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da lostatopresente.eu – dicembre 2016 1 Più Carcere, più Sicurezza. E’ davvero così? di Luca Spataro “Ho delle opinioni, non disturbatemi con dei fatti” sarà una rubrica ospitata periodicamente su loSTATOpresente. Attraverso i numeri e le statistiche proveremo a raccontare fenomeni sociali e economici, provando a demistificare le retoriche che in maniera più virulenta hanno messo sotto assedio lo Stato e l’intervento pubblico. Il binomio “più carcere, più sicurezza” rappresenta uno degli ossessivi mantra del dibattito pubblico dei Paesi occidentali. Un messaggio che quotidianamente invade il nostro privato, diventato per un numero consistente di cittadini una verità incontestabile. Ogni giorno non tramonta più il sole senza che un talk show televisivo racconti un fatto di cronaca e che gli ospiti in studio, opinion leader, politici, cittadini comuni, non chiosino l’accaduto chiedendo più carcere e pene più aspre. L’obiettivo di questo articolo è raccontare per numeri il fenomeno che nelle ultime quattro decadi ha prodotto in molti Paesi occidentali un vero e proprio fenomeno di iperincarcerazione 1 . Lo faremo con uno sguardo particolare agli Stati Uniti in cui il fenomeno ha raggiunto le proporzioni più allarmanti. Ci soffermeremo, poi, molto brevemente su alcuni tra i principali Paesi europei, per chiudere con un breve focus sul nostro Paese. L’obiettivo che ci poniamo, nella speranza di riuscire, è tentare di demistificare, attraverso i numeri e i fatti, i luoghi comuni radicati nel dibattito pubblico. 1 L. Wacquant, Iperincarcerazione. Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti, 2013, Ombre Corte

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Più Carcere, più Sicurezza.

E’ davvero così?

di Luca Spataro

“Ho delle opinioni, non disturbatemi con dei fatti” sarà una rubrica ospitata periodicamente su

loSTATOpresente. Attraverso i numeri e le statistiche proveremo a raccontare fenomeni sociali e

economici, provando a demistificare le retoriche che in maniera più virulenta hanno messo sotto

assedio lo Stato e l’intervento pubblico.

Il binomio “più carcere, più sicurezza” rappresenta uno degli ossessivi mantra del dibattito

pubblico dei Paesi occidentali. Un messaggio che quotidianamente invade il nostro privato,

diventato per un numero consistente di cittadini una verità incontestabile. Ogni giorno non

tramonta più il sole senza che un talk show televisivo racconti un fatto di cronaca e che gli ospiti in

studio, opinion leader, politici, cittadini comuni, non chiosino l’accaduto chiedendo più carcere e

pene più aspre. L’obiettivo di questo articolo è raccontare per numeri il fenomeno che nelle ultime

quattro decadi ha prodotto in molti Paesi occidentali un vero e proprio fenomeno di

iperincarcerazione1. Lo faremo con uno sguardo particolare agli Stati Uniti in cui il fenomeno ha

raggiunto le proporzioni più allarmanti. Ci soffermeremo, poi, molto brevemente su alcuni tra i

principali Paesi europei, per chiudere con un breve focus sul nostro Paese. L’obiettivo che ci

poniamo, nella speranza di riuscire, è tentare di demistificare, attraverso i numeri e i fatti, i luoghi

comuni radicati nel dibattito pubblico.

1L. Wacquant, Iperincarcerazione. Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti, 2013, Ombre Corte

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Gli Stati Uniti

Nel secolo scorso la popolazione carceraria e i tassi di incarcerazione dei maggiori paesi occidentali

hanno mostrato a lungo dei trends stabili. La popolazione detenuta dal 1925 sino al 1980 è rimasta

su livelli contenuti. Tuttavia negli Stati Uniti sul finire degli anni ’70 il tasso di incarcerazione ha

iniziato una lunga, poderosa e quasi inarrestabile marcia per giungere nel 2012 alla cifra

impressionante di 707 detenuti per 100.000 abitanti. La popolazione detenuta è passa dai circa

500.000 detenuti del 1980 ai 2.284.240 del 2012.

Grafico 1

Nel grafico 1 mostriamo la curva che ha portato all’esorbitante crescita del numero dei detenuti,

dato che colloca gli Stati Uniti al secondo posto nel mondo per tasso d’incarcerazione, in realtà al

primo se consideriamo il fatto che l’unico paese che registra un tasso più alto è Seychelles, cioè un

piccolo stato insulare con circa 90.000 abitanti. In dieci anni i detenuti crescono del doppio,

superando il milione nel 1990, raddoppiando ancora nel decennio successivo e raggiungendo la

cifra dei 2 milioni all’inizio del nuovo secolo. Negli ultimi 12 anni infine il ritmo di crescita

rallenta, per giungere ai 2.284.240 del 2012.

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Grafico 2

Se ai dati presentati nel grafico 1, affianchiamo quelli che mostrano i cittadini americani sottoposti

al sistema penale (grafico 2) attraverso il regime della Parole e l’istituto della Probation, ci

troviamo di fronte ad un fenomeno di proporzioni gigantesche: 7 milioni di soggetti nel 2012, un

dato 4,6 volte più alto del 1980.

A generare questa espansione del sistema penale non è stata una crescita dei tassi di criminalità, ma

una vera e propria campagna ideologica che ha avuto nell’amministrazione Regan il principale

sponsor. Nel 1984 esce Losing Ground: American Social Policy 1950-1980, di Charles Murray2, un

testo che rappresenta il vangelo dell’attacco al sistema di welfare portato avanti dai principali think

thanks conservatori americani come il Manhattan Institute. La tesi centrale del libro, a dire il vero

sostenuta da pochi dati e con poca scientificità, è che la condizione di povertà, soprattutto dei neri

americani, fosse il prodotto dei programmi di assistenza sociale.

È la crociata ideologica del liberismo promossa dall’amministrazione americana che ha avuto

l’obiettivo di ribaltare il paradigma che aveva guidato le politiche economiche e sociali a partire

dalla grande depressione. La soluzione che propone Murray è farla finita con i programmi sociali,

ad eccezione che per gli infermi e anziani. Solo due anni prima sulla rivista “Atlantic Monthly”

2Murray Charles, Losing Ground: American Social Policy 1950-1980, 1984, Basic Books.

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era uscito un lungo articolo con le firme James Q. Wilson e George Kelling3, in cui veniva

elaborata la nota “teoria del vetro rotto”. A metà degli anni Settanta, lo Stato del New Jersey aveva

annunciato il programma Quartieri sicuri. Il programma consisteva nell’aumento delle risorse per

l’assunzione di agenti di polizia che avessero il compito di pattugliare a piedi i quartieri. La teoria

degli autori è che disordine e criminalità fossero indissolubilmente legati: se una finestra in un

edificio è rotta e non viene riparata, tutto il resto delle finestre sarà presto rotto. Il contrasto al

degrado sociale diventa una questione di polizia. Le politiche sociali vengono sostituite dalle

politiche penali e securitarie. Il sistema penale americano vira in quegli anni in tale direzione. Per

un verso vengono smantellati i programmi di assistenza sociale ai più poveri, per l’altro le forze di

polizia vengono dirette nel contrasto e prevenzione dei comportamento deviante. L’obiettivo da

raggiungere, secondo gli autori, è prevenire la presenza persone sgradevoli nei quartieri.

Queste teorie attraverso la forza dei più importanti think thank conservatori vengono diffuse in tutto

il globo. Perseguire con grande energia le infrazioni minori, allo scopo di prevenire quelle

maggiori. Molti spesso cita l’esempio del sindaco di New York, Rudy Giuliani e del suo capo della

polizia della città, il commissario William J. Bratton. In realtà tutti gli studi più recenti sulle

politiche di sicurezza negli States convergono, dati alla mano, nell’affermare che il trend di

riduzione dei reati a New York è antecedente a quelle politiche. Più di recente il dipartimento della

giustizia americano ha criticato con parole particolarmente dure la strategia della “tolleranza zero”.

Secondo Washington, il risultato principale della politica di “tolleranza zero” è stato il

peggioramento dei rapporti tra la polizia e le comunità locali. Per gonfiare le statistiche, è scritto nel

documento, polizia ha compiuto sistematiche violazioni dei diritti costituzionali dei residenti non

bianchi4.

Nei grafici che seguono mostreremo la serie storica a partire dal 19805 di alcune categorie di reati

che destano maggior allarme sociale. I reati violenti, registrati dall’Uniform Crime reporting

dell’FBI, mostrano una crescita fino alla fine degli anni ’80, per poi subire una lunga e costante

decrescita, tanto da aver raggiunto nel 2012 il livello minimo dagli anni ’70. Stesso andamento,

3http://www.theatlantic.com/magazine/archive/1982/03/broken-windows/304465/

4http://www.nytimes.com/2016/08/10/us/justice-department-to-release-blistering-report-of-racial-bias-by-

baltimore-police.html?_r=0

5Per i dati sulla criminalità negli Stati Uniti potete consultare l’Uniform crime reporting Statitistics dell’FBI che riporta serie storiche

a partire dagli anni ’60: https://www.ucrdatatool.gov/index.cfm e il sito del Bureau of Justice statitics

http://www.bjs.gov/index.cfm?ty=datool&surl=/arrests/index.cfm#

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registrano i principali reati contro la proprietà, in questo caso l’amento tra gli anni ’80 e ’90 è meno

pronunciato e il livello raggiunto nel 2012 è circa il 30% in meno dell’inizio della serie.

Grafico 3 e 4

Se osserviamo il trend degli omicidi volontari e degli omicidi colposi con grave negligenza, che

sono una sottocategoria dei reati violenti e certamente tra questi quelli che destano maggior allarme

sociale, assistiamo ad un fenomeno simile.

Gli omicidi restano stabili nel corso degli anni ’80, per crollare nel corso dell’ultima decade del

secolo scorso e continuare in una più lenta decrescita nel primo decennio del nuovo secolo.

Grafico 5

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Nel grafico che segue (6) presentiamo invece il numero di arresti per violazione delle leggi sulla

droga.

Questi dati introducono uno degli elementi che ha portato alla crescita esponenziale della

popolazione carceraria negli Stati Uniti e negli altri Paesi occidentali.

Grafico 6 e 7

Con il grafico 7 introduciamo invece un ulteriore elemento di analisi, cioè la caratterizzazione

razziale del fenomeno in questione. Nel Grafico compariamo, infatti, il tasso di incarcerazione per

possesso di droga, una sottocategoria delle violazioni delle leggi sulla droga, suddiviso su base

razziale tra bianchi e neri.

Numerosi studi mostrano infatti come la probabilità di entrare in contatto con il sistema penale

americano sia molto più elevata tra gli uomini giovani di colore con scarsa istruzione. Nel 1980 il

10% dei giovani neri tra i 18 e i 40 anni con scarso livello d’istruzione e basso reddito aveva un

esperienza con il carcere. Nel 2000 questa percentuale è cresciuta sino al 32%. In pratica un giovane

su tre, con tali caratteristiche, trascorre un periodo della sua vita in una prigione6.

6Sul tema: AA.VV. The Growth of Incarceration in the United States: Exploring Causes and Consequences ,2014, NAP

(https://www.nap.edu/catalog/18613/the-growth-of-incarceration-in-the-united-states-exploring-causes ) ;

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La “War on Drugs”, slogan diventato famoso nel 1971 con il presidente conservatore, Richard

Nixon e che raggiunse l’apice con Regan, spiega solo in parte l’esplosione del sistema

penitenziario americano. Le altre ragioni sono legate al contrasto, anche con incentivi alla polizia

per gli arresti, dei reati minori, al cambio delle politiche sulla recidiva con la famosa formula

“Three Strikes and You're Out”. Si tratta della regola tre volte e sei eliminato del gioco nazionale

del baseball. Di fronte all'errore ripetuto tre volte alla battuta il giocatore è eliminato dal turno di

gioco. La regola è diventata anche un principio penale, una misura anticrimine che si può tradurre

con un monito chiaro: "tre condanne e resti in galera per sempre".

L’altro elemento che ha portato alla crescita della carcerazione sono le riforme che hanno limitato il

potere del giudice nel determinare la pena, costruendo parametri più rigidi, con meno

discrezionalità e con pene più alte, di fatto comprimendo il principio di individualizzazione della

pena.

Per ragioni di economia di questo lavoro eviteremo in questa sede di analizzare altri temi che

meriterebbero un approfondimento e che citiamo solo sommariamente. Per esempio la connessione

tra cambio delle politiche di welfare e politiche penali. Politiche di welfare e politiche penale

manifestano in questo caso un trade-off, alla compressione delle prime corrisponde un aumento

esponenziale della seconde, tanto da poter affermare con serenità che lo stato penale rappresenta

una caratteristica fondamentale e centrale delle politiche liberiste. Negli Stati Uniti a partire dalla

fine degli anni ’70 intellettuali, think thank elaborano le teorie economiche e sociali che hanno

prodotto un cambio radicale di paradigma che ha portato quasi ovunque ad affrontare problemi

sociali attraverso politiche penali. L’esperienza degli Stati Uniti ci racconta più di tutte che più

carcere non significa più sicurezza, infatti quel Paese nonostante un fenomeno di gigantesca

carcerizzazione continua ad avere tassi di criminalità più alti che in Europa.

L’Europa e l’Italia

Le idee promosse dall’amministrazione Regan e dai think thank conservatori non tardarono ad

attecchire in Europa e in primo luogo in Regno Unito da dove si diffusero con gradazioni diverse in

tutto il continente. Il fenomeno della crescita vertiginosa dell’incarcerazione non ha raggiunto in

Europa i livelli d’oltreoceano, tuttavia quasi ovunque a partire dagli ’90 la popolazione carceraria,

stabile per decenni, è cresciuta in maniera sostenuta, tanto da raddoppiare in poco più di tre decadi.

L. Wacquant, Punire i poveri. Il nuovo governo dell’insicurezza, 2006, DeriveApprodi; L. Wacquant, Iperincarcerazione. Neoliberismo

e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti, 2013, Ombre Corte; B. Western, Punishment and Inequality in America, 2006,

Russell Sage Fundation.

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Grafico 8

Nel grafico 8 è rappresentata la popolazione detenuta dei principali paesi europei nella sua

evoluzione dal 1980 al 2014. In tutti i Paesi in questione la popolazione detenuta è cresciuta a ritmi

sostenuti, solo la Germania registra un ritmo di crescita più lento. In Francia, Italia e Regno Unito la

popolazione detenuta è raddoppiata. La Spagna che partiva da livelli più bassi ha visto triplicare il

numero di detenuti. Negli ultimi anni anche in virtù di interventi della giurisprudenza costituzionale

(in Germania la Corte Costituzionale è intervenuta duramente sulle condizioni di sovraffollamento)

e della Corte europea dei diritti dell’uomo, emblematico in tal senso è il caso italiano, questo trend

di crescita ha subito ovunque una frenata, salvo che in Francia.

Grafico 9 e 10

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Come nel caso Statunitense i dati dei grafico 9 e 10 dimostrano che anche nel caso italiano

l’aumento della popolazione detenuta non è stato dovuto dei fatti criminosi. I principali delitti

registrati dalle forze di polizia sono in calo da tre decadi, molto pronunciato è il calo degli omicidi,

è sceso drasticamente il furto di autoveicoli, l’unico reato in aumento, dopo il crollo di fine anni

’90, è quello di furto in appartamento, ma che comunque si colloca oggi agli stessi livelli di inizio

anni ’90.

Conclusione

In questo articolo abbiamo tentato di raccontare brevemente il fenomeno della crescita della

popolazione detenuta negli Stati Uniti e in Europa. Abbiamo tentato di dimostrare come la crescita

della popolazione carceraria non sia correlata ad un aumento dei tassi di criminalità, né in Europa

né negli Stati Uniti, ma piuttosto ad un vento ideologico che ha visto trasformare il diritto penale in

uno strumento per affrontare problemi sociali come la droga e il degrado delle periferie. Negli Stati

Uniti tale fenomeno ha raggiunto livelli inimmaginabili con forti connotazioni razziali. Sono stati

gli stessi teorici della destrutturazione dello Stato, delle politiche di welfare e assistenza sociale a

esaltare il ruolo della pena e del carcere nella retorica sulla sicurezza. Nello stesso momento in cui il

ruolo dello Stato in economia veniva attaccato con virulenza si è chiesto allo Stato di ampliare a

dismisura la potestà punitiva. Queste politiche mostrano oggi ovunque il loro fallimento, nonostante

ciò il nuovo vento populista che attraversa le nostre società rischia di bloccare i timidi tentativi di

inversione di tendenza degli ultimi anni. Crediamo per questo che sia necessario tenere aperto il

dibattito su questo tema tentando di demistificare una retorica che continua a essere dominante. Si

tratta di una sfida importante soprattutto per la Sinistra che per lungo tempo non è stata in grado di

opporre alcuna resistenza a quelle parole d’ordine, ma che anzi negli anni novanta ha assecondato

in pieno questa deriva.