe Pasta.A Londra, nel 1817, canta nella “Penelope”di Cimarosa al King’s Theatre, pur senza ri-scuotere un grande successo. Intanto, il suorepertorio si arricchiva delle opere di Mo-zart, Giacomo Ferrari, Giovanni Pacini. Abbandonate temporaneamente le scenefino alla nascita della figlia Clelia, tornò acantare al Teatro San Benedetto di Venezianel settembre del 1817 e per i due anni suc-cessivi si esibì nelle maggiori città italiane.Al Théatre Italien, all’Odeon, all’Opéra diParigi riscuote un successo clamoroso can-tando Rossini, Mozart, Paisiello, Paër neglianni che vanno dal 1821 al 1823. Ancora una volta l’Inghilterra non le portafortuna: scritturata dal King’s Theatre nel1825 per il “Barbiere di Siviglia” di Rossini,a causa di una indisposizione, è costretta acedere il posto ad una giovanissima Maria

Malibran, destinatapoi a diventare lasua più grande ri-vale. Di nuovo aParigi per la prima del “Viaggio a Reims”,sempre di Rossini, poi a Napoli, al TeatroSan Carlo con la “Niobe” di Pacini, chiudetrionfalmente la sua carriera di contralto.Nel 1829 esordisce come soprano a Viennanella “Semiramide” di Rossini.Donizetti scrive per lei “Anna Bolena”,messa in scena alla Scala di Milano il 26 di-cembre del 1830 e accolta entusiasticamentedal pubblico.Con Vincenzo Bellini stabilisce un’intesastraordinaria: sua è la parte di “Norma” nellaprima assoluta alla Scala del capolavoro delcompositore catanese, che scriverà apposi-tamente per lei la “Beatrice di Tenda” nel1833. Nel 1835, a causa di un drammaticocedimento della voce, si ritira.Dopo due anni di riposo, torna sulle sceneper un giro di concerti in Inghilterra e inFrancia, ma la sua voce, lacerata al passag-gio dal registro di contralto a quello di so-prano, non è più quella di una volta.Le apparizioni si diradano, fino al ritiro de-finitivo, al termine di una tournée in Russianel 1841. Torna a cantare, questa voltal’inno dell’Italia libera, sul colle di Brunatesul lago di Como, in occasione delle CinqueGiornate di Milano.Muore a Como nel 1865, a causa di unabronchite.

Protagoniste della storia

A cura di Emanuele Martella

GIUDITTA PASTA

Le carciri de LecceScinnu de le muntagne caddhipuline,cu sacciu se la trovu la Cesarina o Cesarina mia o Cesarina cara

mienzu allu piettu tou nce na catina.E tie la porti an piettu jeu la portu a manu,

e tutti ddoi ncatenati stamu.

O giudice ci puerti la pinna a mmanu no me la fare longa la mia cundanna

ca nu aggiu ccisu e mancu aggiu rrubbatu: pe nu nfame carogna stau carciratu.

Ca ci ole Diu cu essu de stu nfiernu la terra la caminu parmu parmu.Le carciri de Lecce no le sapia

me la fatte mparare Cesarina mia.

Le carciri de Lecce su cruci cruci de lu luntanu passanu l’amicide lu luntanu passanu l’amici.

A San Franciscu le pecure allu friscu le crape allu mantagnu pe la minchialità

Per gustare appieno questo canto popo-lare, immaginate di essere nella radura

del bosco comunale. È una sera di lunaagostana. Il suo chiarore filtra dagli alberie con la frescura crea intorno a voi ascol-tatori una bolla che è insieme mistica emitica. Perfetta per farsi rapire dalla vocedi una giovanissima che, sulle note strug-genti di un violino, canta la disperazionedelle masse contadine sfruttate dai pochiproprietari terrieri fino alla metà del se-colo scorso.Altro che trattati di storia sugli scontri trabraccianti e latifondisti, sulle lotte sinda-cali anarchiche del gallipolino.Il pianto che stilla dai versi e dalla voce

di questo canto rapiscono cuore e mentedi chi ascolta e gli fanno toccare conmano la crudeltà dello sfruttamento cheserpeggiò nella storia salentina di un se-colo fa.Per il dono di questo bellissimo spettacoloun doveroso grazie va alla sensibilità del-l’Amministrazione comunale che ha con-sentito ad un gruppo di giovani:organizzatore e direttore artistico Pa-squale Ricchiuto; scenografia StefanoAretano; lettura testi: Vincenzo Ciardo,Gianvito Rizzino e Marco Ricchiuto; let-tura testi e canto Rosa Cassano; agli stru-menti Adriano Piscopello, MarcelloImperato, Piero D’Amico.

vatizzazioni in Italia, non c’è da avere moltafiducia, anzi c’è da avere molta paura. Mi im-magino che fra qualche anno con spot televi-sivi a suon di veline e calciatori ci vengaofferto un variegato sistema di acquisto del-l’acqua. Ci sarà l’abbonamento WaterGold che ti permetterà di avereacqua quando e come vuoi, tutti igiorni, senza limiti di tempo equantità: è un abbonamentosolo per ricchi o per chi hagrandi imprese; poi ci sarà laPremium Water per averel’acqua solo a certe ore pro-grammate, risparmiando soprat-tutto nell’utilizzo notturno; poi cisarà la Ominibus Water che in so-stanza sarà una specie di ricaricabile,infili la card in uno speciale apparec-chietto e prelevi l’acqua finché non esaurisciil credito. Questo si che sarà libero mercato,questo si che ti fa scegliere, questo si che èfuturo: scegliere come e quanto pagare l’ac-qua.Una volta assodato che gli utenti, ormai fra-stornati da migliaia di spot governativi e tele-visivi (che sempre più saranno la stessa cosa),avranno accettato di vedersi gestire l’acquacome se fosse uno shampoo, si passerà al-l’aria. Proprio così, l’aria sarà la prossima

conquista: l’eventuale riduzione dei gas serranon sarà sostenibile dalle industrie e quindiqualcuno inventerà che bisognerà pagare unpedaggio per l’aria che respiriamo. Oggi visembra assurdo ma vedrete che qualcuno cipenserà, ci venderà l’aria pulita e sarà l’affaredel secolo: sarà anche una legge democratica,

con una tassa pagata a seconda deimetri quadri posseduti di terreni

e case; per chi è nullatenentesarà prevista una tassa fissabase in funzione del pro-prio peso corporeo. Natu-ralmente, essendo lagestione dell’aria moltocomplessa, sarà affidata aprivati, che guarda caso

sono sempre bravi, effi-cienti, organizzati e produt-

tivi.Questi scenari, queste logiche

aberranti della nostra vita e della nostralibertà, possono essere ancora sconfitte. Madovremmo lottare intorno a questi temi: averepartiti di riferimento che abbiano una visioneglobale del mondo che ci circonda e di quelloche sarà, personalità che sappiano mettersi ingioco, invitando i cittadini a riflettere, a di-fendere almeno i loro diritti fondamentali. Mauscire da questa arrendevolezza collettivasarà molto difficile, molto complicato, le basidi partenza sono incredibilmente rovinose.

Continua dalla primaL’ACQUA È DI TUTTI, ANZI DI POCHI

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39° Parallelo • dicembre 2009 pag. 8

Mi sono chiesto che senso avesse cu-rare la pubblicazione di libri di poe-

sie, già scritte, nel dialetto salentino. Miriferisco a “Terra mara e nicchiarica”(Terra amara e desolata), Manni Editore,2006 e “L’umbra de la sira”, (L’ombradella sera), Edizioni Atena, 2009, scritteprima del 1977, anno della morte, da Fer-nando Rausa, mio padre. E ho trovato que-sta giustificazione: i testi sono significativie vale la pena di farli rivivere, perché le-

gati alla rappresen-tazione di storie epersonaggi tipici,protagonisti di fattie “misfatti”, mache comunquehanno lasciato trac-cia delle loroazioni.L’idea di preser-vare la memoria diuna società con la

poesia e il racconto è importante, perchéessa con l’atto della narrazione getta unponte fra le generazioni, assume il compitodi testimone e indica la necessità della co-noscenza e della cultura come bagaglio datrasmettere alle generazioni future. Tale ba-gaglio comprende usi, costumi, modi d’es-sere che, costituendo le fondamenta diqualsiasi società civile, devono essere pre-servati dall’oblìo.Che ruolo svolge il narratore? Con il suoatto consegna un lascito molto importante,costituito da valori, esperienze e convin-zioni, ai quali ha ispirato la sua vita.Questo patrimonio assume il significato dieredità culturale quando passa da un rap-porto personale a quello sociale, ovveroquando coinvolge le vecchie e le nuove ge-nerazioni in un gioco di riti di passaggio, fi-nalizzati a mantenere e a migliorare latradizione.La narrazione comporta l’affidamento di

“Nonno raccontami una storia: narrazioni e generazioni” di Paolo Rausa

una pluralità di intenti, di propositi, di con-vinzioni e di urgenze che, dal momento incui il poeta consapevolmente assume su disé il destino della comunità, diventanoespressione lirica, canto di dolore, desiderioe aspettativa di cambiamento che riguar-dano noi tutti.Le vicende umane non hanno conosciutosolo le attività volte alla sopravvivenzadella specie (agricoltura, allevamento, ma-nifattura, ecc.), ma anche altre mosse da ro-vinosa ostilità oppure pervase dall’ideadell’ignoto, della scoperta di nuovi territori,oppure tese alla sospensione del destino dimorte, naturale o indotto.Solo più tardi la loro trasmissione verrà af-fidata alla scrittura e alla narrazione.Immaginate della conoscenza di quali equanti personaggi eroici, come l’iratoAchille o il prode Ettore o l’astuto Ulissedal multiforme ingegno, saremmo privati seun poeta, che convenzionalmente ricono-sciamo nel cantore Omero, non li avessedecantati oralmente?A volte la narrazione di storie e raccontiserve a dilatare il tempo della vita, come ciinsegna Sherasade, che nelle “Mille e unanotte” avvince il sultano e nell’attesa di unnuovo racconto di fatto esorcizza la morte. Altro esempio di nobile narrazione a finemorale sono le parabole raccontate da Cri-sto: il buon samaritano (chi è il nostro pros-simo?), il ritorno del figliol prodigo(sacrificare o non sacrificare il vitello piùgrasso?), sull’investimento del denaro rice-vuto (conservarlo o farlo fruttare?).Il narratore, possiamo dire, compie losforzo di assumere su di sé una certa tradi-zione culturale della propria terra e dellapropria gente. La rielabora con la sua sen-sibilità e la trasmette alle nuove genera-zioni, come un tedoforo che porta lafiaccola.Il sentimento che spinge il narratore è

l’amore, ovvero l’indicazione a guardareoltre al proprio “ombelico” e a capire che ilnostro agire riguarda, oltre noi, il nostroprossimo.Solo con questa visuale saremo in grado didare sempre il meglio di noi, di predisporcialle cose che ci accingiamo a fare, qualun-que esse siano, nel miglior modo possibileper noi e per gli altri, ricordando (ecco ilmonito!) che la nostra esperienza sulla terraè limitata e quindi nostro compito indero-gabile, una volta ricevuti i beni in ereditàdalle generazioni che ci hanno preceduto, èpreservarli migliorandoli per quelle future. Attraverso l’ispirazione il poeta, in questocaso, mio padre, cerca di comunicare i suoisentimenti, l’amore smisurato per la propriaterra, per quanto spesso tradito, per una cul-tura rappresentata anche dalle piccole cosequotidiane, ma tipiche e imprescindibili,per es. l’odore di un fiore, il conforto di unamico, il divertimento di un gioco, la pas-sione di un amore, la dignità del lavoro, larinuncia dolorosa, il respiro della giustizia,l’esercizio dei diritti, la necessità dei doveri,la sacralità del lavoro e l’impegno costanteper raggiungere il fine prefissato.E’ possibile comprendere questo messag-gio, se si valuta con la giusta ponderazioneil patrimonio di saggezza che affonda le sueradici nella nostra storia culturale locale,fatta di stenti, di soprusi, di privazioni masempre pervasa da una visione umanisticache pone al centro l’essere e il progressocome fini dell’agire per il raggiungimentodi condizioni sociali sempre più avanzate,in una società più giusta e che offre più op-portunità a tutti.Insomma la “Terra mara e nicchiarica” èuna condizione di desolazione esistenziale,ma non per questo senza redenzione; il “Si-minati nove cuscenze” è un imperativo ri-volto alle nuove generazioni, perchéassumano su di sé il compito, arduo ma sa-

lutare, di dirigere con strumenti nuovi everso lidi più sicuri il naviglio della società.Tuttavia la narrazione attraverso la lingua“ca mamma e tata me ‘mparasti ddicu” nondeve assolutamente farci volgere lo sguardoal passato, come l’angelo di Benjamin cheguarda indietro.La lezione da trarre è che dobbiamo fare te-soro di quel bagaglio culturale trasmesso,forgiare le nostre coscienze.Questo strumento ci consente di capire larealtà, interpretarla tenendo conto dei cam-biamenti che intervengono, sapendo pie-gare gli apporti che ci giungono dalla

tradizione e non solo attraverso la narra-zione, il “cunto”. Insomma la narrazione èquel legame utile e indispensabile tra ilprima e il dopo del tempo arcaico e storico,quello strumento per comprendere i rap-porti fra l’alto e il basso dei ceti sociali. E’l’occhio che scruta il di fuori e il di dentrodell’uomo e della società, al fine di contri-buire ad alleviare il viaggio che compiamonel corso della nostra vita.

Paolo Rausa

Formazione, accoglienza turistica, vo-lontariato sociale, gestione e valorizza-

zione dei patrimoni culturali materiali eimmateriali. Sono state queste le parolechiave del Convegno Nazionale delle ProLoco che si è tenuto sabato 7 e domenica 8Novembre, presso l’Ergife Palace Hotel aRoma. Sono arrivate da tutta Italia le Pro

Loco per partecipare al Convegno organiz-zato dall’UNPLI (Unione Nazionale ProLoco d’Italia) che si è rivelato un grandeappuntamento di confronto e crescita per glioltre 600 delegati presenti. Hanno partecipato importanti esperti e au-torità, tra i quali Silvano Vinceti, responsa-bile settore turismo e natura del Ministero

del Turismo, che ha suggerito di nominareun rappresentante delle Pro Loco da inse-rire nelle commissioni che il Ministero delTurismo intende costituire e di affidare allePro Loco la gestione di siti che, per varimotivi, rimangono chiusi e poterli così va-lorizzare. Erano presenti anche ClaudioMancini, assessore al Turismo della Re-gione Lazio e Leonzio Borea, direttore del-l’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile.Quest’ultimo ha sottolineato l’importanzadell’UNPLI come seconda associazione ita-liana per quanto riguarda il numero di Vo-lontari del Servizio Civile Nazionale.“Dopo questi due giorni di formazione lePro Loco sono pronte per gli appuntamentifuturi e ad affrontare una nuova stagione disfide con nuovi partner”, ha dichiarato unsoddisfatto Claudio Nardocci, presidentedell’UNPLI.

Sp@zio ai lettori

Informiamo i nostri lettori che il gior-nale offre uno spazio dedicato a “li-beri pensieri”.Gli indirizzi a cui far pervenire sug-gerimenti, proposte, contributi equant’altro sono:• Pro Loco - Piazza Roma, n° 1 73030 Tiggiano (Le)• e-m@il: [email protected]• Tel./Fax. 0833.531651• Per il sostegno del periodico:c/c n. 37428828 intestato aPro Loco Tiggiano, p.zza Roma

sito della Pro Loco Tiggiano:www.prolocotiggiano.it

GRANDE SUCCESSO PER IL CONVEGNO DELLE PRO LOCO

Claudio NardocciPresidente

Nazionale UNPLI

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Parlare di mercato della spazzatura puòsembrare una trovata goliardica o un

simpatico scherzo. Invece è una trovata giàrealizzata nel Canavese tra la provincia diTorino, Vercelli e Biella. I cittadini di moltiComuni di quell’area geografica conferi-scono la loro spazzatura rigorosamentedifferenziata ai “negozi” dei rifiuti, i qualiprovvederanno poi a smistarla agli incene-ritori.Questo sistema produce due vantaggi: di ri-spettare l’ambiente e la garanzia di un gua-dagno che pur modesto, è sempreapprezzabile.

La società che gestisce questi negozi è laRecoplastica la quale ha in programmal’apertura di una vera e propria rete in fran-chising in tutta Italia.Eliminato definitivamente il cassonetto, il“negozio” dei rifiuti con la cassa esibirà ilcartello che indicherà le quotazioni giorna-liere della spazzatura.Le attuali quotazioni sono: l’alluminio vale50 centesimi al chilo; il ferro 20; la carta 5;il Pet 18.Tradotto in cifre più consistenti, unafamiglia di quattro persone in Toscana,dove si consumano 81,9 chili di carta al-l’anno pro capite, può guadagnare 163 euro,che è il rifiuto meno pagato.Un guadagno meritato. Roberto Gravinese,consulente di Recoplastica, sostiene: “Infondo il rifiuto è proprietà di chi lo produce,lo ha comprato ed è giusto che sia lui a ri-capitalizzarlo in modo efficiente ed eccel-lente. Dunque i rifiuti non sono da rifiutare.Esistono infatti anche altre realtà, tra

aziende private, amministrazioni locali oconsorzi di Comuni, in cui l’immondizia sitrasforma in euro. Dove il business dei ri-fiuti, per una volta, è un business pulito per-ché non ha nulla a che fare con i trafficiillegali dell’ecomafia. Dove si è compresoche si tratta di una risorsa economica, che laraccolta differenziata non è una fissazionedegli ambientalisti, bensì il punto di par-tenza fondamentale su cui impostare un ri-ciclo dei rifiuti conveniente sia sotto ilprofilo ambientale che sotto quello econo-mico.Uno dei comuni più virtuosi sul fronte deirifiuti proprio nella Regione simbolo del-l’emergenza, è il Comune di Mercato SanSeverino, 20mila abitanti, che nel Salerni-tano sta facendo scuola. È la dimostrazioneche anche in Campania si può fare una cor-retta gestione dei rifiuti basata sulla raccoltadifferenziata, con ottimi risultati. In pochianni ha raggiunto il ragguardevole tra-guardo del 65%. Come? eliminando circasei anni fa i cassonetti dalle strade e co-stringendo i cittadini a tenersi l’immondi-zia in casa, nel rispetto della raccolta portaa porta secondo un calendario prestabilito.Il Comune premia la diligenza con scontitariffari, ossia dei bonus che scala dalle bol-lette, in rapporto alla differenziata smaltitae verificata attraverso dei bollini adesivi abarre che il Comune consegna alle famiglie. In Italia si producono 20 milioni di tonnel-late di rifiuti urbani ogni anno, (in volumediventano 125 milioni di metri cubi, ungrattacielo di 42 piani a base quadrata, conil lato di 1 chilometro). Finora la principalesoluzione al problema dello smaltimento diqueste “montagne” di immondizia è stato

quello della discarica cioè delle colline dirifiuti parzialmente interrate e ricoperte diterra. Discariche che nessuno vuole sottocasa sua, che ognuno vorrebbe in un paeselontano. E che si moltiplica a vista d’oc-chio.È intuitivo che questo sistema oramai non èpiù sostenibile. Il futuro è il riutilizzo deirifiuti fino all’80-90% attraverso la diffe-renziata estrema e/o alla produzione dienergia. Se si riciclasse in considerevolipercentuali: carta, cartoni, ferro, alluminio,plastica; e dai componenti degli elettrodo-mestici vetro, rame, acciaio ecc. il tutto di-verrebbe materia prima per l’industriaitaliana e vantaggio non trascurabile per ilPIL nazionale.La scienza può dare una mano inventandomateriali biodegradabili come nel casodella chewing-gum prodotta in Messico, e igoverni abolendo l’uso delle buste di pla-stica. Ed ora la notizia di una realizzazione: Gio-vedì 26 novembre, alla presenza delle piùalte autorità politiche regionali, provinciali,di molti sindaci e di alcune scolaresche delComune di Ugento, in località Gemini èstato inaugurato un termostabilizzatore, im-pianto di smaltimento rifiuti all’avanguar-dia. L’impianto, costato 18 milioni di euro,è stato attivato lo scorso 9 novembre ed èin grado di lavorare circa 70mila tonnellatedi rifiuti all’anno, portando così a compi-mento il ciclo per i 24 comuni del bacinoLecce 3. La notizia è di quelle che fa tirare un so-spiro di sollievo. Ormai saranno un bruttoricordo le emergenze vissute nella scorsaestate e negli anni passati: abbiamo un im-

pianto all’avanguardia, che ci garantirà il“futuro spazzatura” più tranquillo.Ma una domanda sorge spontanea: quantoci costerà? Inciderà sui bilanci familiari? Inche misura? Il coinvolgimento della citta-dinanza verso una differenziata maggioresarà ricompensato?La speranza è che non cambi nulla e che lefamiglie possano trarre solo vantaggi daquesta evoluzione.Riconosciamo alla Regione l’eccellenteprogramma strutturale portato a termine.Esprimiamo apprezzamento per la produ-zione del diario stampato interamente concarta riciclata, destinato a scolari ed alunni;iniziativa eccellente per sensibilizzare ededucare alla necessità della raccolta diffe-renziata e al rispetto dell’ambiente.Chi volesse curiosare sull’impegno delladifferenziata dei Comuni della Regione osu quello dei propri concittadini lo può farevisitando il sito:

www.rifiutiebonifica.puglia.it.

Il capitolo rifiuti rimane aperto in quanto iproblemi di inquinamento ambientale, e so-ciale: ecomafie, rifiuti tossici, smaltimentiilleciti non ci consentono di abbassare laguardia. La “sporcizia” proibisce anche lasolo tentazione di cullarsi sugli allori.

Ippazio Martella

Il business del futuroVendere la spazzaturaI Comuni dell’ATO Lecce 3 possono finalmente

smaltire autonomamente i propi rifiuti

La Pro Loco con il sostegno dell’Ammi-nistrazione comunale di Tiggiano il 18

e 19 gennaio nella ricorrenza dei festeggia-menti del patrono del paese San-t’Ippazio, organizza lasagra della pestanaca.L’invito di parteci-pare è rivolto a tutti:a coloro che la pesta-naca la conosconoda sempre, e soprat-tutto a coloro che neignorano l’esistenza e che ri-schiano di non sapere cosa finorasi sono perso.A questi ultimi è rivolta la seguente descri-zione: la botanica definisce la pestanacacome ortaggio appartenente alla famiglia

delle ombrellifere, e che dalle più comunicarote si distingue per il colore giallo-viola;il cui seme esige terreno particolare, umido

al punto giusto e cure estremeper la forte tendenza ad

ibridarsi.E questa è una defi-nizione corretta. Maper chi assaggia perla prima volta unapestanaca magari

appena raccolta e libe-rata dal terriccio, stenta

davvero ad assimilarla alla carota. C’è un abisso fra le altre varietà di carote eil gusto della pestanaca. Croccante frescoaromatico, quello della pestanaca evocaprofumi e sapori esotici, disseta e sazia

nello stesso tempo. In più comunica la cer-tezza che quello che si sta mangiando è disicuro un cibo salubre come pochi, ricco divitamine, Sali minerali poteri antiossidanti.Con tutto il rispetto per i tanto declamati in-tegratori alimentari, la pestanaca giallo-viola di Sant’Ippazio, è per la saluteun’infusione di benessere. La si può gustarecruda e cotta: insalate, sformati e torte dolcie salate marmellate sono facili da preparare,esaltanti da gustare. L’unico limite è lascarsa estensione dei terreni ottimali per lasua crescita. L’agro di Tricase e Tiggiano,Basso Salento orientale, ha il privilegio dipossedere i requisiti necessari.Sono in corso iniziative per dotare la pesta-naca di un marchio, che ne valorizzi laqualità.

La Pro Loco si sta muovendo in quella di-rezione; nel contempo ritiene che la sagrasia un mezzo efficace per la onesta pubbli-cità di un prodotto tanto genuino; e nellostesso tempo sia un’occasione magnifica disocializzazione, divertimento e di crescita.

La sagra della Pestanaca del 18 e 19 Gennaio

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Quando si trascorre buona parte del pro-prio tempo in una Comunità diversa da

quella di nascita, anche solamente per motividi lavoro, si finisce per integrarsi nel tessutosociale della stessa al punto che le relazionidiventano ricche e significative e, perfino, leinflessioni dialettali entrano a far parte delproprio repertorio comunicativo.Questo è successo a me. Avendo servito per diversi anni, e mi auguroper molti ancora, la Comunità di Tiggiano hoesteso talmente la cerchia di amicizie e di re-lazioni che non riesco ad operare, se mai vene fosse bisogno, gli opportuni “distinguo”tra i miei compaesani e i tiggianesi.Probabilmente questa convinzione profondadeve trasparire dal mio viso se molte dellepersone del luogo ritengono di potermi aprireil loro cuore e di ciò non posso che ringra-ziarle. Nel momento in cui questo movimentobi-direzionale inizia mi dispongo ad ascoltarenella consapevolezza che non mi verrà negatol’ascolto.Si condividono, così, i momenti di gioia, i vis-suti di una giornata, le ansie per un rapportoeducativo non tanto soddisfacente, gli impre-visti che la vita non manca di porre sul nostrocammino.La conversazione assume così un significatoterapeutico che alleggerisce di molto il far-dello quotidiano e fa ritornare la serenità per-duta, soprattutto, quando ci si rende conto chele fragilità sono comuni al genere umano.Nel corso degli anni ho avuto modo di cono-scere e stimare moltissime persone e di ascol-tare tante confidenze, senza mai banalizzarleo divulgarle per il gusto di cedere al pettego-lezzo spicciolo.Diventare educatori porta a maturare la con-sapevolezza che le storie degli altri sonodegne di attenzione, al pari delle proprie, e ri-chiedono così tanta discrezione nell’essere,solamente, ascoltate da spostare l’asse delproprio egocentrismo.Fra le tante figure significative penso diaverne conosciuta una di cui non parlano lecronache giornalistiche. Lo ha voluto fare 39° Parallelo per dare vocea chi, forse, preferirebbe continuare a tacereper una forma di pudore e riservatezzaestrema. Le persone che fanno esperienzaquotidiana di sofferenza e rinunce non amanosbandierarle ai quattro venti e, tuttavia, se in-coraggiate si aprono arricchendo gli altri ditestimonianze che valgono più di mille lezionicattedratiche.Ho conosciuto Apollonia Martella quandoabitava in Piazza De Francesco, ricordo anchela bellissima corte ed il telaio operoso “stisu”in una delle stanze della sua modestissima epulitissima casa.Ero andata a vedere di persona i suoi lavorirealizzati con l’arte della “sciuscitta”, filodopo filo, e con una tecnica particolare chefaceva intravedere bellissime figure florealiin rilievo sui giochi di trama ed ordito. Erastata cortese, com’è nel suo stile, e disponi-bile ad insegnare, anche, agli alunni i segretidi quell’arte antica che segnò la storia. Poinon l’ho più ritrovata nella sua abitazione emi sono chiesta se per caso non fosse andataa vivere in un altro paese, magari, con qual-che nipote dal momento che Apollonia è nu-bile. Me la sono ritrovata dinanzi, in unamerceria, qui a Tiggiano e..., dopo i ricordi ele attestazioni di stima nei confronti della miapersona (immeritatamente), sono partite le

Paese che vai...di Concettina Chiarello

mie querele: il lavoro, la mamma anziana esofferente, la scuola che non ci dà tregua, ilcorri corri giornaliero e via di questo passo.Ella, timidamente forse più per consolarmiche per essere consolata, ha iniziato il rac-conto delle sue giornate al fianco della sorellaCaterina allettata, ormai, da quasi dieci anni eper la quale lei è il suo punto di riferimento.Dopo l’elenco dei servizi e delle prestazioni,degne del più qualificato personale parame-dico, eseguite con scrupolosa dovizia e so-prattutto col cuore, mi sono sentita in colpaper essermi lamentata dei miei insignificantiproblemi.La cosa che più ho apprezzato, nel corso ditutto il racconto, è stata la sua serenità. Nel momento del congedo mancava poco chele chiedessi il segreto del suo comportamento,ma mi rendevo conto che la conversazionenon sarebbe durata neanche un minuto in più:era quasi l’ora del pranzo e bisognava prov-vedere alle operazioni per “imboccare” la so-rella.Quando nel gruppo di redazione si è fatto ilsuo nome, mi sono offerta di andare perso-nalmente a casa sua, anzi a casa del cognato,maestro Oreste Morciano, dove Apollonia ri-siede da anni per assistere la sorella Caterinae sostenere i nipoti ed il cognato nel difficilecompito di alleviare la sua sofferenza.Vengo accolta in un tinello illuminato dallafiamma di un camino, nella penombra di unuggioso pomeriggio domenicale, e le mie na-rici vengono colpite dal profumo di pulito, ilgarbo regna sovrano e la cortesia trapela daogni gesto dei signori Apollonia ed Oreste.Anche Caterina, dal suo lettino, partecipa aglionori di casa solo col movimento delle pupilleed al mio saluto gli occhi le si illuminano diuna luce calda: si capisce che è lieta di fare lamia conoscenza. Azzardo un’ipotesi, mi haconosciuta e si ricorda di me, la mia imma-gine le sta ritornando in mente ed apprezza lamia presenza.Poi la nostra conversazione continua nellastanza attigua alla camera da letto mentre Ca-terina segue il programma televisivo del po-meriggio.Segue tutti i programmi televisivi dicono Ore-ste ed Apollonia e se qualcuno non è di suogradimento ce lo fa comprendere con il mo-vimento degli occhi e noi cambiamo canale.Chiedo, se ciò non arreca fastidio, di comin-ciare dall’ inizio la storia di questa lunga sof-ferenza. Il cognato, da vero gentiluomo, cede la parolaad Apollonia che comincia dal lontano 11 feb-braio 2000.“In mattinata ci siamo recate presso una strut-tura sanitaria per un eco doppler alle carotidi,esame di routine dopo i 50 anni, lo ha ese-guito prima mia sorella Caterina, che già nonsi sentiva bene, io le sono stata d’aiutoquando ha chiesto di essere accompagnata inbagno ancor prima che l’accertamento ini-ziasse. Al termine il medico non ha ravvisatonessun motivo di preoccupazione. Poi è arri-vato il mio turno ed anche per me il referto èstato rassicurante. Rincuorate dai risultati cisiamo predisposte a salire a bordo dell’auto

quando mi sono accorta che Caterina non cela faceva, l’ho sostenuta, porgendole il brac-cio, e mi sono accorta che, così, andava me-glio. Abbiamo fatto ritorno a casa e ci siamocongedate dandoci appuntamento per lamessa della sera. Essendo l’undici febbraio,giornata del malato, qui a Tiggiano sarebbestata celebrata la messa serale. Ancor primadell’orario stabilito sono stata raggiunta dauna telefonata: mio cognato mi diceva di farepresto perchè Caterina non stava molto bene.Allarmata sono corsa da lei e mi sono resaconto che la situazione, pur non allarmante,si presentava seria. Ci siamo precipitati a con-vocare d’urgenza il medico di famiglia che hadisposto il ricovero; la diagnosi era quella diun ictus. Trascorso il periodo di degenza, pre-visto dai protocolli medici, Caterina è statadimessa con i postumi della patologia consi-stenti in un danno medio - grave alle funzionidel linguaggio e della deambulazione, ma ilrecupero sembrava sorprendente. La pazienterispondeva alle terapie farmacologiche e so-prattutto a quelle affettive. Quando tutti era-vamo convinti di un recupero totale Caterinaè stata colpita da un nuovo insulto cerebraleche ha leso irrimediabilmente le funzioni giàcompromesse. Da quel giorno la mia resi-denza è diventata stabilmente questa: Via Na-zario Sauro al civico 25”Continuiamo la conversazione con un elencoinverosimile di pratiche assistenziali svolte dalei con l’aiuto del cognato e dei figli di Cate-rina, almeno da quelli residenti. Ci spostiamoin un campo delicato: l’ alimentazione. Cate-rina viene alimentata attraverso la PEG(sonda gastrica percutanea ) attraverso un ca-tetere che va mantenuto in perfetta efficienza.Il piccolo foro sottocutaneo al quale è colle-gato il sondino, inoltre, va medicato accura-tamente perchè potrebbe diventare veicolo diinfezione.La mia domanda è retorica perchè la rispostala conosco già:-Provvedo quotidianamente al lavaggio, allarimozione dei bendaggi, alla disinfezione e atutto ciò che rende possibile un’adeguataigiene... poi mi dispongo alla somministra-zione dei farmaci tramite siringa e degli ali-menti liquidi che non possono essere deglutitiper una sorta di paralisi dei muscoli esofagei.Chiedo come trascorre la notte e lei dice te-stualmente: Occupo il posto accanto al suolettino clinico ed origlio in continuazione, seil respiro non mi convince, mi alzo e cerco disistemare la sua postura, se è il caso chiamomio cognato Oreste... se l’operazione è andataa buon fine sono i suoi occhi a comunicar-celo. Precisa che la sua notte passa in unostato di dormiveglia...come quando si devebadare ad un neonato, io non ho avuto figli,ma posso immaginare come può dormire unamamma se deve vigilare il sonno di una crea-tura. Chiedo come inizia la loro giornata e sisofferma sulle modalità di pulizia e cura diuna persona allettata, poi descrive la cola-zione: latte con fette biscottate ridotte in unapoltiglia di consistenza media. Se è troppo li-quida rischia di soffocare in quanto la linguanon ce la fa a guidare la deglutizione. Termi-

nata la colazione è già ora di pranzo e tutto ri-comincia...Nel frattempo bisogna provvedereal disbrigo delle faccende domestiche, ma conl’aiuto di Dio riesco a fare anche quello, poiqualche passeggiata o mi reco in chiesa. Anch’io ho qualche acciacco: ho avuto la pro-tesi del femore...di cui non mi ricordo quasipiù.Verso la fine della nostra conversazione,senza perdere di vista neanche per un attimoil letto della sorella, e soprattutto lo sguardo,Apollonia mi fa un’ulteriore confidenza.“Alla luce della mia esperienza ho pensatoche l’aiuto serve quando una persona è invita; ciò che si fa dopo serve a poco, tale con-vinzione non mi ha mai abbandonata. Certa-mente non sono esente da qualche attimo didebolezza, ma mi riprendo subito perchè miaccorgo che i miei nipoti, mio cognato e Ca-terina traggono vita da me, dalla mia presenzanella loro casa, dal mio sostegno. Mi raccontaanche delle giornate di festa: tutti intorno adun unico tavolo coordinati da lei, solo per go-dere dello stare insieme e vedere due occhibrillare di gioia...quelli di Caterina.Potrei indugiare ancora sui particolari dellainteressante conversazione, ma mi limito adinvitare il lettore a riflettere “sulla sofferenzavissuta come dono e sulla dedizione gratuitae disinteressata di chi, per scelta, decide dicondividerla anche se non materialmente”.Qualcuno potrebbe obiettare che attualmentei disabili godono di un’indennità di accompa-gnamento, ciò è vero, ma che cos’ è il denarose non è supportato dal colore e dall’atten-zione verso colei, o colui, che soffre?Che cosa può diventare la sofferenza se non èvissuta senza perdere di vista la dignità dellapersona? A volte una gabbia, altre volte il pre-ambolo verso la disperazione, infine motivoper chiedere, o pensare, di porre fine all’ inu-tile sacrificio in modo “dolce”.Tali domande le ho poste a me stessa e mihanno provocato profondi scossoni...fin den-tro l’anima. Mi sono detta che ho molto daimparare e tanto cammino ancora da com-piere per spostare l’asse del mio egocentri-smo. Le persone come Apollonia, e comemolte altre, che vivono quotidianamente si-tuazioni di questo tipo, andrebbero additateall’intera società civile anche quando ci sideve confrontare sui temi “forti” che la bioe-tica cerca di disciplinare.“Paese che vai... gente che trovi,” afferma lasaggezza popolare, basta saper cercare...tra lagente... e porsi in ascolto: si scopre un mondosommerso che non appare, eppure c’è.

Apollonia Martella

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Sono tante oggi le occasioni per parlaredi biologico, filiera nei prodotti alimen-

tari, eco-compatibilità nelle produzioniagricole e di allevamento, dieta mediterra-nea, ecc. E’ solo una delle mode del mo-mento? O davvero cominciamo a pensarealla necessità di mangiare sano e genuino,senza additivi, come facevano una volta,quando i cibi erano anche le uniche medi-cine? Sarà che siamo, forse, stufi dei cibisuper sofisticati, “arricchiti” di additivi e

conservanti o di frutta e verdura così per-fette che sembrano finte! Ma, chissà com’è,anche quando pensiamo di aver imbroccatola risposta giusta al problema, si affaccial’inevitabile contraddizione. Parlando dibiologico, per esempio, tutti si aspettanoprodotti ottenuti senza l’uso di pesticidi ofertilizzanti chimici e con metodi rispettosidella natura di piante e animali. E si è di-sposti anche ad accettarne il costo più ele-vato dato che i metodi e la cura nel produrlifanno la differenza di valore. Azioni e me-todi, dunque. Ma è davvero così? Quelloche risulta dalle etichette anche dei prodottibiologici rispecchia veramente quelleazioni e quei metodi? Considerando ilnuovo Regolamento europeo 834/2007 inmateria di produzione biologica e relativa

GLI OGM NEI PRODOTTI BIOLOGICIE’ SOLO QUESTIONE DI ETICHETTA?

etichettatura non si direbbe. Il regolamento,entrato in vigore il 1 gennaio di quest’annoe che poi tanto nuovo non è, se datato 2007,dice che “la produzione biologica è un si-stema globale di gestione dell’azienda agri-cola e di produzione agroalimentare basatosull’interazione tra le migliori pratiche am-bientali, un alto livello di biodiversità, lasalvaguardia delle risorse naturali, l’ap-plicazione di criteri rigorosi in materia dibenessere degli animali e una produzioneconfacente alle preferenze di taluni consu-matori per prodotti ottenuti con sostanze eprocedimenti naturali. Il metodo di produ-zione biologica esplica pertanto una du-plice funzione sociale provvedendo da unlato a un mercato specifico che rispondealla domanda di prodotti biologici dei con-sumatori e dall’altro fornendo beni pub-blici che contribuiscono alla tuteladell’ambiente, al benessere degli animali eallo sviluppo rurale.” Produzioni, quindi,rispettose dell’ambiente, delle tipicità localie delle biodiversità. Fin qui tutto fila liscio,come l’olio che si produce nei tanti frantoisalentini in questi giorni! Ma la contraddi-zione non tarda ad arrivare, perché nono-stante lo stesso Regolamento consideri gliOGM (Organismi Geneticamente Modifi-cati) “incompatibili con il concetto di pro-duzione biologica e con la percezione che iconsumatori hanno dei prodotti biologici”,rimanda alla lettura dell’etichetta o di altridocumenti accompagnatori, come stabilitoda direttive CEE del 2003 sugli alimenti ge-

neticamente modificati, evitando di direperò in modo altrettanto chiaro che nelleetichette non è segnalata la contaminazioneaccidentale da OGM fino allo 0,9%! Macosa sono questi ‘OGM’? Parliamo diquelle ‘diavolerie’ dell’ingegneria geneticache vuole le piante resistenti ai parassiti,che producono frutti bellissimi come quellidei quadri di Caravaggio, anzi ancora piùbelli... e in abbondanza, che durano molto,molto a lungo, e tanto altro ancora. Nonparliamo di selezione genetica naturale o diincroci fra specie tentati dall’uomo sin dallapreistoria, ma della produzione di caratteri-stiche provocate artificialmente nelle piantee negli animali che da sole, naturalmente,non si sarebbero mai potute sviluppare. Nelcorso degli anni sembra si sia potuto appu-rare, inoltre, che gli effetti miracolosi degliOGM erano solo una mera utopia: l’au-mento di produzione di derrate alimentarinon si è avuto, l’uso di antiparassitari anzi-ché diminuire è notevolmente aumentato, iterreni coltivati con soia o mais modificatiperdono la loro fertilità, insetti come le apisembrano essere danneggiate nel loro ciclovitale, ecc. E la loro capacità di contamina-zione, dove la mettiamo? Le coltivazionitradizionali e quelle biologiche vengono in-quinate in modo irreversibile e alla fine soc-combono. Altro che armi di distruzione dimassa, ci fanno un baffo... Senza contareche alcuni studi, poco pubblicizzati per laverità, affermano anche che i prodotti tran-sgenici facciano male alla salute. Ma allora

ci vogliamo proprio del male, noi umani?A nessuno è venuto in mente di fare unpasso indietro ed abolire gli OGM? O c’èaltro sotto? Per esempio, ci sono multina-zionali che ci guadagnano dall’impiegomassiccio di antiparassitari e fitosanitari?La risposta la conoscete tutti: è più facilecreare la paura dell’influenza killer in mododa spingerci ad arricchire le case farmaceu-tiche, piuttosto che dirci chiaramente comestanno le cose, non vi pare?Sarà il caso, allora, di muoverci facendosentire la nostra voce di cittadini e consu-matori. Se perfino sulle etichette dei pro-dotti biologici non troviamo traccia dellapresenza di OGM non c’è di certo da staretranquilli, perché non è detto che ne siano

del tutto privi. Quello che possiamo fare èaderire all’iniziativa promossa dall’Asso-ciazione SUM – Stati Uniti del Mondoche ha organizzato una raccolta di firme intutti i Comuni della provincia per fare inmodo che la Regione Puglia mantenga il di-vieto di coltivazioni OGM e la tolleranzazero nei prodotti biologici. Ne andrebberodi mezzo da qui a breve tutto il nostro pa-trimonio agroalimentare regionale. Pensia-moci bene...

di Maria Antonietta Martella

Lo scorso 15 Novembre in una sala con-ferenze completamente gremita, si è

tenuto a cura dell’amministrazione comu-nale di Tiggiano “INCONTRI PER LAPACE”, prima giornata di riflessione sulvalore universale della pace. L’idea è par-tita dall’esigenza dell’amministrazione comunaledi portare nella nostra comunità testimo-nianze di persone ed esponenti dell’asso-ciazionismo impegnati in più fronti nellapromozione della pace, dell’uomo e diquanto lo circonda. L’assemblea fatta dapersone comuni è stata nella sua sempli-cità mezzo rudimentale importantissimoper assaggiare cos’è la pace e per inco-minciare un discorso plurale che metta aconfronto diverse prospettive. L’anziano siè seduto accanto al giovane, l’ateo accantoal religioso, il moderato accanto al rivoluzionario per parlare di bene comunee di pace. Come già detto in quella occa-sione, l’intento dell’evento è stato quellodi far capire che la pace non è da intendere,come nelle più superficiali affermazioni davocabolario, quale semplice momento dipausa tra una guerra e l’altra e tantomeno

un qualcosa di impossibile e di irraggiun-gibile, miraggio da attribuire a visioni dipazzi idealisti. Pace è anzitutto diritto allasalute, al lavoro, alla casa, alla famiglia. Dopo i saluti del Sindaco Morciano e del-l’Assessore alla Cultura Schirinzi, ad aiu-tarci in qualità di ospite è stato primo tratutti Mons. Luigi Bettazzi, vescovo eme-rito di Ivrea, già presidente Internazionaledi Pax Christi, testimone esemplare dellapace e della convivenza tra i popoli, fer-

vido collaboratore di don Tonino Bello conil quale ha condiviso importantissime battaglie per il disarmo e la pace. La suariflessione, partendo dai traguardi del Con-cilio Vaticano II ha evidenziato l’impor-tanza della laicità del concetto di pace e hasoprattutto indicato la gioia di capire chenessuno può unilateralmente rivendicare laproprietà di tale verità fasciata talvolta dainteressi politici tesi all’offesa dell’altro.La pace secondo mons. Bettazzi deve partire proprio dal rispetto dell’altro,

MONS. BETTAZZI A TIGGIANO

TRADUZIONI E SERVIZIAL TURISMO

di Maria Antonietta Martella

Via. V. Veneto, 20 - TIGGIANO (Le)Tel. 0833.531311 - 340.9081777

dal capire che uno arricchisce l’altro e chevicendevolmente si può crescere insiemesenza vincoli di religione, di razza, disesso. La Chiesa ha dovuto chiedere scusaproprio per aver mancato in questa dispo-nibilità ad accettare il dialogo, ad aprirsiall’altro, a difendere l’umile in nome diuna diplomazia e di una verità pagata acaro prezzo.Altri contributi alla riflessione sono statiportati da Silvestro Pati e Francesco DeCarlo rappresentanti rispettivamente deigruppi locali dell’organizzazione premioNobel Amnesty International e di Green-peace che ci hanno illuminati sulla neces-sità di presupporre il rispetto dei dirittiumani e dell’ambiente per il raggiungi-mento effettivo della pace.A moderare l’incontro è stato il dottorLuigi Russo presidente del Centro ServiziVolontariato Salento con il quale l’ammi-nistrazione ha intenzione di proseguire unacollaborazione per un miglioramento delleofferte culturali e di crescita del basso Sa-lento.

Giacomo Cazzato

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Il 21 ottobre ultimo scorsoMaria e Giuseppe, felice cop-

pia di anziani Tiggianesi, hannocompiuto il loro cinquantesimoanniversario di vita comune,vita ricca di tante soddisfazionima anche di tanto duro lavoro esoprattutto di tanti sacrifici.Hanno celebrato il felice eventouniti insieme ai tre figli, Anto-nio, arrivato dalla Svizzera perl’occasione, Ippazio e Leo-nardo, le rispettive mogli edagli affezionatissimi nipoti.Siamo lieti di partecipare atanta gioia per due ragioni: una

NOZZE D’ORO PER MARIA E GIUSEPPEpersonale e l’altra collettiva, lapersonale è intuibile, la collet-tiva sta nel fatto che notiziebelle confortanti e ricche disperanza per il futuro comequesta non abbondano. Quandosi presentano, meritano tutta lavisibilità possibile.L’augurio che la Pro Loco faloro, che di sicuro sarà quelloche gli rivolgerà l’intera popo-lazione tiggianese, è quello divivere il prosieguo della vitacon la stessa serenità ed amoreche li ha accompagnati sino adoggi.

PPrroo LLooccoo TTiiggggiiaannoo ee 3399°° PPaarraalllleelloo

BBuuoonn NNaattaallee ee FFeelliiccee 22001100