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DEI IN ESILIO

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CAPITOLO I

IL DRAMMA DELL'ANIMA IN ESILIO

Il Sentiero dell'Occultismo è chiamato sovente il Sentiero del Dolore. Non v'è ragione di chiamarlo Sentiero del Dolore piuttosto che Sentiero della Gioia: ciò che significa dolore per la nostra natura inferiore vuole dire gioia per il nostro Io superiore; e dipende dal punto di vista che noi assumiamo, che la nostra esperienza sia fonte di gioia o di dolore. La meta immediata del Sentiero dell'Occultismo è l'unione di quello che comunemente chiamiamo il nostro Io inferiore con quello che chiamiamo il nostro Io superiore; e questa unione si compie con la prima delle grandi· Iniziazioni.Dal momento dell'individualizzazione in poi non vi è, nella storia della anima umana, avvenimento più grande dell'Iniziazione. E', come dice la parola stessa, un nuovo principio, il principio d'una vita nuova, della vita cosciente del nostro vero Io, o dell’Ego.

IL RISVEGLIO DELL'ANIMA

Finchè l'uomo, nel suo pellegrinaggio attraverso la materia, si identifica interamente coi suoi corpi, e segue completamente i loro dettami in un estremo oblio della sua natura divina, non soffre, anzi è animalmente soddisfatto. Solo quando l'anima nella sua prigione terrena comincia a ricordare la patria divina dalla quale vive esiliata; quando attraverso l'amore o la bellezza o la verità si risveglia in essa la coscienza della sua vera natura, comincia la sofferenza. Noi siamo simili a Prometeo, incatenati alla roccia della materia, ma finchè on diveniamo coscienti di quello che siamo veramente, non ci accorgiamo affatto di essere prigionieri, di essere esuli. Così potrebbe vivere uno che nei giorni della giovinezza fosse stato bandito dalla terra natia, e per molti anni avesse abitato fra genti straniere, a mala pena ricordando, nelle privazioni e nella miseria dell'esilio, di aver conosciuto luoghi diversi. Ma un giorno gli avviene di udire una canzone che conosceva nella sua giovinezza; allora, in un subito spasimo, egli ricorda tutto quel che ha perduto, rendendosi con dolore conto di essere in esilio, lontano da tutto quanto gli era caro. Da questa rimembranza rinasce la nostalgia per la terra natia, e si fa più forte di quanto non sia mai stata. Allora soltanto cominciano la sofferenza e la lotta: sofferenza per la coscienza di quello che ha perduto, lotta per tentare di riconquistarlo.

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Similmente, quando giunge nel corso dell’evoluzione umana, il risveglio dell'anima porta con sè non soltanto gioia, ma anche sofferenza. Finchè viveva la vita animale dei suoi corpi, l'uomo conosceva una certa soddisfazione; ma con la rimembranza della sua vera natura, con la visione del mondo al quale egli appartiene, nasce in lui la lotta più e più volte millenaria per tentare di liberarsi dalla pania dei mondi materiali, in cui si è invischiato identificandosi con i suoi corpi. Mentre fino a quel momento non sentiva i suoi corpi come una limitazione, ora essi diventano per lui l'ardente camicia di Nesso, che tanto più aderisce a lui quanto più egli si sforza di liberarsi dal suo contatto. Da quel punto egli deve riconoscere in sè due persone in una: un Io divino più alto, che lo richiama continuamente alla sua divina patria, e una natura animale inferiore, che è la sua coscienza legata ai corpi e dominata da essi.

LA LOTTA MORALE NELL'UOMO

Non v'è problema più grande nè più gran difficoltà nella vita umana di questa coscienza di essere due persone in una. Per questo S. Paolo gemeva sotto il contrasto della legge delle sue membra contro la legge dello spirito, ed esclamava disperatamente: “Perchè il bene che vorrei, non lo faccio, ma il male che non vorrei, quello io faccio. Ora, se io faccio quello che non vorrei, non sono già io che lo faccio, ma il peccato che dimora in me. Quindi io trovo, una legge, che, quando io vorrei fare i! bene, il male mi è dappresso. Perchè. io mi, diletto nella legge di Dio secondo l'uomo interiore, ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che lotta contro la legge· del mio spirito, e mi fa prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. O misero uomo che io sono: Ci mi libererà da questo corpo di morte?” (Rom. VII, 19-24).Ma forse in nessun altro luogo questa lotta è descritta con maggior profondità che nelle Confessioni di S. Agostino. Così dice egli: “Io ero rapito in Te dalla Tua Bellezza, e tosto ero strappato a Te dal mio peso, che mi gittava in pianti su questa bassura; e questo peso era la consuetudine della mia carne” (7,17).E altrove: “Le gioie di questa mia vita, che meritano di esser deplorate, sono in lotta coi miei dolori dei quali dovrei gioire; e da che parte inclinerà la vittoria, ancora non so” (10, 28). E' la eterna esperienza dell'uomo in lotta, così bene espressa da Goethe quando esclama: “Due anime, ahimè, vivono in questo mio petto”; è l'esperienza di ogni aspirante sul Sentiero dell'Occultismo, od anche di qualunque essere umano che cerchi di vivere nobilmente secondo i dettato dell’Io più alto e si trovi impedito dai desideri dell’Io inferiore. Non c’è vita umana che vada esenter da questa lotta fondamentale: questa Idra dalle mille teste ci contrasta in forme innumerevoli, e la vita di molti candidati all’Occultismo è tutta una tragedia, a cagione di questa intima discordia che non solo conduce alla sofferenza più acuta ed al disprezzo di sè, ma esaurisce i

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corpi e consuma la vitalità. Vi è forse, nella vita umana, cosa più dura da sopportare che il fatto di vedere la visione dello spirito per rinnegarla il momento di poi nella pratica della vita? Allora noi sentiamo il disprezzo di noi stessi che lo Shelley chiama “più amaro, a bersi, del sangue”, la disperazione di fallire sempre e continuamente alla vita che vorremmo vivere. Per quanto grande sia questa tragedia umana, il più tragico è che essa non è affatto necessaria, ma proviene solo dalla nostra ignoranza riguardo al funzionamento della nostra coscienza.

LA COLPA È DELL'IGNORANZA

L'ultima cosa che l'uomo scopre è sè stesso. E' una verità strana, eppure universale, che la sete umana della conoscenza debba cominciare da quello che è più lontano, e finire con quello che è più vicino. L'uomo primitivo ha studiato i cieli, ma soltanto l'uomo moderno comincia ad esplorare i misteri della propria anima. Moltissimi uomini sono un mistero per sè stessi; molti sono perfino inconsci dell'esistenza del mistero. Se noi dovessimo domandare ad un uomo comune che cosa sia lui, l'essere umano vivente; che accada quando egli pensa, sente, agisce; e quale sia la causa della lotta fra il bene e il male, che egli pur sente entro il suo petto, non solo egli non saprebbe rispondere, ma le domande stesse gli apparirebbero strane e nuove. Pure, che cosa è più strana del fatto che un essere umano possa attraversare la vita, sopportarne le vicissitudini, soffrirne le miserie, comuni a tutti gli uomini, goderne i caduchi piaceri, portarne il perpetuo fardello, e non chiedere mai perchè? Se noi vedessimo un uomo viaggiare con grande incomodo e numerose difficoltà, e se, chiedendogli dove va, ci sentissimo rispondere che questa domanda non gli si è mai affacciata alla mente, lo riterremmo certamente pazzo. Eppure questo è precisamente il caso della maggioranza degli uomini nella vita comune. Essi compiono il viaggio dalla vita alla morte, si arrabattano nel faticoso cammino della vita, e non chiedono mai perchè, o, se pure, si pongono superficialmente il problema, senza curarsi poi in realtà di trovare una risposta.Ma viene per ogni anima, nel suo lungo peregrinare, il momento in cui la vita le diventa impossibile se non ne conosce il perchè; delusa del mondo circostante che non può mai darle una soddisfazione durevole, essa desiste per un momento dal frenetico inseguimento delle illusioni, e completamente esausta si ferma, silenziosa e sola. In quel punto è nata nell'anima la coscienza di un nuovo mondo; in quel punto, stornando il viso dal fascino del mondo circostante, essa scopre la sempiterna realtà del mondo interiore, del mondo dell'Io. Allora, e soltanto allora, le domande della vita trovano risposta; però, come dice Emerson, l'anima non risponde mai con parole, ma con la stessa cosa richiesta.

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LA CONOSCENZA DELLA NOSTRA VERA NATURA

Durante il periodo della lotta, erano andate formulandosi delle domande intorno allo scopo della vita e all'intima essenza dell'uomo; ma quando le risposte vengono, non rispondano alle domande: le cancellano piuttosto con l'esperienza della realtà. Così riguardo al mistero dell'essenza umana la risposta non è un'esposizione intellettuale della costituzione dell'uomo, ma piuttosto una consapevolezza del suo intimo Io, e, come risultato, la scoperta del mondo di questo Io. Quando in tale mondo noi consideriamo il problema della dualità, che tutti esperimentiamo nella vita quotidiana, di un Io superiore da una parte e di un Io inferiore dall'altra, traviamo una verità meravigliosa. L'uomo è essenzialmente divino; come, figlio di Dio partecipa della natura del Padre, e cioè della Sua divinità. Perciò la vera patria dell'uomo è il mondo del Divino: là “di eternità in eternità” noi viviamo e ci muoviamo e abbiamo il nostro essere. Nel suo proprio mondo l'Ego. dell’uomo ha le proprie attività, e vive una vita di gioia e di splendore che oltrepassa qualsiasi concezione terrena. Tuttavia vi è una lezione, un'esperienza che l'Ego non può imparare nel suo proprio mondo, ma che può acquistare soltanto proiettando la sua coscienza nei mondi della manifestazione esteriore, dove è la molteplicità e l'antitesi fra 1'”Io” e il “non Io “. Soltanto qui, per mezzo dei corpi composti della materia di questi mondi esteriori, l'Ego può acquistare la coscienza di sè, cioè la coscienza di sè stesso come individuo separato. Il mondo divino, che è la vera patria dell'Ego, è un mondo nel quale non vi è distinzione fra Io e non Io, ma ogni parte condivide la coscienza universale del tutto. Perciò la coscienza particolare di sè, che è necessaria all'Ego, non può essere acquistata in quel mondo. Soltanto nel triplice universo della manifestazione esteriore, mondo fisico, mondo emozionale e mondo mentale, noi troviamo la dualità di soggetto e di oggetto, necessaria all'acquisto della coscienza di sè. Così, solamente per acquistare la conoscenza, l'Ego si spinge in questi mondi inferiori, e assume corpi fatti della loro materia. Questo inabissarsi dell'anima nei mondi dell'oscurità è quello che troviamo simboleggiato nella storia della Genesi. Il Paradiso primitivo non è uno stato che possa durare, per quanto grande ne sia la bellezza e l'armonia. L'anima deve mangiare il frutto dell'albero del bene e del male, dell'albero della conoscenza, sia pure a costo del Paradiso. Divenuta così cosciente del desiderio di conoscere i mondi della materia, l'anima è rivestita di “tonache di pelle”, i corpi della materia, e da quel momento in poi deve vivere sotto le leggi dell'esistenza materiale: “faticare e partorire con dolore”. L'epilogo di questo lungo esilio è la redenzione o rigenerazione, che ha luogo quando l'anima riacquista la consapevolezza della propria divinità, e Cristo nasce nel cuore dell’uomo. Allora l'Ego riconquista il Paradiso, ma in piena coscienza di sè,

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possedendo nel suo mondo divino i frutti nati dalla discesa dell'anima nei mondi della materia.

IL DRAMMA DELL'ANIMA

Possiamo pertanto considerare le ripetute incarnazioni dell'anima divina nei mondi della manifestazione esteriore come un'attività particolare dell'Ego per lo scopo specifico di acquistare quella conoscenza che in tal modo soltanto può essere ottenuta. Con questa immissione della coscienza divina nei tre corpi, il corpo fisico, il corpo delle emozioni e il corpo del pensiero, avviene la tragedia, la vera caduta nella materia" che è la causa di ogni susseguente sofferenza nel pellegrinaggio dell'anima. Poichè nel processo di inchiudere una parte della sua coscienza nei tre corpi, questa parte si identifica con i corpi stessi, ed in questa identificazione sente di essere lei stessa i corpi che erano invece intesi dover essere i suoi servi. Con questa sensazione la coscienza incarnata non condivide più la coscienza universale dell’Io divino, ma condivide la separatezza dei corpi e diventa entità separata da altri esseri ed a loro opposta - la personalità.E' l'antica storia di Narciso, il quale vedendosi il volto rispecchiato dalla superficie dell'acqua del fonte, vuole abbracciare l'immagine e così facendo annega. Così la coscienza incarnata annega nell'oceano della materia, e nella sua identificazione con i corpi separati rimane segregata dall'Io del quale è parte, e non si conosce più per ciò che veramente è - un figlio di Dio.Allora incomincia l'infinita tragedia dell'anima in esilio, dimentica del suo proprio retaggio divino, e degradata per la sua incosciente sommissione a quei corpi che dovrebbero essere suoi strumenti volonterosi. E questo è il vecchio mito gnostico di Sofia, l'anima divina, vivente in esilio fra i ladroni e i malfattori i quali abusano di lei e la umiliano, sino a quando è redenta da Cristo e fa ritorno alla sua divina dimora. Può esservi una tragedia più grande ed una più profonda degradazione di questa in cui l'anima divina, membro della più alta Nobiltà, la Nobiltà della Divinità medesima, è assoggettata alla umiliazione e all'indegnità di un'esistenza nella quale, dimentica del suo alto rango, si permette di essere asservita alla materia? Allorchè ci avviene di vedere l'umanità nei suoi peggiori momenti, repellente nei suoi odi, disarmonica nel suo straniarsi dalla natura, rozza e brutale oppure sciocca e superficiale, noi sentiamo questa intensa tragedia dell'esilio dell'anima e siamo acutamente consci della degradazione sofferta dall'immortale Io interiore.

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LA NECESSITÀ DI MUTARE ATTEGGIAMENTO

Così adunque la nostra coscienza di essere due, un Io superiore nell'intimo e un Io inferiore all'esterno, è basata sull'ignoranza. Noi non siamo due, ma uno. Siamo 1'Io divino, e niente altro. Il suo mondo è il nostro mondo, la sua vita è la nostra vita. La verità del fatto è questa, che quando noi sprofondiamo la nostra coscienza divina nei corpi attraverso i quali dobbiamo acquistare una determinata esperienza, ci identifichiamo con questi corpi, e dimentichiamo quello che siamo veramente. Allora la coscienza imprigionata, fatta schiava dei tre corpi, segue i loro desideri; ed ecco quello che noi chiamiamo' l'Io inferiore, la personalità. La voce intima, la nostra vera voce la sentiamo come il richiamo dell'Io superiore, e fra l'Ego e la personalità ha luogo la nostra lotta dolorosa, la nostra vera crocifissione. Eppure gran parte di questa sofferenza è dovuta alla nostra ignoranza, e cessa quando noi ci rendiamo conto della nostra vera natura; il che però significa un completo mutare di atteggiamento. Per cominciare, il nostro concetto della dualità della nostra natura è falso. Noi parliamo sempre dell'anima, dello spirito, dell'Io superiore, dell'Ego (o qualunque altro nome diamo alla nostra natura superiore) come di qualche cosa o di qualcuno che sia al piano di sopra, mentre noi, la natura inferiore, la personalità, abitiamo più in basso. E allora consideriamo i nostri sforzi per raggiungere quello che sta in alto come un tentativo di conquistare qualche cosa di essenzialmente estraneo a noi stessi, e perciò arduo ad ottenersi. Così parliamo spesso del “tremendo sforzo” richiesto per raggiungere l'Io superiore; altre volte parliamo dell'ispirazione o della conoscenza, della forza spirituale o dell'amore, come di doni che scendano a noi da questo Io più alto. In tutti questi casi, commettiamo l'errore fondamentale di identificarci con ciò che non siamo, e affrontiamo tutto il problema in questo atteggiamento. La prima condizione di successo spirituale è la certezza fuor di ogni dubbio, che noi siamo lo spirito e 1'Io superiore; e la seconda condizione, non meno importante ed essenziale della prima, è la fiducia nei nostri poteri come Ego, e il coraggio di usarne liberamente. Invece di considerare naturale e normale il nostro stato abituale di coscienza, e guardare l'Ego dal basso come un essere eccelso che si debba raggiungere con uno sforzo continuo e tremendo, dobbiamo cominciare dal considerare il nostro ordinario stato di coscienza come anormale e innaturale ne, che ha luogo quando l'anima riacquista la consapevolezza della propria divinità e Cristo nasce nel cuore dell'uomo. Allora l'Ego riconquista il Paradiso, ma in piena coscienza di sè, possedendo nel suo mondo divino i frutti nati dalla discesa dell'anima nei mondi della materia.

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IL DRAMMA DELL' ANIMA

Possiamo pertanto considerare le ripetute incarnazioni dell'anima divina nei mondi della manifestazione esteriore come un' attività particolare dell'Ego per lo scopo specifico di acquistare quella conoscenza che in tal modo soltanto può essere ottenuta. Con questa immissione della coscienza divina nei tre corpi, il corpo fisico, il corpo delle emozioni e il corpo mentale, avviene la tragedia, la vera caduta nella materia, che è la causa di ogni susseguente sofferenza nel pellegrinaggio dell'anima. Infatti, nel processo di rinchiudere una parte della sua coscienza nei tre corpi, questa parte si identifica con i corpi stessi, ed in questa identificazione sente di essere lei stessa i corpi che invece dovevano essere intesi come i suoi servi. Con questa sensazione la coscienza incarnata non condivide più la coscienza universale dell'Io divino, ma condivide la separatezza dei corpi e diventa un'entità separata dagli altri esseri ed a loro opposta - la personalità. E' l'antica storia di Narciso, il quale vedendosi il volto rispecchiato dalla superficie dell'acqua della fonte, vuole abbracciare l'immagine e così facendo annega. Così la coscienza incarnata annega nell'oceano della materia, e nella sua identificazione con i corpi separati rimane segregata dall'Io del quale è parte, e non si conosce più per ciò che è veramente - un figlio di Dio. Allora incomincia l'infinita tragedia dell'anima in esilio, dimentica del proprio retaggio divino e degradata per la sua incosciente sommissione a quei corpi che dovrebbero essere suoi strumenti volonterosi. E' questo il vecchio mito gnostico di Sofia, l'anima divina, vivente in esilio fra i ladroni ed i malfattori i quali abusano di lei e la umiliano, sino a quando è redenta da Cristo e fa ritorno alla sua divina dimora. Può esservi una tragedia più grande e una più profonda degradazione di questa in cui l'anima divina, membro della più alta Nobiltà, la Nobiltà della Divinità medesima, è assoggettata alla umiliazione e all'indegnità di un'esistenza nella quale, dimentica del suo alto rango, si permette di essere asservita alla materia? Allorchè ci avviene di vedere l'umanità nei suoi peggiori momenti, repellente nei suoi odi, disarmonica nel suo straniarsi dalla natura, rozza e brutale, oppure sciocca e superficiale, noi sentiamo questa intensa tragedia dell'esilio dell'anima e siamo acutamente consci della degradazione sofferta dall'immortale Io interiore.

LA NECESSITÀ DI MUTARE ATTEGGIAMENTO

Così adunque la nostra coscienza di essere due, un Io superiore nell'intimo e un Io inferiore all'esterno, è basata sull'ignoranza. Noi non siamo due, ma uno. Siamo l'Io divino, e niente altro. Il suo mondo è il nostro mondo, la sua vita è la

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nostra vita. La verità del fatto è questa, che quando noi sprofondiamo la nostra coscienza divina nei corpi attraverso i quali dobbiamo acquistare una determinata esperienza, ci identifichiamo con questi corpi e dimentichiamo quello che siamo veramente. Allora la coscienza imprigionata, fatta schiava dei tre corpi, segue i loro desideri; ed ecco quello che noi chiamiamo 1'Io inferiore, la personalità. La voce intima, la nostra vera voce, la sentiamo come il richiamo dell'Io superiore, e fra l'Ego e la personalità ha luogo la nostra lotta dolorosa, la nostra vera crocifissione. Eppure, gran parte di questa sofferenza è dovuta alla nostra ignoranza e cessa quando noi ci rendiamo conto della nostra vera natura; il che però significa un completo mutare di atteggiamento. Per cominciare, il nostro concetto della dualità della nostra natura è falso. Noi parliamo sempre dell'anima, dello spirito, dell'Io superiore, dell'Ego (o qualunque altro nome diamo alla nostra natura superiore) come di qualche cosa o di qualcuno che sia al piano di sopra, mentre noi, la natura inferiore, la personalità, abitiamo più in basso. E allora consideriamo i nostri sforzi per raggiungere quello che sta in alto come un tentativo di conquistare qualche cosa di essenzialmente estraneo a noi stessi, e perciò arduo ad ottenersi. Così parliamo spesso del “tremendo sforzo” richiesto per raggiungere l'Io superiore; altre volte parliamo dell'ispirazione o della conoscenza, della forza spirituale o dell'amore, come di doni che scendano a noi da questo Io più alto. In tutti questi casi commettiamo l'errore fondamentale di identificarci con ciò che non siamo, e affrontiamo tutto il problema in questo atteggiamento.La prima condizione di successo spirituale è l'assoluta certezza che noi siamo lo spirito e l'Io superiore; la seconda condizione, non meno importante ed essenziale della prima, è la fiducia nei nostri poteri come Ego e il coraggio di usarne liberamente. Invece di considerare naturale e normale il nostro stato abituale di coscienza, e guardare l'Ego dal basso come un essere eccelso che si debba raggiungere con uno sforzo continuo e tremendo, dobbiamo cominciare dal considerare il nostro stato abituale di coscienza come anormale e innaturale e la vita dello spirito come la nostra vera vita, dalla quale con un contino sforzo ci teniamo divisi e lontani.

LA SEPARATEZZA È LO STATO ANORMALE

Non ci accade mai di pensare quale sforzo persistente e formidabile dobbiamo tutti compiere per mantenere l'illusione delle nostre personalità separate. Tutto il giorno dobbiamo affermarci, difendere la nostra buneamata individualità dagli attacchi degli altri, badare che essa non sia ignorata, spregiata, offesa, o che non le sia in qualsiasi modo negato quel riconoscimento che sentiamo

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esserle dovuto. E nel desiderare per noi qualsiasi cosa, miriamo solo a rafforzare la nostra personalità separata con 1'acquisto degli oggetti desiderati. L'illusione del nostro io separato nasce dall'identificarsi del nostro vero Io spirituale coi corpi temporanei attraverso i quali l'Io stesso si manifesta. E' come se la coscienza del vero Io si estendesse, fino ai corpi e là restasse avviluppata ed intralciata in modo da formare una sfera separata di coscienza, accentrata intorno ai corpi ai quali è così avvinta. Ma questo non è uno stato normale; anzi è distintamente ed essenzialmente anormale e innaturale. Alla stessa stregua potremmo chiamare nomale e naturale la condizione di una striscia di gomma elastica tirata in giù, stirata per una certa estensione e legata ad un oggetto fisso. La legatura è anormale, e non appena sarà sciolta, la striscia elastica riprenderà la sua forma naturale, ridiventando un tutto armonico. Così noi non abbiamo che a rilasciare la nostra coscienza dai corpi ai quali l'abbiamo legata; non abbiamo che a rinunciare all'illusione della separatezza che nutriamo teneramente tutto il giorno, e la coscienza, così tesa per formare la personalità separata, tornerà naturalmente ed automaticamente ad immergersi nel più grande Io che noi siamo realmente. Si parla molto dello sforzo e della lotta necessari per attingere alla coscienza spirituale; ma quale attenzione prestiamo mai al terribile sforzo e alla lotta spaventosa che son necessari a mantenere la illusione della separatezza? E' vero, noi non siamo consci di mantenerla; è divenuto per noi una seconda natura affermarci a spese di chi ci attornia, procurarci quel che vogliamo e conservare quel che abbiamo; e di conseguenza, lo sforzo gigantesco che richiede quest'affermazione e magnificazione della personalità ci passa inosservato. Ciò nonostante questo sforzo esiste. Liberiamoci dunque, con un impeto definitivo della volontà, da questa potente superstizione che ci incatena ai mondi della materia e c'impedisce di vedere quello che siamo realmente; e riconosciamo, affermiamo e manteniamo la nostra divinità. In questa affermazione non c'è mai l'orgoglio della separatezza, poichè la nota fondamentale del mondo nel quale così entriamo - e che è il nostro vero mondo - è l'unità;- e non può esistere in quell'atmosfera nulla di simile al concetto esagerato di sè od all’orgoglio della grandezza personale. L'orgoglio· è una pianta che può fiorire solo nelle regioni più dense dei mondi materiali; dal momento in cui penetriamo nella nostra vera patria, simili cose debbono necessariamente cessare di esistere. Soltanto così, liberando la nostra coscienza dalla schiavitù dei corpi, rendendoci conto dei poteri che ciascuno di noi possiede come Io divino, e infine ricusando di lasciarci nuovamente impigliare nella ragnatela delI'esistenza materiale, possiamo giungere a quello che ci siamo .proposti: liberazione dall'opprimente e amara lotta fra l'Io superiore e l'Io inferiore, che avvelena la vita di tanti seri aspiranti al Sentiero; assorbimento dell'Io inferiore nell'Io superiore. - Iniziazione.

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AGIRE, NON CONSENTIRE

Non serve leggere una cosa e riconoscerla vera, ed apprezzarne l'esattezza, per così dire, a distanza. Se vogliamo ritrarne beneficio, essa deve diventare più di un insegnamento: deve tradursi in pratica. Ccosì, nelle pagine che seguono, cercheremo di far l'esperimento non solo di riconoscere che noi, nella nostra vera coscienza, siamo l'Ego, ma di liberare effettivamente questa coscienza dai limiti nei quali è imprigionata, e di portarla, così sciolta, nel mondo de1la gioia e della libertà divina al quale essa appartiene. Dire che ai nostri tempi ci vogliono fatti e non parole, è diventato quasi una banalità; eppure, ciò è profondamente vero, e dovrebbe essere dimostrato in apposite conferenze o libri: l'oratore od autore dovrebbe non soltanto dire cose che potessero essere o non essere apprezzate dal pubblico, ma condurre con sè i suoi lettori o i suoi ascoltatori, direi quasi, in una spedizione dove uno potrebbe guidare gli altri seguire, ma dove tutti dovrebbero muoversi per proprio conto. Così le nostre conferenze dovrebbero essere conferenze in azione, i nostri libri, libri in azione, e coloro che leggono od ascoltano dovrebbero sperimentare con la loro propria coscienza quello di cui si parla. Facciamo dunque così nella nostra ricerca di conoscerci per quello che siamo realmente; non leggiamo queste pagine in modo obiettivo, come se contemplassimo uno spettacolo fuori di noi, ma cerchiamo di identificarci con quel che vi è detto e di realizzare nella nostra coscienza quello che vi è trattato.

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CAP. II

LA VIA CHE CONDUCE AlL'EGO

Cominciamo dunque a pensare a noi stessi e seguiamo quel che ci viene in mente quando pensiamo così. Ci accorgeremo che pensiamo a noi stessi come appariamo fisicamente, come ci vediamo nello specchio, col viso che ci è familiare e col nome che ora portiamo. Questa è la prima illusione che si deve superare; poichè, fino a quando pensiamo a noi come al nostro corpo fisico, seguiteremo ad identificarci con questo corpo, ed è proprio quello che non dovremmo fare. Identificandoci col corpo fisico, o con la sua copia più sottile che è il corpo eterico, noi ci facciamo schiavi dei loro desideri e delle loro condizioni di esistenza; così che il nostro corpo risponde ad ogni mutamento di circostanze al quale sia assoggettato, e segue la sua via invece della nostra. Di qui, debolezza e cattiva salute, e una pesante pigrizia del corpo che lo rende incapace di rispondere all’Io interiore.

IL MUTAMENTO NEL CORPO FISICO

Tutto ciò muta quando noi superiamo l'illusione di essere il corpo, e lo vediamo quale è, cioè come il nostro servo o il nostro istrumento nel mondo fisico. Noi dobbiamo, per così dire, mutare la polarità di tutto quanto il rapporto: invece di lasciarci dominare dal mondo fisico per mezzo del corpo fisico col quale ci siamo identificati, dobbiamo dominare il mondo fisico per mezzo del corpo fisico che abbiamo fatto nostro ausiliario. Il centro di gravità deve essere spostato dal corpo fisico alla coscienza che è veramente nostra; noi dobbiamo sentire che ritiriamo il centro della nostra coscienza; dobbiamo, per così: dire, sentire che stiamo dietro il corpo fisico e lavoriamo per mezzo di esso, non che siamo con esso una cosa sola. Questo mutato atteggiamento verso il corpo fisico ha un risultato assai profondo: come le particelle di limatura di ferro avvicinate da un magnete si raggruppano intorno ad un centro comune e si allineano tutte lungo le linee di forza del campo magnetico in tal modo formato, così le particelle del corpo eterico e del corpo fisico, invece di essere inutilmente caotiche e soggette a qualsiasi influenza casuale che venga dall'esterno, diventano obbedienti alla sola influenza ed al solo dominio della volontà interiore. Noi dobbiamo sentirle così, dobbiamo sentire il mutamento portato dalla nostra affermazione che noi non siamo il corpo, ma che il corpo è cosa nostra. Dobbiamo quindi sentire che il corpo fisico ed il corpo eterico ricevono nutrimento ed energia dalla vitalità interiore, assai più che dall'esterno. Il mutamento complessivo è tale, che deve

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essere esperimentato e sentito piuttosto che meditato e discusso. Noi dobbiamo sentire il nostro corpo fisico diventare vibrante in risposta alla coscienza interiore, e soggetto alle sue leggi ed alle sue condizioni piuttosto che a quelle del mondo fisico circostante.Questo atteggiamento deve essere conservato in tutto quello che facciamo nella vita quotidiana. Dobbiamo sempre sentire che noi lavoriamo coscientemente per mezzo del corpo fisico, e che questo non lavora per proprio conto. Così dobbiamo dargli abitudini regolari di nutrimento, di sonno e di esercizio, in modo da farne uno strumento perfetto. Se i muscoli non sono allenati quotidianamente con l'esercizio fisico, non possiamo pretendere che il corpo fisico sia ricettivo e responsivo; e la salute fisica ha un’importanza ben maggiore di quanto non sia generalmente riconosciuto. Allo stesso modo dobbiamo regolare il nutrimento, in modo che dia al corpo la possibilità di essere vivace e responsivo. Invece di mangiare qualsiasi cosa in qualsiasi modo, dobbiamo mangiare solo quei cibi che possono fare del corpo un istrumento più netto, più forte e più ·fine per nostro uso; mentre mangiamo dobbiamo essere consci di quello che facciamo, assimilando dall'interno il nutrimento del corpo. Anche questa è una cosa che dobbiamo fare sperimentalmente, piuttosto che comprenderla intellettualmente. Dobbiamo avere il senso di mangiare coscientemente e di portare spiritualmente ciascun boccone di cibo nella costruzione del nostro corpo. I cristiani appartenenti ad una chiesa che riconosce il valore dei sacramenti ordinati da Cristo, conoscono il significato della comunione e il modo particolare in cui sono consumate le specie consacrate. Proprio nello stesso modo dovremmo prendere il nostro cibo, perchè ogni cosa è consacrata dalla presenza di Cristo, e la Sua vita è in tutte le cose, anche se questa presenza è pienamente manifesta solo nelle specie consacrate dell'Ostia e del Vino. In questo ed in molti altri modi noi possiamo favorire quel mutamento del corpo eterico e del corpo fisico, che i filosofi Ermetici conoscevano tanto bene e chiamavano rigenerazione del corpo, e farne strumenti perfetti per l'Io interiore. E' un mutamento reale, che quando sia compiuto, annulla per sempre il dominio del corpo fisico sulla coscienza, facendo di esso un perfetto strumento per nostro uso.

IL MUTAMENTO NEL CORPO ASTRALE

Ritiriamo ora il centro della coscienza dal corpo fisico: questo procedimento avviene in modo naturale, quando noi mutiamo atteggiamento riguardo al corpo. Con ciò non vogliamo dire di ritirarne la coscienza completamente, poichè così facendo ci addormenteremmo od entreremmo in trance; ma invece

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di concentrare la coscienza nel corpo, manteniamola ad un livello più alto ed agiamo per mezzo del corpo: il che è molto diverso. Ciò fatto, dobbiamo compiere il medesimo cambiamento riguardo al corpo astrale od emozionale. E ritroviamo la medesima difficoltà. Di regola, noi lasciamo che il nostro corpo astrale dipenda dal mondo emozionale, e che desideri ed emozioni si formino in esso sotto influenze esteriori; così è, se pure non sempre ce ne rendiamo conto, poichè non abbiamo ancora imparato la distinzione fra l'Io e il non Io riguardo ai mondi intimi (mondo dell'emozione e mondo del pensiero), e di conseguenza crediamo di sentire emozioni e sentimenti sorgere in noi, mentre in realtà essi ci sopraggiungono dall'esterno, o almeno sono provocati da cause esterne. Il risultato è che il corpo astrale, visto da un chiaroveggente mostra chiazze variopinte distribuite irregolarmente e pronte a cambiare sotto qualsiasi influenza esteriore.Tutto questo deve mutare. Noi dobbiamo renderei conto che il nostro corpo astrale non è che il nostro veicolo nel mondo astrale; dobbiamo quindi portarlo sotto il fermo dominio dell'Ego ed effettuare in esso il medesimo cambiamento già effettuato nel corpo fisico: dobbiamo dargli vita dall'interno, inviandogli soltanto le emozioni che decidiamo di voler provare. Cerchiamo di sentire in noi questo mutamento: cerchiamo di sentire il nostro corpo astrale libero da quelle meschine emozioni e da quei vani desideri che ci tormentano tanto, e determiniamo quali emozioni a questo nostro corpo consentiremo noi, l'Io divino. Sentiamo, queste emozioni, e facciamo in modo che si irradino coscientemente da noi. Prima di tutte sia l'amore: non già l'amore che desidera di possedere, ma l'amore che si espande liberamente su tutti gli esseri e su tutte le cose. Quindi la devozione: devozione al Maestro, devozione alla grande Opera, devozione a quello che conosciamo di più elevato; inondiamo il nostro corpo astrale di questa devozione. Poi la simpatia verso tutti quelli che soffrono: sentiamo il nostro cuore riversarsi compassionevolmente su ciascuna creatura che soffre nel vasto mondo. Infine sentiamo l'aspirazione spirituale, l'intensa aspirazione alle cose più alte; e sentiamo questa vera spiritualità irradiarsi attraverso il nostro corpo astrale. Quando noi, l'Io, determiniamo in questo modo quali sentimenti dobbiamo avere, ed irradiamo coscientemente queste alte emozioni attraverso il nostro corpo astrale, questo diventa veramente tutt'altra cosa. Invece di mostrare emozioni impulsive, nebulose, sempre mutevoli, diventa un centro di irradiazione che emana costantemente le emozioni da noi determinate e palpita ritmicamente sotto l'impulso interiore. Anche per il chiaroveggente diventa assai diverso: invece di mostrare chiazze nebulose di colori, mostra poche emozioni chiaramente definite, disposte concentricamente, che si irradiano costantemente dal centro. Così si ottiene nel corpo astrale il medesimo cambiamento del quale abbiamo parlato a proposito del corpo fisico.

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Anche in questo caso possiamo paragonare il mutamento a quello della limatura di ferro portata sotto l'influenza di un campo magnetico. Nel corpo astrale c'è ora una volontà centrale che domina e governa, e perciò esso è animato e determinato da questa volontà interiore; è divenuto il nostro servo, e non vi è eccitamento, emozione o tentazione esteriore che possa risvegliare in esso emozioni o desideri che noi non vogliamo provare. Il corpo astrale non è più una semplice particella del mondo astrale che lo circonda, ma è distinto da questo e coordinato dall'Io interiore. La polarità, per così dire, è cambiata: esso riceve vita dall'interno, e irradia costantemente le emozioni più elevate a vantaggio del mondo circostante. Effettuando questo cambiamento nel corpo astrale abbiamo fatto un nuovo passo verso l'abolizione di quella dualità dell'Io superiore e dell'Io inferiore, che ci tormentava tanto in passato ed era dovuta all'ignoranza per la quale noi permettevamo che parte della nostra coscienza fosse dominata dai corpi.Facendo del corpo astrale l’ausiliario dell'Io interiore, noi ritiriamo anche da esso il centro della coscienza, e la liberiamo, per dir così, da un altro dei corpi nei quali era imprigionata, conducendola di un passo più vicina al mondo al quale appartiene; e dando vita dall'interno anche al corpo astrale, 1'assoggettiamo alla nostra volontà.

IL MUTAMENTO NEL CORPO MENTALE

Ora dobbiamo considerare il corpo del pensiero, e mutare anche questo. Sotto certi aspetti, questo mutamento è il più essenziale di tutti, perchè in quel corpo sta il vero pericolo, anche se noi l'ignoriamo completamente. Nessuno dì noi agisce e parla senza aver prima pensato, formato un'immagine di quello che sta per fare, senza averlo prima “immaginato”. Noi non ce ne rendiamo conto: il lavoro della mente è così·rapido e la nostra coscienza è per noi un terreno così sconosciuto, che non sappiamo quello che avviene in essa. Ma anche se dobbiamo alzare una mano, noi ci facciamo un'immagine di questo atto; e questa immagine, avendo facoltà creativa, si realizza nell'atto. Il pensiero in noi è la manifestazione dello Spirito Santo, di Dio Creatore, ed è questa suprema, energia creatrice che si manifesta nel potere del nostro pensiero, facendone un'arma a doppio taglio, tanto più pericolosa per noi quanto meno ne conosciamo il potere. Quando pensiamo, formiamo un'immagine nel corpo mentale: creiamo una cosa e le infondiamo la divina Energia creatrice che deve scaricarsi nell'azione. Talvolta è necessario un certo numero di pensieri reiterati prima che la carica complessiva dell'energia creatrice sia sufficiente a produrre l'azione; ed i pensieri, ripetuti spesso, costituiscono un'abitudine, di modo che talvolta noi diventiamo impotenti a resistere a quello che noi stessi abbiamo creato.

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Tutto ciò non sarebbe pericoloso se noi determinassimo le immagini nel nostro pensiero dall'interno, se noi, l'Io divino, formassimo l'immagine in piena coscienza. Il pericolo, il tremendo pericolo di tutta la nostra vita, sta nel fatto che noi lasciamo che la creazione delle immagini sia provocata dall'esterno; che permettiamo a stimoli del mondo esterno di suscitare immagini nel nostro mentale, di plasmare la materia mentale creatrice in forme-pensiero cariche di un'energia la quale necessariamente tenderà a scaricarsi, quindi a realizzarsi. In questa attività indisciplinata del corpo mentale sta la fonte di tutte, si può dire, le nostre lotte interiori e le nostre difficoltà spirituali. E' l'ignoranza che consente la funzione indisciplinata di un corpo il quale, anzichè usare di noi, dovrebbe essere usato da noi come nostro. Quando noi lasciamo che il nostro corpo mentale subisca influenze esterne per la formazione delle sue immagini, noi siamo perduti, e comincia la nostra lotta.

IL PERICOLO DI UN'IMMAGINAZIONE INDISCIPLINATA

Consideriamo il caso di un uomo dedito al bere. Egli conosce l'infelicità di cui è fonte la sua debolezza: sa come sciupa quello che guadagna, privandone la sua famiglia, e nei momenti ragionevoli fa il proposito ai smettere. Ma poi passa davanti ad un luogo nel quale può bere, vede gente entrarne ed uscirne, e forse fiuta l'odore della bevanda allettatrice. Fino allora è stato salvo dalla tentazione e dalla lotta; ma che accade in quel momento? In quella breve frazione di secondo egli immagina di bere, forma un'immagine mentale e per un momento vive ed agisce in quell'immagine mentale, che gli rappresenta sè stesso nell'atto di godere la bevanda. Gli pare così di soddisfare il suo desiderio, mentre in realtà non fa che accrescerlo, rendendo quasi inevitabile l'azione conseguente. Creata l'immagine, egli chiama in aiuto la sua volontà dicendo: “lo non voglio far questo”. Ma è troppo tardi; la lotta è, in pratica, inutile. Una volta creata, l'immagine mentale è generalmente seguita dalla realizzazione. Certo, qualche volta l'immagine non è abbastanza forte, ed egli riesce a reprimerla; ma anche allora ne risulta lotta, esaurimento dei corpi e sofferenza. La via migliore è di impedire all'immagine mentale di formarsi, intervenendo quando l'intervento è ancora efficace. Questa immaginazione indisciplinata cagiona assai più sofferenze di quello che noi pensiamo. Le innumerevoli occasioni in cui tanti uomini non possono dominare le passioni più basse, e specialmente il desiderio sessuale, sono tutte risultato di un'immaginazione indisciplinata, non di debolezza della volontà. Si può sentire un forte desiderio, ma solo il pensiero creatore porta all'azione. La maggioranza degli uomini ignora le proprie immaginazioni, i propri sogni ad occhi aperti, i propri pensieri, e li crede innocui perchè non sono tangibili, nè

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visibili all'occhio comune. In realtà essi costituiscono il solo, l'unico pericolo. Per l'uomo che prova un forte desiderio sessuale, non c'è pericolo nel vederne l'oggetto o nel pensare ad esso, se egli non comincia ad immaginare il soddisfacimento della sua brama. Solo quando egli ha formato l'immagine di sè stesso nell'atto di soddisfare i propri desideri, e quando ha lasciato che i desideri rafforzino l'immagine così formata, comincia il pericolo. Un uomo potrebbe essere circondato dagli oggetti del suo desiderio, eppure non provare alcuna difficoltà, alcuna lotta, solo che potesse vietare alla sua immaginazione, al suo potere mentale creatore, di reagire sugli oggetti che vede. Non ci convinceremo mai abbastanza che negli oggetti del desiderio non c'è potere di sorta, se noi non permettiamo a noi stessi di reagire su di essi, se non ci abbandoniamo ad immaginazioni che hanno potenza creatrice. Ma una volta che ci siamo abbandonati alle immaginazioni, segue certamente la lotta. Allora noi invochiamo in aiuto quella che chiamiamo volontà, e tentiamo di sfuggire alle conseguenze della nostra immaginazione con una resistenza frenetica. Pochi finora hanno appreso che questa resistenza frenetica, angosciosa, ispirata dalla paura, è cosa molto diversa dalla volontà.

LA FUNZIONE DELLA VOLONTÀ

Quando il Dottor Coué nella sua famosa esposizione del potere dell'immaginazione, vale a dire della potenza creatrice del pensiero, dice che dove la volontà e l'immaginazione sono in lotta, vince sempre l'immaginazione, ha perfettamente ragione, se per volontà intendiamo soltanto la resistenza frenetica ed angosciosa che in moltissimi sostituisce la volontà. Così, quando impariamo ad andare in bicicletta, se vedendo un albero sul nostro cammino anzichè schivarlo andiamo diritti sull'ostacolo che può impedirci di proseguire e può danneggiarci, il nostro errore sta nell'immaginazione non dominata: noi permettiamo a noi stessi di immaginare che andremo ad urtare contro l'albero, creiamo un'immagine mentale di questa nostra azione, e la rafforziamo con un'emozione, che in questo caso è la paura. Poi cominciamo a resistere; ma questa resistenza affannosa e disperata non dovremmo chiamarla volontà; poichè essa non fa che rafforzare l'immaginazione ed aiutare il compiersi dell'evento·che cerchiamo di evitare. Se invece usassimo la volontà vera, non permetteremmo alla immaginazione di reagire sull'albero; ma accortici dell'albero e constatata tranquillamente la sua esistenza, anzichè lasciare che questa influisca sulla nostra coscienza, applicheremmo l'immaginazione nella via chiara ed aperta che desideriamo seguire. L'albero allora sarebbe per noi come inesistente e non vedremmo che la via libera.

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C'è una vecchia storia di tre arcieri che scommisero fra loro chi avrebbe colpito un uccello su un albero lontano. Il primo guardò l'albero e perdette di vista l'uccelIo; il secondo guardò l'uccello, ma lo sfiorò appena; il terzo, mirando all'uccello (che doveva esser molto placido, in verità!) non guardò nè l'albero nè l'uccello, ma soltanto l'occhio al quale mirava, e lo colpì. Questo è il potere della volontà vera: il potere di vedere unicamente l'oggetto che desideriamo, e nient'altro. Se l'ubriacone usasse la vera volontà, vedrebbe soltanto il proposito di proseguire per la strada verso la sua meta, e passando dinanzi all'osteria non sarebbe tentato nè costretto a lottare. Col potere della volontà vera noi possiamo tenere la immaginazione concentrata sul solo proposito che abbiamo deciso di effettuare; la funzione particolare della volontà non è di fare le cose o di combattere contro di esse, ma di tener fermo nella coscienza un proposito, escludendone tutto il resto.

IL CORPO MENTALE, CENTRO ESSENZIALE

Così, nel corpo mentale deve penetrare il cuneo; dobbiamo, impedire che vi si formi qualsiasi immagine senza la nostra sanzione, senza che noi, l'Io interiore, avessimo deciso che debba essere formata. Bisogna spazzar via dal corpo mentale qualsiasi forma-pensiero, immagine, traccia di pensiero che non abbia importanza. Poi si farà di questo corpo quello che abbiamo già fatto degli altri: fiutarne la polarità, rendere le sue più piccole parti rispondenti ed obbedienti alla coscienza interiore, e non più soggette al mondo circostante. Anche qui il mutamento è evidente per la vista chiaroveggente: tutto il corpo mentale appare illuminato dalla luce dell'Io interiore e diviene un centro irradiante, intonato con la nostra coscienza e sulla sua stessa linea. Ma anche questo non è sufficiente; in questo modo possiamo vietare al corpo mentale di danneggiarci e di ostacolarci nel nostro cammino, ma nulla più. Noi dobbiamo fare del potere creatore del pensiero un potere positivo di bene, non contentandoci di impedire che ci nuoccia, ma usandolo in modo che ci aiuti. Ciò significa che dobbiamo creare e rafforzare con la nostra emozione quelle immagini mentali che desideriamo di vedere realizzate nella nostra vita quotidiana. La meta della nostra evoluzione è la perfezione, non per il proposito egoistico di divenir perfetti, ma perchè il fardello del mondo possa essere, per nostro mezzo, un poco alleviato. Invece di fare quel che facciamo spesso incoscientemente e male a proposito, voglio dire invece di immaginare noi stessi nella condizione di essere e di agire come in realtà non vorremmo nè essere nè agire, dobbiamo immaginarci sotto l'aspetto delle creature perfette che desideriamo essere e che saremo un giorno. Con tutto il potere creatore del nostro pensiero, pensiamoci divini nell'amore, divini nel pensiero, nella parola, nell'azione;·colmiamo tutto il nostro corpo mentale di questa immagine,

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rafforzandola con emozioni di gioia e di amore, di consacrazione e di aspirazione. Anche questa immagine diverrà una realtà, seguendo la stessa legge delle immaginazioni non desiderabili che ci hanno· cagionato tanti turbamenti; ora che abbiamo diretto coscientemente questo potere dell'immaginazione, non ne siamo più schiavi: non esso fa uso di noi, ma noi di esso; quello stesso potere che era il nostro nemico, è diventato il nostro amico.Non c'è limite nei diversi modi in cui il potere creatore dell'immaginazione possa essere usato costruttivamente invece che distruttivamente. Non solo nella nostra condotta e nelle·azioni quotidiane, ma nel lavoro e nelle ricreazioni stesse possiamo sfruttare questo potere illimitato, una volta che abbiamo· fatto del corpo mentale il nostro servo ed il nostro strumento. Ora, ritiriamo il centro della coscienza anche dal corpo mentale e rendiamo questo corpo rispondente all'Io interiore, come abbiamo fatto del corpo fisico e dell'astrale. Oramai nei tre corpi possediamo tre servi nei tre mondi dell'illusione: essi sono i tre cavalli che tirano il nostro carro nei mondi inferiori, ma l'Io è il divino Auriga che non lascia più correre i cavalli a loro capriccio; esso li obbliga a correre dove e come vuole. Egli ha liberato la coscienza dai suoi vincoli coi tre corpi, l'ha riportata nel mondo al quale essa veramente appartiene, e d'ora in poi potrà usare di quei corpi come di tre docili servi.

CAP. III

IL MONDO DELL'EGO

Quando la coscienza sia liberata dai tre corpi nei quali era imprigionata, sarà naturalmente riunita all'Io che essa è veramente. Proviamoci a riportare la coscienza nell'Ego; meglio ancora, proviamoci a renderei conto, a sapere senza ombra di dubbio che noi siamo quell'Ego, un'anima divina che era in esilio. Riportiamola a quel mondo al quale appartiene, entriamo nel mondo che è il nostro vero mondo, e nello stesso istante riconosceremo pure il divino Io interiore, uno con la divinità in ogni cosa. Da quel momento in poi non ci sarà più possibile dubitare se siamo l'Io inferiore e l'Io superiore, nè potrà più aver luogo la faticosa lotta fra i due opposti poli della nostra natura; essi non sono più due: la coscienza imprigionata ed esiliata è stata riportata alla coscienza genitrice dalla quale si era straniata, e l'uomo è nuovamente uno, è il divino Io interiore, che usa coscientemente dei suoi tre corpi, ma non è più legato ad essi. Non si deve riportare la coscienza nell’Ego soltanto in pensiero, non si deve convenire soltanto intellettualmente che noi siamo l'Ego; ma bisogna realmente essere l'Ego e vivere nel proprio mondo. Se siamo riusciti, a liberare la coscienza

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dai corpi, non c'è difficoltà a riportarla nell'Ego, poichè essa è realmente la coscienza dell'Ego, e il mondo dell'Ego è la nostra vera patria.Quando noi rientriamo così nel mondo dal quale siamo stati per tanto tempo esiliati, la nostra prima esperienza è quella di un senso travolgente di libertà e di gioia. Come un uomo appena rimesso in libertà dopo esser stato per anni ed anni rinchiuso in un carcere dove non penetravano i raggi del sole, si sente quasi abbacinato dalla luce aperta, così siamo noi quando entriamo nel nostro mondo dopo il lungo esilio nella prigione della materia, sopraffatti dalla luce che ci attornia e dalla libertà che spezza i nostri antichi vincoli. In quel mondo tutto è veramente luce e gioia: l'Ego, nel suo mondo, vive una vita di felicità è di bellezza così incomparabile, che anche se dovessimo vederla una volta sola, non potremmo mai più cadere vittime del mondo dell'illusione. Oramai noi sappiamo chi siamo, ci siamo visti nella nostra divina bellezza, ci siamo visti nella nostra patria divina: nessuna potenza terrena potrà mai più indurci a credere che noi siamo i corpi. E' spezzato l'incanto che ci teneva e per la prima volta conosciamo la pace e l'assenza di qualsiasi lotta. E' meraviglioso come tutto diventa subitamente semplice una volta raggiunto il mondo dell'Ego, come viene naturale di fare quello che è giusto. La nostra vita precedente ci appare piena di complicazioni, quasi incomprensibili con i suoi problemi; una volta che abbiamo avuto il coraggio di riconoscerei per quello che veramente siamo, svanisce ogni lotta, cessa ogni sforzo e la vita scorre armoniosa divenendo semplice e naturale.

LA VITA DELL'EGO

Una delle cose che destano in noi maggior meraviglia quando ci rendiamo conto di noi stessi come Ego, è che nel nostro vero mondo abbiamo una vita nostra che oltrepassa e supera tutto quello che quaggiù chiamiamo vita. Anche chi riconosce che la nostra personalità, il nostro Io terreno, non è che una manifestazione temporanea del divino Io interiore, commette spesso l'errore di considerare questa manifestazione temporanea come se fosse cosa supremamente impattante e interessante per l'Io divino. La realtà è assai diversa: quell'Io che noi siamo veramente ha una vita sua propria, nella quale l'attività sussidiaria che chiamiamo vita terrena non ha in nessun modo l'importanza che le vorremmo dare. Quando siamo coscienti di noi stessi come Ego, siamo simultaneamente consci delle attività nelle quali, come Ego, siamo impegnati. Naturalmente è molto difficile, se non impossibile, dare la minima idea di questa attività. Noi, nella nostra coscienza bambina, non conosciamo che le cose del mondo materiale, e una cosa non ha senso per noi se non possiamo descriverla nei termini e nelle realtà di questo basso mondo.

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L'Ego nel suo proprio mondo è perpetuamente attivo nella grande opera della creazione; insieme con le legioni angeliche e con altri grandi Esseri egli contribuisce all'opera della creazione cosmica, dalla quale è mantenuto in vita quest'universo. L'opera di Dio è creazione, e l'Io, essendo divino, è impegnato in questa stessa divina attività creatrice. L'arte soltanto può parlare di questo vero lavoro dell'uomo divino; dobbiamo rivolgerci ai musicisti ed ai poeti se vogliamo comprendere qualche cosa della nostra attività di Ego. Così nel Prometeo Liberato si può avere un senso' di questa attività là dove il Coro degli Spiriti e delle Ore canta: Poi intessete la trama del mistico ritmo; dalle profondità del cielo e dai confini della terra venite, agili spiriti della potenza e gel piacere; la musica e la danza empite d'allegrezza, come le onde di mille correnti affluiscono ad un oceano di splendore e d'armonia. Poco più innanzi il coro degli Spiriti canta: E il nostro canto edificherà nell'infinito campo del vuoto un mondo che regno sarà allo Spirito della Sapienza. Canto, musica, suono sono le parole che meglio danno l'idea dell'attività dell'Ego nel suo mondo; eppure in quel mondo nulla vi è in verità che somigli a quello che conosciamo quaggiù come suono. Ma l'attività tutta dà l'impressione di una grande sinfonia, della quale note e accordi sono esseri viventi, che cantano il canto della loro vera natura e, col potere di questo, creano. Potremmo anche raffigurare ciò come la tessitura di una trama di luce, nella quale gli esseri sono come punti radiosi, connessi da linee di luce. Ma niente può dare un'immagine della pura gioia, della beatitudine senza pari che compenetra il mondo dell'Ego, dandoci la sensazione di essere immersi in un bagno di luce e di incomparabile bellezza. Nel vecchio Testamento è una frase la quale dice che quando il mondo fu creato, “i figli di Dio innalzarono grida di gioia”. In questa espressione vi è qualche cosa che richiama alla mente l'Ego, vero figlio di Dio, nel suo mondo pieno di gioia. Tutto quel lavoro è come un possente rituale, un inno cerimoniale di creazione, per mezzo del quale i mondi sono tenuti in vita; il rituale che noi conosciamo in terra è come un' ombra di quel vero e grande rituale che vien conosciuto nel nostro vero mondo. Per questo nei rituali delle grandi Religioni mondiali e della Massoneria qualche cosa ci richiama al paese al quale apparteniamo; in essi udiamo deboli echi e frammentarie melodie del canto che cantiamo tutti, perpetuamente, nel mondo dell'Ego.

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LA NOSTRA VITA SULLA TERRA

Quando in questo stato di coscienza pensiamo alla nostra vita sulla terra, alla vita che alla nostra coscienza bambina sembra quaggiù di un'importanza così preponderante, essa ci appare irreale, quasi come un sogno ed affatto priva di quell'importanza che siamo soliti attribuirle. Come Ego, la consideriamo sotto l'aspetto di un compito che deve essere eseguito, di una lezione che deve essere imparata, e forse non può esser meglio definita che coll'appellativo di “consapevolezza di sè”; soltanto in questi mondi più densi vi sono resistenze e separatività sufficienti per sviluppare quel senso di individualità e di coscienza dell'Io, che deve poi essere riportato nella grande unità.Vedendo così la nostra vita dal mondo dell'Ego, diventiamo equanimi nel considerare 1'esistenza da condurre sulla terra; appare allora quanto sia profondamente vero che in essa niente ha molta importanza, e la maggior parte delle cose non ne ha alcuna. Una volta che conosciamo noi stessi nella nostra piena gloria di Ego, la vita quaggiù non ci sembra che un'attività sussidiaria, alla quale dedichiamo un poco della nostra coscienza ed un poco della nostra attenzione, allo stesso modo che un uomo di stato occupato in un grandioso lavoro potrebbe dedicare soltanto un poco della sua attenzione ad una piccola attività personale nella quale fosse interessato.

LA BELLEZZA DELL'EGO

Nel mondo dell'Ego non vi sono forme nè colori come noi li conosciamo, ma qualche cosa vi è che si potrebbe ridurre in termini .di forma e di colore, di modo che possiamo parlare dell'apparenza dell'Ego, anche se esso non ci appare come ci appaiono gli oggetti nel mondo fenomenico. Così non si deve fraintendere se diciamo che l'Ego ci appare come in una forma umana glorificata, e che in questa forma vediamo noi stessi quaIi siamo realmente. La forma umana sotto la quale ci vediamo là, rappresenta, nello stesso tempo, il nostro vero tipo o genio e la nostra missione nella grande Opera. Così un Ego che io conosco aveva l'aspetto di un giovane radioso, come un Apollo greco scolpito in un marmo scintillante, eppure immateriale; l'ispirazione era la sua nota fondamentale. Un altro Ego appariva simile alla statua di Demeter nel Museo Britannico: figura dignitosa, severa e calma, immersa per così dire in meditazione sul mondo che essa contribuiva a nutrire ed a proteggere. Così ciascun Ego ha il proprio aspetto di bellezza radiosa, che esprime la sua missione ed il suo genio. Riportata la nostra coscienza nel mondo dell’Ego e conosciuti noi stessi come tali, dobbiamo cercare di vedere quale aspetto abbiamo in quel mondo, e da

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quel momento considerarci solo sotto quell'aspetto. Dopo aver visto quello che è il nostro vero aspetto, non dobbiamo più concederci di pensare a noi stessi sotto i tratti di quell'effigie che viene riflessa dallo specchio in cui ci guardiamo. Una volta persuasi di essere il divino Io interiore, non dobbiamo mai più, nemmeno per un momento, tollerare di ricadere nell'antica illusione di essere il corpo fisico e di avere un Io divino lassù, lontano, chissà dove. Ormai la posizione è invertita: parlando di noi stessi, noi parliamo dell'Essere radioso che siamo realmente, e non dei corpi attraverso i quali si manifesta temporaneamente una parte della nostra coscienza.

MANTENERE LA COSCIENZA DELL'EGO

Poichè abbiamo dietro di noi intiere epoche di evoluzione nelle quali stavamo contenti a sopportare l'esilio nelle tenebre del mondo esteriore, rimane, anche quando per un breve momento ci rendiamo conto di essere l'Ego, una certa tendenza a ricadere nella vecchia abitudine di identificarci coi corpi. Spesso la colpa è nostra. Quando abbiamo provato un momento di grande elevazione spirituale durante la meditazione o durante una cerimonia, ci adagiamo nel pensiero: “Era molto bello: peccato che sia finito!”. Non si deve commettere questo errore: quando si prova qualche cosa di grande, quando ci si riconosce come l'Ego divino, si deve dire: “Questo è molto bello, e resterà in me”. Ecco la grande differenza. La nostra debolezza consiste spesso nel provare queste cose sublimi e nel rassegnarci a vederle svanire. Non ci si deve mai rassegnare a questo modo; bisogna ribellarsi e dire a sè stessi: “Io non lascerò sfuggire questa cognizione divina, ma la terrò entro di me”; io, l'Io divino, la voglio tenere entro di me”. Questo è possibile: è stato fatto; deve esser fatto. Un giorno o l'altro tutti dovremo riconoscere i nostri poteri divini ed imparare a conservare come una perenne realtà questa coscienza che abitualmente abbiamo solo per pochi istanti. Perchè non farlo subito? Conoscendoci come Ego, partecipando di questa vita divinamente beata e benedetta, decidiamo di rimanerci. Non torniamo nelle tenebre dell'esilio. Perchè tornare a quella ristretta esistenza in, una prigione oscura, che è la vita della personalità, quando possiamo vivere nel sole della vita divina? Perchè non rimanere in quella luce, di là operare e là vivere?

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CAP. IV

I POTERI DELL'EGO

Dopo esserci rafforzati nella convinzione che noi siamo l'Eg.o, dobbiamo renderci conto dei poteri di cui, come Ego, possiamo disporre. Prima di tutto, abbiamo l'amore dell'Ego, il potere dell'unità, l'aspetto delEgo, che nella terminologia teosofica si chiama Buddhi. Parte della tragedia, che ha luogo quando la coscienza dell'Ego è immessa nei tre corpi e si trova in balia della loro coscienza elementare, consiste nel fatto di sentirsi un essere separato da tutto il mondo che l'attornia. Nel momento in cui torniamo all'Ego, questa, illusione di separatezza svanisce e noi ci rendiamo conto di che cosa sia l'unità. Allora ha luogo il miracolo: noi ci conosciamo ancora come esseri individuali, ma nello stesso tempo siamo nella vita di ciascuno dei nostri simili, di ciascuna creatura. Noi siamo la vita degli alberi che crescono, delle acque del mare, delle nubi e del sole, siamo la vita di tutte le cose. Tale è la potenza d'amore dell'Ego, la nostra realizzazione dell'unità a quel livello, e questo è il solo potere che ci muove sul Sentiero della perfezione. Non la volontà, non il pensiero ci sospingono sul Sentiero verso l'Unione divina, ma soltanto l'amore. L'amore è l'unità realizzata; più ci rendiamo conto dell'unità, più sentiamo di poter amare tutti gli uomini nostri simili; tanto più sentiamo di amare persino gli alberi e le pietre, quanto più siamo vicini all'unione con la Vita divina, magneticamente attratti verso questa unione. Si deve cercare di sentire questo potere dell'Ego, di essere uno con ogni cosa; si deve cercare di sentir la propria coscienza dissolversi nella Coscienza più grande, fino a diventare questa stessa Coscienza. Cominciamo col sentire la nostra coscienza come parte di quella del Maestro, perdendoci interamente in Lui. Non si deve contemplare questa Unità col Maestro, ma sentirla, convertirla in una verità interiore e attuale, in modo da sentirci semplicemente una parte di Lui. Così facendo, potremo facilmente sentire come l'amore, sia il solo potere che ci muove sul Sentiero: è l'intensità del nostro amore e della nostra adorazione per il Maestro, è la misura nella quale possiamo sentirei una cosa sola con Lui, che rende possibile a Lui di prenderei come discepoli. Nello stesso modo, ma in assai maggiore misura, la nostra coscienza si espande quando noi cerchiamo di sentire la nostra unità con la grande Fratellanza stessa e di provare, almeno in minimo grado, la meravigliosa unità di quella coscienza che ha una volontà sola, la volontà del Re, eppure consiste di tanti grandi Esseri. Ed ancora, quando giungeremo a conossere noi stessi l'unità di questa coscienza e ad esserne convinti, questo convincimento ci trarrà in quell'Unità e

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farà di noi una cosa sola con essa; ci guiderà alla prima delle grandi Iniziazioni. L'amore è come una calamita: ci attira verso ciò che amiamo e fa di noi una cosa sola con esso; l'amore dell'Ego, quando riusciremo a comprenderlo pienamente ed a sentire come esso si espanda su ogni cosa, su ogni creatura di questo vasto mondo, non mancherà di condurci alla meta dell'evoluzione: l'unione con la Divinità. Quando sentiamo questo, possiamo comprendere che cosa voglia dire la massima occulta: “crescete come crescono i fiori”. Quando sente il calore del sole, il fiore si espande, e nel suo anelito per il sole cresce verso di esso. E' l'amore del fiore per il sole che lo fa crescere, e nello stesso modo l'amore dell'anima per il sole divino sviluppa l'anima. Non c'è sforzo in questa crescita, non c'è spinta o trazione esteriore; è una naturale identificazione con ciò che si ama. Ecco perchè il nostro amore deve abbracciar tutto, senza nulla escludere, ecco perchè deve scorrere liberamente su tutte le cose, poichè in tutte le cose è la vita divina che noi cerchiamo. Se la escludiamo in una sola cosa, in un solo essere che separiamo da noi, escludiamo la stessa Vita divina e rendiamo più difficile la nostra unione cosciente con Essa. Pensiamo al Signore Cristo come al Cuore di questa Unità di tutte le cose, e amando Lui arriveremo ad amare tutte le cose. Allora cominceremo a vedere quale profonda verità sia nel Suo detto, che qualunque cosa facciamo per l'ultimo dei nostri fratelli, la facciamo per Lui. Rammentiamo che anche nel renderei conto di questo particolare potere dell'Ego non dobbiamo abbandonarci alla pura contemplazione o alla concezione intellettuale dell'amore, ma dobbiamo sentire questo amore dell'Ego, trasformarci in Esso, e allora sulle sue ali potremo ascendere alle cose più alte. E' un potere che dobbiamo imparare ad usare coscientemente.

LA VOLONTÀ DELL'EGO

L'altro potere dell'Ego che dobbiamo imparare a sentire come nostro è il potere della volontà, che si chiama in teosofia l'Atma. Non si deve confondere questo potere veramente divino con la debole cosa che chiamiamo “volontà” nella vita quotidiana. Non vi è parola che sia più di quella male intesa e male usata. Noi l'usiamo quando dovremmo più propriamente dire “desiderio”; diciamo che una persona è di volontà debole, mentre una volontà debole non esiste; diciamo “contrasto di volontà” per denotare semplicemente un contrasto di desideri egoistici. Come abbiamo già dettò, Coué e Baudouin usano la parola “volontà” nel senso di resistenza angosciosa e frenetica, e così anche in una delle opere più importanti della psicologia moderna non si giunge che a risultanze confuse. Prima di tutto dobbiamo abbandonare l'idea comune che la volontà faccia le cose, che noi possiamo compiere qualche cosa con uno sforzo di volontà. Fare e compiere non sono funzioni della volontà, ma di un aspetto dell'Ego

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completamente diverso: l'attività creatrice. La volontà è il Reggitore, il Re che dice: “questo deve essere fatto”, ma che non va da sè a fare le cose. Parlando psicologicamente, la volontà è il potere di tener la coscienza concentrata su di una cosa, escludendone tutto il resto. Ma è un potere tremendo, e tanto più· tremendo quanto meno compreso.

NON VOLONTÀ DEBOLE MA IMMAGINAZIONE SENZA FRENO

Ci sarà più facile capire questo analizzando qualche caso in cui la nostra volontà non è come si dice ordinariamente, abbastanza forte. Immaginiamo di aver deciso di alzarci alle sei del mattino. Quando all'ora fissata ci svegliamo, ci sentiamo ancora assonnati e stanchi. Se ora usassimo della volontà nel debito modo, non avremmo alcuna difficoltà ad alzarci, perchè tratterremmo in noi la sola idea di alzarci, escludendone ogni altra. Ma in realtà permettiamo all'immaginazione di trastullarsi col problema dell'alzarci, e cominciamo coll'immaginare da un lato quanto sarà sgradevole lasciare il tepore del letto per vestirei al freddo ed al buio, e dall'altro come sarebbe invece piacevole restare in letto e dormire un altro poco. Così abbiamo creato delle ima:mmgini che tendono naturalmente a tradursi in realtà ed a farci stare in letto. Se poi cominciamo a resistere, questa resistenza non potrà essere che assai debole; e se anche vinciamo, ci saremo procurati una lotta affatto inutile, che andrà a detrimento della nostra vitalità e che avremmo potuto facilmente evitare se avessimo compreso la vera funzione della volontà. Non alzandoci, abbiamo dato segno non di volontà debole, ma di scarso dominio dell'immaginazione. L'uso giusto della volontà sarebbe stato quello di conservare il pensiero creatore, cioè l'immaginazione, concentrato e diretto su una sola idea, quella di alzarci, escludendone ogni altra. Così non avremmo permesso alla immaginazione di giocare coi pensieri come quelli del fastidio di alzarci e del pia-cere di restare in letto, e non avremmo trovato difficoltà ad alzarci subito. Amleto ripete una profonda verità psicologica quando dice: “il nativo colore della risoluzione è illanguidito dalla pallida tinta del pensiero”. La volontà interiore è quella che ha il potere di mantenere la coscienza concentrata su una cosa, escludendone ogni idea, sentimento, persona od influenza che possa tentarci in senso contrario. Prendiamo un altro esempio: è nota a tutti i nuotatori la sensazione spiacevole che assai spesso si prova quando si sta per tuffarsi nell'acqua da una grande altezza. Si è decisi di farlo, ma al momento di saltare ci si ritrae e può occorrere un certo tempo prima di riuscire,· come si dice, a trovare coraggio sufficiente per lasciarci andare. In realtà è avvenuto che noi abbiamo permesso all'immaginazione di creare un'immagine, terrificante del tuffo che stiamo per

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fare, e di insinuare perciò l'idea della convenienza di astenercene. Avendo creata questa immagine, naturalmente ce ne sentiamo impediti, ed il salto nell'acqua comincia ad atterrirci, mentre prima ci attraeva. Anche in questo caso il rimedio consiste nel tenere la volontà concentrata sulla sola cosa che vogliamo fare, e cioè il salto, escludendo qualsiasi pensiero, sentimento ed influenza contraria. Allora troveremo che non vi è difficoltà nell'eseguire quello che ci eravamo proposti.

L'USO DELLA VOLONTÀ NELL'OCCULTISMO

Quando applichiamo tutto ciò all'uso della volontà per raggiungere la perfezione, che è la nostra meta, vediamo subito perchè manchiamo tanto spesso al nostro scopo. Noi decidiamo di toccare la meta, di compiere il nostro destino spirituale, e così facendo stabiliamo una linea d'azione e certi ·principi. di condotta che riconosciamo essenziali. Ora, se ci riuscisse di tenere la volontà concentrata su questo unico proposito, non troveremmo difficoltà nè lotta. Ma in realtà, ecco presso a poco quello che noi facciamo. Quando si presenta l'occasione prescelta, noi cominciamo ad immaginare i vantaggi e gli svantaggi, il piacere o il fastidio di quella tale azione; create così delle immagini, o forme-pensiero come vengono anche chiamate, le rafforziamo col sentimento e col desiderio, in modo che esse si rizzano come ostacoli sul nostro cammino, quando noi cerchiamo di attenerci alla nostra primitiva intenzione. Allora comincia la lotta con tutte le sue dolorose conseguenze: sofferenze per noi, esaurimento per i corpi e pericolo di fallire al compito che ci siamo proposti. Tutto, ciò è non solo errato, ma anche superfluo. Se noi usiamo della volontà come deve essere usata, e cioè unicamente per tener fermo un solo proposito e niente altro, non ci può essere difficoltà. Ma dal momento che permettiamo ad un pensiero o ad un'influenza contraria di entrare nella nostra coscienza e di attirare l'attenzione, siamo perduti. Certo dobbiamo tener conto delle circostanze, usando sempre il buon senso e giudicando deliberatamente, ma non dobbiamo lasciare che influenze estranee distraggano dalla nostra linea d'azione.Cerchiamo di renderci conto di questa volontà dentro di noi; vediamola invadere tutta la nostra coscienza come una abbagliante luce bianca, sentiamo che essa è irresistibile ed ha il potere di tener fermo qualsiasi proposito fino al suo compimento. Una volta sentito e ben compreso questo vero potere della volontà, non potremo mai più parlare di volontà debole. La volontà è un potere veramente divino; e se non ne intenderemo le funzioni ed il significato nella nostra vita, non potremo compiere il nostro destino. Usiamo dunque di questo potere della volontà per tener fermo nella coscienza un proposito, ed uno solo: la perfezione per il bene del mondo. Questa deve

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essere la nostra sola passione, assorbente e dominante, e non dobbiamo permettere ad alcuna cosa di contrastare con essa. Nè si deve pensare che questo sia un desiderio egoistico: chi può pensare così, non è entrato nel mondo dell'Ego e non sa ancora quello che significhi unità. Solo quando comprendiamo, quando sappiamo che tutto il creato è uno, assolutamente ed indistruttibilmente uno, solo allora abbiamo la convinzione dell'impossibilità di una salvazione individuale. Salvazione, o perfezione, significa unione con la Vita divina che è in tutte le cose, e perciò non può mai essere individuale, nè riservata a pochi eletti. La riuscita di uno è riuscita di tutti; se un essere umano giunge all'Adeptato, in lui tutta l'umanità, tutto il creato trionfano: è una nuova corda che si è formata per legare l'umanità a Dio, è una nuova forza che è nata per alleviare il peso della sofferenza del mondo. Nella Divina Commedia, quando un'anima viene liberata dal Purgatorio per entrare nel Paradiso, tutto il Monte del Purgatorio trema di gioia. E questo è vero alla lettera: la riuscita di qualsiasi essere umano è gioia per tutto il creato, e giammai un semplice successo individuale. Il desiderio della perfezione è il desiderio di rinunziare all'illusione della personalità separata per la realtà della Vita universale: dunque, egoismo e perfezione si escludono reciprocamente. Cerchiamo dunque di usare di questo potere veramente divino, da ciascuno di noi posseduto, per il più grande di tutti i propositi e di tenere la coscienza accentrata sull'idea della perfezione, in modo che questa domini tutto ciò che facciamo. Sul principio potrà occorrere uno sforzo, e forse troveremo difficile eseguire il nostro lavoro quotidiano mantenendo la coscienza accentrata sulle cose più grandi; ma presto diverrà un'abitudine, e la volontà della perfezione diverrà lo sfondo permanente sul quale si ricameranno le figure della nostra vita d'ogni giorno.

NOI SIAMO IL SENTIERO

In un certo senso, noi siamo già perfetti e divini in questo stesso momento. L'Io reale, l'essere reale non è l'attimo fuggente e mutevole che noi chiamiamo presente, ma è tutto il passato e tutto il futuro, è l'essere completo contenente in sè tutto il suo ciclo d'evoluzione. Così noi siamo l'uomo primitivo non meno che l'uomo perfetto, e quello per cui lottiamo è già realmente nostro: il segreto della evoluzione è diventare quello che siamo. Ora soltanto possiamo intendere il significato di un'altra massima occulta molto usata, cioè che “noi stessi dobbiamo diventare il Sentiero”. Questo è assolutamente vero; eppure lo sappiamo soltanto quando,·nella nostra coscienza di Ego, abbiamo visto la meta, il proposito della perfezione, il conseguimento dell'Adeptato, non come una cosa lontana ed estranea cui ci si debba avvicinare dall'esterno, ma come la nostra destinazione intima, il nostro intimo Io. Quando noi conosciamo così che

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cosa significhi “divenire il Sentiero”, sappiamo anche che niente sulla terra potrà mai più interporsi fra noi e la nostra meta; noi l'abbiamo veduta, e siamo divenuti una sola cosa con essa: è come se avessimo veduto la nostra divinità, come se la meta fosse al centro del nostro essere. Il Sentiero della perfezione allora diviene unicamente la rivelazione della nostra propria divinità.

IL POTERE DEL PENSIERO CREATORE

Dopo esserci resi conto del potere di amore e di volontà dell'Ego, dobbiamo scoprire il suo terzo potere , il pensiero creatore, o come lo chiama la Teosofia, il Manas. Il pensiero in noi è la manifestazione dello Spirito Santo, come la volontà è la manifestazione del Padre e l'amore quella del Figlio. Dio nel suo aspetto di Spirito Santo è Dio nella sua attività creatrice, Dio creatore; e quando noi ci rendiamo conto di questo potere in noi, ci sentiamo ispirati, posseduti da una sconfinata potenza creatrice. Soltanto il pensiero in noi è quello che agisce: è il pensiero che crea ed attua i decreti della volontà. Se la volontà è il Re, il pensiero è il primo Ministro; e l'attività del nostro pensiero creatore dovrebbe sempre esser diretto dalla volontà. Il suo potere di creare sembra illimitato; una volta che ci rendiamo conto di ciò, sappiamo che, come Ego, noi possiamo fare tutte le cose e sentiamo in noi una sconfinata energia creatrice, capace di compiere qualunque cosa che la volontà possa decretare. Solo quando questo terzo potere, il pensiero creatore o immaginazione, compie il suo lavoro, avviene la realizzazione nell'azione. Perciò questo potere è tanto pericoloso per l'uomo finchè egli non abbia compreso che deve dirigerlo coscientemente; in caso contrario esso sarà diretto dalla sua natura inferiore e ne diverrà lo schiavo.

L’USO DEI TRE POTERI

Questi dunque sono i tre poteri dell'Ego, o piuttosto il suo triplice potere, poichè i tre aspetti sono una cosa sola, una vera trinità. Dopo esserci resi conto dei tre poteri e del loro uso nel grande lavoro, cerchiamo ora di usarli simultaneamente come dovrebbero essere usati, essendo una trinità. Usiamo della volontà per tener fermo il proposito unico della perfezione per la salvezza del mondo; usiamo dell'amore per farci una sola cosa con essa ed assorbirla in noi; usiamo del pensiero per crearla e portarla a compimento. Solo quando i tre poteri siano usati insieme, daranno un risultato; allora non ci sarà nulla che noi non potremo ottenere, poichè la potenza dell'Ego è divina, e perciò senza limiti.Non è cosa che dobbiamo fare soltanto nei momenti di ozio; deve diventare una attività abituale, continua, anche quando si faccia una qualsiasi altra cosa. Questo più di tutto è il segreto della riuscita spirituale; dopo esserci convinti di

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quello che siamo come Ego e dei poteri che abbiamo come tali, non dovremmo più ricadere nelle strettoie della comune coscienza corporea, ma dovremmo tenerci al livello che abbiamo toccato, per quanto ciò possa, a tutta prima, apparire uno sforzo sovrumano. Il tracciato della nostra vita spirituale mostra spesso una continua serie di alti e bassi; non tocchiamo qualche considerevole altezza spirituale che per ricadere il momento dopo al livello consueto. Se vogliamo riuscire, non dobbiamo lasciare che ciò accada; se quel raro momento di esaltazione, di consapevolezza spirituale viene a noi nella meditazione o in altro modo, dobbiamo aggrapparci ad esso con tenacia invincibile, mantenendo il livello che abbiamo toccato, senza riguardo ad alcuna considerazione. Potrà essere, nei primi giorni, uno sforzo di agonia; ma diventa presto abituale, e noi impariamo a compiere il lavoro quotidiano dal nostro nuovo livello. Infine, lo stato in cui viviamo da quel momento, non è uno stato straniero nel quale tentiamo di entrare, ma è la nostra vera patria, la patria divina che per un momento avevamo obliata.

CAP. V.

IL RITORNO DALL’ESILIO

Rendendoci conto della nostra essenza di Ego, possiamo guardare dall'alto i tre corpi, determinando che essi debbano essere i nostri tre servi nei tre mondi dell'illusione, e nulla più. Noi non ridiscendiamo in essi, non torniamo ad invischiarci nei mondi dell'illusione; non ci identifichiamo più coi corpi, nè consentiamo più alla coscienza elementare di costringere la coscienza dell'Ego e di dominarla. Noi dobbiamo restare sulla nostra vetta, guardando dinanzi a noi lo sconfinato panorama della vita; di là dobbiamo agire, pensare e sentire. Ciò è possibile; e noi dobbiamo farlo. Da questa vetta pensiamo ai nostri tre corpi. Vediamo il mentale libero dalla futilità delle immagini ordinarie, e dall'interno creiamo in esso quella potente forma-pensiero della perfezione per il bene del mondo. Teniamo viva questa forma-pensiero con la volontà, non lasciandola mai dissolvere, poichè è questa forma-pensiero che da quel momento in poi deve governare la nostra vita quotidiana. Manteniamo così il nostro corpo mentale e prescriviamogli che da quel momento, qualunque tentazione possa venire dall'esterno, nessuna immagine, nessuna forma-pensiero debba essere creata senza il nostro consenso. Poi guardiamo al nostro corpo astrale. Decidiamo di conservarlo come l'abbiamo visto, interiormente avvivato dalle emozioni dell'Io. Riempiamolo d'amore per tutti gli esseri, di devozione, di simpatia, di aspirazioni spirituali; vediamo questi sentimenti irradiarsi dal centro di esso, vediamolo palpitante di

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questo nuovo palpito di vita, e decidiamo di non lasciarlo mai più fuorviare da influenze esterne. Poi guardiamo al corpo eterico ed al corpo fisico, e decidiamo che ora anche essi debbono essere veicoli della volontà. Vediamo come la volontà si esprime per mezzo del corpo, vediamo l'energia divina che dall'Io fluisce nel corpo fisico, e sentiamo questo corpo rigenerato dall'interno. Questa è la vera rigenerazione del corpo fisico: esso è rinnovato quando lo vediamo quale veicolo di Atma; allora diviene sano e forte, libero dalle malattie e da tutti i disturbi che invece lo colpiscono quando è solamente parte del mondo fisico. Sciogliamolo da questa limitazione: esso deve essere in questo mondo, ma non di questo mondo. Il suo vincolo più stretto deve essere coll'Io e non col mondo. Tutti i nostri corpi debbono essere soggetti all'Io ed i poteri dell'Io debbono irradiarsi per mezzo di essi. Rendiamoli canali perfetti dei tre grandi poteri dell'Ego, ma non lasciamoci invischiare in essi; resistiamo sulla nostra vetta e vediamo di là i mondi inferiori. Così la nostra vita diverrà divinamente felice; così tutte le difficoltà scompariranno; si potrebbe mai essere discordi con sè stessi, quando ci si rende conto di essere divini? Da quel momento, quando ci capiteranno le stesse cose che ci cagionavano inquietudini e sofferenze finchè ci permettevamo di identificarci coi corpi, sentiremo la nostra essenza di Ego e non ci sarà più alcun conflitto. Ora abbiamo formato il pensiero unico della perfezione, che domina il nostro corpo mentale, e nulla può turbarci; infatti, il mentale non può essere dominato contemporaneamente da due forme-pensiero. Finchè teniamo viva questa immagine mentale della perfezione, potremo eseguire il nostro lavoro abituale, ma la forma-pensiero dominerà sempre, per cui null'altro potrà impadronirsi del corpo mentale e foggiarlo in una forma da noi non desiderata. Così, rammentiamo di vivere d'ora in poi dall'interno; non permettiamo mai più ai corpi di impadronirsi della coscienza e di oscurare la consapevolezza dell'Io. Decidiamo che noi, anima, essendo tornati alla nostra patria divina, ci rimarremo; non commettiamo l'errore di consentirci il ritorno ad un livello al quale non apparteniamo. Non temiamo di chiamarci divini: non c'è superbia in quest'affermazione; la superbia è separatività, mentre una volta consci di essere l'Ego, ci sentiamo dissolvere in un mare di coscienza, ci sentiamo una cosa sola con una coscienza tanto vasta, che la sola idea della separatività diventa ridicola. Noi siamo liberi da questa illusione, perchè sappiamo che qualunque cosa facciamo, è l'Ego che la fa per nostro mezzo; che quando noi sentiamo o pensiamo, è la vita dell'Ego che ci prende come canali per fluire sul mondo. In questa coscienza ci sentiamo anche una sola cosa col Maestro, partecipiamo alla benedizione della Sua presenza, e con la Sua presenza tutto diventa facile. In presenza Sua non può esserci altro desiderio se non quello di essere più strettamente vicini a Lui. In presenza Sua non è possibile fare le vane e meschine cose che abbiamo fatto per il passato; non si può che cercare d'essere

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grandi come Lui, grandi nello sviluppo del pensiero e del sentimento, divini come Egli è divino. Così la via dell'Ego è la via dell'Iniziazione. Iniziazione significa riunione permanente della coscienza che si era incarnata nei corpi e identificata con essi, con la Coscienza originaria della quale essa era dimentica; è il principio di una nuova vita cosciente dell'Ego ancora funzionante per mezzo dei tre corpi. Le qualità necessarie all'Iniziazione si acquistano in modi diversi; ma se si riesce ad acquistare in modo permanente la coscienza dell'Ego, si deve di necessità aver acquistato anche le altre qualifiche. La coscienza deIl'Ego produce il Discernimento, poichè dal mondo dell'Ego si vede la vita nella prospettiva giusta; produce 1'Assenza di desideri, poichè quando la coscienza incarnata si è liberata dalla pania dei corpi che la dominavano, i corpi non seguono più i propri desideri, ma la volontà dell'Ego; produce la Buona Condotta, poichè la condotta non è più quella della coscienza schiava dei corpi, ma quella del'Ego stesso, la quale è buona per necessità; produce l'Amore nel suo senso più ampio, poichè il mondo dell'Ego è il mondo dell'Unità, e noi non possiamo attingere alla coscienza dell'Ego senza sentirci una cosa sola con tutto quello che esiste. Ma pur astraendo dal fatto che la presenza abituale dell'Ego ci conduce alla meta immediata della nostra evoluzione che è l'Iniziazione, essa porta con sè la propria ricompensa, dando gioia profonda e costante, forza e pace; segna il principio di una vita nuova. Noi possiamo tutti giungere a questa realtà; possiamo tutti rivendicare quello che siamo. Non è così strana, non è cosa esteriore a noi quella che dobbiamo conquistare; non abbiamo che ad entrare nel mondo al quale apparteniamo, a rivendicare come nostro diritto la verità del nostro essere. Rallegriamoci dunque della nostra divinità; rivendichiamo il diritto divino che ci appartiene per nascita, e decidiamo di tornare a questo luogo natio dal quale per tante migliaia di anni siamo stati esiliati in questi mondi di tenebre e di dolori. E sia con noi la benedizione dei Maestri che serviamo, il Loro amore ci protegga e ci salvaguardi, finchè noi pure non saremo divenuti l'Uomo perfetto.

EPILOGO

L'esplorazione del mondo della nostra coscienza, così poco noto ala maggior parte di noi, è una necessità per chi voglia rendersi conto che egli è veramente l'Ego vivente nel proprio mondo, il quale fa uso dei tre corpi come veicoli della Coscienza, e non è sopraffatto da essi. In realtà il viaggio mistico descritto in queste pagine è un esercizio che deve essere praticato da tutti gli aspiranti fino al momento in cui ne abbiano tratto un profitto tale da consentirci di mantenere perpetuamente la coscienza dell'Ego. L'ideale è che una volta toccato il livello

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dell'Ego si possa rimanervi, senza lasciarsi trascinare nuovamente nelle antiche abitudini di schiavitù, sotto il dominio dei corpi. Alcuni riusciranno la prima volta altri si lasceranno forse sopraffare di sorpresa da qualche eccitamento o da qualche turbamento, e ricadranno nell'atteggiamento antico prima di aver avuto il tempo ili mettersi in guardia. In ambedue i casi la pratica regolare della coscienza dell'Ego è una necessità: nel primo caso, per conservare quello che si è acquistato; nel secondo .caso, per ricuperare quello che si è corso rischio di perdere. Poichè nei capitoli precedenti è stato necessario dare molte spiegazioni su diversi punti, l'esercizio spirituale da attuarsi non è forse abbastanza chiaramente espresso per coloro che vorrebbero tentarne la pratica. Perciò sarà bene ripeterne i punti principali come mezzo di avviamento alla ricerca della coscienza dell'Ego. Bisogna intender bene che vi sono parecchie vie per giungere alla stessa meta, ma quella descritta in questo libriccino è stata trovata utile in molti casi e adatta a persone di caratteri molto diversi. Preferisco darle il nome di esercizio anzichè di meditazione, benchè ogni meditazione debba essere un esercizio. Se verrà eseguito insieme da un gruppo di persone, potrà giovare che uno del gruppo indichi sottovoce i diversi gradi dell'esercizio, in modo che gli sforzi possano essere eseguiti simultaneamente. Come in ogni meditazione, una posizione comoda del corpo fisico è più utile dello sforzo di qualche insolita posizione orientale; ma l'essenziale è disporre di un locale dove non si venga disturbati e dove si possa restare in perfetta quiete.

LA MEDITAZIONE DELL'EGO

Se l'esercizio è eseguito in gruppo, cominciate col pensare all’unità del gruppo e cercate di sentirla. Poi pensate a qualche alto ideale, preferibilmente ad uno dei Maestri della Sapienza, e cercate di sentire devozione ed amore per Lui. Poi pensate al corpo fisico: vedetelo come il vostro servo nel mondo fisico, sentitelo sano, forte e avvivato dall'interno.Ritirate il centro della coscienza dal corpo fisico e dal corpo eterico, e osservate il corpo astrale: liberatelo completamente da tutte le emozioni e desideri passeggeri, inondatelo delle emozioni più alte; sentite amore per tutte le creature, devozione per l'Altissimo, simpatia per tutti quelli che soffrono, aspirazioni spirituali; fate che queste emozioni si irradino costantemente dal corpo astrale. Ritirate il centro della coscienza dal corpo astrale e osservate il mentale: liberatelo da tutte le forme-pensiero e da tutte le immagini; inondatelo della

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luce della mente superiore e lasciate che questa s'irradi per mezzo del corpo mentale. Cercate nel corpo mentale l'immagine di voi stessi come uomo perfetto: perfetto nell'amore, nella volontà e nel pensiero, e colmate il corpo mentale di quest'immagine. Ritirate il centro della coscienza anche dal corpo mentale, e sentite i tre corpi come strumenti perfettamente dominati dal potere dell'Ego. Ora sentite voi stessi come Ego: riportate nell'Ego la vostra coscienza, e sappiate che siete quell'Ego, vivente nel suo mondo di gioia e di bellezza; sentite la gioia e la liberazione, e vedete lo splendore del mondo che vi appartiene. Sappiate che quella è la vostra vera patria. Ora rendetevi conto dei poteri dell'Ego. Anzitutto del potere d'amore o di unità con tutte le cose. Sentite l'unità col Maestro; cercate di sentirvi parte della Sua coscienza. Poi cercate di sentire l'unità della Fratellanza; sentite questa possente coscienza pervadere tutto il mondo, e sappiate che tutti in essa sono uno, assolutamente uno. Poi sentite l'unità con tutto ciò che vive, con tutta la natura, con tutta l'umanità; sentite amore per tutti gli esseri, e sentite la vostra coscienza dissolversi nella coscienza universale e sentite la beatitudine di questa unità, e sentite come, trascinati da questo amore, giungete al cuore delle cose, all'amore di Cristo; sentitevi parte della Sua vita e del Suo amore. Ora rendetevi conto della volontà dell'Ego, dell'Atma: sentitela riempire la vostra coscienza come una luce abbagliante, e sentite ·che il potere è irresistibile.Usate della volontà per vedere soltanto l'unico proposito che è la perfezione per il bene del mondo, ed escludete ogni altra cosa, colmando l'intera coscienza con questo unico scopo, finchè non vi trasformiate in esso. Rendetevi ora conto dell'energia creatrice dell'Ego, il Manas: sentite questa illimitata energia creatrice, ed usatene per creare l'idea della perfezione, colmandola di potenza creatrice così che possa tradursi in realtà. Ora usate dei tre poteri insieme: della volontà per vedere l'unico proposito della perfezione per il bene del mondo, dell'amore per entrare in esso e diventare con esso una cosa sola, e del pensiero per crearlo e per portarlo a compimento. Continuate a fare questo per tutto il giorno. Rendetevi nuovamente conto di essere l'Ego. Cercate di vedere !a bellezza del vostro mondo e la vostra bellezza in quel mondo, e determinate di mantenere questo stato di coscienza dell'Ego qualunque cosa possa accadervi durante il giorno. Considerate ora nuovamente i tre corpi, senza discendere in essi. Prima il corpo mentale: inondatelo della luce della mente superiore e create nuovamente in esso l'immagine di voi stessi come uomo perfetto.

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Poi considerate il corpo emozionale, e inondatelo delle emozioni dell'Ego: amore per tutti gli esseri, devozione per l'Altissimo, simpatia per tutti coloro che soffrono e aspirazioni spirituali, facendo sì che queste emozioni siano sempre regolarmente irradiate. Finalmente considerate il corpo eterico ed il corpo fisico: vedeteli come espressioni di volontà, di Atma, e vogliateli sani e forti, irradianti vitalità dall'interno, rigenerati. Conservate così i tre corpi, perfetti canali per i poteri dell'Ego e fate che questi poteri irradino per mezzo di essi. Ma sempre ed in qualsiasi circostanza riconoscetevi come Ego, e mantenete senza interruzione lo stato di coscienza dell'Ego. Finalmente, mandate una benedizione spirituale sul mondo circostante, diffondendo così i poteri che avete realizzato. Al termine dell'esercizio non tornate subito all'ordinaria coscienza corporea, ma cercate di conservare 1a coscienza di Ego per tutto il giorno, tenendovi concentrata una parte della vostra attenzione mentre attendete alle cose ordinarie della vita quotidiana.

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