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Deleuze-Guattari, Berkoff, Testori. Percorsi anti-edipici tra filosofia e teatro contemporaneo Viviana Verdesca Sommario Come funziona una macchina “anti-edipica”? Quale ne è la cifra? Chi conosce l’opera filosofica elaborata dalla coppia Deleuze- Guattari, sa che l’aggettivo “anti-edipico” è come un marca- tore che segna la natura anti-idealistica di ciò cui si abbina. Ma, specificamente, quale idealismo passa per la figura edipi- ca? Lo studio, che si propone, traccia un percorso trasversale che, passando attraverso la tragedia di Sofocle, la dialettica di Platone e la storia dell’enigma, forte della riflessione filosofica di Deleuze-Guattari come anche di contributi teorici di altra pro- venienza, chiarisce in cosa consista l’idealismo che il program- ma anti-edipico avversa. Messa a nudo la struttura connaturata all’idealismo, il saggio passa a testare alcune strategie di rove- sciamento che, già funzionanti entro i testi di Deleuze-Guattari, orientano le leve interne fondanti la meccanica testuale di due autentici ordigni anti-edipici: Alla greca di Berkoff e Edipus di Testori. Copyright c 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera) Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattati internazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Le pagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca, scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per scopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma non limitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori) in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte di ITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportata anche in utilizzi parziali.

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Deleuze-Guattari, Berkoff, Testori.

Percorsi anti-edipici tra filosofia

e teatro contemporaneo

Viviana Verdesca

Sommario

Come funziona una macchina “anti-edipica”? Quale ne è la cifra?Chi conosce l’opera filosofica elaborata dalla coppia Deleuze-Guattari, sa che l’aggettivo “anti-edipico” è come un marca-tore che segna la natura anti-idealistica di ciò cui si abbina.Ma, specificamente, quale idealismo passa per la figura edipi-ca? Lo studio, che si propone, traccia un percorso trasversaleche, passando attraverso la tragedia di Sofocle, la dialettica diPlatone e la storia dell’enigma, forte della riflessione filosofica diDeleuze-Guattari come anche di contributi teorici di altra pro-venienza, chiarisce in cosa consista l’idealismo che il program-ma anti-edipico avversa. Messa a nudo la struttura connaturataall’idealismo, il saggio passa a testare alcune strategie di rove-sciamento che, già funzionanti entro i testi di Deleuze-Guattari,orientano le leve interne fondanti la meccanica testuale di dueautentici ordigni anti-edipici: Alla greca di Berkoff e Edipus diTestori.

Copyright c© 2009 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera)Il contenuto di queste pagine è protetto dalle leggi sul copyright e dalle disposizioni dei trattatiinternazionali. Il titolo e i copyright relativi alle pagine sono di proprietà di ITINERA. Lepagine possono essere riprodotte e utilizzate liberamente dagli studenti, dagli istituti di ricerca,scolastici e universitari afferenti al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca perscopi istituzionali, non a fine di lucro. Ogni altro utilizzo o riproduzione (ivi incluse, ma nonlimitatamente a, le riproduzioni a mezzo stampa, su supporti magnetici o su reti di calcolatori)in toto o in parte è vietato, se non esplicitamente autorizzato per iscritto, a priori, da parte diITINERA. In ogni caso questa nota di copyright non deve essere rimossa e deve essere riportataanche in utilizzi parziali.

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Dal 1972 (anno che corrisponde alla data di pubblicazione de L’Anti-

Edipo, ovvero della prima opera scritta dalla coppia Deleuze-Guat-tari1) l’espressione “anti-Edipo” ha preso a circolare negli ambienti

filosofici deleuziani e non, assumendo il valore di una parola d’ordine di-chiaratamente rivoluzionaria. Con la diffusione di quel testo l’espressione“anti-edipo”, che campeggia apertamente nel titolo, si è via via affermatacome l’immediato sinonimo di un’avversione all’idealismo radicale ed espli-cita. Coloro che conoscono l’opera deleuziana nel suo complesso sanno cheè nel segno di tale opposizione che Deleuze ha sviluppato il proprio lavorodi filosofo: il rovesciamento dell’idealismo è infatti ciò su cui fa leva il pro-gramma filosofico che Deleuze ha enunciato una volta per tutte, senza mezzitermini, in Differenza e ripetizione2 (opera prima e inaugurale del suo pro-prio pensiero originale) e al quale egli è rimasto fedele negli anni a seguire.Tra questi, a quanti hanno fatto “un certo orecchio” alla particolare vocazio-ne che muove la filosofia deleuziana marcandone l’intenzione, sarà talvoltacapitato di riconoscerne i toni anche altrove, magari frequentando le tavoledi un pittore, immergendosi nelle pagine di uno scrittore, o anche ponendo-si all’ascolto di componimenti musicali fino a quel momento mai ascoltati.Oppure incrociando lungo il proprio percorso opere teatrali congegnate co-me vere e proprie macchine rivoluzionarie. Occorrenza, quest’ultima, incui rientra il presente caso. Che Alla Greca di Berkoff3 e Edipus di Testo-ri4 rispondano alla medesima vocazione, caratterizzante l’opera filosofica diDeleuze e di Guattari, e che, in tal senso, consistano in ordigni anti-edipiciperfettamente architettati è infatti quanto ci si propone di chiarire nel corsodi questo studio.

Nel rispetto di tali propositi, ciò che occorre innanzi tutto specificareè la natura dell’anti-idealismo di cui si fa carico l’espressione anti-edipica.Formulando altrimenti, se la preposizione anti, tradotta dal greco, ha va-lore di “contro”, “avverso”, Edipo che valori si porta? Quali idee passanoattraverso Edipo e con Edipo? Quali ideali o idealismi? Per argomentareuna risposta soddisfacente è necessario battere tre vie che corrispondono,nell’ordine, all’esplicitazione di un determinato modello logico-concettuale,alla chiarificazione di uno specifico modello politico e alla evidenziazione di

1Qui di seguito l’elenco delle opere realizzate nel corso degli anni dalla coppia Deleuze-Guattari: G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia (1972), trad.it. di A. Fontana, Einaudi, Torino 1975; id., Kafka. Per una letteratura minore (1975),trad. it. di A. Serra, Quodlibet, Macerata 1997; id., Millepiani. Capitalismo e schizofrenia(1980), trad. it. di G. Passerone, 4 voll., Castelvecchi, Roma 1996-1997; id., Che cos’è lafilosofia? (1991), trad. it. di A. De Lorenzis, Einaudi, Torino 1996.

2Cfr. G. Deleuze, Differenza e ripetizione (1968), trad. it. di G. Guglielmi, Cortina,Milano 1997.

3S. Berkoff, “Alla Greca” in id., Alla Greca / Decandenze, trad. it. di G. Manfridi eC. Clerici, Gremese Editore, Roma 1991.

4G. Testori, Edipus, Rizzoli, Milano 1977. Quest’opera fa parte della cosiddetta Trilogiadegli Scarrozzanti, che comprende oltre all’Edipus, L’Ambleto (1972) e Macbetto (1974).

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un modello psicoanalitico. Fare emergere, portare alla luce tali modelli è illavoro preliminare che bisogna svolgere affinché sia possibile, successivamen-te, comprendere e valutare la cifra rivoluzionaria dei testi teatrali di Berkoffe di Testori, che per vocazione e intenzioni possono essere accomunati alla fi-losofia elaborata dalla coppia Deleuze-Guattari. Nell’imbastire le premesse,ci si avvarrà degli strumenti filosofici di cui, di volta in volta, ci armerannoDeleuze e Guattari, ma non solo: come sarà presto evidente, molti contributici perverranno anche da altre parti.

Questa nostra analisi del paradigma edipico comincia, pertanto, affron-tando il primo modello enunciato in testa alla serie che passa attraverso/conEdipo: il modello logico-concettuale. L’accesso più agevole alla questione(che è piuttosto complessa e che avrà funzione di “apripista” rispetto allealtre che seguiranno) lo ricaviamo incrociando due differenti studi: il primostudio, dedicato alle forme di sapere rintracciabili nell’Edipo re di Sofocle,ha come autore Mario Vegetti5, il secondo saggio è La nascita della filosofia

di Giorgio Colli6. Nel suo breve studio, Vegetti, basandosi sulla lettura dellatragedia di Sofocle, riconosce attraverso il personaggio di Edipo l’affermarsidi un modello di sapere più moderno rispetto al modello di sapere arcaicoche si trasmette nella forma dell’oracolo; secondo Vegetti, con Edipo prendeforma un genere di sapere conseguito con metodo, organizzato, ricavato per-correndo le vie della razionalità e indagando il vero. In particolare, sono duegli episodi, legati alla nota vicenda di Edipo, in cui tale modello di sapereha occasione di emergere chiaramente: l’indagine condotta da Edipo circal’assassinio di Laio e la soluzione dell’enigma della Sfinge, che vede Edipovincere sulla creatura mostruosa.

Senza discostarci dallo studio di Vegetti, concentriamoci sul primo epi-sodio e analizziamo il modo in cui Edipo sviluppa la sua inchiesta, provandoa mettere in evidenza gli aspetti di modernità caratteristici della sua in-dagine. In primo luogo, come Vegetti più volte sottolinea, l’indagine diEdipo si svolge nel segno della coppia ricerca/scoperta; termini, questi (“ri-cerca” e “scoperta”), che orientano l’intero testo dell’Edipo re, imponendoconseguentemente un repertorio terminologico consono7, e che la nostra sen-sibilità moderna riconosce come inizio e fine di ogni indagine che si vogliadire scientifica. La ricerca è condotta razionalmente: parte dalla necessità diesiliare l’assassino di Laio e viene svolta raccogliendo testimonianze indiret-te e dirette, nonché vagliando con metodo ogni genere di indizi; al terminedell’indagine sopraggiunge la scoperta, con la quale la ricerca si conclude. Econ la scoperta viene il momento della trasparenza, della visione chiara, cheproduce un sapere certo, stabile, e vero: nulla a che vedere con l’oscurità

5M. Vegetti, “Forme di sapere nell’Edipo re” in id., Tra Edipo e Euclide. Forme delsapere antico, Saggiatore, Milano 1983, pp. 23-40.

6G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 2007.7Vegetti nel corso del suo saggio presenta una buona campionatura di queste ricorrenze

terminologiche (cfr. M. Vegetti, op. cit., p. 24).

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dei responsi degli oracoli e dei veggenti, che annoverano il vecchio Tiresiatra le loro schiere. Altro aspetto da non trascurare è il carattere pubblicodell’inchiesta che Edipo conduce sotto gli occhi di tutti: tutti partecipanodel sapere e della chiarezza che vi si fa, che vi si produce. Passando oltre, ilrisultato, cui Edipo perviene, è un sapere che non solo si presenta come frut-to di indagine, basato su indizi empirici e conseguito grazie a un metodo, masi rivela anche capace di districare la progressiva sequenza temporale deglieventi. In questo senso, il sapere di Edipo si delinea con il tempo della storia;un tempo, quello della storia che è tutt’altra cosa rispetto all’intemporalitàche si abbina agli oracoli, dove quegli stessi eventi sono annunciati ma senzarispettare alcun rapporto con il tempo del vivere. Gli oracoli sono irrime-diabilmente intempestivi; basti pensare all’oracolo di Delfi che con i suoiresponsi determina la fuga di Edipo da Corinto, mettendo, per ciò stesso,Edipo sulla strada del parricidio e dell’incesto. Infine, il sapere, che Ediporappresenta, si rivela efficace e per questo vincente. Il metodo di ricerca diEdipo non conosce il fallimento. Nonostante il risultato nefasto per lo stessoEdipo8, l’indagine si conclude con successo, ossia si conclude positivamente,in quanto produce un sapere positivo, conseguito scientemente, con criterioe metodo. Quanto è efficace il sapere ottenuto da Edipo al fine di salvareTebe dalla sua ennesima ora nera, tanto sono inutili le rivelazioni di Tiresia,che anticipano sì a Edipo quello che sarà poi il risultato della sua stessaindagine9, ma intervenendo “fuori tempo”, a cose fatte, quando parricidio eincesto sono già stati consumati anni addietro.

Questi, dunque, in sintesi, i caratteri di modernità della ricerca di Edipo.In ogni caso, ciò che a noi importa è che tali aspetti testimoniano un cam-biamento, un progresso (se così vogliamo intenderlo) rispetto a un modellodi sapere più arcaico, che nella tragedia di Sofocle è incarnato dal vecchioTiresia10. Ora, per ben comprendere in cosa consista effettivamente questocambiamento, bisogna coglierlo “da dentro”, entro i due termini che lo tra-ttengono, individuando anzi tutto il punto di partenza e il punto di arrivo,che segnano inizio e fine del processo di mutamento. Per fare questo occorrepassare a valutare il secondo episodio della vicenda di Edipo che avevamogià indicato: quello della soluzione dell’enigma della Sfinge. Il cambiamen-to, che stiamo cercando di studiare, si può infatti cogliere seguendo le sortistesse dell’enigma, rintracciandone comparsa evoluzione e superamento nellemaglie della storia del pensiero.

8Come sottolinea Vernant, Edipo, suo malgrado, si trova a essere contemporaneamentesoggetto e oggetto d’indagine, investigatore e indagato. Cfr. J.P. Vernant, Mito e tragedianell’antica Grecia, trad. it. di M. Rettori, Einaudi, Torino 1976 (del medesimo autore siricorda anche Mito e tragedia due. Da Edipo a Dioniso, trad. it. di C. Pavanello e A. Fo,Einaudi, Torino 2001).

9Sofocle, “Edipo re”, trad. it. di M. Valgimigli, in C. Diano (a cura di), Il teatro greco.Tutte le tragedie, Sansoni, Firenze 1980, pp. 292-295.

10Sulla forma di sapere impersonata da Tiresia si rinvia a M. Vegetti, op. cit., pp.31-33.

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Se è attraverso il filone di vicende, entro cui il manifestarsi e scompariredell’enigma si inseriscono, che diverrà leggibile il cambiamento che abbia-mo riscontrato nel testo sofocleo, allora risulta evidente per quale ragionenon potremo fare a meno di affidarci allo studio di Colli, precedentementecitato. Infatti, ne La nascita della filosofia Colli descrive una serie di tappeprecise dalle rivelazioni degli oracoli e della mantica alla sapienza antica,fino alla filosofia, indicando, in particolare, proprio nell’enigma, nella sfidache l’enigma rappresenta per il raziocinio, il nodo critico da cui ha presole mosse la sapienza antica per poi, successivamente, piegare nella filoso-fia. Si potrebbe dire che l’enigma ha come provocato con la sua formula disfida la nascita della sapienza antica. Ora, limitandoci all’essenziale, Collifissa nell’enigma arcaico la prima tappa del percorso, che sviluppa nell’arcodel suo saggio: enigmatica è la parola del dio che si esprime per il trami-te dell’oracolo. Per interpretare la parola divina intervengono gli espertinella divinazione, che nel mondo greco corrispondono a figure rispettate co-me sacre del calibro di Tiresia, per fare un esempio. Secondo la lettura diColli, all’oscurità del responso spetta manifestare l’eterogeneità di mondiche tiene separata la dimensione divina dalla dimensione umana. La sa-pienza divina calandosi, discendendo nel linguaggio degli umani precipitanell’ambiguità, nell’allusività, nell’oscurità. Il messaggio del dio è come unaluce che manifestandosi agli uomini si stempera, arrivando quasi spenta.

Sempre secondo lo studio di Colli, già in età arcaica l’enigma tende asepararsi dalla sfera divina di provenienza e dalla sfera religiosa di com-petenza, per divenire oggetto di una disputa tutta umana per la sapienza.Questo progressivo umanizzarsi dell’enigma, questo suo diventare una que-stione tutta umana, è stato contemporaneo alla nascita dei sapienti, che hasostituito alla dimensione divina della manifestazione dell’enigma il caratte-re agonistico di una competizione tra due o più sapienti (non più interpretidivini, dunque), coinvolti nella risoluzione di un rompicapo enigmatico: nelsaperlo risolvere consiste a tutti gli effetti la loro sapienza. Da non tra-scurare che sullo sfondo di tale competizione comincia a prendere corpo ilconcetto di un sapere, di una conoscenza che non è oscuramente trasmessa,data, ma che deve essere costruita, deve essere frutto di un qualche tipo diricerca, oggetto di una qualche conquista. L’enigma, in questa seconda fasein cui si culla la sapienza antica, si caratterizza per la forma contraddittorianella quale è enunciato11.

11Colli, a questo proposito, menziona la definizione dell’enigma data da Aristotele, percui l’enigma consiste nel dire cose reali collegando cose impossibili (cfr. G. Colli, op. cit.,p. 56). A sua volta la definizione di Aristotele suona enigmatica: come è possibile infattiche, mettendo insieme degli impossibili, si possa ricavare l’indicazione di qualcosa di reale,ossia trovare, indovinare una corrispondenza con un che di reale? Ciò che è impossibile,non appartiene difatti al reale; ciò che è impossibile non è nulla di reale. Ebbene, l’allusioneè possibile architettarla facendo ricorso alla metafora, grazie alla quale si spiegano i pontiapparentemente irreali tra impossibili.

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Rispetto alla competizione tra sapienti, che prende spunto dall’enigma,il passaggio successivo, descritto da Colli, segna l’avvio verso l’elaborazionedi un pensiero astratto, razionale, discorsivo. Tale passaggio è reso possibiledalla comparsa della dialettica, intesa come arte della discussione tra dueo più persone. È alla pratica della dialettica che, stando a Colli, si deveil progressivo maturare di una ragione sempre più formata, articolata, diuna logica sempre meno elementare, accompagnata da una crescente capa-cità teoretica. Ora, in cosa consiste l’arte dialettica che si sviluppa nellafase matura dell’età della sapienza? Cosa prevede? Perché si dia un con-fronto dialettico, occorrono innanzi tutto un interrogante e un rispondente:l’interrogante propone una domanda in forma alternativa, presentando cioèi due corni di una contraddizione (per esempio: l’esistenza dell’individuo èpredeterminata o libera?). Il rispondente, interpellato, formula una sua tesi,ossia sposa un corno dell’alternativa che gli è stata proposta (per esempio: èpredeterminata). A questo punto, il compito dell’interrogante è dimostrarela proposizione che contraddice la tesi del rispondente (per esempio: dimo-strare che la vita dell’individuo è libera). L’interrogante assolve il propriocompito mediante una serie articolata e incalzante di domande, le cui rispo-ste devono portare il rispondente a contraddire la propria tesi. Se questo nonsuccede, significa che a vincere è il rispondente (allora risulterà vincente latesi per cui la vita dell’individuo è predeterminata). In sintesi, la dialetticaintesa come arte della discussione consta in una serie incalzante di doman-de e risposte articolata fino alla vittoria di una tesi tra due opposte, messein competizione. È importante osservare la parentela stretta che vincolala dialettica all’enigma: entrambe, infatti, si fondano su una sfida e fannoperno sulla contraddizione. Nel caso dell’enigma si tratta di vincere risol-vendo una contraddizione; nel caso della dialettica si tratta di non perderecadendo in contraddizione. Questo dato comune serve a Colli, nell’economiadella sua ricerca, per comprovare la derivazione della dialettica dall’enigmadei sapienti.

Ciò che a noi occorre, in ultimo, osservare è che il carattere agonisti-co della dialettica comporta una potente carica distruttiva: l’interrogante,infatti, mira a demolire la tesi dell’avversario rispondente, quale ne sia ilcontenuto. Il che equivale ad ammettere che qualunque giudizio può essereconfutato (secondo l’esempio che abbiamo di volta in volta proposto, sia latesi per cui la vita individuale è predeterminata, sia la tesi per cui quellastessa è definita libera possono essere argomentate come false). A secondadelle circostanze, a seconda della bravura dei dialettici a confronto, l’esitodi una medesima disputa (predeterminazione o libero arbitrio) può essererovesciato. Emerge, pertanto, la necessità di volgere in costruttiva quellalogica dialettica che si era rivelata onnidistruttiva. Semplificando, è entroquesto quadro che Parmenide interviene fissando, una volta per tutte, che

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ciò che è, è; mentre ciò che non è, non è12 (per cui, tornando al nostroesempio, ciò che è predeterminato, è predeterminato; mentre ciò che non èpredeterminato, non è predeterminato, ma è libero).

Dopo l’intervento di Parmenide, la dialettica da arte della discussionetout court muta con Platone nello strumento per mezzo del quale giungerea definire ciò che è, vale a dire ciò che, in quanto tale, resta immutato, nonsoggetto al cambiamento. In altre parole, con Platone la dialettica è pro-mossa a metodo; il metodo con cui ricercare il reale, il vero (che, per suanatura, non può essere oggetto di contraddizione, né pertanto può esserefalsificato). Ebbene, nella dialettica platonica intesa come metodo razionaledi indagine e di ricerca volta a conseguire un sapere certo, chiaro e chiaritorispetto a eventuali e presunte contraddizioni, ritroviamo compiuto e forma-lizzato quel modello di sapere incarnato dal personaggio di Edipo nell’Edipo

re sofocleo13. Possiamo, quindi, tirare una prima conclusione riconoscendonella dialettica platonica il punto di arrivo di quel cambiamento riguardantela forma del sapere, iniziato con la sapienza greca e partito ancor primadalla parola divina. Ora, poiché per i nostri fini la dialettica platonica sirivela cruciale, occorre dedicarle un approfondimento particolare.

La dialettica platonica consiste in un procedimento definitorio, volto adeterminare (definire, per l’appunto) ciò che è. Come è risaputo, si trattadi un metodo gnoseologico, ossia finalizzato a regolamentare e a produrre laconoscenza del reale, il quale, corrispondendo a quanto resta perennementeimmutato, non soggetto al cambiamento, si traduce in un sapere a sua voltastabile, immutabile, inconfutabile, in una parola: definitivo. E, del resto,come già poc’anzi si scriveva, il sapere che si consegue stando alle regolemetodiche della dialettica, si produce, si fa attraverso la definizione, ossiatracciando letteralmente dei confini, dei limiti tra ciò che è e ciò che non è. Laconoscenza, che deriva dalla dialettica, è pertanto una conoscenza definitivanella misura in cui definisce ciò che è, distinguendolo da ciò che non è.Descrivendone più specificamente il funzionamento, occorre precisare che ladialettica prevede due momenti: quello noto come unificazione sinottica equello conosciuto come analisi diairetica. Il primo momento consiste, percosì dire, nell’individuare il campo semantico in cui cade genericamente ciòdi cui occorre dare definizione; il secondo momento prevede che si procedaentro quella stessa area semantica progressivamente secondo tagli nel mezzo,fino a giungere a un termine ultimo che, pertanto, chiude l’analisi14.

Volendo guardare più praticamente a un esempio, può essere di qual-

12Cfr. Parmenide, I frammenti, trad. it. di F. Trabattoni, Marcos y Marcos, Milano1985.

13Senz’altro di questa maturazione rende conto anche il tempo, la cronologia: Sofoclenacque nel 495 a.C. e morì nel 406 a.C.; mentre l’anno di nascita di Platone è il 427 a.C. ,e l’anno di morte corrisponde al 347 a.C. Giusto per avere un ulteriore riferimento, Edipore è datato approssimativamente intorno al 430 a.C.

14Cfr. Platone, Fedro, 265 C – 266 C.

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che utilità considerare la celebre prova, che Platone dà del proprio metodonel Sofista, dove viene articolata la definizione della pesca con la lenza. Inquesta occasione, la prima demarcazione di confine, tracciata da Platone,si gioca all’interno di una massimamente generica arte, divisa tra arte di

produzione e arte di acquisizione, che nella fattispecie porta a escludere laprima a favore della seconda; il taglio successivo suddivide l’arte di acqui-sizione in acquisizione mediante caccia e acquisizione mediante cattura: dinuovo Platone procede escludendo la prima opzione e tenendo come buonala seconda; in ultimo si ritaglia il genere di acquisizioni mediante cattura indue sezioni, distinte secondo il movimento che descrive il gesto di predazione:la cattura, infatti, può avvenire con un colpo dall’alto verso il basso oppurecon un colpo dal basso verso l’alto. Il primo movimento, quello di sinistra,descrive la pesca con la fiocina; il secondo movimento, quello di destra, èquello riconosciuto come “buono”, in quanto definisce la pesca con la lenza,che era l’obiettivo di mira. Ripercorrendo la serie di selezioni, operate sulfronte della definizione, la pesca con la lenza si delinea nei termini di un’arte

di acquisizione esercitata mediante cattura sfruttando un movimento di pre-

dazione dal basso verso l’alto15. Così, il procedimento dialettico attraversoi suoi bivi e i suoi scarti verso destra consegue in ultimo l’essenza invariantedi ciò che definisce (in questo caso la pesca con la lenza), esaurendo con laconoscenza logico-dialettica, che in tal modo si acquisisce, tutto ciò che c’èda sapere al riguardo di quanto lì si determina. L’intero procedimento dia-lettico si schematizza in un diagramma definitorio, che è concluso quando ladiairesi raggiunge il termine ultimo, il termine che non può essere sottopostoa un ulteriore processo divisorio. Per ragioni di chiarezza, si propone qui diseguito lo schema cui si è fatto cenno, portando nuovamente a esempio ladefinizione della pesca con la lenza riportata nel Sofista platonico:

Arte

arte di produzione arte di acquisizione

acquisizione mediante caccia acquisizione mediante cattura

con un colpo dall’alto al basso con un colpo dal basso all’alto

Non solo la dialettica è un metodo che mira alla definizione, ma la dialet-tica è il metodo per definizione, in quanto, come è stato ben esemplificato, la

15Cfr. Platone, Sofista, 218 E – 221 C. Volendo affiancare a questo celebre esempioun ulteriore caso, proponiamo di costruire dialetticamente una definizione dell’uomo: in-nanzi tutto ritagliamo entro il più generico “essere vivente” le due opzioni regno vegetalee regno animale; procedendo nel verso di quest’ultimo, distinguiamo l’animale acquaticodall’animale terrestre; quindi, dividiamo l’animale terrestre in quadrupede e bipede; lavo-rando su quest’ultimo gruppo, distinguiamo tra bipede piumato e bipede non piumato;infine tra i non piumati riconosciamo quelli dotati di artigli e quelli muniti di unghie lar-ghe. Raccogliendo le opzioni “di destra” (quelle proposte per seconde), ciò che si ottienecorrisponde a ciò che l’uomo è.

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dialettica (ovvero il discorso definitorio) si ritaglia la sua via (odòs) tagliandonel mezzo (metà).

Ora, continuando a frequentare la filosofia platonica, ciò che si defini-sce tramite il metodo dialettico equivale all’Idea. Per cui, definendo, peresempio, ciò che l’uomo invariabilmente è, quanto si delinea corrisponde allasua Idea, ovvero a nient’altro che alla realtà e alla verità dell’uomo. Infat-ti, la realtà e la verità dell’uomo consistono in ciò che l’uomo da sempreè, e pertanto riguardano l’umanità intera, l’innumerevole schiera degli uo-mini passati, presenti e futuri. In questo senso, l’Idea di uomo si imponecome universale e trascendente, superando, come fa, i vari uomini in car-ne e ossa, e raccogliendoli sotto la propria imperitura unità. A propositodella popolazione di individui, questi ultimi sono indicati da Platone comecopie, riproduzioni, incarnazioni sensibili dell’Idea di uomo, che invece èunica e intelligibile (ossia oggetto di ragionamento, di pensiero). Conside-rata l’eterogeneità che sussiste tra copie sensibili (gli uomini) e Idee (l’Ideadi uomo), Platone introduce la ben nota distinzione tra il mondo sensibile(che è il mondo delle copie) e il mondo sovrasensibile o intelligibile (che èil mondo delle Idee). Tra la copia e l’Idea (che quella medesima copia ri-corda) Platone evidenzia un rapporto di somiglianza: è lecito affermare cheil singolo uomo riproduce e incarna l’Idea di uomo a sua immagine e somi-glianza. Ne deriva che, quando due copie sensibili riproducono la medesimaIdea, queste si dicono simili e risultano somiglianti; questo, fermo restandoche la somiglianza tra due copie simili si determina in rapporto all’Idea cheentrambe imitano (pertanto, se per esempio riconosco in due oggetti distintidue sedie è perché in entrambe riconosco l’Idea di Sedia, alla quale senz’altrocorrisponderà una definizione precisa).

Se la cosa (la sedia) è una copia (ossia la riproduzione sensibile dell’Ideadi sedia), va da sé che la parola che designa la cosa (la parola “sedia”) ècopia di copia, ovvero simulacro. La parola non coincide con la cosa, nési colloca al suo stesso livello: nella gerarchia platonica la parola rappre-senta un ulteriore scadimento rispetto all’Idea16. Questo perché se è veroche ogni cosa sensibile riproduce l’Idea di cui è copia, non è sempre veroche chi indica la cosa con la parola, ne riproduca conoscendola anche l’Idea.Esemplificando17: il falegname che produce un letto, nel costruirlo deve perforza di cose attingere dal concetto di letto, deve inevitabilmente rifarsi aquel sapere, a quell’Idea; diversamente, chi parla (come anche chi, il letto,lo dipinge), può simulare un sapere che non possiede. In linea di massima,è possibile parlare di qualunque cosa senza nulla saperne (a sua volta, di-

16Stando a Deleuze, l’autentica linea di frontiera, che Platone traccia a fondamento delproprio sistema filosofico, non corrisponde alla separazione tra mondo sensibile e mondosovrasensibile, ma coincide con la differenza stabilita tra copia (icona) e simulacro (fan-tasma). Cfr, G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit.; id., “Platone e il simulacro”, inLogica del senso (1960), trad. it. di M. de Stefanis, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 223-234.

17L’esempio, che segue, si richiama a Platone, Repubblica, X, 597 D sgg.

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pingere non implica una cura conoscitiva maggiore riguardo all’oggetto delleproprie opere). Ebbene, in queste poche righe, in cui si è raccolta sintetica-mente la differenza tra la ricerca logica del sapere e la sua simulazione, sigioca la diversità che separa il filosofo e il sofista (che, come è noto, Platoneacremente avversa). Per cui, a seconda dei casi la parola può avere valoredi mero simulacro, designando semplicemente la cosa (sorta di copia di co-pia, pressoché incorporea), oppure può esprimere il concetto (ossia l’Idea),che attraverso la parola è significato. La necessità, sostenuta da Platone,di sviluppare un discorso intorno a ciò che è, ispirato al vero e tendente alreale, e pertanto finalizzato al conseguimento di un sapere certo e stabile,ci consente l’occasione di un rapido ritorno a ritroso attraverso le tappe dellavoro di Colli, incentrato sugli sviluppi dell’enigma, fino a giungere in vi-sta dell’Edipo re, dove quella stessa esigenza è stata colta nel suo affiorareattraverso il modello di sapere incarnato da Edipo18.

«Sta bene. Ricomincerò io da principio; farò io la luce»19, così intervieneEdipo dopo aver ascoltato da Creonte il verdetto di Apollo. Il metodo razio-nale che Edipo applica nel corso della sua indagine, tesa a rivelare l’identitàdell’assassino di Laio, non funziona in maniera diversa rispetto alla dialet-tica platonica: come quest’ultima, infatti, si incarica di fare chiarezza, discoprire il vero (ossia come sono realmente le cose) e si basa sul principiodi non contraddizione. Così, Edipo diviene incompatibile con il destino diparricida (nonostante la predizione dell’oracolo), quando, essendogli annun-ciata la morte di Polibo, ritenuto fino a quel momento suo padre naturale,egli riconosce di non esserne in nessun modo responsabile. Né Edipo puòriconoscersi come assassino di Laio, fintantoché resta valida la testimonianzadel servitore, unico testimone, secondo cui è stato un un gruppo di ladronia commettere il delitto. «Che furono più ladroni a uccidere Laio: così tumi assicurasti che quell’uomo diceva. Se dunque egli dirà ancora allo stessomodo, che erano più persone, l’uccisore non sono io, perché uno non potràmai essere eguale a più»20: nelle parole, che Edipo rivolge a Giocasta, nonpuò passare inosservata l’esplicitazione finale della contraddizione in terminidi Uno e Molti. Sulla scorta di ragionamenti simili a questi, tenendo sem-pre ben fermi i principi di identità e di non contraddizione, Edipo procedenella sua indagine scartando quelle ipotesi che si rivelano contraddittorie,incoerenti rispetto a dichiarazioni e fatti, fino a giungere, in conclusione, aconoscere il vero. Ed il vero è ciò che resta al termine di tutti gli scarti diipotesi, al termine di ogni eliminazione di contraddizione, ossia al terminedi ogni e-purazione dal falso.

18In ragione di quanto è stato precedentemente illustrato, si ribadisce che la dialettica diPlatone si sviluppa in continuità rispetto al modello di sapere portato in scena dall’Edipodi Sofocle. Difatti, in entrambi i casi si risponde alla necessità di sviluppare e formalizzareun metodo logico di conoscenza vera e certa.

19Sofocle, “Edipo re”, in op. cit., p. 289.20Ibid., p. 301.

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Gli stessi criteri valgono nell’episodio della soluzione dell’enigma del-la Sfinge, che secondo la sua formulazione più diffusa recita così: qual èl’animale che al mattino ha quattro zampe, a mezzogiorno ne ha solo duee alla sera tre? Ora, per definizione, non si dà essere vivente avente con-temporaneamente quattro, due e tre zampe. Pertanto, fuori di metafora, sitratta di riconoscere ciò che resta identico una volta sciolta ogni apparen-te contraddizione: l’uomo. Egli infatti al mattino (da piccolo) cammina agattoni, a mezzogiorno (da adulto) cammina sulle due gambe, e alla sera(da vecchio) cammina con il bastone. La chiave dell’enigma risiede nelladefinizione dell’uomo, che fa cerchio attorno all’oggetto-uomo adulto, ossiaall’uomo compiuto. In questo senso, l’uomo preso nella sua età adulta co-stituisce il parametro rispetto al quale si valuta l’infante (che ancora non haraggiunto la posizione eretta) e il vecchio (che difficilmente riesce e mante-nerla). Nel caso della soluzione dell’enigma, si tratta dunque di chiarire lacontraddizione, ossia di scioglierla, eliminando nel corso della ricerca ognifalso indizio fuorviante.

Ora, tornando all’Edipo re di Sofocle, proviamo a considerare alcuni passitratti dalla tragedia sulla base delle riflessioni finora sviluppate. Di ritor-no dall’oracolo, ecco alcune parole pronunciate da Creonte: «anche le cosedifficili, se infilano la via dritta, possono riuscire a bene tutte quante [corsi-

vo mio]»21. Tiresia, rivolgendosi a Edipo: «tu hai gli occhi per vedere, main che punto sei di miseria non vedi [. . . ] te che ora vedi chiaro e dritto,e dopo vedrai tenebra solamente [corsivo mio]»22. Coro (primo stasimo):«[. . . ] ma non sarà mai che io, prima di giudicare dritta al vero la paroladi uno, se colui è malèdico mi arrenda alla sua maldicenza [corsivo mio]»23.Ebbene, la via dritta che porta al vero, al sapere stabile e certo non è forsela linea metodica che si perfeziona nella dialettica? Ossia quella stessa cheè stata evidenziata nel diagramma definitorio che è stato riportato proprioallo scopo di sottolinearla? E ancora, non si tratta forse della medesimavia che Edipo traccia e segue nel corso della sua indagine come anche nellarisoluzione dell’enigma? Guardando, infatti, al tragico epilogo della vicendadi Edipo, osserviamo come la tragedia si consumi quando il quadro delleparentele si chiarisce una volta per tutte, per cui Edipo si scopre marito efiglio della propria madre, padre e fratello dei propri figli24. Se si riprende il

21Ibid., p. 288.22Ibid., p. 294.23Ibid., p. 295.24Nel testo dell’Edipo re di Sofocle non si contano le ripetizioni e le ridondanze che

esprimono la complicata situazione familiare di Edipo. Ne riportiamo qui di seguito soloalcune. Tiresia, rivolgendosi a Edipo: «e poi c’è una turba di altri guai che tu non conosciancora, i quali faranno eguale te a te stesso, e te ai tuoi figli» (Sofocle, “Edipo re”, inop. cit., p. 294); sempre Tiresia: «e anche si scoprirà che egli è al tempo stesso fratelloe padre dei figli coi quali vive, e insieme figlio e marito della donna da cui nacque, e chefecondò col suo seme lo stesso grembo fecondato dal padre» (ibid., p. 295); Coro (terzostasimo): «ahimè, insigne capo di Edipo! Te accolse, figlio e marito, il medesimo porto

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diagramma definitorio tagliato sull’esempio della pesca con la lenza, si puòconstatare come la prima divisione, la prima articolazione dello schema sifaccia tra acquisizione e produzione; applicando tale circostanza dialetticaal caso familiare di Edipo, risulta corretto constatare che, rispetto alla vita,marito e moglie (in quanto genitori) cadono dalla parte della produzione,mentre il figlio cade dalla parte dell’acquisizione: è sufficiente questo ragio-namento per mostrare logicamente escluso il caso di un individuo marito efiglio della medesima donna (moglie e madre), accadendogli di stare dall’unae dall’altra parte dell’alternativa dialettica relativa alla generazione. Lo stes-so ragionamento, lo stesso criterio vale a proposito della dissonante coppiapadre/fratello: il padre, infatti, cade dalla parte della produzione della vi-ta; diversamente, il fratello cade dalla parte di chi la vita l’acquisisce (nellospecifico dai medesimi genitori). Ancora una volta l’identità di Edipo siesplicita come logicamente insostenibile, inaccettabile, in contraddizione; equesto proprio in forza degli stessi procedimenti logici che Edipo promuovee rappresenta.

Certo, bisogna ricordare che i gravi delitti di Edipo (parricidio e incesto)sono stati compiuti involontariamente, anzi proprio nel corso di una strategiadi comportamento deliberatamente rivolta a evitare il compimento del fatoche gli oracoli avevano annunciato. L’errore e, quindi, la colpa di Edipoconsistono in un difetto di conoscenza, ovvero nel fatto di non aver saputo“vedere”. Così infatti si esprime Edipo, rivolgendosi alle figlie: «io fui, ofiglie, che cieco allora della mente, senza vedere e senza cercare di sapere,mi scoprii di avere fecondato quel grembo da cui ero stato generato io stesso[corsivo mio]»25. Ora, una mente cieca è una mente che non vede; ma che

la mente possa vedere è una faccenda affatto trascurabile, in quanto conl’ammissione di tale specie di visione diviene immediatamente scontato cheagli occhi della mente spetti osservare uno specifico oggetto, su cui puntarela propria attenzione (che, va da sé, non corrisponde all’oggetto di visionecomune, ossia l’apparenza sensibile). Secondo Platone, è agli occhi dellamente che tocca di diritto cogliere il reale, scorgere il vero, afferrare ciò cheè al di là delle comuni apparenze. E, ovviamente, è con tali occhi mentaliche si procede dialetticamente, nel corso del ragionamento che definisce ciòche è; quegli stessi occhi che Platone ha aperto al centro dell’anima perchéfosse possibile accogliere la visione delle Idee26 (è risaputo che il terminegreco idea deriva dal verbo greco che significa vedere). L’accecamento, concui Edipo rabbiosamente si punisce, può dunque ben indicare il ripudio di

nuziale che accolse il padre tuo. [. . . ] tu che fosti, e da anni, generato e generatore»(ibid.); Servo: «[. . . ] la sciagurata [riferito a Giocasta], duplice prole aveva partorito, dalmarito un marito e figli dal figlio» (ibid., p. 309); Edipo: «o nozze, o nozze! Voi [. . . ]mostraste alla luce del giorno padri che sono fratelli dei propri figli e figli che sono fratellidel proprio padre, [. . . ] e spose che sono mogli e madri del loro marito» (ibid. p. 311).

25Sofocle, “Edipo re”, in op. cit., p. 312.26Cfr. C. Sini, I segni dell’anima, Laterza, Bari 1989.

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Edipo nei riguardi di quella contraddizione che, nonostante le abilità logicheche gli sono state riconosciute, non può certo risolvere. E proprio perchérimane fedele al suo metodo logico, alla fine Edipo se ne esce di scena comeinnocente; colpevole di incesto e prima ancora di parricidio, eppure puro difronte alla Legge della logica, e alle sue regole. Quelle stesse leggi e regolelogiche che si sono affermate con Edipo, subito dopo l’evento sanguinosodell’assassinio di Laio, quasi a suggerire che la ragione dialettica, col suofare chiarezza e col suo imporre la purezza, altro non cela se non un’origineviolenta.

Del modello logico-concettuale, che passa con e attraverso il “sistemaEdipo”, si è ampiamente detto; pertanto, è venuto il momento di analizzare ilsecondo modello che avevamo incluso nell’elenco d’esordio (successivamentetoccherà al paradigma psicoanalitico, che, come è facile intuire, si incentrasulla scoperta freudiana del noto “complesso di Edipo”).

«Figli miei, ultimi nati dall’antico Cadmo, perché siete qui presso questialtari, e avete con voi supplichevoli rami incoronati di bende? [corsivo mio]»,domanda Edipo, aprendo così la tragedia di Sofocle; e subito dopo, ancora:«figli miei, quanta pena mi fate e quanta pietà! [corsivo mio]»27. Re Edipoutilizza un linguaggio esplicitamente paterno nei riguardi dei suoi sudditi.Il potere che incarna, ossia il potere della Legge, fa sì che Edipo si riconoscanel ruolo del padre, attribuendo ai suoi sudditi il ruolo dei figli. Ebbene, checosa passa attraverso quelle poche e precise parole: figli miei? Una rispostaa tale quesito, per essere argomentata, non può evitare di intraprendere unabrevissima incursione tra le pagine del Timeo di Platone. Come è risapu-to, in questo dialogo platonico dell’età matura, il filosofo greco racconta inquale modo abbia avuto origine il mondo. In breve, si tratta di spiegare inquale modo le cose sensibili, di cui abbiamo esperienza, siano state formate,generate. Se infatti le Idee sovrasensibili sono primarie (ossia corrispondonoa ciò che sempre è), in quanto tali, non possono che risultare ingenerate;tutt’altro discorso vale per le copie sensibili, che invece, soggette come sonoal mutamento e alla variazione, derivano essendo generate. Nel raccontarecome il mondo e la sua popolazione di copie abbiano avuto generazione,Platone distingue tre generi, tre nature: il genere soprasensibile, che riguar-da la natura delle Idee (che non sono altro che principi intelligibili, sempreidentici a se stessi); il genere sensibile che riguarda quanto risulta generato(ossia le copie sensibili delle Idee); e infine un genere terzo (la chora) cosìdetto perché non appartenente né al genere delle cose sovrasensibili né algenere delle cose create. Il terzo genere è, infatti, puro sostrato materico,materia amorfa, senza forma. Detto questo, cosa accade con la generazione?Secondo il racconto di Platone, l’Idea segna come un sigillo tale sostrato dipura materia (che assolve una funzione analoga a quella della cera) impri-mendogli la propria forma; ciò che così risulta è la copia sensibile dell’Idea,

27Sofocle, “Edipo re”, in op. cit., p. 287 e p. 288.

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che pertanto si forma in base al modello ideale28.Platone paragona la chora alla cera della tavoletta di scrittura, all’oro

che fondendo passa da una forma all’altra, alla base inodore del profumo;oltre a queste analogie ne aggiunge anche un’altra, quella con l’utero dellafemmina29. Rimanendo su quest’ultimo riferimento analogico, che si rife-risce alla generazione tout court, non è difficile riconoscere negli elementicoinvolti i tre generi, di cui parla Platone: ciò che è generato corrispondeinfatti al figlio; ciò in cui il figlio è generato corrisponde alla madre; e «ciòda cui ricevendo somiglianza si genera ciò che è generato [corsivo mio]»30

corrisponde evidentemente al padre. Ciò che attraverso questo modello siafferma è indubbiamente il principio maschile; ma cosa significa, cosa com-porta tale modello? L’affermazione del principio dell’Uno e del Simile. Datali principi deriva che il figlio, per essere riconosciuto come legittimo, devesomigliare al modello, ossia al padre (un po’ come questa sedia, per esse-re riconosciuta come tale, deve somigliare all’Idea di sedia). Secondo taleprospettiva, il figlio è a tutti gli effetti nel segno (e nel nome) del padre, lacui autorità è fuori discussione in quanto il padre stesso è l’indiscusso autore

(ovvero il creatore).«Figli miei», recita Edipo. E quando pronuncia queste parole, Edipo è

il re indiscusso di Tebe: i suoi dettami sono Legge31 e, in quanto tali, sonoprincipio di giustizia. Giusto è il decreto di Edipo; “buoni” sono, invece, isudditi nella misura in cui gli obbediscono, ossia nella misura in cui si ade-guano all’ordine del re Edipo32. Occorre notare che il verbo “adeguarsi”,nel rispetto della derivazione latina (ad-aequo), indica un indirizzarsi, lette-ralmente un tendere verso l’equo, verso ciò che è giusto; per estensione, piùgenericamente adeguarsi significa rapportarsi a un parametro. Ed è proprioin questo senso che, nella misura in cui si rapportano alla legge, obbeden-dole (ossia prendendola a modello, a riferimento), i cittadini di Tebe, il lorocomportamento possono essere definiti giusti (sia ben chiaro che ciò che ègiusto, ciò che è bene – il Giusto, il Bene – spetta alla legge definirlo; mentreai cittadini tocca il dovere di adeguarsi a quanto decreta la legge). Ora, ifigli rispettano l’autorità del Padre così come i cittadini rispettano l’autorità

28Cfr. Platone, Timeo, 47 E – 50 C.29Ibid., 50 C – 50 E.30Ibid., 50 D.31Vale come esempio l’ordine che Edipo impartisce ai suoi sudditi, nel momento in cui

si fa carico della ricerca dell’assassino di Laio al fine di liberare Tebe dalle sue sventure:«il colpevole dell’omicidio, chiunque egli sia, a tutti i cittadini di questa terra dove ioho trono e potere, faccio divieto che lo accolgano in casa, che gli rivolgano la parola. . . »(Sofocle, “Edipo re”, in op. cit., p. 291).

32Edipo, dopo aver pronunciato il suo ordine e lanciato la sua maledizione: «a coloroche non faranno questo, prego gli dei che nessun frutto venga su dalla terra, nessun figliodalle loro donne, e muoiano distrutti dal morbo che ora ci affligge e da una calamità anchepeggiore. Agli altri Cadmei, a quanti di voi approvate le mie parole, sia sempre alleataGiustizia, siano sempre benigni tutti gli dei» (Sofocle, “Edipo re”, in op. cit., p. 292).

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della Legge. Nell’uno come nell’altro caso si tratta di somigliare a un mo-dello che si impone come “autore”: i cittadini, dal canto loro, sono, esistonoin rapporto alla Legge (è la Legge che forma la comunità dei sudditi); i figli,dal canto loro, sono tali in virtù di un padre da cui sono riconosciuti. I figliillegittimi (quelli che non somigliano al padre) sono esclusi dal nucleo fami-liare, non diversamente da quanti, non obbedendo alla legge, sono espulsidalle mura della città, o reclusi entro le mura carcerarie. La famiglia come loStato si epurano dai non conformi. E nel rispetto di quanto si è argomenta-to, aggiungiamo che al termine della vicenda di Edipo non è solo il metodorazionale di indagine adottato ad affermarsi come valido, ma anche il prin-cipio di autorità della Legge non fallisce. Edipo, colpito dall’ordine e dallamaledizione pronunciata contro l’assassino di Laio, quando ancora parlavada re, decidendo di adeguarsi alla condanna dell’esilio, conferma l’autoritàsovrana della Legge.

Mentre il modello logico-concettuale e quello politico sono stati ricavatiattingendo dalla tragedia di Sofocle e intrecciando tra loro tradizioni filo-sofiche e contributi saggistici di varia provenienza, il modello psicoanaliticoovviamente non può che rinviare al lavoro di ricerca di Freud, costringendocicosì a un salto temporale che ci precipita alla fine del XIX secolo e alle so-glie del XX secolo33. Ciò che è noto come “complesso di Edipo” descrive untriangolo di relazioni familiari, che nell’economia della teoria psicoanaliticadi Freud, serve a spiegare il processo di maturazione del bambino maschio;processo di maturazione che prevede come fasi l’identificazione con il pa-dre, al quale il bambino desidera sostituirsi, e il desiderio di possesso dellamadre34. Secondo tale lettura, il parricidio e l’incesto commessi da Edipo,protagonista tragico dell’opera di Sofocle, rappresentano in scena i desideriinconsci dai quali il figlio si deve emancipare. Ora, detto questo, quandonel 1972 Deleuze e Guattari intitolano il proprio testo L’Anti-Edipo, esatta-mente cosa hanno di mira? L’assunzione del “complesso di Edipo” a valoredi schema. Nell’attacco feroce che Deleuze e Guattari conducono contro lapsicoanalisi, ciò che essi denunciano è la funzione che “il complesso di Edipo”assolve in qualità di parametro, di schema di riferimento assoluto rispettoalle produzioni dell’inconscio, valendo per tali manifestazioni come codiceinterpretativo assoluto e per la psicoanalisi come dogma di portata universa-le35. Semplificando la critica mossa dalla coppia Deleuze-Guattari, il trian-

33Un quadro estremamente dettagliato del dibattito scaturito intorno all’interpretazionefreudiana di Edipo è tracciato nel corso del primo capitolo del seguente saggio: G. Padua-no, Lunga storia di Edipo Re. Freud, Sofocle e il teatro occidentale, Einaudi, Torino 1994,pp. 15-70.

34La rimozione, la censura di tale desiderio parricida e incestuoso è ritenuta da Freud lacausa determinante e scatenante delle nevrosi; pertanto è facile comprendere l’importanzafocale che tale teoria assume nell’ambito della riflessione di Freud e nell’ambito della storiadella psicoanalisi in genere.

35Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 54sgg.

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golo papà-mamma-bambino si cristallizza con Freud nello schema che spiegai sogni, i comportamenti, le nevrosi, per dirla in una parola: l’inconscio. Inaltri termini, quanto Deleuze e Guattari denunciano, guardando ai principifondanti della psicoanalisi, è la manovra in base alla quale “il complesso diEdipo” è assunto da Freud in qualità di regola (leggi: Idea) che governal’inconscio. Ogni caso clinico si risolve, si chiarisce, diviene leggibile unavolta che sia stato rapportato al modello, ossia una volta che sia stato ri-condotto al triangolo edipico. In pratica, le manifestazioni dell’inconsciorisultano trattate al pari di ogni cosa sensibile che, secondo quanto prescrit-to dall’ordinamento filosofico platonico, si risolve necessariamente nella suaIdea modellante.

Stando a quanto sostengono Deleuze e Guattari, se è vero che a Freudsi deve la scoperta dell’inconscio, sempre a Freud si deve la Legge che loregolamenta, il Principio su cui si modellano i suoi fantasmi. Accade cosìche l’inconscio, giusto scoperto, si trasformi subitaneamente in teatro, unteatro dove continuamente va in scena lo Stesso (vale a dire: innumere-voli copie, riproduzioni, versioni dello Stesso copione). Ciò che la coppiaDeleuze-Guattari avversa nel L’Anti-Edipo è, dunque, l’affermarsi come do-minante del principio dell’Uno e del Simile anche nei territori dell’inconscio.Si ricorda, infatti, che, nel corso di questo stesso lavoro, il medesimo domi-nio dell’Uno e del Simile è stato individuato nel modo di procedere logico-concettuale che affiora nell’opera tragica di Sofocle, ossia nel modo di ope-rare del personaggio Edipo, fino a maturare nei dialoghi di Platone. Inoltreabbiamo riconosciuto il principio dell’Uno e del Simile come operante an-che nel modello politico che emerge nell’Edipo re e che tutt’oggi fonda ogniStato di diritto, perché costituisce e regola il rapporto tra i cittadini e laLegge. Quando si affermava che l’espressione “anti-Edipo” doveva essereintesa come una decisa avversione all’idealismo, ebbene ciò che attraversoquella formula si dichiarava di voler sovvertire è proprio l’imposizione delprincipio dell’Identico (dell’Uno, del Medesimo) come ideale, ossia come va-lore di riferimento36. E, come è stato illustrato, tale idealismo permea ognidimensione, ogni livello: quello del ragionamento, quello del metodo, quellodel linguaggio, quello politico, finanche quello dell’inconscio. Conosciamo,parliamo, ci esprimiamo a voce e per iscritto, viviamo in comunità puntel-landoci, rapportandoci, facendo riferimento a ciò che rimane fermo, identico;questo perché, concomitantemente, è l’identico, ossia l’invariante, che dettala regola, la legge, lo schema su cui ci si forma e a cui ci si conforma.

Deleuze singolarmente e la coppia Deleuze-Guattari concordemente han-no elaborato delle strategie di rovesciamento dell’idealismo; quell’idealismoche abbiamo cercato sommariamente di denudare e di denunciare come som-messamente onni-operante. Mostrare tali strategie è quanto attualmente ci

36Rispetto al principio dell’Uno, dell’Identico, la stessa somiglianza non è che unimmediato derivato: infatti, due cose si somigliano in rapporto a un identico.

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proponiamo di fare, visitando quelle macchine-testo che sono Alla Greca diBerkoff e Edipus di Testori37, veri e propri ordigni anti-edipici, come prestovedremo.

Alla Greca è un ardito riadattamento della tragedia di Sofocle, Edipo

re; anche in questo testo di Berkoff, come del resto nel testo sofocleo, ilparricidio e l’incesto aleggiano sulla scena come presenze invisibili ma cio-nondimeno determinanti. Dimenticata Tebe, è Londra, e per estensionel’Inghilterra di Margot (leggi: Margaret Tatcher), a fare da sfondo alla vi-cenda di Eddy/Edipo; una capitale, quella londinese, percorsa da violenteondate di scioperi e stretta nel pugno delle forze dell’ordine schierate in cam-po con i manganelli alzati; il tutto condito dalle deflagrazioni assordanti deiripetuti attentati irlandesi e dalle irruente incursioni di frotte di hooligans

scozzesi. Venendo alla trama, è possibile sintetizzarla in questi termini: unacoppia in gita in barca sul Tamigi perde il proprio bimbo in fasce a causa diun’esplosione che rovescia tutti i gitanti in acqua. A raccogliere il neonatoancora vivo, sottraendolo alle acque fluviali, una coppia che in riva al Tamigisi godeva la bella giornata. La coppia decide di allevare il piccoletto, senzadenunciarne il ritrovamento. Dopo molti anni, i genitori di Eddy (così lacoppia chiama il bambino), impressionati dalle nefaste premonizioni di unozingaro indovino, una delle tante attrazioni della consueta fiera di Pasqua,spingono il figlio ad abbandonare le desolanti mura domestiche e ad andarein cerca di fortuna. Eddy si trasforma presto nel ricco gestore di un bar;questo, dopo averne ucciso il proprietario e sposata la moglie. Trascorre unadecina di anni; sulla città si abbatte la peste: Eddy, eroicamente, si offre didebellarla nell’unico modo possibile, ovvero sfidando la Sfinge e risolvendo ilsuo difficile enigma. Per festeggiare la vittoria e il ritrovato benessere, Eddye la moglie decidono di invitare in casa propria gli anziani genitori che Eddynon incontrava dal suo allontanamento. È in questa occasione che la coppiasvela a Eddy quanto era rimasto fino allora celato, raccontando le circostan-ze del suo fortuito ritrovamento; quindi, segue precipitosamente la scopertadel vincolo incestuoso che lega Eddy alla madre/moglie. Naturalmente, nonè questa la successione con cui gli eventi della vicenda si dispiegano nel testo;Alla Greca comincia con l’allontanamento da casa di Eddy e, a partire daqui, l’opera dipana lentamente la matassa della sua trama: come nel testodi Sofocle, nulla è chiaro fino alla fine.

Abbozzata sommariamente la trama, è utile passare ad analizzare treepisodi specifici, che si rivelano significativi nella prospettiva di quel rove-sciamento dell’idealismo che connota questo testo come peculiarmente “anti-edipico”. Il primo degli episodi, che ci interessano, riguarda l’uccisione daparte di Eddy del proprietario del Caffè; uccisione che avviene nei termini

37Paduano dedica al testo di Berkoff alcune pagine del saggio precedentemente citato(G. Paduano, op. cit., pp. 239-24), senza mancare di occuparsi anche dell’Edipus firmatoda Testori (ibid., pp. 227-230).

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che seguono:

Padrone Che diavolo succede, si può sapere cos’hai da alzare la vocemerdosissimo coglione / vaffanculo!

Eddy Prego come? Nessuno mi ha mai parlato in questo modo!

Padrone L’ho appena fatto io.

Eddy Ti cancellerò dalla faccia della terra.

Padrone Ti ridurrò a una pastafrolla e ti servirò come dessert.

Eddy A pezzi ti farò: a pezzi / ti strapperò gambe e braccia e le daròin pasto ai porci.

Padrone Ti piglierò a calci fino alla morte ti calpesterò punto perpunto ti sventrerò con coltellacci per scarnare ti scorticherò vivo(i due mimano la lotta).

Eddy Colpire fendere smembrare far soffrite accoltellare pugnalare.

Padrone Fracasso scasso ammazzo strazio squarcio stronco uccido.

Eddy Stronzo scazzo strappo spezzo.

Padrone Spruzzo offendo arrendo stendo orrendo smoccio.

Eddy Esplodo grido furia affogo rogo stacco stocco.

Padrone Smerdo lordo stronzo smorzo fiacco sangue acciso.

Eddy Emorragico svenato tumefatto frantumato fendo schianto le ma-scelle sbriciolate il collo rotto.

Padrone Mollo crollo ah il costolame schiodo ah l’agonia lo scalpelloper il ghiaccio mi si pianta crocefigge.

Eddy I testicoli strappati scucchiaiati i begli occhietti son palline daping pong ping pong spezzo i fili dei nervetti strappo strappo leunghie strappo.

Padrone Morde inghiotte succhia tira.

Eddy Più colpisci più hai potere più colpisci più hai potere.

Padrone Più son fiacco.

Eddy Più son forte.

Padrone Debolissimo.

Eddy Potente.

Padrone Moribondo.

Eddy Vittorioso.

Padrone Si è così.

Eddy Whow è fatta.

Cameriera Dio l’hai ucciso / mai mai mi ero resa contro che le parolepotessero uccidere, così mai!38

38S. Berkoff, op. cit., pp. 41-43.

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Come è evidente si tratta di un duello verbale, che vede fronteggiarsiEddy e il gestore del Caffè (alias il padre naturale di Eddy), il quale se neesce sconfitto e ucciso. Letteralmente ucciso, perché il proprietario del Caffèè di fatto massacrato a parole. Una raffica di parole si lancia e ricade, orasulla testa dell’uno, ora sulla testa dell’altro, come una tempesta di colpi:sono parole, ma sono anche armi affilate, corpi contundenti che offendo-no e all’occorrenza difendono nel corso di questo straordinario accanimento“fisicoverbale”. Educati all’incorporeità della parola, di norma si dà perscontato che la parola, quando ferisce, non possa che farlo metaforicamente,quasi fosse uno sparare a salve. Ora, per uccidere a colpi di parole, del tuttofuor di metafora, occorre che il linguaggio “faccia corpo” con la cosa o conl’azione che dice; dunque, ciò che subentra al posto del consueto gioco dirimandi linguistici di parola in cosa e di cosa in parola, ciò su cui si fondail duello “fisicoverbale”, di cui Berkoff dà prova, è l’indistinzione tra parolae cosa, tra verbo e azione, una reciproca aderenza speciale e anomala (notabene: l’a-nomalia implica di per sé la negazione della regola, la violazionedella norma). «Tu dici “carro”, e un carro passa attraverso la tua bocca»39

recita un noto paradosso stoico. Ebbene, che la parola faccia corpo con lacosa, che il verbo abbia la stessa efficacia dell’azione che esprime, causan-done i medesimi effetti, rappresenta un doppio senso: duplice è, infatti, ilsenso dello scontro che avviene nel Caffè coinvolgendo parimenti Eddy e ilproprietario, “fisicoverbale” per l’appunto.

Se è vero che è connaturata al paradosso l’affermazione simultanea didue sensi40, allora il duello, che determina la morte violenta del padrone delCaffè, può essere detto a ragione paradossale. E come il paradosso, anche ilduello, che si svolge a parole sulla scena teatrale, presenta un funzionamentoanomalo. In cosa consista tale anomalia è presto chiarito: la norma cui iltesto contravviene è la regola dell’idealismo dialettico, che si muove a sensounico sul binario dell’alternativa o. . . o. . . (o parola o cosa). Affermandodue sensi contemporaneamente e superando d’un salto la coppia di criterivero-falso, il paradosso si chiama fuori dal dominio del principio di noncontraddizione; così anche il duello tra Eddy e il gestore del Caffè, che nonvale per ciò che è detto o per ciò che è fatto, ma per ciò che è dettofattoe fattodetto (nulla che possa essere ponderato secondo i parametri del veroe del falso, essendogli del tutto estraneo). Funzionando nel modo che si èdescritto, l’ordigno del paradosso scompagina la via dritta (e unica) che illogos traccia puntando al vero ed eliminando il falso (viaggiando, come siscriveva, sul binario ristretto dell’alternativa “o. . . o. . . ”); si comprende,pertanto, come tale episodio possa costituire un primo attacco all’idealismo,

39Cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII 187.40Ricaviamo tale definizione del paradosso da: G. Deleuze, Logica del senso, cit.; te-

sto, questo, che Deleuze sviluppa secondo serie di paradossi, preferendo la proliferazio-ne delle serie all’organizzazione classica e sistematica del saggio filosofico, che prevedeun’articolazione secondo capitoli e paragrafi.

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destabilizzando la scena con il paradosso di un duello davvero inedito.Il secondo episodio, che s’intende porre all’attenzione, riguarda la so-

luzione dell’enigma della Sfinge. Occorre innanzi tutto premettere che laSfinge, «la Cantatrice ambigua»41 di Sofocle, incarna sulla scena il fem-minile (per “femminile” si intende la capacità di generare che dalla donnasi estende fino alla Terra, ossia fino all’incommensurabile grembo di tuttele cose generate)42. Ciò che nello specifico a noi interessa è che la Sfingerappresenta quanto resta emarginato nel racconto che Timeo narra sullagenerazione del creato. A proposito di tale narrazione, precedentemente èstato osservato come il principio, che dà la forma, coincida con il maschilee come il generato (ovvero il prodotto, il figlio) nasca conformandosi a taleprincipio. Rispetto alla generazione o, meglio, rispetto al tema dominantedella forma (del principio che nel corso della generazione in-forma), la donna,diversamente, è descritta nei termini di un ricettacolo amorfo (ossia privodi forma) in cui il generato si genera. Dalla gerarchia, che si instaura tra ilvertice-principio (il padre) e la sua copia (il figlio), la madre resta, pertanto,esclusa, neutra com’è rispetto a qualunque forma, del tutto impossibilitataa rapportarsi al principio di forma. Berkoff è molto abile nel sottolineareriguardo al femminile, al materno, la dimensione altra che gli appartiene.Sembra quasi che proprio in ragione di tale estraneità, di tale eterogeneità,la Sfinge nello sfidare l’uomo (il maschile) rifiuti di adeguarsi alle sue regole.Difatti, la Sfinge ricorre alla formulazione oscura dell’enigma, evitando dicombattere l’uomo dialetticamente, ossia sul terreno delle sue proprie ar-mi logico-discorsive. Addirittura il testo di Berkoff induce a credere chela Sfinge si prenda deliberatamente gioco delle leggi, della logica dell’uomo,giocando innanzi tutto con la definizione stessa di uomo. Rispetto alla logicadominante (che è di segno maschile), l’indovinello, l’enigma scatena, infatti,percorsi non convenzionali, itinerari di senso altri, finanche metaforicamentecontraddittori.

Posta tale premessa, veniamo dunque all’enigma.

Eddy Voglio rispondere al tuo indovinello.

Sfinge Allora sappi che tutti quelli che ci provano e non rispondonopoi muoiono. [. . . ] Allora fa così: cos’è che cammina su quattrogambe al mattino su due al pomeriggio e su tre alla sera?

Eddy L’uomo! Nel mattino della vita procede a quattro zampe, nelpomeriggio adulto ed ancora giovane ne usa solo due, di sera

41Sofocle, “Edipo re”, in op. cit., p. 289.42Sfinge: «[. . . ] sono la terra, io/io sono il movimento degli spazi/io sono l’acqua il

fuoco e tutti gli elementi» (S. Berkoff, op. cit., p. 59). La Sfinge, nel corso del confrontoverbale con Eddy, precedente la soluzione dell’enigma, rievoca il tempo in cui a dominareera il femminile, passando poi a descrivere la successiva sottomissione del femminile almaschile nella generazione. Cfr. ibid., pp. 57-60.

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quando è eretto in ossequio alla sua donna eccola lì che spuntapure la terza gamba.43

Risolvendo l’enigma, Eddy vince il confronto con la Sfinge. Ma, a benguardare, come vince? Facendo ricorso a un doppio senso. Doppio senso,che, volgare quanto si vuole, comunque proprio in ragione della sua par-ticolare costituzione non può collimare con la logica maschile dominante,che si ordina ritagliando sensi unici da alternative e bivi mediante l’accettadell’esclusione. Pertanto, il doppio senso di Eddy è lecito che sia intesocome un’ulteriore provocazione avverso l’idealismo dialettico. Tant’è cheEddy, più che un avversario della Sfinge, alla fine pare piuttosto un suoimprevedibile alleato, che ne provoca sì la morte, ma logicamente si schieradalla sua parte. La Sfinge è presto decapitata, ma, seppur vinta, non muoresconfitta.

Ora, saltando all’epilogo, che costituisce il terzo episodio per noi si-gnificativo, non guasta anticipare che vi si troverà confermato questo sov-vertimento della logica dominante, già due volte evidenziato, e che forserappresenta l’effettivo avversario nel mirino di Berkoff.

Eddy ’ffanculo a tutto questo. Piuttosto intero rifarei il cammino dicorsa a senso inverso mi ficcherei di nuovo al calduccio dentroil letto a venerare la sposa mia dal corpo d’oro, di nuovo salireiad arrampicarmi in vetta al suo santuario in eterno al sicuro econfortato. Sì ecco ciò che voglio: arrampicarmi ancora dentroalla mia mamma. Che c’è di male a farlo?[. . . ] è deciso torno indietro. E così corro e corro e corro, ecorrendo le pulsazioni aumentano e i miei piedi percuotono laterra in modo barbaro, è amore io lo sento che tutto questo èamore, che cosa importa quale forma prende, è amore lo sentoper il tuo seno e i tuoi capezzoli che ho succhiato e risucchiato /per il tuo ventre due volte frequentato / per le tue mani due volte

carezzare / per il tuo fiato due volte respirato, per le tue cosce, latua figa due volte conosciuta, la prima spingendo con la testa laseconda spingendo col cazzo, amorosa figa sacra madre sposa /amorosa fonte del tuo stesso esistere / uscita del paradiso entrataper il cielo [corsivo mio].44

E figlio e marito: di fronte a tale duplice evidenza, l’Eddy di Berkoffnon si acceca45. E figlio e marito della moglie e madre, Eddy afferma erivendica per sé entrambi i ruoli contrariamente alle prescrizioni della regolalogica dominante che vuole che sia o figlio o marito della donna in questione.Parrebbe proprio che i doppi sensi precedenti non abbiano altra funzione se

43S. Berkoff, op. cit., p. 60.44Ibid., p. 81.45Eddy, rivolgendosi alla moglie/madre: «semplicemente noi ci amiamo e allora mamma

cosa importa? Niente proprio. Perché dovrei strapparmi gli occhi a mò dei greci e tu perchédovresti appenderti ad un laccio ed impiccarti?» (S. Berkoff, op. cit., p. 80).

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non quella di spianare la strada all’epilogo, dove emerge chiaramente ciò chesi intende rovesciare (vale a dire l’idealismo logico-concettuale) e come losi intende fare (ossia sovvertendo la legge dell’esclusione “o. . . o. . . ” nelrovescio della congiunzione “e. . . e. . . ”). È sotto questo profilo e per leragioni, che sono state dette, che Alla Greca si rivela un perfetto congegnoanti-edipico.

Le rivendicazioni rivoluzionarie di Eddy nei confronti della logica e dellalegge dominanti introducono a quelle che Deleuze e Guattari chiamano “sin-tesi congiuntive”46, dove per “sintesi” occorre intendere un “porre insieme”e per “congiuntive” il modo in cui tale “con-posizione” avviene. Per cui, perfarla breve, “sintesi congiuntive” equivale a porre insieme mediante congiun-zione. “E. . . e. . . ”: non serve aggiungere altro per comprendere come talisintesi funzionino e che cosa producano. Operando congiunzioni mediante“e. . . e. . . ”, ciò che in sintesi si macchina non è altro che un concatenamento.Qualunque cosa può divenire un elemento del concatenamento: la formula“e. . . e. . . ” non contempla esclusione. Mancando sia la possibilità di esclu-dere sia un criterio di esclusione, non esiste riscontro in termini di vero e difalso, di giusto e di sbagliato per questo modo di operare. Proseguendo conle osservazioni che si possono ricavare semplicemente a partire dalla formu-la espressiva di tali sintesi (“e. . . e. . . ”), a ben guardare, ogni elemento simantiene indipendente dall’altro, come ogni tessera di un mosaico che dasingola partecipa all’opera senza fondersi nel disegno in cui rientra. Inoltre,rispetto al concatenamento ogni elemento vale quanto ogni altro; ciò signi-fica che in nessun modo può subentrare, intervenire una qualche gerarchia.Questo aspetto suggerisce che le sintesi congiuntive si accrescano secondouna prospettiva orizzontale, incompatibile con qualsivoglia verticalizzazio-ne gerarchica. E ancora, il concatenamento sviluppato secondo la formula“e. . . e. . . ” non può avere né capo né coda; la sua rete resta costantementeaperta a nuove connessioni. Del resto, non vi è direzione nella quale nonpossa espandersi. Nessun indirizzo escluso, la formula “e. . . e. . . ” esprime,difatti, la massima disponibilità. A sua volta, il fatto che il concatenamen-to sia sempre disponibile ad accrescimenti e, quindi, a variazioni di sorta,comporta che il suo disegno muti continuamente, sottraendolo a un’identità.Per questa ragione, concludiamo questa serie di osservazioni aggiungendo aquanto finora detto, che il concatenamento ha la natura di una somma; que-st’ultima, infatti, è un che in nessun modo riconducibile all’Unità, perdutao promessa che sia.

Se si confronta quanto appena esposto con le riflessioni sviluppate in pre-cedenza a proposito dell’idealismo logico-dialettico, impossibile non rendersiconto del fatto che l’idealismo con i suoi principi dell’Uno e del Simile è qui

46Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, cit. Latrattazione delle sintesi congiuntive ricorre in più luoghi de L’Anti-Edipo; per tale motivo,il rinvio a questo testo non può che essere generico.

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soppiantato da una macchina funzionante in maniera completamente diffe-rente. Il procedere secondo esclusioni della dialettica si rovescia in una rete dicongiunzioni; l’ordinamento gerarchico che pone in vetta il Principio, ovverol’Uno, è vinto da un concatenamento acefalo e orizzontale; l’uniformità alPrincipio unico si scontra con la frammentarietà dell’eterogeneo; l’interezzae la compiutezza dell’Uno sono scalzate da molteplicità aperte.

Il desiderio funziona alla maniera del concatenamento47; Deleuze e Guat-tari sostengono che si desidera macchinando sintesi congiuntive, né più némeno. Del resto, un qualunque desiderio non comporta forse un’immediatalega con un elemento altro, estraneo e straniero, comunque eterogeneo (unapersona, un viso, un quadro, un vestito, un dettaglio, un oggetto)? Secondola prospettiva della coppia Deleuze-Guattari, ogni singolo (qui, a ragione,non si parla più di individuo) funziona come un concatenamento, ossia cor-risponde a una costellazione desiderante. Ciascuno si congiunge, fa lega conciò che desidera, o meglio: si fa di ciò che desidera, è fatto di ciò che hadesiderato, e continua desiderando. È interessante notare come la macchi-na anti-edipica del desiderio contrasti con la teoria canonica del desiderio(di derivazione platonica), per cui l’oggetto del desiderio è concepito comelontano, separato, staccato, spesso irraggiungibile da chi lo brama; sideral-mente lontano, potremmo dire, visto che il desiderio nella sua etimologiasegna effettivamente una distanza dalle stelle incolmata. Equivalente al de-siderio è il rizoma, che in Millepiani ricopre la medesima funzione svoltane L’Anti-Edipo dalla macchina desiderante48. Rizoma è un termine presoa prestito dalla botanica. Secondo la descrizione che ne fa la botanica, ilrizoma rassomiglia a una radice, che si sviluppa orizzontalmente rispetto alterreno, ed è dotato di gemme, dalle quali si dipartono fusti che fuoriesconodal terreno e possiedono vita annuale; propagandosi ad libitum alla streguadi un’infestazione, di una colonizzazione del territorio, il rizoma incentiva lanascita di una rete di getti sempre nuovi, tra loro indipendenti ed equipa-rati. Queste poche indicazioni, mutuate dalla botanica, già bastano perchési possa comprendere senza sforzo che il rizoma, in quanto somma apertae operante di elementi tra loro equivalenti e indipendenti, funziona secon-do la formula congiuntiva “e. . . e. . . ”; la medesima sintesi che macchina ildesiderio, muovendo le costellazioni dei singoli. A sua volta, riconosciamoal grembo materno della Terra, dove di luogo in luogo e di tempo in temposi genera e un fiore e un animale e un uomo e un minerale e. . . , il modo di

47Ricordiamo che il desiderio, che costituisce una questione centrale ne L’Anti-Edipo, èuna delle parole chiave dell’Abecedario di Gilles Deleuze, progetto che raccoglie le video-interviste condotte da Claire Parnet e divulgate, secondo la volontà di Deleuze, postume.Cfr. C. Parnet (video-intervista a cura di), Abecedario di Gilles Deleuze (2004), trad. it.dei sottotitoli di I. Bussoni, F. Del Lucchese e G. Passerone, 3 dvd, DeriveApprodi, Roma2005.

48Per un’introduzione al rizoma cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Millepiani. Capitalismoe schizofrenia, cit., vol. I, pp. 14-54.

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operare di una macchina rizomatica e desiderante, che funziona mosaicandol’esistente.

Ora, se Alla greca è stato il testo che ci ha consentito un accesso alle sinte-si congiuntive, ovvero al rizoma, alla macchina-desiderio, è con l’armamentariofilosofico appena acquisito che ci accostiamo all’Edipus di Testori. «Sder-visciate il siparium!»49 urla da fuori lo Scarrozzante. Ultimo rimasto diuna compagnia di attori, è lo Scarrozzante che presta corpo e voce a tutti ipersonaggi del racconto edipico (Laio, Iocasta, Edipus) riscritto da Testori.Non è questa l’unica nota originale dell’opera di Testori, che prevede ancheche la recitazione della vicenda greca sia più volte interrotta da monologhidello Scarrozzante sulle sue tristi vicende personali: tali interventi costitui-scono la metacornice entro cui si sviluppa come a tratti, come per getti lastoria di Edipus. La prima finestra su Tebe si apre su Laio, che nel testodi Testori gioca la parte del Re sovrano di uno stato illuminato e fortificatodall’alleanza tra socialismo e chiesa cattolica. La scena è presto satura deldelirio mistico-politico, in cui Laio si profonde. A più riprese Laio esalta

[. . . ] la gloria de ’sta Unità ordenatissima, de ’sto regno esemplarissimoin de cui viviamo e indove nissuno pode far niente che sia no stabilito,decretato, deciduto, scegliuto, voruto, consigliato, ordenato, perento-riato dai Sacri Libbri Evangelichi, dai Codex socialighi e dalla devinaMaestà del Monstrum Uno e Duico che sta settato in sul trono.50

Considerato che il delirio mistico-politico di Laio esaurisce ciò che il Redi Tebe dice, passiamo a valutare ciò che invece Laio è intento a fare. ReLaio ordina e assiste al supplizio pubblico di tre deviati di Tebe accusatidi gravi reati contro la legge, contro la natura, contro la società (uno diquesti ha disertato la Santa Messa per tre settimane di seguito e pare abbiabestemmiato contro la Chiesa, un altro è reo di essere omosessuale).

[. . . ] fuit, disevo, quarche anema antapolitega, antasocialiga e antacri-stiga la quale ha osato desvelgere i cardini istessi della Lex. Sì, miopoppolo! Sì, mie pegore! La Lex dei nostri Statuti et, insieme, la Lexdei nostri Libbri!

Desvelgere? Poari, illussionatissimi illusionati! Chè la Lex è iscrittabronzamente e imperìturamente in delle Tavole mosaiche et in quelleciviliche et socialighe. Non dunque han desvelto, ma cercato; anzi,tentoriato.51

Laio condanna i tre ribelli a una morte atroce forte della sua autoritàdecisionale, che si fonda sull’identità del Re con la Legge (questione, questa,che di colpo ci riavvicina a quanto scritto a proposito dell’idealismo politico,frequentando l’Edipo re di Sofocle).

49G. Testori, op. cit., p. 7.50Ibid., p. 35.51Ibid., pp. 14-15.

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[. . . ] tutto quanto è ’rivato qui, stasira, e il nel àltero che poderà edoverà ’rivare in questo Regno e in questa Giesa nell’andare dei tem-pi, est, fuit et seràt nel mio pienissimo, politego e pontifigante derittod’unifigatore e coincarnatore delle solissime Verità e dei solissimi Poteriche sian sortiti, secondo regola et giustizia, dai moti, visserali et ven-trali, della longa e tribolatissima storia pancreatica et spirituale degliumani.52

Laio stesso ricorda ai sudditi di aver sacrificato alla Legge il proprio di-scendente appena nato, in quanto gli era stato predetto che il figlio, in futuro,avrebbe portato il disordine entro il regime di Stato, sovvertendo l’ordinecostitutito. Per questo motivo, Laio racconta di aver strappato il neonatodalle braccia della madre (che, pur non volendo, finisce per sottomettersi allavolontà del Re) e narra di aver ordinato di abbandonare il figlio sul mon-te Citerone con i piedi legati in modo che fosse certamente sbranato dallafiere. Come poi rivela l’epilogo del testo testoriano, accade l’imprevisto: ilpiccolo non muore ma, nutrito dalle fiere che ebbero per lui quella pietà cheil padre non ebbe, viene trovato e allevato da un pastore. Edipus cresce edè adulto quando fa irruzione nel testo di Testori e, conseguentemente, sullascena teatrale intenzionato ad assaltare il palazzo del Padre Re, il palazzodel Potere. Scovato il Padre, Edipus lo aggredisce, lo sodomizza, lo evirae lo lascia morire dissanguato. Quindi, Edipus si avventa sulla madre cheviolenta spinto, più che dal desiderio, dalla volontà di dissacrare la donna-proprietà del Padre Re e, con essa, il suo proprio territorio di potere. Cosìfacendo, in realtà Edipus libera Iocasta da una sudditanza cui era costrettacon la forza; per questo, una volta consumato il rapporto incestuoso, la ma-dre decide di non suicidarsi e di restare al fianco di Edipus come amante ecompagna. Edipus, rovesciando il Principio paterno, con la sua rivoluzionefinisce per liberare dal giogo del maschile la madre, ossia la donna, il fem-minile: in ragione di ciò, Iocasta riconosce in Edipus, nella creatura, il suoproprio creatore, fautore di una nuova nascita nella liberazione53.

Evidentemente, anche nell’Edipus di Testori il rovesciamento dell’idealismo(dell’idealismo “unifigatore”, che con la Legge unifica, ovvero produce e im-pone l’Unità) la fa da protagonista. In precedenza si è visto come la Leggepossa essere ugualmente intesa come norma logico-dialettica, piuttosto checome legge politica, schema linguistico o schema psicoanalitico (là dove adettare legge è il complesso di Edipo). Qui si tratta della Legge dello Statoe della Legge della Chiesa. Ma che si tratti dell’una o dell’altra Legge èsempre la Stessa Legge (ovvero è sempre la Legge dello Stesso) a imporsicome dominante. A questo proposito, non deve stupire il sadismo con cuiLaio descrive i supplizi che comanda e ai quali assiste: non sono pochi gliesempi, offerti dalla storia, di pervertimenti sadici derivanti dall’imposizione

52Ibid., p. 23.53Iocasta, rivolgendosi a Edipus: «viegni, sì, viegni, te che sei el mio creato ma, in

dell’insieme, el mio creatoro!» (G. Testori, op. cit., p. 71).

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della Legge54. Già a proposito dell’Edipo re si commentava di sfuggita chela violenza è connaturata all’affermazione di un ordine, di una legge: so-no violente, si diceva, le origini del Potere e della Legge. Sempre restandosui supplizi decretati da Laio, emerge con forza anche un altro aspetto: at-traverso le accuse mosse contro i condannati a morte si palesa, infatti, ilconformismo che la Legge esige e pretende. Il cittadino non conforme alPrincipio, alla Legge (lo si chiariva anche a proposito dell’Edipo re) è co-me un figlio illegittimo, bastardo, che non somiglia al padre, che non si èadeguato all’ideale; pertanto, in quanto tale, deve essere eliminato, escluso,emarginato. Dal non-conforme la società si deve necessariamente e-purare55.

Il rovesciamento dell’idealismo non si gioca solo a livello del contenuto,a livello della storia raccontata nel corso del testo: la decapitazione dellaLegge, lesa al vertice, non si riduce ipso facto nell’atto esplicito della sodo-mizzazione e dell’evirazione del Re, del principio maschile. Il rovesciamentodell’idealismo avviene anche tramite la lingua, attraverso il bizzarro idio-letto di Testori, frutto di un vero e proprio sperimentalismo linguistico: ilsovvertimento dell’idealismo logico-dialettico passa anche attraverso quel-lo. L’idioletto di Testori rassomiglia a un dialetto lombardo. Ma tendendol’orecchio si avvertono assonanze che lo avvicinano ora al latino, ora allo spa-gnolo, ora al francese e raramente parrebbe all’inglese. Dunque, l’idioletto diTestori è del genere misto56, ovvero risulta composto da elementi linguisticieterogenei, non uniformi. Spingendoci oltre, non è fuori luogo attribuireall’idioletto di Testori il modo di funzionare, di macchinarsi che Deleuze eGuattari riconoscono alle lingue minori. Come è noto, Deleuze e Guattarisi riferiscono a una lingua minore per distinguerla dalla lingua maggiore o,meglio, parlano di un uso minore della lingua per differenziarlo da un usomaggiore della stessa. La lingua maggiore corrisponde alla lingua ufficiale,alla lingua-struttura che si studia gradualmente a partire dalla grammaticadei singoli elementi per arrivare alla sintassi delle frasi. È la lingua costruitasull’invariante, su ciò che nel tempo e negli usi resta tale. Diversamente, lalingua minore parla e si muove entro la maggiore, mettendola in variazione.Parlare una lingua minore è come creare una propria lingua singolare entrola struttura della lingua alla quale ci si deve adeguare e uniformare. Non sitratta tanto di opporre la lingua della maggioranza alle lingue delle minoran-ze (quest’ultime sono pur sempre lingue, pertanto strutturate e determinatecome le lingue delle maggioranze). Quindi, non si tratta del minore e delmaggiore in rapporto alla quantità di persone che in un luogo, in uno statoparla la lingua in questione. Piuttosto si tratta di deviare, di far funzionare

54Sul nesso tra il sadismo e l’imposizione della Legge vedi G. Deleuze, Il freddo e ilcrudele, trad. it. di G. De Col, SE, Milano 1996.

55Laio: «Tebe, ’desso, è più libera, e più pura de prima» (G. Testori, op. cit., p. 22).56Diversamente da quanto accade nella mescolanza, dove gli elementi-ingredienti fondo-

no in quella risultanza che è la miscela, nel misto si mantiene una somma composita dieterogenei.

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la lingua cosiddetta maggiore in maniera rizomatica, macchinarla in tonominore, discostandola dalla lingua per così dire ideale. In questo senso, De-leuze e Guattari a proposito di Kafka, ebreo di Praga che scriveva in tedescoe nel tedesco, evidenziano nel saggio che gli dedicano la capacità di Kafkadi far balbettare la lingua maggiore, nella fattispecie la lingua tedesca57.

Ma vediamo come termina la vicenda di Edipus narrata, tra mille inter-ruzioni, dallo Scarrozzante.

Tebanichi! [. . . ] Noi tutti, indelsieme, ’me na foresta de cedri, de lìbanie de seminazioni, faremo refiorire i marciapiedi e i trottuari! Indelsie-me, a furi de oggiade, de basi, de leccate e de sborate, spaccheremo lacrosta dei catrami e dei ciamenti e refaremo saltar fuori le erbe, le piùversi e le più tenare che ghe siano!58

Il racconto si conclude con un vero e proprio inno al desiderio. Se tornas-simo alle parole con le quali avevano sinteticamente introdotta la macchina-rizoma, riconosceremmo in queste esclamazioni un vero e proprio inno aldesiderio, che è un suo equivalente. Non si scriveva, infatti, che il rizomarassomiglia a una radice, che si sviluppa in orizzontale rispetto al terreno edalle cui gemme si sviluppano fusti come getti, che qua e là bucano il terrenoe così si sviluppano per tutto il loro durare? Quasi li possiamo immaginarequesti fusti mentre emergono dal cemento, dal catrame dell’asfalto, negliinterstizi inospitali dei marciapiedi, e così facendo colonizzano il territorio,random, anarchicamente, senza rispondere a un disegno, a un qualche ordi-ne, ma frammentariamente. Un po’ come l’irrompere dell’erba, lo spuntareimprevisto e imprevedibile dei suoi fili sull’orizzonte-terreno.

Ora, poiché il rovesciamento dell’idealismo logico-concettuale è la cifradi ciò che è anti-edipico, e poiché i percorsi che si sono tracciati sono statiindicati come anti-edipici fin dal titolo, è nostra volontà terminare questostudio senza concluderlo. Rispettando il modo in cui il rizoma funziona,macchina e produce, proviamo dunque a operare un’ulteriore connessione.

E Deleuze e Guattari e Berkoff e Testori e. . .

Che cos’è l’erba? Mi chiese un bambino, portandomene a piene mani;Come potevo rispondergli? Non so meglio di lui che cosa sia.[. . . ]forse l’erba stessa è un bambino, il bimbo generato dalla vegetazione.O un geroglifico uniformeChe voglia dire, crescendo tanto in ampi spazi che in strette fasce di

terra,Fra bianchi e gente di colore,Canachi, Virginiani, Membri del Congresso, gente comune, io do loro

la stessa cosa e li accolgo nello stesso modo.

57Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Kafka. Per una letteratura minore, cit.; sulla “linguaminore” cfr. anche id., Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, cit.

58G. Testori, op. cit., pp. 76-77.

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[. . . ]Ed ecco, sei tu il ventre materno.59

. . . e Walt Whitman, poeta cantatore del sé, della singola persona, dellaframmentarietà degli Stati americani, dell’umanità mista delle razze, poetadelle Foglie d’erba.

59W. Whitman, Foglie d’erba, trad. it. di A. Marianni, Rizzoli, Milano 1988, pp. 115,117.

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