Dialogo di Mons. Louis Sako ospite all'edizione di MolteFedi 2011.
-
Upload
dimitri-bigoni -
Category
Documents
-
view
214 -
download
0
description
Transcript of Dialogo di Mons. Louis Sako ospite all'edizione di MolteFedi 2011.
D.R.: “L’incontro di stasera è un incontro particolarissimo e importante,
un incontro a cui abbiamo tenuto molto noi delle Acli. E’ l’incontro con un
cristiano, un vescovo, che proviene dal vicino Oriente, o meglio dalla
Mesopotamia, la regione che fa parte della Mezzaluna fertile. La
Mesopotamia è la terra tra i due fiumi, il Tigri e l’Eufrate; una terra che
richiama alla mente Sumeri, Assiri, Babilonesi; una terra che ha visto, sin
dall’inizio della vicenda cristiana, uomini e donne testimoni di Gesù.
Evangelizzati, dice la Storia, dall’apostolo Tommaso. Una terra che ha
visto una comunità cristiana che è dovuta passare, e che passa tuttora,
attraverso la prova di una testimonianza che ha spesso i contorni di una
persecuzione, e qualche volta del martirio; cominciata con i Persiani, poi
con gli Arabi, i Mongoli, poi con gli Ottomani, con le vicissitudini di cui
ancora sentiamo parlare ogni tanto. Una comunità, come spesso capita,
dimenticata dai media, se non per il rimbalzo mediatico; ma troppo spesso
dimenticata anche dai cristiani. Per cui noi siamo davvero molto grati a
monsignor Louis Sako, vescovo di Kirkuk, città nel Nord del Paese, a 250
chilometri circa dalla capitale Baghdad - uno dei centri petroliferi più
importanti della regione – siamo grati davvero di cuore a monsignor Sako
per aver accettato di venire. Ringraziamo anche Maria Chiara, piccola
sorella di Charles de Focault che ha reso possibile la presenza di
monsignor Sako a Bergamo. Monsignor Sako è nativo di Musul, l’antica
Ninive, ma è anche vescovo di una chiesa, quella Caldea, tra le più
antiche. Il rito caldeo è uno dei cinque riti della cristianità orientale; una
Chiesa la cui liturgia, la liturgia giudeo-cristiana, risale al III secolo; una
Chiesa in cui, nella liturgia, si usa l’arabo ma anche l’aramaico, la lingua
di Gesù. Quindi capite stasera il senso dell’incontro con questa Chiesa, con
una teologia - come spesso capita in Oriente -, che custodisce il senso del
mistero, e dà un rilievo particolare alla resurrezione e allo Spirito Santo:
non a caso la Chiesa Caldea è stata sin dall’inizio una Chiesa missionaria
sulla Via della Seta. Da questa regione sono partiti per raccontare la buona
notizia, in India, nelle Filippine, in Cina. Avevano, sin dall’inizio, il senso
profondo della fede cristiana, e al tempo stesso la capacità di inculturare la
fede cristiana dentro i contesti nuovi dove il Vangelo veniva raccontato. Si
tratta di un mondo, un pezzo di storia, un polmone di Chiesa con cui
dovremo confrontarci molto più spesso di quanto non facciamo.
Lei, monsignor Sako, viene dall’Iraq; dal marzo 2003 pareva che la pax
americana portasse equilibrio nella regione. In realtà pare che così non
sia successo. Cominci a dirci, qual è la situazione dell’Iraq di oggi?”
Mons. L.S: “Grazie infinite. Grazie a voi, che siete venuti a sentire un po’
la situazione dei cristiani in Iraq e di tutti gli iracheni. Siamo grati per
questa solidarietà e vicinanza. Durante l’antico regime abbiamo avuto tre
guerre, senza ragione. La guerra con l’Iran, 8 anni e 1 milione di morti, poi
la guerra con il Kuwait e gli americani, subendo 12 anni di embargo
economico. L’Iraq è un Paese molto ricco, c’è il petrolio, c’è l’acqua, c’è
l’agricoltura, il turismo. Durante l’antico regime c’era sicurezza tutto era
controllato, ma non c’era libertà. Vi era una dittatura assoluta, i cristiani
lavoravano con il presidente Saddam per via della loro lealtà, per la loro
morale, e anche oggi tutti i responsabili cercano collaboratori cristiani,
perché hanno fiducia in loro. Dopo la caduta del regime, tutti abbiamo
pensato che avremmo avuto (e gli Americani hanno fatto tutta una grande
propaganda) democrazia, libertà, sviluppo economico, progresso ecc. Ma
ad oggi non c’è nulla, solo la libertà. C’è tanta libertà, è vero, ma uno dei
grandi problemi del mondo arabo e musulmano è questa stessa libertà.
Questi Paesi non sono formati a una libertà responsabile, a una libertà che
prende anche l’altro in considerazione. Inoltre sono stati commessi tanti
errori; hanno lasciato le frontiere aperte, senza controllo, e dunque tutti
questi combattenti, i mujaheddin, sono entrati, non per aiutare gli iracheni
a formare un Paese democratico e libero, ma per creare problemi. Hanno
lasciato le ex caserme saccheggiate, hanno sciolto l’esercito. Quando i
mujaheddin, i combattenti islamisti sono venuti, hanno trovato
collaboratori iracheni con soldi. Dunque si sono uniti in gruppo per creare
problemi, per attaccare, rapire, far esplodere e uccidere non solo
americani, ma anche tanti iracheni. Adesso c’è un governo, che non è del
tutto formato, per ragioni di settarismo – sciiti, sunniti, curdi, arabi,
turkmeni – e questo non succedeva prima. La religione all’inizio era
proibita, nelle scuole e nelle moschee, e i membri del partito non dovevano
praticare la rivoluzione. Adesso tutto è diverso: il governo ha formato la
polizia, l’esercito, ma non è all’altezza di controllare tutto il paese. Gli
iracheni sono 27 milioni, le province sono diciotto; la popolazione è un
mosaico di etnie e religioni. Servirebbe un esercito molto forte, e una
polizia professionale, ma per questo ci vuole tempo. Anche la democrazia
e la libertà sono parole che la gente, generalmente, non capisce perché la
democrazia, con la religione, non va; nell’Islam la religione è lo Stato, è
tutto un sistema, non è possibile separare ambedue. Come funziona la
democrazia? Bisogna separare la religione dallo Stato, dalla politica e
questo non è facile, ci vuole tempo. Dunque è una situazione molto critica,
precaria: c’è un’attesa ma c’è anche una speranza. Prima i cristiani erano
un milione, più o meno; adesso siamo 500.000, la metà soltanto. L’altra
metà è partita, ha avuto paura; dal 2003 ad oggi, 54 chiese sono state
attaccate e 905 cristiani uccisi. Non tutti uccisi perché cristiani, ma nelle
strade, quando c’è un’esplosione, ci sono anche cristiani. Abbiamo fiducia
nel popolo iracheno, perché non tutti i musulmani sono terroristi: la
popolazione è molto semplice e gentile, c’è dialogo della vita di tutti i
giorni e tutti vanno al lavoro insieme, tutti hanno studiato insieme, e le
case sono vicine all’arcivescovato. C’è un rapporto sincero, ma il crescente
fondamentalismo musulmano è preoccupante. Si dice che la politica,
sporca, è al servizio del popolo, invece è al servizio dei politici. Questi
fondamentalisti vogliono fare dell’Iraq, e non solo, Stati islamici secondo
la legge musulmana del VII secolo; non c’è stato aggiornamento in tutto
questo tempo. Lo dico sempre, da cristiano: anche noi cristiani eravamo
così ma siamo cambiati, cambiate anche voi, anche voi potete cambiare.
C’è un futuro ma bisogna prepararlo”.
D.R.: “Quando, il 20 marzo 2003, c’è stata l’invasione americana, venne
giustificata dalla presenza di armi di distruzione di massa, che in realtà
non furono mai trovate. Però in questo modo vennero rese evidenti le
ragioni dell’invasione, e le ragioni del conflitto che erano altre. Qual è il
peso del petrolio nel conflitto?”
Mons. L.S.: “A dir la verità, siamo delusi dall’Occidente. Anche quando
crede di proteggere le minoranze. Non abbiamo fiducia perché la politica
occidentale cerca sempre l’interesse economico, il petrolio, il denaro.
Adesso l’Occidente è in Libia. Quanti sono i morti? E quanti altri saranno
morti? Non si sa, perché è impossibile passare, magicamente, dalla
dittatura, dal totalitarismo, alla democrazia. Per preparare la gente, e
formarla, ci vuole tempo; ci vuole educazione, nei media, nelle scuole, con
programmi ecc. Siamo sicuri che gli Americani, e anche molti europei,
siano venuti per i loro interessi, e non per salvare cristiani o iracheni.
Purtroppo siamo sempre assimilati a loro, ma noi non abbiamo niente a
che fare con loro. I musulmani hanno capito adesso che i cristiani non
hanno a che fare con questa politica occidentale, con la guerra in
Afghanistan, la guerra in Iraq, adesso la guerra in Libia. Anche questa
Primavera araba, in che direzione va? Tutti questi giovani non hanno una
guida, una leadership; i partiti islamici sono più forti e organizzati di questi
giovani. Qualsiasi alibi è buono per fare una guerra: è facile trovare delle
scuse, a partire dalle armi di distruzione di massa. Una guerra è sempre un
male, un grande male; ci sono altri modi per cambiare questi regimi, se si
vuole il bene di questi popoli, senza ricorrere alla guerra o alle armi. Nelle
guerre chi paga è il popolo, sono questi innocenti. Dicono che in Iraq si
conta circa un milione di vedove”.
D.R.: “Temete il ritiro americano?”.
Mons. L.S.: “Sì, certo. Adesso gli americani vanno via: ma che cosa hanno
fatto finora? Non hanno ricostruito il Paese, l’esercito e la polizia non
possono anche controllare le frontiere e la sicurezza. Temiamo che si possa
arrivare alla guerra civile e l’Iraq sarà, in questo caso, diviso: sunniti,
sciiti, curdi”.
D.R.: “Di fatto, ciò che chiamiamo Iraq è adesso diviso in tre grandi aree:
l’area del Sud, dove la maggioranza è sciita, stimabile intorno al 65%, il
Centro, che è di maggioranza sunnita, intorno al 30%, poi la zona curda,
divisa tra arabi e curdi. Peraltro, non siete distanti dall’Iran. Si sente,
nella vostra area, l’influenza dell’Iran, di un Iran dotatosi di un governo
sciita?”.
Mons. L.S.: “La storia dell’Iraq è da sempre legata alla storia dell’Iran dal
punto di vista religioso e anche culturale. E oggi anche dal punto di vista
politico. Gli sciiti di tutto il mondo hanno i loro santuari in Iraq e hanno
una loro gerarchia: c’è un’autorità, a differenza dei sunniti che sono un po’
come i protestanti. E’ un regime, quello in Iran, teocratico, basato sulla
figura degli ayatollah, e la maggioranza di questi ha studiato nelle scuole
dell’Iraq; per questo ritengo che si tratti di un influsso molto grande. E se
gli americani vanno via, forse noi abbiamo paura che vengano gli sciiti.
Così come Turchia e Arabia Saudita: in questi Paesi regionali la religione è
entrata nel campo politico e sociale e tutto è un po’ sentimentale in questi
Paesi. Lì c’è il collettivismo, mentre da noi c’è il turismo; noi non
possiamo vivere senza famiglia.
D.R.: “Lei diceva prima della difficoltà di arrivare alla democrazia.
L’Occidente ha usato spesso la propaganda dell’esportazione
dell’economia in quelle terre. Lei sostiene che ci vorrà un processo
lungo”.
Mons. L.S.: “Io penso che l’Iraq sia il Paese più preparato alla democrazia,
dato che per 35 anni è stato un Paese laico e secolare. Gli iracheni sono,
per natura, moderati e aperti. Nella regione, però, le costituzioni degli
Stati, la base delle legislazioni, sono regolamentate dalla legge
musulmana; già all’inizio c’è una contraddizione tra Islam e democrazia.
Bisogna formare gruppi politici dalla formazione molto solida, così forte
da preparare l’avvenire, ma penso che i partiti musulmani non lo
permetteranno. L’Islam, ora, è più integralista perché ha paura di perdere
la sua identità. Come creare una democrazia? Per i musulmani, l’Occidente
è corrotto, è ateo in tutti quei programmi che si vedono alla televisione o
su internet, non ha più religione. Temono che se penetrasse da noila
cultura occidentale, l’Islam sarebbe finito. Allora sono aggressivi e
invocano un guerra santa. Per creare una democrazia, ci vuole molto
tempo, ci vuole un’educazione, formazione, dei giovani; non imporre così
con forza, con le armi, una democrazia come quella occidentale. Al Sinodo
del Medio Oriente ho detto che è possibile una laicità positiva, rispettando
tutte le religioni, ma dove tutti sono uguali davanti alla legge, senza
religioni di Stato”.
D.R.: “Nel corso della storia come è stato il vostro rapporto con i
musulmani? In fondo è da 1400 anni che vivete insieme”.
Mons. L.S.: “Abbiamo avuto un modo di convivere buono, ma
condizionato; abbiamo avuto anche paura, ma non come oggi. C’era
un’autorità che governava, il califfo o il re quale Capo dello Stato, ma oggi
la situazione è molto caotica, sia in Iraq che negli altri Paesi. Dove vanno?
Non c’è una visione, non ci sono piani, non si sa cosa vogliono questi
giovani, e che tipo di regime vogliono. Chi potrà governare? L’esercito?
Loro? I capi religiosi, o intellettuali? Il problema dell’identità è stato
creato con la globalizzazione, è un errore. C’è stata molta propaganda e la
gente ha avuto paura. Vacilla l’identità personale in nome di una
universale: questo vale sia per i cristiani che per gli altri. La
globalizzazione poteva riguardare il settore commerciale, ma estesa ad altri
ambiti sta creando dei problemi”.
D.R.: “Torno ancora sull’Islam. Charles de Focault scrive di essere stato
colpito, e incantato, dalla passione e dalla fede dei musulmani, che lungo
il suo peregrinare in Maghreb ha incontrato. Lei che viene da una vita
trascorsa accanto ai musulmani, qual è la provocazione positiva che le
viene dall’Islam?”.
Mons. L.S.: “E’ un fenomeno sociale, quasi tutti vanno alla moschea;
hanno rispetto profondo per Dio e per il mistero e questo rispetto ci
colpisce molto. D’altra parte cosa gli resta di questa religione? E’ una
religione molto povera, la loro preghiera dura cinque minuti”.
D.R.: “Uno dei pilastri è il digiuno, cosa che noi facciamo, forse il
Mercoledì delle Ceneri, e forse il Venerdì Santo. Voi cristiani come vi
rapportate al digiuno?”
Mons. L.S.: “E’ un momento importante, il digiuno non è solo per il
digiuno, ma è un tempo forte per pensare a sé stessi. Che senso ha la mia
vita? Io sono un essere umano, non devo vivere in una maniera egoista, ma
devo pensare a tutti quelli che soffrono, hanno fame e non hanno niente da
mangiare. E’ sempre legato agli altri”.
D.R.: “Quanti giorni di digiuno avete?”
Mons. L.S.: “La prima settimana e la settimana centrale della Quaresima, e
la Settimana Santa. Ma non dipende dalla quantità, ma dallo spirito. Per i
musulmani è vero che è molto duro: spesso sono 17 ore, ma per loro è
un’espressione di umiltà davanti a Dio. Il problema è questi momenti
diventano poi un momento politico: tutti i guai che si sentono accadono nel
Ramadan. Il mese scorso hanno attaccato due chiese a Kirkuk, a pochi
giorni dal Ramadan”.
D.R.: “Lei sostiene spesso che il martirio è il carisma della chiesa caldea.
Quindi possiamo pensare a un’equivalenza tra chiesa caldea e chiesa
martire?”.
Mons. L.S.: “Questa è la nostra storia. Il nostro patriarca, il cardinale,
porta sempre un abito rosso, simbolo del martirio. Agli inizi del
Cristianesimo in Iraq, quando il Cristianesimo è entrato in Iran per opera
dell’apostolo Tommaso, di passaggio verso l’India, l’impero persiano, i
magi, hanno perseguitato i Cristiani per cinque secoli; poi quando l’Islam è
venuto, tanti sono morti per le loro fedi. I Mongoli hanno provato,
all’inizio, a diventare cristiani, poi hanno cambiato idea e hanno
perseguitato i cristiani. Oggi abbiamo 905 cristiani uccisi, e tanti
confessori della fede hanno sofferto, tra torture e patimenti. Sono andato a
trovare un medico, tenuto per un mese senza mangiare e poi gettato in
strada, in seguito a torture, metà morto e metà vivo: era un martire, che
cosa altrimenti? Un chierichetto di tredici anni della cattedrale è stato
rapito, gli è stato chiesto di convertirsi all’Islam. Mai, perché Gesù ha
detto: “Colui che mi rinnega davanti agli uomini mi rinnega davanti al
cielo”. Io non lo nego, fate di me ciò che volete. In maniera miracolosa, gli
americani sono passati di lì e hanno trovato questo ragazzo e lo hanno
liberato. Dunque ci sono tanti confessori. La fedeltà, che sia nella
religione, nella fede, o nel matrimonio, o anche nella Chiesa, non è una
parola per un giorno, un gioco, ma è per tutta la vita. E’ un sacrificio, io
sono pronto a morire, non ho mai paura. Io quando esco non sono sicuro di
ritornare, ma mai ho avuto paura; perché avere paura? Se crediamo
dobbiamo credere; la fede non è un’ideologia, è un atto di amore. Io
riconosco in colui che credo una persona, sono legato a lui con amore e
fedeltà. Io penso che i cristiani di Occidente debbano imparare da questi
cristiani perseguitati. Ogni 15 minuti un cristiano è martirizzato: c’è una
sola fede, ma ci sono molti fedeli e ognuno ha la sua espressione. Anche la
fede musulmana ha un’espressione. Gesù parla della buona novella: “Voi
siete figli di Dio. Dio è il vostro Padre; voi siete figli e fratelli. Andate, con
tanta gioia, e vivete questa figliazione e fraternità”. L’espressione è
diversa, non la fede”.
D.R.: “Lei gira con una scorta?”.
Mons. L.S.: “No, mai. Forse sono l’unico. Talvolta l’autista è impegnato, e
quindi guido anche. Parlo molto con i musulmani e, durante il Ramadan,
offro una cena a 200 persone. Ma adesso non posso più perché, quando ne
invito 200, ne arrivano 500. Abbiamo offerto medicine a molti ospedali,
abbiamo stampato il calendario per tutto il mese del Ramadan, con l’orario
del digiuno e delle preghiere, e hanno apprezzato questi gesti. Abbiamo
fatto anche preghiere comuni, nelle cattedrali, e per la prima volta la
preghiera è universale; ho fatto una selezione dei salmi, perché non tutti si
possono pregare, e tutti avevano il testo e pregavano con noi. Alla fine del
mese di maggio, mese del Rosario, ho fatto una preghiera comune,
invitando tanti musulmani: la chiesa era piena, c’erano anche il sindaco, i
leader politici e le donne musulmane e abbiamo pregato insieme per la
Vergine Maria. Ho chiesto a un imam di leggere e di cantare; la preghiera
universale è stata recitata da due ragazze, una cristiana e una musulmana.
Possiamo aiutare questa gente ad aprirsi, noi possiamo fare tanto e non
dobbiamo avere paura”.
D.R.: “Tenete conto Monsignor Sako è stato insignito di numerosi premi
internazionali proprio per la sua battaglia, non solo per i diritti umani in
Iraq, ma per il dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani. E’ uno che
si è battuto e si batte. Devo dire che mi colpisce molto, quando lo leggo,
quando dice che il dialogo deve avvenire nella verità, come a dire che ci
può essere un dialogo formale, che però non va da nessuna parte, e un
dialogo nella verità. E’ vero?”.
Mons. L.S.: “Io penso che finora si è parlato di dialogo nel senso di
ecumenismo. Ma in quale direzione va? E’ molto lento, non si sa. Si dice
che noi cristiani siamo molto uniti e abbiamo la stessa fede: allora bisogna
avere il coraggio di fare l’unità, con l’Islam bisogna anche avere il
coraggio di dire la verità, di essere sinceri. Io credo come credo, ma
bisogna cercare un vocabolario comprensibile a tutti. Parlare, ad esempio,
della Trinità, della reincarnazione, con il linguaggio greco e filosofico non
serve. Non lo capiscono i cristiani, figurarsi i musulmani. E’ difficile,
bisogna trovare un modo. I nostri padri hanno trovato un dialogo, hanno
trovato una nuova terminologia. Io ho pubblicato un libro, un mese fa, con
un gesuita, dal titolo: “I Musulmani chiedono, i cristiani rispondono”.
L’ho dato a tutti gli imam. Perché avere paura di testimoniare la nostra
fede? I cristiani talvolta hanno vergogna di dire che sono cristiani; noi non
abbiamo paura”.
D.R.: “Da una parte la testimonianza, dall’altra l’inculturazione, la
capacità di ridire, con le parole di oggi, la verità di sempre che è la
vicenda di Gesù. Nel dialogo musulmano, dove sta la differenza cristiana?
Dove sta lo specifico cristiano?”.
Mons. L.S.: “I musulmani si chiedono perché i cristiani sono divisi nelle
chiese, quando Gesù è amore e pace. Loro non possono capire come i
cristiani presentano la figliazione divina e l’incarnazione; se per loro, la
Parola di Dio diventa un libro, una lettera, una parola, per noi cristiani è
una persona. Questa parola la riflette una persona che si chiama Gesù,
Figlio di Dio: il linguaggio biblico ci parla molto di più della teologia
speculativa. Come i nostri padri sono andati a predicare il Vangelo presso i
Greci, i Greci hanno detto che non era una religione logica. I Padri della
Chiesa hanno presentato tutto un sistema filosofico, logico, del
Cristianesimo: loro hanno capito ma io direi che nell’amore non c’è la
logica, è il cuore”.
D.R.: “Cosa stimano i musulmani dei cristiani? Guardando voi, cosa
dicono?”.
Mons. L.S.: “Il Corano è il problema, non i musulmani. Nel Corano ci
sono i sura abrogati e dunque ci sono due tradizioni. C’è quella di Mecca,
più spirituale, molto più favorevole ai cristiani, perché tutti i profeti del
Corano sono ebrei. Ma quando il Corano arriva a Medina, abroga questi
versetti di Mecca, e quando hanno chiesto agli ebrei di rifiutare i profeti e
di accettare il Corano come libro santo, gli ebrei hanno rifiutato ed ecco
allora la guerra. I giudei, dice il Corano, hanno falsificato la Torah, e lo
stesso hanno fatto i cristiani con il Vangelo. Poi dicono che Gesù è figlio
di Dio, ma anche servo di Dio: devono metterlo in un contesto storico per
capirlo, e quindi tocca a noi fare ai musulmani un po’ di esegesi”.
D.R.: “Vivendo fianco a fianco, nella vita quotidiana, cosa dicono di bello
i musulmani dei cristiani?”.
Mons. L.S.: “Dicono sempre che i cristiani sono fiori per questo Paese. Se
i cristiani dovessero andare via, non ci saranno più fiori. E’ un sentimento
molto positivo. Nella vita quotidiana non ci sono scontri, né discussioni, né
conversioni: la vita prende un po’ tutti e la gente è molto semplice e il
rapporto sociale è molto forte”.
D.R.: “Ci sarà un futuro per i cristiani in Iraq?”
Mons. L.S.: “C’è un futuro ma non è sicuro, e bisogna costruirlo. Prima di
tutto i cristiani devono unirsi in una sola posizione. La solidarietà è molto
importante e così anche la reciprocità; i musulmani qui hanno tutti i diritti
e loro sono profughi, non sono originari di questo Paese. Noi non abbiamo
problemi per una chiesa, ma altrove non si può avere una chiesa, non si
può stampare una Bibbia. Questo non è giusto. Ho sempre in testa le
parole di Gesù: “Siete luce e sale del mondo”. Cos’ è una luce? Anche una
piccola candela può illuminare una stanza e così un po’ di sale può dare
gusto: i cristiani, se vogliono vivere la loro fede ed essere fedeli, possono
avere un’eco molto grande e i musulmani aspettano qualcosa di diverso da
loro. Si possono fare tante cose, ma bisogna essere preparati, e un po’
furbi, per scegliere il vocabolario”.
D.R.: “Chi pensa al futuro dell’Iraq, a volte prospetta l’idea di trasferire
tutti i cristiani nella piana di Ninive. Cosa ne pensi?”.
Mons. L.S.: “No, questa è una trappola. In questa zona ci sono solo 70.000
cristiani, a fronte del milione e più di musulmani. E’ un gioco politico,
dove i curdi vogliono i cristiani con loro e così anche gli arabi. Noi come
cristiani siamo dappertutto e non possiamo vivere in un ghetto. Per natura,
il cristiano deve andare e predicare, e una chiesa, che ha perso il senso
della missione, è finita. E’ una chiesa, quando predica, quando fa nuovi
cristiani. Noi dobbiamo essere un po’ dappertutto, perché andare lì? Ci
sono alcuni cristiani fuori, che non hanno un’idea concreta della
situazione; loro credono di dover avere un’autonomia come i curdi, ma noi
non siamo come i curdi. I curdi sono 5 milioni e hanno una loro terra.
Hanno quattro province; noi cosa abbiamo? Giusto qualche villaggio senza
peso”.
D.R.: “Fa impressione sentire Monsignor Sako parlare di missione; tenete
conto che lui è vescovo e ha 7 preti. In quel contesto, è una passione per il
Vangelo che non ha confini. Non a caso, siete arrivati in india, nelle
Filippine, in Cina. E anche lì, voi caldei, avete fatto un’operazione di
inculturazione, vero?”.
Mons. L.S.: “In Cina, hanno detto che Gesù è un Buddha, l’Illuminato, e la
religione cristiana è la religione della luce e il Vangelo è una perla. I primi
missionari non erano monaci, perché i monaci pregano in un monastero,
ma erano i laici, i commercianti che andavano in India, seguendo la strada
della seta. In India ci sono 5 milioni di caldei che hanno tradotto la liturgia
nel loro dialetto indiano”.
D.R.: “Questa Chiesa d’Oriente cosa può dire alla stanca Chiesa
d’Occidente?”.
Mons. L.S.: “Tutti siamo stanchi, ma penso che abbiate qualcosa da
imparare da questa chiesa martire; il coraggio di dire la vostra fede, di
parlare della vostra fede, come fanno i musulmani. Siamo cristiani e
viviamo la nostra fede pienamente, non c’è compromesso per la fede.
Senza un’esperienza mistica, il cristiano non può dirsi cristiano; la mistica
non è solo per suore, o preti, ogni cristiano deve avere queste esperienze
mistiche con Dio. Così come i musulmani dicono oggi che l’Occidente
oggi è corrotto e ateo, tanto più non dobbiamo avere paura, in
considerazione del fatto che i musulmani saranno sempre di più, anche in
Occidente”.
D.R.: “Tocchiamo il tema dell’emigrazione. Quando i caldei emigrano,
dove vanno? Tenete conto che i caldei sono mediamente scolarizzati;
quindi sono insegnanti, medici, ingegneri, architetti. Quindi, spesso, è
manodopera qualificatissima, costretta però a emigrare”.
Mons. L.S.: “Prima di tutto, tutti i caldei sono cattolici; non ci sono caldei
ortodossi. Vanno in Europa, in America, in Australia; la Siria adesso è una
fermata per l’Occidente. Dove ci sono i caldei, le chiese sono belle; i
caldei attirano e anche al termine della messa c’è un momento di
incontro”.
D.R.: “Ci racconti un po’ della liturgia caldea; una liturgia molto antica”.
Mons. L.S.: “La liturgia caldea è molto semplice e sobria, non c’è il
trionfalismo bizantino. E’ la liturgia della grazia, c’è poco posto per il
peccato perché il peccato è normale. Siamo tutti peccatori, ma Dio è
venuto per perdonarci; il problema è dire che siamo limitati e poveri, esseri
umili, e non perfetti. In tutta la liturgia c’è un posto molto importante per
lo Spirito Santo, che non a caso voi avete preso dall’Oriente, durante il
Concilio. Poi è la liturgia della resurrezione, mentre voi avete quella della
mortificazione. Per noi Cristo ci ha salvato con la resurrezione, con la
sofferenza, e il Venerdì Santo non ha senso senza la Domenica. Per noi la
Domenica è la salvezza; ecco perché la croce, nelle nostre chiese, è vuota.
Il motto della liturgia caldea è: resurrezione, vita e rinnovo. Tutto si
cambia con lo Spirito Santo: è Lui che cambia il pane e il vino, ma non
solo. Anche l’assemblea, il corpo di Cristo, i cristiani: anche loro devono
essere cambiati e se loro ricevono questa comunione, che non è una
devozione, ma un’incarnazione, nel Corpo di Cristo vengono incarnati.
Tutto è volto alla resurrezione e noi cantiamo: “Gesù è risorto, non abbiate
paura””.
D.R.: “Non temi per la tua vita, in Iraq?”
Mons L.S.: “Assolutamente no. Come vescovo, come cristiano, sono
consacrato; perché dovrei aver paura? Tutto è dato e dunque sono pronto a
dare tutto”.
D.R.: “C’è una solidarietà, fatta di memoria, di ricordo; bisogna aprire le
finestre delle nostre chiese. Fare entrare un po’ di aria; fare memoria di
quelle chiese martiri, che testimoniano ogni giorno per Gesù di Nazareth e
insieme un po’ di solidarietà concreta: e quindi chi vuole può lasciare
qualche soldo, per Monsignor Sako. Chiudiamo grati a monsignor Sako,
che ci ha regalato una serata su cui tornare, lavorare. Siamo grati per
questa boccata d’aria fresca che, seppur attraverso alcuni passaggi
dolorosi, Monsignor Sako ha portato”.
La serata si conclude con la recita del Padre Nostro, cantato in aramaico da
Monsignor Sako.