Diario USA 2014

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1 USA 2014: 7820 KM DA SEATTLE A LOS ANGELES Viaggio dal 8 al 27 luglio 2014 Barbara Grillo e Alberto Casagrande Auto a noleggio SUV Volvo X30 PREMESSA Rieccoci alle prese con galloni, miglia, piedi e fare i conti che non tornano. Dopo 3 anni torniamo negli USA ma per completare quello che era il nostro giro pensato la prima volta. Questa volta andiamo nel vero Far West per attraversare Washington, Oregon, California e con una capatina in Neveda. In generale grandi estese di foreste, spesso segnate dagli incendi. Bello il colore giallo dei campi di frumento dell’Oregon. Indimenticabile il blu del Crater Lake. A parte la paura degli orsi e dei crotali, tutto bene. La gente è stata almeno fino in Oregon molto solare, accogliente, sempre ad attaccar discorsi e fare amicizia. Ci ha sorpreso e fatto piacere questa cosa. Come costi si vede che siamo in alta stagione e con un cambio basso non si risparmia molto.

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USA 2014: 7820 KM DA SEATTLE A LOS ANGELES Viaggio dal 8 al 27 luglio 2014

Barbara Grillo e Alberto Casagrande Auto a noleggio SUV Volvo X30

PREMESSA Rieccoci alle prese con galloni, miglia, piedi e fare i conti che non tornano. Dopo 3 anni torniamo negli USA ma per completare quello che era il nostro giro pensato la prima volta. Questa volta andiamo nel vero Far West per attraversare Washington, Oregon, California e con una capatina in Neveda. In generale grandi estese di foreste, spesso segnate dagli incendi. Bello il colore giallo dei campi di frumento dell’Oregon. Indimenticabile il blu del Crater Lake. A parte la paura degli orsi e dei crotali, tutto bene. La gente è stata almeno fino in Oregon molto solare, accogliente, sempre ad attaccar discorsi e fare amicizia. Ci ha sorpreso e fatto piacere questa cosa. Come costi si vede che siamo in alta stagione e con un cambio basso non si risparmia molto.

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IL VIAGGIO IN BREVE: 08-07-2014 Airport-Puyallup-Monte Rainier-Puyallup Km 380 09-07-2014 Puyallup-Monte St. Helens-Puyallup Km 460 10-07-2014 Puyallup-Portland-Dufur Valley Km 460 11-07-2014 Dufur Valley-Bend-Chemult Km 400 12-07-2014 Chemult-Crater Lake-Tulelake Km 315 13-07-2014 Tulelake-Lava Bends Park-Susanville-Reno Km 415 14-07-2014 Reno-Lake Tahoe-Sacramento-Richmond Km 450 15-07-2014 Richmond-S.Francisco-Santa Cruz Km 210 16-07-2014 S.Cruz-Gylroy-Fresno-Sequoia Park-Visalia Km 460 17-07-2014 Visalia-Yosemite Park-Lee Vining Km 400 18-07-2014 Lee Vining-Benton Crossing-Bishop Km 270 19-07-2014 Bishop-Racetrak Playa-Death Valley-Beatty Km 425 20-07-2014 Beatty-Death Valley-Las Vegas Km 400 21-07-2014 Las Vegas-Sky Walk-Kingman Km 355 22-07-2014 Kingman-Yuma-Indio Km 670 23-07-2014 Joshua Tree Park-S.Bernardino-Palmdale Km 475 24-07-2014 Palmdale-Carrizo Plain-Morro Bay Km 380 25-07-2014 Morro Bay-S.Barbara-Los Angeles Km 390 TOTALE Km 7820

8 luglio: Venezia – Seattle – Monte Rainier - Puyallup: 380 km Abbiamo preso un volo AirFrance – Delta via Venezia – Parigi. Molto bene il servizio, anche se meno il cibo. Mentre aspetto i bagagli mi metto a fotografare un bellissimo poster di Seattle non sapendo che è proibito. Il poliziotto mi fa cancellare tutte le foto in aeroporto. Arrivati a Seattle a mezzogiorno siamo ospiti del nostro amico Renato, che viene a prenderci. Dopo una breve sosta caffè a casa sua subito ci porta a spasso senza far caso al jet lag. Il Monte Rainier attira subito la nostra attenzione già da lontano perché è un cono vulcanico, il cui colore scuro contrasta con il bianco della neve che si staglia nel cielo azzurro di Seattle. Le valli glaciali sono molto didattiche, con dei segni evidenti di arretramento. Solo il tramonto ci costringe a tornare a casa e a calare la palpebra. Alla fine crolliamo a letto dopo 50 ore di fila senza dormire. 9 luglio: Puyallup – Monte Sant. Helens: 460 km Dedichiamo questa giornata alla visita dello spettacolare del Vulcano Sant Helene. Il panorama fin dalle basse quote è notevole. Gli manca tutta la punta dopo l’eruzione del 1980, passata nella storia come la più disastrosa e imponente a memoria d’uomo. Arriviamo fino all’osservatorio. I centri didattici spiegano molto bene la sua storia, abbiamo anche la fortuna di assistere al filmato che ci illumina. Gran parte della foresta è stata ripristinata piantando a mano un albero alla volta. Ritorniamo indietro dalla stessa parte perché ormai si fa tardi. Alla sera andiamo a vedere la città di Seattle e a prendere la macchina a noleggio, ma quando arriviamo là non ce la hanno e vogliono darci o un BMW cabrio o un Sub-Urban… al che gli chiedo cosa è… What can I do with it?! Ottima la cena a casa di Renato.

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10 luglio: Puyallup - Portland - Dufur Valley: 458 km Partiamo da Puyallup dopo che ci han dato una Volvo X30 e salutiamo Renato ringraziandolo per l’ospitalità molto preziosa. Ci perdiamo a Portland faticando a capire le entrate delle autostrade fin quando incontriamo la Route 84 e prediamo la Highway Historical 30 che dalle cascate in basalto ci porta sopra il plateau di lava tra campi gialli di frumento con un panorama notevole sul fiume Columbia. Ogni tanto capita di vedere qualche casetta del Far West originale ormai in decadimento. Questa è una area piena di punti scenici e piacevoli. Il territorio è tutto lavico in quanto fa parte di una estesa provincia lavica a partire dal Idaho che ha invaso Oregon e Washington e pare essere la più estesa al mondo. Le cascate sono suggestive: permettono di vedere almeno tre fasi di deposizione, tra cui una a fessurazione colonnare molto carina. Arriviamo a Durfur per caso grazie a Google Earth. Troviamo un Hotel Balch del 1907 e tirando sul prezzo riesco a aver 70 dollari a notte. E’ perso in mezzo al nulla ma la gestrice Samantha mi conquista subito, lei e i suoi mitici biscotti. Qui la gente è molto solare e amichevole. Andiamo a cena del ristorante davanti e mi danno una mega insalata con 3 hg di prosciutto per 25 dollari con panino! Ritornando all’albergo Samantha dice che vuole una foto con noi perché non credono che siamo italiani. Da quanto pare riceve un paio di europei all’anno e il nostro arrivo desta molta gioia qui. Ci portano a conoscere altri due signori venuti qui a festeggiare i 50 anni di matrimonio da Portland. Hanno una vecchia Ford del 1934 e senza che noi lo chiedessimo si offre di portarci a fare un giro per il paese disturbandosi a preparare i posti dietro… caspita è compreso nel prezzo?! E’ stato molto simpatico, il signore molto solare e abbiamo fatto subito amicizia. E’ stato divertente!! Davanti al hotel c’è un panorama sul vulcano Hood. Molto piacevole la permanenza. 11 luglio: Dufur Valley - Bend - Chemult: 400 km Mattina di saluti e abbracci al hotel con tanti di arrivederci dei due signori che sperano di incontrarci il prossimo anno per il 51° di matrimonio.

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Visitiamo delle belle cascate (White falls) con una vecchia diga del 1910. Seguiamo il fiume sul quale stanno facendo rafting. Facciamo un saliscendi dal plateau e ogni volta sbuca fuori un vulcanetto, sembrano tutti uguali invece no, sono come funghi in linea, si vede l’Adams, poi Hood, Jefferson e gli altri. In pratica andando verso sud li vedi sempre e appaiono al’orizzonte come a farti ciao ciao. Andiamo a visitare lungo la vecchia strada dedicata ai veterani il ponte fatto nel 1926, usato fino al 1990. Poi visitiamo il parco Newberry Vulcano andando fino alla cima della caldera. Niente di particolare causa il brutto tempo, ma in condizioni di sole merita la vista da quassù su tutta l’area attorno che ti fa rendere conto di avere percorso una strada lunga e dritta in mezzo alla foresta perché sei su un plateau di lava. Siamo stati poi in grotta, la Cave River Lava, lunga 1,5 km e fonda circa 50 m è una condotta vulcanica a 4°C che ha visto passare lava a 1100°C. E’ stata poi in seguito riempita dalla sabbia portata da un fiume. Facciamo un giretto verso i due laghi del parco ma si rilevano aree pic –nic. I paesaggi a foreste estese sono una costante quotidiana e ti fanno capire come mai sulle targhe delle macchina c’è un abete come simbolo nazionale. C’è la possibilità di vedere l’orso e quindi il mio livello di attenzione è più alto. Prendiamo la Hgw 97 e passiamo Bend, una grossa cittadina dove si può trovare tutto, tranne una banca che faccia un cambio. Qui consumano solo carte dei credito. Scegliamo di andare avanti e fermarci a Chelmut in un motel molto modesto gestito da una indiana (70 dollari, siamo in alta stagione dice). In compenso la cena non era male, bastava attraversare la strada e andare al Chalet Restaurant, dove abbiamo mangiato una buona cena. 12 luglio: Chemult - Crater Lake - Klamath Falls - Tulelake: 315 km Colazione al volo al distributore di benzina, è fonte di stress mattutino e di domande su come fanno gli americani a bere il caffè guidando… Occupiamo tutta la mattina a visitare il Crater Lake. Entrando da nord l’approccio è spettacolare con la luce da Est che fa dei riflessi di tutta la caldera nel grande lago. E’ il più fondo degli USA con i suoi 550 m dal colore blu intenso e trasparente per quasi 50 metri. Rappresenta una caldera collassata del Monte Mazama durante una eruzione 8000 anni fa. Il lago non è altro che acqua piovana raccolta nel tempo. Non esistono fiumi che entrano o escono da questo posto magico. Ha una circonferenza di 54 km, ma per vederlo tutto e fare le foto su ogni angolo ci abbiamo messo 3 ore, molto piacevoli e suggestive. Lungo la strada si possono vedere i diversi episodi vulcanici con lava di diversa tipologia (pomice bianca e rossa, rio dacite, basalto, ossidiana). Nei vari punti sosta è facile incontrare simpatici scoiattoli che attirano l’attenzione dei turisti.

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Dentro il grande lago si trova un piccolo cono residuo di una attività vulcanica successiva al collasso e poi una isoletta chiamata Phantom Ship con una serie di torri e pinnacoli che ricordano le navi fantasma. Per vedere invece dei veri pinnacoli si deve scendere una strada a fondo cieco che segue una vallata percorsa da un torrente. Il versante occidentale è caratterizzato da tutta una serie di pinnacoli di materiale lavico che sono vecchi camini di fumarole, molto suggestivi, merita il giro fino a qui. Scendiamo dal Crater Lake e ci dirigiamo di nuovo verso la Hgw 97 percorrendo una ampia distesa pianeggiante verde ricca di pascoli di mucche e cavalli, credo sia l’immagine dell’Oregon che mi rimarrà più impressa dopo quella dei gialli prati. La foresta finisce gradatamente e iniziano queste infinite pianure a 1300 m di quota percorse da torrenti chiamati creek. Facciamo spesa a Klamath Falls e poi dopo il confine tra Oregon e California ci fermiamo al Lodge Winema per 70 dollari, un posto molto tranquillo ma senza ristorante. 13 luglio: Tulelake - Lava Bends Park - Susanville - Reno: 415 km Il Lodge si rivela molto silenzioso e pacifico. La colazione è anche discreta. Visitiamo il parco del Lava Beds che si rivela essere un vero parco giochi per geologi e speleologi. Si tratta del complesso di cavità laviche più esteso degli USA. Sono 700, in media sono lunghe 500 m e poco profonde. Rappresentano il percorso di un antico flusso di lava uscita tra i 10 mila e i 65 mila anni fa. Si trovano per la maggior parte vicino al centro visitatori dove è il caso di passare per avere informazioni. Si può anche noleggiare caschetto e luce. Le grotte sono divise per difficoltà in base alla larghezza dei passaggi. La più bella è quella del Hopkins Chocolate per avere la condotta di lava che sembra budino. Abbiamo visitato anche la Merill cave (molto breve), Skull cave (la più ampia essendo nata dal crollo di tre condotte sovrapposte), Sunshine cave (ha due fasci luminosi che entrano e permettono di fare dei giochi luminosi), Valentine cave (è la più articolata con doppie gallerie e lava a budino, dal bordo incrostato come la polenta, dice Alberto).

Siamo usciti dal parco e abbiamo preso la strada 139 attraversando la Foresta di Modoc, luogo famoso per una battaglia tra invasori e nativi. A Susanville prendiamo la più ampia strada 395 che attraverso ampie conche dal fondo a volte occupato da un grande lago, ci conduce a Reno, una sorta di piccola Las Vegas del Nevada. Il panorama lungo questo percorso è piacevole, non monotono perché passa da foreste verdi a montagne aride con un vento caldo, quasi come se uno avesse accesso il phon. Una costante sono le ampie conche con i laghi e le mucche. Qui mangiamo al Big Bear Diner, una catena di ristoranti meno multinazionale del McDonald. Pernottiamo al Motel 6 per 50 dollari.

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14 luglio: Reno - Lake Tahoe - Sacramento - Richmond: 450 km Da Reno abbiamo lasciato la strada principale 395 che porta a Sacramento per andare su una secondaria, 50 da Carson City, che porta al Lago Tahoe, passando quindi da un territorio arido e semidesertico alle foreste di montagne in granito. Il lago è una zona per turisti e ricchi. Cerchiamo di arrivare al trail del Rubicon a Tahoma ma lavori in corso ci fanno desistere e decidiamo di tornare indietro. La zona è molto bella. Il lago si è formato in seguito allo sbarramento creato da una eruzione lavica centinaia di migliaia di anni fa e ha una notevole trasparenza e ampiezza. Lasciato questi boschi di quota 1900 m, per immergerci nel caldo intenso della pianura e ci fermiamo a sacramento. E’ una città interessante e con un po’ di storia che incuriosisce e rende piacevole la permanenza nonostante il grande caldo. Siamo andati a visitare il fortino dove è nata la città ed il museo dei treni. Entrambi siti che merita vedere: il primo presenta tutte stanze con tutti materiali originali, il secondo anche è molto ben fatto e interessante perché presenta tutti i modelli di locomotiva e treni della rete ferroviaria della South Pacific e non solo. Si trova nella parte vecchia della città che è ridotta a un piccolo quartiere. Molto divertente la visita tutto attorno, pagando il ticket con la carta di credito su un parcometro personalizzato per ogni piazzola… pazzesco. Il caldo è notevole.

Per caso prendo contatto con un amico via FB e scopriamo che abita a Richmond vicino San Francisco. Ci ospita a casa sua. Grande sorpresa quando scavalchiamo la collina che si affaccia sulla baia e la temperatura si abbassa di colpo di 25°C. Ci ritroviamo cosi dai 40° ai 18°C a dover metter la felpa! Passiamo una bella serata in compagnia, veramente bene, è stato un piacere rivedere Salvatore dopo 10 anni. 15 luglio: Richmond - San Francisco - Santa Cruz: 210 km Dopo aver salutato Salvatore, iniziamo quella che sarà una giornata dedicata alla visita di San Francisco.

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Ci ha colpito come sono allacciate le linee elettriche da quella principale alle case, molto aeree. Il clima e il meteo può cambiare da un lato all’altro della baia e quindi puoi avere sole da una parte e nebbia dall’altra. Belli i ponti che collegano la città, per attraversarli si paga un pedaggio che può essere manuale o automatico. il Golden Gate tra la nebbia ha il suo fascino. Lo abbiamo fotografato da tutti i lati possibili. II sole è uscito verso mezzogiorno e ci ha permesso di vedere la città nel suo splendore. Abbiamo visitato il museo storico navale e il porticciolo di Pier 39, dove abbiamo trovato solo 4 leoni marini perché in estate migrano in Messico. Dopo un bel pranzo di pesce nella zona turistica, ci siamo diretti alla Scenic drive dal Lombard Street facendola per ben due volte! Divertente in sé anche se è più bello per chi ti guarda perché in realtà il vicolo non è tanto stretto. Poi siamo andati a vedere il quartiere della Painted Home (case vittoriane), la cui posizione con la città moderna sullo sfondo è molto suggestiva. Il nostro Volvo si rileva un mangione di benzina in città. Abbiamo poi preso la 101 South e lasciata dopo poco tempo per andare sulla costa sulla 280. Questo è un tratto molto panoramico che si stacca dall’autostrada e permette di scendere anche sull’oceano. Un timido sole dà colore ad una costa che a tratti è a picco sul mare coi suoi 60 metri di altezza. Abbiamo sceso un pezzo che aveva addirittura la corda ma non sapevamo che poi più in là c’erano delle belle spiagge. La giornata finisce a Santa Cruz al National 9 Motel per 72 dollari.

16 luglio: Santa Cruz - Gylroy - Fresno - Sequoia Park - Visalia: 460 km La pioggia ci fa compagnia per alcune ore nel tratto che da Santa Cruz ci porta fino al lago di Sant Luis lungo la 152. Da Chowchilla abbiamo preso la 99 fino a Fresno e la 180 fino al Sequoia National Park. Il paesaggio è caratterizzato inizialmente da dolci colline in rocce metamorfiche e poi un grande plateau di campi coltivati. Il panorama sul lago artificiale di Luis è bello. Nel paesaggio c’è un contrasto tra le colline con gli alberi e quelle a prati gialli.

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Il piattume finisce quando iniziamo a salire per la Sierra Nevada, un esteso complesso montuoso di granito. Visitiamo il parco nelle sue parti principali: non mi hanno impressionato tanto i due alberi più larghi del mondo (il Generale Grant e Generale Sherman alti quasi 100 m e larghi dai 10 ai 12 m) tanti quanto la Giant Forest e i gruppi di sequoie, dentro i quali puoi camminare e girare. Siamo passati con la macchina sotto l’albero caduto e visitato fino in cima la Mono Rock, un bel spuntone di granito che si sta sfogliando come una cipolla. Abbiamo incontrato anche un cervo femmina, Yoghi, Bubu, una femmina con tre cuccioli, che ci sono passati a 10 metri senza problemi. Abbiamo conosciuto due italiani di Bassano, a cui abbiamo dato un passaggio fino alla macchina visto che la avevano lasciata lontana. Cosi decidiamo di passare la serata assieme e scendiamo la 198 fino a Visalia, dove prenotiamo al Lamp Litter Inn per 64 dollari, una sorta di resort che ha camere economiche. Scopriamo che alle 22.00 qua chiudono tutti i ristoranti, resta aperto solo la versione McDrive di un locale. Giriamo l'angolo cercando il posto, scegliamo il menù in strada, ci mettiamo in fila a piedi dietro le auto e quando la tipa viene alla finestra, le faccio il clacson umano:"Pit Pit, one chicken salad please!", lei scoppia a ridere. Eh caxxo se non mi dai da mangiare da una porta vengo da quell'altra!! Italiani all'estero, no Alpitour! 17 luglio: Visalia - Yosemite Park - Lee Vining: 400 km Da Visalia prendiamo la 99 ben trafficata fino a Merced dove abbiamo svoltato per prendere la 140. Per rompere la noia della Great Valley abbiamo percorso la vecchia strada, un po’ rovinata ma piacevole e ci siamo ricongiunti con la stessa a Mariposa. E’ una cittadina che ricorda ancora il Far West ma la benzina costa un po’ di più (4.2 al gallone). In questa zona iniziano le montagne di granito e rocce metamorfiche, la cui presenza cambia la vegetazione. Si corre sul fondo della vallata e man mano che ci si alza di quota la bellezza della natura aumenta, ma anche il traffico. Percorriamo la Yosemite Valley, notevole turismo da queste parti. Si elevano possenti e nudi i batoliti del Capitan e del Half Dome, la cui cima a cupola è l’unica parte di questo territorio che non è stata toccata dall’erosione glaciale.

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Siamo infatti in un territorio protagonista di intense attività tettoniche e vulcaniche che ha subito poi notevoli modellamenti ad opera del ghiaccio visibile ancora nelle vette più alte oltre i 3000 metri sopra la vallata. La subduzione tra la placca del pacifico e quella nordamericana ha visto diverse fasi (200 milioni, 140, 90 anni fa) e sono tutte testimoniate dei complessi batolitici o vulcanici di tutto l’Ovest degli USA. L’allineamento della Sierra Nevada è una questione strutturale, qui ci sono molte faglie lunghe e lineari che hanno vincolato la forma delle montagne creando un contesto geologico molto interessante. Il paesaggio granitico la fa da padrone un po’ ovunque in questi giorni, ma trova il suo massimo espressivo nel parco di Yosemite. La cascata che attira tutti i turisti fa un salto di 900 metri in tre livelli, cioè la quota del plateau. Il bello infatti non sta tanto sotto dove vanno tutti, quanto sopra. La strada 120 che porta all’altra entrata verso Meadow è molto panoramica con paesaggi mozzafiato. La roccia è una sorta di granito (tecnicamente una grano diorite), perché presenta elementi metallici: si notano noduli infatti più scuri dentro le possenti lastre che testimoniano magmi con chimiche diverse. La caratteristica di questi territori è quella di sfogliarsi come una cipolla a causa degli agenti atmosferici (caldo – freddo, pioggia, neve) quindi i lastroni si staccano lentamente. Lungo il percorso è possibile vedere anche i segni del ghiacciaio perché le rocce sono lisciate o ben appianate. Un temporale in lontananza ci fa capire che oltre il passo del Tioga (3100 m) piove. Infatti è cosi. Le nuvole in contrasto con il sole dell’altra metà del parco rendono ancora più magico il paesaggio. La strada passa vicino a laghi trasparenti e valli glaciali dai prati di un colore verde intenso e piccoli torrenti. Il panorama in assoluto migliore si trova una volta varcato il passo. Il contrasto tra i versanti di rocce metamorfiche e vulcaniche è notevole sia nel colore (grigio-rosso) sia nelle forme (rocce vulcaniche danno montagne arrotondate, profili morbidi, mentre le metamorfiche danno versanti colorati, tutti piegati, a volte con notevoli depositi di versante). In poco tempo si scende a valle lungo questa strada 120 che culmina la sua bellezza con il Mono Lake. E qui a Lee Vining ci fermiamo per la notte in un motel a 78 dollari. Il paesetto è ben fornito di tutto quel che serve al turista, buoni ristoranti, alberghetti datati e supermercato. 18 luglio: Lee Vining - Benton Crossing - Bishop: 270 km Dedichiamo tutta la mattina a visitare il paese fantasma di Bodie, un vero simbolo del Far West originale dove regnavano i fuorilegge e la febbre dell’oro. I primi cercatori vennero qui nel 1860 e la città ebbe il suo massimo splendore tra il 1876 e la fine del ‘800 raggiungendo anche 10 mila abitanti. Poi due incendi la devastarono e quel che si vede ora rappresenta il 5%. L’ultimo nel 1932 e da quella data fino al 1960 era abitata da circa 400 persone che poi la lasciarono diventare quello che è ora, un bel museo all’aperto della storia dei cercatori d’oro. Si trova a una quarantina di km a nord di Lee Vining e per arrivarci si deve percorrere una strada sterrata di 12 km. E’ parco statale e per entrarci si paga 5 dollari a testa.

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Le case sono ancora intatte come allora e pare che la abbiano lasciate di corsa perché tutto è rimasto come allora anche se in decadenza. Era un paese che aveva 50 saloon e una chiesa. Molti venivano a cercar lavoro, ma c’era posto solo per 400 persone che lavoravano per 5 dollari al giorno (rispetto a San Francisco dove si lavorava per 2 dollari). Solo chi nasceva a Bodie poteva essere sepolto qui, ecco perché il cimitero non ha tante tombe. La visita continua dentro la fabbrica con 6 dollari in più. Una guida ci spiega che pestavano le pietre con i magli da 300 kg. Poi il materiale reso in briciole veniva mescolato con l’acqua e alla parte fina rimanente veniva aggiunto mercurio. Si vede ancora la linea di lavoro originale, anche se le macchine sono dei primi del ‘900 quando portarono anche la corrente elettrica. Negli anni ’80 sembra una ditta canadese abbia ritentato la coltivazione delle miniere, che erano state scavate fino a circa 60 metri tutte a pozzo.

Finita la piacevole visita prendiamo subito dopo l’incrocio del paese la strada sterrata (Cottonwood canyon Road), segnata come very rough, in realtà ha solo un po’ di toule ondulè. E’ una deviazione più corta che conduce al lago. Qui ci stiamo appena divertendo a fare un po’ di off-road quando ci accorgiamo che manca acqua al motore. Alberto aveva lasciato il coperchio aperto. Poi abbiamo risolto ma per un momento ci siamo preoccupati. La macchina è un po’ rigida alla guida, consuma anche un bel po’, ma per ora si comporta bene. Abbiamo pure scoperto che il climatizzatore funziona meglio pigiando il tasto auto e ha il navigatore… dopo 10 giorni che la usiamo abbiamo imparato! Facciamo una breve sosta al Mono lake a vedere le formazioni di calcite sulle rocce a bordo lago. La luce del sole fa un effetto specchio molto bello. Questo lago è molto strano perché cambia il tempo improvvisamente. Abbiamo visto da un lato della montagna una nuvola di pioggia e due fulmini. Ha pure tuonato! Prendiamo la 395 che dritta come una riga attraversa questo grande bacino vulcanico di Mono Lake. A destra sempre la Sierra Nevada ci accompagna fedele con le sue montagne messe tutte in linea perfetta, a volte vulcaniche a volte metamorfiche, è un paesaggio notevole. Passiamo per curiosità a Mammoth Lake scoprendo che è una sorta di Cortina americana con impianti sciistici e tanti alberghi. Tentiamo di visitare il Devil Postpine ma entrati nel parco della foresta di Inyo ci dicono che dobbiamo prendere il bus. Allora decidiamo che le colonne di basalto possiamo fare a meno di vederle. Riprendiamo la 395 e facciamo altre brevi deviazioni sterrate attraversando una area geotermale. Visitiamo la Hot Creek, una sorgente di acque solfuree che sgorga lungo il torrente e ne scalda l’acqua. Pare che sia ricca di mercurio, arsenico, molto calda, addirittura ustionante tanto che non è possibile toccarla. Il panorama sul piccolo canyon è

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piacevole perché i colori sono contrastanti: dal blu intenso dell’acqua al verde accesso e il marrone del plateau vulcanico dall’aspetto desertico. Arriviamo a Bishop dove troviamo un motel TownHouse a 72 dollari. La camera è carina perché arredata con tavole in legno, ma è un po’ datata e non molto pulita. Visto l’area meno di cosi non si paga. Passiamo una notte un po’ insonne causa la presenza di alcuni ragazzi in festa sul nostro terrazzo. Quando sono andata ad avvisare in reception il tipo ha tirato fuori la pistola staccando il caricatore. Che impressione! Siamo andati insieme poi a risolvere la questione ma è servito a poco. Nella notte sono tornati con cani che abbaiavano finché Alberto è uscito parlando inglese come Sordi in mutande… Che scena memorabile! 19 luglio: Bishop - Racetrak Playa - Death Valley - Beatty: 425 km di cui 260 km in pista Nonostante la notte in bianco questa giornata sarà la più impegnativa tecnicamente. Abbiamo affrontato la Death Valley da nord lungo la Death Valley Road, subito dopo Big Pine, fino al Ubehebe Crater. Il deserto si manifesta subito con i primi cactus strani, che sembrano palme pelose, e le montagne colorate, in particolare le prime sono a cresta di drago. Qui si trovano rocce di tutti i tipi per questo ci sono molti colori. Una ampia vallata in leggera discesa ci porta fino a quella principale in una esplosione di meraviglia che aumenta man mano che passa il tempo, come pure la temperatura. Arriviamo a 39°C ma il vento non li fa pesare. La pista è in buone condizioni. La visita al cratere è una vera sorpresa perché appare di colpo davanti a te quando parcheggi. E’ fondo 150 metri e ha eruttato 2000 anni fa, per questo motivo questa parte di vallata è tutta nera come essere sulla Luna. La pista peggiore è quella che parte da questo cratere fino al sito delle pietre mobili. Incuriositi da questo fenomeno prendiamo la Racetrack Valley Road, un pessimo e antipatico toule ondulè che ti accompagna per 50 km, ma merita arrivare in fondo per vedere le tracce di queste pietre, alcune vanno pure a zig-zag. Il motivo di questo fenomeno non ha visto ancora spiegazioni certe dagli scienziati: essendo un lago di fango e silt quando si bagna diventa estremamente melmoso e il vento forte che circola qui potrebbe spostare le rocce. Infatti pare che i sassi partano tutti dallo stesso punto, ma non è chiaro come mai poi possano cambiare direzione. Una teoria più recente sostiene che la superficie si ghiaccia e quando si scioglie, piccole lastre con sopra le rocce partono alla deriva scivolando sul fango. Cosi si spiegano certe traiettorie. Invece di continuare su questa strada e fare il passo di Lipincot Road, di cui non sapevamo le condizioni, decidiamo di tornare indietro e prendere al bivio delle pentole la Hunter Mountain Road per andare al passo South e fare la Saline Valley Road. Le condizioni sembrano buone. Un giro molto più lungo di quello che avremmo fatto proseguendo dal lago. Dopo un paio di ore di pista incontriamo quella che viene su diretta dal lago e constatiamo che è in buone condizioni. Forse abbiamo fatto la parte più impegnativa. Abbiamo percorso per lungo un paio di vallate passando

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dietro la catena montuosa del lago, per poi salire in quota fino a 2100 m lungo tratti anche ripidi. Pareva che la cima non arrivasse mai perché avevamo perso il bivio nell’ultima vallata. Non è infatti segnato chiaramente. Nei tratti a Ouadi l’acqua ha rovinato un po’ la strada e quindi non è tutta buona. Inoltre il cambio automatico non permette di avere la padronanza del motore e la guida non è sempre sicura, si è fatta tecnica in alcuni punti. La macchina ha comunque risposto bene. Le gomme poi non erano da questo tipo di terreno, ora sassoso, ora sabbioso. Una volta arrivati in quota, la strada è sub-pianeggiante per una dozzina di km tra la bassa vegetazione su terreno della famiglia del granito. Ci congiungiamo con la 190 che scende da Bishop. In tutto abbiamo percorso 260 km di piste. E’ stata una bella impresa, un po’ adrenalinica e molto panoramica che ci ha permesso di scoprire un lato molto meno turistico della Death Valley. Finito di fare i fuori stradisti, diventiamo di nuovo turisti e scendiamo dentro la vallata. Arrivati a Paramint Springs la benzina costa il doppio che dalle altre parti e non hanno posto da dormire. Il caldo poi aumenta e alla ore 19.00 quando siamo sulle dune di sabbia il clima ha una temperatura di 44°C con un vento caldissimo, che ha sollevato pure una tempesta di sabbia su un lato della valle! Diciamo che è un posto molto poco ospitale e selvaggio. In pratica la Death Valley non è una vallata unica, ma ha due livelli: la valle si presenta bella larga al centro, mentre ai fianchi ha montagne colorate e pianori più stretti. Il panorama è decisamente mozzafiato. Arrivati al bivio per Fornace Creek deviamo per la Daylight Pass Road 374 per andare in Nevada a Beatty visto i prezzi della Paramint Resort (180 dollari), dove troviamo hotel Exchange per 68 dollari. Rispetto alla Death Valley qui ci sono 10°C in meno. Davanti a questo un pittoresco e caratteristico Saloon attira la nostra attenzione. E’ un classico bar con bancone a ferro di cavallo e musica metal. Nella parte dietro ha anche ristorante e biliardo. Mangiato bene. Posto da vedere. La benzina costa 3.70 dollari! 20 luglio: Beatty - Death Valley - Las Vegas: 400 km Giornata dedicata a fare i turisti visitando i punti più famosi da Fornace Creek fino a Sud. Molto suggestiva la strada degli artisti, tutta colorata per la presenza di minerali di ferro, alluminio, titanio, clorite che danno colori dal rosso al verde. Raggiungiamo i 49°C e beviamo due galloni di acqua in tutto il giorno. Quando Alberto mi chiede se voglio fare ancora piste lungo il Creek, gli rispondo che il Crik glielo do giù per la testa! Cosi facendo abbiamo attraversato questa vallata da nord a sud completamente ammirandone ogni sua parte. La zona più bella è decisamente quella da metà in giù, la turistica, perché molto più

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colorata e con più cose da vedere. Quella a nord è più selvaggia e piacevole per un fuoristradista. I colori non mancano, sembra a tratti più ampia, ma forse non avendo trovato nessuno, la sentivamo più selvaggia. Usciamo dalla valle a sud e passiamo per Mohave Desert. Il paesaggio è desertico e colpiscono soprattutto le grandi distese pianeggianti. Entriamo a Las Vegas e tutto il mondo cambia. Ci perdiamo per l’albergo Hotel e Casino Riviera, trovato grazie a una offerta nel booking per 30 dollari! Trattengono 100 dollari dalla carta come cauzione. Alla fine le tasse saranno 16 dollari, quindi attenti alle offerte, non sono prezzi reali. Aspettiamo che cali la notte e facciamo una passeggiata lungo la Las Vegas Road, che è la strada principale fino alla Torre Eifell, entrando e uscendo dai casinò dove sei costretto a passare grazie a passerelle. Per caso assistiamo allo spettacoli del fuoco sull’Isola del tesoro e a quella dell’Acqua davanti al Bellagio. In giro una grande quantità di gente, dove si vede di tutto e si venderebbe anche l’anima. La piccola Venezia ci fa sentire a casa, ma quello che si vede qui a dirlo non ci si crede. E’ tutta una pazzesca e divertente esagerazione. 21 luglio: Las Vegas - Sky Walk - Kingman route 66: 355 km Prima di uscire da Las Vegas andiamo a vedere il negozio di Rick Erisson, quello della trasmissione Cielo. E’ diventato oltre che un shop anche un posto che attira turisti. I personaggi sono in vacanza purtroppo, non li abbiamo visti. Ma è tutto reale. Usciamo da questa città di follie per andare al Grand Canyon passando per la diga di Hover, molto affollata. Quando arriviamo al Grand Canyon ci fanno salire su una navetta per la modica cifra di 70 dollari a testa. Le soste da fare sono tre, lo Skywalk si trova alla seconda. L’emozione è forte all’inizio, quando hai le gambe rigide e tenti di camminare nel vuoto. Fortunatamente l’ombra non fa capire la profondità, ma è adrenalinico lo stesso. Dopo un po’ ci si abitua comunque. Per aver le foto però si deve pagare 60 dollari per tutte in USB, oppure 15-20 se se ne vuole una stampata. Diciamo che alla fine la spesa totale è notevole per un posto cosi. L’ultima sosta è quella più bella perché il panorama è da una insenatura che permette di vedere tutto il percorso lineare del

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Colorado. Sempre una emozione, un po’ rovinata dal andirivieni degli elicotteri che portano i turisti a spasso nel canyon. Forse un po’ esagerato anche qua. La serata la passiamo a Kingman, scendendo verso sud per prendere la storica Route 66. Troviamo per 38 dollari una camera presso Arizona Inn, molto modesto, ma ha un ristorante oltre la strada molto comodo e buono. 22 luglio: Kingman - Yuma - Indio: 670 km Dopo aver preso per un breve tratto la strada storica 66, scendiamo verso sud lungo la 95 seguendo in pratica il Colorado, che in alcuni è proprio colorado, un blu intenso. Dove c’è il London Bridge hanno fatto una grande area ricreativa.

Passato Parker la strada diventa un bel rettilineo di 80 km che attraversa Quarzsite. Ha un asfalto a volte ondulato perché attraversa immensa piana alluvionale, che quando piove è soggetta a piene improvvise. Il paesaggio diventa desertico con i cactus saguari molto alti e altre piante grasse. Il Tripadivisor ha il punto GPS sbagliato e manchiamo la visita al Castle Dome, che sarebbe la vecchia Yuma. La città moderna ora ricopre una vasta area pianeggiante in parte coltivata, in parte base militare. Dopo aver pranzato in una ottima RoadHouse, prendiamo la strada 8 che costeggia il confine con il Messico e con grande sorpresa le dune sono a ridosso dell’autostrada. Ci fermiamo in una area ricreativa per le foto e la sabbia è veramente bollente. La temperatura dell’aria sfiora i 50°C e io sento le scarpe quasi squagliarsi! Vi sono diversi pick-up di poliziotti che presidiano il posto. Usciamo dalla strada 8 e prendiamo la strada principale 115 fino a Calipatria e successivamente la 111. Tanti campi coltivati. Il Lago Salton non è niente di speciale: le spiaggette ci sono ma sembra ci sia

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caduta una tragedia e tutto è andato in malora. Nella parte più a nord è pieno di campi di palme da dattero. Ci fermiamo a Indio (prima non c’è assolutamente niente), dove troviamo al Motel 6 per 63 euro un posto da dormire. Gli altri motel erano abbastanza scadenti. Niente cena. 23 luglio: Joshua Tree Park - San Bernardino - Palmdale: 475 km Andiamo a visitare il Joshua Tree National Park che si rivela una sorpresa continua di geologia. Prendiamo da Indio fino al parco la strada 10 e entriamo lungo Cottonwood road. Presso il Centro Visite i ranger gentilissimi mi danno alcuni libri sulla geologia della faglia di Sant’Andreas e sul parco. Qui nel punto panoramico del Monte S. Joaquin è possibile vederla chiaramente. E' timida sta faglia, non è come quella Periadritica nostra a Andreis, questa più ti avvicini e meno la vedi. D'altronde è 10 volte più lunga di quella nostra arrivando a 1100 km e non sta da sola, bensì in compagnia di altre minori in un contesto più complicato. Per gustarla e capirla devi andare in alto e osservare le morfologie. Non si presenta con piani chiari, spesso è nascosta perché non si muove da molto tempo, ma quando la vedi è una riga perfetta. Rappresenta geologicamente un punto molto interessante per essere il contatto tra due placche, quella del Pacifico e quella Nordamericana. In pratica correndo per strada la si segue anche senza volerlo e quindi si è spesso a cavallo di due placche! Nella parte a sud della faglia ci sono una serie di paesi sorti su sorgenti, che a quanto pare emanano vapori inquinando l’aria della vallata. Le sorgenti sono nate sulle faglie che hanno un rigetto di mezzo metro: gli scalini infatti dove sgorgano sono di origine tettonica. Il parco è molto interessante e bello! Di particolare presenta cactus alti come alberi e il contatto tra gneiss precambriano e monzogranito cretacico. Il granito ha la caratteristica di presentarsi in grandi blocchi arrotondati che si chiamano boulder. La temperatura qui è di 45°C in media e ha favorito lo sviluppo di un bel deserto. Finito il giro siamo scesi per Yucca, dove abbiamo preso la 10 fino a San Bernardino. Qui abbiamo deviato nella foresta omonima lungo la strada 138 che ci ha portato a Palmdale. La faglia si trova tutta a sinistra della strada a ridosso della prima colline. E’ molto divertente la guida della strada che dal paese di San Bernardino si alza sulle montagne ripida e con bei tornanti. In quota diventa più pianeggiante. Si vedono diverse faglie e sempre le metamorfiche a contatto con le vulcaniche. Ci fermiamo al Motel 6 per 58 dollari e di fianco ha anche un buon ristorante. Meditiamo e programmiamo la giornata di domani. La caccia alla faglia continua.

24 luglio: Palmdale - Carrizo Plain - Morro Bay: 380 km Dopo aver chiesto alla cameriera dove si trova la Palmdale Road Cut e aver studiato su Google i punti della faglia, la troviamo tale e quale la fotografia: eccezionale taglio dato dall’autostrada

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permette di vedere il piano di scorrimento dato da una serie di pieghe! E’ una faglia timida e coperta, quindi tutte le collinette che si vedono attorno sono il risultato della sua deformazione. Decidiamo di seguire la faglia seguendola proprio standole sopra: abbiamo percorso la Elizabeth Road, la Pino canyon Road e la Frazier Park Road, che è la strada più bella e piacevole di tutta la tratta con un bel panorama a 1300 m di quota nella Foresta di Los Angeles prima e poi Los Padres (catena montuosa di San Gabriel). La faglia non è visibile se non in qualche allineamento. Un bel affioramento nel Lago Elizabeth di calanchi in roccia vulcanica permette di rompere il lungo percorso e godere del risultato dell’erosione. In tutto questo tragitto passiamo sul passo Tejon dove si incontra una altra grande faglia, la Garlock, proveniente da est. Le montagne alla nostra sinistra sono sempre granitiche. Il top della faglia viene visto entrando prima nella Carrizo Plain lungo la Soda Lake road e poi lungo la Elkhorn road, entrambe sterrati in buoni condizioni per circa 70 km che si snodano dentro quello che pareva un parco ora abbandonato. Nella prima strada si percorre la spianata di Carrizo osservando l’allineamento ad oriente, in pratica dove finisce la parte piana e iniziano le colline; nella seconda si possono ammirare i punti di scorrimento grazie anche a dei cartelli esplicativi. La faglia si manifesta con un dislocamento di 130 metri del Wallace Creek tutto perfettamente lineare… pazzesco! Sulla parte piana si sta sulla placca Pacifica, mentre su quella collinare è Nordamericana. Si muove di 34 mm all’anno e questo porta poi torrenti più recenti a dislocare il loro percorso lineare in curve a gomito evidenti. Invece altri due torrenti sono ora tranciati di netto con un dislocamento di 9 metri avvenuto tutto di un colpo con il terremoto del 1852 (8.2 magnitudo). La faglia si manifesta con una leggera scarpata dal bordo lineare (massimo 1,5 – 2 m). E’ un sito estremamente istruttivo. Abbiamo trovato due stazioni sismografiche, picchetti per misure GPS e alcuni punti geodetici proprio sul dislocamento dei torrenti. Il caldo non è particolarmente insopportabile, circa 38°C. L’asfalto della strada 58 sta a pochi minuti dal Wallace Creek e poi 120 km fino al mare lungo la 101. Peccato che eravamo a 70 km di autonomia! Alberto:”Ora andiamo al mare, spero di trovare un distributore”. Io:”Varda che su tutta questa strada non ci sono altri paesi.” Lui:” Non mi dire che per 100 km non c’è niente?”. Io:”Sì…”. Lui:”Ah siamo in riserva… dobbiamo fare 55 miglia e siamo a 30 di autonomia, ma il GPS mi dà un paese che si chiama La Panza”. Io:”E’ quella che caleremo spingendo la macchina fino al distributore!!”. Lui:”Eh mi sa che il GPS ha ragione …”. Io:”Andiamo a risparmio, spegni climatizzatore!”. Lui:”Metto in folle, con sto cambio chissà se va”. E cosi siamo arrivati a Santa Margarita con la macchina che aumentava i numeri di autonomia e noi che agli stop non ci ricordavamo che non c’era la marcia e ci chiedevamo perché non andava!

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Arriviamo a Morro Bay con la metà dei gradi di temperatura e un forte profumo di mare. Hotel TravelLodge a 100 dollari e camminata sulla spiaggia. Andiamo a cenare sulla baia dove mangiando pesce ci spennano. Il salmone è molto buono. Prima del tramonto riusciamo a vedere un airone, un paio di pellicani e i leoni marini che aspettano il cibo. 25 luglio: Morro Bay - San Barbara - Los Angeles: 390 km Partiamo da Morro Bay con la nebbia di umidità che si mantiene costante per un paio di ore su tutta la costa. Il sole compare a Santa Barbara mostrando la bellezza di queste spiagge bianche dalle alte palme. Entriamo e usciamo spesso dalla strada 101 che in pratica passa attraverso le principali località di mare fino a prendere la Uno che percorre le montagne di Santa Monica lungo una bella scogliera diventata parco marino. A parte qui, il traffico è notevole sulla principale arteria causa lavori in corso che ci stancano parecchio. L’umido poi non aiuta. Abbiamo avvistato al largo anche dei delfini e se va bene si possono vedere anche balene. Le case sono costruite alcune sull’oceano rialzate come palafitte, altre proprio a pochi metri come mostrano nei film. Ecco perché hanno un bel rischio tsunami da queste parti! Alla fine di Santa Monica inizia Los Angeles e il grande traffico che ci porta a desistere dall’andare a Hollywood e optare per l’albergo, il Super 8 a 114 dollari. E’ ben fornito, con ristorante greco dentro e attaccato all’area deposito delle macchine a noleggio. Consegniamo la nostra presso hotel Reinasseince e questa avventura si è conclusa. 26 luglio: Los Angeles - Venezia Alle 5 di mattina lo shuttle ci aspetta puntuale fuori dell’albergo. Facciamo il check-in e passaggio dogana in mezza ora. Puntuale la partenza dell’aereo e molto buona la compagnia Delta. Arriviamo ad Atlanta e ripartiamo in perfetto orario. Ottimo il cibo servito. Tutto procede tra un pisolino e l’altro. Quando arriviamo a Venezia scopriamo che ci hanno ispezionato la valigia, piena di sassi come era forse si son chiesti come mai pesava cosi tanto!