DELIBAZIONE DI SENTENZE ECCLESIASTICHE · già Professore ordinario di Diritto processuale civile,...

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Jus-online n. 2/2015 1 Luigi Paolo Comoglio già Professore ordinario di Diritto processuale civile, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Delibazione di sentenze ecclesiastiche e ordine pubblico «flessibile» SOMMARIO: 1. Premesse generali. I principi e le fonti normative invocabili. – 2. La delibazione in Italia delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio concordatario, negli orientamenti giurisprudenziali anteriori al 2014. – 3. L’overruling sancito da Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379. Profili problematici. – 4. Ordine pubblico, protrazione temporale della convivenza fra coniugi e preclusioni «a tempo», per la delibazione delle predette sentenze. Rilievi critici. – 5. Osservazioni conclusive. 1. Premesse generali. I principi e le fonti normative invocabili. Lo spunto di partenza, per queste riflessioni, mi é dato da una recente pronunzia, a sezioni unite, della Corte di cassazione 1 , che – a prescindere dai suoi indubbi pregi motivazionali – pare destinata, per le conclusioni cui perviene, a rinfocolare risalenti diatribe. Essa suscita nuovi ed autorevoli dissensi, soprattutto nella dottrina canonistica 2 , alimentando il fondato timore di una ulteriore svalutazione, sul piano giuridico interno, del matrimonio concordatario come tale 3 . Prima di affrontare il delicato argomento, sul quale é tornato (con inusitata forza argomentativa) il Supremo Collegio, non ritengo superflua, per quanto possa Il presente saggio, sottoposto a valutazione, è anche destinato al Liber Amicorum in onore di Giorgio De Nova. 1 Si tratta di Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379, in «Rep. Foro it.», 2014, voce “Matrimonio”, n. 22, nonché, per esteso, in “Nuova giur. civ.”, 2015, I, pp. 36-50, con perspicua nota di U. Roma, Ordine pubblico, convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio : le sezioni unite suppliscono all’inerzia legislativa con una sostanziale modifica dell’ordinamento, pp. 50-61. Per un’approfondita analisi di tale pronunzia, cfr. pure E. Quadri, Il nuovo intervento delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, “ivi”, 2015, II, pp. 47-60. Cfr. amplius, infra, § 3. 2 Per approfonditi rilievi e riferimenti critici, sulla tesi che ora viene accolta e ribadita – nella formale composizione di un contrasto giurisprudenziale assai vivace – dalle Sezioni unite del 2014, cfr. O. Fumagalli Carulli, Libertà religiosa matrimoniale e statuto personale del credente, in Frontiere della libertà religiosa, Quaderni di Iustitia, Milano 2014, pp. 145-163, sp. 155-157. 3 Sul punto, a proposito della graduale «secolarizzazione» dell’istituto matrimoniale, a scapito dei matrimoni canonici con effetti civili (c.d. matrimoni concordatari), ad es., cfr. ancora Fumagalli Carulli, Matrimonio canonico, matrimoni religiosi, proliferazione delle unioni para-matrimoniali, in “Ius ecclesiae”, XXVI, 2014, pp. 49-66 ; Id., Il matrimonio in Italia tra dimensione religiosa e secolarizzazione, Relazione di apertura al Convegno di Palermo sul tema Il matrimonio religioso oggi : le nuove sfide della secolarizzazione, tenutosi in Palermo il 18 aprile 2015, in occasione della Giornata dell’Università Cattolica (§ 3 dell’elaborato scritto, di cui ho potuto prendere visione, grazie alla cortesia dell’Autrice).

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Jus-online n. 2/2015

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Luigi Paolo Comoglio

già Professore ordinario di Diritto processuale civile, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Delibazione di sentenze ecclesiastiche e ordine pubblico «flessibile»

SOMMARIO: 1. Premesse generali. I principi e le fonti normative invocabili. – 2. La delibazione in Italia delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio concordatario, negli orientamenti giurisprudenziali anteriori al 2014. – 3. L’overruling sancito da Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379. Profili problematici. – 4. Ordine pubblico, protrazione temporale della convivenza fra coniugi e preclusioni «a tempo», per la delibazione delle predette sentenze. Rilievi critici. – 5. Osservazioni conclusive.

1. Premesse generali. I principi e le fonti normative invocabili. Lo spunto di partenza, per queste riflessioni, mi é dato da una recente

pronunzia, a sezioni unite, della Corte di cassazione1, che – a prescindere dai suoi

indubbi pregi motivazionali – pare destinata, per le conclusioni cui perviene, a

rinfocolare risalenti diatribe. Essa suscita nuovi ed autorevoli dissensi, soprattutto

nella dottrina canonistica2, alimentando il fondato timore di una ulteriore

svalutazione, sul piano giuridico interno, del matrimonio concordatario come tale3.

Prima di affrontare il delicato argomento, sul quale é tornato (con inusitata

forza argomentativa) il Supremo Collegio, non ritengo superflua, per quanto possa

Il presente saggio, sottoposto a valutazione, è anche destinato al Liber Amicorum in onore di Giorgio

De Nova.

1 Si tratta di Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379, in «Rep. Foro it.», 2014, voce “Matrimonio”, n. 22,

nonché, per esteso, in “Nuova giur. civ.”, 2015, I, pp. 36-50, con perspicua nota di U. Roma, Ordine pubblico, convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio : le sezioni unite suppliscono all’inerzia legislativa con una sostanziale modifica dell’ordinamento, pp. 50-61. Per un’approfondita analisi di tale pronunzia, cfr. pure E. Quadri, Il nuovo intervento delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, “ivi”, 2015, II, pp. 47-60. Cfr. amplius, infra, § 3.

2 Per approfonditi rilievi e riferimenti critici, sulla tesi che ora viene accolta e ribadita – nella formale composizione di un contrasto giurisprudenziale assai vivace – dalle Sezioni unite del 2014, cfr. O. Fumagalli Carulli, Libertà religiosa matrimoniale e statuto personale del credente, in Frontiere della libertà religiosa, Quaderni di Iustitia, Milano 2014, pp. 145-163, sp. 155-157.

3 Sul punto, a proposito della graduale «secolarizzazione» dell’istituto matrimoniale, a scapito dei matrimoni canonici con effetti civili (c.d. matrimoni concordatari), ad es., cfr. ancora Fumagalli Carulli, Matrimonio canonico, matrimoni religiosi, proliferazione delle unioni para-matrimoniali, in “Ius ecclesiae”, XXVI, 2014, pp. 49-66 ; Id., Il matrimonio in Italia tra dimensione religiosa e secolarizzazione, Relazione di apertura al Convegno di Palermo sul tema Il matrimonio religioso oggi : le nuove sfide della secolarizzazione, tenutosi in Palermo il 18 aprile 2015, in occasione della Giornata dell’Università Cattolica (§ 3 dell’elaborato scritto, di cui ho potuto prendere visione, grazie alla cortesia dell’Autrice).

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apparire ovvia agli «addetti ai lavori», una breve ricognizione del contesto normativo

invocabile. Sono convinto che tale premessa giovi quantomeno alla chiarezza del

discorso, che qui vorrei sviluppare.

Come è a tutti noto, in base all’art. 8, 2° comma, dell’Accordo fra la

Repubblica italiana e la Santa Sede, che nel 19844 ha apportato «modificazioni»5 al

Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, «le sentenze di nullità di

matrimonio», pronunziate dai tribunali ecclesiastici e «munite del decreto di

esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo», possono essere, su

istanza di parte (disgiunta o congiunta), dichiarate «efficaci nella Repubblica italiana»

con «sentenza» della Corte d’Appello competente.

La Corte d’appello é, però, tenuta ad accertare che :

- il giudice ecclesiastico fosse ab origine competente a conoscere della causa di

nullità ;

- nel processo dinanzi a quel giudice, sia stato «assicurato alle parti il diritto di

agire e di resistere in giudizio», «in modo non difforme dai principi fondamentali

dell’ordinamento italiano»6 ;

4 Si tratta dell’Accordo c.d. «di Villa Madama», stipulato il 18 febbraio 1984 e poi ratificato in Italia

con l. 25 marzo 1985, n. 121. Nell’ottica costituzionale, cfr., al riguardo, le riflessioni di L.M. De Bernardis, Copertura costituzionale all’accordo di Villa Madama ?, in “Dir. eccles.”, 1984, I, 407 ss.

5 L’espressione figura, letteralmente, nella rubrica ufficiale della l. n. 121/1985, oltreché nell’art. 7, 2° comma, Cost. D’altronde, si parla di «modificazioni consensuali» pure nella Premessa del cit. Accordo. Ma non può negarsi che quest’ultimo, al di là dei termini usati, abbia comportato, sotto determinati profili, una profonda «revisione» del Concordato precedente, in linea con quanto prescrive il cit. art. 7, 2° comma, Cost.

Circa le specifiche «ricadute» del predetto Accordo sullle regole applicabili al matrimonio concordatario, si rinvia ai contributi raccolti nel vol. La disciplina del matrimonio concordatario dopo gli accordi di Villa Madama, a cura di E. Vitali e G. Casuscelli, Milano 1988, pp. XI-434.

Per un inquadramento più ampio dei problemi interpretativi correlati, si leggano le considerazioni, ancor oggi attuali, di Fumagalli Carulli, Il concordato tra Stato e Chiesa : un patto di libertà o un armistizio di retroguardia ?, in “Jus”, 1989, pp. 49 ss.

6 Si coglie, qui, l’eco evidente dei principi – sui diritti al processo, alla giurisdizione ed alla difesa, quali diritti inviolabili dell’uomo (ex art. 2 Cost.) – consacrati dalla Corte costituzionale in alcune note pronunce del 1982, attinenti alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche (secondo il regime previgente del 1929) ed ai limiti dell’ordine pubblico. Si tratta delle sentenze in data 2.2.1982, nn. 16-17-18 (in “Riv. dir. proc.”, 1982, pp. 528-571, con commento di F. Finocchiaro, Giurisdizione ecclesiastica, diritto alla tutela giudiziaria e principi d’ordine pubblico davanti alla Corte costituzionale). Sulla sentenza n. 18 del 1982, nonché sulle ricadute giurisprudenziali successive, cfr. pure S. Lariccia, Qualcosa di nuovo, anzi d’antico nella giurisprudenza costituzionale sul matrimonio concordatario, in “Foro it.”, 1982, I, 938-947 ; Id., Esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale e ordine pubblico italiano, “ivi”, 1982, I, 2800-2805 (in nota a : Cass., sez. un., 1.10.1982, n. 5026 ; A. Bologna, ord. 22.7.1982 ; A. Genova, ord. 11.5.1982 e ord. 20.4.1982).

Sul tema generale del diritto di difesa, nel processo canonico e nella prospettiva comparatistica, mi permetto di rinviare, per ulteriori richiami e rilievi, ad un mio pregresso contributo (L.P. Comoglio, Diritto di difesa e condizioni di riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche matrimoniali, in “Nuova giur. civ.”, 2006, II, pp. 73-93, nonché, con il titolo La difesa nel “giusto processo” italiano e in alcuni Paesi dell’Unione europea, nel vol. Il diritto di difesa nel processo matrimoniale canonico, Studi giuridici, LXXII, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2006, pp. 239-263, ed in Studi in onore di C. Punzi, Torino 2008, pp. 159-183). Nella dottrina canonistica, per

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- ricorrano, poi, le «altre condizioni» richieste dalla legge italiana per la

dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere7.

Come risulta, poi, dal punto 4, lett. b-c, del Protocollo addizionale all’Accordo

del 1984, in relazione all’art. 8, 2° comma, di quest’ultimo, vanno inderogabilmente

osservate8 le norme seguenti :

- I) «ai fini dell’applicazione» degli artt. 796-797 del c.p.c. italiano, si deve

tenere debito conto della «specificità» dell’ordinamento canonico («dal quale è

regolato il vincolo matrimoniale, che in esso ha avuto origine») ;

- II) al diritto canonico, conseguentemente, si intendono riferiti i richiami

della legge italiana alla «legge del luogo in cui si è svolto il giudizio» ;

- III) si considera «sentenza passata in giudicato» quella che sia divenuta

«esecutiva», in conformità al medesimo diritto canonico ;

- IV) in ogni caso, al giudice italiano della delibazione é inibito qualsiasi

«riesame del merito».

E’ parso evidente, sin da allora, come – per espressa volontà delle Parti – il

parametro della «specificità» dovesse configurarsi quale criterio ermeneutico di

base9, per la delibazione delle pronunce ecclesiastiche, armonizzandosi, a

prescindere dai limiti insiti nelle stesse precisazioni di cui sopra10, con una duplice

un’ampia sintesi di problemi e di profili strutturali, cfr. P.A. Bonnet, voce Processo (processo canonico : profili generali), in “Enc. giur. Treccani”, vol. XXIV, Roma 1991, passim.

7 In particolare, il previg. art. 797, 1° comma, n. 7, esigeva che la sentenza straniera delibabile non contenesse comunque «disposizioni contrarie all’ordine pubblico italiano».

8 Vale la pena di ricordare, altresì, che – ai fini della trascrizione del matrimonio concordatario negli atti dello stato civile (art. 8, 1° comma, dell’Accordo) – il punto 4, lett. a, del Protocollo aggiuntivo identifica con precisione «come impedimenti inderogabili della legge civile» : 1) l’interdizione per infermità di mente di uno dei «contraenti» ; 2) la preesistenza fra gli sposi di un «altro matrimonio valido agli effetti civili» : 3) «gli impedimenti derivanti da delitto o da affinità in linea retta».

9 Le prescrizioni del Protocollo (supra sub II-III-IV), naturalmente non devono intendersi come esaustive.

Si è giustamente parlato, in seguito, della «specificità» come di un «indirizzo interpretativo cogente», volto a conferire effetti civili ai matrimoni «contratti» (e non già solamente «celebrati», come si diceva nell’art. 34 del precedente Concordato) in base alle norme del diritto canonico sostanziale. Sul punto, con richiamo a Fumagalli Carulli, Matrimonio ed enti tra libertà religiosa e intervento dello Stato. Con un saggio di Alessandro Perego, Milano, 2012, p. 84, si veda G. Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico” e delibazione delle sentenze matrimoniali ecclesiastiche, in “www.statoechiese.it”, n. 34/2013, pp. 1-15, sp. pp.4-6.

10 La doppia «riserva», di cui qui parliamo, venne ben configurata e giustificata da Corte cost., 1.12.1993, n. 421 (meglio citata infra, in nota 12), nei termini seguenti : «Le nuove disposizioni [scil., dell’Accordo del 1984] rispecchiano il permanere di un sistema nel quale gli effetti civili sono riconosciuti, mediante la trascrizione, ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico e da quell’ordinamento disciplinati nel loro momento genetico. Si è dunque in presenza di un matrimonio religioso, cui i cittadini possono accedere con una piena libertà di scelta e con le conseguenze che ne derivano [….] ; rimane quindi ferma la base del del sistema matrimoniale concordatario». Ciò significa – sempre secondo la Corte – che il matrimonio-atto, regolato nel suo momento genetico dal diritto canonico, rimane soggetto alla giurisdizione ecclesiastica, poiché il giudice statale è autorizzato ad esprimere la propria giurisdizione unicamente «…

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fondamentale «riserva» (di legge e di giurisdizione)11, confermata dall’Accordo

medesimo, rispettivamente in favore dell’ordinamento canonico e degli organi

giurisdizionali eccelsiastici12.

Per quel che concerne, in particolare, il procedimento giurisdizionale di

delibazione e di declaratoria di efficacia in Italia delle sentenze ecclesiastiche di

nullità matrimoniale13, occorre ricordare come in giurisprudenza e in dottrina si

siano elaborati ed imposti alcuni rilievi generali, che incidono sull’ammissibilità

dell’azione di delibazione.

Siffatti rilievi possono così sintetizzarsi :

A) vige incondizionatamente, in materia, il principio della domanda14 ;

B) il richiamo agli artt. 796-797 c.p.c., operato dall’art. 4, lett. b), del Procollo

addizionale al cit. Accordo del 1984, è di carattere «formale» (e non già di natura

«materiale»)15 ;

C) di conseguenza, la loro perdurante applicazione in sede delibativa,

malgrado la loro sopravvenuta abrogazione con legge formale ordinaria del 199516, è

garantita da una loro vera e propria «ultrattività»17, in forza della conclamata

«specialità» delle Convenzioni pattizie fra Stato italiano e Santa Sede, sulle quali

sull’efficacia civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matromonio, attraverso lo speciale procedimento di delibazione regolato dalle stesse norme dell’accordo [scil, del 1984] in modo ben più penetrante che nella disciplina originaria del concordato …».

11 Cfr., in proposito, i can. 1401 (1°-2°) e 1671 c.j.c. 12 Sul punto, si rivedano le chiare statuizioni di Corte cost., 1.12.1993, n. 421, cit., in “Foro it.”, 1994,

I, 14-28, con commenti di F. Cipriani, Alla ricerca della riserva perduta, 15-22, e di S. Lariccia, Dopo Corte cost. 421/93 è urgente la riforma del sistema matrimoniale concordatario, 22-28, nonché in “Giust. civ.”, 1994, I, 601, con commento di F. Finocchiaro, Il concorso di giurisdizioni sul matrimonio c.d. concordatario secondo la corte costituzionale, 606 ss., ed in “Famiglia e dir.”, 1994, 7, con nota di P. Schlesinger, Riserva di giurisdizione ecclesiastica : interviene la consulta, 7 ss.

13 Per ulteriori spunti e riflessioni, nel rapporto con la nozione di «ordine pubblico», si vedano, nella meno recente dottrina : P. Consorti, Delibazione di sentenze ecclesiastiche e limite dell’ordine pubblico dopo il nuovo accordo di Villa Madama, nota a Cass., 6.12.1985, n. 6129 e n. 69128, in “Dir. eccles.”, 1986, II, 399 ss. ; S. Gherro, Matrimonio concordatario e corti d’appello (l’attuazione senza legge dell’«accordo» di Villa Madama), in “Dir. eccles.”, 1987, I, p. 540, e in “Giur. it.”, 1987, IV, 129. Per un’appprofondita analisi dei trends giurisprudenziali in materia, si consulti, oggi, la rassegna di L. Lacroce e di M. Madonna, Il matrimonio concordatario nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in “Dir. eccles.”, 2012, 753-825.

14 Sulle differenze rispetto alla previgente disciplina, derivata dal Concordato Lateranense del 1929, a proposito della «natura non officiosa» del potere di richiedere siffatta delibazione, cfr., ad es., Cass., 1.12.2004, n. 22514, in “Rep. Foro it.”, 2004, voce “Matrimonio”, n. 186.

15 Sul punto, ad es., cfr., in motivazione, Cass., 10.5.2006, n. 10796, “ivi”, 2006, voce “Matrimonio”, n. 189.

16 Cfr. l’art. 73 della l. 31 maggio 1995, n. 218. 17 In tal senso, ex multis, si vedano, ad es.: Cass., 30.5.2003, n. 8764, in “Rep. Foro it.”, 2003, voce

“Matrimonio”, n. 158, e, per esteso, in “Giur. it.”, 2004, 967, con commento di G. Cerreto, Delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale : la giurisprudenza si consolida, 970 ; Cass., 25.5.2005, n. 11020, in “Rep. Foro it.”, 2005, voce “Matrimonio”, n. 110 ; A. Salerno, 27.12.2005, D.M.N. c. M.A., “ivi”, 2006, voce “Delibazione”, n. 22.

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dunque non dovrebbe esercitare alcuna diretta incidenza il corpus delle nuove regole

di diritto internazionale, operanti per il riconoscimento automatico delle sentenze

straniere, valide nei rapporti fra Stati intra- ed extra-europei18 ;

D) in coerenza con i principi sanciti a suo tempo dal cit. art. 796 c.p.c., la

domanda di delibazione va proposta con atto di citazione (e non già con ricorso)19,

mediante l’instaurazione di un ordinario giudizio di cognizione, in regime di difesa

tecnica obbligatoria20, avanti alla Corte d’appello «competente»21.

E’ tale, dunque, il contesto normativo da cui, in ogni caso, non mi pare

possibile prescindere.

2. La delibazione in Italia delle sentenze ecclesiastiche dichiarative

della nullità del matrimonio concordatario, negli orientamenti

giurisprudenziali anteriori al 2014.

E’ noto da tempo come la «specificità» dell’ordinamento canonico,

riconosciuta dagli Accordi fra Stato e Chiesa22, assuma una sua peculiare rilevanza,

soprattutto in termini sostanziali23 (ma anche a livello processuale)24, nell’ampia ed

articolata disciplina del matrimonio. Il che si riflette, emblematicamente, sulla

configurazione dei possibili vizi di nullità del «patto matrimoniale» tra uomo e

donna25, «elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento»26.

18 Si considerino, ad es. : da un lato, gli artt. 32-56 del Reg. CE n. 44/2001 del Consiglio, in data 22

dicembre 2000, nonché gli artt. 21-39 del Reg. CE n. 2201/2003 del Consiglio, in data 27 novembre 2003 ; dall’altro, gli artt. 64-71 della l. n. 218/1995 cit., in linea con quanto già disposto dagli artt. 26-30 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, ratificata in Italia con l. 21 giugno 1971, n. 804.

E’ assai controversa, peraltro, la tesi che vorrebbe interpretare come un «rinvio mobile» (e non già come un «rinvio fisso») il riferimento «ultrattivo» ai previg. artt. 796-797 c.p.c., sì da rendere comunque invocabile, anche nella delibazione delle sentenze ecclesiastiche, il cit. art. 73 della l. n. 218/1995. Sul punto, si leggano le considerazioni critiche di Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico”, cit., pp. 9-10.

19 A prescindere dall’iniziativa unilaterale di una parte (eventualmente, anche con ricorso) o da un’iniziativa congiunta, si insiste sulla necessità che «… risultino rispettate tutte le regole contenziose del procedimento ordinario di cognizione, ivi comprese quelle relative al termine di comparizione di cui all’art. 163 bis c.p.c., al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa al coniuge non istante ….» (così, ad es., Cass., 19.11.1998, n. 11658, in “Rep. Foro it.”, 1998, voce “Matrimonio”, n. 111). Sul tema, cfr. ancora Cass., 7.6.2007, n. 13363, “ivi”, 2007, voce cit., n. 199, e, per esteso, in “Famiglia e dir.”, 2007, 990, con commento di P. Lai, La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale tra rito ordinario e rito camerale, 991.

20 Sul punto, ad es., cfr. Cass., 30.12.1989, n. 5831, in “Rep. Foro it.”, 1990, voce “Matrimonio”, n. 127, e, per esteso, in Foro it., 1990, I, 1238-1244, con note di A. Pazzi, 1238-1240, e di A. Proto Pisani, In tema di disciplina delle nullità causate da difetto (o da vizi) della difesa tecnica, 1240-1243.

21 Si vedano, al riguardo, oltre al cit. art. 796, l’art. 8, 2° comma, del cit. Accordo del 1984, nonché il punto 4 , lett. b), del Protocollo addizionale.

22 Cfr., ancora, il punto 4, lett. b), del Protocollo addizionale all’Accordo del 1984. 23 Nel vigente codice di diritto canonico (c.j.c.), si vedano i can. 1055-1165. 24 I processi matrimoniali avanti agli organi giurisdizionali ecclesiastici sono considerati «speciali»,

godendo di una regolamentazione in parte differenziata, rispetto al modello processuale ordinario (cfr. i can. 1671-1705).

25 Nella disciplina canonistica, come è noto, vanno distinti : gli impedimenti dirimenti in genere (can. 1073.182), gli impedimenti dirimenti in specie (can. 1083-1094), nonché i vizi attinenti alla formazione del

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Sono ben conosciuti ed ampiamente discussi, soprattutto a partire dagli anni

’60 dello scorso secolo27, i problemi cruciali, la cui soluzione ha storicamente

condizionato (e tuttora condiziona), in maniera alquanto variabile, l’ambito, più o

meno ristretto, di delibabilità delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità

dei matrimoni c.d. concordatari.

Per quanto qui interessa28, ci si chiede, in particolare, se il limite dell’ordine

pubblico italiano29 sia (o meno) invalicabile ed ostativo30, laddove l’azione di nullità

«consenso matrimoniale» (can. 1095-1107), la cui centralità è scolpita a chiare lettere nel can. 1057 (§ 1. «L’atto che costituisce il matrimonio é il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili ; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana» - § 2. «Il consenso matrimoniale è l’atto della volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio»). Ne è una logica conseguenza l’assoluta indissolubilità del vincolo, come si desume dai can. 1141-1142 c.j.c. (a commento, cfr. P.A. Bonnet, L’indissolubilità del matrimonio sacramento, in “Arch. giur.”, 2002, 547 ss.).

Fra i vizi del consenso, in funzione dei limitati riferimenti che vi si faranno fra poco, spiccano le cause di «incapacità a contrarre», sancite dal can. 1095 («Sono incapaci a contrarre matrimonio : 1° coloro che mancano di sufficiente uso di ragione ; 2° coloro che difettano gravemente di discrezione di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente ; 3° coloro che, per cause di natura psichica, non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio» ; nella versione latina ufficiale : «Sunt incapaces matrimonii contrahendi : 1° qui sufficienti rationis usu carent ; 2° qui laborant gravi defectu discretionis iudicii circa iura et officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda ; 3° qui ob causas naturae psychicae obligationes matrimonii essentiales assumere non valent»).

Sul tema, per ulteriori approfondimenti, si consulti, ex multis, ancora Bonnet, Introduzione al consenso matrimoniale canonico, Milano 1987, pp. XII-207.

26 Così si esprime testualmente il can. 1055, § 1. 27 E, quindi, nella piena vigenza dei Patti lateranensi del 1929 (art. 34) e delle leggi correlate (art. 1 ss.

l. 27 maggio 1929, n. 810 ; art. 17 l. 27 maggio 1929, n. 847). Si riveda, in proposito, l’autorevole trattazione di A.C. Jemolo, Il matrimonio, rist. III ediz., Torino 1961, pp. 1-533, sp. pp. 189 ss., 246-276.

Si ricordi altresì, per quanto si dirà in seguito, che le disposizioni della l. n. 847/1929 rimangono ancor oggi in buona parte vigenti. Lo è, soprattutto, l’art. 18, nel testo aggiornato, laddove estende ai casi di «annullamento della trascrizione del matrimonio» e a quelli di avvenuta delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità le disposizioni garantistiche sul c.d. «matrimonio putativo» (art. 116 c.c. previg. ; art. 128 c.c. vig.).

28 Tralascio qui, per brevità, l’analisi specifica degli indirizzi giurisprudenziali attinenti alla delibabilità delle pronunzie ecclesiastiche, a seconda del tipo di vizio generativo delle dichiarate nullità, nel diretto confronto con la gamma di corrispondenti (od analoghe) fattispecie, contemplate dagli artt. 117-123 c.c. per il matrimonio civile.

29 E’ tuttora fonte di contrasti e di perplessità la risalente distinzione fra ordine pubblico «interno» ed ordine pubblico «internazionale», in cui (ferma restando la non automatica coincidenza con le norme interne di natura inderogabile e imperativa, che caratterizzano la prima delle due nozioni) si tende ad identificare, lato sensu, l’insieme dei principi costituzionali e convenzionali, comuni a più ordinamenti giuridici, i quali, sintetizzando i «valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale», vengono universalmente accettati, a specifico presidio dei diritti umani inviolabili e a salvaguardia delle libertà fondamentali dell’individuo. In tal senso, ad es., cfr. : Cass., sez. lav., 23.2.2006, n. 4040, in “Rep. Foro it.”, 2006, voce “Diritto internazionale privato”, n. 22 ; Cass., sez. III, 22.8.2013, n. 19405, “ivi”, 2013, voce cit., n. 31 ; Cass., sez. lav., 22.2.2013, n. 4545, “ivi”, 2013, voce cit., n. 29.

Sulle risalenti diatribe, originate dal previg. art. 31 disp. prelim. c.c., cfr., per tutti, P. Mengozzi, Le disposizioni sulla legge in generale : gli articoli da 16 a 31, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 1, Torino, 1982, pp. 334-368, sp. pp. 339 ss. Con ulteriori rilievi, a commento di Cass. civ., 5.4.1984, n. 2215, pronunzia all’epoca assai nota e discussa, cfr., altresì : G. Azzariti, Efficacia in Italia di sostituzione fidecommissaria disposta da cittadino di altro Stato ove ne vien fatta ammissione, in “Giur. it.”, 1984, I, 1, 3067-3068 ss.; L.P. Comoglio, Ordine pubblico interno e internazionale : concetti in crisi di identità, in “Riv. not.”, 1986, II, pp. 157-172 (ed “ivi”, pp. 172-182, con altra nota di G. Baralis) ; R. Pardolesi, in “Foro it.”, 1984, I, 2253-2260, sp. 2253.

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sia stata esercitata, dinanzi agli organi della giurisdizione ecclesiastica, dopo il

decorso dei termini sanciti, per analoghe fattispecie, dalle legge civile o, comunque,

dopo la prolungata «coabitazione» (rectius : dopo la protratta «convivenza») dei

coniugi in epoca successiva alla celebrazione del matrimonio31, atteso che la parallela

impugnazione in sede ecclesiastica non soffre a priori di alcuna condizione

(temporale o, se vogliamo, anche comportamentale) di proponibilità32.

Va subito doverosamente sottolineato come, a prescindere da siffatte

peculiari situazioni, l’orientamento più restrittivo nella delibazione delle sentenze

ecclesiastiche di nullità – sviluppatosi soprattutto laddove la presenza di «vizi» di

volontà o di «riserve» mentali in uno dei nubenti, al momento della celebrazione del

matrimonio, non potesse dirsi «ostensibile» o comunque ragionevolmente

conoscibile dall’altro – sia sempre stato animato da apprezzabili esigenze di tutela

dell’affidamento e della buona fede del coniuge incolpevole, pur con il reiterato

auspicio di adeguati interventi del legislatore33.

Del pari – anche nella ricorrenza di quelle particolari situazioni e pur di

fronte alla «naturale perpetuità» dell’azione di nullità del matrimonio canonico – non

si era mancato di concentrare l’attenzione sul «matrimonio-rapporto», la cui effettiva

instaurazione post matrimonium (beninteso, nell’accertata pienezza della «convivenza

morale e materiale» fra i coniugi) assumerebbe, nell’ambito dell’ordine pubblico

«interno», quale «rinnovazione» per facta concludentia dell’originario consenso,

un’incidenza impeditiva sull’azionabilità dei vizi attinenti al «matrimonio-atto», in

coerenza con talune «regole essenziali» dell’ordinamento statuale, sì da precludere la

delibabilità delle pronunce ecclesiastiche di nullità34.

30 Spesso assunto, con riguardo alla delibabilità di sentenze ecclesiastiche, nell’accezione «interna»

anziché in quella «internazionale». Sul punto, ad es., cfr., ex multis : Cass., sez. I, 4.6.2012, n. 8926, in “Foro it.”, 2012, I, 2676-2680, con nota di G. De Marzo, nonché in “Famiglia e dir.”, 2013, 21, con nota di L. Iannaccone, Il concordato (per ora) è salvo : la cassazione rispetta gli accordi di Villa Madama, 24 ss., in “Ius ecclesiae”, 2013, 261, con nota di G. Mioli, Alcune riflessioni sulla convivenza coniugale quale elemento ostativo alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale alla luce di una recente sentenza, pp. 268 e ss. , e in “Foro pad.”, 2013, I, p. 137, con commento di F. Castelli, La convivenza coniugale non osta alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario, 143 ; adde Cass., sez. I, 15.6.2012, n. 9844, in “Giust. civ.”, 2013, I, 1856.

31 Si considerino, soprattutto, nel c.c., gli artt. 119, 2° comma, 120, 2° comma, 122, 4° comma, e 123, 2° comma.

32 E’ quanto si desumeva dal previgente can. 1092, n. 2, ed oggi si argomenta dal vigente can. 1675, §§ 1-2, c.j.c.

33 Cfr., nella disciplina del matrimonio civile, dopo la riforma attuata dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, i vigenti artt. 129 e 129-bis c.c. Si veda, in proposito, la pronunzia di cui infra, nella nota che segue.

34 In tal senso, ad es., con riguardo alla nullità dichiarata dal giudice ecclesiastico per esclusione del bonum prolis ed alla convivenza dei coniugi successiva alla celebrazione del matrimonio, quale causa ostativa della delibazione in Italia, per contrasto con l’ordine pubblico interno, cfr. Cass., sez. I, 3.7.1987, n. 5823, 18.6.1987, n. 5358 e 18.6.1987, n. 5354, in “Foro it.”, 1988, I, 474-501, con commento di E. Quadri, Convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale : le nuove prospettive giurisprudenziali, 475-486.

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Nonostante ciò, con riguardo alle menzionate situazioni, il predetto quesito

ricevette comunque una risposta prevalentemente negativa, fruendo di perspicui

supporti motivazionali.

In tale ottica, furono sviluppate con chiarezza – sul comune presupposto di

una «maggiore disponibilità» dell’ordinamento dello Stato, in ossequio alla

riconosciuta «specificità» del diritto canonico35 – le seguenti considerazioni :

- la cennata «maggiore disponibilità» non postulerebbe affatto alcuna

enunciazione di un ordine pubblico «concordatario», diverso da quello tradizionale

(interno od internazionale che sia) ;

- le norme imperative, che caratterizzano la disciplina «interna» del

matrimonio civile, non eserciterebbero alcuna portata impeditiva nei confronti della

delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità, in quanto «derogate e superate

proprio dallo strumento concordatario» ;

- in ogni caso, né dai principi costituzionali36, né tantomeno dalle norme

ordinarie sarebbe desumibile la generalizzata presenza di un principio inteso a far

prevalere il «matrimonio-rapporto» sul «matrimonio-atto», tutte le volte in cui, a

prescindere da eventuali termini di decadenza, previsti dal diritto interno per

l’impugnazione del matrimonio civile37, possa individuarsi nella protratta

«convivenza» coniugale la presenza di una «volontà convalidatrice» di un consenso

inizialmente mancante oppure viziato ;

- non sarebbe, infine, accettabile un’interpretazione adeguatrice, volta a

generalizzare la constatata «convivenza» coniugale post matrimonium quale causa

impeditiva della delibazione, trattandosi dell’«introduzione di una sostanziale

modifica dell’ordinamento», certamente consentita al legislatore, ma del tutto

preclusa all’interprete come tale38.

35 Ci si riferisce, qui, al «criterio fondamentale» enunciato da Cass., sez. un., 1.10.1982, n. 5026, cit.,

in “Foro it.”, 1982, I, pp, 2799-2800, pp. 2805-2812, con nota di Lariccia, Esecutorietà delle sentenze ecclesiastiche in materia matrimoniale e ordine pubblico italiano, cit., 2800 ss. Tale «criterio», in armonia con l’accezione «internazionale» dell’ordine pubblico, farebbe sì che la dichiarazione di esecutività possa essere negata «… soltanto in presenza di una contrarietà ai canoni essenziali cui si ispira in un determinato momento storico il diritto dello Stato ed alle regole fondamentali che definiscono la struttura dell’istituto matrimoniale così accentuata da superare il margine di maggiore disponibilità che l’ordinamento statuale si è imposto rispetto all’ordinamento canonico …» (“ivi”, 2810 ; corsivo aggiunto).

36 Artt. 2 e 29 Cost. 37 Si rivedano, ad es., gli artt. 117, 2° comma, e 123, 2° comma, c.c. 38 Si rilegga l’attenta motivazione di Cass., sez. un., 20.7.1988, n. 4700, in “Foro it.”, 1989, I, 428-

431, con commento di Quadri, Impressioni sulla nuova giurisprudenza delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, 428-431. Vale la pena di ricordare come, in tale pronunzia, la fattispecie di riferimento fosse, in materia di simulazione, la regola enunciata dall’art. 123, 2°

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Nel successivo evolversi dei trends giurisprudenziali, si è affermato, via via,

anche il principio, in forza del quale il limite ostativo del c.d. «ordine pubblico

interno» opererebbe unicamente in presenza di un’incompatibilità «assoluta» (ma

non già anche di un’incompatibilità puramente «relativa») fra le norme sostanziali

canoniche e quelle civilistiche corrispondenti39. Sicché la ribadita «specificità»

dell’ordinamento canonico40 imporrebbe di prendere in considerazione il sostanziale

parallelismo, esistente fra le cause di nullità del matrimonio canonico, riconducibili

fondamentalmente ad una incapacitas assumendi onera matrimonii41, e quelle tracciate,

per il matrimonio civile, dagli artt. 120 e 122 c.c., senza che possa acquisire alcun

rilievo impediente l’improponibilità dell’azione per la «coabitazione» quantomeno

annuale, delineata nel cit. art. 120, 2° comma42.

Di conseguenza, nel predetto orientamento si è ulteriormente argomentato

come non potrebbero delibarsi le sole sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale

che, in quanto contraddistinte da un’incompatibilità «assoluta» con l’ordine pubblico

italiano, siano fondate «su fatti che attribuiscono giuridico significato a valori in

alcun modo rilevanti nell’ordinamento statuale». Sarebbero, invece, validamente

delibabili quelle pronunzie ecclesiastiche di nullità, le quali siano connotate da

un’incompatibilità soltanto «relativa» con il predetto ordine pubblico, laddove cioè

l’eventuale divergenza delle loro statuizioni, rispetto a norme e a principi anche

«inderogabili» dell’ordinamento italiano, possa essere superata dal giudice della

delibazione (nel pieno rispetto della ricordata «specificità» dell’ordinamento

canonico)43, individuando in quelle statuizioni una «fattispecie almeno assimilabile a

quelle interne con effetti simili», purché tale fattispecie sia ritenuta «conforme ai

valori e principi essenziali della coscienza sociale, desunti dalle fonti normative

costituzionali e dalle norme matrimoniali inderogabili»44.

comma, c.c., intesa non già quale «sanatoria» di un atto radicalmente nullo, bensì quale «presunzione assoluta» di inesistenza della simulazione (“ivi”, 437).

39 Sul punto, ad es., cfr. Cass., sez. un., 18.7.2008, n. 19809, in “Rep. Foro it.”, 2008, voce “Matrimonio”, n. 180, e, per esteso, in “Foro it.”, 2008, I, 3130-3142, con nota di G. Casaburi, 3130-3132.

40 Cfr., ancora, il punto 4, lett. b), del Protocollo addizionale all’Accordo del 1984. 41 Il riferimento obbligato va fatto al can. 1095, nn. 2-3, c.j.c. 42 In proposito, con grande chiarezza, ad es., cfr. Cass., 7.4.2000, n. 4387, in “Rep. Foro it.”, 2000,

voce “Matrimonio”, n. 232, e, per esteso, in “Famiglia e dir.”, 2000, 568, con commento di E. De Feis, Ordine pubblico matrimoniale e sentenze ecclesiastiche di nullità, 568 ss. ; Cass., 10.5.2006, n. 10796, cit., “ivi”, 2007, p. 40, con nota di De Feis, Delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale : rispetto del diritto di difesa e ordine pubblico, 41 ss., nonché in “Dir. eccles.”, 2006, II, p. 41, con commento di E.G. Saraceni, La delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità nella recente giurisprudenza (osservazioni di diritto processuale e sostantivo), 44 ss.

43 Cfr., ancora, l’art. 4, lett. b), del Protocollo Addizionale, in relazione all’art. 8, 2° comma, dell’Accordo del 1984, cit.

Sul ribadito carattere di «specialità» delle norme canoniche matrimoniali, cfr., ad es., ex plurimis, Cass., ord., 21.8. 2007, n. 17767, in “Famiglia e minori”, 2007, fasc. 9, p. 621, con nota di L. Lastei.

44 In questi termini, ad es., ex multis, si riveda emblematicamente la massima di Cass., sez. un., 18.7.2008, n. 19809, cit., in “Rep. Foro it.”, 2008, voce “Matrimonio”, n. 176.

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A tale stregua, nell’ampia casistica a disposizione, occorre altresì rammentare

che, ad es., la delibazione di una sentenza ecclesiastica, da cui sia stato accertato ab

origine in uno dei nubenti il «grave difetto» di «discrezione di giudizio circa i diritti e i

doveri matrimoniali essenziali», come causa della sua «incapacità» a contrarre

matrimonio (con la conseguente nullità di quest’ultimo)45, non contrasterebbe in

termini assoluti con l’ordine pubblico interno, trattandosi tutt’al più di una

incompatibilità meramente «relativa», in quanto la fattispecie giuridica, all’uopo

identificata dalle norme del diritto canonico, è «sostanzialmente corrispondente» a

quella dell’«incapacità naturale», delineata nell’art. 120, 1° comma, c.c.46. Il che, data

l‘indiscussa «specificità» di quelle medesime norme canoniche, renderebbe del tutto

priva di «rilevanza ostativa» la circostanza della successiva «coabitazione»

quantomeno annuale, prevista dall’art. 120, 2° comma, c.c. come condizione di

proponibilità della domanda di nullità del matrimonio civile47.

Aggiungasi che i motivi di nullità, per «incapacità a contrarre matrimonio»,

contemplati dal diritto canonico48, troverebbero una loro «sostanziale

corrispondenza» nel cit. art. 120 c.c. (ancor più che nell’art. 122), non essendo

affatto richiesta, nell’ambito di quell’incompatibilità «relativa», una precisa identità di

fattispecie fra le due diverse (ed autonome) discipline49.

Ciò pare tanto più plausibile, in quanto la nullità del matrimonio-atto,

accertata e dichiarata dal giudice ecclesiastico, laddove si identifichi, ad es.,

nell’«incapacità a contrarre matrimonio» derivante dal «difetto grave» di «discrezione

di giudizio circa i diritti e i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare

45 Cfr., ancora, il can. 1095, n. 2, c.j.c. 46 Si vedano, ad es., in tali precisi termini, nella giurisprudenza più recente, a conferma di un risalente

indirizzo : Cass., 15.9.2009, n. 19808, in “Giust. civ.”, 2010, I, 1936, e in “Rep. Foro it.”, 2010, voce “Matrimonio”, n. 201 ; Cass., ord., 20.1.2011, n. 1262, “ivi”, 2011, voce cit., n. 13.

Gli stessi principi, del resto, vengono affermati in generale tanto per l’incapacitas assumendi onera matrimonii, quanto per altri possibili «vizi del consenso» (qual è l’errore essenziale, ex can. 1097-1099 c.j.c.), in rapporto all’art. 122 c.c. (cfr., ad es., Cass., 10.5.2006, n. 10796, in “Rep. Foro it.”, 2007, voce cit., n. 191 ; Cass., 6.7.2006, n. 15409, “ivi”, 2007, voce cit., n. 192 ; Cass., 14.11.2008, n. 27236, “ivi”, 2010, voce cit., n. 195 ; Cass., 8.7.2009, n. 16051, “ivi”, 2010, voce cit., n. 198, nonché in “Foro it.”, 2010, I, 107 ; ma cfr. già Cass., 9.12.1993, n. 12144, “ivi”, 1995, I, 279, con nota di G. Balena ; A. Brescia, 17.5.2000, M., in “Rep. Foro it.”, 2002, voce cit., n. 148).

47 In tal senso, ex plurimis, cfr., ad es., già Cass., 17.10.1989, n. 4166, “ivi”, 1990, voce cit., n. 134 ; Cass., 19.2.1991, n. 1709, “ivi”, 1992, voce cit., n. 121 ; indi Cass., 13.9.2002, n. 13428, “ivi”, 2003, voce cit., n. 165 ; Cass., 10.5.2006, n. 10796, cit., “ivi”, 2007, voce cit., n. 191.

48 Can. 1095, § 2, c.j.c. 49 A maggior ragione, si pensi che ben si potrebbe giungere alla delibazione di una pronunzia del

giudice ecclesiastico, secondo la nostra giurisprudenza, anche laddove la fattispecie di nullità canonica non trovi alcun riscontro nella disciplina civilistica o addirittura ne sia esclusa (come, ad es., accade con il c.d. «consenso condizionato», ex art. 108 c.c., in relazione al can. 1102, §§ 1-3, c.j.c., a patto che esso non sia rimasto confinato entro la «sfera psichica» di uno dei nubenti (sul punto, ad es., cfr. Cass., 11.6.1997, n. 5243, in “Rep. Foro it.”, 1997, voce cit., n. 101 ; Cass., 6.3.2003, n. 3339, ivi, 2003, voce cit., n. 162).

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reciprocamente»50, implicherebbe la presenza di un’incapacità cognitiva e volitiva,

che, per comprovate ragioni fisio-psichiche o per turbe più profondamente

psicologiche (da accertarsi nel processo canonico con particolare rigore), invalida in

radice la formazione del «consenso matrimoniale», rendendo il soggetto nubente, che

ne sia colpito, del tutto inadatto a percepire e a volere consapevolmente, nella loro

profonda valenza etico-religiosa51, i fondamenti stessi del matrimonio-atto52, inteso

quale «sacramento» la cui celebrazione è rimessa agli stessi nubenti. Da qui, dunque,

discenderebbe la piena delibabilità della sentenza ecclesiastica, da cui tale causa di

invalidità sia stata irretrattabilmente accertata e dichiarata53.

Ciò significa altresì che – al pari di quanto è stato più volte riaffermato pure

per le declaratorie ecclesiastiche della nullità per vizio del consenso matrimoniale,

derivante da incapacitas assumendi onera matrimonii54 od anche da errore o violenza55 –

la disciplina canonica «speciale» dovrebbe comunque reputarsi, in linea di massima,

come sostanzialmente assimilabile a quella civilistica dell’«incapacità di intendere e di

volere»56, nonché a quella riguardante la violenza o l’errore57, sì da porre fuori gioco,

50 Si riveda il can. 1095, n. 2°, c.j.c. («Sunt incapaces matrimonii contrahendi : […] 2° qui laborant

gravi defectu discretionis iudicii circa iura ed officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda […]»).

51 Il punto cruciale, di cui spesso ci si dimentica nel dibattito sulla delibabilità, è proprio questo : si ha a che fare non già soltanto, come per il matrimonio di rito civile (artt. 84-113 c.c.), con un contratto, sia pur formale e solenne (artt. 106-113 st. cod.), dal quale scaturiscono per volontà di parte (e per legge) effetti giuridici di essenziale rilievo morale e sociale (artt. 143-148 st. cod. ; art. 29, 1° comma, Cost.), ma soprattutto con un sacramento religioso (art. 82 c.c., can. 1055-1057 c.j.c.). Sono, dunque, ben diversi, e contenutisticamente più ricchi, i profili di consapevolezza e di volontà di «accettazione», che caratterizzano, in questo secondo caso, la valida formazione del consenso matrimoniale.

52 Si vedano – ferme restando, in linea generale, la presunzione relativa di validità del matrimonio «donec contrarium probetur» (can. 1060) e la presunzione di conformità del «consenso interno dell’animo» «alle parole o ai segni adoperati nel celebrare il matrimonio» (can. 1101, § 1) – i can. 1055, §§ 1-2, 1056, 1057,§§ 1-2, e soprattutto il can. 1096, § 1, ove sono sintetizzati i diritti-doveri basici di cui i nubenti debbono avere conoscenza («ut consensus matrimonialis haberi possit, necesse est ut contrahentes saltem non ignorent matrimonium esse consortium permanens inter virum et mulierem ordinatum ad prolem, cooperatione aliqua sexuali, procreandam»). Si ricordi, pure, che i bona matrimonii essenziali (e ineludibili) sono : a) il bonum prolis ; b) il bonum fidei ; c) il bonum sacramenti ; d) il bonum coniugum (così, ad es., con estrema chiarezza, Trib. Apostolico Romana Rota, 26.6.1997, in “Rep. Foro it.”, 2000, voce “Matrimonio”, n. 113, e, per esteso, in “Jus ecclesiae”, 1999, 741 e ss.). Sul delicato tema delle menzionate presunzioni, si rinvia alla trattazione di P.A. Bonnet, Le presunzioni legali del consenso matrimoniale canonico in un occidente scristianizzato, Milano, 2006, pp. X-248.

53 Cfr., ad es., da ultimo, Cass., ord., 20.1.2011, n. 1262, in “Rep. Foro it.”, 2011, voce “Matrimonio”, n. 13. “ivi”, loc. cit. Nei medesimi termini, adde Cass., 15.9.2009, n. 19808, “ivi”, 2010, voce cit., n. 201, e, per esteso, in “Giust. civ.”, 2010, I, 1936.

54 Si tratta del can. 1095, n. 3, c.j.c., afferente all’incapacità di coloro che «ob causas naturae psychicae obligationes matrimonii assumere non valent».

55 Cfr. i can. 1097-1100 c.j.c. Conformemente, sui punti trattati nel testo, circa la ritenuta irrilevanza delle preclusioni temporali

sancite negli artt. 120, 2° comma, e 123, 4° comma, c.c., adde, ad es., Cass., 14.1.2008, n. 27236, in “Rep. Foro it.”, 2010, voce “Matrimonio”, n. 195.

56 Art. 120 c.c. 57 Art. 122 st. cod.

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grazie alla sua riconosciuta «specialità», qualsiasi regola ostativa, ricavabile dal diritto

interno.

Pertanto, nella medesima prospettiva, non sarebbe in alcuna misura

preclusivo il fatto che l’azione di nullità, dinanzi al giudice ecclesiastico, sia stata

proposta anche al di là dei limiti temporali massimi fissati dalle norme civilistiche e,

soprattutto, dopo un periodo (più o meno lungo) di «coabitazione»58 (o, più

intensamente, di «convivenza») dei coniugi, non acquisendo di solito59 alcun rilievo

impeditivo, con la sancita prevalenza del «matrimonio-rapporto» sui vizi del

«matrimonio-atto»60, l’eventuale difetto di tutela dell’affidamento del coniuge

controinteressato61.

Senonché, negli ultimi anni, le tracce inequivoche di un mutamento di

indirizzo si sono progressivamente colte – non senza contrasti evidenti – proprio

laddove non già la mera «coabitazione», bensì la vera e propria «convivenza»,

protrattasi dopo il matrimonio anche per lunghi periodi di tempo (ad es., per 10 o

20 e più anni), potesse assumersi quale indizio qualificato di una «volontà di

accettazione» del «matrimonio-rapporto», espressa per facta concludentia da entrambi i

coniugi, con l’effetto di «sanare» (o, se si preferisce, di «convalidare») l’originario

vizio di nullità62, derivante da una «non volontà» (ovvero da una volontà

unilateralmente «viziata») dell’uno o dell’altro, nel momento della celebrazione del

«matrimonio-atto»63.

Ma – come é facile constatare, a conclusione di questo excursus – il quadro

complessivo dei dati giurisprudenziali (era ab origine ed) é rimasto fino ad oggi assai

variegato, piuttosto ondivago e, tutto sommato, insoddisfacente.

58 Si rammenti che di «coabitazione» parlano esplicitamente gli artt. 120, 2° comma, e 122, 4°

comma, c.c., con riguardo all’incapacità di intendere e di volere o alla violenza ed all’errore, mentre, per quanto concerne la simulazione, l’art. 123, 2° comma, enuncia la condizione secondo la quale «i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione» del matrimonio (corsivo aggiunto).

59 Non così, peraltro, si é sostenuto, in presenza di vizi diversi dall’incapacità ob gravi defectu discretionis iudicii (ad es., in caso di simulazione unilaterale o di riserva mentale rimasta confinata nella sfera psichica del suo autore). Si vedano, in proposito, ex multis : Cass., 28.1.2005, n. 1822, cit., in “Rep. Foro it.”, 2005, voce cit., n. 180 ; Cass., sez. un., 18.7.2008, n. 19809, cit., in “Foro it.” 2008, I, 3130 ; e Cass., n. 1343/2011, cit. anche infra, nella nota seguente.

60 Sul punto, ancora Cass., 20.1.2011, n. 1343, in “Rep. Foro it.”, 2011, voce “Matrimonio”, n. 11, e, per esteso, in “Riv. dir. proc.”, 2011, pp. 1291-1292, con commento di A. D’Alessio, Limiti della delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio in caso di prosecuzione della convivenza coniugale, pp. 1293-1303.

61 Sui principi affermati nel testo, cfr., ad es., ex plurimis, ancora Cass., 8.7.2009, n. 16051, in “Foro it.”, 2010, I, 107-111, con nota di I. Andreoni, e in “Rep. Foro it.”, 2009, voce “Matrimonio”, n. 155 ; nonché, con cenni critici a Cass., n. 1343/2011 cit., a proposito di una convivenza coniugale protrattasi dopo il matrimonio unilateralmente viziato, per poco meno di 3 anni, App. Milano, Sez. persone, minori e famiglia, 7.3.2012, n. 838, F.P.R.C. c. M.G.S., inedita (caso a me noto per ragioni professionali).

62 Reputata, in tali situazioni, del tutto «disponibile» per atto di volontà o per comportamento successivo del coniuge legittimato a farla valere.

63 Si rivedano le pronunzie menzionate, supra, nelle note 51-52.

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3. L’overruling sancito da Cass., sez. un., 17.7.2014, n. 16379. Profili

problematici.

Nel comporre il più recente conflitto giurisprudenziale64, di cui si diceva

poc’anzi, le Sezioni unite del 2014 – con una motivazione (l’ho già ricordato) di

notevole spessore – si sono consapevolmente poste in rotta di collisione con il

significativo (contrario) «precedente» del 198865, sforzandosi di devitalizzarne in più

punti la ratio decidendi, allora pure avallata da un serrato intreccio di rilievi sistematici.

Seguo, per comodità espositiva, l’ordine logico degli argomenti.

La prima preoccupazione del Supremo Collegio, nel prendere le distanze da

tale «precedente», è quella di rinvenire – a supporto della distinzione fra

«matrimonio-rapporto» e «matrimonio-atto», nonché della possibile prevalenza

dell’uno sull’altro, a prescindere dai vizi di quest’ultimo – un «nitido e solido

fondamento» nella Costituzione66, nelle Carte Europee dei diritti67 e nella

legislazione italiana68. Una volta individuato, quel preciso «fondamento» – assume la

Corte – si estrinseca non già in una sorta di «prevalenza» (o di superiorità)

assiologica, bensì in una «distinzione» giuridicamente necessaria a permettere

l’identificazione di «principi» e di «regole fondamentali» capaci di integrare «norme

di ordine pubblico interno», da reputarsi ostative della delibabilità di sentenze

ecclesiastiche di nullità del matrimonio. Il che si rafforza ancor più, se si considera il

«matrimonio-rapporto» come una sorta di «contenitore» teorico di una qualificata

pluralità di «diritti inviolabili», di «doveri inderogabili» e di connesse «responsabilità»

coniugali.

64 A proposito della «convivenza» coniugale protrattasi dopo il matrimonio, intesa quale causa non

ostativa oppure ostativa della delibazione, cfr., ad es., emblematicamente : a) nel primo senso, Cass., sez. I, 4.6.2012, n. 8926, cit., in “Foro it.”, 2012, I, 2676 ; b) nel secondo senso, Cass., sez. I, 15.6.2012, n. 9844, cit., in “Giust. civ.”, 2013, I, 1856 ; Cass., sez. I, 20.1.2011, n. 1343, cit., in “Foro it.”, 2012, I, 1035.

65 Cfr. la motivazione della pronuncia in esame, sub §§ 3.4.-3.6. Si tratta, in particolare, di Cass., sez. un., 20.7.1988, n. 4700, cit., qui analizzata approfonditamente nel § 3, ed, a seguire, di Cass., sez. I, 4.6.2012, n. 8926, ult. cit.

66 Artt. 29, 1°-2° comma, 30, 1° comma, e 31, 1° comma, in relazione alla garanzia dei «diritti inviolabili dell’uomo», sancita dall’art. 2 (ibidem, § 3.5.). L’accento cade, in particolare, sulla vocazione istituzionale delle «formazioni sociali» (fra cui spicca eminentemente la «famiglia», quale «società naturale fondata sul matrimonio») a valorizzare, nell’ottica del cit. art. 2, lo sviluppo e la protezione della personalità degli esseri umani (come è stato ribadito da Corte cost., 28.11.2002, n. 494, in Foro it., 2004, I, 1053-1057, sp. 1055-1056, sub § 6.1., a proposito dell’incostituzionalità dell’art. 278, 1° comma, c.c., riferita alla dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale dei figli incestuosi).

67 Le fonti normative richiamate sono : l’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) ; l’art. 23, § 4, del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966) ; l’art. 5, primo periodo, del Protocollo n. 7 (1984) aggiunto alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950).

68 Vengono testualmente citati, a conferma del «distinguo» fra «matrimonio-atto» e «matrimonio-rapporto», l’art. 143, 1°-3° comma, e l’art. 147 c.c. (nei testi modificati, rispettivamente, dalla l. n. 151/1975 e dal d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154).

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Il secondo (assai elaborato) passaggio motivazionale si impernia sulla nozione

di «convivenza» dei coniugi69, nonché sulle correlate esigenze di «riconoscibilità

esteriore»70 e di «stabilità» temporale, che dovrebbero istituzionalmente

caratterizzarla. Il concetto in sé, sotteso a precise norme garantistiche di diritto

internazionale71, rappresenterebbe un «aspetto essenziale» del «matrimonio-

rapporto», traducendosi nella «consuetudine di vita comune» dei coniugi, ossia nel

«vivere insieme» stabilmente e con continuità («come coniugi», appunto),

quantomeno «.. per un tempo significativo tale da costituire “legami familiari”..» saldi

e duraturi. Ed è come astratto «contenitore» di diritti, di doveri e di responsabilità

coniugali che esso, ai sensi dell’art. 2 Cost.72, verrebbe ad assumere un rilievo

centrale, nell’ottica dell’«ordine pubblico italiano», qui invocabile73.

Nella suindicata prospettiva – così prosegue la Corte – la predetta

«convivenza», se ragionevolmente protratta nel tempo, condividerebbe l’identica

ratio, cui si ispirano le disposizioni sulla decadenza dalle azioni di nullità-annullamento

del matrimonio civile74, palesando e documentando per facta concludentia una

sostanziale «accettazione del rapporto matrimoniale», tale da «... implicare anche la

sopravvenuta irrilevanza giuridica dei vizi genetici eventualmente inficianti l’”atto”

di matrimonio, che si considerano perciò “sanati” dall’accettazione del rapporto ...»

medesimo.

Il terzo step argomentativo investe il punto forse più delicato da trattare,

coinvolgendo la questione relativa alla «ragionevole durata» della «convivenza», quale

condicio sine qua non della sua invocabilità, nel quadro delle norme di «ordine pubblico

italiano» da opporre, eventualmente, alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche.

69 Concetto desunto, letteralmente, dall’art. 123, 2° comma, c.c. (in tema di simulazione del

matrimonio civile), da preferirsi – dice la Corte – a quello di «coabitazione» (artt. 120, 2° comma, e 122, 4° comma, st. cod.), per la sua «indiscutibile, maggiore comprensività semantica».

70 Tale da consentire in giudizio, ove occorra, la prova (diretta od anche indiretta e presuntiva) di «fatti e comportamenti» ad essa corrispondenti «in modo non equivoco», sì da garantirne l’integrale pienezza ed effettività.

71 La Corte richiama e cita testualmente, nei loro analoghi contenuti (ibidem, § 3.5.) : da un lato, l’art. 8, 1° comma, della Convenzione europea del 1950 (si consulti, per completezza di raffronto, anche il testo inglese : «Right to respect for private and family life. Everyone has the right to respect for his private and family life, his home and his correspondence») ; dall’altro, l’art. 7 della Carta europea dei diritti fondamentali, del 2000 («Respect for private and family life. Everyone has the right to respect for his or her private and family life, home and communications»).

72 Il Supremo Collegio (ibidem, loc. cit.), ricollegandosi all’«inderogabile tutela dell’ordine pubblico», puntualizzata a suo tempo da Corte cost., sent. n. 18/1982 (retro, § 1, nota 5), afferma che la «convivenza» coniugale, come connotato essenziale del «matrimonio-rapporto», sarebbe «... costitutiva di una situazione giuridica che, in quanto regolata da disposizioni costituzionali, convenzionali ed ordinarie, é perciò tutelata da norme di “ordine pubblico italiano”, secondo il disposto di cui all’art. 797 c.p.c., comma 1, n. 7 ...».

73 Ai sensi del cit. art. 797, 1° comma, n. 7, c.p.c. 74 Artt. 119, 2° comma, 120, 2° comma,, 122, 4° comma, e 123, 2° comma, c.c.

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Qui, il Supremo Collegio interviene consapevolmente praeter legem, facendo

ricorso integrativo – in virtù delle «strette connessioni» tra le diverse fattispecie – al

criterio ermeneutico dell’«analogia»75. Nell’opinione della Corte, la disposizione di

riferimento, regolatrice di «casi simili o materie analoghe», dovrebbe essere ricercata

nella disciplina dell’adozione (o, come oggi risulta, nella regolamentazione del

«diritto del minore ad una famiglia»)76. Tale disposizione viene, quindi, individuata

tra quelle «generali» dell’adozione ordinaria c.d. «legittimante»77, laddove si statuisce

che quest’ultima «è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni»,

senza che vi sia stata, nella loro «convivenza», alcuna intermedia soluzione di

continuità78.

Sulla scia delle indicazioni emerse dalla giurisprudenza costituzionale, ritiene,

dunque, la Corte che il criterio dei 3 anni di convivenza continuativa dei coniugi si

atteggi come un «requisito minimo presuntivo», a suffragio della «stabilità» del

rapporto matrimoniale79, ben potendo (anzi, dovendo) essere invocato – anche nella

fattispecie in esame, accanto ad altri elementi di ribadita analogia80 – quale

componente essenziale di quel limite dell’«ordine pubblico italiano»81, cui il previg.

art. 797, 1° comma, n. 7, c.p.c. ricollegava all’epoca dell’Accordo del 1984 (ed,

ultrattivamente, ricollega ancora oggi) l’eventuale diniego di delibazione delle

pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario.

75 Art. 12, 2° comma, disp. prelim. c.c. 76 L. 4 maggio 1983, n. 184, la cui attuale epigrafe si deve all’art. 1, 1° comma, della l. 28 marzo 2001,

n. 149. 77 Cfr., nella l. cit., l’art. 27, 1° comma : «per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio

legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome». Ciò vale anche per l’adozione pronunziata all’estero (art. 35, 1° comma), ma non nell’adozione «in casi particolari» (artt. 44 ss.). Sul punto, ad es., per altri riferimenti, cfr. Cass., Sez. I, 14.2.2011, n. 3572, in “Rep. Foro it.”, 2011, voce “Adozione”, n. 54, e, per esteso, in “Foro it.”, 2011, I, 728-732, con nota di G. De Marzo, 732.

78 Si legga, per completezza di informazione, l’art. 6, commi 1-2 e 4, della l. cit., nel testo modificato dall’art. 6 della l. n. 149/2001 : «1. L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve aver avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto. – 2. I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare. [3. ...]. - 4. Il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1 può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale dei minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.».

79 Si richiamano testualmente, a tale proposito, le considerazioni svolte – sia pur sulla versione originaria del cit. art. 6, anteriormente alle modifiche del 2001 – da Corte cost., 6.7.1994, n. 281, in “Rep. Foro it.”, 1994, voce “Adozione”, nn. 68-69, nonché, per esteso, in “Dir. famiglia”, 1994, 1197, e in “Giust. civ.”, 1994, I, 2706.

80 Primo fra tutti, il «distinguo», più volte ricordato, tra «matrimonio-atto» e «matrimonio-rapporto». 81 Il dato testuale della norma ultrattivamente applicabile impone – secondo il Supremo Collegio – di

escludere qualsiasi possibilità di riferimento all’«ordine pubblico internazionale», cui invece si richiamerebbe, per il riconoscimento in Italia delle sentenze straniere, l’art. 64, comma 1, lett. g, della l. n. 218/1995 (Cass., sez. I, 6.12.2002, n. 17349, in “Rep. Foro it.”, 2002, voce “Delibazione”, n. 11, e, per esteso, in “Foro pad.”, 2003, I, p. 62).

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Gli ultimi passaggi motivazionali del dictum cassatorio appaiono (soltanto in

parte) conseguenziali, rispetto a quelli sin qui esaminati.

Secondo il Supremo Collegio, il sostanziale rispetto dei termini dell’Accordo

fra Stato e Chiesa imporrebbe di reputare del tutto irrilevante, ai fini della

delibazione, qualsiasi distinzione fra i vizi genetici della nullità, accertati e dichiarati

dagli organi di giurisdizione ecclesiastica secondo l’«ordine canonico» in cui il

vincolo matrimoniale ha avuto «origine»82, giacché altrimenti il giudice italiano

attuerebbe una «inammissibile invasione» in tale giurisdizione, cui è riservata la

cognizione delle nullità matrimoniali. Non sarebbe invece di per sé ostativa alla

delibazione secondo i previg. artt. 796-797 c.p.c. – così aggiunge la Corte – la

riaffermata «specificità» dell’ordinamento canonico, purché quest’ultima venga

interpretata come garanzia di «esclusività» della disciplina sostanziale applicabile, ma

non già come «esclusività» anche «in termini di giurisdizione»83.

Vi è, infine, un rilievo conclusivo, di portata eminentemente processuale.

Posto che la convivenza (almeno triennale) dopo la celebrazione del

matrimonio, quale «situazione giuridica di ordine pubblico», appare caratterizzata,

come si é visto, da un complesso coordinato di diritti, di doveri e di responsabilità di

natura «personalissima», la preclusione che ne deriva – assume il Supremo Collegio84

– non sarebbe giammai rilevabile d’ufficio dal giudice, ma costituirebbe l’oggetto di

un’eccezione in senso proprio, deducibile dinanzi al giudice della delibazione85 dal

solo coniuge interessato, nei termini decadenziali previsti dal rito e con l’accollo

degli oneri probatori conseguenti86.

L’inevitabile corollario, che la giurisprudenza pressoché coeva (o

immediatamente successiva) non ha mancato di sottolineare, é dato dal fatto che la

predetta preclusione non sarebbe comunque in grado di operare, laddove l’istanza di

delibazione – a prescindere dalla variabile durata della predetta convivenza – venisse

82 Si richiama, qui, il punto 4, lett. b, del Protocollo aggiuntivo (retro, § 1), in rapporto all’art. 8, 2°

comma, del cit. Accordo, nonché con riferimento al can. 1055 c.j.c. (circa la natura di «sacramento» del matrimonio medesimo).

83 Il che, se fosse sostenibile, contrasterebbe altrimenti con l’art. 7 , 1° comma, Cost. e con l’art. 1 del cit. Accordo del 1984 (cfr., in tal senso, il § 3.8.2. della motivazione).

84 Cfr. la motivazione della sentenza in esame, sub § 4. Se ne veda la massima in “Rep. Foro it.”, 2014, voce “Matrimonio”, n. 23.

85 E non, quindi, per la prima volta nel susseguente giudizio di legittimità dinanzi al Supremo Collegio.

86 Oneri non certo lievi, in termini concreti, date le possibili difficoltà ontologiche di prova e le differenziate «disponibilità» (o «vicinanze») dei mezzi probatori utilizzabili.

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proposta da entrambi i coniugi, come é consentito dallo stesso Accordo del 198487,

con un «ricorso congiunto»88.

4. Ordine pubblico, protrazione temporale della convivenza fra coniugi

e preclusioni «a tempo», per la delibazione delle predette sentenze. Rilievi

critici.

Nel condividere in buona misura le critiche da più parti già evidenziate in

dottrina89, procedo per gradi e, partendo dal fondo, vado ad esporre talune mie

personali perplessità, che – lo ripeto – non scalfiscono, se non marginalmente, il

globale apprezzamento per l’accurata struttura motivazionale della sentenza in

esame, nonché per la piena attendibilità della ratio giuridico-politica cui essa

dichiaratamente si ispira90.

Anzitutto, nell’ottica processuale91, non mi persuade affatto l’ultimo rilievo

motivazionale, con il suo conseguente corollario, che ho ricordato poc’anzi.

Da tempo – nell’ambito di un indirizzo giurisprudenziale consolidato – il

«distinguo» fra eccezioni in senso stretto, opponibili dalla sola parte legittimata nei

termini preclusivi previsti dal rito92, ed eccezioni in senso lato, rilevabili anche

d’ufficio dal giudice senza limiti temporali, viene normalmente ancorato a un duplice

parametro. In questa prospettiva, si assume che l’uno (il più lineare e, forse, il più

facile) indurrebbe a configurare come tendenzialmente «tipica» la prima categoria,

postulando a suo fondamento l’esistenza di previsioni normative ad hoc, e perciò,

ogni qual volta la legge nulla dica in proposito, assicurando alla seconda un’area

indeterminata e «atipica» di massima espansione ; l’altro (forse, più ondivago e meno

agevole da applicare) si proporrebbe di ricondurre comunque entro la prima

categoria, pur in assenza di previsioni normative espresse, anche le eccezioni il cui

87 Per opportuni riferimenti, si rimanda retro al § 1. 88 Sul punto, ad es., si veda Cass., sez. I, 27.1.2015, n. 1495, in “Guida al dir.”, n. 8, 14.2.2015, pp.

24-26, con commento di S.A.R. Galluzzo, Un’eccezione rimessa alla disponibilità esclusiva delle parti, pp. 27-30 (ed ivi, p. 30, la conclusione, secondo cui lo stesso principio di tutela dell’affidamento del coniuge incolpevole, costituente la ratio ispiratrice dell’indirizzo giurisprudenziale in esame, per quanto di per sé «inderogabile», verrebbe comunque a rientrare nella «sfera di disponibilità del soggetto»). Ciò significa, in altre parole, che la mancata proposizione dell’eccezione o, addirittura, la proposizione di un ricorso di delibazione «congiunto» attesterebbe inequivocabilmente la bilaterale carenza di interesse alla «conservazione» del «matrimonio-rapporto», nato da un «matrimonio-atto» viziato ab origine secondo l’«ordine canonico».

89 Per altri rilievi e richiami, cfr., ad es., ancora : Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico”, cit., pp. 6-15; Quadri, Il nuovo intervento delle Sezioni unite, cit., in “Nuova giur. civ.”, 2015, II, 58-60, testo e note.

90 Tale ratio – come si diceva – si identifica nell’esigenza di salvaguardare, il più possibile, la tutela del legittimo affidamento del coniuge (per così dire) incolpevole, circa la «stabilità» e la «tenuta» temporale del «matrimonio-rapporto».

91 A me, ratione materiae, più familiare e congeniale. 92 Sono quelle, tanto per intenderci, cui si riferisce l’art. 112 c.p.c.

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fondamento razionale risieda nella titolarità di un diritto potestativo e/o nella

legittimazione all’esercizio di una corrispondente azione costitutiva93.

Benché si tratti di un indirizzo non sempre compatto94, non direi che, nella

sentenza in esame, il Supremo Collegio si sia consapevolmente fatto carico di

verificare con cura95, alla stregua dei suindicati criteri, la sostenibilità dell’opzione

adottata, intesa a qualificare come oggetto di un’eccezione in senso proprio –

rimessa alla disponibilità di una delle parti (o di entrambe, nel caso di ricorso

«congiunto») e quindi non rilevabile d’ufficio dal giudice – la «convivenza» (almeno

triennale) dei coniugi post matrimonium, da reputarsi preclusiva della delibazione di

una sentenza ecclesiastica di nullità.

Ma v’è di più, dato che il discorso inevitabilmente si amplia e si sposta dal

versante strettamente processuale a quello di diritto sostanziale.

In quest’ottica, il primo (e più delicato) problema risiede nella ritenuta

«disponibilità» privatistica degli interessi sottesi alla nozione di «ordine pubblico» –

quale che sia quella qui invocabile – in dipendenza (così afferma la Suprema Corte)

dalla natura «personalissima» dei diritti soggettivi coinvolti.

Nell’oscillazione degli orientamenti giurisprudenziali, proclivi ad invocare in

materia l’«ordine pubblico interno» e non già quello «internazionale» (sulla scia delle

indicazioni tratte dalla previgente norma processuale ultrattiva)96, non v’è dubbio

alcuno che entrambe le nozioni, al di là delle sfumature differenziali, trovino la loro

base unificante in un nucleo inviolabile di interessi e di valori pubblicistici – comuni,

si badi, non soltanto alla nostra Costituzione ed ai principi fondanti

dell’ordinamento italiano, ma anche alle principali Convenzioni internazionali,

sottoscritte dall’Italia, nonché alle «tradizioni costituzionali comuni» dell’Unione

93 Ove pure dominano – come si evince dall’art. 2908 c.c. – la «tipicità» e la «specialità» delle

previsioni normative. Su questi orientamenti, cfr., ad es., ex multis, Cass., sez. III, 24.11.2009, n. 24680, in “Rep. Foro it.”,

2009, voce “Procedimento civile”, n. 151. Per ulteriori rilievi e richiami, mi permetto di rinviare alla mia opera Le prove civili3, Utet Giuridica, Torino 2010, pp. 276-282, testo e note.

94 Si pensi, ad es., alle fattispecie di eccezione in senso proprio (o stretto), identificate dalla giurisprudenza consolidata, pur senza precisi riscontri testuali, nell’art. 1227, 2° comma, o nell’art. 1460 c.c. Sulla prima, cfr., ex multis, Cass., sez. III, 16.4.2013, n. 9137, in “Rep. Foro it.”, 2013, voce “Danni civili”, n. 122 ; Cass., sez. III, 25.5.2010, n. 12714, “ivi”, 2010, voce cit., n. 226 ; sulla seconda, Cass., sez. II, 16.3.2011, n. 6168, “ivi”, 2011, voce “Appello civile”, n. 33 , Cass., sez. III, 29.1.2010, n. 2038, “ivi”, 2010, voce “Procedimento civile”, n. 267.

95 Il riferimento-base, come si è visto, rimane quello dei diritti «personalissimi» coinvolti. 96 Si ricordi la menzione dell’«ordine pubblico italiano», contenuta nel previgente art. 797, 1° comma,

n. 7, c.p.c.

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europea – in cui si traduce l’esigenza «universale» di protezione e di tutela dei diritti

fondamentali dell’uomo97.

Se ciò è correttamente sostenibile (né si vede come possa essere altrimenti), a

prescindere dalla nozione di riferimento la sola ricaduta possibile – tanto sul piano

processuale, quanto su quello sostanziale – è data dall’assoluta «indisponibilità» (o

«non negoziabilità») di quei valori ed interessi pubblicistici, quale conseguenza

necessaria della loro (non meno assoluta e inderogabile) «inviolabilità». In altre

parole, il limite dell’«ordine pubblico», a prescindere dalla fisiologica «flessibilità» dei

suoi contenuti98, in termini ontologici o c’é o non c’é ; ma, se c’é, la sua rilevabilità

non può non rientrare, indefettibilmente, nell’officium judicis, quale che sia, in

proposito, l’atteggiamento (disgiunto od anche congiunto)99 palesato dalle parti in

lite.

Il formale «manicheismo» di quest’ultima affermazione, che a rigore conduce

ad escludere dalla nozione-base di «ordine pubblico» qualsiasi forma (diretta o

indiretta) di «disponibilità» privatistica, non mi sembra il frutto di una mera

postulazione teorica, trovando invece inequivoci supporti nell’ordinamento

positivo.

Ne offre una persuasiva conferma, ad es., l’evoluzione giurisprudenziale più

recente che – dapprima in Europa100 e poi anche in Italia – ha progressivamente

97 In tale contesto, nel quale (fra l’altro) si ripudia, a fondamento della nozione di «ordine pubblico»,

ogni richiamo riduttivo alla semplice «imperatività» cogente di determinate norme di diritto interno, cfr., da ultimo, a proposito del divieto di surrogazione di maternità, le considerazioni di Cass., sez. I, 26.9.2014, n. 24001, “ivi”, 2014, voce “Filiazione”, n. 77, nonché, per esteso, in “Foro it.”, 2014, I, 3408-3413, com nota di G. Casaburi, Sangue e suolo : la Cassazione e il divieto di maternità surrogata, 3414-3416, e in “Nuova giur. civ.”, 2015, I, 235-241, con commento di C. Benanti, La maternità é della donna che ha partorito : contrarietà all’ordine pubblico della surrogazione di maternità e conseguente adottabilità del minore, 241-249. Ma si aggiungano, per ulteriori rilievi, ad es.: Cass., sez. lav., 22.2.2013, n. 4545, e Cass., sez. III, 22.8.2013, n. 19405, in “Rep. Foro it.”, 2013, voce “Diritto internazionale privato”, nn. 29 e 31.

E’ comunque concorde – sulle nozioni di «ordine pubblico», di cui agli artt. 16 e 64, lett. g, della l. 31.5.1995, n. 218 – il trend giurisprudenziale ormai dominante (ad es.,, si veda, ex plurimis, Cass., sez. III, 22.8.2013, n. 19405, “ivi”, 2013, voce cit., n. 31).

98 «Flessibilità» nel tempo, condizionata perlopiù dalla relatività storica e dalla conseguente variabilità fenomenica (o, se si vuole, dall’«assetto variabile») di taluni dei suoi valori «fondanti».

99 Se così non fosse, dovrebbe ammettersi, in ipotesi, che il legislatore del 1985, nel ratificare l’Accordo Stato-Chiesa del 18 febbraio 1984, abbia, da un lato, previsto anche la proponibilità «congiunta» della domanda di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, dando tuttavia per scontata, dall’altro, in tale evenienza la sicura non operatività di una delle condizioni più importanti (quella, appunto, dell’«ordine pubblico») «richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere» (cfr. l’art. 8, comma 2, lett. c, della l. n. 121/1985, in relazione al punto 4 del Protocollo addizionale). Il che, francamente, mi sembra assurdo, se non, addirittura, contra rationem.

100 Si vedano, ad es., con specifico riguardo alle nullità (rilevabili ex officio dal giudice, al di là di qualsiasi preclusione) che colpiscono le clausole abusive, stipulate, a danno dei consumatori, in violazione di norme comunitarie : Corte giust. UE, 4.6.2009, n. 243/08, in “Foro it.”, 2009, IV, pp. 489-495 ; Corte giust. UE, 17.12.2009, n. 227/08, in “Dir. comm. internaz.”, 2011, 575, con nota di V. Tinto, Il potere del giudice di rilevazione della nullità di protezione, 581 ss. ; Corte giust. UE, 5.12.2013, C-413/12, 14.11.2013, C-537/12 e C-116/13, 30.5.2013, C-488/11, 30.5.2013, C-397/11, 21.3.2013, C-92/11, e 14.3.2013, C-415/11, in “Foro it.”

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esteso e generalizzato ad ogni tipo di azione impugnatoria l’area della (ormai

illimitata) rilevabilità ex officio delle nullità negoziali101 (e di quelle c.d. «di protezione»,

in particolare)102, in stretta funzione degli interessi pubblicistici ad esse sottesi103. E

un identico indirizzo si é ormai affermato da tempo – a maggior ragione, si

dovrebbe dire – nella disciplina (pur prevalentemente «dispositiva») del processo

civile ordinario, ogni qual volta ricorrano violazioni di norme e di principi

inderogabili, afferenti al c.d. «ordine pubblico processuale»104.

Il secondo (e non meno delicato) problema riguarda, poi, l’individuazione

praeter legem dei riscontri rinvenibili nel diritto interno105, a supporto dell’affermata

2014, IV, 33-40, con commento di R. De Hippolytis e A. Palmieri, L’elaborazione della Corte di giustizia in materia di clausole abusive : i poteri del giudice e il ruolo delle parti, p. 40, pp. 41-42.

101 Va da sé che il rilievo d’ufficio del giudice rimane sempre subordinato al rispetto del preventivo contraddittorio fra le parti, nonché soprattutto all’invalicabilità del divieto di «scienza privata» (art. 97 disp. att. c.p.c.), sull’indefettibile presupposto che la situazione giuridico-fattuale da rilevarsi d’ufficio già risulti ritualmente allegata (seppur per implicito) e comunque comprovata in atti, non importa per iniziativa di chi, grazie all’ampia portata del c.d. principio di acquisizione.

102 Si tratta, ad es., di quelle sancite, testualmente come tali, dal Codice del consumo (artt. 33-34 e 36 del d. lgs. 6.9.2005, n. 206), od anche di quelle previste nella disciplina dei contratti agrari (art. 23 della l. 11.2.1971, n. 11, in relazione all’art. 45 della l. 3.5.1982, n. 203) e di quella sancita in favore dell’investitore nella disciplina dell’intermediazione finanziaria (art. 23 del d. lgs. 24.2.1998, n. 58).

103 Nell’annoso susseguirsi di orientamenti giurisprudenziali intorno all’art. 1421 c.c. (a proposito dei quali, ancora mi permetto di rinviare, in sintesi, al mio vol. Le prove civili, cit., pp. 346-350, testo e note), basti ricordare, da ultimo, Cass., sez. un., 12.12.2014, n. 26242, in “Rep. Foro it.”, 2014, voce “Contratto in genere”, nn. 228-231, nonché in “Foro it.”, 2015, I, 862-909, ivi con commenti di : M. Adorno, Sulla rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale : il nuovo intervento delle sezioni unite, 909-916 ; A. Palmieri, R. Pardolesi, Nullità negoziale e rilevazione officiosa a tutto campo (o quasi), 916-921 ; F. Di Ciommo, La rilevabilità d’ufficio ex art. 1421 c.c. secondo le sezioni unite : la nullità presa (quasi) sul serio, 922-928 ; S. Pagliantini, Nullità di protezione e facoltà di non avvalersi della dichiarabilità : «quid iuris» ? ; S. Menchini, Le sezioni unite fanno chiarezza sull’oggetto dei giudizi di impugnativa negoziale : esso è rappresentato dal rapporto giuridico scaturito dal contratto, 931-943 ; A. Proto Pisani, Rilevabilità d’ufficio della nullità contrattuale : una decisione storica delle sezioni unite, 944-946.

104 Il caso emblematico – nell’ambito dei principi attinenti al contraddittorio o al c.d. ne bis in idem – é dato dall’eccezione di giudicato «esterno», che oggi (a differenza del risalente passato) viene pacificamente ritenuta rilevabile d’ufficio, al pari di quella di giudicato «interno», per le medesime ragioni di «pubblico interesse». Cfr., ad es., ex multis, Cass., sez. III, 7.4.2009, n. 8379, in “Rep. Foro it.”, 2009, voce “Cosa giudicata civile”, n. 17 ; Cass., sez. III, 22.6.2007, n. 14581, “ivi”, 2008, voce “Procedimento civile”, n. 130.

105 I supporti di diritto internazionale – cui la Corte Suprema pur legittimamente si richiama – mi pare colgano (come si suol dire) al di là del segno, provando forse troppo, in relazione all’obiettivo da essa perseguito. Ad es., l’art. 16, 1° comma, della Dichiarazione universale del 1948 si preoccupa specificamente di salvaguardare la piena eguaglianza dei diritti dei coniugi nel corso dell’intero rapporto matrimoniale, dalla sua instaurazione sino al suo scioglimento («1. Men and women of full age [….] are entitled to equal rights as to marriage, during marriage and at its dissolution») ; la Convenzione europea del 1950, dal canto suo, si cura di garantire, fra l’altro, il pieno «rispetto» della vita privata e familiare di ciascun individuo (art. 8, 1° comma), rinviando però, per la disciplina del «diritto di sposarsi e di formare una famiglia», alle leggi nazionali che ne regolano l’esercizio (art. 12 : «men and women of marriageable age have the right to marry and to found a family, according to the national laws governing the exercise of this right») ; pressoché identiche sono le previsioni contenute negli artt. 7 e 9 della Carta europea del 2000.

Da qui a sostenere che pure in tali disposizioni verrebbe riconosciuto il principio, in forza del quale il «matrimonio-rapporto» sia istituzionalmente destinato a prevalere comunque, in caso di scioglimento, sul «matrimonio-atto» e sui suoi eventuali vizi, il passo è tutt’altro che breve.

Del resto, parrebbero non meno sforzati ed ipervalutati gli stessi argomenti che, a suffragio della menzionata prevalenza del «matrimonio-rapporto» sui vizi del «matrimonio-atto», si vorrebbero desumere dagli artt. 29-31 Cost. ed, in particolare, dall’art. 29, ove si garantisce (per così dire) a tutto tondo, senza

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prevalenza del «matrimonio-rapporto», attraverso la protratta «convivenza»

coniugale, sui vizi che abbiano inficiato ab origine il «matrimonio-atto».

Se non erro, l’integrazione analogica, per via ermeneutica, delle eventuali

«lacune» del sistema normativo dovrebbe armonizzarsi e rendersi compatibile, in

ogni caso, con l’esigenza primaria di interpretazione stricto jure delle «norme che

fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi»106. Ne deriva che il ricorso

all’analogia parrebbe precluso a priori, laddove si proponga di assumere come

termine di paragone e di confronto taluna di siffatte norme «eccezionali»107. Ciò

induce, conformemente, a ritenere che l’ambito precettivo dell’«ordine pubblico»

debba essere determinato o ricostruito, in quanto possibile, sulla base di «principi

generali»108 e non già sulla scorta di norme «speciali», che ad essi rechino deroga.

Orbene, se è vero – come asserisce la stessa Corte Suprema nella pronunzia

qui in esame – che il sistema delle nullità del matrimonio civile prevede specifiche

cause di «decadenza» dalle azioni impugnatorie dei coniugi, per protratta

«coabitazione» (o «convivenza»), cui l’ordinamento tende ad attribuire, in funzione

del «matrimonio-rapporto»109, un’implicita efficacia di «sanatoria» (o di

«convalidazione») dei vizi genetici del «matrimonio-atto», mi pare altrettanto vero

che, a livello di «principi generali»110, si rendano ineludibili queste ulteriori

considerazioni :

specificazioni o differenziazioni finalistiche, la protezione dei «diritti della famiglia», nonché l’«eguaglianza morale e giuridica dei coniugi».

106 Vale il coordinamento fra l’art. 12, 2° comma, e l’art. 14 delle disp. prelim. c.c. 107 Di cui, tutt’al più, si ammette, non senza contrasti, un’eventuale interpretazione «estensiva». In

giurisprudenza, ad es., con riguardo ai cit. artt. 12 e 14 disp. prelim. c.c., si vedano, ex multis : Cass., 26.5.1986, n. 3536, in “Rep. Foro it.”, 1986, voce “Calamità pubbliche”, n. 15 ; Cass., sez. I, 26.8.2005, n. 17396, “ivi”, 2005, voce “Privilegio”, n. 13.

108 Uso l’espressione recepita dal cit. art. 12 , 2° comma, disp. prelim. c.c. D’altronde, è ormai corrente in giurisprudenza l’approccio definitorio che mira ad identificare il proprium del concetto di «ordine pubblico» interno in un «insieme di principi essenziali» della lex fori (così, ad es., Cass., sez. lav., 26.4.2013, n. 10070, “ivi”, 2013, voce “Diritto internazionale privato”, n. 30).

109 Si parla, in proposito, di un vero e proprio favor per la «conservazione del rapporto matrimoniale», ad onta dei vizi originari del «matrimonio-atto», in dipendenza dalla protratta successiva convivenza fra i coniugi.

110 Sul punto, mi pare sicuramente condivisibile – seppur inserita in un decisum conforme alla pronunzia qui in esame – l’affermazione (espressa da Cass., sez. I, 27.1.2015, n.1494, in “OLIR”, 6.2.2015) secondo la quale l’asserito «canone di ordine pubblico fondato sulla convivenza effettiva» dovrebbe scaturire da un «sistema» vero e proprio di regole, non già da una sola norma (nel caso de quo, dall’art. 120 c.c.), «... non potendo i principi di ordine pubblico essere la conseguenza diretta dell’articolazione di una singola norma interna ...». Sottoscrivo convintamente, sul piano metodologico : ciò che, però, non mi persuade (lo ripeto) é l’idea che un siffatto «sistema» normativo, da reputarsi come nucleo inderogabile di «principi» attinenti all’ordine pubblico, possa desumersi da norme «speciali», a loro volta derogatorie di principi «generali» diversi.

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1) sono rigorosamente eccezionali e «tipiche» le ipotesi di «convalida» (o, se

vogliamo, di «sanatoria») delle cause di «nullità» contrattuale, le quali in linea di

massima non sono, di per sé, «convalidabili»111 ;

2) non meno «speciale», seppur a maglie certamente più larghe, é la disciplina

della «convalida» (espressa o tacita) del contratto «annullabile»112 ;

3) coerentemente, le peculiari situazioni di «coabitazione» o di «convivenza»,

preclusive delle azioni di nullità matrimoniale113, siano esse configurabili

(tecnicamente) come «decadenze»114 oppure come «sanatorie», non possono non

dirsi, a fortiori, previste e regolate da disposizioni normative «speciali», per il cui

tramite il legislatore italiano ha inteso attuare «… un temperamento equitativo

degl’interessi della collettività e di quelli del singolo …»115 ;

4) inoltre, sono indiscutibilmente «speciali» e «tipiche», nel contesto del c.d.

«ordine pubblico processuale», le norme del processo, da cui sono previste le

«decadenze» in senso tecnico116.

D’altronde, é certo che proprio le «decadenze» di cui parliamo (sub 3-4) siano

razionalmente disciplinate dal legislatore ordinario in forma «speciale», al fine di

recare alcune mirate deroghe (nel nome di interessi reputati meritevoli di una

protezione differenziata) a quel «principio generale»117, costituzionalmente garantito,

111 Dall’art. 1423 c.c., infatti, si desume con chiarezza che il principio generale é, all’opposto, quello

della «non convalidabilità». Sul tema, per ulteriori spunti e riflessioni, cfr. la classica trattazione di R. Sacco, Le invalidità, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 10, Torino, 1982, pp. 469-506, sp. pp. 471 ss., 493-496.

112 Cfr. l’art. 1444, 1°-2° comma, c.c. Ma, nell’ottica delle eventuali sanatorie matrimoniali, non si dimentichi quanto restrittivamente prescrive il 3° comma, e cioè che la convalida per volontaria esecuzione del contratto viziato «... non ha effetto, se chi l’esegue non é in condizione di concludere validamente il contratto».

113 Che, al di là del preciso nomen juris (vedasi, sul punto, la Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Re sul c.c. del 1942, §§ 96-101, sp. § 96), si tratti non tanto di azioni di «nullità», quanto piuttosto di azioni di «annullabilità», o comunque di azioni costituenti un sorta di tertium genus avente caratteri misti delle une e delle altre, é da sempre un tema tradizionale, pur se oggi forse non più così sentito, del dibattito scientifico in materia. Si legga, al riguardo, l’esauriente sintesi di G. Ferrando, sub art. 117, in Codice civile3, a cura di G.Alpa e V. Mariconda, Tomo I, Milanofiori Assago, 2013, pp. 585-605, sp. pp. 587-588 ss. Nella dottrina meno recente, non si era mancato di prospettare l’opportunità di un più realistico (e lineare) «distinguo» fra vizi sanabili e vizi non sanabili : in tal senso, ad es., si veda M. Franceschelli, Il matrimonio civile : l’invalidità, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, vol. 2, Torino 1982, pp. 623-687, sp. pp. 644 ss., 665-666.

114 Sul punto, cfr. ancora Franceschelli, op. ult. cit., pp. 664-665. Si aggiunga per completezza, con riferimento alle decadenze sostanziali, in materie indisponibili, da cui possa derivare l’improponibilità dell’azione, quanto prevede, in generale, l’art. 2969 c.c.

115 In questi termini, a proposito della rinunciabilità delle nullità, cfr. ancora Jemolo, Il matrimonio, cit., pp. 177-178.

116 Come tali, rilevabili d’ufficio dal giudice non appena maturate, in quanto afferenti a materia indisponibile. Si veda, per maggiori informazioni e rilievi, il mio vol. Le prove civili3, cit., Torino, 2010, pp. 160-174, sp. pp. 161-164, testo e note.

117 Lo stesso «principio generale» viene recepito, autonomamente, anche dall’ordinamento canonico, quale cardine fondamentale di giustizia (art. 221, § 1., c.j.c. : «Christifidelibus competit ut iura, quibus in Ecclesia

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il quale assicura a «tutti» (in linea di massima, senza irragionevoli discriminazioni o

precostituite limitazioni e condizioni)118 il libero «accesso alle corti», ossia, nell’ottica

dei «diritti inviolabili dell’uomo», il «diritto al processo e alla giurisdizione», inteso

come potere di «agire in giudizio» per la tutela dei propri diritti ed interessi

legittimi119.

Ciò posto, non mi riesce di comprendere appieno in qual modo le Sezioni

unite del 2014, senza esprimersi o prendere posizione sui predetti profili, siano

riuscite a giustificare il loro, pur apprezzabile, intento di colmare in via ermeneutica

una «lacuna» del sistema ordinamentale italiano120, onde rafforzare – nell’ottica della

delibazione di cui qui si parla – un’adeguata nozione di «ordine pubblico» interno,

costruita fondamentalmente sull’inderogabile protezione dei «diritti inviolabili

dell’uomo», ai sensi dell’art. 2 Cost.

A maggior ragione, non mi sembra persuasivo, nella medesima prospettiva, il

richiamo analogico di un parametro minimo di durata del «matrimonio-rapporto»

(vale a dire : tre anni «almeno»), previsto dalle «disposizioni generali»

sull’adozione121. L’invocato termine di riferimento, infatti, al di là della sua

collocazione sistematica, si inserisce nel contesto di un vero e proprio jus singulare122,

la cui oggettiva «specialità» viene a caratterizzare la regolamentazione di una

peculiare situazione subiettiva (qual è il diritto all’adozione), che la stessa Corte

gaudent, legitime vindicent atque defendant in foro competenti ecclesiastico ad normam iuris» ; «Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro competente a norma del diritto»). Il che conferma le ragioni sistematiche, in forza delle quali le azioni di nullità del matrimonio canonico non siano subordinate ad alcuna condizione o limitazione «temporale» di proponibilità.

118 La cui presenza – pur non impedendo la possibilità formale di adire il giudice (ossia l’agere licere, certamente incomprimibile de facto) con la proposizione di una domanda giudiziale – precostituisce a priori l’esito del promosso giudizio, rendendo ineluttabile la declaratoria di inammissibilità e/o di impropnibilità di quella domanda. In tal modo, rimane a priori compromesso e devitalizzato l’accesso alle corti, come diritto costituzionalmente garantito.

119 Sul tema, per approfondimenti e rilievi comparatistici, mi permetto di rinviare al mio volume Etica e tecnica del «giusto processo», cit., Torino 2004, pp. 11-37.

120 Nel nome – lo ripeto – di una (del tutto razionale e giusta) tutela dell’affidamento del coniuge incolpevole.

121 Cfr., ancora, sulla richiesta «stabilità» del rapporto matrimoniale, l’art. 6, commi 1-3, della l. n. 184/1983.

122 Ci si riferisce, di solito, con tale definizione ad un corpus di norme speciali costituenti un circoscritto sistema di disposizioni soggette, per loro natura, ad un’interpretazione stricto jure, in base al cit. art. 14 disp. prelim. c.c. Per taluni spunti giurisprudenziali, al riguardo, cfr., ad es., Cass., sez. II, 22.10.1997, n. 10362, in “Rep. Foro it.”, 1997, voce “Alimenti”, n. 5 (a proposito dell’art. 447 c.c.) ; T. Napoli, 9.7.2002, “ivi”, 2003, voce “Matrimonio”, n. 125, e, per esteso, in “Nuova giur. civ.”, 2003, I, 578-580, con commento di F. Scia, Assegno di divorzio ed operatività della compensazione, 580-588 (ancora sul cit. art. 447 c.c.) ; T. Milano, 22.10.2012, “ivi”, 2013, I, 755-756, con commento di D. Farace, Note sul c.d. diritto di ritenzione e sul privilegio del vettore, 756-763 (a proposito delle norme sui privilegi mobiliari di cui agli artt. 2756 e 2761 c.c.).

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costituzionale non ha ritenuto, in passato, di dover ascrivere fra i «diritti inviolabili»,

garantiti dal cit. art. 2123.

5. – Osservazioni conclusive.

Nel ribadire il mio rispetto per l’accurata motivazione su cui si basa l’overruling

sancito dalla pronunzia in esame, ritengo siano ancora insuperabili, alla luce delle

suesposte critiche, gli argomenti sviluppati dall’orientamento overruled124.

Si ha la netta sensazione che – per una (pur giustificata) esigenza di tutela

dell’affidamento del coniuge cui non siano addebitabili le cause di invalidità del

matrimonio – la Suprema Corte abbia consapevolmente affrontato, nell’ottica

dell’«ordine pubblico», il rischio di una forzatura analogica, pur di ovviare in via

ermeneutica ad una lacuna ordinamentale che il solo legislatore italiano avrebbe il

potere-dovere di colmare125.

Permane tuttavia, sotto traccia, un sottile equivoco di fondo, assai resistente,

che pregiudica ancor di più le (già compromesse) sorti del matrimonio

concordatario, sul quale (ad onta del degrado morale dilagante in vasti strati della

società moderna) la grande maggioranza dei cittadini continua a fare assegnamento.

Il punctum dolens si identifica, da decenni, in quella «specificità»

dell’ordinamento canonico, di cui lo stesso Accordo del 1984 impone si tenga

conto126, nell’applicare le disposizioni normative italiane (non esclusa, a fortiori, quella

sull’ordine pubblico)127, che riguardano le condizioni di delibabilità delle sentenze

ecclesiastiche di nullità del matrimonio.

Di ogni possibile equivoco sarebbe giunta l’ora di liberarsi definitivamente.

Ma non penso sia cosa facile.

123 Cfr., in tal senso, a proposito dell’art. 6, 1° comma, della l. n. 184/1983, Corte cost., 6.7.1994, n.

281, in “Rep. Foro it.”, 1994, voce “Adozione”, n. 68 [con la seguente massima : «L’aspirazione dei singoli ad adottare non può essere ricompresa fra i diritti inviolabili dell’uomo; pertanto, è infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, 1º comma, l. 4 maggio 1983 n. 184, sollevata, con riferimento all’art. 2 cost., sotto il profilo che esso dispone che, ai fini dell’idoneità ad adottare i minori gli aspiranti siano uniti in matrimonio da almeno tre anni, escludendo i conviventi non sposati»]. La si consulti, per esteso, in “Giust. civ.”, 1994, I, 2706, in “Dir. famiglia”, 1994, 1107, e in “Nuove leggi civ.”, 1994, 1421, con commento di C. Fioravanti, Giudizio di costituzionalità sui principi della Convenzione di Strasburgo ?, 1428 ss.

124 Si rimanda, retro, a quanto si è anticipato nel § 1. 125 Ad es., rendendo invocabili in modo pieno, anche per i matrimoni concordatari dichiarati nulli, al

di là di quanto ancora prevede l’art. 18 della l. n. 847/1929, le forme di tutela predisposte per il «matrimonio putativo», nonché per i diritti e per le responsabilità dei coniugi in buona fede, dagli artt. 128, 129 e 129-bis, con le modifiche e con le integrazioni apportate dalla l. 19 maggio 1975, n. 151.

126 Il riferimento obbligato alla «specificità» dell’ordinamento canonico – nel punto 4, lett. b, del Protocollo addizionale – discende dal fatto che rientra nelle prerogative di quell’ordinamento (riconosciute dallo Stato italiano) la competenza esclusiva a regolare «il vincolo matrimoniale che in esso ha avuto origine».

127 Si ricordi che nel cit. punto 4, lett. b, sono richiamati, in blocco, i previgenti artt. 796 e 797 c.p.c.

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Se, per la disciplina sostanziale del c.d. matrimonio concordatario, la predetta

«specificità» presuppone – come si dà per scontato128 – una «riserva» esclusiva in

favore dell’«ordine canonico»129, va da sé che, anche nell’ottica dell’«ordine

pubblico», il livello di compatibilità fra i due ordinamenti debba essere

costantemente verificato (per così dire) in apicibus, ossia nella comparazione

omogenea fra i rispettivi «principi generali», e non già nel confronto, impari e non

omogeneo, tra «regole speciali», strutturalmente derogatorie, che siano presenti

nell’uno e nell’altro (o in uno dei due, a differenza dell’altro)130.

Ciò è tanto più vero, laddove, come nel caso nostro, la «specificità»

dell’ordinamento canonico si manifesti proprio nel confronto tra i «principi». In

quell’ordinamento, infatti, non c’é dubbio che costituisca un «principio generale» la

configurazione, in via esclusiva, di determinate cause di «nullità» originaria del

«matrimonio-atto» (senza alcuna possibile coesistenza di altre cause, concorrenti o

alternative, di «annullabilità», secondo le categorie civilistiche a noi familiari). Ed é

pure indiscutibile – quale correlato «principio generale» – l’assoluta «insanabilità» di

quelle stesse cause di «nullità», la cui sussistenza viene sempre ritenuta come «non

convalidabile», a prescindere dai comportamenti di parte o dalle successive vicende

del «matrimonio-rapporto», ben potendo essere fatta valere in giudizio sine die, con

l’esercizio incondizionato di un’azione dichiarativa (o di mero accertamento) dinanzi

al giudice ecclesiastico131.

Solo in quel confronto fra «principi» (e non già in una spuria comparazione

tra «principi» e «regole speciali») dovrebbe concretizzarsi – io credo – la «maggiore

disponibilità», che lo stesso Accordo del 1984 intende riservare all’ordinamento

canonico, grazie alla sua riconosciuta «specificità». Sicché, qualora – come ho tentato

di dimostrare poc’anzi – non siano specularmente configurabili nel nostro

ordinamento altrettanti «principi generali» contrari, da opporre a quegli altri (almeno,

nell’ottica dell’ordine pubblico «interno»), mi sembra debba in ogni caso prevalere la

menzionata «maggiore disponibilità» del nostro sistema nei confronti

128 Lo si ammette, a chiare lettere, nella stessa pronunzia del Supremo Collegio qui in esame, laddove (sub § 3.7.4.) si esclude qualsiasi «inammissibile invasione» del giudice italiano nella giurisdizione ecclesiastica, per quanto concerne non soltanto la tipologia dei vizi matrimoniali configurabili, ma anche il merito delle vertenze, il cui «riesame» é comunque precluso al giudice della delibazione, come ben si sa, dallo stesso Protocollo addizionale (punto 4, lett. b, n. 3).

129 Si riveda quanto si è detto, retro, nel § 2. 130 Previa restando, in tal caso, la loro strumentale riconfigurazione quali «principi generali». Ma sull’ammissibilità di siffatta riconfigurazione mi sono permesso di esprimere le mie perplessità

(supra nel § 4). Se, in forza di un consolidato «principio generale», l’ordinamento canonico non subordina ad alcuna condizione temporale di decadenza l’azione di nullità, per qualsiasi vizio di invalidità del matrimonio canonico, non parrebbe concepibile opporvi, ad es., come possibile ostacolo alla delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità, per ritenuta contrarietà all’ordine pubblico, un «regime speciale» composito (qual è quello desunto dagli artt. 119, 2° comma, 120, 2° comma, 122, 4° comma, e 123, 2° comma, c.c.) che nel nostro stesso ordinamento non dovrebbe poter assurgere al rango di «principio generale».

131 Sul punto, cfr. ancora Dalla Torre, “Specificità dell’ordinamento canonico”, cit., pp. 6-10, 11 ss.

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dell’ordinamento canonico (in funzione, lo si ripete, della sua riconosciuta

«specificità»)132.

Nell’indicata prospettiva, sarebbe dunque del tutto giustificato,

nell’ordinamento nostro, parlare di un ordine pubblico razionalmente «flessibile»133,

quale limite elastico da applicare alla delibazione delle sentenze ecclesiastiche di

nullità matrimoniale, in lineare coerenza134 con le inequivoche indicazioni che, pure

a livello generale, emergono dalle stesse norme di diritto internazionale privato sulla

delibazione delle sentenze straniere135.

KEY WORDS: religious marriage ; canonical form of marriage ; civil marriage ; right to marry and

to found a family ; married couples’ living together ; canonical marriages with civil effects in Italy ;

ecclesiastic final judgments, which annul or declare void those marriages ; limits and conditions for

their recognition ; italian (and international) public policy rules.

ABSTRACT: According to the 1984 Agreement between the Holy See and the Italian Republic,

modifying the 1929 Lateran Concordat, ecclesiastic final judgments, which annul (or declare void)

a canonical marriage with civil effects in Italy, are subject, on party motion, to a special recognition

procedure before the italian Court of Appeal and – apart from other conditions required – cannot

be recognised, at any rate, if contrary to italian public policy rules. With the 2014 decision herein

analyzed, the italian Supreme Court of Cassazione has reversed a previous different trend in

matrimonial matters and, for public policy reasons, has denied any possible recognition, whenever

the married couple has been living together for (at least) three years after the marriage

(subsequently annulled by the ecclesiastic courts). This essay aims at laying stress on the critical

questions involved in that last trend.

132 In altre parole : direi rimanga tuttora ben più convincente (in quanto non adeguatamente

smentito dalla pronuncia overruling) l’orientamento giurisprudenziale overruled, nel reputare irrilevante e non impeditiva, ai fini della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, la protratta «convivenza» coniugale post matrimonium.

133 Si riveda quanto si diceva poco sopra (nel § 2), circa il concetto di «incompatibilità» assoluta o relativa, in termini di «ordine pubblico», su cui si basava uno degli indirizzi giurisprudenziali del recente passato.

134 Finalmente (verrebbe da dire) ! 135 Occorre ricordare che – mentre nella disciplina italiana, sostituitasi agli artt. 17-31 delle disp.

prelim. c.c. (cfr. gli artt. 16 e 64, lett. g, della l. n. 218/1995), si parla tout court di «contrarietà» all’ordine pubblico – nella disciplina comunitaria europea il parametro di riferimento, da adottarsi quale specifico ostacolo alla delibazione, è dato dalla «contrarietà manifesta» alle regole nazionali. Si vedano in tal senso : l’art. 34 del Reg. CE n. 44/2001 («A judgment shall not be recognised : 1. if such recognition is manifestly contrary to public policy in the Member State in which recognition is sought ….. [omissis] …») ; e, per l’utilizzo dell’identica formula, in materia matrimoniale, l’art. 22, lett. a, del Reg. CE n. 2201/2003.