di Fabrizio Pezzoli DANFOGELBERG · 2010. 1. 22. · de al nome di Irving Azoff (Irv per gli...

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Abbiamo pagato il dovuto alla porta Ma non siamo mai andati in scena Abbiamo scritto la nostra parte di folclore ro- mantico Ma non abbiamo mai neppure riempito una pa- gina Perciò vai per la tua strada. (Be On Your Way, 1972) U n ragazzo dell’Illinois. Di Peoria, per essere precisi. Profonda provincia Midwest americana. Vede la luce il 13 agosto 1951. Cresce a musica, arte e letteratura. Padre “leader of the band”, cioè musicista, insegnante e direttore della banda del posto, con tanto di majorettes e re- duci in divisa. Ma si sa, negli Stati Uniti si co- mincia a suonare seriamente già alle elemen- tari e si prosegue fino al campus universitario, per cui è facilmente immaginabile e udibile il progresso e la bravura anche del più tardo dei clarinettisti del paesino a stelle e strisce più sperduto. Papà Lawrence ha naturalmente un’inevitabile propensione per il blues e il jazz bandistico degli anni Quaranta e Cinquanta, e grandi potenzialità di arrangiatore raffinato. Madre “casalinga” dedita alla famiglia, so- prattutto ai due figli maschi e alla figlia, ma con cultura da college superiore alla media e un forte debole per la poesia e la grande prosa an- glo-americana. Steinbeck, Dos Passos, Hem- ingway. Ascolti e letture. Romanzi e canzoni. Il piccolo Daniel Grayling cresce. Intanto arrivano gli anni Sessanta. Dapprima il folk, poi anche Dylan se la fila dalle gomene dell’angusto e au- gusto vascello della tradizione e diventa elet- trico. Si dice sia colpa di quattro ragazzotti di Liverpool. Il nuovo sound, via Byrds, viene de- finito folk-rock. Ma fino a quel momento il Dan ragazzino ha succhiato come tutti il latte del rock’n’roll di Chuck Berry, Little Richard e Buddy Holly. Gli stessi a cui si rifacevano i Beatles di quegli anni (’63-’64). Per saperne di più sulle sue influenze non è ne- cessaria un’intervista. Nelle note di copertina del doppio The Age Of Innocence (1981), ormai artista più che affermato, Dan ringrazia una se- quela di padri ispiratori. Beatles, Byrds, Buffa- lo Springfield in prima fila. Ma anche Grieg e Tchaikovski, Kahlil Gibran e Hermann Hesse, Gordon Lightfoot e Joni Mitchell, Leonard Cohen e Paul Simon, Doc Watson, gli Hollies e gli Ea- gles (che nell’’81, dopo la Via Lattea esplora- ta in comune negli anni Settanta, ormai erano già partiti per Marte, Giove e Saturno. Sepa- ratamente, purtroppo). E tanti altri. Ma so- prattutto “mio padre per il dono della musica e mia madre per il dono delle parole.” Forse un briciolo di piaggeria per nobilitare il curriculum (ma perché siamo sempre così sospettosi e ma- ligni?). Ma anche tanta sincerità american sty- le (ossia al limite e oltre dell’ingenuità più teen ager che mai anche a cinquant’anni). E perché no? Viva l’innocenza. Adolescenza e prima giovinezza, dunque, in un territorio tutto da esplorare. Studia e si interessa di musica più che di sport (e nell’Illinois è un bell’andare contro corrente). Circondato da una foresta di giganti della nuova musica rock ascol- tati alla radio. Un passaggio graduale, in que- gli anni, dal rock’n’roll venato di British Invasion al folk e al country americano, che poi diverrà il formidabile country-rock mediato prima dai grandi gruppi “californiani” che hanno fatto la storia: Byrds e Buffalo Springfield in prima linea. Più tardi Poco e Eagles. Dan (13 anni) nel frat- tempo colleziona vecchi dischi, suona alle fe- 2 LATE FOR THE SKY approfondimenti, storie, testimonianze Focus On di Fabrizio Pezzoli DAN FOGELBERG ALBUM DA SFOGLIARE (con musica in sottofondo) Fogelberg:mastrolateok 1-04-2008 13:29 Pagina 2

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Abbiamo pagato il dovuto alla portaMa non siamo mai andati in scenaAbbiamo scritto la nostra parte di folclore ro-manticoMa non abbiamo mai neppure riempito una pa-ginaPerciò vai per la tua strada.

(Be On Your Way, 1972)

Un ragazzo dell’Illinois. Di Peoria, peressere precisi. Profonda provinciaMidwest americana. Vede la luce il13 agosto 1951. Cresce a musica,

arte e letteratura. Padre “leader of the band”,cioè musicista, insegnante e direttore dellabanda del posto, con tanto di majorettes e re-duci in divisa. Ma si sa, negli Stati Uniti si co-mincia a suonare seriamente già alle elemen-tari e si prosegue fino al campus universitario,per cui è facilmente immaginabile e udibile ilprogresso e la bravura anche del più tardo deiclarinettisti del paesino a stelle e strisce piùsperduto. Papà Lawrence ha naturalmenteun’inevitabile propensione per il blues e il jazzbandistico degli anni Quaranta e Cinquanta, egrandi potenzialità di arrangiatore raffinato.Madre “casalinga” dedita alla famiglia, so-prattutto ai due figli maschi e alla figlia, ma concultura da college superiore alla media e unforte debole per la poesia e la grande prosa an-glo-americana. Steinbeck, Dos Passos, Hem-ingway. Ascolti e letture. Romanzi e canzoni. Ilpiccolo Daniel Grayling cresce. Intanto arrivanogli anni Sessanta. Dapprima il folk, poi ancheDylan se la fila dalle gomene dell’angusto e au-gusto vascello della tradizione e diventa elet-trico. Si dice sia colpa di quattro ragazzotti diLiverpool. Il nuovo sound, via Byrds, viene de-finito folk-rock. Ma fino a quel momento il Danragazzino ha succhiato come tutti il latte delrock’n’roll di Chuck Berry, Little Richard e BuddyHolly. Gli stessi a cui si rifacevano i Beatles diquegli anni (’63-’64).Per saperne di più sulle sue influenze non è ne-cessaria un’intervista. Nelle note di copertinadel doppio The Age Of Innocence (1981), ormaiartista più che affermato, Dan ringrazia una se-quela di padri ispiratori. Beatles, Byrds, Buffa-lo Springfield in prima fila. Ma anche Grieg eTchaikovski, Kahlil Gibran e Hermann Hesse,Gordon Lightfoot e Joni Mitchell, Leonard Cohen

e Paul Simon, Doc Watson, gli Hollies e gli Ea-gles (che nell’’81, dopo la Via Lattea esplora-ta in comune negli anni Settanta, ormai eranogià partiti per Marte, Giove e Saturno. Sepa-ratamente, purtroppo). E tanti altri. Ma so-prattutto “mio padre per il dono della musicae mia madre per il dono delle parole.” Forse unbriciolo di piaggeria per nobilitare il curriculum(ma perché siamo sempre così sospettosi e ma-ligni?). Ma anche tanta sincerità american sty-le (ossia al limite e oltre dell’ingenuità più teenager che mai anche a cinquant’anni). E perchéno? Viva l’innocenza.

Adolescenza e prima giovinezza, dunque, in unterritorio tutto da esplorare. Studia e si interessadi musica più che di sport (e nell’Illinois è unbell’andare contro corrente). Circondato da unaforesta di giganti della nuova musica rock ascol-tati alla radio. Un passaggio graduale, in que-gli anni, dal rock’n’roll venato di British Invasional folk e al country americano, che poi diverràil formidabile country-rock mediato prima daigrandi gruppi “californiani” che hanno fatto lastoria: Byrds e Buffalo Springfield in prima linea.Più tardi Poco e Eagles. Dan (13 anni) nel frat-tempo colleziona vecchi dischi, suona alle fe-

2 LATE FOR THE SKY

approfondimenti, storie, testimonianze

� Focus On di Fabrizio Pezzoli

DAN FOGELBERGALBUM DA SFOGLIARE (con musica in sottofondo)

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ste da ballo del liceo con i suoi primi gruppi - iClan prima (per lo più canzoni dei Beatles), i Coa-chmen poi (R&B ballabile) - disegna e dipinge.Infine, va al college. Recitazione e teatro prima,arte e pittura poi. A un certo punto (1970) pian-ta la University of Illinois, a Champaign, per nonsi sa bene quale motivo. Capelli troppo lunghi?Più chitarra che palestra? Renitenza alla leva?Il Vietnam ha già spalancato le fauci. Sta di fat-to che il giovane di belle speranze ha per lomeno un’amicizia sincera che col tempo si ri-velerà importante. All’università ha conosciutoun altro giovane di belle speranze che rispon-de al nome di Irving Azoff (Irv per gli amici), chefa il manager per i REO Speedwagon e ha am-bizioni da produttore discografico di fama. Pri-mo trasloco, via da Champaign e Peoria. Nellaterra promessa. Los Angeles, California, doveAzoff cerca di piazzarlo nelle gloriose case di-scografiche dell’epoca (1970!). Un demo rifiu-tato da Jerry Moss dell’A&M; stessa sorte perla cassetta affidata a David Geffen della neo-nata Asylum. Dan si fa la gavetta. In fondo è unpolistrumentista: fin da bambino suona il pia-noforte, ma col tempo ha aggiunto chitarra acu-stica, chitarra elettrica, basso, batteria, oboe.Qualche session in studio per gli artisti locali.La storia dice che viene notato da Van Morrison,e che con questi si imbarca in un lungo tour chedura gran parte dell’anno di grazia 1971. Fi-nalmente, è l’illuminato Clive Davis della Co-lumbia a prestare orecchio. Un orecchio finis-simo. Il contratto è siglato per un album.

HOME FREE

Il primo frutto si chiama Home Free (1972), perla Columbia Records. La casa discografica deiByrds, di Bob Dylan e di Simon & Garfunkel. Unesordio da poco? Per l’incisione Daniel vienespedito a Nashville, Tennessee. Produce Nor-bert Putnam, arrangiatore e bassista di indub-bio talento, con pulsioni orchestrali ben pocorepresse. Infatti il disco - una serie eccellentedi brani squisitamente acustici - viene un po’ ap-pesantito da una sezione d’archi a tratti trop-po consistente. Al limite del cinematografico.Ma il risultato è (parere personale) straordina-rio. Eppure, fatalmente, l’album passa del tut-to inosservato negli States, e in generale fa unbuco nell’acqua. A distanza di anni sarà risco-perto per quello che è: un masterpiece. Prati-camente un concept album, con la prima fac-ciata che si sviluppa poeticamente sul pas-saggio dall’adolescenza alla maturità di un uomoqualunque, e la seconda che sviluppa il rapportotra città e campagna, e tra l’amore platonico ela passionalità adulta. Una sequela di brani in-dimenticabili. Una suite indissolubile. To TheMorning, Stars,More Than Ever, Be On YourWay,Hickory Grove. Lo sconcerto, forse, è che da Na-shville (da Nashville?!) esca un disco così, ingran parte affidato alla chitarra acustica, comebase, ma senza la banale ripetitività da “liscio”Made in USA, bensì melodicamente originalis-simo e magniloquentemente infiorettato da in-terventi orchestrali che ingentiliscono in modoraffinato - e un po’ troppo soft, per l’epoca -

l’idea del ruspante country-rock che allora tut-ti aspettavano. Un lavoro che si accosta agliestri incompresi del geniale Gene Clark. L’ave-va già fatto anche Neil Young in certi brani “or-chestrali” dell’album d’esordio (1969) e nellalunga gestazione del materiale che finirà sul-l’incommensurabile Harvest (1972). Lo stessoanno a New York lo farà (con meno violini e piùgospel) anche Eric Andersen nel fulgido Blue Ri-ver.

VoleròLà dove il cielo va incontro alla terraE la vita non è programmataE i bambini possono riderePer la semplice gioia di esistere.Oh, vivi in campagna.Oh, vivi in campagna.

(Long Way Home)

Altro difetto del Dan esordiente (forse), per spie-gare il magrissimo risultato dell’album d’esor-dio che porterà all’inevitabile risoluzione del con-tratto con la Columbia e a due anni di disoc-cupazione discografica? Una voce flebile, a vol-te così alta da sfiorare il falsetto, con un tim-bro poco maschile, decisamente agli antipodidi un Johnny Cash o di un Kris Kristofferson. Mala voce è potenziata da incantevoli sovraincisionipluripista (e in seguito da background e harmonyvocals sempre curatissime). Sovraincisioni del-la stessa voce? E allora? Lo facevano un po’tutti. I precursori, ancora una volta, erano sta-ti i Beatles, sotto la guida sapiente di GeorgeMartin alla consolle e non solo.Nella seconda facciata Daniel e Norbert ci re-galano ancora gli incanti di LongWay Home (LiveIn The Country), Looking For A Lady, Anyway I LoveYou, Wysteria e The River (quasi una mini-sin-fonia). Tutti brani bellissimi, per un motivo o perl’altro; tutti testi poetici e interessanti, larga-mente autobiografici e autenticamente esi-stenzialisti. Alcuni critici coevi parlano di chia-re influenze sottilmente presenti, come Crosby,Stills & Nash (Wysteria accostabile a Guinne-vere?) e il Neil Young pianistico e tetro (The Ri-ver simile allo spirito dei primi due o tre albumdell’Indiano di Hollywood?). Per vicissitudini per-sonali chi scrive ha amato quest’album come

uno dei punti cardinali della sua vita. Forse nonal livello dei brividi visionari di Harvest (NeilYoung) o delle vette inarrivabili di Blue (Joni Mit-chell) o dei fulgori folk e blues di Sweet Baby Ja-mes (James Taylor), o ancora dei respiri e so-spiri di Moondance (Van Morrison), (e fermia-moci qui per non fare torto a tanti altri artistie gruppi che trovano ampio posto nel cuore del-l’umile e attempato critico musicale). Ma pococi manca. Perché più di una notte - in anni fo-cali impostisi a fulcro dell’esistenza - più di unanotte ferale, trascorsa ad ascoltare in cuffiaHome Free, lo hanno indissolubilmente legatoal timido Dan che lo concepì. E ancora oggi nonriesce ad ascoltare To The Morning (una voltaogni cinque o sei anni) o Be On Your Way sen-za le lacrime agli occhi. Ricordi struggenti. Mo-menti fondamentali. Volti cari che non ci sonopiù.Emotività? La musica è soprattutto questo.

Vai per la tua stradaNon cercare di dirmi che mi ami ancora.Se non abbiamo saputo trovareIl sogno giusto per noiAl punto in cui siamoNon ce la faremo mai.Vai per la tua stradaForse un giorno ci incontreremo di nuovoCerca di non piangereLe lacrime mi fanno pensareA come forse sarebbe stato.Abbiamo amato con quanta più forza possibi-leMa l’amore ci è stato d’ostacoloCi siamo presi del tempo per essere liberiNon c’è molto altro da aggiungereSe non “vai per la tua strada”.

(Be On Your Way)

(Una nota per gli inguaribili audiofili sottolineache la prima versione in CD del disco fatta dal-la Sony nel 1988 è da evitare perché piatta einfedele. Era stata masterizzata e remixata ap-parentemente da Putnam e Fogelberg, che ave-vano praticamente rifatto il disco, attenendosiben poco alle indicazioni originali del 1972, eoperando con la tecnologia del periodo. Spari-scono così certe parti orchestrali; la voce di Dan

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è più caricata in certi brani; il basso è eviden-ziato in alcuni punti; in altri la chitarra acusti-ca o il pianoforte sono potenziati sullo sfondodella sezione d’archi. In pratica: un altro discorispetto a quello che conosciamo. Un nobile eimperfetto precedente, accostabile alla delu-dente versione di Let It Be… Naked voluta di re-cente da Paul McCartney. Molto meglio la nuo-va versione della BGO inglese del 2006, conHome Free e Souvenirs in un unico CD, rima-sterizzata in digitale con tecnologia d’avan-guardia utilizzando i master originali. Il pareredegli esperti? Ascoltatelo in vinile. Il parere deifans? Cercate il vecchio originale in vinile.)

SOUVENIRS

Quasi due anni di attese. Due anni di speran-ze. Dan continua il lavoro di turnista a Los An-geles. Stringe amicizie. Nell’ambiente è moltoapprezzato. Altre session in studio per altri ar-tisti. Suona anche per Buffy Sainte-Marie in Buf-fy, e per Jackson Browne nel seminale Late ForThe Sky. Irv Azoff però non demorde. Tramite lasua neonata etichetta Full Moon, ottiene nuo-va fiducia per un altro album, consociato e di-stribuito dalla Epic (ancora del gruppo CBS). Unaseconda occasione per Fogelberg. Che non acaso, vista la lunga attesa, si chiama “ricordi”.Primavera del 1974. Qualche mese prima unacanzone quasi di protesta (ecologismo post-hip-py), Better Change, viene scelta e cantata da Ro-ger McGuinn per il suo Peace On You. Il risultatodella nuova fatica discografica dell’iperattivo Fo-gelberg, Souvenirs (1974), ha ancora una vol-ta la fiducia e il sollecito del lungimirante Cli-ve Davis ed è prodotta da Joe Walsh. Ormai ilcountry-rock è imperante. E Souvenirs è una tor-ta di campagna dove le tante uvette, a corollariodella ricetta già ottima, si chiamano Nash, Hen-ley, Frey, Beckley, Kunkel, Lala, Passarelli, Per-

kins, Walsh, Garofalo, Harris. L’album è stre-pitoso. Viene inciso ai Record Plant Studios diLos Angeles. Uno degli ingegneri del suono èquel Bill Szymczyk che, insieme a Irv Azoff (cheha la direzione generale dell’album), è il be-niamino e compadre degli Eagles. Direzione ar-tistica: Gary Burden. Foto di copertina: HenryDiltz. Come dire: la crème de la crème del WestCoast sound, se mai è esistito (ma noi giuria-mo di sì).Un bel secondo passo. Eagles e Manassas, Gra-ham Nash e gli America. Poteva anche essereun azzardo. Un minestrone con troppe carotee fagioli. Invece, l’album centra il bersaglio alprimo colpo, con una faretra colma di frecce delcalibro di Part Of The Plan, Illinois, Changing Hors-es, Souvenirs, The LongWay, As The Raven Flies,Song From Half Mountain,Morning Sky, (Some-one’s Been) Telling You Stories, There’s A PlaceIn The World For A Gambler. È il successo, fi-nalmente. Il riconoscimento del grande pubblico,finalmente. L’album va subito in classifica esale, sale.

Meglio che cambiPrima che il sole tramontiMeglio che partiPrima di essere l’ultimo rimasto in cittàMeglio erigere le tue fortezzeOppure farle crollare.

(Better Change)

Il sound è country-rock allo stato puro, raffina-to dal vento della California, molto levigato, ric-co, alla Eagles. Tutto è perfetto, dalle chitarreacustiche brillanti alle slide e le elettriche lan-cinanti e precise. Ma ciò non toglie che il discosia un manifesto ad altissimo livello della visionecountry-rock ormai affermata, con picchi e de-clivi tipici del genere. Ci sono i cori a più vocidi byrdsiana memoria (con CSN&Y nel cuore),ci sono spruzzate di bluegrass e ventate di can-tautorato autobiografico, c’è la nuova piega ur-ban-country elettrica e l’occhiolino strizzato allatradizione folk acustica. Un equilibrio magistraletra ritmiche sostenute e toni più morbidi, tra acu-stico ed elettrico, tra i temi dell’amor perdutoe del vagabondo solitario, tra sbocci di canto co-rale e ficcanti strofe soliste. Fogelberg dà for-se il meglio di sé quando imbraccia da solo laMartin acustica e ricama parole sulle note ar-peggiate con semplice buon gusto. La canzoneche dà il titolo all’album - Souvenirs - è un gio-iello di poesia (e di poesie proprio parla, scrit-te con pennino e inchiostro su foglie secche con-servate in un vecchio libro di ricordi romantici);Jimmy Haskell dà una mano sapiente e discretaalla fisarmonica e alla direzione orchestrale (unretaggio del precedente album d’esordio).Song From Half Mountain è un’altra perla acu-stica dai toni contemplativi, dedicata al duro me-stiere del singer-songwriter. Henley e Frey dan-no una mano nei cori, trasformando (Someone’sBeen) Telling You Stories in un pezzo quasi daOn The Border degli Eagles. Walsh ci dà dentrotalmente alla slide e all’elettrica in As The Ra-ven Flies, che il brano sembra un appunto in mar-gine della vecchia James Gang. Paul Harris (pia-

noforte) e Al Perkins (banjo) conferiscono a Mor-ning Sky un tocco inconfondibilmente Manassas.E Jerry Beckley contribuisce a rendere ancorapiù à la America la canzone finale, quella del “c’èun posto nel mondo per un giocatore d’azzar-do” (e Dan ha finalmente trovato il suo), che gio-ca su un finale corale reiterato, inneggiante, unpo’ come una sorta di Hey Jude country. BetterChange è più bella della versione incisa un annoprima da Roger McGuinn, con più mordente ecantata con maggiore convinzione. L’autore, ineffetti, interpreta meglio certe dinamiche me-lodiche e il testo pregnante. The Long Way ri-calca ancora la vena un po’ malinconica di HomeFree, ma ha la gradevole funzione di equilibra-re e lasciar respirare una scaletta che altrimentitira troppo sul rock. Il coro del ritornello del-l’iniziale Part Of The Plan assale l’ascoltatorecon una gioia musicale che allieta la giornatapiù cupa, e Graham Nash (con Crosby e Stillsseppure assenti ) si sente eccome.Un bell’album? Chi ancora non lo conosce? InEuropa (e ti pareva) viene stampatodalla CBS olandese a busta singola, mentre laprima stampa originale USA è gatefold (e ti pa-reva?!), con all’interno tutti i testi (cosa fon-damentale per chi non sa l’inglese ma tente-rebbe almeno di capire con un vocabolariettotascabile) e la riproduzione di un bel quadro diFogelberg (Dan continua a disegnare e a di-pingere dai tempi di Peoria, Illinois) (suo l’au-toritratto a matita di Home Free). Non sarà laprima volta (stessa sorte toccherà anche a Cap-tured Angel e a Nether Lands). Del resto si sa,nella vecchia Europa sparagnina le buste sin-gole diminuivano i costi del cartone.

CAPTURED ANGEL

Dan è ormai famoso. I soldi cominciano a girare.Per un paio di anni ha una fitta agenda di con-certi in tutto il Paese e si danna in lungo e inlargo accompagnato da una sua band perso-nale, i Fool’s Gold, tutta gente del nativo Illinois.In mezzo a tanto trambusto da stella emergente,Daniel scrive nuove canzoni e ritorna per un cer-to periodo a Peoria, dove il padre è stato rico-verato in ospedale. È qui che il bravo ragazzodella porta accanto, nel 1975, oltre a stare vi-cino ai suoi cari e ad alternarsi con la madreal capezzale del “capobanda” malato, incidenuovo materiale ricorrendo alle proprie doti dipolistrumentista per sopperire alla mancanzadi musicisti professionisti e di uno studio di re-gistrazione vicino. Fa tutto da solo, suonandoogni strumento. Lo fa soltanto per mettere sunastro le nuove idee, con l’intenzione di produrrepoi il nuovo album. Irv Azoff e, ancora una vol-ta capitan Davis, ascoltati i demo, consiglianoinvece a Dan di lasciare tutto com’è, che tan-to va già bene così. Uniche proposte costrutti-ve dell’etichetta, accolte dall’artista, sono l’in-cisione ex-novo delle percussioni (compito af-fidato a Russ Kunkel), qualche parte di bassorifatta da Norbert Putnam, una calibrata aggiuntaorchestrale a cura di Glen Spreen, l’inserimentodi Al Perkins alla pedal steel guitar e di DavidLindley al violino. La Full Moon - un abete sul-

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lo sfondo di un cielo notturno al chiaro di luna- accetta che la produzione sia a esclusivo ap-pannaggio dell’autore.

La donna è come la notteViene e vaMi spezza il cuore ogni giornoE sempre ne è ignara.E il tempo che spreco nel dolorePareggia il tempo in cui sono vivoE il tempo che restaÈ tutto quel che ho da offrire.La donna è come la mareaViene e vaConosce cose che ioRiesco solo a supporre.E il tempo che spreco nel dolorePareggia il tempo in cui sono vivoE il tempo che restaÈ tutto quel che ho da offrire.

(Comes And Goes)

Ancora una volta Dan tocca il cuore del pubblico,che si amplia e consolida comprendendo gli stu-denti dei college di tutta l’America. L’album siapre con Aspen, un brano orchestrale stupen-do, che sfocia nell’incalzante e acustica TheseDays. Altri gioielli del disco hanno per titolo Co-mes And Goes (delicata e “magica”, come di-rebbe il buon Sergio D’Alesio), Old Tennessee(country contemporaneo d’alta qualità), la lu-gubre Crow sferzata dal violino di Lindley. Nonmancano i richiami melodici al passato, come

in Next Time e in Captured Angel, sempre al-l’altezza delle aspettative. La cosa incredibileè che pochi si accorgono che l’album in prati-ca è quasi tutto suonato e cantato da Fogelberg,e dai solchi è difficile accorgersi che non è unlavoro di gruppo, ma solo (solo?!) un grandis-simo esercizio di stile dell’autore in veste so-lista. Azoff e Davis avevano visto giusto: i demoincisi a Peoria erano già (quasi) perfetti.

Mi lasciai dietro una pista di ormeIncise a fondo nella nevePensai che un giorno le avrei rintracciateMa quando mi voltai scoprii che il ventoLe aveva cancellateOra non potrò più ripercorrerle.Vola via, mio dolce angeloPrendi dalla vita tutta la libertà che puoiMa se mai dovessi aver bisogno di un uomoBe’, l’offerta è ancora valida.

(The Last Nail)

Non tutto nell’album gira nel modo giusto co-m’era stato nel formidabile Souvenirs. C’èmeno rock facile alla Eagles e più country fla-vour cantautorale, un po’ come i Poco di Sevene Cantamos, orfani di Richie Furay, sempre in bi-lico tra classifiche country (ma troppo rock) erock (ma troppo country). Dan indulge di nuo-vo nella sua passione per il concept album eper le suite. Man In the Mirror/Below The Sur-face sono l’esempio evidente di due canzonifuse in un unico brano per una durata che va

oltre i sette minuti. Già il disco si apriva conAspen/These Days (peraltro magnifiche) che in-sieme sfioravano gli otto minuti. Era un limiteche impediva ai singoli da classifica di emergeree imporsi nella programmazione radiofonica diun’infinità di stazioni in tutto il Paese. Anche TheLast Nail, che chiude l’album, si sviluppa per cin-que minuti e trenta, ed è perciò assolutamen-te non radiofonica. Ma per testo, costruzionemelodica e struttura strumentale è (parere per-sonale) splendida. Fogelberg miete ammirato-ri ovunque in America, il tour promozionale delnuovo album è programmato insieme agli Ea-gles e le cose vanno comunque per il meglio.

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Focus On �

GOODBYE, DANIELUn souvenir

di Fabrizio Pezzoli

Dicembre 1974. Brinate notturne e raffreddori co-vati nell’eskimo. Terza superiore. Istituto tecnicoagrario statale G. Cantoni di Treviglio (vecchia sede,nel diroccato convento seicentesco). Alla stazionedi Bergamo invasa di gente, prima del treno del-le 7.14 per Milano via Treviglio (una tradottad’anteguerra con sedili di legno e sportelli a ognimetro, stipata di operai e impiegati che giocanoa scopa sulle cartelle con i panini imbottiti e le aran-ce, universitarie in minigonna sotto il maxicappottoe brufolosi compagni di corso, pendolari d’ognirisma e crocchi sparsi di studenti di Agraria), quel-la mattina d’inverno sono più pimpante perché -come ogni mercoledì - compro “Super Sound” al-l’edicola dell’atrio prima di salire sull’ultimo trenoper Yuma. Posti a sedere: zero. Solito angolo alfreddo, in piedi, nello scompartimento di disim-pegno. Tanto sono solo due fermate. Trenta minutidi sballottamenti. In attesa che a Verdello salga Pa-trizia con i suoi shorts sotto il maxi viola e il lun-go foulard di seta azzurra alla Lucio Battisti. Tra Ver-dello e Treviglio Ovest, prima del lunghissimo ci-golio metallico dei freni sui binari bagnati di neb-

bia e odorosi di letame, sesta pagina. Un ragaz-zone dai capelli lunghi, su una sedia a dondolo,con in mano una penna d’aquila, mi fissa serio, in-vitandomi alla breve lettura. Sembra un indianocheyenne. A me gli indiani piacciono. L’articolo èdi Sergio D’Alesio, un sinonimo di qualità West Co-ast (grazie ancora, Sergio, per tante belle mattinedi sana cultura country-rock, folk e bluegrass). Larecensione riguarda Souvenirs, secondo albumdel-lo sconosciuto Dan Fogelberg, dipinto dal buonD’Alesio come una summa della musica country-rock più interessante di allora. Partecipazioni dimembri degli Eagles, degli America, dei Manas-sas, prodotto da Joe Walsh, che suona anche allaslide. Canzoni magiche, viene detto (con un vez-zo un po’ alla Claudio Rocchi). “Dopo lo splendidoHome Free…” Detto fatto. Un paio di settimane dirisparmi sulla magra mancia domenicale e un sal-to al Celadina Dischi - periferia est di Bergamo - diun altro Sergio (grazie ancora, Sergino, per tanteore e anni di gioia in religioso silenzio tra gli scaf-fali dei dischi del negozio più rimpianto della cit-tà). Lo trovo. Impossibile non riconoscerlo. La co-pertina è la stessa dell’articolo di D’Alesio. L’indianosul dondolo.Comincia così un’avventura magnifica. Le armonievocali di Changing Horses, la sognante SongFrom Half Mountain, i cori e gli ooh-ooh di As TheRaven Flies, la poesia infinita di Souvenirs. Chitar-re acustiche e lancinanti elettriche che dalla pe-riferia ovest di Bergamo (Loreto, Longuelo, Moz-zo, Curno, Ponte San Pietro) mi fanno volare nel Co-

lorado, tra monti non molto diversi dalla ValBrembana e tramonti un po’ simili all’orizzonte se-rale lombardo. Un album indimenticabile. E un ar-tista scoperto come in miniera e tenuto per anninello scrigno del cuore come una gemma fra tan-ti altri brillanti. Home Free (un capolavoro), Cap-tured Angel (con la straordinaria The Last Nail), ilraffinato Nether Lands. Anche Phoenix. Un’ammi-razione durata almeno dal ’75 all’’81, fino al dop-pio The Innocent Age (grandissimo album, se vipiace il genere), diciamolo pure, perché Fogelbergmi ha incantato nel suo primo periodo country-rock, più originale e spontaneo, e mi ha raffreddato(come tanti altri artisti) nei terribili anni Ottanta (pernoi svezzati nei Sessanta e ormai uomini nei Set-tanta), con adattamenti pop e smielati testi soft rockche tradivano una sana origine rurale che si con-tentava di poco. Come noi, del resto. Due cioc-chi di legna nel camino acceso e un brodo caldoprima di imbracciare la Eko dodici corde. I soldie il successo, si sa… The Power Of Gold, comecantava lui stesso. Una stanca commerciale impostadai nuovi trend. Dan Fogelberg va riscoperto? Iocredo che ne valga la pena. A capitoli, partendodal primo album, e poi via, cronologicamente, fin-ché ci si stanca. A voi la scelta dello sganciamento.Peccato sia stato travolto dal declino del country-rock sul finire dei ’70. Peccato non ce l’abbia fat-ta a debellare il male con le chemioterapie. Pec-cato pensare che sia tutto finito. Anche se in mu-sica, grazie ai dischi, non finisce mai nulla. Arri-vederci, caro Daniel. Thank you so much.

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La libertà artistica dell’autore ha già raggiuntoun livello imprescindibile. Che forse, soprattuttoin seguito, mostrerà i suoi limiti d’egocentrismo.

NETHER LANDS

Nel 1975 avviene il fondamentale trasferi-mento nel Colorado, nuova Mecca del country-rock più vitale. Ad Aspen da anni hanno erettocasa (e intrattengono in giardino tra legna daspaccare, bambini a frotte e cani giocosi) l’af-fermato John Denver, il cosmic cowboy Micha-el Murphey, la strepitosa Nitty Gritty Dirt Bandtraslocata dalla California a ruota dei fratelliMcEuen. Nel Colorado c’è il Caribou Ranch diJeff Guercio con uno studio di registrazione chenulla invidia al Sunset Boulevard di Los Ange-les, il fienile con fattoria di Joe Walsh ancoralibero e solo (dopo i fasti della James Gang la-sciata a Detroit) o al massimo in compagnia deiBarnstorm (Joe Vitale e Kenny Passarelli). A Den-ver hanno radici i Poco (e dici poco?!), transi-tano sovente Stephen Stills e Chris Hillman, coiresti dei disciolti Manassas. Dan trova il suoEden tra Aspen e Boulder, con l’inevitabile Den-ver tra i piedi (metropoli sì, ma di montagna).Le Rocky Mountains ritemprano l’anima e sof-fiano ispirazione. La neve e i torrenti. Le cam-minate e i prati trapuntati di fiori. Foreste d’abe-ti e chiari di luna.Altri orizzonti. Daniel Grayling si crogiola ormaiin un successo che gli porta tanti vantaggi: eco-nomici e sentimentali. È un bel ragazzone om-broso, sensibile, artista, e le donne sanno comefar turbinare le gonne e farsi guardare in bluejeans. Incredibilmente, in mezzo a tanta ab-bondanza di panorami, per il bel Dan arriva untemutissimo “blocco dello scrittore” che gli ina-ridisce la vena e l’ispirazione per mesi, per qua-si due anni. Solo dopo essersi ritemprato a lun-go con monti e pinete (e altro), finalmente ar-rivano dopo mesi di deserto creativo i nuovi ger-mogli. Dan riprende a scrivere e a comporre, main maniera più elaborata, con tendenze più clas-sicheggianti, quasi barocche. La musica si fapiù intensa, più orchestrale e sinfonica. I per-corsi mentali sono più complessi, e le liriche chene scaturiscono sfiorano a volte la favolistica,l’artefatto, l’eccessivo egocentrico. Il ricorso allacollaborazione con il compositore e arrangiatoreDominic Frontière la dice lunga. Nether Lands(1977) è accolto con il calore che uno stuoloormai vasto di fans tributa inevitabilmente allelunghe attese imposte dai loro idoli. Ma è unalbum difficile, per quanto intenso e ricco di sti-moli. Bellissimo a tratti, poco spontaneo in cer-ti punti, incantevole in altri. Con alcuni brani de-stinati a lasciare il segno. C’è chi lo ama allafollia, e chi lo apprezza solo in parte. La musi-ca, del resto, è così.L’ennesima suite (due canzoni di seguito, a so-luzione quasi continua) stavolta è in chiusurad’album e ha il nome di Sketches e False Faces.Non delude le aspettative ed è suggestiva an-che a distanza di anni. Per quanto magnilo-quente e ormai lontana dal country-rock più na-turale e spontaneo (siamo ormai al tramonto delgenere), suscita stimoli assolutamente imper-

dibili. Come l’iniziale Nether Lands, del resto.Verrebbe da dire che Fogelberg si cimenta or-mai in un nuovo genere - piaccia o non piaccia- inequivocabilmente suo: il country-classical (pervia dei raffinati arrangiamenti orchestrali di stam-po sinfonico, tanto aborriti da molti). Ma ci sonoanche Once Upon A Time, Scarecrow’s Dream,Dancing Shoes, Lessons Learned, Loose Ends el’orecchiabile, acustica Promises Made. È mu-sica ancora piacevole, permeata di radici (sep-pure vaghe) folk e country. Ma i testi si sono ul-teriormente ingentiliti, la poetica fogelberghia-na si fa ripetitiva, e francamente banale.L’amore adolescenziale è una fonte d’ispirazionedestinata periodicamente a prosciugarsi. Sal-vo per chi ha paura di invecchiare.

TWIN SONS OF DIFFERENT MOTHERS

La crisi creativa non finisce con Nether Lands.Fogelberg ne soffrirà ancora, periodicamente, per

molti anni (forse un po’ come tutti). Ne appro-fitta per dedicarsi ai suoi progetti collaterali. Unodi questi, la collaborazione con il flautista jazzTim Weisberg, sfocia in un album di transizio-ne quasi totale, Twin Sons Of Different Mothers,una sorta di cura lenitiva, di rifugio nell’arte perriprendere fiato e vigore, senza le tensioni pres-santi del music business. A quel punto se lo puòpermettere. L’album è ostico, troppo vario di ge-neri e stili, eccessivamente autoindulgente. Èlargamente strumentale. Come sempre ci sonobrani che mandano in (leggera) fibrillazione leterminazioni nervose dell’ascoltatore, speciequando Dan ricorre alla chitarra acustica, main generale il disco smuove poche acque, e perlo più è uno stagno, per quanto ornato di nin-fee rigorosamente da serra. Eppure, grazie a unbrano più mosso, Power Of Gold, cantato e so-prattutto “radiofonico” (forse imposto da Azoffe dall’etichetta), aggiunto in fase finale quasicome un ripensamento, il disco masturbatoriodei “gemelli di madri diverse” trova il suo hit ela spinta per essere accolto con discreto suc-cesso. Fogelberg può ancora contare sulla spin-ta iniziale della fama di recente acquisizione, male sue carte stanno diminuendo. E forse non sene rende conto. Since You’ve Asked (di Judy Col-lins) è sempre bella. Hurtwood Alley, Paris Noc-turne e altri “pezzi”, squisitamente prodotti eincisi, risultano tutto sommato un po’ algidi. Unesercizio di stile per tipi più colti dei sempliciboscaioli e agricoltori d’ogni nazione più a loroagio con il country-rock dei primi album.

PHOENIX

Il country-rock è agli sgoccioli. Per qualcuno ègià morto e sepolto da qualche anno. Nel 1979perfino gli Eagles, nonostante l’enorme suc-cesso di The Long Run, si sono attirati un nu-golo di frecce al curaro da parte della critica.Le nuove leve del giornalismo musicale inter-nazionale, più giovani e rese arroganti dalla tra-cimante ondata punk, gravitano intorno a generi,stili, artisti e gruppi che ritengono più espres-sivi. MTV ha già fatto irruzione sulla scena e seb-bene si sia soltanto all’inizio del nuovo feno-meno di comunicazione di massa, ormai tuttisono costretti a crearsi anche un’immagine davideo musicale, a riconsiderare in toto come pro-porsi e farsi accettare dal pubblico. Nei decennia seguire la videomusica sarà ancora più de-bordante. Il pubblico sempre più incattivito, di-soccupato ed esigente si amplia a macchiad’olio. Il miele e le canzoncine d’amore propi-nate dal country o dai cantautori non incanta-no più. Anzi, non vendono, che è ancora peggio.Anche le ragazze (specie le inglesi e le tedesche)adesso vogliono capelli viola, lamette appeseai lobi degli orecchi, “chiodi” di pelle nera, mu-tandine con la svastica, canottiere sudate conla faccia del Nazareno in croce. Fogelberg (cometanti colleghi americani) insiste, e lo fa con gu-sto, nobilitando un genere che puzza già di ca-davere. I ragazzi vogliono sentire i Sex Pistols,Siouxsie and The Banshees, i Clash, Bob Mar-ley and The Wailers, i Police, gli U2, Iggy Pop.Ancora una volta l’Inghilterra si impone sul Gran-

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de Paese, e l’America subisce il nuovo assal-to invasivo a opera del punk-rock devastante,della new wave e del reggae. Phoenix (1979)esce in sordina, ma tutto sommato, visto i tem-pi, fa ancora sfracelli, seppur limitati rispetto alpassato. Per gli appassionati del genere è ungrande album. Ha l’indubbio vantaggio di esserepiù spontaneo e diretto delle due opere pre-cedenti, e di avere nel suo arco molte più frec-ce in forma-canzone. C’è un parziale ritorno aifasti di Souvenirs, benché anacronistico. Ma unofa quello che sa fare meglio. E Dan Fogelbergè quasi all’apice della creatività.

Gioia all’inizioPaura durante il viaggioGioia nel ritorno a casa.Una parte del cuoreSi perde imparandoDa qualche parteLungo la strada.

(Along The Road)

Per la lunga gestazione dell’album - dall’esta-te del ’78 all’autunno del ’79 - si avvale di gros-si calibri del settore e vecchi amici consolida-ti. Marty Lewis e Jeff Guercio come ingegneri delsuono e al mixer; Andy Newmark alla batteria,alternato al fido Russ Kunkel (ma c’è anche Ken-ny Buttrey, il batterista di Nashville che ha datoil ritmo al Neil Young di Harvest), gli immanca-bili amici Norbert Putnam (al basso) e Glen Spre-en (arrangiamenti orchestrali). I vari brani checompongono il disco vengono registrati in al-meno cinque o sei studi di registrazione diver-si: Boulder, Los Angeles, San Francisco, Miami.

Come per cogliere essenze diverse, atmosferediverse. Sembra che Dan abbia digerito malele critiche all’album precedente e voglia ri-scattare il suo buon nome. Ci riesce in pieno.Longer è una canzone evocativa, brillante permelodia e ispirazione, e arriva al numero 2 nel-la classifica dei singoli, trascinando in poche set-timane anche l’album allo status di disco di pla-tino. In tempi in cui la nuova generazione diascoltatori e fruitori di dischi va in estasi più perle creste rigide di capelli verde fosforescente,per gli anfibi chiodati e le sopracciglia trafitteda spille da balia, non è certo un risultato dapoco. Molti i brani dell’album degni di memo-ria. Forse tutti. L’iniziale Tullamore Dew è un clas-sico prezioso, come pure la bellissima Heart Ho-tels. Phoenix,GypsyWind e Beggar’s Game sono

imprescindibili dalla discografia migliore di Fo-gelberg. Wishing On The Moon roccheggia micamale, e non è la sola. Le vette (parere perso-nale) sono la già citata Longer e la magnifica,conclusiva Along The Road. Se il country-rock eradato per agonizzante, gli ultimi sussulti hannouna vitalità sorprendente. Ma è il bagliore cheprecede il tramonto.Sembrerebbe l’ultimo album degno di nota. In-vece, Dan sbalordisce tutti due anni dopo.

THE AGE OF INNOCENCE

Non erano affatto tempi per un doppio album.Il mercato e le case discografiche sconsiglianovivamente l’azzardo. Non sono più gli anni Set-tanta. È tempo di disco e di pop, di punk e di

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DAN NEVER DIESUn ricordo

di Maurizio Macina

Ho amato Dan. L’ho ammirato da sempre come ini-mitabile cantore di melodie senza tempo. Le sueliriche, la sua voce accattivante da poeta sogna-tore… Poi, stasera, 18 gennaio 2008…È stato comeincassare un tremendo gancio al mento. Dan se n’èandato. È morto due giorni fa, domenica 16. Nonci posso credere… Solo un piccolo trafiletto sul“Corriere della Sera”… Due righe striminzite… Èquanto basta per scatenare una tristezza doloro-sa, per riallacciare i miei ricordi a quando Patty Pra-vo in un’edizione di Sanremo aveva copiato e in-terpretato malamente, spacciandola per propria,una delle migliori composizioni di Dan, To TheMor-ning. Che razza di affronto… Chi lo ha conosciu-to artisticamente sin dagli inizi, innamorandosi delsuo primo lavoro, Home Free, lo portava semprenel suo cuore. Devo scrivere un’e-mail a Fabrizio.Watching the sun, watching it comes… And it’sgoin’ to be a day… Ma sono le undici passate. Sì,gliela mando. Ciao Fabrizio scusa l’ora… so quan-to tu lo hai amato, credo quanto o più di me… Ho

appena appreso la notizia. Cazzo, è dura da di-gerire… Così giovane… Ho gli occhi lucidi.Mi lancio alla ricerca di qualche dettaglio in più sulsuo sito web, e la homepage titola semplicemente:“Dan, this morning at 6 a.m. has died.” Un comu-nicato scarno, ma semplice allo stesso modo in cuiè vissuto negli ultimi anni: ha voluto andarsene inpunta di piedi quasi senza voler disturbare. Nel-la stessa homepage si chiede ai suoi innumerevolifans di continuare nelle donazioni a favore dellaProstate Cancer Foundation. Un modo alquanto di-gnitoso di onorarlo, con la speranza di sconfiggereal più presto questa malattia e salvare quante piùvite possibile. È vero, si dice “life goes on”, o an-che “the show must go on”, ma a volte è tremen-damente difficile. La perdita dei tuoi cari, dei tuoiamici, dei tuoi idoli… Che fare dunque? È più chenaturale, e facile. Vado a riprendere uno per unoi suoi lavori discografici, faccio un tuffo nei ricor-di, mi lascio trasportare dalle sue melodie. Rias-colto brani come BeOn Your Way, Part Of The Plan,There’s A Place In The World For A Gambler, Illi-nois, Old Tennessee… Come non ricordarli tutti amemoria? Ma i brividi lungo la schiena li provo tut-ti nel risentire Dancing Shoes e Scarecrow’s Dre-am. Avevo diciassette anni, era l’anno 1977, e conalcuni amici, in macchina, quelle due canzoni leavrò ascoltate almeno un centinaio di volte. Poi,nel 1978, il suo cambiamento musicale, con la col-

laborazione con Tim Weisberg, un voler spaziareoltre i suoi confini e provare altri suoni. È stato undiscreto successo con due brani a spiccare suglialtri: Since You’ve Asked - scritta da Judy Collins- e The Power of Gold. L’apice del successo peròsecondo me lo ha raggiunto con l’album-capola-voro The Innocent Age del 1981. Questo che hoin mano. Un ellepì doppio. In alcune canzoni par-tecipavano Emmylou Harris, Don Henley, GlennFrey, Joni Mitchell… mostri sacri del West Coastsound chiamati da Dan, in amicizia. Only The HeartMay Know, The Reach, Hard To Say: tre brani unopiù bello dell’altro. A spiccare due spanne su tuttele altre canzoni, c’erano Run For The Roses, SameOld Lang Syne e Leader Of The Band. Quest’ulti-ma dedicata alla memoria di suo padre, Lawren-ce Peter Fogelberg, anch’egli musicista. Sono or-mai passate le due di notte, il groppo in gola e lavoglia di sconfiggere il sonno ascoltando ancorala sua musica… Anche se domani si lavora, qual-che caffè sistemerà tutto.Dan merita tutto il nostro rispetto e la nostra am-mirazione. Ha spaziato dal country rock al blue-grass, dal folk contemporaneo al soft rock, un can-tautore intimista che ha dato il suo generoso con-tributo di talento alla musica popolare americana.Suonava la chitarra acustica, il pianoforte, il bas-so, perfino l’oboe. È stato un artista davvero com-pleto. So long, Dan. Ciao, amico.

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dance, di hard e di elettronica. E infatti il nuo-vo progetto di Dan parte come un album singolo.L’idea dell’ennesimo concept gli viene un po’naturale: essendo ormai in cresta all’onda daanni, dopo tante esperienze, delusioni e suc-cessi, l’artista fa un bilancio retrospettivo del-la sua vita, che è un po’ la vita di tutti. Decidecosì di scrivere una serie di canzoni sulla gio-vinezza, sugli amici che non ci sono più, sullaperdita dell’innocenza. Sul buon tempo anda-to, sulle radici. Da singer-songwriter autentico,ovvero spesso in vena autobiografica, descrivesituazioni e figure che gli hanno lasciato un se-gno nel cuore. Un cuore pieno di appunti di viag-gio e di bandierine. Nascono così Same Old LangSyne, che ritrae un incontro con una vecchia ami-ca di gioventù, The Innocente Age, che descri-ve la bellezza della musica giovanile e darà iltitolo all’album, The Leader Of The Band, dedi-cata al padre e descrittiva di tutti i suoi fami-

liari, la splendida The Sand And The Foam, l’epi-ca In The Passage, sinfonico ritratto esistenziale“from the cradle to the grave”, e alcuni altri bra-ni. Ma la vena di Dan sembra trarre linfa da ognicanzone registrata e nascono così altri brani, al-tre idee, che convogliano nell’album, aumen-tando il carico. Fogelberg si decide così a im-porre alla Full Moon un album doppio: i nuovipezzi (come quelli già pronti) sono talmente bel-li che nessuno fa troppe resistenze. Arrivano TheReach, magnifica storia di marinai e pescatoridel Maine, la delicata Run For The Roses, la ro-mantica Only The Heart May Know (un duettocon Emmylou Harris), l’acustica Stolen Moments(degno seguito della vecchia Part Of The Plan).Ma sarebbero tutte da citare. Nexus, The Lion’sShare, Lost In The Sun, Empty Cages. Sono quat-tro facciate omogenee, da sentire in fila, sen-za saltare nulla, dall’inizio alla fine. E poi ancorada capo. Pervase di dolce nostalgia del passato,

ma anche di matura aspettativa del futuro.L’album esce con una copertina bianca un po’triste: una bambola di pezza deposta su unatomba; contiene un libretto (“A song cycle byDan Fogelberg”) con tutti i testi e moltissimi cre-dits; ci sono ospiti di riguardo, come Joni Mit-chell e Richie Furay, la Harris e Chris Hillman,Glenn Frey e Don Henley, Jimmie Fadden e TomScott, e poi i soliti (si fa per dire) Joe Lala, AlPerkins, Russ Kunkel, Norbert Putnam, MikeUtley e tanti altri.Same Old Lang Syne inonda le stazioni radio ditutta l’America e di gran parte della vecchia Eu-ropa, salendo ai primi posti nella classifica deisingoli, trainando anche il doppio album. Il suc-cesso fa bene alle casse della Full Moon/Epic,ma soprattutto al cuore del nostro artista ri-trovato.Purtroppo, però, è l’ultima zampata da leone.All’apice della creatività. Da qui in poi la faticadella lunga corsa si farà spesso sentire.

WINDOWS AND WALLS

Sull’onda del successo di The Age Of Innocen-ce la Full Moon/Epic, quasi intuendo che si èchiusa un’epoca storica, pubblica la prima (e uni-ca) antologia di Daniel Fogelberg da Peoria,Grea-test Hits (1982), che nulla aggiunge alla prima,magnifica parte della vita artistica del nostroDan. Di dieci canzoni, ben quattro sono i singolitratti recentemente da The Age Of Innocence, edè superfluo fare commenti. Dan ritenta il giocodel concept due anni dopo con Windows AndWalls (1984), attirandosi uno sciame di frecceavvelenate della critica inviperita (spesso a ra-gione) per le forzature poetiche e l’ingiustificabilebanalità dei testi. L’album è ben suonato, comesempre, e ha qualche momento godibile, comesempre. Contiene anche un hit facile facile (TheLanguage Of Love), abbastanza pop e puerile daavere successo alla radio. Ma i tempi sono ra-dicalmente cambiati, i grandi cantautori ame-ricani (anche i meno noti) hanno scritto e can-tato di molto, molto meglio, e Dan perde sulladistanza. Per le leggerezze di Windows AndWalls(e dei lavori precedenti in genere) viene messoalla berlina dai celebri commenti al cianuro diBill Flanagan, vate della critica più controcor-rente, che arriva a dichiarare: “Dan Fogelbergha rubato molto dallo stile chitarristico di JamesTaylor e parecchio dal suo modo di cantare e discrivere, ma niente della sua intelligenza persfornare canzoni tristi come Tucson,Arizona (Ga-zette)…” (Bill Flanagan, Scritto nell’anima, Ar-cana Editrice, 1987, p.126). Troppo concentratosu se stesso, forse Daniel è in un periodo esi-stenziale in cui in effetti la tristezza (artefattao meno) prevale sulla sincerità. Dalle canzonitraspare uno sforzo eccessivo di naturalezza chenon c’è più.

HIGH COUNTRY SNOWS

Fogelberg si rifà l’anno successivo, tornando alcountry e al bluegrass, con il più consistenteHigh Country Snows (1985), dove gioca a fareil gentiluomo di campagna tra le Montagne Roc-

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ciose, in compagnia di una bella schiera di ami-ci quotati nel giro dei festival bluegrass estivi(Telluride docet). E parliamo di Herb Pedersen,Jerry Douglas, Emory Gordy Jr., Ricky Scaggs,Charlie McCoy, David Grisman, Vince Gill, DavidBriggs e tanti altri. Perfino il maestro Doc Wat-son fa una splendida comparsata. Pare che Dangoda di più a schitarrare l’acustica in stile flat-picking, con dobro e banjo, contrabbasso e wa-shboard, violino e pedal steel guitar a fare da

contorno (immancabile Al Perkins). Chris Hillmanha ripescato la vecchia Morning Sky per inter-pretarla ex novo in un album che prende addi-rittura il nome dalla stessa. A parte il materialetradizionale, o di derivazione tradizionale, le per-le dell’album rispondono ai nomi di Sutter’s Mill(magnifica, sulla corsa all’oro),Wolf Creek (in sti-le Eagles degli esordi), Go Down Easy (bel groo-ve, Dan), The Outlaw. Ancora un disco degno dilode.

EXILES

Ma è una parentesi. Due anni dopo l’artista rie-merge con Exiles (1987), dove l’adattamento ainuovi trend musicali, specie al pop e ai sinte-tizzatori un po’ troppo invadenti, sconcerta mol-ti estimatori di lunga data. Si salva pochissimo,a parte l’intensa Hearts In Decline, la discretaLonely In Love e (forse) Our Last Farewell. Contutto il dovuto rispetto, Folgelberg insiste trop-

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CINQUEPEZZI FACILI

Traduzione di Maurizio Macina

DANCING SHOES

Scarpette da ballerinaAppese al muro a fianco del tuo lettoHo rivisto tutto ripensando a quandoEseguivamo le nostre piroetteCorpi che si univanoMentre il tremolio delle candeleProiettava sul muro un unico profilo.Ti ho nel cuore e nella mente.Scarpette da ballerinaCi siamo amati su spiagge lontaneDove non giunge mai l’invernoLà ci lasciammo cadereUn cigno morente nell’alba nuovaChe sopraggiungeTu danzavi davanti a meBenché i tuoi occhi fossero cupi e tenebrosiIo restai là in piedi a osservartiChi può dire ciò che è falso o ciò che è vero?Scarpette da ballerinaSebbene le distanze ci dividanoIn noi c’è un paradiso che non possiamo perdereIo e te, un passo doppio, per sempre.Prego che tu possa non privarti maiDelle tue scarpette da ballerina.

WINDOWS AND WALLS

Si sveglia ogni mattina e saChe il giorno sarà lungo da passarePrepara la sua colazione, tutta solaSi veste lentamenteScaccia ombre e pensieriSi siede e resta accanto al telefonoMa non arriverà nessunoNessuno telefonerà.La maggior parte del tempoTrascorso a fissare il vuotoA guardare le finestre e i muriResta solo quelloLe finestre e i muri.I ragazzi sono tutti sposatiIl marito ormai non c’è piùNulla le resta tra le maniSolo il tempo che scorre lento.La maggior parte delle sue mattine

Trascorse a sognareO a fare piccoli progettiMentalmente, tutta solaForse oggi scenderà in stradaGirerà l’angolo e si fermerà a comprareIl nuovo McCallsForse l’aiuterà a trascorrere qualche oraSenza pensare ad altroPer poi ritrovarsi ancoraTra le sue mura e le sue finestreL’orologio sulla mensola che batte le oreUn rintocco così tristeLo scandire lento del tempoLava i suoi piatti e dà da bere alle sue piantePiù tardi dovrà fermarsi a riposare un po’.Qualche volta riesce a ricordare una bambinaChe giocava con le bamboleOra tutto ciò che le è rimastoSono questi ricordiE queste finestre e questi muriGiorno dopo giornoSolo finestre e muri.

THERE’S A PLACE IN THE WORLDFOR A GAMBLER

C’è un posto nel mondoPer un giocatore d’azzardoC’è un peso che solo lui sa sopportareC’è un posto nel mondoPer un baroLui lo sa perfettamenteSì che lo sa.C’è una canzone nel cuore di una donnaChe solo l’amore sincero può liberareC’è una canzone nel cuore di una donnaLasciala liberaSì, lasciala libera.C’è una luce in fondo alla tua tristezzaC’è sempre la calma alla fine di una tempestaC’è una luce in fondo alla tua oscuritàFalla splendereSì, fa’ che risplendaFalla splendereSì, fa’ che risplenda.

BELIEVE IN ME

Se potessi aver ragioneNel conquistarti il cuoreA dispetto dei dubbi che puoi avereAllora tu potresti, sì, aver fiducia in me.La vita che conducoNon è proprio quella che sogneresti di averePosso solo sperare che un giorno

Tu possa darmi la tua fiducia.Tutti gli altri amori avutiNon significano più nulla per meMa tu non riesci a esserne sicuraFai fatica a credermiTroppi cuori infrantiTradendo la fiducia di chi si era affidato al cuoreMa la fiducia non è qualcosa che si può toccareE l’amore, quando è vero, non tradisce.Se potessi fare una cosa soltantoAllora mi piacerebbe scrivere e cantare una canzoneChe ponga fine ai tuoi perchéE finalmente possa aprire il tuo cuore a meE donarmi la tua fiducia.Se potessi fare una cosa soltantoAllora mi piacerebbe scrivere e cantare una canzoneChe ponga fine ai tuoi perchéE finalmente possa aprire il tuo cuore a meE donarmi la tua fiducia.

ONCE UPON A TIME

Ogni mattina ti risvegli soloCon l’animo agitato, ma nulla sembra cambiareAllora ami chiunque ti faccia piacere amareMa non riesci a trovare una ragionePer donare il tuo, di amore.Perché tanto tempo fa avevi un grande amoreCosì forte e profondoNessun altro avrebbe mai potutoReggerne il confrontoLei è sempre nella tua menteMa molto tempo fa l’avevi al fianco.Vai giù in città quasi tutte le sereSperando possa esserci qualcuno ad aspettartiDici a te stesso che farai del tuo meglioTi accontenteresti anche di meno, in fondoMa non succede mai.Perché tanto tempo fa avevi un grande amoreCosì forte e profondoNessun altro avrebbe mai potutoReggerne il confrontoLei è sempre nella tua menteMa molto tempo fa l’avevi al fianco.Ogni mattina ti risvegli soloCon l’animo agitato, ma nulla sembra cambiareAllora ami chiunque ti faccia piacere amareMa non riesci a trovare una ragionePer donare il tuo, di amore.Perché tanto tempo fa avevi un grande amoreCosì forte e profondoNessun altro avrebbe mai potutoReggerne il confrontoLei è sempre nella tua menteMa molto tempo fa l’avevi al fianco.

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Page 9: di Fabrizio Pezzoli DANFOGELBERG · 2010. 1. 22. · de al nome di Irving Azoff (Irv per gli amici), che fa il manager per i REO Speedwagon e ha am - bizioni da produttore discografico

po a parlare di problemi sentimentali, di soli-tudini e abbandoni, di amori perduti. Forse è l’en-nesimo concept album (stavolta sulle pene amo-rose), ma la tristezza è talmente palese che vie-ne il sospetto che Dan stia attraversando per-sonalmente un brutto periodo sul fronte ro-mantico. È soprattutto la musica - gli arrangia-menti magniloquenti e certe sonorità perseguitecon insistenza - a lasciare l’amaro in bocca. Sifa persino ricambiare il favore da Hillman inci-dendo una versione (imbarazzante) della glo-riosa It Doesn’t Matter (era meglio evitare).Sono tempi di magra.

THE WILD PLACES

Qualcosa di più sincero e di meno artificialeemerge dopo un lasso di ben tre anni e si con-creta in TheWild Places (1990). Il lavoro si ispi-ra parecchio alla ricerca interiore e alla misti-ca degli indiani d’America. Sembra che Dan ab-bia trovato nella spiritualità dei nativi america-ni la forza e lo scopo per rinnovare le propriepulsioni artistiche e umane. Ma anche nella na-tura, quella più selvaggia e incontaminata, sem-pre più rara, sempre più assediata. Il risultato,musicalmente, non fa gridare al miracolo, maè un ottimo esercizio per battere meglio terre-ni a cui l’artista si era accostato solo superfi-

cialmente in passato. Dan ha preso a viaggia-re, a esplorare, a sondare e a sondarsi. Con l’en-fasi culturale che gli è tipica, nelle note di co-pertina afferma che l’album è dedicato a unaschiera di personaggi insigni (sebbene gli ac-costamenti siano francamente un po’ eccessivi):John Muir, Henry David Thoreau, Jacques Cou-steau, il Mahatma Ghandi, John Lennon, AnselAdams, Aaron Copeland, E.B. White e altri. E so-pratutto “the Great Spirit who moves in allthings.” Bones In The Sky è dedicata alla pittriceGeorgia O’Keeffe; la delicata Anastasia’s Eyesparla dell’amore tra un uomo e una donna comedell’unica salvezza dalle spine infinite della vita;Song Of The Sea nasce dalla sua passione perla barca a vela e per le coste del Maine; Fore-fathers è una disanima dei padri fondatori del-la grande America, specie i più discreti e i menonoti, ma altrettanto importanti; The Spirit Trailè un doveroso e sentito riconoscimento alle po-polazioni pellerossa che tanto hanno subito eceduto di fronte alle travolgenti invasioni e aglistermini perpetrati dai “visi pallidi”.Dan come sempre suona di tutto un po’ (controppa insistenza sui sintetizzatori), facendo ilsolito gran lavoro in studio di registrazione e almixer, e alcuni brani sono a suo unico appan-naggio. Ma in altri pezzi si fa aiutare da grossicalibri, come David Crosby e Timothy B. Schmit

ai cori, Bob Glaub, Russ Kunkel, Lenny Castro,Al Garth, anche se l’impressione è che le ag-giunte siano state fatte in seguito (il vizio del-le sovraincisioni è duro a morire). Il percorso ar-tistico di Fogelberg sembra simile a quello di duecelebrati colleghi come Joni Mitchell e BruceCockburn (di quest’ultimo Dan riprende LoversIn A Dangerous Time in una versione oseremmodire superiore all’originale). Commovente la ci-tazione di Rain a firma Lennon e McCartney inThe Rhythm Of The Rain. Insomma, buone spe-ranze di rinnovamento.

GREETINGS FROM THE WEST

I saluti dal West hanno la forma di un doppioCD, il primo live (finalmente) di Fogelberg, sud-diviso in repertorio acustico ed elettrico. La di-mensione dal vivo non era stata ancora im-mortalata per i posteri, sicuramente anche peri tanti anni passati dall’artista a fare tutto dasolo, o quasi, e a evitare i tour e i concerti perl’effettiva difficoltà a ricreare sul palco gli ela-borati arrangiamenti orchestrali e il profluvio disuoni che derivava da mesi di lavoro alla con-solle. Finalmente, dunque, Dan dà alle stampeun lavoro che vuole catturare la forza d’impat-to dei suoi brani migliori e la carica country-rock delle sue canzoni più amate. In Live - Gree-tings From TheWest (1991) pesano molto i bra-ni recenti di The Wild Places, ma ci sono belleinterpretazioni di alcuni (relativamente recenti)cavalli di battaglia, e la sorpresa della venablues acustica dell’artista (Road Beneath MyWheels), che adotta una voce roca sconosciu-ta fino ad allora (e sulla quale insisterà un po’troppo in futuro, quasi come per redimersi da-gli anni del falsetto).I due dischetti dal vivo (22 tracce in tutto), dav-vero brillanti e “belli carichi”, sono in pratica unasumma dei suoi successi degli anni ’80 (ancorauna volta parecchi pezzi di The Age Of Inno-cence), mentre dai ’70 pesca solo l’immanca-bile Part Of The Plan, la nostalgica Old Tennes-see, la sempreverde Heart Hotels e l’inno di The-re’s A Place In TheWorld For A Gambler, riservatoalla fine. Il resto è composto dai brani meno lon-tani nel tempo. È come se Dan volesse marcarela conclusione di un altro periodo artistico, e diun altro decennio.In effetti, sarà così.

TUTTO IL RESTO

Brutto dirlo, ma tutto il resto (o quasi) che se-gue riempie alla rinfusa (complice l’eccellentequalità del periodo precedente) un unico capi-tolo conclusivo degli anni a seguire. Senza ca-pitoli isolati da evidenziare. Poche, purtroppo,le canzoni degne di memoria (senza nulla to-gliere alla qualità dell’artista e ai suoi onesti in-tenti ispirativi). Forse chi è legato ai suoi pri-missimi anni, più acustici e autenticamentecountry-rock, si è disaffezionato col tempo, maldigerendo gli eccessi orchestrali, i cambiamentipop, gli aggiustamenti synth e le incertezze poe-tiche successive alla disgregazione di un’ideadi country-rock non più adatta ai tempi. Oltre a

10 LATE FOR THE SKY

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Page 10: di Fabrizio Pezzoli DANFOGELBERG · 2010. 1. 22. · de al nome di Irving Azoff (Irv per gli amici), che fa il manager per i REO Speedwagon e ha am - bizioni da produttore discografico

Dan Fogelberg, le vittime illustri di un’epoca ir-ripetibile, prepotentemente e squisitamente“sweet Seventies”, sono moltissime. River OfSouls (1993) ricalca un po’ la vena etnica edecologista del ben più solido The Wild Places,spostando il tiro dall’etnologia indiana e dai pa-norami del Wild West all’Africa e al deserto. Se-rengeti Moon e Higher Ground toccano le cor-de di un primitivismo ramingo da turista illu-minato, ma sono Faces Of America, Holy Roade The Minstrel a convincere di più. Però una bre-ve e parca attenzione sull’album viene attiratasolo da Magic Every Moment, solita canzonci-na orecchiabile - mossa ma non troppo - per ac-contentare i gusti dei discografici e dei DJ ra-diofonici (imbeccati dai discografici).Altri due anni ed è la volta di No ResemblanceWhatsoever (1995), seconda collaborazione conil flautista Tim Weisberg a diciassette anni dal-la prima, e seconda toppata da testardi comemuli. Il dischetto sviluppa temi concettuali e ideemusicali che forse (forse) sarebbero sembratepiù adatte a un disco successivo al primo, peròsempre nel 1978 e solo per i fan più masochisti.Il CD esce per la Giant, dopo la conclusione dellungo rapporto con la Epic (gruppo Colum-bia/CBS, acquisito da qualche anno dallaSony giapponese). La cosa più bella viene dal-l’omaggio della Columbia (residui contrattuali?)che ha nome Portrait - The Music Of Dan Fo-gelberg From 1972-1997 (1997) ed è un cofa-netto celebrativo, di 4 CD, con molte outtakesd’archivio, che copre tutta la carriera dell’arti-sta. Ottimo il libretto biografico interno e brillantela rimasterizzazione in CD (per chi ama il sup-porto moderno). I cultori più incalliti di Dan san-no dove andare ad attingere brani inediti e al-tri brillantini di minor calibro.Fogelberg fonda un’etichetta sua, la Morning Sky,e rivolge lo sguardo a qualcosa di nuovo e di-verso. L’esito è stuzzichevole, se non proprioesaltante, ed emerge in First Christmas Morning(1999), che è un CD solo vagamente natalizio,ma attinge a musiche del Cinquecento e Sei-cento, un po’ popolane, un po’ elisabettiane, construmenti d’epoca o quasi (clavicembali e vio-le), come una sorta di corrispettivo americanodelle opere più recenti di Ian Anderson, a trat-ti accostabile ai primi dischi degli Amazing Blon-del. Musica colta, gusto sopraffino, un bricioloartificiale, ma interessante. Dan sembra sol-lazzarsi mica male. Something Old, New, Bor-rowed… And Some Blues (2000) è un ripe-scaggio d’archivio, composto da brani live re-gistrati qui e là dal vivo tra il ’91 e il ’95, cheartisticamente non aggiunge nulla al valore sto-rico di Greetings From The West, di cui in prati-ca è un seguito. L’ultimo respiro (purtroppo) sichiama Full Circle (2003) ed era (ormai dob-biamo tristemente parlare al passato) il lavoroche, almeno nelle intenzioni, riportava Fogelbergai tempi di Home Free e Souvenirs, seppure conle dovute distanze. Un pregevole ritorno al-l’ispirazione di un tempo, alle sonorità di un tem-po, funestato dalla scoperta nel 2004 di un tu-more alla prostata in stadio avanzato, alla co-raggiosa lotta contro la malattia e alla tragicasconfitta del 16 dicembre 2007, in una came-

retta del Maine. Facile dire “ci restano i dischi”,facile suggerire “da riscoprire”. Di fatto, chi loha apprezzato, come tanti di noi, fin dagli inizio in seguito, e magari ha la sua età o vi è vici-no, sente un vuoto nel cuore.A prescindere dal momento in cui ha coltivato

di meno, o con maggior distrazione, la lunga ami-cizia a distanza che instauriamo sempre con inostri artisti più amati. Scrittori, pittori, musicisti,poeti o cantautori che siano. E che ormai fan-no un po’ parte di noi.

11LATE FOR THE SKY

Focus On �

DISCOGRAFIADAN FOGELBERG1972 – Home Free Columbia1974 – Souvenirs Epic1975 – Captured Angel Full Moon/Epic1977 – Nether Lands Full Moon/Epic1978 – Twin Sons Of Different Mothers Full Moon/Epic1979 – Phoenix Full Moon/Epic1981 – The Innocent Age Full Moon/Epic1982 – Greatest Hits Full Moon/Epic1984 – Windows And Walls Full Moon/Epic1985 – High Country Snows Full Moon/Epic1987 – Exiles Full Moon/Epic1990 – The Wild Places Epic/Sony1991 – Greetings From The West Epic/Sony1993 – River Of Souls Epic/Sony1995 – No Resemblance Whatsoever Giant1997 – Portrait Sony1999 – First Christmas Morning Morning Sky2000 – Something Old, New, Borrowed… Morning Sky2003 – Full Circle Morning Sky

Note:Twin Sons of Different Mothers

(1978, in collaborazione con Tim Weisberg)The Innocent Age

(1981, concept album, con libretto, 2 LP)Greatest Hits

(1982, antologia, con due singoli usciti su 45 giri)Greetings From The West

(1991, live, 2 CD)No Resemblance Whatsoever

(1995, in collaborazione con Tim Weisberg)Portrait - The Music Of Dan Fogelberg From 1972-1997

(1997, box set, 4 CD, con molte outtakes d’archivio)Something Old, New, Borrowed… And Some Blues

(2000, live, materiale inciso tra il 1991 e il 1995)

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