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vol. 2

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UN PO’ DI CONOSCENZA

STORICA E RELIGIOSA

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CRISI E DECADENZA DELL’IMPERO ROMANO

Introduzione storica

Nel corso del III secolo l’impero romano fu scosso da una crisi profonda sia in campo po-litico-militare che in quello economico-sociale e religioso.

I principali imperatori romani da Aureliano a Settimio Seve-ro a Diocleziano si adoperarono di riorganizzare, rafforzare l’autorità dello Stato e garantire l’integrità dell’impero.

Emanarono leggi che imponevano a ciascun cittadino di mantenere lo stesso mestiere per tutta la vita; vararono la riforma fiscale introducendo nuove tasse; coscienti, poi, di non poter reggere un impero di così vaste dimensioni lo divi-sero in due parti, Impero d’Occidente con capitale Milano e Impero d’Oriente con capitale Nicomedia e affidarono il loro governo ad un sistema chiamato “tetrarchia” (due “Augusti” avrebbero governato l’uno l’Occidente, l’altro l’Oriente e due “Cesari” avrebbero collaborato con gli Augusti e avrebbero preso il loro posto alla loro morte).

Convinti inoltre che tutti coloro che avevano abbracciato il Cristianesimo erano una seria minaccia per l’esistenza dello Stato in quanto si rifiutavano di riconoscere la natura divina dell’imperatore, scatenarono contro di loro violente persecu-zioni.

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Malgrado questi tentativi per arginare la crisi, la situazione peggiorò sempre. Si ebbe un lungo periodo di conflitti interni, durato circa vent’anni tra i vari pretendenti al trono.Ne uscì vincitore Costantino, figlio di Costanzo Cloro.Con lui si ebbe l’affermazione del Cristianesimo.Costantino, infatti, sperando di poter trovare nel Cristianesimo che, ormai si era diffuso anche tra la classe dirigente romana, un nuovo fondamento per la stabilità dell’impero, nel 313 emanò l’editto di Costantino con il quale riconosceva il Cristianesimo come “religio-ne lecita” dell’Impero.Egli, inoltre trasferì la capitale a Bisanzio, città sullo stret-to dei Dardanelli, che ribattezzò Costantinopoli.Roma acquisì la supremazia religiosa. Il vescovo di Roma si trovò ad avere grande libertà di manovra per la lonta-nanza del potere centrale di Bisanzio. Con il passare del tempo egli diventò capo riconosciuto della Chiesa e dal V secolo assunse il titolo di “papa”.Alla morte di Costantino (337), seguì un nuovo periodo di lotte per la successione che si concluse quando divenne imperatore d’Oriente Teodosio. L’impero trovò la sua unità perché il nuovo imperatore assunse il potere anche nella parte occidentale dell’impero, che si trovò per l’ultima volta unito.Nel 380 Teodosio proclamò a Tessalonica (l’odierna Salonicco, in Grecia) il Cristianesimo come unica religione di Stato e proibì tutte le altre fedi compresa quella pagana.

L’importanza di Costantinopoli divenne decisiva quando l’Im-pero romano, dopo un periodo in cui il potere fu più riunificato nelle mani di una sola persona, fu definitivamente diviso, alla morte dell’imperatore Teodosio in due parti: l’Impero romano d’Occidente, con capitale Roma, e quello d’Oriente con capitale Costantinopoli.

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IL FENOMENO DEL MONACHESIMO

Durante il IV secolo d. C., protetta dagli imperatori cristiani, la Chiesa conobbe una rapida affermazione e con il diffondersi della fede cristiana prese vita il MONACHE-SIMO.

Il monachesimo cristiano ebbe origine tra la fine del III e l’inizio del IV secolo contempo-raneamente in Siria e nel Basso Egitto ad ope-ra dei “padri del deserto”, che, ispirandosi ad alcuni precetti evangelici particolarmente ra-dicali, decisero di appartarsi dai loro simili e dalla vita sociale.Il monachesimo delle origini aveva proposto due modelli di rinuncia al mondo antitetici:quello “itinerante” dei Siriaci, che vedevano nel peregrinare la garanzia di totale liberazio-ne dal mondo e che finì per essere un mezzo di opera missionaria;

quello “stabile” degli Egiziani, che vivevano da soli o a gruppi di due o tre, in caverne, in capanne o celle di mattoni, sostenendosi con i prodotti del loro orto o con modeste attività artigianali, per cui la loro giornata trascorreva nella preghiera, nel lavoro, nella lettura e nella meditazione della Bibbia. Da queste due impostazioni deriveranno poi: il monachesimo irlandese il monachesimo benedettino.

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I nuovi asceti del deserto, che rinunziavano alla famiglia, scegliendo la solitudine e la lotta al peccato attraverso la preghiera, la penitenza e il digiuno vennero chiamati MO-NACI (dal greco “monos” solo e unico) oppure anacoreti (dal verbo greco “anachorein” ritirarsi) e più tardi eremiti (dal greco “eremos” deserto).

Il rappresentante più noto del monachesimo delle origini è Sant’Antonio abate (250 – 356), al quale la tradizione ha conferito il titolo di “padre dei monaci.”

Dall’eremitismo al cenobitismo. Il monachesimo in Occidente

Quasi contemporaneamente al monachesimo eremitico sorse quello cenobitico (dal greco coinòs bìos koinoò bioò «comune vita»). Il suo avvento è legato tradizionalmente a Pacomio, mentre la sua affermazione e organizzazione sono legati a Basilio.

La novità del monachesimo pacomiano non consisteva tan-to nel fatto che i monaci si radunassero a gruppi - questo accadeva già da tempo ma che vivessero insieme ispirando-si a una regola che stabiliva le norme per la preghiera, la penitenza la disciplina, l’abito e il lavoro manuale.

Alla castità e alla povertà, Pacomio aggiunse l’obbedienza al superiore, l’abate o padre spirituale da cui dipendeva la stessa vita in comune. Questa nuova forma di monache-simo ebbe un’eccezionale diffusione, tanto che la Tebaide (regione dell’Egitto) finì con il diventare una «megalopoli» monastica, con migliaia di monaci divisi in gruppi di tren-ta o quaranta per casa a seconda dell’attività o dei servizi prestati.

Accanto ai monasteri maschili, sorsero presto i primi mona-steri femminili.

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In seguito, la vita monastica si propagò in Palestina, in Siria, in Asia minore; proprio in quest’ultima si distinse l’attività di promotore e organizzatore del monachesimo di Basilio, arcivescovo di Cesarea in Cappadocia.

Il monachesimo basiliano incontrò il favore di tutto il mondo greco; i numerosissimi monasteri bizantini lo considerarono un pa-triarca, allo stesso modo in cui i monaci d’Occidente, qualche secolo dopo, avrebbero reputato tale Benedetto da Norcia.

Nel corso del IV secolo il monachesimo fece il suo debutto anche in Occidente. Qui, i primi importanti fermenti mona-stici ebbero come teatro la Gallia e successivamente le coste mediterranee. In questo primo monachesimo, prevalentemente orientale, la dote più apprezzata fu “l’esagerazione”, cioè la rigorosità ascetica portata agli estremi (vigevano addirittura le gare di ascetismo).Quasi contemporaneamente al monachesimo eremitico sorse quello CENOBITICO (dal greco “Koinos bios” comune vita). Qui la dote più apprezzata era la “discrezione” o temperanza, ottenute sottomettendosi alla “regola”.Tra la molteplicità di Regole elaborate dal monachesimo occidentale, spiccano:

quella di SAN COLOMBANO, del VI secolo detta “peregrina-tio religiosa”, che prevedeva un monachesimo itinerante e un regime di vita molto duro;

quella di SAN BENEDETTO che affermò la severa norma della “stabilità“fondata sulla convinzione che il monaco non doveva vivere solo ma in comunità; non doveva essere “vagan-te” ma stabile.La formula benedettina “ora et labora”, sintetizza egregiamente il tentativo compiuto da S.Benedetto di fondere armoniosamente la vita contemplativa con quella attiva.Nel monastero si doveva imparare a servire Dio attraverso la preghie-ra e il lavoro quotidiano.

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Ma la comunità dei monaci doveva mantenersi e quindi al-l’interno del monastero si svolgevano diverse attività econo-miche. La più importante era l’agricoltura: ogni monastero possedeva delle terre che gli provenivano da donazioni e of-ferte dei fedeli; esso provvedeva ad amministrarle,a coltivar-le, a vendere la produzione eccedente. Aveva anche labora-tori artigianali i cui prodotti venivano usati direttamente ma anche venduti.Il monastero divenne un’unità economica autosufficiente, vera e propria “fattoria modello” che non solo non pesava sulla società circostante, ma poteva addirittura diventare centro di soccorso materiale oltre che morale e spirituale.

Inoltre il monastero era centro di cultura. Esso aveva perciò una fornitissima biblioteca all’interno della quale decine di copisti detti amanuensi ricopiavano, scriven-doli a mano gli antichi manoscritti, che talvolta illustravano con miniature anche di grande pregio.In virtù della loro opera, molti testi vennero resi disponibi-li in più copie, sia per la biblioteca del monastero che per lo scambio con codici provenienti da altri monasteri. In tal modo i monaci contribuirono a salvare la cultura classica.

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L’ALTO MEDIO EVO A BRINDISI

Brindisi dal 395 alla dominazione normanna

Nel 395 l’imperatore Teodosio divise l’impero fra i suoi due figli: Ar-cadio ebbe l’Oriente, Onorio l’Occidente. Da allora l’Impero romano

venne retto da due distinte dinastie:una con sede a Costan-tinopoli e l’altra con sede a Ravenna, dove Onorio stabilì la capitale. Questa data non solo segna la rottura del gran-de Impero romano, ma anche l’anno in cui per Brindisi inizia una grave decadenza.

Nel 476 Odoacre, un capo germanico al servizio del-l’Impero bizantino, dopo aver deposto l’ultimo impe-ratore di Roma, Romolo Augustolo, inviò le insegne imperiali a Zenone, che regnava in Oriente, decre-tando in pratica la fine dell’impero d’Occidente.

In Europa si formarono i regni romano-barbarici, dove i Romani curarono l’ammini-strazione civile, mentre il controllo militare fu gestito dai Barbari.Agli inizi del V secolo dilagarono i Goti, trascinandosi dietro i Vandali, gli Svevi e i Burgundi, tutti in fuga di fronte agli Unni, che erano penetrati all’improvviso in Occi-dente.Data l’impotenza delle vecchie strutture amministrative,la giovane Chiesa cristiana fu l’unica istituzione capace di fronteggiare i barbari. Molti vescovi furono mediatori e difensori delle città. Papa Leone I, vescovo di Roma, riuscì a bloccare Attila alle porte di Roma. Il dominio di Odoacre non determinò cambiamenti importanti in Italia. Egli incorpo-rò nei propri possedimenti la Sicilia, occupò la Dalmazia e rafforzò i confini nelle Alpi orientali. Il suo crescente potere allarmò l’imperatore d’Oriente, Zenone, che indusse gli Ostro-goti a scendere in Italia.Questi erano guidati da Teodorico che,dopo essersi stabilito a Ravenna, governò la penisola dal 493 al 526.

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Teodorico perseguì una politica che garantì trent’an-ni di pace e stabilità. Con il passare del tempo,però, la convivenza fra Romani e Ostrogoti divenne sempre più difficile e i rapporti con l’imperatore d’Oriente si fecero difficoltosi. Così Teodorico iniziò a governare in modo duro e sospettoso. I tumulti, causati dall’opposizione tra giu-dei e cristiani, tanto a Roma che a Ravenna, furono repressi con severità.Se Teodorico, comunque si era accinto alla restaura-zione della civiltà romana i suoi successori si dimo-

strarono incapaci di fermare l’imperatore di Costantinopoli, Giustiniano. Suo ambi-zioso obiettivo fu la ricostituzione dell’impero romano. Inizia, così, in Italia la sua lotta contro gli Ostrogoti che portò distruzioni e carestie.

Brindisi, contesa ora dai Bizantini ora dai Goti subì l’alternarsi delle dominazioni. Ciò significò miseria e morte.Un terremoto compromise la rete idrica, infatti alcune falde acquifere si dispersero in mare.Totila, valoroso re degli Ostrogoti, rase al suolo la città nel 540. Questi tentava di avan-zare nell’Italia Meridionale ma i Bizantini ebbero la meglio.

Nel 568 ci fu la calata dei Longobardi, una popolazione germanica stabilitasi nell’at-tuale Ungheria.

Le tribù germaniche, guidate dal re Alboino e da capi militari detti duchi “condottieri”, saccheggiarono le città del Veneto e della Lombardia, espugnarono Milano e Pavia,

oltrepassarono il Po e spingendosi sempre più a sud, diedero vita ai ducati di Spoleto e Benevento.Di fronte all’avanzata dei Longobardi, i Bizantini, an-ziché impegnarsi in una guerra che si prospettava pe-ricolosa e lunga, preferirono accamparsi lungo le coste e, grazie alla loro potente flotta, riuscirono a conser-vare il ducato di Roma, l’Esarcato, la Calabria e le isole.Non mancarono tentativi da parte loro di riconquista-re il sud. Ciò fu il pretesto della ripresa della guerra tra Bizantini e Longobardi che si concluse con la vittoria

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di questi ultimi. Caddero in loro potere Taranto e Brindisi, che ne uscì ancora una volta distrutta. Durante la dominazione longobarda, grazie all’ordine creato da San Bene-detto da Norcia si sviluppò il fenomeno del monachesimo.

A Brindisi i centri benedettini si sostituirono a quelli dei basiliani. Tra i tanti insediamenti basiliani va ricordato il monastero che nel IX secolo sorse al posto dell’attuale chiesa di S.Benedetto e di cui oggi rimane solo il chiostro e quello costruito sull’isola di Sant’Andrea e distrutto dai Saraceni.

I Longobardi dominarono a Brindisi per circa 80 anni fino a che non furono scacciati dai Bizantini. La loro presenza nella nostra città fu molto incisiva tanto che nel 1231 esisteva una strada a loro intitolata la ”RUGA DEI LONGOBARDI” e ci si sposava secondo il loro uso (la sposa passava dalla tutela del padre a quella del marito e riceveva un dono (morgincap) il giorno dopo il matrimonio.

Nel 774 il Salento e buona parte della Calabria, la Sicilia, la costa campana era nelle mani dei Bizantini mentre, il resto d’Italia passò sotto la dominazione dei Franchi.Carlo Magno, re dei Franchi, figlio e successore di Pipino il Breve conquistò Pavia, la capitale dei Longobardi, vinse contro gli Arabi, i Sassoni,gli Avari e si fece incoronare Imperatore a Roma dal Papa Leone III, la notte di Natale dell’800. Accettando la corona imperiale dalla mani del pontefice, Carlo Magno riconobbe il principio che ogni potere discende dal Cielo e, dunque la supremazia del Papato sul-l’Impero. All’impero d’Oriente si affiancò così il Sacro Romano Impero:sacro,perché sorto sotto la protezione divina e la consacrazione della Chiesa;romano,in quanto governato da un sovrano ritenuto erede dei Cesari e della tradizione di Roma. Carlo Magno stabilì che tutti i sudditi dell’impero dovevano essere cristiani,che la gerarchia cattolica dovesse dipendere strettamente dall’imperatore.

Alla morte di Carlo Magno, le rivalità dei suoi discendenti e la cre-scente autonomia dei grandi vassalli ebbero il sopravvento sul po-tere centrale fino a provocare lo sfaldamento dell’impero franco. Dopo la successione del figlio Ludovico il Pio, l’Impero fu diviso in tre parti (Francia, Germania, Lotaringia) per essere frantumato in seguito nei regni di Francia, Provenza, Navarra, Borgogna, Germa-nia, Italia.

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Brindisi, sempre governata dai Bizantini in questi anni, subì le scorrerie da parte dei Saraceni (così erano chiamati i pirati ara-bi). Questi, sbarcati in Sicilia nell’827, tentarono di occupare alcuni territori sottoposti all’Impero d’Oriente.Fu Ludovico II, re dei Longobardi, a combattere i Saraceni e a scacciarli non solo dalla nostra città, ma anche da Bari e Taranto.Appoggiato dal Papa, Ludovico II avrebbe voluto essere soste-nuto anche dai Bizantini. Ma tra di loro ci fu mai un’intesa. Bisanzio mantenne sempre il potere su queste terre.Nel 922 Brindisi subì l’invasione dei pirati slavi che la distrusse-ro. Fu ricostruita dal protospata Lupo, mandato dagli impera-tori d’Oriente Basilio II e Costanzo perché la ricostruisse.

Il governo bizantino impostò una politica troppo fiscale. Così contro di loro, nel 1009 scoppiò una rivolta capeggiata da Melo di Bari, un nobile longobardo che sperava nell’appoggio di tutta la nobiltà longobarda e dell’imperatore Enrico II che, unendo le corone d’Italia e di Germania, aveva creato il Sacro Romano Impero Germanico.

Enrico II rifiutò il suo aiuto a Melo di Bari. Malgrado ciò, la rivolta contro i Bizantini coinvolse l’intera regione quando alla sua guida si pose Agiro, figlio di Melo.

A questo punto i Bizantini si trovarono a lottare su due fronti. Da un lato i rivoltosi capeggiati da Melo e Agiro, dall’altro gli avventurieri Normanni.

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I NORMANNI A BRINDISI

Nell’anno Mille, mentre nell’Italia centro–settentrionale si affermavano i primi Comuni, nell’Italia Meridionale si ini-ziò a registrare la presenza dei Normanni.

Costoro, detti anche Vichinghi, agli inizi dell’XI secolo, partendo dalla Normandia, giunsero nell’Italia meridionale per combattere al servizio di alcuni signori locali, ora con-tro i Bizantini accanto a Melo di Bari, ora alleati degli stessi Bizantini contro i Musulmani in Sicilia, per essere definiti-vamente contro di loro.

I Normanni, dopo un secolo di lotte, riuscirono a conqui-stare tutta l’Italia Meridionale.Quando Roberto il Guiscardo di Altavilla, divenne duca di Puglia e di Calabria, il Pontefice, in cambio del suo giura-mento di fedeltà alla Chiesa lo autorizzò ad occupare tutte le terre che erano dei Bizantini, tra cui le roccaforti di Brin-disi e Taranto.L’assedio a Brindisi fu condotto da Ruggero, fratello di Ro-berto il Guiscardo(cioè astuto)con alterne vicende ed episo-di leggendari.Si narra che una notte 40 cavalieri normanni con 40 scu-dieri vennero trucidati dopo essere caduti in un agguato ne-mico dietro la lusinga che si fosse giunti ad una resa.I loro corpi decapitati furono gettati in alcuni pozzi della città, detti da quel momento “fetenti” e le teste inviate a Durazzo come trofei di guerra. Solo nel 1070 Brindisi fu conquistata dai Normanni. A co-mandare la città, con il titolo di conte, fu Goffredo d’Alta-villa con la moglie Sighelgaida. Questi si prodigarono a far rinascere la città con edifici,fontane e monasteri.Nel 1090 fu fondato sui resti di quello basiliano il mona-stero di S. Maria Veterana detto delle “monache nere di S. Benedetto.” Grazie poi, all’interessamento di Ruggero fu edificata la Cattedrale.

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Fu poi, il normanno Tancredi a restaurare nel 1192, la fontana a lui intitolata, in occasione del matrimonio del figlio Ruggero con Urania di Costantinopoli.

In questi anni visse Margarito da Brindisi, grande ammiraglio,famoso consigliere di Tancredi a cui legò la sua fortuna.

I Principi normanni si resero famosi per la loro pietà e munifi-cenza. Pur rimanendo fortemente cattolici non furono oppres-sivi né intolleranti verso chi praticava una religione diversa. Nel periodo normanno anche il porto riprese la sua attività.

Il motivo è da ricercarsi nelle Crociate, organizzate non solo per liberare il Santo Sepolcro dalle mani dei Turchi ma anche per procurarsi ricchi bottini.

Sempre in questo periodo le Repubbliche marinare comincia-rono a fare scalo a Brindisi.Venezia, in modo particolare aiutò la nostra città contro i pirati pisani.Sotto la dominazione normanna ci fu la fondazione di Ordini militari e religiosi, come quelli di Santa Maria dei Teutoni e dei Templari. Questi a Brindisi costruirono chiese e ospedali per i pellegrini diretti in Terra Santa.L’Ordine dei Templari aveva il “suo albergo ed ospitale” nei pressi di S. Giovanni al Sepolcro o forse in un’enorme costru-zione comprendente anche una chiesa che, partendo dall’at-tuale palazzo INA arrivava all’odierna piazza Duomo e prose-guiva su parte di Via Colonne.Di questo imponente complesso doveva far parte il portico det-to dei Templari ancora oggi esistente.Alla morte di Tancredi nel 1194, EnricoVI, figlio del Barba-rossa, scese in Italia a reclamare i diritti della moglie Costanza, figlia di Ruggero II d’Altavilla. Questi si farà proclamare re di Sicilia e di Napoli.

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GLI SVEVI

AI Normanni subentrarono gli Svevi.Tutto avvenne mediante un matrimonio che si potreb-be chiamare politico, allorché Costanza d’Altavilla, erede del trono di Sicilia, andò sposa a Enrico VI.Da tale unione nacque Federico II.Secondo una tradizione molto diffusa pare che tutti gli Svevi abbiano avuto in molta considerazione Brindisi.

Ma soprattutto Federico II. A lui si dovette un periodo di pace e di ripresa generale in ogni campo, da quello economico a quello culturale.Federico II riedificò la cinta muraria, restaurò il porto, do-tandolo di un arsenale, costruì un grande castello, una mae-stosa fortezza quadrata circondata agli angoli da quattro tor-ri dove amava soggiornare spesso.Per la salvaguardia della città e per dare caccia ai galeoni dei pirati che infestavano il mare e rendere sicura la navigazione dei pellegrini diretti in Terra Santa, allestì una flotta di va-scelli

Infine Federico II destinò alla Zecca una sede nei pressi della Domus Margariti,situata nei dintorni dell’attuale Chiesa di S.Paolo; qui fu coniato l’Augustale d’oro, moneta di grande valore numismatico.

A testimoniare l’affetto dell’imperatore per la nostra città, va ricordato che fu nella cattedrale di Brindisi che venne ce-lebrato, nel 1225, il suo secondo matrimonio con la giova-nissima Iolanda di Brienne, figlia di Giovanni di Brienne, re titolare di Gerusalemme.Un matrimonio politico contratto per tacitare le pressanti ri-chieste da parte del papa Onorio III perché Federico affron-tasse una crociata in Terra Santa.

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Gli effetti disattesi della V Crociata da lui guidata (1228/29),in-dignarono il nuovo pontefice Gregorio IX, papa dal carattere energico. Federico invece di combattere i Turchi, pensò di ot-tenere dal sultano Malik al-Kamil, mediante un trattato, l’ac-cesso a Gerusalemme e assumere la corona di re, che aggiunse a quella d’Imperatore Augusto e re di Sicilia.Da quel momento la stella del nostro imperatore cominciò a declinare.

Il Concilio di Lione(1245), dal quale Federico II uscì scomu-nicato, il riaccendersi delle contese in Germania, una serie d’insuccessi e di sventure ne fiaccarono la forte fibra e ne ac-celerarono la fine che avvenne nel suo castello di Fiorentino (Capitanata), il 1250.Intanto proprio in questi anni insieme al monastero veniva co-struita a Brindisi la bellissima chiesa di San Domenico, detta poi del Cristo, voluta da un suo compagno, il beato Niccolò Paglia da Giovinazzo ed accadeva un fatto di eccezionale im-portanza, destinato a perpetuarsi nei secoli: il singolare rito della processione del Corpus Domini detta anche del “cavallo parato”.

Ma come si concluse la grande casata degli Hohenstaufen?Alla morte di Federico II tutti i titoli passarono a Corrado IV, mentre a Manfredi toccò la luogotenenza di Sicilia.

Morto prematuramente Corrado IV, Manfredi, figlio di Federi-co II, ereditò il regno di Sicilia e tutte le città della Puglia tran-ne Brindisi, che si schierò con il Papa, quando questi, preoccu-pato delle mire del sovrano, chiese l’aiuto di Carlo d’Angiò.

Manfredi morirà presso Benevento e così anche l’ultimo di-scendente svevo, Corradino,figlio di Corrado IV.Sceso in Italia per i rivendicare i suoi possedimenti, Corradino verrà sconfitto e decapitato a Tagliacozzo, nel 1268.

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GLI EBREI A BRINDISI

Nell’Alto Medioevo viveva in Brindisi, una comunità di Ebrei la cui presenza si fa risa-lire al IX secolo. Ad essi era stato assegnato un quartiere vicino al porto,attraversato da una strada che partiva dalla chiesa della Nunziata e comprendeva l’ultimo tratto del canalone detto Mena: “la ruga lame Judayce”, oggi corso Garibaldi.Ad essi fu anche assegnata, all’estremo limite del seno por-tuale di ponente, una fonte, detta “dell’acqua ebrea;” ebbe-ro, anche, il loro cimitero in zona Tor Pisana, dove nel 1873, furono rinvenute numerose iscrizioni ebraiche risalenti al IX secolo e oggi custodite al Museo provinciale. Da ciò si può facilmente dedurre che questa comunità viveva separata dal contesto cittadino, dal quale era tenuta lontana naturalmente per motivi religiosi. I giudei posero al centro delle loro abitazioni la sinagoga che forse era la chiesa dei SS. Simone e Giuda, nota come S. Simone dei giu-dei, della quale oggi si ricorda solo il nome nei documenti antichi.Gli Ebrei esercitavano il mestiere di tintori, conciatori di pelle e pre-stavano denaro su pegno e ad usura. Anche se essi traevano buoni profitti dall’usura, (il tasso d’interesse era del 45%) non ebbero vita facile.Minacciati dai debitori, furono costretti a cercare spesso scam-po altrove o a rinunciare ai crediti per sottrarsi alle rappresa-glie. Ma tutte le volte che essi fuggirono dalla città, altrettante volte furono sollecitati a tornarvi con promesse e lusinghe. A risentirne dell’assenza erano non solo le classi meno ab-bienti, ma anche i possidenti, che da essi con facilità, poteva-no avere denaro in prestito, anche se a condizioni gravose. Per questo motivo nel 1409 furono gli stessi cittadini di Brindisi a supplicare il re Ladislao affinché permettesse ai giudei della città di prestare denaro senza il timore di incorrere nelle pene imposte agli usurai dalle leggi dello Stato e della Chiesa Analizzando i pro e contro della presenza degli Ebrei a Brin-disi si giunge alla conclusione che essi arrecarono alla nostra città molti vantaggi, se si tiene conto che si deve a loro lo sviluppo dell’arte tintoria, la nascita di piccole imprese arti-gianali, la diffusione, delle scienze e delle arti liberali.

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VENEZIANI GENOVESI PISANI AMALFITANI

Il porto di Brindisi, divenuto punto d’incontro dei pellegrini che s’imbarcavano per la Terra Santa, attirò l’attenzione delle Repubbliche marinare che ne fecero la base ma-rittima dei loro traffici e commerci con i paesi del Levante.

Veneziani, Amalfitani, Genovesi, Pisani ebbero i loro quartieri, banche, persino arsena-li dove predisponevano alla navigazione, verso paesi mediorientali, le navi destinate al trasporto delle merci, tra cui il rinomato vino di Brindisi.

Così Brindisi ,tra il IX e il XIII secolo, divenne uno dei più impor-tanti centri commerciali dell’Adriatico.Nonostante, che i Veneziani avessero, durante l’epopea delle Cro-ciate quasi l’esclusiva del trasporto degli eserciti cristiani in Terra Santa,essi mal tolleravano che si trovassero attraccate nel porto di Brindisi navi pisane, amalfitane e soprattutto genovesi perchè rappresentavano una minaccia ai loro commerci.

Scarse sono le notizie che riguardano i Genovesi e le loro attività nella nostra città. Le loro navi erano attraccate nel porto a breve distanza dalla Carbonifera (una socie-tà che produceva mattonelle di carbone). La loro attività, abbastanza redditizia, fu la produzione del sapone in una delle due saponerie in funzione nella città di Brindisi e la relativa esportazione del prodotto a Costantinopoli. Brindisi strinse proficui rapporti con i Pisani e gli Amalfitani.

Il quartiere dei Pisani si estendeva dalla contrada detta Tor Pisana fino al Ponte pic-colo, lungo il canale di Patri. Sulle sponde di tale canale, al limite del seno portuale di

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levante erano allineati i magazzini e depositi. Grazie all’appoggio imperiale, i Pisani controllavano tutti gli scambi commerciali fra la Toscana e l’Italia meridio-nale.

Gli Amalfitani invece si stanziarono nel rione “Scala”, che si estendeva dalla via Lata fino all’attuale stazione marittima. Essi godevano di privilegi ed autonomie a tal punto da avere un proprio console che ammini-strava la giustizia, secondo le proprie consuetudini. La colonia degli Amalfitani di Brindisi era costituita da mercanti delle città di Scala e Ravello, che nel IX secolo insieme ad altre cittadine facevano parte della Repubblica di Amalfi. E’ questo il motivo per cui la chiesa, sorta nel quartiere amalfitano, a Brindisi, fu dedicata alla Madonna della Scala, protettrice della loro terra d’origine. Le famiglie di Scala e di Ravello vennero esuli in Puglia nel sec. XII, dopo che Amalfi fu nel 1131, sottomessa dal normanno Ruggero II. Nella chiesetta della “Madonna della Scala” fino ad una cinquantina di anni fa si celebrava nel giorno del-la Ascensione, la festa religiosa della Madonna della Scala. Il Capitolo con i fedeli in processione, visitava la Chiesa e, dal limite della strada che si affacciava sui bastioni S.Giacomo, impartiva la benedizione alla città. Oggi di tutto questo non è rimasto nulla.

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L’ABBAZIA DI SANT’ANDREA

Tra le prime città di Terra d’Otranto a ricevere il Cri-stianesimo fu Brindisi. Sebbene dei primi secoli non si sa nulla,dalle epistole di Gregorio Magno si deduce che, intorno al V secolo, vi erano cinque vescovati,di questi la più antica era la Chiesa di Brindisi che da tempo celebrava la festa di san Leucio.

Il monachesimo ebbe un notevole sviluppo in Brindi-si soprattutto in seguito alla lotta iconoclastica bandi-ta nel 726 da Leone III l’Isauro. Molti seguaci di San Basilio vennero a trovare asilo nelle città marittime della penisola salentina (Brindi-si, Otranto, Gallipoli, Taranto) vivendo di preghie-ra e penitenza negli eremi, nelle grotte e nelle laure (gruppo di abituri o cellette situate nello stesso luogo e a breve distanza l’una dall’altra).

Tra il sec. VIII e il IX una seconda ondata di profu-ghi, provenienti dalla Grecia, giunse a Brindisi.Ciò si deve soprattutto alla posizione geografica del nostro porto,interessante scalo marittimo che univa l’Oriente con l’Occidente, Roma a Bisanzio.Essi celebravano il culto divino in rito greco, nelle Chiese di San Pietro degli Schiavoni, di San Basilio, di San Giovanni dei Greci, così come riportano gli storici locali.

Dopo che nel IX secolo la città fu distrutta e anche abbandonata dal vescovo e dal clero che si era rifu-giato ad Oria, i calogerati rappresentarono l’autorità civile e religiosa.La casa madre, da cui dipendevano i religiosi del brindisino, fu eretta sull’isola di Bara, detta in seguito di S.Andrea o del Forte di Brindisi.

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Per mancanza di documenti riesce difficile stabilire quan-do i monaci si stabilirono su questa isola. Sembra che il monastero sia stato eretto nel VI secolo dai primi monaci venuti dall’’oriente. Questi ebbero la felice idea di sceglie-re l’isoletta a loro dimora per la pace e solitudine che qui avrebbero goduto ma anche per la facilità di comunicare con Bisanzio.Delle vicende posteriori ai secoli settimo ed ottavo nono e decimo non si sa nulla,per le tristi condizioni in cui ven-ne a trovarsi la città quando fu devastata dai Goti, dai Longobardi e dopo dai Saraceni. Di modo che di questo monumento basiliano rimangono pochi resti, conservati nel Museo civico della città.

E’ facile intendere la ragione di tutto ciò. Dopo aver cacciato i Bizantini i nuovi dominatori, i Normanni, si diedero molto da fare a limitare il numero dei monaci a Brindisi ed eliminare tutto ciò che era orientale, dando ad ogni cosa l’impronta latina, specie quando fu eletto arci-vescovo di Brindisi Godino, abate benedettino del vetusto monastero d’Aversa.Ai monaci basiliani si sostituirono i benedettini.Iniziava una nuova era.Quando al governo della città di Brindisi salì il conte Goffredo, nipote di Tancredi, energico oppositore all’invadenza di Bisanzio, questi, per accattivarsi la benevolenza dei Pontefici Pasquale II e Urbano II e dei vescovi locali, donò loro i beni tolti ai mo-nasteri basiliani.Edificò nei suoi possedimenti chiese e conventi, ripristinò gli antichi monasteri basiliani che cedette alle Monache e ai monaci benedettini. A questa opera di riorganizzazione si unì l’arcivescovo di Brindisi Eustachio che, persuaso della validità delle comunità re-ligiose, pensò di riaprire al culto l’antico monastero di Sant’Andrea di Brindisi. La richiesta partì da un giovane che chiese di volersi ritirare sull’isola a vivere vita ce-nobitica. Costui si chiamava Melo. Il prelato però gli impose che doveva vivere secondo la regola benedettina;lo elesse inoltre abate e donò all’abbazia la chiesa di S.Nicolò e la metà dei fiumi Delta e Luciano detti ora fiume Piccolo e fiume Grande. Questo nuovo monastero pare sia stato costruito nella parte occidentale dell’isola sulle rovine del pri-mo e in onore dell’Apostolo Sant’Andrea.

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Nei secoli successivi, i monaci dell’abbazia avrebbe-ro trasferito il culto del santo in città, in una chiesa situata sul promontorio detto di Sant’Andrea. Nel 1579, la chiesa e il monastero di S. Andrea “picco-lo” (per distinguerlo da quello dell’abbazia dell’iso-la) caddero in rovina, e all’Apostolo fu dedicata una cappella nella nuova chiesa chiamata S. Teresa, sorta nel 1671.

Nel tempo, per ragioni di difesa marittima, l’isola fu divisa in tre parti: nella prima sorge il Castello Al-fonsino, nella seconda il Forte a Mare, e nella terza, conosciuta come isola del lazzaretto, vi era nel 1934 una batteria di cannoni, la “Pisacane”.

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LA CHIESA DI CRISTO

Nei pressi delle mura di Porta Lecce,a ridosso del Bastione “ruinato”, nel rione che il popolo suole indicare con l’espressione”sobbr’a a Cri-stu”, sorge la famosa Chiesa del Cristo.

Questa chiesa con l’annes-so monastero fu fondata nel 1230 dal B. Nicola Paglia da Giovinazzo,compagno di San Domenico.

La chiesa, da poco restaurata è una bella testimonianza di romanico pugliese; il mona-stero, invece trasformato e adattato in istituto scolastico, è dal 1926 la sede dell’Istituto Tecnico Commerciale “Marconi”.

Nella Chiesa, intitolata a S.Domenico, trovò ospitalità fra il 1250 e 1300, un Crocifisso di legno, di pregevole fattura e molto grande nelle dimen-sioni.Il Crocifisso ha avuto larga venerazione in tutto il Salento, e su di esso esiste una leggenda che racconta del suo arrivo a Brindisi. Si narra che la sacra immagine fu portata nella nostra città da una nave veneziana, costretta da una tempesta ad attraccare nel porto.

Sulla nave viaggiava un certo Giovanni Cappello, veneziano, che, reduce da un viaggio in Terra Santa aveva acquistato, in Alessandra d’Egitto il Crocifisso.Il priore della Chiesa di San Domenico, informato del fatto, pregò il pellegrino vene-ziano di lasciare la sacra immagine nella chiesa, per permettere ai fedeli di venerarla per tutto il tempo in cui la nave sarebbe rimasta nel porto della città. Accadde però che, quando le condizioni del mare consentirono la ripresa del viaggio, fu impossibile rimuovere il Crocifisso dall’altare dove ancora oggi si trova. Il pellegrino veneziano, convinto che ciò era voluto dal Signore, lasciò in dotazione della Chiesa di S. Domenico il Crocifisso e si accontentò di portare via con sé, per par-ticolare devozione, solo il dito indice della mano destra del Cristo. Da quel momento la chiesa mutò il titolo di San Domenico con quella del Cristo.

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Sul lato sinistro della facciata si legge 1232 A(NNO) FU(N)D(ATIO) CO(NVE)NTUS. L’area di fondazione, ai margini della cinta muraria, an-cora nell’Ottocento era ricoperta perlopiù da orti e da giardini,come risulta dalle prime mappe urbane.La chiesa dalla suggestiva facciata monocuspidale, è coro-nata superiormente da una decorazione a sei arcatelli ciechi rampanti che racchiudono il rosone restaurato nel 1950,ad opera della Soprintendenza regionale ai Monumenti. Nel rosone, sorretto da esili colonne ai lati con capitelli figurati e volatili scolpiti su mensole, sono presenti tutti gli esempi del repertorio dei motivi ornamentali:dalle decorazioni floreali con foglie d’acanto ai frutti pendenti, dalle colonnine con capitelli a stampella e a raggiera, alle figure allegoriche di animali. Di particolare rilievo sulla facciata è il disegno a corsi alternati bicromi, ottenuto con conci di carparo e conci di pietra bianca, così da richiamare esempi analoghi dell’architettura religiosa dell’Italia centrale. L’interno della chiesa ad unica navata, ha un’abside appena pronunciata e divisa dall’aula per mezzo di un arco trionfale a sesto acuto con conci di colore alterna-to, che fu realizzato nel XV secolo.Esso sostituì il vano del coro (del quale resta esterna-mente visibile ancora dalla Via del Mare,un arco d’ac-cesso, incastonato nella parete), demolito per costruire il tratto difensivo aragonese fra il Bastione “ruinato”e la Porta di Lecce. Nell’’aula con tetto a capriate vi sono i due soli alta-ri barocchi non demoliti durante i restauri del 1950 e del 1972 e dedicati alla Madonna del Rosario e al Sacro Cuore. L’Altare sulla sinistra fu eretto nel 1640 per volontà di Marco Antonio Noguerol che in que-sta chiesa volle essere sepolto;in una epigrafe, tuttora nella chiesa, si precisa che costui fu “miles hastatus in arce rubra” e dunque di stanza sulle fortezze di Sant’ Andrea. L’altare è dedicato alla Madonna del Rosario coi misteri scolpiti fra intrecci roseiformi. Sulla destra c’è l’altro altare, ora intitolato al Sacro Cuore di Gesù ma in precedenza a San Domenico, con stucchi e statue rappresentanti San Giuseppe, la Vergine e San Domenico.

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Le tele che sostituiscono quelle secentesche, sono state dipinte nel 1955 da Umberto Colonna.Dei demoliti altari, l’uno dedicato a San Francesco Saverio, l’altro all’Annunziata, sono rimaste le tele, conservate nel museo Diocesano G.Tarantini di Brindisi.

Sull’altare maggiore è possibile ammirare il crocifisso ligneo duecentesco.L’opera è attribuita da più studiosi ad un intagliatore tedesco o ad un artista italiano influenzato dalle for-me scultoree della civiltà nord europea che ruotava intorno alle cattedrali di Chartres e di REIMS.

Nella chiesa è anche visibile la statua in legno, di pre-gevole fattura della Madonna della Luce (Lux Mun-di) risalente al XIII secolo. La Madonna della Luce è conosciuta anche come Madonna della Pisara, dal pesante attrezzo agricolo in pietra che secondo la leg-genda, fu utilizzato dalla Vergine per punire l’oltrag-gio di un soldato francese.Sul libro che il Bambino Gesù tiene aperto sulla si-nistra si legge la scritta EGO SUM LUX MUNDI. La statua, che è possibile provenga dall’altra chiesa domenicana della Maddalena pare opera del XIII secolo.

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LA FONTANA TANCREDI

Questa fontana che si trova a brevissima distanza dalla Via Appia, fu costruita dai Romani.Il re normanno Tancredi, l’unico sovrano nato nel Sa-lento e precisamente a Lecce, la fece solo restaurare nel 1192, in occasione del matrimonio tra suo figlio Rugge-ro, Correggente del regno e la principessa Irene, figlia di Isacco l’Angelo, imperatore di Costantinopoli, avvenuto nella Cattedrale di Brindisi. Per ricordare questo primo rifacimento fu posta sulla fontana una lapide su cui si può leggere:“anno dominice incarnationis millesimo centesimo nonage-simo secvndo/ regnante domino nostro tancredo invictissimo rege anno tertio/ et feliciter regnante domino nostro glorio-sissimo rege rogerio filio eivs/ anno primo mense avgvsti in-dictionis decimae/ hoc opvs factvm est ad honorem eorvndem regvm .”Nel 1540 la fonte fu restaurata dal vicerè della provincia di Terra d’Otranto, Ferrante Loffredo, come si legge in una seconda epigrafe presente sul muro.Un ulteriore restauro venne effettuato nel 1828. Con l’occasione la stessa subì delle modifiche cioè ven-ne ingrandita e sulla parete centrale vennero sistemati gli stemmi di Ferrante Loffedro, della città e di Carlo V.L’ acqua abbondantissima e purissima che sgorgava dalla fontana Tancredi, non solo era utilizzata dagli ammalati, perché dai medici e dai periti considerata la migliore in assoluto della città e dei dintorni ma serviva per le esi-genze dei cittadini e degli animali e per irrigare gli orti e i giardini che si trovavano lungo quel tratto di costa. Va ricordato che a quel tempo la città e i dintorni erano ricchi di sorgenti d’acqua potabile, una risorsa pressoché com-pletamente distrutta a seguito dello spianamento dei colli e delle alture e, più recente-mente, dello scavo di molti pozzi artesiani che hanno, purtroppo, sconvolto l’equilibrio naturale e ridotto la grande disponibilità idrica.

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UN RITO SINGOLARE: L’OSANNA

A destra di via Appia,subito dopo il passaggio livello c’è via Osanna.

Al limite di essa, nel punto in cui si biforca in due vie, sor-geva fino una cinquantina di anni fa una piccola altura sulla cui sommità si apriva uno spiazzo Al centro di esso, di forma quadrata, si innalzava una colonna monolitica, sormontata da una croce bizantina, risalente al IX-X secolo e, alla sua sinistra, un grezzo am-bone di pietra, forse resti di un antico tempio. Alla col-linetta, dalla forma tronco conica si accedeva da scale a gradini, disposte lungo i quattro lati. In questo luogo così singolare si svolgeva la Domenica delle Palme, l’Osan-na, un rito particolarmente, legato al rito greco. Infatti in questa giornata si cantava l’Osanna, (dal popolo detto lu Sannà o lu Sannai) l’Epistola e il Vangelo della messa, in lingua greca.Dalla Cattedrale muoveva, subito dopo la benedizione delle palme, una lunga processione di fedeli con a capo il Capitolo che, percorrendo la strada a piedi, cantando inni e agitando ramoscelli di ulivo, raggiungeva, l’Osan-naIl popolo si disponeva ai piedi dell’altura, mentre i prelati rag-giungevano la sommità. Nel momento in cui il diacono conclu-deva il canto in lingua greca, che ricordava l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, con il grido di giubilo: “Osanna, Osanna” i fedeli, agitando le palme, rispondevano al canto.La processione quindi ritornava verso la cattedraleL’Osanna fu demolita nella seconda metà del secolo scorso; la co-lonna sormontata dalla croce, è, invece, conservata nella Chiesa di Santa Maria del Casale.Per capire la singolarità di questo rito è necessario ricordare che, al tempo della dominazione dei Bizantini il rito greco era fio-rente, anche perché la comunità greca che viveva nella città era numerosa.

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UN UOMO INTREPIDO E TEMERARIOMARGARITO DA BRINDISI

Margarito da Brindisi fu una personalità di spicco della nostra città e del Regno di Sicilia ai tempi della dominazione norman-na.Gli studiosi dell’età medioevale ce lo presentano come grande ammiraglio al servizio di Guglielmo il Bono prima e di Tancredi poi, ai quali è legata la sua fortuna e la sua tragica fine.Non si hanno notizie certe per quanto concerne la data di nascita, la sua giovinezza e la conclusione della sua vita. Di sicuro si sa che nacque a Brindisi e che, con molta probabilità, finì i suoi giorni nel carcere di Treviri (Germania), dopo essere stato bar-baramente accecato

Parlare quindi della personalità di Margarito non è compito facile. Dalle cronache del tempo si rileva che in gioventù fu il terrore dei pirati che non solo infestavano il Medi-terraneo ma attaccavano le navi crociate che porta-vano i pellegrini in Terra santa.Fu per tanto coraggio dimostrato che Guglielmo il Bono lo nominò ammiraglio e gli affidò il comando di 40 galeoni con cui recarsi in Siria a difendere i Crociati oppressi dal Saladino Salah che, a sua volta, si era impadronito di Gerusalemme.Partecipò con i Normanni anche alla III Crociata al comando della flotta siciliana; insomma qualsiasi spe-dizione navale normanna veniva affidata a Margarito, il cui prestigio era indiscutibile.La fine della dominazione normanna segnò anche la fine di Margarito. Quando, infat-ti, alla morte di Guglielmo II si accese la lotta per la successione al trono fra Costanza, figlia di Ruggero II e legittima erede e Tancredi, conte di Lecce, Margarito si schierò subito dalla parte di quest’ultimo. Egli ebbe per lui tanta de-vozione che non esitò a fare prigioniera la rivale, rendendosi così colpevole di lesa maestà.Enrico VI di Svezia, marito di Costanza, dopo essere riuscito ad occupare la Sicilia, mise in atto la sua vendetta nei con-fronti di tutti i partigiani di Tancredi, tra cui Margarito che, come abbiamo poc’ anzi detto, mori in carcere dopo essere stato accecato.

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Alla stesura di questo lavoro molto ha contribuito sia la collaborazione dei docenti del consi-glio di classe della I°L sia l’impegno, la determinazione e la volontà degli studenti del corso.

Guidati dalla docente Gatti Maria e dall’esperto arch. Paolo Capoccia gli studenti hanno stila-to un itinerario storico-culturale della Brindisi romana, attingendo tutta la relativa

documentazione storica ed architettonica da testi e da ricerche telematiche.

Il Dirigente ScolasticoVladimiro Caliolo

Progetto relativo alle aree a rischio art. 9 CCNL comparto scuola 2002-2005Progetto grafico Francesco Zarcone