di S. Chiara da Montefalco · 2017-02-01 · I testimoni che varcarono la soglia di S.Croce, a 10...

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Sia con tutti il mio Signore!Sono le parole piene di meraviglia di un’antica omelia sul Sabato Santo, che la Liturgia delle Ore mette nellelabbra di Adamo quando vide il Signore scendere per liberarlo dalle sue sofferenze e dalla prigione. Sono leparole che ci vengono dal cuore che vorremmo dire e augurare a ognuno di voi, a noi molto caro. E comenon gridare di meraviglia e condividere con tutti, quello che senti nel cuore quando il Signore ti tende la manoper rialzarti e per ricrearti?

Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi, mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo un’unica e indivisa natura.

Il tempo della Quaresima, come l’inverno ormai passato, ci hanno preparato interiormente alla primaverae alla Pasqua come festa della Risurrezione. Quanti inverni nel nostro cuore, quanto dolore, quanti fattidella cronaca che sconvolgono il quotidiano e ci lasciano attoniti, senza parole. Ma la speranza non può morire, ecco che sta germogliando qualcosa nel nostro cuore, qualcosa che ci incorag-gerà, che farà risorgere la vita e il Signore dimorerà interiormente in noi come nostro Maestro e potremocamminare tranquilli.

Camminate tranquilli! Il Signore sa dove condurvi. Con un guidatore di tale sorta non andrete fuori strada, ci dice Agostino (Ètaix 4, 2).

È la Pasqua del Signore che ci porterà ad andare oltre, a trasformare anche la morte, perché la vita, l’amore cheresta, sono più forti della stessa morte. È lo Spirito di Dio, lo Spirito Santo che è diventato in noi una

sorgente zampillante e feconda dal giorno di Pentecoste.

Occorre che diventiamo otri nuovi e, rivolti con l’animoverso il Signore, ne attendiamo la grazia. Saremo copiosa-

mente riempiti di Spirito Santo e attraverso lo Spirito Santoverrà in noi l’amore. In tal modo saremo riscaldati dal vino nuovo e ci

inebrieremo al suo calice scintillante e colmo di ebbrezza… ma lo SpiritoSanto dobbiamo averlo nel cuore tutti i giorni.

Non celebriamo per un giorno solo ma in ogni tempo… Cristo infattiha sposato la sua Chiesa e ha mandato a lei lo Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è come l’anello nuziale; e chi le ha datol’anello le darà anche l’immortalità e il riposo.Lui amiamo, in Lui speriamo, in Lui crediamo.(Agostino, Dolbeau 31,9)

Sia con tutti Lui, il Signore Nostro Gesù Cristo!Il nostro augurio è la nostra preghiera e la nostra amicizia

che vi accompagnano in questo comune cammino

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Le vostre Sorelle Agostinianedi S. Chiara da Montefalco

OOr sono 700 anni che Chiara se n’è andata. Quanta storia, nel monasteroe nella sua città di Montefalco!

I testimoni che varcarono la soglia di S. Croce, a 10 anni dalla morte nel1318 – i tempi per istituire un processo di canonizzazione, visti anche i costi

che l’impresa comportava, erano lunghi – si trovavano di fronte a notai,uomini di Chiesa, avvocati, e sotto giuramento rispondevano ad un prepa-

rato e lunghissimo elenco di domande: gli articuli interrogatorii.Chi aveva conosciuto Chiara, traendone beneficio spirituale o

materiale, o un miracolo per sua intercessione, aveva ricordi ancoravivi, anche a 10 anni di distanza. Si accumulò una montagna di

carte, diremmo oggi, scritte con puntigliosità – poco meno di500 furono infatti i testimoni ascoltati - e talvolta non sarà statofacile registrare la testimonianza e tradurla dal dialetto monte-

falchese, così colorito e spontaneo.Il Processo, tradotto in italiano e ‘limato’ da uno studioso,

verrà pubblicato, così avremo finalmente la bella opportunità difar rivivere, se così si può dire, quella gente antica, che ci narrerà

l’incontro con Chiara.Diamo la parola – seppur per una breve sequenza dalla sua

testimonianza trascritta dal notaio – a Donna Bartoluccia fuFrancescone da Piana. Disse che «Chiara era donna di misericordia

e carità; e vide questo nei fatti; perché a una sua compagna, di nomeSoffiata, che era molto tribolata, la stessa Chiara offrì che venisse ad

abitare con lei nel monastero e per nove giorni e più per suo confor-to, come le piaceva; e allora le fece dare e preparare pane e vino a volon-tà. E allora vide in lei molta carità. Disse parimenti che, ancora vivaChiara, quattro anni circa prima della sua morte, essa in un mese disettembre, si recò in quel monastero con altre donne. E allora una,

chiamata Donna Aldruda, disse alla teste: “Parla con questa Chiara”,e quando essa si trovò con lei disse: “Io non so cosa

dirle”, perché era molto giovane. E nondimenoChiara le parlò e la esortò a servire Dio e le disse di

abituarsi ad ordinare la sua vita e la sua animae che non dormisse né fosse pigra. E le parve che

riferisse i suoi difetti meglio di quanto avrebbesaputo fare lei stessa e come era la verità e ricevetteda lei grande conforto».

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FF ra qualche mese eccoci all’appunta-mento tanto atteso. Martedì 10 giugno

infatti si aprirà solennemente il VII°Centenario della morte di S. Chiara daMontefalco con una solenne celebrazioneeucaristica.

Nel corso del 2008, fino alla prossimaFesta del 2009, si snoderanno iniziativeculturali e pastorali-spirituali curate dallaComunità Monastica, dalla Parrocchia,dalla Diocesi, dalla Provincia Agostinianae dall’Amministrazione Comunaledi Montefalco.

Siamo tutti invitati arendere bello e fecondoquesto anno di grazia.Anche la nostra Co-munità, in particolarioccasioni coinvolgeràSorelle di altri Mona-steri, con la presenzadi Fratelli e Sorelle del-l’Ordine nelle sue diversecomponenti.

Più intensa sarà la preparazio-ne della Festa, con un Triduo partico-lare e con una nuova celebrazione dellaMemoria del Transito di Chiara.

Oltre alle celebrazioni, nel corso del-l’anno verranno organizzati incontri di stu-dio e approfondimento della figura di S.Chiara e della sua spiritualità agostiniana.Nel mese di settembre si svolgerà unSeminario di Studio ed un ConvegnoInternazionale. Nuove pubblicazioni estudi verranno presentati nel 2008-2009,fra cui i risultati della ricerca iconograficasulla Santa, comprensiva di una mostra.

Per ricordare l’anno Centenario è in

preparazione una speciale medaglia-scultu-ra ed altri piccoli segni che ricorderanno aipellegrini e agli amici di Chiara questacelebrazione.

L’Amministrazione comunale organiz-zerà il grande concerto della CappellaSistina, una mostra storico-iconografica eintitolerà a S. Chiara, con una particolarecelebrazione, una via della città.

Iniziative scaturiranno dalla collabora-zione con la Scuola ed altre Associazioni

presenti nel territorio. Un pelle-grinaggio ed un Recital ve-

dranno impegnati i giovanie sarà festa anche per i

pellegrini che si annun-ciano numerosi a vene-rare Chiara in questoanno di grazia.

Anche lei si faràpellegrina - attraverso

una nuova ed originalestatua che porterà una pre-

ziosa reliquia - raggiungendoluoghi agostiniani e comunità

parrocchiali del territorio e oltre.La statua, (alta 1,24 m) è stata donata

“con il cuore”- come sta scritto nel suo pie-distallo - da una famiglia di Montefalco”.Davvero una grande sorpresa che ci hafatto gioire e commuovere.

Ma credete: avremo davvero celebratoil Centenario quando, spente le grandiluci, il lume della nostra fede ne uscirà piùvigoroso, il cuore ne avrà ricevuto benefi-cio e avremo imparato a muovere passi piùsicuri nel cammino del bene, in compa-gnia della nostra Santa: madre, amica econfidente.

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NNella seconda e sempre intensa catechesi del mer-coledì, Papa Benedetto, riprende a intessere la vita

di S. Agostino, con tratti sempre profondi ma rivelanti unaffetto ed una conoscenza grande del Santo, che negli ulti-mi e intensi quattro anni della vita, spesa per la Chiesa, sidedicò ancora allo studio, soffrendo con la sua gente per lafine violenta dell’Impero Romano nella sua terra, ad operadei Vandali.

“Anche se vecchio e stanco, - ci narra il Papa -Agostino restò tuttavia sulla breccia, confortando sestesso e gli altri con la preghiera e con la meditazionesui misteriosi disegni della Provvidenza. Parlava, alriguardo, della “vecchiaia del mondo”… E allora l’in-vito: “Non rifiutare di ringiovanire unito a Cristo,anche nel mondo vecchio.

Egli ti dice: Non temere, la tua gioventù si rinno-verà come quella dell’aquila” (cfr Serm. 81,8). Il cri-stiano quindi non deve abbattersi anche in situa-zioni difficili, ma adoperarsi per aiutare chi è nelbisogno.

Quando leggo gli scritti di sant’Agostino non hol’impressione che sia un uomo morto più o meno mil-leseicento anni fa, ma lo sento come un uomo di oggi:un amico, un contemporaneo che parla a me, parla anoi con la sua fede fresca e attuale.

In sant’Agostino che parla a noi, parla a me neisuoi scritti, vediamo l’attualità permanente dellasua fede; della fede che viene da Cristo, VerboEterno Incarnato, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo.E possiamo vedere che questa fede non è di ieri,anche se predicata ieri; è sempre di oggi, perchérealmente Cristo è ieri oggi e per sempre. Egli è laVia, la Verità e la Vita.

Così sant’Agostino ci incoraggia ad affidarci aquesto Cristo sempre vivo e a trovare così la stradadella vita”.

PP uò essere questo il grande interrogativo che do-mina le ben cinque catechesi del mercoledì

di Papa Benedetto XVI, dedicate appunto aS. Agostino, trattando, ad ogni “appuntamento” coni pellegrini, un aspetto diverso della vita e dell’operadel “più grande Padre della Chiesa latina… uomodi passione e di fede, di intelligenza altissima e dipremura pastorale instancabile.

Nella prima catechesi ne ha tracciato la vita,mettendo ben in rilievo le tappe che l’hanno portatoalla conversione, narrata poi nella sua opera piùconosciuta: le Confessioni.

Un “antico retore che aveva deciso di seguireGesù e di parlare non più ai grandi della corteimperiale, ma alla semplice popolazione diIppona… Pur con tutta la sua umiltà, Agostinocertamente fu consapevole della propria staturaintellettuale… Egli voleva essere solo al serviziodella verità, non si sentiva chiamato alla vitapastorale, ma poi capì che la chiamata di Dioera quella di essere pastore tra gli altri e cosìdi offrire il dono della verità agli altri… Agostinofu un vescovo esemplare nel suo instancabileimpegno pastorale: predicava più volte la setti-mana ai suoi fedeli, sosteneva i poveri e gli orfa-ni, curava la formazione del clero e l’organizzazio-ne di monasteri femminili e maschili… ilVescovo di Ippona esercitò infatti una vastainfluenza nella guida della Chiesa cattolicadell’Africa romana e più in generale nel cristiane-simo del suo tempo, fronteggiando tendenze reli-giose ed eresie tenaci e disgregatrici come ilmanicheismo, il donatismo e il pelagianesimo,che mettevano in pericolo la fede cristiana nelDio unico e ricco di misericordia”.

LL a terza catechesi del Papa ferma la sua attenzio-ne ad un tema determinante: fede e ragione. Ecco

alcuni passaggi, armonizzati insieme, che ci consegna-no in sintesi, attraverso il Papa, la bellezza e l’attuali-tà del pensiero di Agostino.

“Così tutto l’itinerario intellettuale e spiritualedi sant’Agostino costituisce un modello validoanche oggi nel rapporto tra fede e ragione, tema nonsolo per uomini credenti ma per ogni uomo checerca la verità, tema centrale per l’equilibrio e ildestino di ogni essere umano. Queste due dimensio-ni, fede e ragione, non sono da separare né da con-trapporre, ma piuttosto devono sempre andare insie-me. Come ha scritto Agostino stesso dopo la suaconversione, fede e ragione sono le due forze che ciportano a conoscere. A questo proposito rimangonogiustamente celebri le due formule agostiniane cheesprimono questa coerente sintesi tra fede e ragione:«credi per comprendere» - il credere apre la stradaper varcare la porta della verità - ma anche, e inse-parabilmente, «comprendi per credere», scruta laverità per poter trovare Dio e credere.

L’armonia tra fede e ragione significa soprattuttoche Dio non è lontano: non è lontano dalla nostraragione e dalla nostra vita; è vicino ad ogni essereumano, vicino al nostro cuore e vicino alla nostraragione, se realmente ci mettiamo in cammino.Proprio questa vicinanza di Dio all’uomo fu avverti-ta con straordinaria intensità da Agostino. La pre-senza di Dio nell’uomo è profonda e nello stessotempo misteriosa, ma può essere riconosciuta e sco-perta nel proprio intimo… La lontananza di Dioequivale allora alla lontananza da se stessi: «Tu infat-ti - riconosce Agostino (Confessiones, III,6,11) rivol-gendosi direttamente a Dio - eri all’interno di me piùdel mio intimo e più in alto della mia parte più alta».S. Agostino, chiesa di S. Agostino - Montefalco

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MM i si invita a partecipa-re in questa Rivista - e

con gioia e gratitudine lofaccio - per offrire l’occa-sione di manifestare informa pubblica il mio rin-graziamento alle Sorelle diMontefalco. Se mi è statopossibile scrivere questavita di S. Chiara, in granparte lo devo alla lorogenerosità e interesse nelmandarmi tutto il materia-

le che avevano a disposizione.In Spagna, l’arte della fede ne è testimone; la

devozione a S. Chiara ebbe luogo in tutti gli ambi-ti di influenza agostiniana, ma le vicissitudini dellastoria ridimensionarono la sua devozione. Miauguro che la celebrazione del 7° Centenario dellasua morte sia una buona occasione per ravvivarela sua memoria e la sua conoscenza. Con questabiografia ho provato a mettere il mio “granellino disabbia” in questo senso. Personalmente devo con-fessare che, nell’avvicinarmi a S. Chiara, ho avutouna maggior presa di coscienza di quanta ricchez-za oggi ci portano questi “giganti dello Spirito”.

Con il titolo “Vita e Sfida”ho voluto rispecchia-re quello che per me ha significato l’avvicinarmi aChiara. Da una parte c’era un vuoto da coprire,mancava infatti una vita della Santa in Spagnolo,però capivo che non si trattava solo di mostrarlacome chi presenta una “antichità”.

Chiara mi presentava e ci presenta una dop-pia sfida: conoscerla nella sua verità, entrare nellasua relazione con Dio e apprendere dalla suatestimonianza di vita. Non possiamo permettereche i Santi siano visti come opere d’arte posti inuna vetrina; i Santi partecipano della vita e dellavitalità di Cristo, sono nostri fratelli e sorelle mag-giori, che “che ci hanno preceduto” nel seguire leorme di Gesù, nostro Maestro.

Il caro e ricordato Papa Giovanni Paolo II, ter-minata la celebrazione del grande Giubileo del2000, ci indicava nella sua Lettera ApostolicaNovo Millennio Ineunte:

LL a quarta catechesi dedicata a sant’Agostino ha porta-to i fedeli a scoprire quante e quali opere ci ha lasciato.

Tra la produzione letteraria di Agostino - più di millepubblicazioni di vari generi - spiccano alcune opere “digrande respiro teologico e filosofico”.

Prima fra tutte le Confessioni, il libro più letto in asso-luto. Sono una specie di autobiografia. “Questa attenzio-ne alla vita spirituale, al mistero dell’io, al mistero diDio che si nasconde nell’io, è una cosa straordinariasenza precedenti e rimane per sempre, per così dire,un «vertice» spirituale”. Quest’opera è davvero unaconfessione “delle proprie debolezze, della miseria deipeccati- sottolinea il Papa – ma, allo stesso tempo,Confessiones significa lode di Dio, riconoscimento aDio.Vedere la propria miseria nella luce di Dio diven-ta lode a Dio e ringraziamento perché Dio ci ama e ciaccetta, ci trasforma e ci eleva verso se stesso”.

Un’altra opera capitale di Agostino è il De civitateDei di cui Benedetto XVI dice tra l’altro: “Questo gran-de libro è una presentazione della storia dell’umani-tà governata dalla Provvidenza divina, ma attual-mente divisa da due amori. E questo è il disegno fon-damentale, la sua interpretazione della storia, che èla lotta tra due amori: amore di sé «sino all’indiffe-renza per Dio», e amore di Dio «sino all’indifferenzaper sé», alla piena libertà da sé per gli altri nella lucedi Dio…Anche oggi questo libro è una fonte perdefinire bene la vera laicità e la competenza dellaChiesa, la grande vera speranza che ci dona la fede”.

Altra opera importante è il De Trinitate, dedicato alnostro Dio trinitario. Agostino “riflette sul volto di Dio– afferma il Papa – ecerca di capire que-sto mistero del Dioche è unico, l’unicocreatore del mondo,di noi tutti, e tutta-via, proprio questounico Dio è trinita-rio, un cerchio diamore”.

Un’altra opera di

LL a quinta e conclusiva catechesi del Papa suAgostino è dedicata alla sua “vicenda interiore”, al

suo cammino di conversione e di ricerca, che “continuòumilmente sino alla fine della sua vita, tanto che sipuò veramente dire che le sue diverse tappe - se nepossono distinguere facilmente tre - siano un’uni-ca grande conversione”.

E qui il Papa, riecheggiando quanto detto magi-stralmente a Pavia, visitando le spoglie di Agostino, leripercorre. “La prima tappa del suo cammino diconversione si è realizzata proprio nel progressivoavvicinamento al cristianesimo…La fede in Cristogli fece capire che il Dio, apparentemente così lon-tano, in realtà non lo era.

Egli, infatti, si era fatto vicino a noi, divenen-do uno di noi”. E per Cristo e la sua Sposa laChiesa Agostino dona tutto il suo impegno, le suefatiche. “Capire che si arriva agli altri con sempli-cità e umiltà, fu questa la sua vera e seconda con-versione.

Ma c’è un’ultima tappa del cammino agostinia-no, una terza conversione: quella che lo portò ognigiorno della sua vita a chiedere perdono a Dio…

fino alla fine ab-biamo bisogno diquesta umiltà chericonosce che sia-mo peccatori incammino, finché ilSignore ci dà lamano definitiva-mente e ci intro-duce nella vitaeterna”.

Agostino sulla quale si sofferma il Papa sono leEnarrationes in Psalmos: splendide omelie, talvoltapronunciate a braccio, sui Salmi.

“Sì, - conclude il Papa – anche per noi sarebbestato bello poterlo sentire vivo. Ma è realmentevivo nei suoi scritti, è presente in noi e così vedia-mo anche la permanente vitalità della fede allaquale ha dato tutta la sua vita”.

«In primo luogo non esito a dire che la pro-spettiva in cui deve porsi tutto il cammino pasto-rale è quella della santità [...]. Additare la santitàresta più che mai un’urgenza della pastorale [...].

Per questa pedagogia della santità c’è bisognodi un cristianesimo che si distingua innanzituttonell’arte della preghiera [...]. È necessario impararea pregare [...]. Noi che abbiamo la grazia di crede-re in Cristo, rivelatore del Padre e Salvatore delmondo, abbiamo il dovere di mostrare a quali pro-fondità possa portare il rapporto con lui.

La grande tradi-zione mistica dellaChiesa [...] mostracome la preghierapossa progredire,quale vero e propriodialogo d’amore,finoa rendere la per-sona umana total-mente possedutadall’Amato divino, vi-brante al tocco delloSpirito, filialmenteabbandonata nel cuore del Padre» (30-33).

Chi meglio dei Santi ci può mostrare fino adove è possibile arrivare abbandonati nelle manidel Divino Artefice? Santa Chiara è un alto espo-nente di queste meraviglie che la Grazia trasfor-mante di Dio realizza.

Lei ci insegna con la sua vita come seppedisporsi perché Dio potesse trasformarla.

Lei ci insegna quest’Arte della preghiera,mostrandoci che è proprio la preghiera la fonteda dove scaturisce tutta la sua attività caritativa, ilsuo saper fare, la sua abilità per governare, il suomagistero esercitato con quelle di dentro e conquelli di fuori…

Chiara guardò a Gesù Cristo e questi Cro-cifisso, e scoprì e fece suoi tutti quei criteri cherivelano il Regno di Dio che non è di questomondo, ma che dà vita e vita abbondante.

Hna. Gemma de La Trinidad, osa (Monastero de S. Ana, Agustinas Contemplativas,

S. Mateo-Castellon, Spagna)

Hna. Gemma de La Trinidad, osa

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intercedendo la mediazione di alcuni amici, nonvenne mai meno alla sua vocazione di orante ebenché molto giovane – 24 anni – alla sua“maternità” verso le Sorelle e, contemporanea-mente, alla nuova esperienza dell’apostolatorichiesto da tante persone di ogni categoriasociale. L’unica scelta personale decisa subitodopo lo scoppio della crisi, fu un aggravamentodelle penitenze, limitato poi per l’insorgere diuna malattia.

Ma avvenne anche l’esperienza più interiore,il dono più desiderato, il sogno della sua adole-

MM atteo scrive: Gesù, presi con sé Pietro e i duefigli di Zebedeo - i testimoni, allora felici,

della sua trasfigurazione – cominciò a provare tri-stezza e angoscia. Disse loro: “La mia anima è tristefino alla morte”. E per tre volte, tornando frattan-to dai tre discepoli che però, per la tristezza, dor-mivano, pregò: Padre mio, se è possibile, passi dame questo calice! Però non come voglio io, ma comevuoi tu! e ancora: Padre mio, se questo calice nonpuò passare da me senza che io lo beva, sia fatta latua volontà (v.Mt 26,36-46).

Certamente è più confortante, per i discepo-li di Gesù, ricordare le sue promesse di gioia(v.Gv15,11;16,22;17,13) e trascurare le tante pre-visioni di sofferenze, di tribolazioni, di persecu-zioni e perfino di morte, sparse lungo i vangeli e,in modi diversi, divenute esperienze nella lorostoria.

Anche in quella di Chiara. Chi può penetra-re in questa sua esperienza di discepola e inna-morata di Gesù, iniziata che aveva vent’anni edopo dodici di vita monastica? Ecco, scritta pocodopo la sua morte, dal già inquisitore e ben pre-sto biografo, Berengario di Donadio, francese:dopo aver ricordato la confidenza fatta a unaconsorella sul sicuro esaudimento della preghie-ra, per particolari richieste che però ritenevacomune a tutte mentre la consorella negò digodere tale esperienza, scrive: “Chiara, udendociò, si reputò qualcosa, come essa stessa ripetevacon grande dolore tempo dopo. Da quel momen-to ad essa furono sottratte in gran parte la gran-dezza delle rivelazioni e l’elevatezza delle fre-quenti visioni per undici anni, durante i qualinon poté avere pace nella mente, ma aveva con-tinuamente conflitto di tribolazioni”.

E fra queste, una notte “si vide posta comebersaglio di due arcieri che la volevano colpirecon tiri di balestra: uno scagliava i vizi e l’altro levirtù. Spaventata in tale visione, Chiara voleva

sfuggire il conflitto e voltava il viso per nonvedere le frecce dei vizi. Comprese però che nonpoteva evitare il conflitto perché, se non avessevisto i vizi e sostenuto il conflitto degli arcieri,non avrebbe potuto avere pienamente la luce nétornare a quella limpidezza che aveva avuto neltempo passato”. Una consorella, che visse con lei26 anni, testimoniò: “Le fu sottratta ogni grazia diconsolazione e rimase immersa nel dolore, stavaogni giorno in pianto amaro e nel dispiacere di sestessa, mentre prima il pianto per la passione diGesù era soavissimo e piacevole”. Ai confessoriaccusava la propria viltà e la propria miseria, maalcuni “interiormente compunti mutavano inmeglio la loro condizione, altri la lodavano mol-tissimo per la sua santità e altri l’ammiravano perla sua conoscenza e la sottigliezza della scienza”.Ma essa si riteneva “la donna peggiore del mondoe ripudiata da Dio e in certo modo disperata”.Spesso tornava in cella dalla confessione“Piangendo amarissimamente” e non tornava piùdal confessore che l’aveva lodata.

Eppure durante l’esperienza di questo conflit-to, che si vorrebbe comprendere in tutti i suoirisvolti, e contemporaneamente alle sue conse-guenze più dolorose, “ricevette tanta scienza edottrina che avrebbe saputo rispondere perfetta-mente a chiunque l’avesse interrogata intorno aivizi, intorno alle virtù e alle loro proprietà eintorno a qualsiasi altra cosa: infatti la visionedel conflitto fu per Chiara una mirabile scuola,nella quale ricevette la più grande dottrina”.

Questa esperienza di conflitto, tutta interio-re, che si potrebbe dire agostiniana, non influìmai sulla sua vita quotidiana, sul compimentodei suoi doveri, sui suoi rapporti col prossimo,nemmeno dopo che, su richiesta unanime dellemonache, con grande e manifestata sua sofferen-za venne eletta badessa dal Vicario generale diSpoleto. Se tentò varie volte di esserne liberata

scenza, fisicamente dolorosissimo, della “impres-sione” dei segni della Passione nel suo cuore.

Dopo undici anni fu illuminata a comprende-re che la sua tribolazione era dono di Dio e que-sta fu la sua preghiera: “Signore, se vuoi che que-sta tribolazione rimanga in me e anche se la vuoiaumentare, io sono contenta”. Poco tempo dopoconfidò all’ “amico di Dio” Biagio di Spoleto:“Mi è stata restituita la grazia della meditazionee della consolazione della Passione di Cristo:l’una e l’altra sono in me senza alcun contrasto”.

P. Rosario Sala

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scritto, mostra la sua volontà di legislatore con queste parole:«Perchè possiate mirarvi in questo libretto come in unospecchio onde non trascurare nulla per negligenza, vi sialetto una volta alla settimana ». Le parole non potevanoessere nè più esplicite nè più impegnative. S. Agostinoritiene che le disposizioni contenute nella Regola sianosufficienti per regolare nelle sue linee essenziali unmonastero e per dare ai religiosi e alle religiose unospecchio nel quale riconoscere il proprio profitto spi-rituale.

Nella mia introduzione del “Commento allaRegola” ho scritto così: « La Regola agostiniana èbreve - appena poche pagine - ma ricca di contenuto. Isuoi precetti, non molti ma essenziali, danno alla vitareligiosa un orientamento sicuro e forte. Non fissa un rego-lamento della giornata, ma lo suppone e ne impone l’osser-vanza; non descrive la ‘lectio divina’ e lo studio, ma ne enun-cia il principio; non parla del ministero sacerdotale, ma ne pre-para e ne arricchisce l’azione attraverso l’organizzazione dellavita comune. Rivela una conoscenza profonda del cuoreumano, e un’intuizione sicura delle esigenze più vere della vitaconsacrata. Moderazione e austerità, interiorità e ricerca delbene comune, amicizia schietta e ascesa costante verso Dio, autorità umile ed efficiente e frater-nità sincera si fondono in essa per creare un equilibrio mirabile, quell’equilibrio sapienziale cheè proprio, per dono di natura e di grazia, del Vescovo d’Ippona. Ne risulta un quadro spiritualeche è insieme profondamente umano e autenticamente evangelico».

Del resto la Regola non è che un concentrato dell’ideale e dell’esperienza monastica di S.Agostino che conosciamo da molte altre sue opere, nelle quali S. Agostino espose la sua gran-de dottrina della preghiera e della grazia e della Chiesa, la Regola anche se breve diventa unostupendo programma di vita spirituale e monastica. Per questo molti monasteri e molti ordinireligiosi l’hanno adottata e l’adottano. Anzi essa, consapevolmente o no poco importa, costitui-sce l’ispirazione di movimenti spirituali oggi nella Chiesa.

Ma quello che a noi interessa di più non è tanto forse la Regola agostiniana in sè quanto larelazione di S. Chiara con essa, se S. Chiara ha conosciuto la regola di S. Agostino, se l’ha osser-vata, se ne ha fatto il modello del suo governo, il motivo dominante della sua spiritualità.

(continua)

* Conferenza tenuta dall’au-tore a Montefalco, il 30 ago-sto 1981, nel corso delle cele-brazioni centenarie della ca-nonizzazione di Sta. Chiarada Montefalco.

L’argomento che mi èstato affidato è certamenteinteressante. Lo è in sè, per-chè appartiene a una pagi-na gloriosa di Montefalco ealla vita di questo Mona-stero, lo è nei riflessi dellastoriografia religiosa medievale perchè nonsempre da tutti è stato inteso in modo univo-co; lo è nei riguardi di S. Chiara perchè costi-tuisce il punto focale dal quale considerare lasua luminosa spiritualità.

La Regola di S. Agostino Intorno alla Regola di S. Agostino si è

scritto molto in questi ultimi anni. Si è scrit-to sull’autenticità, sui destinatari, sulla data dicomposizione, sul contenuto dottrinale. Chidi questi problemi volesse avere un riassunto,può servirsi del mio libro sulla medesima “S.Agostino, La Regola”; chi invece ne volessesapere di più ha a disposizione la bibliografiaessenziale ivi indicata. Farò il riassunto delriassunto, raccogliendolo in alcune afferma-

zioni fondamentali chesono sostanzialmente quat-tro. Eccole: 1) S. Agostino abbracciò

l’ideale monastico aMilano con la conver-sione, lo studiò a Romadopo la morte dellamadre, lo attuò in Africaprima da laico, poi dapresbitero e infine davescovo.

2) S. Agostino promosse ilsuo ideale monastico, lo

difese, lo organizzò con l’esempio e la paro-la, ne scrisse una Regola che si diffuse e sistabilì per tutta l’Africa romana.

3) Il monachesimo agostiniano sopravisse alleinvasioni barbariche e si diffuse anchefuori dell’Africa.

4) La Regola agostiniana ebbe un grandeseguito dal medioevo in poi, particolar-mente dal sec. XII e XIII. Sulla Regola si possono fare due questioni

principali, una storica riguardante la suaautenticità e una dottrinale riguardante ilvalore del suo contenuto come norma di vitaper una comunità religiosa.

La prima questione si può riassumere così:il testo che costituisce la Regola di S.Agostino è stato scritto da S. Agostino. Nonci sono dubbi. Agostino, terminando il suo

Sigillo del Vescovo Gerardo, nellapergamena della concessionedella Regola di S. Agostino alleMonache, 10 giugno 1290 (il testoè visibile sullo sfondo)..

A tutti è noto conquale intensità Agostinoabbia vissuto questa pas-sione fondamentale del-la vita, con i suoi dram-mi, inquietudini e lace-razioni, che lo hannopreparato all’unione mi-stica con Dio attraversola kénosis di Cristo, cioèlo svuotamento di sé:Irresistibili le tue frecceacute... Ma sono benignetali piaghe. La ferita del-l’amore è salutare. Quan-do risana questa ferita?Quando il nostro desiderios ‘acquieterà nei beni eter-ni. Viene paragonato aduna piaga il perdurare delnostro desiderio che non èancora possesso. Giacchél’amore ha questo di parti-colare, che il dolore gli sus-siste accanto. Una voltaraggiunta la meta, quandoil possesso sarà adempi-mento, allora il dolorescompare, e resta im-mutato l’amore (Disc.298, 2, 2). Ecco il sigilloche autentica la conver-sione: un cuore inguari-bilmente ferito di amore.

Come il cuore sicomprime e si rigonfiaper irrorare di sanguel’organismo, così lo spi-rito dell’uomo scendenell’intimo per innalzar-si fino a Dio. Tutta lavita di Agostino è unpalpito del cuore che

AAgostino ancor oggi si propone comeuomo di Dio che sa parlare come nes-

sun altro al cuore dell’uomo. Quando ciparla, è come se rifacesse il nostro cammi-no, leggendo il fondo della nostra anima:deserto arido, che non sa di essere irrigatoin profondità dalle acque ricchissime delloSpirito, cervo assetato che spegne la suasete con il suo ardore.

Egli, proprio perché assetato di Dio edell’uomo, non poteva non trovare l’acquaviva dell’eterno amore. E così, il desertodel suo cuore si è trasformato in una fonteinesauribile di esperienza mistica, cui pos-sono attingere le nostre anime. Da lui pos-siamo tranquillamente accèttare questaprovocazione: Che cosa cerchi al di fuori diquello che sei, quando è in tuo potere essere ciòche cerchi? (Esp. Sal. 41, 1).

La conversione

Agostino spesso concludeva le sue ome-lie con una preghiera, che riassume l’aneli-to più profondo del cuore umano: Conversiad Dominum, rivolti al Signore. Essa acqui-sta un sapore particolare in bocca a un con-vertito, il quale, dopo aver voltato le spallea Dio per gettarsi nell’amplesso delle crea-ture, era ritornato fra le braccia del Padre.Lui viveva ormai con la psicologia del con-vertito, cioè in un atteggiamento di perma-nente conversione, proteso con tutte leforze verso l’unione perfetta in Dio. E cosìanche la sua spiritualità, di cui la preghierae la contemplazione sono l’aspetto qualifi-cante, risulta fortemente permeata dalvalore della conversione.

Del resto, Gesù stesso ha esordito nelsuo ministero pubblico con un perentorio

invito alla revisione della vita: ‘Con-vertitevi e credete al Vangelo’ (Mc. 1, 14).Ora, la metànoia evangelica equivale a uncambiamento talmente radicale di vita,che la mente umana non può neppure con-cepirne lo sbocco ultimo; Agostino la tra-duce molto bene con l’antitesi:•aversio - conversio. Questo processo inar-

restabile di conversione include duemomenti fondamentali: entrare in se stes-si e volgersi verso Dio. Ecco un testo fra imolti: Torna a te. E, una volta rientrato inte, volgiti ancora verso l’alto: non restare inte. Prima torna in te dal mondo esterno, e poirestituisci te stesso a Colui che ti ha creato,e che ha cercato te, perduto; ha trovato te,fuggitivo; ha convertito te a se stesso, tu chegli avevi voltato le spalle. Torna a te, dun-que, e muovi verso di Lui che ti ha creato(Disc. 330, 3).

Il ritorno a se stesso e in se stesso perraggiungere Dio esige perciò un nuovo tipodi amore personale, che Gesù chiama para-dossalmente rinnegamento: Se con l’amoredi sé l’uomo manda in perdizione se stesso,rinnegandosi si trova (Disc. 330, 2). In effet-ti, se la conversione è il rifiuto di ogni tipodi orgoglio, che conduce l’uomo a conside-rarsi un piccolo assoluto, la prima formapenitenziale di conversione è l’umiltà:l’ascesa verso Dio inizia dall’umile discesaverso le profondità del cuore: Figli degliuomini, fino a quando questo peso nel cuore?Anche dopo che la vita discese a voi, non vole-te ascendere e vivere? Dove ascendete, se sietegià in alto e avete posto la bocca nel cielo?Discendete, per ascendere a Dio, poiché cade-ste nell’ascendere contro Dio (Conf. 4, 12,19). In tal modo l’uomo apprende il datofondamentale della vera scienza: senza Dioè un nulla, con Dio è salvo.

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ÈÈ la parola che piùrisuona in questi mesi

dentro il monastero. Inlingua swahili significa:grazie! Questa dolce lin-gua, la più usata nel conti-nente africano, è quella didue Sorelle del monaste-ro agostiniano “HolyTrinity”di Ishiara in Kenya: Sr Florida e Sr Mary,per un anno qui fra noi.

Asante lo diciamo al Signore anche per unbell’incontro. Da poco una piccola Comunitàreligiosa di Padri Stimmatini, si è stabilita allaperiferia di Foligno. Fra loro c’è Padre Giuliano,che dal 1969, anno della sua ordinazionesacerdotale in Sud Africa, ha vissuto sempre lasua missione in quel continente: sono ben 36anni, con una ricchezza umana e di fede stra-ordinarie. Un’improvvisa malattia lo hacostretto a lasciare la missione e ad offrire ilsuo servizio in terra Umbra. Come avrete bencapito abbiamo conosciuto Padre Giuliano,che ha raggiunto Montefalco con gioia, lietissi-mo di ritrovare una ‘briciola’ della sua Africa etornare a parlare lo swahi-li. Tiene infatti settimanal-mente le sue lezioni allenostre due sorelle. Percondividere insieme atutta la Comunità questapresenza, ha celebratouna S. Messa davvero spe-ciale, anche perché in queigiorni erano fra noi altredue Sorelle africane dellostesso monastero, pureloro in Italia per un anno.

L’altare e l’ambone sisono rivestiti – com’è nel

desidera essere beato nella verità e nel-l’amore di Dio: O Verità, o Verità, come giàallora e dalle intime fibre del mio cuore sospi-ravo verso di te, mentre quella gente mi stordi-va spesso con il solo suono del tuo nome... Matu sei la vita delle anime, la vita delle vite, vitadell’anima mia (Conf. 3, 6, 10). Questa con-fessione ci rivela che il suo cuore, fin daiprimi anni della giovinezza e molto tempoprima del battesimo è vissuto in continuatensione verso Dio, pur in mezzo alle piùaberranti esperienze filosofiche e morali.Seppure attraverso esperienze negative, apoco a poco, si è fatta strada nel suo cuorela convinzione che altro è vedere la patriadella pace e non trovare la strada per giun-gervi e altro è tenere la via che porta lassùsotto la guida di Cristo (cf ivi 7, 21, 27).

Il momento supremo della conversionedi Agostino, là nel giardino di Milano,significa per lui l’approdo sicuro nella pacedi Dio ed egli finalmente dà sfogo allelacrime liberatorie: Quando dal più arcanosegreto della mia anima l’alta meditazione ebbetratto ed ammassato tutta la mia miseriadavanti agli occhi del mio cuore, scoppiò unatempesta ingente, grondante una ingente piog-gia di lacrime (ivi 8, 12, 28).

In effetti, qualche mese prima aveva giàvissuto una prima esperienza straordinariadi Dio, che segnerà tutta la sua vita: rien-trato in se stesso per interrompere definiti-vamente la sua ricerca di Dio, aveva vistouna luce immutabile, molto diversa datutte le luci della terra, che stava al di sopradi lui e lo avvolgeva: Chi conosce la verità,la conosce, e chi la conosce, conosce l’eterni-tà. La carità la conosce. O eterna verità e veracarità e cara eternità, tu sei il mio Dio, a tesospiro giorno e notte (ivi 7, l0, 16).

Agostino ha scoperto finalmente nelsuo cuore il Verbo di Dio, nello splendoredella luce e nell’umiltà della carne, scesa

dalle vertiginose altezze del mistero per ele-vare tutti a sé. Anche l’estasi di Ostia, vis-suta pochi mesi dopo il battesimo insiemealla madre Monica, è la prova cheAgostino attraverso il suo cuore è ormai ingrado di ascendere misticamente a Dio:E mentre ne parlavamo e anelavamo verso dilei (la sapienza), la cogliemmo un poco conlo slancio totale della mente e, sospirando, vilasciammo avvinte le primizie dello spirito (ivi9, l0, 24).

D’ora in poi, la vita di Agostino saràtensione mistica incessante verso Dio, per-ché ha capito che incontrare Dio significatrovare la felicità della sua vita: La miaanima vive di te (ivi l0, 20, 29). Ormai è Diostesso, presente con il suo amore, checolma di felicità il cuore di Agostino.

Oggi egli indica anche a noi la stessastrada, rammentandoci che è il nostro desi-derio di amare che ci fa già presenti a Dio(cf. Comm. I Gv. l0, 4). Quindi possedereed essere posseduti da Dio sono il fruttofinale del processo di interiorizzazioneverso la trascendenza: Abitano l’uno nell’al-tro, chi contiene e chi è contenuto. Tu abiti inDio, ma per essere contenuto da lui; Dio abitain te, ma per contenerti (ivi 8, 14). Quanto èaccaduto ad Agostino deve insinuare innoi l’idea di poter costruire nel nostrocuore la stessa casa, ove il Signore possavenire stabilmente e trattenersi con noi persempre: La mia confessione, Dio mio, è insie-me tacita e non tacita. Tace la voce, grida ilcuore, poiché nulla di vero dico agli uomini, seprima tu non l’hai detto a me; e tu da me nonodi nulla, se prima non l’hai detto tu stesso(Conf. 10, 20, 29).

Se non esiste Dio, non esiste Agostino;se non agisce Dio, non agisce Agostino.

(continua)

P. Eugenio Cavallari O.A.D.

loro costume – di un originale e coloratissimodrappeggio. Il canto d’ingresso e tutte le altreparti della celebrazione erano proclamate inswahili e italiano; animate dai loro canti edanze ritmate dal drum, il tamburo che allietaanche altri momenti ricreativi della comunità.Continenti e culture diverse, uniti, hanno datolode al Signore, mentre davvero si allargavanoi confini del cuore della Chiesa.

“Ringrazio l’Africa – ha detto commossoPadre Giuliano – perché mi ha insegnato avivere e a sorridere. La gioia: questo è il donopiù grande che l’Africa ha fatto al Cristia-nesimo. Gustiamo la vita e sorridiamo: nonabbiamo paura di dispensare sorrisi. Dio èAmore, gioia, danza e vita”.

TT ra le pagine di questa nostra rivista, ancora loscorso anno, abbiamo presentato due pubbli-

cazioni dedicate a Madre Alessandra: una raccol-ta di testimonianze di affetto e stima, che hannoraggiunto la sua Comunità di Lecceto quando èvenuta a mancare: il 27 gennaio 2005, e ancorauna raccolta – come un luminoso itinerario spiri-tuale – di tutti i suoi interventi dal bollettino delsantuario e monastero di S. Rita da Cascia.

Quest’anno, per ricordarla, proprio il 27 gen-naio, ecco un grazioso dono: una prima, brevema tanto intensa, biografia: “Madre AlessandraMacajone Agostiniana. Una vita a servizio dellaChiesa nell’interiorità”, edita dalla ProvinciaAgostiniana d’Italia e scritta da Sr. Dina Roda,del monastero di Lecceto, che oltre alla vicinan-za filiale per molti anni, ora sta riordinando e

catalogandotutti gli scrit-ti e le testi-m o n i a n z edella Madre.

Un tesoro prezioso che pian piano vedrà la luce esarà davvero una grande ricchezza anche per quel-le anime che desiderano camminare nello spirito.

“Gratitudine commossa e profonda a DioPadre – diceva di lei il Priore Provinciale P. PietroBellini, ricordandola – per aver fatto dono allaChiesa, all’Ordine Agostiniano, alle migliaia dipersone che l’hanno conosciuta e avvicinata, diuna persona e di una testimonianza grande comequella di M. Alessandra e ringraziarlo dei doni dinatura e di grazia che le ha concesso in vita e dicui tutti noi, chi in una misura chi in un’altra,abbiamo usufruito e gioito”.

Questo libretto di 142 pagine si legge, come sidice, tutto d’un fiato, davvero affascinati dallafigura di M. Alessandra e da quanto il Signore e ilS.Padre Agostino hanno operato in lei. Lettere,meditazioni, confidenze, preghiere: è un mosaicodi verità, bellezza e bontà, nel quale alcune picco-le tessere rifulgono ed è bello sostare, meditando.Davvero “una vita a servizio della Chiesa nell’in-teriorità”, con il sigillo Agostiniano.

che dobbiamo ricominciare, davanti a Te,tutta la nostra vita, tutta, Signore, senza re-missione per noi, ossia partendo dalla since-rità della nostra morte all’io. Signore, io nonposso dirti di aver capito subito questo, forsenessuna di noi può dirlo.

Sì, l’infanzia è abbandono, è fiducia, egioia... ma per noi adulti, la conquista di que-sta nuova innocenza non può non passare peril dolore. E noi non abbiamo sofferto ab-bastanza. Noi però vogliamo consegnarci al-

l’Infanzia del Tuo Cuore, vogliamo esseredisposte ancora una volta, a veder sradicate lenostre convinzioni su noi stesse. Signore, inse-gnaci ad accettare tutti i momenti della vita,con tutto il loro contenuto di gioia e di dolore,di comprensione e di incomprensione, didurezza e di dolcezza, con la convinzione chetutti e solo essi ci rifaranno nuove, davanti aTe. Facci comprendere che finché non avremoaccettato tutto, saremo fuori del Tuo Volere eda Te, perché TU sei qui e soltanto qui”.

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AAlle ultime pagine di questa biografia sono affidati alcuni deipensieri, intuizioni e riflessioni sull’infanzia spirituale, anno-

tati nel tempo in una piccola agenda della Madre. “Sono ‘semi’ digrazia, di luce, di amore: - sottolinea Sr. Dina - sarebbe bellopotessero germogliare in tanti altri cuori e portare la «candidaluce» in ogni angolo del mondo. La Madre ne sarà felice!”.

2266 aprile 1998. Siamo a Bulacan,Da lontano, laggiù, nascosta dal

verde esuberante, si vede la megalopolidi Manila, capitale delle Isole Filippine.Una piccola Comunità di MonacheAgostiniane, italiane e filippine, inizia unnuovo cammino, dopo qualche annotrascorso dall’altra parte della città, inuna piccola casa in affitto.

Nasce così il nuovo monastero“Madre del Buon Consiglio”, voluto dallaFederazione dei Monasteri Agostinianid’Italia. Una fondazione giovane che conil passare degli anni cresce nel numero,nella struttura che accoglie e nel servizioalla Chiesa Filippina. Ora, oltre al mona-stero e alla chiesa, è stata recentementerealizzata la bella casa di accoglienzadedicata a Madre Alessandra.

La prima data rimanda a quella pros-sima: 26 aprile 2008. Sono esattamente10 anni! E si devono festeggiare, nellalode al Signore e nella gioia fraterna.Sarà un bel pensiero di festa anche qui,in comunione con le Sorelle di Bulacan ei tanti amici che in questi anni hannogioito e contribuito alla bella e fecondarealtà agostiniana d’oriente.

““SS ignore Gesù, l’Infanzia! Essa ci ricon-duce ad un atteggiamento cosi vero,

cosi radicale, che ci fa quasi soffrire, mentreci è motivo di profonda gioia, di quieta pace.

Siamo noi capaci di Infanzia? oppure essa èuna illusione in più nella nostra vita, unagioia egoistica, a prezzo del tuo Natale?

Essa ci induce alla sofferenza di sentire

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sibile discernere altriamori, ma soprattut-to sentire la sicurezzadi un amore stabileed eterno che non cilascia in balia delvento e del tempo.Riconoscere dentrodi noi l’«eterno pre-sente», che ci amaveramente da sem-pre, è come esaurirela sete e la fame. Daqui si capisce il vuotoche si crea dentro dinoi, quando siamopresi da tante cose eda tanti affetti senzaavere la sicurezza dibase; con il gravepericolo della culturaattuale che ci propi-na la libertà senzaDio, quasi che nonc’entri con ciò chesiamo per grazia sua.La visione dellanostra fede – quelladell’acqua che zam-pilla per la vita eter-na e del pane dellavita – è ancora lasoluzione più realisti-ca e completa.

+ P. GiovanniScanavino,

vescovo

LL a Quaresima ci fa memoria delnostro battesimo, con la speranza

che ci rendiamo sempre più conto delcambiamento che Cristo ha operato inciascuno di noi attraverso il sacramentodell’acqua e dello Spirito e successiva-mente attraverso l’incontro sempre piùcoinvolgente con Lui: un incontro difede sempre più forte che può veramen-te cambiare la vita. Nell’orazione dellaprima domenica di quaresima infattiabbiamo pregato in nome di tutta lachiesa: “O Dio, nostro Padre, con la cele-brazione di questa Quaresima, segno sacra-mentale della nostra conversione, concedi anoi tuoi fedeli di crescere nella conoscenzadel mistero di Cristo e di testimoniarlo conuna degna condotta di vita.”

Il mistero di Cristo è sicuramente ilmistero pasquale, la sua passione, mortee risurrezione, ma per noi riguarda lapossibilità concreta di condividere que-sto suo cammino a partire proprio dallarisurrezione: riuscire ad essere uomini edonne nuovi proprio per la grazia e lapotenza della risurrezione.

Ci può aiutare a comprendere questa“buona notizia” l’incontro della Samari-

tana con Gesù al pozzo di Giacobbe, masoprattutto il linguaggio simbolico diGesù (cfr. Gv 4). Il tutto si può sintetiz-zare intorno all’immagine dell’acquache Gesù può offrire: chi beve della suaacqua non avrà più sete! La sua acqua èLui stesso, come dirà del pane della vita:è Lui questo pane che fa vivere per sem-pre (cfr. Gv 6). Gesù, in quanto Figlioamato dal Padre, è la nostra nuova vita;è la soluzione esistenziale di base ediventa la soluzione “affettiva” piùimportante e completa. Purtroppo l’im-mediatezza dei problemi esistenziali ciporta a ricercare altre soluzioni diversedalla fede e dall’incontro con Gesù.Oggi poi ritorna l’idea-convinzione chebisogna cercare le soluzioni distantidalla fede, in una “laicità” che è sinoni-mo di autonomia, ma che non difendeda una lunga serie di malattie dello spi-rito. Solo l’autore del nostro spirito è ingrado di guarirci e di garantirci quell’au-tonomia interiore che è la vera stabilitàdi cui abbiamo bisogno. Solo chi ci hafatti (“colui che è”), ci assicura quel-l’amore che andiamo cercando ovunquee che nessuna creatura ci può garantire.

A partire da questo amore-base è pos-

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canto fa supporre unapermanenza, quasi unostato che si svilupperà

in una lunga esperienza. Sorpresa e speranza sifondono in un sentimento istantaneo ed esaltan-te. Lo sfondo è quello delle porte di Gerusalemmeche con le mura costituiscono ancor oggi la colla-na mirabile della Città Santa (la Porta Bella, laPorta dei Leoni, la Porta di Erode, la Porta diDamasco, la Porta Nuova, la Porta di Giaffa, laPorta di Sion, la Porta dei Magrebini). Le portesono una metonimia per indicare l’intera città,ma sono anche la cinta protettiva al cui interno sispalanca “l’Hortus Conclusus”, il centro benefico efecondo della vita. Il poeta sente, perciò, di essereormai avvolto da un manto protettivo, di essereentrato in una zona franca in cui le tempeste dellavita e gli assalti del nulla sono sospesi (Sal. 46;87,2). Tutta l’esistenza resta protesa verso questameta. Un altro dei grandi poeti ebrei spagnoliMoseh Ibn Ezra (1055- 1138) scriveva nella suavecchiaia in Spagna: “La mia anima vorrebbe tor-nare alla casa (bêt, il tempio), si strugge per la fontedella sua esistenza, e langue di entrare nella santadimora; giorno e notte è in viaggio. Senza occhi con-templa le delizie di Dio, senza ali si libra fino a Lui; aLui aspira in continuo rapimento: all’alba, al crepu-scolo, nel cuore della notte”.

Seconda strofa (vv. 3-5):le tribù a Gerusalemmee i seggi della casa di Davide

Lo sguardo attonito ed entusiasta del salmistasembra quasi abbracciare con una carrellata tuttala capitale come fa ora il visitatore dall’alto delMonte degli Ulivi. L’idea prima che gli affiora allamente è quella di una grandiosa unità urbana,compatta e simile ad un insieme in cui tutto è bencongegnato diversamente dalla trasandata disper-sione delle casupole di un villaggio. Il testo ebrai-co del v. 3 è un po’ faticoso: letteralmente“Gerusalemme è la costruita come città legata a sé

tutta insieme”. La Pesittah ha esplicitato il sensointroducendo una menzione delle mura restaurateda Nehemiah e destinate ad essere il confine pro-tettivo, il filtro sacrale e la componente massimadella coesione nazionale. L’esegeta medievale rab-binico Ibn Ezra pensava invece alle case costruiteuna accanto all’altra di modo che il muro di unaservisse anche all’altra e il cortile dell’una fosseinvisibile a quello dell’altra (unità e autonomia)secondo il codice fondamentale dell’urbanisticaanche islamica attuale. I LXX, la Vg. E Girolamoleggono metaforicamente il verbo “costruire”come un “riunirsi insieme così da vedere nellacompattezza di Sion l’unità profonda dell’interoIsraele (così Gunkel, Budde, Calès, Oesterley,Tournay). A mio avviso il senso è ancora “fisico”come nel v. 2; è l’appassionata contemplazionedella città nel suo insieme, nel suo centro, dopoaver varcato le porte e averla scoperta nel suosplendore. Naturalmente lo sguardo non è maisolo quello del turista ammirato. Gerusalemmeresta sempre per l’ebreo un compendio simbolico,una cifra, un sigillo dello spirito.

Ed ecco, infatti, nel v. 4 apparire tutta la suasequenza di vocaboli tecnici che esaltano il ruoloteologico di Gerusalemme. Il testo del versettopresenta alcune difficoltà stilistiche. Si cercheràdi segnalarle anche se nell’insieme il senso gene-rale tiene.

Innanzitutto alcuni (Beaucamp, per es.) pen-sano che il ritmo imponga una separazione tra laprima parte e la seconda del v. 4 e che quest’ulti-ma parte debba essere legata al v. 5 che, altrimen-ti resterebbe quasi sospeso. Ma la cosa non è cosìurgente come si può pensare. La difficoltà è nellaseconda parte del v. 4 nell’espressione ‘edût leji-sra’el, “un comandamento per Israele, che puòriferirsi a ciò che precede (la “salita” a Geru-salemme) o a ciò che segue (“lodare il Nome diJHWH”). Qumrân e Simmaco suppongono ‘adat,“comunità” (“le tribù, comunità di Israele”).Dahood intende lejisra’el come vocativo:“Questo è un decreto o Israele, lodare il nome di

GIOIOSO SALUTOALLA CITTÀ SANTA:SALÔM JERUSALAIM

1 Cantico delle ascensioni. Di Davide.Fui pieno di gioia quando mi dissero:“andremo alla casa di JHWH!”.

2 I nostri piedi sono fermi,alle tue porte Gerusalemme!

3 Gerusalemme, costruita come unacittà in sé ben compatta e unita!

4 È là che salgono le tribù,le tribù di JHWH, secondo la legge di Israele,per lodare il nome di JHWH.

5 È là che sono insediati i seggidel giudizio, i seggi della casa di Davide.

6 Imploraste pace per Gerusalemme;vivano in pace coloro che ti amano,

7 sia pace nelle tue mura,prosperità nei tuoi palazzi!

8 Per i miei fratelli e per i miei amicidirò: “Sia pace su di te!”.

9 Per la casa di JHWH nostro Dio chiederò: “Sia bene per te!”

NN ei primi due versi il poeta concentra con ammirabilerapidità i due momenti estremi del pellegrinaggio: l’an-

nuncio o l’ordine di partenza e l’arrivo, saltando tutto il viag-gio e la fatica (su cui si soffermeranno i Sal. 84 e121). Questomontaggio in due momenti risolutori ha qualcosa di cinema-tografico: il primo momento è auditivo, amar “sentire, dire,ascoltare, sentir dire”, il secondo visuale o cinestetico. Siparla in prima persona, comunicando sentimento e sensazio-ne. Il primo verbo impone il suo tono gioioso a questa primasezione e a tutto il poema.

Prima strofa (vv. 1-2):Andremo alla casa di JHWH...I nostri piedi sono a Gerusalemme!

Ecco subito la prima parola, smh, “gioire”, che è come lachiave musicale di questo salmo. Il poeta unisce in un’unicascena l’emozione lontana di quel giorno in cui sbocciò ilsogno di un viaggio e la commozione presente di vedere congli occhi fisici la Gerusalemme reale, il suo tempio, i suoipalazzi, la sua vita, la sua meravigliosa bellezza. Lafrase”Andremo alla casa di JHWH” sembra essere una formu-la fissa con cui si iniziava ufficialmente il viaggio-pellegrinag-gio ed è attestata da Is. 2,3. la casa di JHWH, la sede della suapresenza in terra, è il cuore di Sion e il polo di attrazione delfedele; la liturgia comunitaria e il suo splendore sono un’espe-rienza unica e straordinaria che riempie tutto l’essere e tuttele attese. È interessante sottolineare il contrasto tra l’emozio-ne del v. 1 che è prima di tutto psicologica, pur supponendola materialità di una partenza, e la “fisicità” del v. 2: sono “inostri piedi” (Pesittah e Qumrân hanno “i miei piedi”) cheora calcano il terreno quasi a cercare una conferma sperimen-tale che non si sta vivendo un sogno o un’illusione. La stessacostruzione ebraica è significativa: la perifrastica “i nostripiedi sono stanti” marca da un lato l’atemporalità e la sospen-sione del gesto quasi fosse indistruttibile ed eterno e d’altro

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sperità, bene, serenità; è quasi una sovrapposizionefra la città terrestre e la Gerusalemme escatologi-ca. La radice Slm, attestata in tutta l’area semitica,esprime serenità e pienezza di pace e risuona 45volte nel salterio (27 volte il vocabolo salôm).Nell’ultimo addio del nostro salmo, cioè nel v. 9,essa è unita a “bene” (tôb) così da costruire ilfamoso saluto francescano “Pace e bene!”. Salômè inteso come una realtà oggettiva, come un valo-re che ha una validità sua propria, mentre tôb indi-ca innanzitutto un modo di vedere soggettivo: essodesigna ciò che è percepito come buono dal senti-mento. Gerusalemme ci offre la pienezza dell’esse-re e del sentire, della realtà e della speranza, delcosmo e dello spirito, del possesso e del desiderio.L’augurio è appunto quello che Gerusalemme rea-lizzi sempre ciò che il suo nome significa. È unapace che si effonde a ondate: copre tutta la città, siestende sopra le sue mura, penetra nei suoipalazzi fortificati simili a baluardi (1Re16,18; 2Re 15,25; Am. 1,4.12; 2,2.5; Sal.48,4; Ger. 17,27; Lam. 2,7), avvolge tutto ilTempio (v.8) e si posa su coloro che amanoSion per raggiungere, quindi, tutti gli ebrei,anche quei cari lontani (“fratelli ed amici”)che il salmista ha portato nel cuore qui aGerusalemme. Da questa fonte di pace pro-mana gioia e bene per tutto il mondo e pertutta l’umanità. La pace di JHWH “riempi-rà la terra come le acque ricoprono il mare“Is. 11,9. l’orante si fa voce di tutto Israeleper augurare a Gerusalemme, anche anome dei fratelli che non potranno maivenire in pellegrinaggio a Sion, questodestino di pace, di bene e di prosperità (Sal.84,5). È suggestiva la conferma archeologi-ca che nel 1961 è venuta a corroborarequesto saluto del pellegrino alla sua cittàamata. Un sigillo scoperto sul colle delTempio, l’Ofel, portava un’invocazionevotiva simile a quella registrata nel v. 7:jisal, “Dio cerchi la pace...”. Nel Talmud ilSifrê (commento) sui Numeri, nella sua fina-

JHWH”. Penso che la posizione centrale di ‘edutsia intenzionale e dia senso all’impegnodell’Alleanza (Sal. 78,5; 81,6) espresso sia nelpellegrinaggio sia nel culto, due elementi profon-damente uniti fra loro.

Verso Gerusalemme si muovono correnti vivedi persone. Sono le tribù sparse nei vari angolidella Palestina che si orientano verso il centro del-l’unità, Sion, ove Davide aveva condotto l’Arca eSalomone innalzato il Tempio (2Sam. 6-7; 24,18-25; 1Re 6;8). Significativo è il perfetto ‘alû usatodal salmista, un perfetto “ponctuale” che abbracciaun’azione continua e ininterrotta sino alle sorgen-ti stesse dell’ebraismo. Il verbo al passato “indicache la mente del salmista si porta indietro neltempo e vuol abbracciare in un solo sguardo tuttala storia di Israele al cui centro sta la fede dell’uni-co vero Dio e Gerusalemme l’unico luogo del suoculto. Con tale sguardo rivolto al passato il salmi-sta non intende escludere il presente”(Lancellotti), ma lo ingloba in un unico movi-mento. Alla base di questo movimento che diven-ta lode, una volta raggiunta la meta, c’è una ‘edût,una “norma” una “legge” data ad Israele da Diostesso: è l’impegno codificato della tradizione deu-teronomica per le tre grandi solennità annuali diPasqua, Pentecoste e Capanne. In quelle festel’ebreo, secondo una prassi già attestata alle origi-ni della monarchia (Geroboamo costruirà santuarialternativi a Dan e Betel per ostacolare il pellegri-naggio a Gerusalemme, 1Re 12,27), giungeva aSion per celebrare JHWH ( Sal. 30,5; 106,47) eper ritrovare l’unità nazionale. A Gerusalemme ilfedele rinnovava la sua esistenza di fede e la suaqualità di membro del popolo dell’Alleanza.

Ma a Sion l’ebreo ritrova un altro dono.Accanto alla presenza di Dio nello spazio delTempio, “casa di JHWH”, ritrovava la presenzaefficace di Dio nel tempo, cioè nella dinastia davi-dico evocata attraverso il simbolo del trono (v. 5;2Sam. 7). Ecco, quindi, la menzione della “Casadi Davide” nella quale, secondo l’oracolo diNatan, Dio si rende presente e operante. Con il

post-esilio l’evocazione del trono e della Casa diDavide acquista una nuova tonalità, è uno sguar-do proiettato verso il messianismo. C’è, però, unulteriore significato nella presentazione di questonuovo aspetto di Dio. Accanto al culto appare lapolitica, accanto alla lode la giustizia nello spiritodella teologia profetica. A Gerusalemme, infatti,sono posti i seggi della cassazione e della cortecostituzionale che dirimono in ultima istanza lecontroversie risolte in primo appello dai tribunalidelle “porte” dei villaggi (Dt. 17,8; 1Re 3,7-11;7,7; Pr. 20,8; Sal 9; 43,!-3; 72; 118,9-21; Is. 11,3;16,5; 26,1-3; Ger. 21-12). È per questo che la cittàsanta deve essere anche la città della giustizia ed èper questo che la profezia si batterà perché gliorganismi giudiziari rispettino sempre la giustizia.Abbiamo, così, una vera e propria ricapitolazionedi tutte le qualità teologiche di Gerusalemme. Èuna città perfetta, sede del culto, sede della storiasalvifica, sede della giustizia, cuore della speranzamessianica (2Sam. 7,16; 1Re 12,28; 2Re 2,45; Sal.89,5.30.37; 132 11,17; Ger. 33,15-22; Ez. 34,23-31; 37,24-28). Gerusalemme conserva il “tronovacante della casa di Davide perché vi si insedi ilnuovo Davide promesso (Ag. 2,21-23; Ger. 30,9;Ez. 34-23; 37,24)”. (così Deissler).

Terza strofa (vv. 6-9):pace per Gerusalemme e beneper la casa di JHWH

Quest’ultima stanza poetica, aperta da unimperativo impersonale, è un dolcissimo saluto aGerusalemme ritmato sulla parola ebraica del salu-to, salôm, “pace”, e sostenuto dall’assonanza giàesaminata con la parola Jerusalaim che pervadetutta la strofa. “Gerusalemme... là, sam, che assicu-ra il salôm. Là regna Selomo, Salomone il pacifico,il prediletto della Sulamit che è il popolo messia-nico... Tutto il destino della Città Santa è qui rias-sunto” (così Noth). Ciò che il nome racchiude insé è ora augurato in pienezza a Gerusalemme. Èuna pace messianica che ingloba in sé felicità, pro-

le fonde in unità tutte le radici della pace: “la Torahè comparata alla pace (Pr. 3,17) e il Santo –Benedetto Egli sia - ha dato la pace come ricom-pensa a chi studia la Torah (Sal. 119,165).Gerusalemme è comparata alla pace (Sal. 122,8)perché in futuro Dio la consolerà nella pace (Is.32,18). Il Santo – Benedetto Egli sia – ha edificatoil regno della casa di Davide nella pace (Is. 9,6)”. Aquesto “sacramento della pace” dovremmo accorre-re tutti, cristiani, ebrei, musulmani, per ritrovare lapace perché tutti siamo spiritualmente debitori aquesta città. Purtroppo ora questo augurio è solo unauspicio vago. Esso fa passare il lettore di questosalmo dalla Gerusalemme presente a quella dellasperanza in cui “non ci sarà più la morte, né lutto,né lamento, né affanno perché le cose di primasono passate” (Ap. 21,4).

P. Giuseppe Rombaldoni osa

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DD i tempo ne è passato, ma come si fa a non rac-contarvi un appuntamento così bello e vivace?

Una vera festa, in Santuario, per il compleanno diGesù, insieme ai genitori e alle monache.

Dedicato a chi crede che il Natale...sia una festa davvero speciale!

Alle domande “Cosa facciamo quest’anno perNatale?” e “Quali brani scegliamo da presentareper Natale?”, ci è tornata in mente una frase che ciha portato a pensare e a riflettere sui tanti aspet-ti del Natale oggi.

La frase dice “lasciate che i bambini venganoa me!”. Cosa c’è di più bello (in una società rima-sta oggi “quasi” senza valori) che avvicinare i

bambini a Gesù, facendo in modo che il Nataleassuma così il suo valore reale?

La decisione è stata confermata quandoabbiamo trovato la disponibilità e la “complicità”delle monache del monastero di S. Chiara: i bam-bini/e della scuola dell’infanzia “Quadrumani”,quelli delle classi prime della scuola primaria“Buozzi” e le loro insegnanti avrebbero dedicato iloro canti a Gesù... aspettando la Sua nascita.

Ed eccoci allora, dopo alcuni giorni di prove, acelebrare la S. Messa il giorno 20 Dicembre del2007 nel santuario di S. Chiara.

Una celebrazione “speciale”, ricca di canti enote magiche provenienti niente di meno chedall’Africa! Proprio così: due giovani monache,arrivate nel monastero da una terra lontana, ilKenya, ricca di colori e suoni, hanno coinvoltograndi e piccini con le loro danze, i loro ritmi e illoro sorriso! Ma sia chiaro che anche tutte le altresuore ci sono state vicine e ci hanno “guidato”verso Gesù usando... la “stellina parlante”... sicura-mente per noi la stella cometa!

Non dimentichiamo che anche Don Alessandroha saputo rendere la celebrazione “a misura di bam-bino” facendo in modo che tutti potessero esserepartecipi di quanto stavano vivendo insieme! Un’esperienza veramente indimenticabile, sicuramen-te da portare per sempre nei nostri cuori,dove oggipurtroppo non c’è più spazio per i sentimenti veri,per l’amore, quell’ amore che serve a renderci cri-stiani, figli di Dio e fratelli del prossimo.

Porteremo con noi anche quella emozioneforte, che ci ha preso la gola quando tutti insiemeci siamo lasciati “incatenare” dalle dolci note edalla dolce musica della “catena dell’amore”, can-tata e (forse) gridata per far in modo che tutti riu-scissero a sentirne le parole... e soprattutto a farle“prigioniere” nel proprio cuore!

Lorella Conocchia (insegnante)

MONASTERO AGOSTINIANO S. CHIARA DELLA CROCE - 06036 MONTEFALCO (PG)c.c.p. 14239065 - tel. 0742.379123 - fax 0742.379848 - e-mail: [email protected] TRIMESTRALE - Anno XXXIX, N. 1 - GENNAIO/MARZO 2008

S. CHIARA DA MONTEFALCO Agostiniana - Direzione: Monastero Santa Chiara - 06036 MONTEFALCO (Perugia)TAB. C - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia”

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