Diario Missionario n.32

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M i s s i o n a r i o

n°32 Pasqua 2009

F o g l i o d i c o r r i s p o n d e n z a c o n i

m i s s i o n a r i

Buona PasquaBuona PasquaBuona PasquaBuona Pasqua

dal Giappone, in ricordo di

P. Riccardo Magrin

da Nigrizia editoriale del numero di

Marzo

Indirizzo: Diario Missionario C/O Parrocchia San Lorenzo piazza Prandina – 35010 San Pietro in Gu – (PD) - ITALIA

email: [email protected]

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In ricordo di Padre Riccardo Magrin riportiamo alcune delle notizie apparse nel sito dei missionari del P.I.M.E.(Pontificio Istituto Missioni Estere): “Asia News.it” http://www.pime.org/news/news_scheda.asp?id=503&l=it 26/11/2008

Giappone − P. RICCARDO MAGRIN (1924-2008 Oggi alle 16,30 ore locali è morto P. Riccardo Magrin, missionario in Giappone dal 1954, aveva 84 anni. Era nato a S. Pietro in Gù (Padova) il 2 gennaio 1924 e nel 1937 era entrato nell'Istituto a Treviso come studente. Il 26 giugno 1948 fece il Giuramento definitivo e l'anno seguente fu ordinato sacerdote a Milano. Per un anno rimase a Treviso come prefetto, poi nel 1950 divenne vice-rettore e insegnante nel seminario di Vigarolo (Lodi). Dopo quattro anni di servizio in Italia, gli fu assegnata la sua destinazione, il Giappone. Partì il 30 luglio 1954 per Tokyo, dove si fermò 2 anni a studiare la lingua giapponese. Ha svolto il suo ministero in Giappone in diverse parrocchie del Saga-Ken e nel 2001 e` stato nominato cappellano dell`ospedale cattolico di Kurume. Proprio in questo ospedale, P. Magrin e` morto a causa di un tumore al polmone. P. Magrin e` stato un missionario che ha svolto con dedizione ammirevole il suo apostolato, dando soprattutto spazio alla preghiera e alla visita degli ammalati. I funerali si svolgeranno domani, 27 novembre nella chiesa di Kurume e il 28 novembre nella cattedrale di Fukuoka

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1924 Nasce a il 2 Gennaio S. Pietro In Gù (Padova)

1937 Entra nel PIME

1949 Viene ordinato sacerdote

1954 Parte per il Giappone

1956 Viene nominato coadiutore della parrocchia di Saga

1958 Viene nominato parroco della parrocchia di Saga

1963 Viene nominato parroco della parrocchia di Takeo

1978 Viene nominato parroco della parrocchia di Karatsu

1983 Viene nominato parroco della parrocchia di Tosu

2001 Viene nominato cappellano dell'ospedale Santa Maria di Kurume

2008 Muore il 26 Novembre all'ospedale Santa Maria di Kurume

Il Missionario che amava : p. Riccardo Magrin (PIME)

Ferruccio Brambillasca

Pontificio Istituto Missioni Estere in Giappone Superiore Regionale Qual’è il senso della nostra vita? Mentre viviamo in questo mondo c’è veramente qualcosa per cui vale la pena vivere? Credo che nella nostra vita siamo chiamati a fare una scelta tra due strade, la strada di chi decide di vivere solo per se stesso e la strada di chi decide di vivere per gli altri. Nella Parola di Dio troviamo la seguente affermazione: “Se non avessi la carità sarei un nulla”. In altre parole potremmo dire che ciò che salva l’uomo, ciò che fa di un uomo veramente un uomo, è la carità, l’amore. Ad esempio, la mamma che aiuta il bambino, l’uomo in salute che aiuta l’uomo ammalato, il giovane che aiuta

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l’anziano, se tutti questi non avessero la carità, l’amore, il loro aiuto sarebbe vano, un nulla, quasi qualcosa di cui presto non ci sarà ricordo....... L’anno scorso, in Novembre, noi missionari del Pime in Giappone abbiamo perso un nostro caro confratello, p. Riccardo Magrin di 84 anni, di cui 54 anni spesi in Giappone. P. Magrin attraverso l'amore, la carità ha aiutato, incoraggiato tantissimi giapponesi. In modo particolare coloro che soffrivano nel corpo e nello spirito. Pensate, più di un migliaio di giapponesi hanno visitato la salma di p. Magrin nei giorni prima del suo funerale. P. Magrin ha amato il popolo giapponese ed è per questa ragione che il popolo giapponese ha amato tanto p. Magrin.

In un quaderno di p. Magrin che ho trovato, p. Magrin così scriveva circa il valore dell'amore, della carità: “ Se tutti gli uomini si amassero veramente con tutto il cuore, questo mondo in cui viviamo diventerebbe un mondo di pace e tutti sarebbero felici. La forza dell'amore spinge l'uomo a gioire e a soffrire per la persona amata. L'amore è ciò che lega veramente gli uomini e i loro rapporti. Anche il perdono non è lasciare che l'altro abbia il sopravvento su di te, ma, grazie alla forza dell'amore, andare oltre per creare dei nuovi rapporti”.

Coloro che sono in paradiso, essendo in comunione con Dio, hanno ormai uno sguardo vero e universale sul mondo intero. Anche p. Magrin, in questo momento, ha ormai raggiunto questo sguardo universale e vero verso il mondo intero. Questo sguardo universale di p. Magrin sul mondo intero credo che sia la continuazione di quello sguardo d'amore che lui ha sempre avuto su questa terra. Questo sguardo d'amore è come una preghiera di p. Magrin per il mondo intero. Una preghiera che non avrà mai fine.

P.Ferruccio

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P. Riccardo Magrin, martire della speranza fra i malati e gli anziani del Giappone

di P.Pino Cazzaniga

04/12/2008 10:46 Il missionario italiano del Pime, morto alla fine di novembre, ha speso 54 anni in Giappone, penetrando nella mentalità e nella cultura della gente. Negli ultimi anni di vita ha vissuto fra gli ammalati di un ospedale di ispirazione cattolica a Kurume.

La vera globalizzazione avviene attraverso la preghiera e la testimonianza. Tokyo (AsiaNews) Il vescovo Domenico Miyahara non ha esitato ad accostare la sua personalità a quella dei 188 martiri giapponesi, beatificati il 24 novembre scorso. La parola “martirio”, nel significato originario, indica il dono totale della propria vita per amore di Cristo. Ed è questa, secondo il vescovo, il

senso della vita di p. Riccardo Magrin, missionario del Pime, morto a 84 anni, lo scorso 26 novembre. La sera del 27 novembre centinaia di persone hanno riempito la chiesa di Kurume (Fukuoka, Kyushu) per dare l’estremo saluto al missionario italiano. Gran parte dei presenti erano dirigenti, medici e infermiere, in maggioranza non cristiani, del “Sei Maria Byoin”, il grande ospedale “Santa Maria”, dove il padre Riccardo ha trascorso come cappellano gli ultimi sette anni della sua vita. P. Magrin era nato a S. Pietro In Gu` (Padova), nel 1924. Destinato alle missioni del Giappone nel 1954, vi è rimasto fino alla morte, lavorando in cittadine della prefettura di Saga, una delle meno note. Nel 2001 aveva deciso di lasciare l’incarico della chiesa cattolica nella città di Tosu, ritornare in patria per riposo e dedicare gli ultimi anni alla contemplazione. Ma il dott. Michio Ide, direttore dell’ospedale di Kurume, lo ha invitato a diventarne il cappellano. E p. Magrin ha accolto l’invito. Qualche mese dopo, in una lettera indirizzata al suo superiore, ha scritto: “Qui la Provvidenza per vie misteriose mi diresse a passare gli ultimi anni della vita. Per me è un lavoro tutto nuovo ma si presenta pieno di iniziative spirituali e corporali”. Aveva 77 anni! “Sto constatando – continuava - che la chiesa è importantissima all’interno dell’ospedale, perché la gente ha bisogno di un luogo e di una persona che permetta l’incontro con Dio. La sofferenza molto spesso avvicina le persone a Dio. Scopro ogni giorno quanto sia importante portare conforto e speranza”.

L’ospedale Santa Maria

L’ospedale “Santa Maria” di Kurume ufficialmente non è un’istituzione ecclesiastica. É stato fondato circa 90 anni fa dal dottor Ichiro Ide, padre dell’attuale direttore, un fervente cattolico di Nagasaki, per servire i poveri che non

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erano in grado di ricevere adeguata assistenza medica. Il modesto ambulatorio degli inizi è diventato una clinica dalle dimensioni impressionanti: vi sono annessi anche un ospizio per anziani non autosufficienti e una rinomata scuola per infermiere a livello universitario. Vi abitano o lavorano oltre 4000 persone tra ammalati, medici, infermiere e volontari. La stragrande maggioranza non sono cristiani, ma lo sono i principi e lo spirito che animano l’attività di tutto il complesso. Nell’opuscolo che indica la finalità della fondazione si legge: “L’assistenza medica offerta agli ammalati e l’educazione tecnica impartita alle aspiranti infermiere sono basate sullo spirito cattolico dell’amore”. Sul frontone dell’edificio fanno spicco tre ideogrammi che, tradotti, significano “Fede, Speranza, Carità”.

Quando, circa 30 anni fa, il vescovo di Fukuoka ha deciso di ricostruire la cattedrale, il direttore del “Santa Maria” ha chiesto di poter trasportare e ricostruire la vecchia chiesa nel recinto dell’ospedale, perché diventasse luogo di consolazione

e speranza. Lo è diventata di fatto quando l’ingaggiato vecchio missionario ha accettato di assumerne la responsabilità. Padre Riccardo, senza alcun atteggiamento di proselitismo trascorreva la mattinata visitando, dice, “gli ammalati che conosco e attraverso questi vengo a conoscerne tanti altri”. E così la consolazione usciva dalla porta della chiesetta come un discreto ma vivo “fiume di speranza”..

In una lettera da lui scritta all’inizio di questo nuovo lavoro dice: “Di cose ospedaliere io non me ne intendo affatto. Però come uomo io vorrei essere vicino a chi lavora come me in ospedale, vorrei condividere con loro le gioie e i dolori. Tutti abbiamo momenti felici e momenti meno felici. Vorrei che le persone che lavorano in ospedale, quando vivono questi momenti infelici, possano sentirsi liberi di parlare con me e io possa essere per loro una luce che dona speranza”.

E lo è stato in modo crescente specialmente verso la fine della vita quando i medici gli hanno diagnosticato un tumore ai polmoni. Cosciente di aver pochi mesi da vivere, non si è lasciato vincere dalla rassegnazione. ma ha continuato a consolare gli anziani ammalati dell’ospizio.

Ricordando tutto questo, ai funerali, il vescovo Miyahara ha esortato i presenti

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“a non lasciarsi sopraffare dalla mestizia ma a dare la precedenza al sentimento di gioioso ringraziamento a Dio per il dono che ha fatto alla chiesa di Fukuoka e al Giappone nella persona di padre Riccardo.” Ma anche “la mestizia, ha aggiunto, è giustificata perché abbiamo perso una grande esistenza”.

Un’esistenza fruttuosa e riuscita. Lo ha sottolineato p. Ferruccio Brambillasca, attuale superiore del PIME in Giappone. “Quello che veramente dispiace non è il fatto che si debba morire, ma il fatto che si ‘sprechi’ la propria vita. P. Magrin è stato un missionario che non ha ‘sprecato’ nemmeno un istante della sua vita, e per questo è da tutti ben ricordato. Anche quando padre Magrin è stato ammalato non ha mai smesso di continuare il suo apostolato andando a trovare gli ammalati con cura e dedizione”

Missione e globalizzazione

Un altro aspetto non secondario della sua esistenza è quello di essere stato un europeo in Giappone. La globalizzazione, che è la caratteristica della nostra epoca, non la si costruisce con i computer, i sistemi finanziari e, tanto meno, con la forza militare, ma con il dialogo di vita fra persone di culture diverse. Per un occidentale , diplomatico o commerciante che sia, non è un’impresa ardua vivere nelle metropoli del Giappone. Sostanzialmente diverso è il caso di un europeo che vive 54 anni in una regione del Giappone dove non si incontrano europei o americani. Per inserirsi e vivere a lungo in tale ambiente occorre condividere la vita della gente comune parlandone la lingua e adottandone i costumi. In questo modo egli può comunicare non solo una dottrina ma più ancora i valori incarnati nella sua persona. La gente della prefettura di Saga ha capito cos’è la cultura europea non attraverso i programmi culturali televisivi, ma vedendo la figura dell’ umile ed esile missionario.

Per raggiungere questo livello di comunicazione culturale gli è occorsa un’immensa energia morale che egli ha attinto dall’alto, attraverso una preghiera continua. Il fatto che i responsabili dell’Unione Europea abbiano deciso di non accennare al cristianesimo come radice dell’Europa non può non produrre tristezza. Certo, negli scritti di Immanuel Kant, che molti hanno eletto come padrino filosofico della modernità occidentale, si trova - osserva il teologo protestante Oscar Cullmann - un vero e proprio cumulo di insulti nel definire la preghiera: ‘voglia di follia’, ‘culto viscerale’, ‘fanatismo religioso’, ‘ipocrisia’. L’europeo Riccardo Magrin, attraverso l’assidua preghiera, ha ottenuto l’intuizione religiosa e l’energia che gli hanno permesso di rispettare, amare e consolare molti giapponesi e di esserne riamato. Questa esperienza manda in frantumi la tesi delirante del filosofo tedesco.

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da nigrizia marzo 2009 l’editoriale

IL PAPA IN CAMERUN E ANGOLA

Benedetta Africa

ascoltiamola i siamo quasi scordati dell’ultima volta di un vescovo di Roma in Africa. Fu quella di Giovanni Paolo II in Nigeria, dal 21 al 23 marzo 1998, per la beatificazione di padre

Cyprian Michael Iwene Tansi. A 11 anni di distanza, non può non suscitare grande gioia e tanta speranza il viaggio di Bene-detto XVI in Camerun e Angola, a 40 anni dallo storico incontro di Paolo VI con il continente a Kampala. Fu quella la prima volta di un Papa in Africa.

A guardare il programma della prossima visita (vedi pag. 61), tuttavia, non c’è da abbandonarsi a eccessivi entusiasmi. Papa Ratzinger avrà molte occasioni per parlare, per ripetere, anche ai vescovi africani, quanto gli sta più a cuore per il bene della chiesa cattolica. Bene. A noi, però, sembrerebbe importante che il Papa trovasse un po’ di “tempo da perdere” per ascoltare, al di là dell’ufficialità, il “grido dell’uomo africano”. Solo così, ci pare, potrebbe farsi realmente interprete e portavoce, presso la chiesa tutta, della sofferenza, della gioia e dell’immensa speranza di un continente la cui voce stenta a farsi sentire, non solo sui media mondiali e nostrani, ma anche nei sacri palazzi vaticani.

Il viaggio avviene dopo le roventi polemiche che hanno accompagnato il ritiro della scomunica ai vescovi lefebvriani ordinati nel 1988 da quel monsignor Marcel Lefebvre che era stato vescovo a Dakar (Senegal), e, per quel che riguarda il Belpaese, dopo un impressionante “accanimento mediatico” di virulenza inaudita sul caso Eluana. Il nostro timore è che lapertura di porte ai lefebvriani riporti indietro l’orologio della storia conciliare, che, come la crisi finanziaria ed economica mondiale, non può non ripercuotersi pesantemente sul più debole (capisci Africa). Paventiamo indifferenza, se non vero e proprio rifiuto, del cammino sulla via dell’inculturazione, che richiede tanta immaginazione, e del dialogo con le religioni tradizionali africane, magari giungendo a misconoscere in esse i semina Verbi. Insomma, il rifiuto di tutto un continente che, dagli anni delle indipendenze, reclama, senza risposta, il suo posto al tavolo dell’umanità.

Ci è sembrato che anche il caso Eluana Englaro relegasse ancor più in seconda, terza posizione problemi e realtà che qui, in casa nostra, interrogano la nostra coscienza di missionari e di chiesa solidale. A cominciare dall’integrazione e dall’accoglienza di centinaia di migliaia di fratelli africani che bussano alla nostra porta di paese “ricco”.

Non è questione di buonismo. Siamo coscienti che l’italia non può accogliere tutti e che il problema irregolari (più giusto chiamarli così che “clandestini”) suscita preoccupazioni e paure. L’irregolarità va combattuta. Ma come? Questo è il

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problema. Al ministro degli interni, Roberto Maroni, che mostra il volto ringhioso del mastino custode dell’italianità padana, vorremmo ricordare che le radici cristiane portano con sé anche tutta una dottrina, che va sotto il nome di” insegnamento sociale della chiesa”: certo molto ignorato, ma che detta regole ben precise di accoglienza e solidarietà — vorremmo dire, bontà —‘ ispirate alle parole e ai comportamenti di Gesù di Nazaret, che proclamò “benedetto” chi accoglie: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25, 35).

Questo aspetto “sociale” della fede cristiana è particolarmente presente nel vissuto delle comunità cristiane d’Africa. Lo troviamo bene espresso nelle lettere che i vescovi di quel continente indirizzano alla loro gente per sostenerla nella fe-delta al Signore della Vita. Questi messaggi rappresentano, non qualcosa che piove per deduzione dall’alto di un insegnamento magisteriale, ma un’eco della voce degli antichi profeti. Come Amos, il profeta della giustizia sociale, che parlava di un Dio difensore del diritto dei poveri e contro coloro che «vendono il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali» (2, 6). Anche in Africa, Dio è contro chi opprime i deboli e schiaccia i poveri, «detesta le feste solenni e non gradisce le riunioni sacre», e vuole che «il diritto scorra come le acque e

la giustizia come un torrente perenne». O come Osea, che denunciava l’arroganza, la frode, «le bilance false», la danza di chi si prostra al vitello d’oro della finanza: «Con il loro argento e il loro oro si sono fatti idoli». Vivere nell’ingiustizia rende insignificanti le celebrazioni religiose. Come i profeti, anche i vescovi africani si scagliano contro l’ingiustizia che domina i rapporti umani all’interno dei gruppi e nei rapporti internazionali. E lo fanno perché la gente viva.

Noi speriamo che il secondo Sinodo africano, che sarà particolarmente concentrato sul sociale (giustizia e pace come parti imprescindibili dell’annuncio cristiano), possa rappresentare per i nostri vescovi, qui in Italia, un’occasione da non perdere per «ascoltare quello che lo Spirito dice alle chiese». Dall’Africa viene sempre qualcosa di nuovo. Anche l’invito a sporcarsi le mani, per mostrare il volto di una chiesa non schierata con i detentori del potere — come molti oggi la percepiscono, e forse non a torto —‘ ma serva, sempre, anche nel servizio della Parola, e ovunque stretta ai poveri, minacciati da una crisi che si annuncia drammatica.

NIGRIZIA marzo 2009

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