di quante si possano insegnare o imparare in pochi re ... · l’acquisizione di un metodo, di uno...

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La finalità dello studio del diritto non è insegnare un insieme di leggi, perché il diritto ne ha molte di più di quante si possano insegnare o imparare in pochi anni; né è quella di addestrare a seguire certe procedu- re, come fare un testamento o presentare un ricorso, cose che si imparano molto meglio con la pratica.Tutto questo certamente serve, ma ciò che davvero conta è l’acquisizione di un metodo, di uno stile. Conta, cioè, imparare a “pensare da giuristi”, a ragionare da giuristi, a prendere decisioni da giuristi, ad argomentare da giu- risti. Questo è quello che si intende indicare quando ci si sofferma sulla problematica del ragionamento giuri- dico 1 . 7 1 Cfr. F. Schauer, Thinking like a Lawyer, Harvard University Press, Cambridge Massachusetts-London 2009, 1. Il sottotitolo del libro è, poi, A New Introduction to Legal Reasoning. Nuova perché si iscrive in una lunga e importante tradizione di grandi giuristi di lingua inglese, come O.W. Holmes, The Path of the Law (1897), in

Transcript of di quante si possano insegnare o imparare in pochi re ... · l’acquisizione di un metodo, di uno...

La finalità dello studio del diritto non è insegnareun insieme di leggi, perché il diritto ne ha molte di piùdi quante si possano insegnare o imparare in pochianni; né è quella di addestrare a seguire certe procedu-re, come fare un testamento o presentare un ricorso,cose che si imparano molto meglio con la pratica. Tuttoquesto certamente serve, ma ciò che davvero conta èl’acquisizione di un metodo, di uno stile. Conta, cioè,imparare a “pensare da giuristi”, a ragionare da giuristi,a prendere decisioni da giuristi, ad argomentare da giu-risti. Questo è quello che si intende indicare quando cisi sofferma sulla problematica del ragionamento giuri-dico1.

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1 Cfr. F. Schauer, Thinking like a Lawyer, Harvard UniversityPress, Cambridge Massachusetts-London 2009, 1. Il sottotitolo dellibro è, poi, A New Introduction to Legal Reasoning. Nuova perché siiscrive in una lunga e importante tradizione di grandi giuristi dilingua inglese, come O.W. Holmes, The Path of the Law (1897), in

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Tradizionalmente (soprattutto nella cultura dellacodificazione, ma non solo), si è ritenuto che il ragio-namento giuridico per eccellenza fosse il cosiddettosillogismo giudiziale, cioè un ragionamento deduttivopratico la cui conclusione – poste le premesse – è logi-camente necessaria. Sulla reale struttura del sillogismogiudiziale – se per esempio essa includa anche la scel-ta delle premesse – e sulla complessità delle diversedimensioni giustificative in gioco in ogni ragiona-mento deduttivo si è scritto molto e qualcosa si diràanche più avanti2.

Vi è però un’altra tradizione di pensiero che indi-vidua nel ragionamento analogico la forma specificadel ragionare da giuristi, intendendo per ragionamen-to analogico la sua nozione ampia: non già alcune sueforme di applicazione nel diritto (come la analogia legiso il ragionamento per esempi che è in gioco nell’usodel precedente), ma piuttosto un ragionamento chelavora con le somiglianze e differenze. Ed è su questatradizione che si rifletterà nelle seguenti pagine.

«Boston University Law Review», 78, 1998, 699-716; K.N. Llewel-lyn, The Bramble Bush or, Our Law and its Study (1960), Oceana,New York 1991; E.H. Levi, An Introduction to Legal Reasoning (1941-48), The University of Chicago Press, Chicago 1962. La specificitàdel ragionamento giuridico viene identificata dall’autore nell’auto-ritatività.

2 Cfr. R. Alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica. La teoria deldiscorso razionale come teoria della motivazione giuridica (1978), a curadi M. La Torre, Giuffrè, Milano 1998.

1. I sospetti che solleva l’analogia

Il nostro punto di partenza è però dato da unacoincidenza: il ragionamento per analogia è guardatocon sospetto e scetticismo da molti teorici del dirittooccidentale, sia di civil law, sia di common law. Entram-be le tradizioni condividono alcune perplessità. Que-ste spesso si sovrappongono e si confondono, ragionper cui è difficile riflettere su una di esse senza tenereconto delle altre. Questo intrecciarsi dei problemirende difficile il tentativo di fare chiarezza sul tema3.

Le perplessità che l’analogia solleva si possonoraccogliere intorno a tre nuclei tematici: a) la questio-ne del potere e il sistema delle fonti, in particolareriguardo al rapporto tra legislativo e giudiziario; b) laquestione dell’affidabilità epistemologica; c) infine, lasua struttura, cioè la tipologia di ragionamento cheessa pone in essere4.

Prima di procedere, è opportuno dichiarare che

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3 Il contributo di Norberto Bobbio, L’analogia nella logica deldiritto (1938), a cura di P. Di Lucia e L. Ferrajoli, Giuffrè, Milano2006, sebbene centrato soltanto su una delle due tradizioni, èun’ottima ricostruzione.

4 Come sarà chiaro nel procedere, il mio interesse principa-le è rivolto principalmente a quello che viene chiamato ragiona-mento per analogia dalla legge o dal precedente (dunque impro-priamente, l’analogia legis). Resterà sullo sfondo il tema dell’ana-logia iuris, che richiederebbe una trattazione a parte, anche se siparlerà dei loro rapporti.

l’obiettivo della presente indagine non è tanto quellodi risolvere i problemi prima riassunti, e neppure diarrivare a dire con esattezza qual è il ruolo dell’analo-gia nel diritto, ma piuttosto quello di indagare la natu-ra del ragionamento giuridico e la sua specificità, apartire dall’ipotesi secondo cui l’analogia gioca unruolo importante. Questa esigenza di fondo è quellache spiega molte scelte, anche quelle bibliografiche5.

1.1. Analogia e potere: il rischio per il rule of law

La questione del potere che viene in gioco a pro-posito dell’analogia, sia nella prospettiva del civil law, siain quella del common law, ha relazione con il principiodi rule of law. Schematicamente, per il giurista di civillaw, il ragionamento per analogia può essere visto incontrasto con l’idea che prima dell’applicazione dellalegge vi sia appunto la legge, cioè una norma generalee astratta creata da un legislatore democraticamentelegittimato che contiene indicazioni univoche su mo -delli di azione deonticamente connotati. L’analogia

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5 Altrimenti si sarebbe dovuto trattare, per lo meno, deicontributi di U. Klug, Juristische Logik, Springer-Verlag, Berlin1951; di H.G. Kalinowski, Introduzione alla logica giuridica (1956),Giuffrè, Milano 1971; di Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trat-tato dell’argomentazione (1958), Einaudi, Torino 1966. In quest’altrosenso, si veda M. Atienza, Sobre la analogía en el Derecho. Ensayo deanálisis de un razonamiento jurídico, Civitas, Madrid 1986.

giuridica è solitamente ritenuta uno strumento dellacreatività del giurista, come del resto conferma il ruolodi integrazione del diritto che ad essa si riconosce6. Perquesta ragione su di essa incombono limiti espliciti(anche di natura costituzionale), per esempio il divietodi analogia nel diritto penale ed eccezionale nel civillaw, ma anche – significativamente – il divieto di ana-logia a partire da statute nel common law. Sullo sfondodella questione si trova il rapporto problematico trapotere giurisdizionale e potere legislativo, nella formadell’opposizione tra creazione del diritto e interpreta-zione-applicazione del diritto.

A sua volta, il problema rinvia alla questione dellanatura dell’interpretazione, come atto di cognizione ocome atto di produzione. Bisognerebbe approfondirequesta distinzione, che segna tutta la storia del dirittocontemporaneo7. Per ovvi motivi non è qui il caso di

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6 N. Bobbio, Analogia, in Id., Contributi ad un dizionario giu-ridico, Giappichelli, Torino 1994, 1-15.

7 Si tratta di una delle tesi di fondo di N. Bobbio, L’analogianella logica del diritto, cit. Da ultimo, vedi il volume C. Storti, Il ragio-namento analogico. Profili storico-giuridici, Jovene Editore, Napoli 2010.In senso critico e in riferimento alla letteratura giuridica italiana,francese, austriaca e tedesca, nello stesso volume, si veda U. Petro-nio, L’analogia tra induzione e interpretazione prima e dopo i codici giu-snaturalistici, 183-292. Giustamente, Petronio tiene a notare che l’in-terpretatio medievale (che include l’analogia) è opera dei giuristi,non dei giudici. Questo dato va tenuto presente quando si rifletteoggi sulla analogia come opera creativa di diritto ad opera dei giu-

approfondirla. Comunque questa problematica trovasoluzione – o può essere risolta – nella più accorta eormai comunemente acquisita tesi secondo cui l’in-terpretazione del giudice è partecipazione necessariaall’impresa comune di creazione del diritto, tipica dellapratica (sociale) giuridica8 ed è dunque sia cognizioneperché certamente rileva il detto di chi pone la rego-la (solitamente il legislatore), sia anche creazione per-ché il detto è dialetticamente e necessariamente illu-minato dal caso concreto. Per questa ragione certecondizioni ed esigenze del diritto contemporaneo –quali il pluralismo giuridico – hanno portato a parlaredi una trasformazione del principio di legalità, verso la“legalità del caso”, quella che si dà quando regola ecaso concreto trovano una sintesi soddisfacente9.

Lo stesso tipo di perplessità verso l’analogia si trovaanche nel mondo del common law: anche in questo siste-ma, infatti, la regola deve precedere la sua applicazione,

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dici. Tuttavia, nella prospettiva teorica che intende il diritto comeuna impresa comune (vedi nota successiva), questa precisazionenon va intesa come negazione: legislatori, giudici e giuristi coope-rano nella produzione/creazione del diritto, ognuno in modo pro-prio e con vincoli propri.

8 F.Viola, Il diritto come pratica sociale, Jaca Book, Milano 1990. 9 In particolare, si tratta di un nuovo assetto provocato dal

pluralismo giuridico. Cfr. F.Viola, La legalità del caso, in VV.AA., Irapporti civilistici nell’interpretazione della Corte Costituzionale. LaCorte Costituzionale nella costruzione dell’ordinamento attuale. Princi-pi fondamentali, ESI, Napoli 2007, tomo primo, 315-327.

sebbene la regola sia trovata nella decisione precedentedalla corte successiva. Secondo Schauer la questionedell’analogia è un altro capitolo della lunga storia deigiuristi e giudici impegnati nel negare il grado di crea-tività e di “law-making” che pervade l’attività dei giu-dici, che invece dovrebbe essere solo “decision-mak -ing”10. L’analogia, in ultima istanza, è uno dei modi dimascherare il fatto che la regola è decisa dai giudici.Questa constatazione peraltro si trova alla base dellasvolta scettica del pensiero giuridico soprattutto ameri-cano, che mira a smascherare – e a rendere trasparente,di conseguenza – il peso delle ideologie, delle valuta-zioni, delle politiche, nella produzione del diritto daparte dei giudici. In questa prospettiva, come si vedràpiù avanti – una volta svelate le “vere” molle della deci-sione giudiziaria –, l’analogia tenderà a scomparire11.Nella tradizione del common law si suole dire – in primoluogo – che mentre il precedente è obbligatorio, essen-do la decisione giudiziale fonte del diritto, l’analogianon lo è12. Talvolta si sostiene, inoltre, che l’obiettivoche si propone chi usa l’analogia è quello di cambiare il

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10 F. Schauer, Thinking like a Lawyer. A New Introduction to LegalReasoning, Harvard University Press, Cambridge-London 2009,100. Anche J. Raz, The Authority of Law, Clarendon Press, Oxford1979, 202.

11 Cfr. R.A. Posner, How Judges Think, Harvard UniversityPress, Cambridge & London 2008, 180-191.

12 J. Gardner, Some Types of Law, in D.E. Edlin (ed.), CommonLaw Theory, Cambridge University Press, Cambridge 2007, 71.

diritto, mentre quello di chi usa il precedente è di man-tenerlo stabile13. Se sul primo punto si trova facile edunanime consenso, sul secondo sussiste un notevoledisaccordo. È infatti controverso se l’analogia – volta altrattamento simile dei casi simili – sia orientata al cam-biamento del diritto esistente oppure alla sua replicabi-lità, come lo è anche il precedente14. Se fossero acco-munati da questa finalità – nel common law – il prece-dente e l’analogia differirebbero esclusivamente dalpunto di vista della teoria delle fonti15.

In quest’ultimo caso, nell’ottica di un giurista dicivil law – per il quale nemmeno il precedente è obbli-gatorio – questi due procedimenti si potrebbero avvi-cinare molto, fino ad identificarsi, per lo meno nellaforma di analogia da casi precedenti. Tuttavia questaconseguenza è residuale posto che l’analogia nel civillaw è principalmente quella in cui si confronta una fat-

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13 G. Lamond, Precedent, in “Philosophy Compass”, 2/5, 2007,699-711.

14 È la tesi di M.A. Eisenberg, The Nature of the CommonLaw, Harvard University Press, Cambridge, London 1988, 10-12.Raz sostiene che la fede negli argomenti analogici implica la scel-ta di una posizione conservatrice: l’analogia cioè troverebbe forzanella possibilità di armonizzare la regola per il caso presente conquelle già stabilite. Cfr. J. Raz, The Authority of Law, cit., 204-205.

15 Per esempio Duxbury sostiene che seguire un preceden-te è stabilire una analogia, anche se non tutte le analogie si tra-sformano in precedenti. Cfr. N. Duxbury, The Nature and Autho-rity of Precedent, Cambridge University Press, Cambridge 2008, 2.

tispecie astratta ricavata da una norma e il caso inesame (analogia da statute, direbbero i common lawyers).Se si dovesse accertare in contesto di civil law l’uso del-l’analogia a partire da precedenti, almeno in questocaso si dovrebbe concludere la coincidenza dei dueprocedimenti16, entrambi fondati sulle somiglianzegiuridicamente rilevanti tra casi concreti. Cionondi-meno, vi sono studiosi che sostengono che pure larelazione tra una fattispecie astratta e un caso concre-to implica un giudizio analogico. Com’è noto, è diKaufmann la tesi secondo cui la sussunzione non èaltro che una analogia interna alla fattispecie, poiché lafattispecie concreta e quella astratta non sono maiidentiche e dunque il loro rapporto è appunto analo-gico17. In questo senso l’analogia sembra potersi dire latipologia di ragionamento essenziale per il diritto.

Tutto ciò che di rilevante attiene all’analogia,quello che nella tradizione di civil law si chiama insenso tecnico procedimento per analogia o analogialegis e nella tradizione di common law reasoning by ana-logy troverebbe la sua ragione d’essere nella dottrinadelle fonti: è questa a stabilire le fonti obbligatorie equando occorre ricorrere alla analogia.

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16 È abbastanza plausibile che ciò accada.17 Cfr. A. Kaufmann, Analogia e “natura della cosa”. Un contribu-

to alla dottrina del tipo (1965), Vivarium, Napoli 2003 e anche F.Romeo, Analogia. Per un concetto relazionale di verità nel diritto, Cedam,Padova 1990.

1.2. Analogia e affidabilità

Il sospetto nei confronti dell’analogia è collegatoanche alla debolezza epistemologica di un ragiona-mento fondato sulle somiglianze. Il ragionamento ana-logico è infatti tipicamente una forma argomentativain cui somiglianze note tra due oggetti consentono diinferire con una certa probabilità altre somiglianzenon note. La probabilità però è una funzione dellanatura e della rilevanza delle somiglianze18. È pocoprobabile che due macchine dello stesso colore corra-no alla stessa velocità, mentre è “maggiormente pro-babile” che ciò accada se hanno motori dello stessotipo, anche se a questo proposito è necessario conside-rare anche il loro peso e la loro forma (ma non il colo-re). Le somiglianze (più o meno rilevanti) inducono acompiere “salti mentali”. Lo statuto epistemologicodel ragionamento per analogia dunque è soltanto pro-babile e non certo, a differenza di ciò che solitamentesi sostiene a proposito del ragionamento deduttivo19.

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18 Per questo il piccione, che non può capire che Alice – puravendo un collo lunghissimo e mangiando spesso le uova – nonsia un serpente, non è un acuto ricercatore. Cfr. L. Carroll, TheAdventures of Alice in Wonderland, ch. V.

19 Bisognerebbe però approfondire che tipo di stringenzalogica può predicarsi di un ragionamento deduttivo pratico, co m’èquello giuridico. Questo punto non può essere affrontato in que-ste pagine. Si rimanda alla trattazione di K. Engisch, Introduzione alpensiero giuridico (1968), Giuffrè, Milano 1970.

In realtà sono due i presupposti – strettamentelegati tra loro – di questo aspetto della questione. Ilprimo è quello legato alla convinzione che solo il ra gio-namento deduttivo ha una vera e propria stringenzalogica: ciò significa non solo che esso è il mo dello diragionamento “logico” per eccellenza, ma an che cheesso è in qualche modo “formalmente” infallibile. Tut-tavia, almeno in ambito giuridico, questo risultato siottiene solitamente al prezzo di delimitare arbitraria-mente l’estensione del ragionamento giuridico, esclu-dendo delle sue parti, in particolare le giustificazionidelle premesse20, che costituiscono invece la parte piùdelicata e difficile. Il secondo presupposto è che l’ap-prezzamento della somiglianza implica giudizi di valore,e dunque non può essere ricondotto alla logica forma-le, con grande detrimento per la certezza del diritto21.

Riguardo al primo aspetto bisogna segnalare chel’idea che solo il pensiero deduttivo sia logicamentestringente è una convinzione diffusa tra giuristi di civil

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20 Se la giustificazione della premessa minore, per esempio,è fondata sulla probabilità, allora il ragionamento deduttivo saràsoltanto probabile. Cfr. K. Engisch, Introduzione al pensiero giuridi-co, cit., 94 e ss.

21 L. Gianformaggio, L’analogia giuridica (1986), ora in Id.,Filosofia del diritto e ragionamento giuridico, a cura di E. Diciotti e V.Velluzzi, Giappichelli, Torino 2008, 142. È un punto segnalatoanche da V. Villa nel bel saggio Analogia, in F. Viola, V. Villa, M.Urso, Interpretazione e applicazione del diritto tra scienza e politica,Celup, Palermo 1974, 139-155.

law e di common law. Non è un caso che – volendo dif-ferenziare le diverse tipologie di ragionamento giuri-dico – i sostenitori della svolta scettica del pensierogiuridico sono soliti indicare – in una linea di pro-gressiva maggiore aderenza ad un reale resoconto delragionamento giuridico – il ragionamento deduttivo,quello analogico e infine il ragionamento pratico ofondato su valutazioni e politiche, che è quello a cui èdiretta l’attenzione del realismo scettico22. I salti men-tali del ragionamento analogico, dunque, contro lalogica rigorosa del ragionamento deduttivo, da unaparte, e contro la trasparenza ideologica delle politichee delle valutazioni del pensiero realistico, dall’altra23. Ilragionamento per analogia sarebbe un ragionamentoprimitivo, un ragionamento che muove dalle somi-glianze, a partire dalle quali si ipotizzano altre somi-glianze su una base epistemologica molto incerta24.

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22 W. Huhn, The Stages of Legal Reasoning: Formalism, Analo-gy, and Realism, in “Villanova Law Review”, 48, 2003, 305-380.

23 F. Schauer, op. cit., 102: l’analogia è “far more a matter of pat-terns of thinking that could be otherwise than of a strictly logicalnecessity”.

24 A margine, in ciò si deve riconoscere almeno una delledifferenze tra il ragionamento giuridico e il ragionamento scien-tifico: se nella scienza la instabilità e l’incertezza sono segni disalute, così non è invece nel mondo del diritto. Cfr. P.C. Ellsworth,Legal Reasoning, in K.J. Holyoak, R.G. Morrinson (eds.), The Cam-bridge Handbook of Thinking and Reasoning, Cambridge UniversityPress, Cambridge 2005, 685-703, spec. 690.

Il punto segnalato richiede di capire meglio cosasi intende per “salti mentali”. Nel ragionamento ana-logico, tipicamente, uno dei termini (chiamato source,fonte) è maggiormente noto, a differenza dell’oggettodell’analogia (target). Questa asimmetria permette dioperare alcune inferenze sul conto dell’oggetto del-l’analogia, cioè del target 25. Ciò però non significa chel’analogia non abbia limiti e vincoli: “a good analogyis one that appears coherent in the sense that multipleconstraints converge on a solution that satisfies as ma -ny different constraints as possible”26. Questo nel dirit-to significa che la individuazione delle somiglianze, siadi partenza, sia di arrivo, deve risultare adeguatamentegiustificata e deve soprattutto essere fondata su dati“giuridici”. È diverso invece l’uso della analogia insenso metaforico, dove source e target appartengono acampi semantici distanti e su questa distanza si fondala capacità espressiva della metafora27. Dunque, in lineadi principio, il ragionamento analogico non è necessa-riamente un ragionamento debole o addirittura “a de -

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25 K.J. Holyoak, Analogy, in K.J. Holyoak, R.G. Morrinson(eds.), The Cambridge Handbook of Thinking and Reasoning, cit.,117.

26 Ivi, 120. 27 Ibidem. Che Bossuet sia un’aquila dell’oratoria è certa-

mente un’affermazione efficace ma soprattutto espressiva. Posnersembra invece identificare analogie, metafore, paralleli, somiglian-ze, tutti accomunati da un certo carattere suggestivo: R.A. Posner,How Judges Think, cit., 180.

fective form of deductive reasoning”28. Lo sarà nellamisura in cui la rilevanza delle somiglianze è dubbia,azzardata o ingiustificata, ma questo significherebbepiuttosto che si tratta di un cattivo ragionamento ana-logico. Il primo legame dell’analogia con la giustifica-zione è dunque interno e riguarda il test di rilevanzadelle somiglianze rispetto alla ratio legis o alla ratio deci-dendi 29. Per alcuni, la conseguenza è che tutt’al più –purtroppo – il controllo della correttezza dell’analogiadebba ripiegare su una teoria dell’argomentazione enon sulla logica formale30, ancora una volta con detri-mento per la certezza del diritto.

Nell’intento di formalizzare la struttura dell’ana-logia, ne è stata individuata una, quella cosiddetta con-tinua, che prevede una relazione a tre termini, in cuiuno di essi (la somiglianza rilevante) si ripete: A/B =B/C. L’esempio potrebbe essere il classico: i libri osce-ni stanno alla moralità dei minori come lo stannoanche i dischi osceni, e dunque devono essere vietati.

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28 È l’accusa che Lloyd L. Weinreb (in Legal Reason. The Useof Analogy in Legal Argument, Cambridge University Press, Cam-bridge 2005) rivolge a Levi, Sunstein, Posner e Westen.

29 Cfr. J. Raz, The Authority of Law, cit., 204.30 Cfr. L. Gianformaggio, L’analogia giuridica, cit., 138. D’al-

tra parte è opportuno in qualche modo demitizzare l’idea del-l’applicazione della logica formale al ragionamento giuridico, esoprattutto del concetto di validità formale. Per questo, cfr. M.Atienza, Las razones del derecho. Teorías de la argumentación jurídica,Centro de Estudios Constitucionales, Madrid 1997, 26-33.

Almeno prima facie è difficile contestare l’affidabilità diquesta conclusione o negare la sua ragionevolezza, oancora ritenere che si tratti di una inferenza azzardata.Essa in realtà poggia su una lettura coerente della pra-tica giuridica (o del sistema giuridico) di riferimento,nel suo complesso e nelle sue parti, che giustificaanche l’esistenza dell’analogia iuris: l’analogia poggiacioè sull’idea che il sistema nel suo complesso è ragio-nevole, ragion per cui vietare i libri osceni ma non idischi osceni sarebbe inaccettabile (a meno che non visiano altre ragioni giuridiche, come per esempio lalimitazione dei divieti a favore della libertà). L’analogiaiuris implica la comparazione, la conciliazione delleregole giuridiche dell’ordinamento. In questo senso, ledue forme di analogia giuridica sono collegate, perchésono possibili se si parte dalla considerazione della pra-tica giuridica come di un insieme razionale. Per que-sto è vero ciò che Bobbio sostiene: per comprenderel’analogia occorre abbandonare il volontarismo giuri-dico31. Nel ragionamento analogico il caso viene col-locato in un contesto di pretese, ragioni e giudizi,razionalmente collegati in una sorta di puzzle il cuisignificato si va chiarendo man mano si procede nellacomposizione32. Il criterio di riuscita del ragionamen-

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31 N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, cit., 69. 32 Cfr. G.J. Postema, A Similibus ad Similia. Analogical Thin-

king in Law, in D.E. Edlin (ed.), Common Law Theory, cit., 124.L’immagine del puzzle è limitata però nella misura in cui si con-

to analogico è dunque la coerenza complessiva dellanormazione giuridica e della sua applicazione. In que-sta linea l’analogia gioca un ruolo importante.

Del resto, l’esigenza di controllare anche i puntidi partenza dei ragionamenti è nota per i giuristi.Modi di fugare la preoccupazione dell’origine incon-trollata dei punti di partenza sono sia i percorsi pro-posti dalla topica33, sia gli studi che si propongono diprecisare il contenuto della cosiddetta precomprensio-ne, nel contesto di una teoria ermeneutica dell’inter-pretazione34, entrambi strumenti utili per la delimita-zione del campo a cui attingere per ricavare argomen-ti e risorse per il ragionamento analogico e in generaleper il ragionamento giuridico. È lì che bisogna cerca-re la vera alternativa sia al modello deduttivo, sia alpensiero scettico, posto che entrambi condividono ilpostulato della incontrollabilità dei punti di partenza,invisibili per gli uni, arbitrari per gli altri.

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sidera che il senso del puzzle è già determinato da chi lo ha pro-gettato. Il diritto invece è aperto all’indeterminatezza casistica,cioè alla capacità della vita di sorprendere. Su indeterminatezzacasistica e semantica cfr. L. Lombardi Vallauri, Norme vaghe e teoriagenerale del diritto, in “Ars Interpretandi”, 3, 1998, 155-164.

33 T. Viehweg, Topik und Jurisprudenz. Ein Beitrag zur rechts-wissenschaftlichen Grundlagenforschung, Beck, Monaco 1953.

34 Sulla precomprensione cfr. L. Mengoni, Ermeneutica e dog-matica giuridica, Giuffrè, Milano 1996. Sulla teoria ermeneutica del-l’interpretazione, ovviamente, F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e inter-pretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari 1999.

Il carattere debole del ragionamento per analogiaè pure collegato all’idea – condivisa anch’essa dai giu-risti di civil law e di common law – secondo cui il ragio-namento per analogia si colloca in una dimensioneesterna rispetto al nucleo del ragionamento giuridico:servirebbe cioè a cercare la norma da applicare al caso,ma non sarebbe in grado di raggiungere esso stessouna conclusione giuridica, compito che resta accessi-bile solo al pensiero deduttivo.

Quest’ultima tesi poggia a sua volta sulla (primarichiamata) convinzione che si possano nettamentedistinguere il piano della giustificazione interna (per iteorici del sillogismo giudiziale elemento sufficienteper la correttezza del ragionamento) da quello dellagiustificazione esterna o giustificazioni delle premesse.Nella stessa linea, si sostiene che l’analogia appartienealla logica della scoperta e non della giustificazione35…volendo però con ciò indicare la giustificazione“interna”: è evidente che l’analogia svolge un ruolonella identificazione delle norme da applicare ad uncaso e dunque fa parte della giustificazione esterna36.Qui il problema rimanda ancora una volta a questionimolto più ampie, quella delle relazioni tra contestodella scoperta e contesto della giustificazione, da un

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35 Ll.L. Weinrib, Legal Reason. The Use of Analogy in Legal Argu-ment, cit., 11 e C.R. Sunstein, Legal Reasoning and Political Conflict,Oxford University Press, Oxford 1996, 96-100.

36 Uno per tutti, J. Raz, The Authority of Law, cit., 202-203.

lato, e, dall’altro, quella delle reali dimensioni delragionamento giuridico standard (se esso includa cioè“anche” le giustificazione “esterne” delle premesse eperfino la giustificazione della stessa regola)37. In lineadi massima, in una prospettiva in cui la ragion praticaè appunto una dimensione di deliberazione e il dirit-to una pratica razionale, le ragioni per trovare unasoluzione dovrebbero essere ragioni che possonoanche giustificarla. Non è un problema che si possaaffrontare qui, ma credo che l’onere della prova ricadasu chi nega questa continuità e non su chi la sostiene38.Il problema dell’affidabilità va collegato dunque al rap-porto tra analogia e giustificazione.

1.3. La struttura del ragionamento analogico

La terza dimensione problematica dell’analogiagiu ridica nasce dalla confusione tra le diverse tipolo-gie di ragionamento cui l’analogia è stata ricondotta,nel tentativo di stabilirne la struttura e le modalità di

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37 È di R.A. Wasserstrom (The Judicial Decision: Toward a The-ory of Legal Justification, Stanford University Press, Stanford 1961)l’applicazione di questa distinzione epistemologica al diritto.Oltre alla giustificazione interna al ragionamento e alla giustifi-cazione esterna o delle premesse, si può anche pensare alla giusti-ficazione che ogni regola contiene. Su quest’ultima, rinvio a F.Viola, Interpretazione e indeterminatezza della regola giuridica, in“Diritto privato”, VII-VIII, 2001-2002, 49-64.

38 Cfr. il mio Imparzialità, Giappichelli, Torino 2003, 240-244.

svolgimento. “Pensare da giurista” significherebbe es -sere capaci di percepire somiglianze e differenze39 e suquesto sarebbero d’accordo molti40, salvo poi intende-re in modi diversi il pensiero o il ragionamento analo-gico. Questa volta è la tradizione di common law a for-nire importanti contributi.

Levi, per esempio, sostiene che “the basic patternsof legal reasoning is reasoning by example” (una delleforme classiche del ragionamento analogico) e chel’individuazione delle somiglianze e delle differenze è“the key step in the legal process”41. La somiglianzaimplica la possibilità di applicare il principio o la rego-la esemplificati in un precedente42. Il suo contributo èrilevante, peraltro, perché questo tipo di ragionamento,a suo giudizio, vale sia per il precedente, sia per la legge,sia per la stessa costituzione. La differenza tra questi èche nell’applicazione della legge e della costituzione (se

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39 P.C. Ellsworth, Legal Reasoning, cit., 685-703.40 Cfr., per esempio, K. Engisch, Introduzione al pensiero giu-

ridico, cit., 79, e E.H. Levi, An Introduction to Legal Reasoning, cit.,2.

41 E.H. Levi, An Introduction to Legal Reasoning, cit., 1-2.42 Si potrà obiettare che ancora non si è dimostrato il col-

legamento tra il ragionamento per esempi e il ragionamento ana-logico, ma la citazione di Levi come campione del pensiero ana-logico è un luogo comune nella letteratura in lingua inglese. Cfr.per esempio, J. White, Analogical reasoning, in D. Patterson (ed.), ACompanion to Philosophy of Law and Legal Theory, Blackwell,Oxford 1996, 583.

scritta) il giudice ha meno libertà, in quanto contasoprattutto il wording, cioè le parole dette, e l’intenzio-ne del legislatore. Levi sostiene comunque che è lasocietà a dover trovare le differenze e le somiglianzerilevanti. La logica del ragionamento giuridico consistenel dare significato alle possibili ambiguità e nel “to testconstantly whether the society has come to see newsimilarities and differences”43.

Seguendo in parte le orme di Levi, Weinreb so stie-ne che il ragionamento per analogia è pervasivo nellapratica giuridica, o ancora “the distinctive feature oflegal argument”44, ma questa volta contro quelli checredono nel mito del ragionamento deduttivo e sosten-gono che quello analogico è logicamente debole. Se -condo Weinreb, l’essenza del ragionamento analogico èquella di riconoscere il generale nel particolare: questasarebbe in realtà l’essenza stessa del diritto. Tuttavia,nella sua prospettiva, il ragionamento ana logico nonpuò esistere senza un principio che accomuni i due casitra cui si stabilisce una analogia. Per questo il ragiona-mento analogico andrebbe ricondotto piuttosto alragionamento per principi45, anche se, secondo la pun-tualizzazione di un ulteriore autore che insiste sulla

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43 E.H. Levi, An Introduction to Legal Reasoning, cit., 6-7, e 104.44 Ll.L. Weinreb, Legal Reason. The Use of Analogy in Legal Argu-

ment, cit., 39.45 Idea condivisa con M.A. Eisenberg, The Nature of the

Common Law, cit., 83-96.

centralità dell’analogia, Sunstein, il ragionamento ana-logico aiuta ad identificare i principi e non viceversa:per questo l’analogia apparterrebbe alla logica della sco-perta e non della giustificazione. Alla fine, comunque, lostesso Weinreb sostiene che il ragionamento analogicoè valido ma indimostrabile, enfatizzando così uno deitasselli della mappatura delle perplessità nei confrontidella analogia, da fare rientrare nella problematica deisalti mentali prima segnalata: c’è qualcosa di intuitivo edi incontrollabile nel suo svolgimento o per lo menonel suo inizio46.

Secondo alcuni, per esempio lo stesso Sunstein, ilragionamento analogico è un ragionamento comples-so: si tratterebbe sostanzialmente di un ragionamentoper principi, per l’appunto; in esso più ipotesi sono ingioco; mira alla coerenza e consistenza; il suo focussono i particolari; si muove in un livello medio diastrazione47. Nella stessa linea, quella della complessità,questa volta epistemologica più che argomentativa,secondo Postema è fondamentale non considerarel’analogia un argomento soltanto, ma piuttosto una

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46 Ll.L. Weinreb, Legal Reason. The Use of Analogy in Legal Argu-ment, cit., 12. Sull’abduzione come primo atto dell’analogia cfr. S.Brewer, Exemplary Reasoning: Semantics, Pragmatics, and the RationalForce of Legal Argument by Analogy, in “Harvard Law Review”, 109,1996, 923-1028.

47 C.R. Sunstein, On Analogical Reasoning, in “Harvard LawReview”, 106, 1992-1993, 741-791.

forma argomentativa complessa, composta almeno difocus, frame, contrast, consilience e revision 48. Queste consi-derazioni rendono conveniente distinguere il ragiona-mento per analogia dal pensiero analogico49. Ad esserepervasivo nel diritto sarebbe il pensiero analogico enon quella specifica forma di ragionamento che chia-miamo analogia giuridica. Tuttavia, è chiaro che allafine questi due livelli arrivano a congiungersi e restada stabilire se si tratti di un ragionamento per regole,per esempi, per principi.

A questa disamina bisognerebbe aggiungere quellaclassica di memoria aristotelica che propone due moda-lità di ricostruzione della struttura profonda del ragio-namento analogico: come un ragionamento induttivoimperfetto, in cui si parte da premesse particolari e siricava una conclusione particolare, oppure come unragionamento deduttivo valido a partire da una premes-sa generale implicita, il principio di giustizia formale50.Ancora una volta il problema è quello della esatta deli-mitazione delle dimensioni del ragionamento: se sifermi alle premesse o ne includa la giustificazione.

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48 G.J. Postema, A Similibus ad Similia. Analogical Thinking inLaw, cit., 102-133.

49 Id., The Philosophy of Common Law, in J. Coleman, S. Sha-piro (eds.), The Oxford Handbook of Jurisprudence and Philosophy ofLaw, Oxford University Press, Oxford 2002, 588-622.

50 G. Carcaterra, Analogia (Diritto), voce in Enciclopedia filo-sofica, Bompiani, Milano 2010 (seconda edizione), vol. 1, 412-413.

Prima di procedere, indagheremo meglio i rap-porti tra precedente e analogia sulla base dell’idea chenel precedente e nell’analogia si verifica il principiosecondo cui i casi passati sono rilevanti per quelli pre-senti, alla luce del quale il ragionamento per preceden-ti appare essere una forma di analogia formalizzata51.

2. Il precedente e l’analogia

Mentre nel mondo di civil law la trattazione del-l’analogia va solitamente unita al problema generaledell’interpretazione ed allora lo scoglio principale èdistinguere l’analogia legis dall’interpretazione estensi-va, nella cultura di common law sembra dirimente lacoppia precedente-analogia. Un modo per introdurrela questione della loro differenza è richiamare l’affer-mazione ricorrente secondo cui il precedente riguar-da lo stesso caso (the same case), mentre l’analogiariguarda casi simili (similar cases)52. Questa affermazio-ne resta oscura se non si accompagna ad una riflessio-ne sulla specificità giuridica dei due fenomeni: come

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51 P.C. Ellsworth, Legal Reasoning, cit., 685-703. 52 Per esempio, cfr. l’ottimo lavoro di G. Lamond, Precedent and

Analogy in Legal Reasoning, voce in Stanford Encyclopedia of Philosophy(N. Zalta ed., 2006): http://plato.stanford.edu/archives/sum2006/):http://plato.stanford.edu/archives/sum2006/entries/legal-reas-pre-centries/legal-reas-prec.

già si è detto, sarebbe piuttosto lo statuto giuridico (inrelazione alla teoria delle fonti), e non la struttura gno-seologica, a distinguere precedente e analogia, comedel resto sembra accadere anche per l’analogia legis el’interpretazione estensiva53.

Come si diceva prima, per distinguere il prece-dente e l’analogia abbiamo bisogno di guardare allacaratteristica mancanza di libertà (cioè alla obbligato-rietà) da parte di chi applica un precedente54, da unlato, e alla libertà del giurista alla ricerca di aiuto e diispirazione nel caso dell’analogia, dall’altro. Il problemanei due casi è quello di determinare le somiglianzerilevanti e le ragioni della scelta di certe somiglianze enon di altre. In altre parole, la questione fondamentaleè la scelta della source, cosa che peraltro si verifica soli-tamente mettendo a confronto diverse possibili analo-gie in competizione tra di loro (competing analogies)55.Nella misura in cui la rilevanza non è determinabilesulla base di dati giuridici, il ragionamento giuridico

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53 È la tesi di N. Bobbio, Analogia, in Id., Contributi ad undizionario giuridico, cit., 1-15.

54 “The typical lack of freedom that a follower of precedentperceives in the selection of precedent”, F. Schauer, Thinking likea Lawyer. A New Introduction to Legal Reasoning, cit., 90.

55 Quasi sempre infatti la individuazione di un’analogiaavviene attraverso la comparazione con altre. Hanno segnalatol’importanza di questa modalità di approccio all’analogia W. Twi-ning, D. Miers, How to Do Things with Rules, Cambridge Univer-sity Press, Cambridge 2010 (5 ed.), 350.

per analogia si allontana dal discorso giuridico e siavvicina al ragionamento ordinario, con tutte le suedebolezze e imprecisioni, ma anche con le sue possi-bilità56.

Il dibattito sulla natura del precedente è moltovasto e non può essere affrontato adeguatamente inquesta sede. È a tutti noto, comunque, che la dottrinadel precedente non identifica totalmente i caratteriessenziali del common law. Non solo è possibile consta-tare che anche nel civil law il precedente svolge unruolo, ma soprattutto bisogna riconoscere che il com-mon law può essere compreso solo se il metodo delprecedente è inteso in senso forte, alla luce di una dot-trina delle fonti del diritto, quella che si esprime nellaregola dello stare decisis, cioè dell’idea che la decisionegiudiziale precedente stabilisce il diritto, è fonte didiritto: questo è uno dei caratteri che differenzia ilcommon law dal semplice case law. Per comprendere ilcommon law bisogna inoltre considerare che si tratta diun diritto di formazione consuetudinaria: il metododel precedente va dunque collocato in questo quadrodi riferimento in quanto ritenuto lo strumento adattoa consolidare quel tipo di regole57.

Per rintracciare le differenze tra il ragionamentoper precedenti e quello per analogia bisogna dunqueapprofondire la struttura del ragionamento per prece-

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56 Ivi, 95-96.57 J. Gardner, Some Types of Law, cit., 51-77.

denti. La nostra intenzione non è adesso risponderealla domanda sul perché la decisione giudiziale è fontedi diritto – che è la domanda fondamentale per com-prendere il precedente. Il nostro interesse è piuttostocercare di capirne la struttura, anche se la domandafondamentale dovesse rimanere senza risposta esausti-va. La ragione è che – stranamente58 – è cercando dirispondere a questa domanda che si può comprende-re la struttura del ragionamento per precedenti e chesi possono ricavare elementi utili per la comprensionedella analogia.

Vi sono almeno quattro teorie rilevanti. La piùdiffusa è che il giudice dal precedente non fa altro chericavare una regola da applicare ad un altro caso (l’usodel precedente come una operazione di laying downrules)59. Quella del precedente sarebbe dunque soltan-to un’altra maniera di produrre regole generali, non in

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58 Dico stranamente perché altro è lo statuto giuridico, altrolo statuto logico di un procedimento. Si potrebbe pensare cheprima va esaminata la natura logica dell’analogia, che poi il siste-ma giuridico farebbe propria. Questo dovrebbe essere l’ordinedelle cose. L’ordine dei problemi scelto in questa occasione deri-va dalla costatazione della convinzione diffusa che invece sia diri-mente la dottrina delle fonti.

59 Questa è la versione proposta da Schauer e Raz, nelleopere citate fin qui; ma anche di L. Alexander, E. Sherwin, Judgesas Rule Makers, in D.E. Edlin (ed.), Common Law Theory, cit., 27-50 e N. MacCormick, Ragionamento giuridico e teoria del diritto(1978), Giappichelli, Torino 2001, cap. VII.

parlamento, ma all’interno di un diritto consuetudina-rio e nel contesto di una disputa particolare. La cortesuccessiva enuclea la ratio decidendi della decisione pre-cedente – separandola da ciò che ritiene obiter dictum –,ed in essa “trova” la regola (ruling) per il caso successi-vo. Una volta ricavato il ruling, la domanda se sia obbli-gatorio seguire il precedente anche se esso è sbagliato(o è considerato una regola pessima da parte del giudi-ce) è la stessa che si pone un giudice nel civil law quan-do si domanda se la legge è obbligatoria anche se sba-gliata: la risposta è ovviamente affermativa60. A partireda questo presupposto, il ragionamento giuridico stan-dard per un giudice di civil law e di common law non èmolto diverso: solitamente si riterrà che esso si dispie-ghi nella forma di un ragionamento deduttivo. Semmaisi può dire che la differenza tra la legge proveniente dallegislatore e la regola ricavata dalla decisione preceden-te starà nel grado di generalità dell’una e dell’altra, manon si tratterà di una differenza qualitativa61. Si com-

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60 Non si tratta cioè di domandarsi se devo obbedire a“questa” norma indipendentemente da ciò che essa comanda eperché qualcuno l’ha posta, ma se devo obbedire al diritto – edunque a questa norma in quanto ne forma parte – indipenden-temente da ciò che questa norma comanda. La risposta va data inrelazione alle implicazioni che la disobbedienza può avere suldiritto nel suo complesso. C’è però sempre un limite: che lanorma non superi una soglia estrema di ingiustizia.

61 Questa è la ragione per la quale Lamond sospetta che leteorie sulla natura delle regole giuridiche tanto accreditate tra i

prende allora perché la differenza tra precedente e ana-logia vada cercata nella obbligatorietà del precedente enella libertà dell’analogia. In entrambi i casi si tratta diapplicare una regola ricavata a partire da altri casi.

Le obiezioni che si fanno a questo approccio stan-dard al precedente sono almeno due. Prima di tuttonon è detto che questa modalità di formazione dellaregola sia migliore, più efficiente, di quella di produrreleggi generali e astratte in parlamento, ma questa èun’obiezione per così dire esterna, proveniente cioè dauna diversa tradizione giuridica. Il problema è piutto-sto che la ratio decidendi è ricavata dal decisore successi-vo all’interno di un discorso talvolta oscuro o per lomeno complesso. Ma soprattutto c’è il problema deldistinguishing, che consiste sostanzialmente nella possi-bilità di cambiare la ratio decidendi della corte preceden-te, restringendola. La corretta dottrina del precedenteandrebbe dunque formulata in questo modo: la cortedeve in alternativa: o seguire o distinguere la decisioneprecedente, sulla base delle somiglianze e delle diffe-renze tra i casi62. Il senso dell’obbligatorietà del prece-dente si affievolisce molto: esso risulta essere inversa-

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teorici, come per esempio quelle di J. Raz (Practical Reason andNorms, Oxford University Press, Oxford 1999) e di F. Schauer(Playing by the Rules, Oxford University Press, Oxford 1991) – chehanno posto l’accento sul carattere di generalità delle regole –abbiano esiti incerti sulla comprensione del precedente. Cfr. G.Lamond, Precedent, cit., 705.

62 Cfr. su questo punto G. Lamond, Precedent, cit., 702.

mente proporzionale alla capacità di stabilire differenzetra i casi in oggetto. Così, si può sostenere che il prece-dente debba essere seguito a meno che vi siano buoneragioni per non farlo. E anche che l’analogia è l’imma-gine speculare del distinguishing: in quest’ultimo caso siinizia con un regola che sembra applicarsi al caso, chepoi si dimostra non applicabile sulla base delle diffe-renze rilevanti; nel caso dell’analogia si inizia con unaregola che non sembra applicarsi al caso, che poi inve-ce si dimostra applicabile ad esso sulla base delle somi-glianze rilevanti. Il precedente è diverso dall’analogiasolo nella forma, non nella sostanza63. Infine, il distin-guishing consiste nel cercare le differenze, mentre il pre-cedente e l’analogia cercano le somiglianze. Non si puòperaltro aggiungere che il precedente cerchi le somi-glianze con la ratio decidendi, perché questo è anchenella natura dell’analogia. Se la rilevazione delle somi-glianze e differenze è l’operazione che inficia l’affida-bilità del ragionamento per analogia, come si diceva alpunto 1.2., allora è giustificato sospettare che la tradi-zione di common law sia particolarmente debole rispet-to alla certezza del diritto, cosa che bisognerebbe veri-

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63 M.A. Eisenberg, Principles of Legal Reasoning in the CommonLaw, in D.E. Edlin (ed.), Common Law Theory, cit., 97. Lamondritiene che questa descrizione sia errata perché la simmetria nonè perfetta. Comunque il precedente deve essere trattato come cor-retto, mentre non è così per l’analogia. Cfr. G. Lamond, Precedentand Analogy in Legal Reasoning, cit.

ficare ma che i giuristi di common law farebbero fatica ariconoscere64. In ultima analisi, comunque, da questade scrizione emerge che il ragionamento per preceden-ti e il ragionamento per analogia sono modi di trattarecon le somiglianze e le differenze.

Il metodo del precedente rule-based è peraltromolto vicino al meccanismo dell’applicazione dellaregola generale e astratta: semmai la loro è una diffe-renza di grado. Se le cose stanno così quanto al prece-dente, la differenza tra civil law e common law diventamolto lieve, almeno dal punto di vista della strutturadel ragionamento giuridico. Per quanto attiene allaanalogia, si diceva, nel civil law si equiparano un caso eun modello di caso contenuto in una legge65, mentrenel common law si paragona un caso con un modelloricavato dalla ratio decidendi di un caso precedente, cheè pur sempre un modello di azione contenuto in unaregola che vale per più casi.

Bisogna dire però che a questa versione standarddel precedente sono state contrapposte tre ulterioriletture alternative. Secondo la prima il precedente è

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64 Alcuni critici del common law hanno insistito su questopunto, anche se il loro obiettivo polemico non era la pratica giu-ridica di questa tradizione, ma quegli autori che mischiavano ledottrine del common law con quelle del diritto naturale. Per esem-pio, T. Hobbes, Leviathan (1651), Cambridge University Press,Cambridge 1997, cap. 26, e J. Bentham, A Fragment on Government,T. Payne, London 1776.

65 K. Engisch, Introduzione al pensiero giuridico, cit., 94.

obbligatorio per i principi che lo giustificano, cioè inquanto si configura come la migliore decisione con-creta localmente considerata, o come la migliore deci-sione nel contesto delle altre decisioni66. Non sarebbedunque la ratio decidendi l’elemento fondamentale perl’obbligatorietà del precedente, ma piuttosto il cosid-detto rationale, cioè la giustificazione. Tuttavia, se que-sto è vero, qui l’argomento per precedenti si avvicinaancora di più all’argomentazione per analogia, dove lagiustificazione delle somiglianze e differenze è centra-le67.

La seconda versione alternativa vede il preceden-te obbligatorio in quanto esempio. Ma anche la strut-tura logica del ragionamento per analogia poggia sullaconsiderazione di esempi adatti a regole, in una sortadi equilibrio riflessivo68. L’obiezione comune controquesta idea è che un esempio è sempre esemplifica-zione di qualcosa e dunque questa versione ricadefacilmente nella versione standard, cioè quella del pre-cedente rule-based 69.

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66 Per il primo approccio, S.R. Perry, Judicial Obligation, Pre-cedent and The Common Law, in “Oxford Journal of Legal Stu-dies”, 7, 2, 1987, 215-257; per il secondo R. Dworkin, con la dot-trina dell’integrità: Law’s Empire, Fontana Press, London 1986,224-275.

67 G. Lamond, Precedent and Analogy in Legal Reasoning, cit. 68 S. Brewer, Exemplary Reasoning: Semantics, Pragmatics, and

the Rational Force of Legal Argument by Analogy, cit., 927.69 Anche se l’esempio può essere rule-like ma necessaria-

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La terza possibilità alternativa alla versione stan-dard è che il precedente sia obbligatorio per la ratiodecidendi ma other things being equal 70. La ratio decidendinon è cioè da intendere come una regola, ma come uninsieme di condizioni che, quando si verificano,impongono un certo risultato. Si tratterebbe dunquenon di una regola come quelle generali e astratte, macome una regola per il caso concreto… ed eventual-mente per altri casi eguali (sic!). Il punto fondamenta-le – giustamente sottolineato – sta nel fatto che il giu-dice non stabilisce una regola che vale per gli altri casi,ma solo per il proprio (come fanno normalmente igiudici, potremmo aggiungere, senza che ciò ostacoliche un giudice successivo ritenga rilevante la decisioneper il proprio caso). Comunque sia, questo approcciopresuppone che i giudizi comparativi tra il caso pre-sente e gli altri si possano fare71. Ancora una volta, que-sta lettura appare essere una versione dell’idea che ilprecedente consista nel ricavare una regola da un caso

mente, cfr. B.B. Levenbook, The Meaning of the Precedent, in “LegalTheory”, 6, 2000, 185-240. Sul tema si tornerà più avanti.

70 Lamond identifica questa teoria con l’idea che il prece-dente sia una forma di decisione che poggia sul bilanciamentodelle ragioni nel caso in esame, che altre corti considererannocome correttamente deciso. Esso offrirebbe dunque una giustifi-cazione pro tanto a favore di un corso di azioni (G. Lamond, Pre-cedent and Analogy in Legal Reasoning, cit.).

71 L. Alexander, Constrained by Precedent, in “Southern Cali-fornia Law Review”, 63, 1989, 34-37.

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precedente e nell’applicarla all’instant case, solo che allafine dei conti sembra indebolirsi l’obbligatorietà delprecedente, avvicinandolo così alla analogia72. In realtàsembra trattarsi di una versione che cambia il punto divista: non già la posizione del giudice rispetto al casoprecedente, ma piuttosto quella del giudice rispetto alproprio caso. Ma cosa dire del giudice successivo? È perquest’ultimo che il precedente è obbligatorio.

Se per la tradizione di civil law il problema delladottrina del potere trova chiarificazione nella defini-zione di interpretazione come cognizione e insiemeproduzione e nel rapporto tra regola e caso concreto,dovrebbe ora essere sufficientemente chiaro come ildiscorso sulla dottrina delle fonti per quanto riguardail common law rimanda anche al rapporto tra regola ecaso nel diritto, anche se partendo da altre basi. Sipotrebbe dire che queste due tradizioni non differi-scono se non dal punto di vista formale, mentre dalpunto di vista sostanziale, quanto alle finalità che sipropone il diritto e alla metodologia che gli è propria,la loro affinità è particolarmente evidente. Le difficol-tà comuni di fronte all’analogia ne sono conferma. Edè proprio nella natura della pratica giuridica che sipossono rintracciare le coordinate per comprendere

72 Alla fine, questa posizione porta a ritenere che vi è solouna presunzione di obbligatorietà a favore del precedente. Cfr. L.Alexander, E. Sherwin, Judges as Rule Makers, in D.E. Edlin (ed.),Common Law Theory, cit., 27-50.

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adeguatamente la portata del ragionamento analogico,le sue condizioni di realizzazione e i mezzi per verifi-care la sua correttezza.

3. Analogia e giustificazione

Finora non è stato distinto il ragionamento ana-logico in senso giuridico da quello logico. È abbastan-za evidente che il ragionamento in cui il punto di par-tenza è la somiglianza tra due entità (analogia in sensologico) assume diverse forme nel diritto: gli argomen-ti a simili, a contrario, a fortiori, ad exemplum sono tutteespressioni della presenza dell’analogia logica nel dirit-to. L’interpretazione estensiva, l’analogia legis e iuris ela stessa applicazione del precedente sono prodottigiuridici ottenuti attraverso quella forma di ragiona-mento logico oggetto di riflessione. Ovviamente, que-sti prodotti sono la combinazione di una pluralità dielementi: il ragionamento analogico in attenzioneall’intenzione del legislatore73 o lo scopo della legge,tanto per incominciare, ma anche un certo modo diintendere l’opera dell’interprete e il sistema giuridiconel suo complesso.

L’idea intuitiva che un giurista, infatti, ha del ragio-

73 Citando Giovanni Tarello: Ch. Perelman, Logica giuridi-ca nuova retorica (1976), a cura di G. Crifò, Giuffrè, Milano 1979,97.

namento giuridico è che esso mira a rendere giustiziasecondo diritto: to do justice according to law. L’espressione“secondo diritto” sta ad indicare che il ragionamento èvincolato dalle regole. Non si tratta già di scegliere tratutte le soluzioni possibili in astratto, ma tra le soluzio-ni giuridiche, a confronto con la specificità del caso. Matra le soluzioni giuridiche occorre scegliere la migliore(e per ottenere questo al controllo della razionalità dellagiurisdizione bisognerebbe ag giungere anche il con-trollo della razionalità della legislazione). Questo signi-fi ca che entro i limiti del diritto occorre trovare la solu-zione corretta, o quella che pretende di essere tale. L’usodi argomenti è volto a soddisfare la pretesa di correttez-za della decisione giuridica74. Usare espressioni come“scelta migliore” o “corretta”, “buona soluzione” puòrisultare però troppo vago e perfino sospettoso: chi sta-bilisce che sia “buona” una soluzione? Sulla base diquali criteri? Gli argomenti pratici, le forme speciali diargomentazione, i canoni dell’interpretazione – sia purecon la loro natura defettibile – sono tutti strumenti perstabilire una decisione corretta. Un aspetto centrale del -la correttezza della soluzione è la coerenza con le altredecisioni della pratica giuridica, ed a questo si ispiral’uso del precedente75. Le buone soluzioni cioè tendo-

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74 R. Alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica. La teoria deldiscorso razionale come teoria della motivazione giuridica, cit., 225-234.

75 Cfr. R. Alexy, Interpretazione giuridica, voce in Enciclopediadelle scienze sociali, Treccani, Roma 1996, vol. 5, 68-70.

no ad essere costanti e uniformi nel tempo entro lo stes-so sistema giuridico, e dovrebbero esserlo. Certamentesi tratta di un invito a garantire la certezza e la prevedi-bilità nell’applicazione del diritto: una soluzione è“buona” quando resta nell’alveo delle altre soluzioniprecedenti. Ciò però dipende da un assunto e ha unaimplicazione: l’assunto è che vale il principio di nondiscriminazione o di giustizia formale, in base al qualecasi simili devono essere trattati in modo simile e casidiversi in modo diverso. In questo senso, la coerenza sicongiunge con la correttezza di una soluzione, e cosìfacendo implica l’applicazione di un principio di giusti-zia. Il richiamo al precedente è fondato sulla ricerca diun valore, quello della certezza, che a sua volta è colle-gato al valore della giustizia: è infatti giusto che gli indi-vidui possano prevedere le conseguenze che deriveran-no dalle proprie azioni in condizioni di eguaglianza,secondo un principio tipico dello stato diritto. La impli-cazione è che nel ragionamento giuridico diventa cru-ciale la giustificazione della somiglianza del caso pre-sente con quello precedente – per seguire una lineaargomentativa – oppure della differenza per discostarse-ne.

Alla luce di queste considerazioni emerge il valoredella coerenza degli atti giuridici tra di loro come carat-teristica della pratica giuridica: non solo tra le diversecorti, ma anche nell’operato dello stesso giudice. Talecoerenza non è un valore “logico”, quello che si dà

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quando non vi sono antinomie tra le norme. Ma essarisponde altrettanto all’esigenza propria di uno sta to didiritto, che è l’uniformità nell’applicazione delle norme.La coerenza è dunque un valore “pratico”. Nel prece-dente (ma anche nell’analogia) si esprime come coe-renza materiale nel tempo. Una decisione coerente conle altre richiede che si giustifichino somiglianze e diffe-renze. Resta essenziale dunque l’estrinsecazione delleragioni per una determinata scelta. Più difficili sono lescelte, più approfondita deve essere l’argomentazione aloro sostegno. L’uso del ragionamento a simili nel dirit-to implica un’accurata argomentazione sulla rilevanzadelle somiglianze alla luce dello scopo della regola.Que sta esigenza di giustificazione è la chiave del con-trollo del ragionamento analogico, ed ha a che fare conla sua struttura logica. Una riflessione sulla struttura del-l’analogia e sulle sue varie tipologie può consentire dirintracciare alcuni di questi livelli di giustificazione.

Come è noto, l’analogia si distingue dall’univoci-tà e dall’equivocità. Un termine è univoco quandosignifica sempre la stessa cosa se applicato a più indivi-dui: un abete e un acero sono alberi alla stessa manie-ra, sebbene si tratti di alberi diversi. (Il lettore attentocapirà che anche il concetto di abete è univoco e chepure può essere applicato a diverse realtà, cioè a dueindividui della stessa specie, eventualità che rientrapacificamente nel concetto di univocità. La complica-zione introdotta nell’esempio degli alberi appartenen-

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ti a due specie diverse entro lo stesso genere determi-na un ulteriore livello di complessità nel rapporto trai concetti e la realtà perché introduce ulteriori ele-menti di differenziazione.) Un termine è equivocoquando – pur mantenendo lo stesso detto – significacose diverse se applicato a cose diverse: cane si dice sial’animale, sia la costellazione. L’analogia è invece unmodo di mantenere insieme somiglianze e differenze,come l’univocità e la equivocità non riescono a fare.L’analogia invece riesce a tenere insieme la massimaquantità possibile di somiglianze e differenze: così lamia cena e le mie scarpe possono essere “buone” inun certo modo comune ma allo stesso tempo diverso:ognuno secondo il proprio modo di essere buono (danon confondere, si spera).

La prima indicazione da ricavare da tutto ciò èche bisogna evitare la tentazione di intendere l’analo-gia come qualcosa che mira verso l’identità76 e – nelconstatare la distanza da essa – ritenerla perciò in qual-che senso difettosa. Con l’analogia è altro quello che

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76 Si può anche fare riferimento alla distinzione tra eguale,simile ed identico riportata da Letizia Gianformaggio nel suo stu-dio su Ragionamento giuridico e somiglianza (1998), ora in Id., Filoso-fia del diritto e ragionamento giuridico, cit., 156-159: quando si parla diidentità si parla di individui, quando si parla di eguaglianza e disomiglianza si parla di proprietà. Nel caso in cui affermiamo chedue cose sono eguali insistiamo sulle proprietà comuni, quando sidice di due cose che sono simili manteniamo il riferimento a ciòche accomuna e a ciò che differenzia.

rileva: “we are not trying to establish an approximationto identity at all”77. Infatti, quando c’è identità non c’èanalogia e, viceversa, quando c’è analogia non si dàidentità. In parte, il dibattito prima schematicamentericostruito è viziato anche da questo presupposto: sipensi alla questione della differenza tra the same case e isimilar cases, con la conseguente percezione che laseconda eventualità non sia che l’indebolimento dellaprima; oppure alla generale convinzione che la sussun-zione di un caso nella regola poggi sulla perfetta con-cordanza tra essi; o, ancora, alla pretesa di trovare la mas-sima corrispondenza tra caso e fattispecie astratta o tracaso e precedente. In modo molto generico, si può direche – al contrario – tutte queste forme di riferirsi allarealtà attestano modalità per tenere insieme le somi-glianze e le differenze. Qui andrebbe cercata la specifi-cità delle regole (anche di quelle giuridiche). Questopunto può essere ritenuto uno dei maggiori contribu-ti della riflessione di Kaufmann sull’analogia cui primasi è fatto riferimento: nemmeno la sussunzione puòessere ispirata alla logica dell’identità. In altre parole,ciò vuol dire che la logica dell’identità non è in gradodi supportare il rapporto tra regola e casi concreti. Lalogica dell’analogia – che sarebbe quella delle somi-glianze e differenze – forse sì, e ciò vale anche nel rap-porto tra regola e caso concreto.

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77 L.C. Becker, Analogy in Legal Reasoning, cit., 251.

Certamente, la univocità, l’equivocità e l’analogiasono caratteristiche dei concetti che abbiamo sullecose, non sono proprietà delle cose. Tuttavia, bisognadire che esse si danno quando le cose hanno certe pro-prietà, sicché parlare di analogia richiede di conside-rare la realtà attraverso concetti, e non sempre è faciledistinguere i due livelli. Si può dire che l’analogiariguarda insieme concetti e realtà.

La premessa necessaria alle considerazioni cheseguono – che muovono dall’analogia in senso filoso-fico, tipicamente quella che è oggetto di studio dellaparte della filosofia detta “ontologia” – è che bisognacertamente distinguere gli esseri (o gli enti) dalle azio-ni o dai casi. Gli esseri (o gli enti) sono analoghi in unmodo e le azioni probabilmente in un altro. Ma alcu-ne osservazioni che si possono ricavare dall’esame filo-sofico dell’analogia risulteranno utili per lo scopo dicapire meglio il ruolo dell’analogia nel diritto.

Per introdurre il più brevemente possibile l’ana-logia in senso filosofico, seguirò la trattazione classicadi Caietano nel De nominum analogia ed un commen-to a questo breve trattato78. Perché si dia una analogia

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78 Thomas De Vio Cardinalis Caietanus, De nominum analo-gia (1506), in Id., Scripta Philosophica, a cura di P.N. Zammit, Isti-tuto Angelicum, Roma 1934, 1-93 e G.B. Phelan, Saint Thomasand Analogy, Marquette University Press, Milwaukee 1941 (fourthprinting 1973), ora disponibile nella forma di ebook. Cfr. anche V.Melchiorre, Analogia, voce in Enciclopedia filosofica, Bompiani,Milano 2010, 402-412.

bisogna fare riferimento a due parametri: la partecipa-zione e la proporzionalità. L’analogia si dà, classica-men te, in tre casi. Il più semplice è quello che si veri-fica quando due (o più) cose partecipano in mododiverso della stessa proprietà, secondo cioè diversi gra -di o modi. Così, il cane e il cavallo sono animali, manon sono lo stesso animale. In questo caso si è in pre-senza di una proprietà diversamente condivisa da duespecie all’interno dello stesso genere. Si tratta di quel-la che è stata denominata l’analogia di ineguaglianza.Questa forma di analogia – come il lettore avrà giàcolto – non viene ritenuta una vera e propria analogia,ed è facile capire perché: si tratta piuttosto di unaforma di univocità almeno nel concetto di riferimen-to (nell’esempio il concetto di “animale”), perchéconsiste nella univoca partecipazione di una proprietàcomune. Il concetto è univoco, anche se si applica adue realtà diverse. L’analogia dunque è solo apparente.Più precisamente, l’analogia si dà tra le cose, ma il con-cetto che le riguarda resta univoco.

Il secondo caso è quello in cui la proprietà inoggetto appartiene soltanto ad una delle cose prese inconsiderazione, ma la mente (attraverso un ragiona-mento) consente di predicarla di altri enti sulla base diuna relazione di causalità: ad essere sano è solo unorganismo (quello dell’uomo o dell’animale), ma lamedicina, il cibo, la passeggiata, il colorito, per analo-gia possono essere detti sani, quando producono la

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salute dell’organismo oppure ne sono la loro conse-guenza. In questo caso, l’analogia tra le cose dipendedalla mente, che collega secondo relazioni di causalitào di consequenzialità cose diverse. È la analogia uni-versalmente nota ai filosofi come analogia di attribu-zione.

Infine ci sono altre due possibilità, collegate al -l’idea di proporzionalità. Due cose possono esseredette analoghe quando la stessa proprietà è presente inciascuno in modo diverso, pur restando comune. Insenso improprio l’analogia di proporzionalità è quellache dà luogo all’uso metaforico della analogia: Bossuetè un’aquila dell’oratoria, perché l’aquila è maestosa neisuoi voli come Bossuet nei suoi discorsi; oppure “illeone è il re degli animali”. In senso proprio, invece, sidà analogia di proporzionalità quando una proprietà ècondivisa da due realtà in modo diverso, cioè secondola propria natura: come prima ricordato, si dice buonala cena come si può dire che sono buone le scarpe. Lacena è buona in relazione a ciò che una cena deveessere, così come anche le scarpe, ma esse non sonocertamente buone allo stesso modo. Questa forma dianalogia è quella che consente di mettere in relazione,di tenere insieme, la massima eguaglianza e la massimadifferenza.

Alla luce di queste distinzioni, possiamo doman-darci quale tipo di analogia si possa dare nel diritto,escludendo l’uso metaforico della analogia, che è tipi-

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co delle arti espressive79. È abbastanza evidente che laprima forma di analogia (di ineguaglianza) è presentenel diritto. In prospettiva ontologica si tende a metterein evidenza che si tratta di un’analogia apparente, per-ché il concetto è univoco. Ma nel diritto, che operaattraverso classificazioni, questa accusa è meno rilevan-te. Questa forma di analogia può essere riscontrataogniqualvolta si presti attenzione alla relazione tra lacategoria di fatti che la regola si propone di disciplina-re (solitamente nella forma di un modello astratto) e icasi concreti. L’automobile e la moto sono veicoli inmodi diversi ma condividono una proprietà rilevanteche viene a galla grazie allo scopo della regola: sonoinquinanti e dunque sono vietati nel parco. Quando cisi domanda se anche la bicicletta è vietata, la rispostadipende dalla ragione per la quale sono vietati i veico-li: se è solo per tutelare la salute pubblica con l’ariapulita, la bicicletta non rientrerà tra i veicoli… perchénon inquinante. Ma in tutti i casi in cui si presenta lacaratteristica propria dei veicoli inquinanti, quegli indi-vidui la posseggono in modo univoco. Una volta clas-sificati secondo la categoria generale e univoca, la con-seguenza giuridica è la stessa. Questa forma (impropria,dal punto di vista ontologico) di analogia è quella che

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79 Una ricostruzione recente delle perplessità sull’uso dellametafora nel discorso giuridico si trova in C. Sarra, Lo Scudo diDionisio. Contributo allo studio della metafora giuridica, FrancoAnge-li, Milano 2010.

si dà sia nell’applicazione della regola ricavata dal pre-cedente, sia nella regola che contiene una fattispecieastratta. Se questa fosse l’idea di analogia che abbiamo,allora bisognerebbe riconoscere che certamente questatipologia è pervasiva nel diritto. Ma – posto che si trat-ta di una solo apparente analogia – si può concludereche l’analogia non esiste nel diritto. Tutto ciò peròmette in evidenza la rilevanza della logica delle somi-glianze e differenze o logica dell’analogia, in contrastocon la logica dell’identità. Il concetto univoco, infatti, ècapace di tenere insieme solo individui diversi dellastessa classe. Questa versione dell’analogia di inegua-glianza è forse quella che si trova alla base dell’approc-cio che ha identificato l’analogia con l’interpretazioneestensiva, e che consente di tenere insieme individui dispecie diverse sotto una specie più generale.

Com’è noto, fino alla diffusione delle idee dellaScuola Storica del diritto, l’idea di analogia coincidesostanzialmente con l’interpretazione estensiva: è soloallora che la questione dell’analogia viene collegata alproblema delle lacune. I trattatisti distinguevano dueoperazioni nell’interpretazione: comprehensio ed exten-sio. La prima consiste – nella terminologia correnteoggi – nel processo di chiarificazione del significatodella disposizione; la seconda sta ad indicare il proces-so di estensione della disposizione, che è sostanzial-mente quello che noi intendiamo per analogia legis, mache – per i medievali – è considerato un movimento

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da realizzare entro i confini della stessa disposizione,alla luce della eadem ratio80. Non è Savigny a introdur-re la distinzione/opposizione analogia legis/analogia iuris,perché per lui l’analogia è da identificare unicamentenella seconda tipologia, che è opera della scienza giu-ridica. Dopo Savigny, però, a causa del progressivodistanziamento tra scienza e diritto, si diffonde quellaalternativa e si inizia a consolidare l’idea che, mentrenel caso della analogia legis si è (ancora, come nel casodell’interpretazione estensiva) dentro alla disposizione(alla categoria dei casi implicitamente voluti dal legi-slatore)81, con l’analogia iuris si è di fronte all’interven-to di un “estraneo”, il giurista scienziato. A questopunto, il passo verso il distanziamento tra interpreta-zione estensiva ed analogia legis è breve: si inizia a con-siderare anche che l’analogia legis è esterna alla volontàdel legislatore ed è compiuta dal giudice al fine diintegrare l’ordinamento. Legislatore, giudice e giuristavengono visti come soggetti in opposizione. Il giuristaperderà presto le sue prerogative. Il giudice sarà vistocon sospetto e gli verrà accordata tutt’al più la possi-bilità di compiere interpretazioni estensive. In questonodo è da rintracciare la radice delle perplessità chel’analogia solleva in relazione alla questione del pote-re nello stato di diritto.

Eppure, la distinzione tra analogia e interpreta-

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80 N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, cit., 43. 81 Ivi, 34.

zione estensiva è problematica, o per lo meno non èrisolutiva dal punto di vista pratico, per chi deve inter-pretare il diritto, poiché il procedimento logico è lostesso. Sia l’interpretazione estensiva, sia l’analogia legisinfatti dipendono dalla individuazione della ratio legis 82,cioè dal suo scopo, e non solo dalla descrizione più omeno precisa del modello di azione che la regola con-tiene (il cosiddetto frastico nella logica deontica). Perdelimitare la categoria delle azioni deonticamenteconnotate occorre cioè considerarne il senso, il finedella regola83. Questo aspetto è probabilmente quelloche meglio è stato valorizzato dagli studi sul “tipo” neldiritto: mentre il concetto è solitamente chiuso, il tipoè aperto. Il concetto conosce solo il sì o il no della cor-rispondenza delle proprietà. Il tipo ammette una gra-dazione di più e meno84.

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82 Com’è noto, in seguito Bobbio insisterà sulla distinzionetra interpretazione estensiva ed analogia legis, da un lato, cheseguono lo stesso procedimento logico ma con diverse finalità, el’analogia legis e iuris, che seguono diversi procedimenti logici mahanno la stessa finalità, di integrazione del diritto. Cfr. N. Bobbio,Analogia, in Id., Contributi ad un dizionario giuridico, cit., 1-15.

83 Per questa ragione alcuni strumenti logici, come la sepa-razione tra frastico e neustico della logica deontica, oppure il ten-tativo di formalizzare l’applicazione delle regole attraverso la elen-cazione delle condizioni di applicazione – come fanno le logichedella defettibilità – non catturano adeguatamente il ragionamentogiuridico.

84 Questo mi sembra il contributo migliore di Kaufmann, op.cit. Anche quando Engisch parla dei concetti giuridici determina-

In tutti questi casi, ad essere chiamata in causasembra essere l’analogia di ineguaglianza, sia che siparta da regole generali e astratte, sia che si tratti diregole ricavate dai precedenti (sempre comunque dicarattere generale, seppure minore). I rapporti tra leregole (più o meno generali) ed i casi sembrano dun-que essere quelli descritti da questa forma di analogia,e, in ultima istanza, si tratta di problemi di delimita-zione della categoria generale dei casi che rientranosotto un concetto univoco. Ma questo equivale a direin un certo senso che l’analogia non esiste propria-mente nel diritto. Certamente si può aggiungere chequesto è il significato che meglio si attaglia alla carat-teristica principale delle azioni giuridiche, cioè cheesse sono regolate. Si può dunque condividere l’ideache la specificità del diritto sia quella di riconoscere ilparticolare nel generale85. Ma è tutto?

Innanzitutto è utile domandarsi se e in che sensole altre due forme di analogia possano essere presentinel diritto. Come si è detto, l’analogia di attribuzioneè quella in cui si dà un analogato principale, che pos-siede la proprietà in questione, mentre la mente esten-

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ti (matrimonio, minorenne), è costretto a definirli come quei con-cetti “relativamente determinati poiché i presupposti della loroapplicazione sono circoscritti in maniera abbastanza precisa” (K.Engisch, Introduzione al pensiero giuridico, cit., 174). “I concetti nor-mativi di tale genere si dicono bisognosi di integrazione analogi-ca” (ivi, 175).

85 Tra tutti, Ll.L. Weinrib, op. cit.

de la proprietà ad altri analogati secondari. La relazionetra gli analogati principale e secondari può essere impu-tata al principio di causalità e di consequenzialità. A talfine, è utile notare che non è infrequente nella pratica,come anche nella teoria, che l’argomento per analogiasi trasformi in un argomento basato sulle conseguenze.In questo senso, sono state distinte due diverse forme dianalogia, quelle statiche e quelle dinamiche. Le analo-gie statiche sono quelle che finora abbiamo inquadratosotto il profilo dell’analogia di ineguaglianza, cioè quel-le che investono il problema dei confini della categoriagenerale chiamata in causa, e dunque della comprehensioe della extensio. Le analogie dinamiche sono quelle incui contano i risultati che l’uso dell’analogia può avere:esse si trasformano sostanzialmente in argomenti fon-dati sulle conseguenze. In questa luce, il procedimentoper analogia sarebbe quello in cui si comparano le con-seguenze di diverse forme di regolamentazione: quellain cui le conseguenze sono meno assurde è quella cheva bene (ancora una volta le analogie si presenterebbe-ro nella forma di competing analogies)86. In ultima istan-

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86 Ovviamente, nel valutare le conseguenze le polity conside-rations, conveniences e justice entrano certamente in gioco. Cfr.L.C. Becker, Analogy in Legal Reasoning, in “Ethics”, 63, 3, 1973,248-255. Come si può facilmente osservare, questa lettura si puòricondurre al solco del pensiero realistico e scettico, che tenta didissolvere la analogia vera e propria, ma che ha al suo attivo uncerto appeal.

za, si può dire che l’analogia più convincente è quellain cui un certo rapporto di eguaglianza o di propor-zionalità è maggiormente plausibile87.

L’idea che l’analogia sia collegata alla proporzio-ne è una tesi consolidata e risalente88. L’applicazione diquesta forma di analogia all’ambito delle azioni umanetrova fondamento nel libro V dell’Etica a Nicomaco,nel quale si stabilisce l’idea di giustizia distributiva e ilsuo nucleo centrale, cioè l’eguaglianza dei rapporti:A/B come C/D89. Questo criterio – si badi – sarebbel’asse sul quale si costruisce sia la composizione dellaregola, sia la sua applicazione. L’obiettivo dell’analogianon starebbe dunque nella individuazione della ratiolegis e nella chiarificazione dei confini dell’azionedisciplinata dalla regola giuridica, ma nello stabilirerap porti di eguaglianza tra cose/azioni diverse. Taleeguaglianza o proporzionalità di rapporti può esserecercata e trovata solo nel contesto di un sistema giuri-

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87 Renard sostiene che nel ragionamento analogico l’analo-gia di proporzionalità rappresenta il summit, ma che essa iniziadall’analogia di attribuzione. G. Renard, The Philosophy of theInstitution, trad. in inglese di La philosophie de l’institution (1939),Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1970, 302-307.

88 È questa l’idea di L. Gianformaggio, L’analogia giuridica, cit.,138-142, la quale ricorda due significati di analogia in Aristotele,quello legato all’eguaglianza di rapporti e quello legato al l’esten-sione della conoscenza, di cui solo il primo è il vero significato del-l’analogia.

89 Etica Nicomachea, Rizzoli, Milano 1998, 1131a, 15 ss.

dico sensato, nell’accezione di un sistema razionale oragionevole, quello di cui è portatrice l’antica idea dianalogia iuris. Solo in tale contesto sono possibili leanalogie dalla legge e dal precedente, e – soprattutto –solo in tale contesto è possibile trovare l’adeguato trat-tamento giuridico per le somiglianze e le differenze.Ma il punto fondamentale è che, se vale quanto abbia-mo detto in precedenza, l’interpretazione chiara di uncaso alla luce di una fattispecie astratta, l’interpretazio-ne estensiva, l’analogia da precedente, l’analogia legis,come anche la analogia iuris 90, possono essere viste inuna linea senza soluzione di continuità nel solco diuna progressiva complessità nella composizione dellesomiglianze e differenze e nell’intensità e nella rile-vanza delle somiglianze. In questo senso, almeno lalogica dell’analogia, oppure – in generale – il ragiona-mento analogico, è strettamente collegato al ragiona-mento giuridico. Come si è detto, esso si può dare solonel presupposto che il sistema sia sensato, e che lo sicostruisca come tale, con il contributo di soggettidiversi.

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90 Com’è noto, Bobbio sostiene che l’analogia iuris sia il fon-damento dell’analogia legis, ma che consistano in cose totalmentediverse. N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, cit., 83. Gian-formaggio invece ritiene che tutte le forme di ragionamento chepuntano sulla somiglianza seguono lo stesso schema, che è quel-lo della proporzione: interpretazione estensiva, analogia legis e ana-logia juris. L. Gianformaggio, L’analogia giuridica, cit., 131-147.

Avendo infatti rigettato la (poco proficua) con-trapposizione tra creazione del diritto e interpretazio-ne-applicazione, l’alternativa obbligata è quella diconsiderare che la razionalità/ragionevolezza del siste-ma debba essere costruita a partire da una molteplici-tà di apporti diversi, in un processo dinamico e nonstatico91. Il ragionamento analogico serve precisamen-te a questo, sia nell’accezione di criterio di giustiziaper il legislatore, sia anche nella prospettiva dell’inter-pretazione ad opera di giudici e di giuristi, ciascunosecondo la loro specificità92. Nella prospettiva in cuil’analogia è vista come metodo di integrazione, i saltimentali di cui si diceva all’inizio sono una sorta diponte, utili a eliminare o ad evitare i vuoti o i buchi –le lacune –, ma l’analogia può essere anche vista comecreazione o ritrovamento di sinapsis tra gli elementi delsistema. “[G]iven the fragmentary nature of legal mate-rial and the plurality of decision-makers there is a con-siderable scope for disagreement when decision-makersare faced with novel questions”93. In questo contesto, ilragionamento analogico garantisce la coerenza e con-

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91 Come del resto è ovvio quando si pensa alla completabi-lità dell’ordinamento (e non al dogma della completezza): essa siva costruendo nella pratica del diritto. Qui è fondamentale la cri-tica del dogma della completezza ad opera della scuola del dirittolibero. Cfr. E. Ehrlich, Die Juristische Logik, Mohr, Tübingen 1918.

92 L. Gianformaggio, L’analogia giuridica, cit., 142.93 G. Lamond, Precedent and Analogy in Legal Reasoning, cit.

tribuisce a fare in modo che le conseguenze giuridichesiano facili da prevedere, secondo quella esigenza di giu-stizia che è la certezza, o che le regole possano esserecambiate se inique nel caso concreto94.

Resta da approfondire – ma bisognerà farlo inaltra sede, per motivi di spazio – il contributo che lacostituzionalizzazione dei sistemi giuridici apporta allarevisione del ragionamento analogico. Introducendovalori e principi comuni in modo esplicito, le costitu-zioni accentuano la (almeno pretesa di) coerenza degliordinamenti e conseguentemente valorizzano anchel’importanza dell’analogia come qui descritta. Questoassetto è certamente alla base del principio di ragione-volezza, come criterio fondamentale dell’interpreta-zione costituzionale, il cui giudizio assume – secondoalcuni – la forma argomentativa del ragionamentoanalogico95.

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94 Ha evidenziato il carattere istituzionale dell’analogia nellapratica del diritto Z. Bankowski, Analogical Reasoning and LegalInstitutions, in Z. Bankowski, I. White, U. Hahn (eds.), Informaticsand the Foundations of Legal Reasoning, Kluwer, Dordrecht 1995,177-190.

95 R. Bin, Ragionevolezza e divisione dei poteri, inVV.AA., Cortecostituzionale e principio di eguaglianza. Atti del Convegno in ricordo diLivio Paladin, Cedam, Padova 2002, 159-184.