DEGLIIINGEGNERI - Altervista · La legge professionale attribuisce il potere disciplinare agli...

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FONDAZIONE DELL'ORDINE DEGLI INGEGNERI DI COMO IN COLLABORAZIONE CON LO STUDIO LEGALE Lavatelli & Latorraca e Associati SEMINARIO DI STUDIO – COMO, 3 – 17 SETTEMBRE 2009 LA RESPONSABILITA' DEGLIIINGEGNERI PROFILI DEONTOLOGICI, CIVILISTICI E PENALISTICI ▓▒▒░░ 1

Transcript of DEGLIIINGEGNERI - Altervista · La legge professionale attribuisce il potere disciplinare agli...

FONDAZIONE DELL'ORDINEDEGLI INGEGNERI DI COMO

IN COLLABORAZIONE CON LO STUDIO LEGALE

Lavatelli & Latorraca e Associati

SEMINARIO DI STUDIO – COMO, 3 – 17 SETTEMBRE 2009

LA RESPONSABILITA'DEGLIIINGEGNERI

PROFILI DEONTOLOGICI, CIVILISTICI E PENALISTICI

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INDICE

I. DEONTOLOGIA E PROFESSIONE1

1. Cenni introduttivi ….............................. 32. Segue: il potere disciplinare degli ordini professionali ed in particolare dell'ordine degli ingegneri. Il potere disciplinare degli ordini professionali

….............................. 63. Il codice deontologico degli ingegneri …..............................124. Gli illeciti e le sanzioni …..............................235. Il procedimento disciplinare e le impugnazioni …..............................246. Rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale …......28

II. LA RESPONSABILITA' PENALE2

1. La definizione di reato (cenni di carattere generale) e gli elementi costitutivi del reato. …..............................322. Delitti e contravvenzioni. L'elemento psicologico.….............................333. I reati omissivi. …..............................364. Alcune figure di reato: l'omicidio colposo e le lesioni colpose ….........375. Altre figure di reati particolari: la falsità ideologica e la falsità materiale; i concetti di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio. …..............................366. I reati edilizi. …..............................387. Il reato di disastro colposo. …..............................408. Il reato di esercizio abusivo della professione. …..............................40

III. LA RESPONSANBILITÀ CIVILE3

1. Il contratto d’opera intellettuale e le obbligazioni del professionista ..412. Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato .....................423. Conseguenze pratiche dell’evoluzione interpretativa: l’onere della prova e la prescrizione. …..............................444. La responsabilità extra contrattuale dell’Ingegnere. …..................47

1 A cura dello Studio Legale Lavatelli & Latorraca e Associati2 A cura del Dott. Carlo Cecchetti, Magistrato - Tribunale di Como3 A cura della dott.ssa Caterina Apostoliti, Magistrato – Tribunale di Milano

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5. La responsabilità concorrente dell’Ingegnere. …..............................516. Casistica della responsabilità nelle pronunce della Suprema Corte ….537. l'azione per il pagamento del compenso professionale …..................56

IV. LA RESPONSABILITÀ NEI CONTRATTI PUBBLICI4

1. La responsabilità del progettista in genere. …..............................611.2. Alcune ipotesi specifiche di responsabilitàla responsabilità del direttore dei lavori (negli appalti pubblici e privati)…..............................641.3.la responsabilità del progettista nei contratti pubblici.La responsabilità del responsabile unico del procedimento (negli appalti pubblici) ............661.4. Copertura assicurativa e verifica dei progetti: in particolare la responsabilità nel codice dei contratti. …..............................682. La responsabilità del direttore dei lavori. …..............................713. Il responsabile unico del procedimento. …..............................754. Funzioni e responsabilità del collaudatore (negli appalti pubblici e privati) …..............................805. La responsabilità in tema di sicurezza nei cantieri. Cenni. …...............82

4 A cura dello Studio Legale Lavatelli & Latorraca e Associati

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I. DEONTOLOGIA E PROFESSIONE

1. Cenni introduttivi

Deontologia etimologicamente deriva dal greco deon, dovere e logos, discorso, studio. Per deontologia deve intendersi l'insieme delle regole etiche5, non perfettamente sovrapponibili al diritto positivo, che disciplina i comportamenti dei consociati. In filosofia6 si afferma che, sotto il profilo deontologico, fini e mezzi sono strettamente dipendenti gli uni dagli altri: in sostanza la giustezza dello scopo perseguito sarà il risultato dell'impiego di giusti mezzi.La deontologia professionale costituisce il corpo delle regole comportamentali riferito ad una determinata categoria professionale. La rilevanza sociale assunta dalle professioni liberali ha comportato il distillarsi di norme di autodisciplina applicate non in quanto fonti dell'ordinamento giuridico, ma quali autonome regole etiche da applicarsi, a cura degli appartenenti alla categoria, ogniqualvolta sia esplicata l'attività professionale.La deontologia professionale, per dirla secondo l'autorevole voce di un giurista7: “E' la teoria dei doveri. Essa indica, in relazione alle professioni intellettuali di antica origine storica, il complesso dei principi e delle regole che disciplinano particolari comportamenti, non di carattere tecnico, del professionista, attuati o comunque ricollegati all'esercizio della professione e all'appartenenza al gruppo professionale”Ne discendono due intuitive conseguenze:1) le regole deontologiche si applicano esclusivamente ai soggetti appartenenti alla categoria che le ha elaborate;le regole deontologiche non sono tutte contenute in regole giuridiche di diritto positivo (fig. 1), pur

5 la nozione di etica richiama etimologicamente l'abitudine. I. Cacciavillani, nella sua monografia “Il diritto disciplinare”, Padova 1994, 5, nota 2, traendo spunto da G. Landi in E.d.D., voce Disciplina (Diritto pubblico) richiama l'art. 9 del Regolamento di disciplina dell'esercito che la connette all'abitudine di adempiere i doveri non per timore di pena o speranza di ricompensa ma per intima persuasione della loro intrinseca necessità.

6 Immanuel Kant, nell'imperativo categorico, fissa un insieme di principi universali attraverso cui può essere giudicata la bontà delle azioni. L'obiettivo di Kant era quello di stabilire un sistema etico indipendente dall'esperienza soggettiva e legato alla logica. Con la conseguenza che l'eticità di una condotta diverrebbe un dovere assoluto e innegabile, come avviene in una dimostrazione matematica (giudizio sintetico a priori).

7 Pasquale Gianniti, Principi di deontologia forenese, Padova 1992, pag. 10 e ss.

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dovendosi considerare che la violazione di leggi può avere rilevanza deontologica.

La legittimazione del potere disciplinare degli ordini discende dalla legge.In primo luogo dall'art. 2 della Costituzione che riconosce e garantisce le formazioni sociali, tra le quali rientrano gli Ordini e Collegi professionali.Già con sentenza 11 aprile - 6 giugno 2002 n. 8225 le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione si erano pronunciate su un tema molto sentito e più volte ripreso sulla natura delle norme deontologiche e sull'origine del potere disciplinare.In particolare con quella decisione si era affermato, con generico riferimento e tutti gli ordini professionali che:"Gli ordini professionali, deputati dalla legge a valutare sotto il profilo disciplinare il comportamento degli iscritti, hanno il potere, nell'esercizio delle proprie attitudini di autoregolamentazione, di emanare norme di deontologia vincolanti per i singoli professionisti”.In passato si è molto discusso sulla giuridicità delle norme deontologiche.Coloro che ne contestavano la natura di norme giuridiche ritenevano che esse, provenendo dalle singole categorie professionali, non potevano costituire fonti del diritto.Altri autori hanno invece sostenuto la giuridicità delle norme deontologiche8.La giurisprudenza recentemente ne ha confermato il valore di norme di diritto.

8 Danovi, Corso di ordinamento forense e deontologia, Milano 1995, pag. 10 e ss.

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Figura 1

In effetti la Suprema Corte9 ha, da ultimo, ribadito, in relazione al codice deontologico degli avvocati: “Le norme del codice deontologico nella cui violazione si sostanzia l'illecito disciplinare costituiscono esplicitazioni dei principi generali contenuti nella legge professionale forense e assumono il rango di norme di diritto, la cui interpretazione costituisce una "quaestio iuris" come tale prospettabile dinanzi al giudice di legittimità e non sono, quindi, proponibili rispetto a esse censure di violazione dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362-1371 c.c.”.Come è noto anche gli Ordini degli ingegneri e degli architetti sono stati istituti con legge10. Da essa deriva, dunque, il potere degli ordini professionali di emanare, nell'esercizio delle proprie attribuzioni di autoregolamentazione, norme interne di deontologia vincolanti per gli iscritti che assumono natura giuridica.Sicché le norme etiche professionali devono ritenersi sovrapponibili alle norme giuridiche.

2. Segue: il potere disciplinare degli ordini professionali ed in particolare dell'ordine degli ingegneri.Gli ordini professionali svolgono importanti funzioni amministrative e di controllo sull'esercizio della professione.

9 Cassazione civile, sez. un., 30 aprile 2008, n. 1087510 La L. 24 giugno 1923, n. 1395 che istituisce gli ordini ed il successivo regolamento

attuativo contenuto nel r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537

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Figura 2

Ad essi è riconosciuta la personalità giuridica di diritto pubblico.Secondo Massimo Severo Giannini, autorevole giurista e docente di diritto amministrativo, la scelta del Legislatore era indotta dagli stessi ordinamenti liberali, ispirati al principio della libertà professionale: l'unica modalità per conservare al potere disciplinare il carattere autoritativo era quella di attribuire ad essi la natura pubblicistica.Dall'appartenenza all'Ordine (istituzione ed al contempo ordinamento giuridico, secondo la nota lezione del Santi Romano)11 nasce il rapporto tra il gruppo, istituito persona giuridica ed il singolo che concorre a formarlo.Con la conseguenza che l'iscritto è tenuto ad osservare i comportamenti richiesti per il raggiungimento di uno degli scopi dell'ordine e correlativamente l'ente è investito del potere disciplinare che agisce, come vedremo, su piani diversi, in prevenzione e con funzione repressiva.Come è stato affermato12: “L'ordinamento impone agli ordini di perseguire le finalità istituzionali alle quali sono preposti e al tempo stesso di conservare il patrimonio morale della comunità professionale, alla cui formazione gli appartenerti alla categoria professionale sono tenuti a contribuire”In particolare compete agli ordini, generalmente su base provinciale, curare la tenuta dell'albo professionale. Come noto l'iscrizione è presupposto indefettibile per l'esercizio dell'attività professionale, stante il divieto, sanzionato penalmente, dell'esercizio abusivo (art. 348 c.p.).All’Ordine professionale è inoltre riconosciuto, nell'ambito del principio di autogoverno della professione, l'autonomia vale a dire il potere di autoregolamentazione, cioè il potere di emanare norme interne di deontologia vincolanti per gli iscritti, con il limite costituzionale della libertà del professionista di organizzare l'attività (art. 41, primo comma) e del divieto di imporre prestazioni personali o patrimoniali se non in base alla legge..Il potere disciplinare nei confronti degli iscritti, definito autodichia, è attribuito, come già accennato, espressamente dalla legge all’Ordine e ne implica l'esercizio:

11 Santi Romano (Palermo, 31 gennaio 1875 - 11 marzo 1947), eminente giurista e docente universitario, è noto per essere stato il principale fautore, in Italia, della teoria istituzionistica del diritto secondo la quale la norma per essere qualificata come giuridica deve sorgere dall'istituzione. In sostanza "Il diritto, prima di essere norma e prima di concernere un semplice rapporto o una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura e posizione della stessa società in cui si svolge e che esso costituisce come unità, come ente per sé stante".

12 Pierluigi Tirale, Deontologia e procedimento disciplinare in www.consiglionazionaleforense.it.

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1) in via repressiva, mediante l’irrogazione delle sanzioni disciplinari cui corrisponde l'interesse aggregativo dell'iscritto13;2) in via preventiva, attraverso l’adozione di norme deontologiche che attengono al piano della correttezza delle condotte professionali.Le attribuzione di ogni Consiglio dell'Ordine degli ingegneri sono disciplinate, in primo luogo, dalla già citata L. 24 giugno 1923, n. 1395, che all'art. 5 prevede che ogni Consiglio:1) proceda: “alla formazione e all'annuale revisione e pubblicazione dell'albo, dandone comunicazione all'autorità giudiziaria e alle pubbliche Amministrazioni”;2) stabilisca: “il contributo annuo dovuto dagli inscritti per sopperire alle spese di funzionamento dell'Ordine” amministrando i proventi e provvedendo alle spese, e predisponga il bilancio preventivo e il conto consuntivo annuale;3) conceda pareri sulle controversie professionali e sulla liquidazione di onorari e spese;4) vigili sulla “... tutela dell'esercizio professionale, e alla conservazione del decoro dell'Ordine, reprimendo gli abusi e le mancanze di cui gli iscritti si rendessero colpevoli nell'esercizio della professione con le sanzioni e nelle forme di cui agli artt. 26, 27, 28 e 30 della L. 28 giugno 1874, n. 1938, in quanto siano applicabili”.La legge professionale attribuisce il potere disciplinare agli ordini, regolamentando, come vedremo, il procedimento volto ad irrogare le sanzioni, ma non fissa il contenuto dei singoli atti illeciti.In sostanza la Legge non descrive compiutamente le azioni o le omissioni vietate.L'analisi della norma mette in rilievo, in primo luogo, lo scopo perseguito: tutelare il decoro dell'Ordine (e dunque della professione) perseguendo le mancanze e gli abusi che possano compromettere la dignità dell'intera categoria professionale.A differenza delle norme penali, soggette al principio di stretta legalità (nullum crimen sine lege), la Legge professionale si limita a prevedere una cornice, nel cui ambito l'Ordine, autonomamente, integra, con i principi di etica professionale, le singole fattispecie disciplinarmente rilevanti.Il potere disciplinare degli ordini professionali ha, come esposto, natura pubblicistica, con la conseguenza che i provvedimenti disciplinari, con i quali vengono irrogate le sanzioni, assumono rilevanza esterna vincolante.Esso non è assimilabile a quello esercitato dal datore di lavoro che rientra

13 vedi I. Cacciavillani, op. cit., 32.

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integralmente nell'ambito privatistico: la sanzione, in questo caso, trae origine dall'inadempimento di un'obbligazione assunta con la stipula del contratto di lavoro ed ha esclusivamente efficacia interna, nel rapporto tra datore e lavoratore.Con la privatizzazione del pubblico impiego e l'applicazione dei principi civilistici, anche il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici, pur con le dovute distinzioni, deve essere ricondotto all'alveo privatistico.Le sanzioni che inibiscono l’esercizio della professione irrogate dall’Ordine, determinano la perseguibilità penale, per esercizio abusivo della professione per colui che, nonostante la sanzione, eserciti ugualmente la professione.Può sorgere qualche perplessità nella lettura ed interpretazione delle norme che hanno per oggetto l’esercizio delle professioni intellettuali.Vediamone le ragioni.In base all'art. 348 c.p. commette reato chi esercita abusivamente una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato.Per contro l’art. 2229 c.c. si limita a rinviare alla Legge la determinazione delle professioni, aggiungendo, però, che per esercitarle è necessaria l’iscrizione in appositi albi.L’art. 2231 aggiunge che “la prestazione eseguita da chi non è iscritto in tali albi non gli dà azione per il pagamento della retribuzione”.Ad una prima lettura appaiono evidenti alcune antinomie: secondo il codice penale sarebbe sufficiente, per esercitare legittimamente una professione, avere conseguito l’abilitazione, con la conseguenza che la sola mancanza di iscrizione all’albo professionale non potrebbe integrare gli estremi del reato ex art. 348 c.p. Al contrario, sotto l'aspetto civilistico l'iscrizione è comunque obbligatoria, ma sembrerebbe comportare nel caso di violazione, la semplice impossibilità di esercitare l’azione per il pagamento del compenso relativo alle prestazioni professionali eseguite, lasciando impregiudicati i pagamenti eseguiti dai clienti.Se valesse una simile interpretazione ne conseguirebbe che il professionista inibito dall'ordine all'esercizio della professione perché sospeso o cancellato, ben potrebbe continuare a esercitarla senza incorrere nel reato di esercizio abusivo della professione (l'abilitazione non è incisa dal provvedimento disciplinare).Solo nel caso in cui i provvedimenti di interdizione o di sospensione fossero irrogati dal giudice penale con sentenza, quali pene accessorie, si configurerebbe l’illecito penale dell’esercizio abusivo della professione

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perseguibile ai sensi dell’art. 348 se il professionista continuasse ad operare. Ma, come ognuno comprende una simile esegesi della norma vanificherebbe l’esistenza stessa dell’Ordine professionale.Evidentemente è richiesta un'interpretazione diversa.La questione è stata affrontata dalla Suprema Corte14 che ha chiarito che l’esercizio di una professione, senza l’iscrizione all’albo - quando prescritta da norma di Legge cogente -, ancorché in presenza di abilitazione di Stato, si configura come reato di esercizio abusivo.

* * * * *Il potere disciplinare dell'Ordine professionale è esercitato anche nei confronti dell'iscritto lavoratore dipendente. Il potere disciplinare attribuito al Consiglio dell'Ordine nei confronti del professionista, per la repressione degli abusi e delle mancanze di cui gli iscritti si rendono colpevoli nell'esercizio dell'attività, non si riferisce solo alla libera professione, ma anche a condotte collegate allo svolgimento di ogni attività che discenda dalle conoscenze tecniche acquisite con il titolo di studio.In conseguenza anche nei confronti degli iscritti, pubblici dipendenti, può essere legittimamente esercitato il potere disciplinare anche in riferimento a violazioni di norme deontologiche in riferimento all'esercizio di attività collegata allo status del professionista nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato15.Come è noto, in alcuni casi è consentito l'esercizio, in forma autonoma,

14 Cass. pen. Sez. VI, 29 settembre 1986. Si veda, più recentemente, Cassazione penale, sez. VI, 29 ottobre 2007, n. 46067, anche con riferimento alla normativa comunitaria sulla libertà di stabilimento: “Commette il reato di esercizio abusivo della professione di psicologa e psicoterapeuta chi svolga atti riservati a detta professione, senza essere in possesso dei requisiti di legge, in particolare senza essere iscritto nell'apposito albo professionale. E ciò senza che rilevi il possesso eventuale dei relativi titoli professionali in altro paese membro dell'Unione europea. Infatti, la responsabilità penale per il reato de quo non sarebbe esclusa neppure invocando le direttive comunitarie che prevedono il diritto di "stabilimento", giacché tali direttive comportano solo, per i cittadini di uno Stato membro, la facoltà di stabilirsi ed esercitare la loro professione in uno Stato dell'Unione diverso da quello in cui essi hanno acquisito la loro qualifica professionale, alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato "di stabilimento"; ma tali direttive si astengono dal disciplinare situazioni giuridiche meramente interne e, quindi, lasciano impregiudicata la disciplina nazionale relativa all'accesso alle singole professioni e al loro esercizio con il titolo professionale dello Stato ospitante, non incidendo, in particolare, sulle norme interne che sanciscono, per determinate professioni, l'obbligo dell'iscrizione nell'apposito albo professionale”.

15 Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2006, n. 13004.

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della libera professione (o quantomeno l'iscrizione all'albo) anche a coloro che, contemporaneamente, sono vincolati da un rapporto di lavoro dipendente, purché non sia incompatibile, a certe condizioni, con la prestazione di lavoro subordinato.La legge finanziaria per il 1997 ha previsto, infatti, la possibilità di esercitare la libera professione per tutti i dipendenti pubblici in regime di part-time, con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno.I pubblici dipendenti sono tenuti al rispetto tanto agli obblighi assunti con l'instaurazione del rapporto di lavoro, quanto delle norme e regole deontologiche previste dall'ordinamento professionale di appartenenza.Con la conseguenza che la violazione di tali obblighi potrà comportare due distinte ed autonome responsabilità disciplinari, concorrenti od alternative.Si osservi che i contratti collettivi, ed in particolare quello attivo al comparto degli enti pubblici non economici 1998-2001 ha previsto che i professionisti: “anche in ragione del duplice profilo di professionisti e di dipendenti investiti di particolari responsabilità, rappresentano un'area di funzioni di peculiare interesse sotto il profilo contrattuale. I professionisti svolgono la loro attività in conformità alle normative che disciplinano le rispettive professioni, rispondendone a norma di legge, secondo i singoli ordinamenti professionali con l'assunzione delle conseguenti responsabilità. Il rigoroso rispetto delle norme deontologiche che promanano dai rispettivi Ordini professionali costituisce un vincolo primario per ciascun professionista il quale si attiene altresì agli indirizzi del competente coordinatore della specifica branca professionale, al fine di assicurare l'uniformità di indirizzo dell'attività professionale in relazione alle linee programmatiche e gestionali dell'amministrazione”.Pertanto è la stessa contrattazione collettiva che recepisce, quale fonte normativa di natura contrattuale, l'ordinamento professionale e le norme deontologiche.I due procedimenti disciplinari (quello datoriale e dell'Ordine), anche se derivanti dalla medesima mancanza od omissione, saranno autonomi.Del resto l'art. 62, r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537, statuisce: “gli ingegneri ed architetti che siano impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato, delle province o dei comuni, e che si trovino iscritti nell'albo degli ingegneri e degli architetti, sono soggetti alla disciplina dell'Ordine per quanto riguarda l'eventuale esercizio della libera professione”.Deve sottolinearsi che la citata sentenza della Cassazione afferma che l'esercizio del potere disciplinare dell'Ordine di appartenenza concerne anche attività che non siano strettamente connesse a quelle tipicamente

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professionali in quanto “la semplice iscrizione all'albo assume rilievo autonomo ed incide sullo status del soggetto che «in quanto appartenente ad una categoria è vincolato al suo ordinamento a prescindere dall'esplicazione di attività professionale; quel che rileva, insomma, è l'appartenenza alla classe ed il farne parte comporta la soggezione alle regole di autogoverno che la stessa ritenga di darsi (autodichia) e di imporre a tutti gli iscritti per la tutela del suo prestigio e della sua immagine”.Inoltre i singoli ordini richiedono ai propri iscritti una condotta esente da censure anche nella vita privata16: “con facoltà di valutazione negativa, rispetto al decoro della professione, di determinati fatti e comportamenti obiettivamente riprovevoli e suscettibili, in quanto tali, ancorché non integranti abusi e mancanze stricto sensu in diretta relazione con la professione, di essere disciplinarmente sanzionati”.

3. Il codice deontologico degli ingegneri.

Ogni ordine, nell'ambito del potere disciplinare riconosciutogli dalla legge, ha la facoltà di compendiare le norme deontologiche17 in un codice che annoveri le fattispecie disciplinarmente rilevanti.La codificazione dei precetti deontologici risponde all'esigenza, propria degli ordinamenti moderni, del rispetto del principio della certezza del diritto, limitando, per quanto possibile, la discrezionalità nell'applicazione della sanzione. Per alcune categorie professionali i singoli ordini hanno riconosciuto ai Consigli Nazionali un potere nomofilattico delle norme deontologiche: così è accaduto, ad esempio per gli avvocati, il cui Consiglio Nazionale Forense ha approvato nella seduta del 17 aprile 1997 il codice deontologico forense.Lo stesso è accaduto per il Consiglio Nazionale degli Architetti, il cui codice è entrato in vigore l'1 gennaio 1994.Per quanto riguarda gli ingeneri, oltre al codice approvato dal Consiglio Nazionale Forense, in particolare il Consiglio dell'Ordine della provincia di Como ha ritenuto di esercitare da sé le prerogative connesse alla compilazione del codice deontologico, approvandolo nella seduta del 17 gennaio 2007.

16 Cass., 10 dicembre 1993 n. 1216517 le norme deontologiche sono impugnabili avanti il Consiglio nazionale dagli iscritti e

dal Procuratore generale presso la Corte d'Appello, entro il termine della conoscenza legale ovvero con l'atto applicativo, costituito dall'irrogazione della sanzione, cfr. Cacciavillani, op. cit., 143.

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Il codice si compone di due parti ben distinte.La prima concerne i principi generali cui deve ispirarsi la condotta dell'ingegnere.La seconda, esplicitamente definita di attuazione, indica alcuni casi specifici: non si tratta, però, di un elencazione tassativa: il consiglio dell'Ordine potrà sempre individuare figure di illeciti disciplinari al di fuori delle ipotesi indicate dalle norme di attuazione.Esse hanno esclusivamente la finalità di individuare alcune condotte tipiche, anche al fine di meglio evidenziare le fattispecie rilevanti.Eccone il contenute con alcune note a commento, oltre alla giurisprudenza che si è espressa su singole fattispecie.

1- PRINCIPI GENERALI1.1 La professione dell’ingegnere deve essere esercitata nel rispetto delle leggi dello Stato e costituisce attività di pubblico interesse. L’ingegnere è personalmente responsabile della propria opera sia nei riguardi della committenza, sia nei riguardi della collettività. 1.2 Chiunque eserciti la professione di ingegnere in Italia, anche se cittadino di altro Stato, è impegnato a rispettare e far rispettare il presente codice deontologico finalizzato alla tutela della dignità e del decoro della professione.1.3 Le presenti norme si applicano per le prestazioni professionali rese in maniera sia saltuaria che continuativa.1.4 L’ingegnere adempie agli impegni assunti con cura e diligenza, non svolge prestazioni professionali in condizioni di incompatibilità con il proprio stato giuridico, né quando il proprio interesse o quello del committente siano in contrasto con i suoi doveri professionali.L’ingegnere rifiuta di accettare incarichi per i quali ritenga di non avere adeguata preparazione e/o quelli per i quali ritenga di non avere adeguata potenzialità per l’adempimento degli impegni assunti.1.5 L’ingegnere sottoscrive solo le prestazioni professionali che abbia personalmente svolto e/o diretto; non sottoscrive prestazioni professionali in forma paritaria, unitamente a persone che, per norme vigenti, non le possono svolgere.L’ingegnere sottoscrive prestazioni professionali in forma collegiale o in gruppo solo quando siano rispettati e specificati i limiti di competenza professionale e di responsabilità dei singoli membri del collegio e del gruppo.Tali limiti dovranno essere dichiarati sin dall’inizio della collaborazione.1.6 L’ingegnere non può accettare incarichi con prestazioni professionali parziali (direzione lavori, calcolo strutture, ecc.) nei casi in cui le opere

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siano state progettate da tecnici non qualificati o comunque la cui competenza esuli dai loro limiti professionali.1.7 L’ingegnere dipendente, prima di svolgere atti di libera professione, è tenuto a comunicare all’Ordine l’autorizzazione del datore di lavoro. L’ingegnere dipendente di pubbliche Amministrazioni non può esercitare la libera professione nel territorio dei rispettivi comuni, province e regioni indipendentemente dalla eventuale autorizzazione degli stessi enti.1.8 L’ingegnere non può assumere incarichi, né partecipare a concorsi di opere pubbliche o private, né come concorrente né come membro di commissioni esaminatrici, quando le condizioni degli incarichi o dei bandi siano state dichiarate inaccettabili dall’Ordine.1.9 L’ingegnere deve costantemente migliorare e aggiornare la propria professionalità per soddisfare le esigenze dei singoli committenti e della collettività e per raggiungere il miglior risultato correlato ai costi ed alle condizioni di attuazione.

Commento: la norma tratteggia i principi generali che devono improntare la condotta dell'ingegnere che esercita la professione sia in via continuativa che saltuariamente. In particolare vengono evidenziati i limiti di competenza, la diligenza professionale e la necessaria assenza di cause di incompatibilità.Inoltre è espresso un preciso dovere formativo e di aggiornamento professionale (paragr. 1.9).Per gli ingegneri dipendenti di pubbliche amministrazioni è aggiunto un motivo di incompatibilità ulteriore in relazione al territorio dell'ente di appartenenza: nonostante l'eventuale autorizzazione non potranno esercitare nell'ambito di attribuzione territoriale dell'ente da cui dipendono.

Giurisprudenza: Cassazione civile, sez. un., 11 novembre 1982, n. 5932 ha affrontato, in particolare, il tema del progetto realizzato da un ingegnere in collaborazione con un geometra, senza alcuna specificazione sul riparto delle competenze nell'ambito progettuale, ingenerando dubbi sul rispetto dei limiti imposti dalle rispettive leggi professionali. Assume la suprema Corte: “Nei confronti di un ingegnere, il quale, avvalendosi della collaborazione di un geometra per la progettazione di opere edilizie, abbia sottoscritto il relativo progetto senza alcuna specificazione circa la ripartizione dei rispettivi compiti, sì da far insorgere nei terzi il dubbio che detto geometra sia andato oltre i limiti quantitativi e qualitativi delle proprie competenze, è legittimo l'addebito, da parte degli organi professionali titolari del potere disciplinare, di una violazione delle regole di etica della categoria, atteso che, in relazione alle esigenze di tutela dei

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valori della deontologia professionale, anche il sospetto della consumazione di un illecito, originato da una condotta del professionista suscettibile di essere percepita nell'ambiente, è idoneo a recare offesa al prestigio ed al decoro della categoria”.

2- SUI RAPPORTI CON L’ORDINE2.1 L’appartenenza dell’ingegnere all’Ordine professionale comporta per lo stesso il dovere di collaborare con il Consiglio dell’Ordine. 2.2 Ogni ingegnere ha l’obbligo, se convocato dal Consiglio dell’Ordine o dal suo Presidente, di presentarsi e di fornire tutti i chiarimenti che gli venissero richiesti.2.3 L’ingegnere si adegua alle deliberazioni del Consiglio dell’Ordine se assunte nell’esercizio delle relative competenze istituzionali.

Commento: la norma impone che gli iscritti debbano necessariamente collaborare con il proprio ordine di appartenenza e si riallaccia al paragrafo 1.8 che, in determinati casi, ove i Consigli si siano preventivamente espressi, gli iscritti debbano astenersi dal compiere una determinata attività.Si osservi che il Consiglio Nazionale Forense, in relazione agli avvocati, ha più volte affermato, con proprie decisioni18, che costituisce illecito disciplinare il non aver fornito alcuna risposta in merito alle deduzioni richieste dall'Ordine a seguito dell'esposto presentato da terzi: il paragrafo 2.2. ribadisce il principio collaborativo nell'interesse dell'intera categoria professionale.

Giurisprudenza: Proprio in margine al potere di inibizione di determinati comportamenti (parag. 1.8. ed in generale in relazione al dovere di collaborazione, la giurisprudenza della Cassazione ha affermato (sez. III, 06 aprile 2001, n. 5156): “Il potere degli ordini professionali di emanare, nell'esercizio delle proprie attribuzioni di autoregolamentazione, norme interne di deontologia vincolanti per gli iscritti (potere discendente, per gli architetti, dall'art. 5, n. 4, l. 24 giugno 1923 n. 1395, e dagli art. 37, 43 e

18 Cfr, da ultimo: Cons. Naz. Forense 04-05-2009, n. 1: “L'avvocato che ometta di fornire i chiarimenti al C.d.O, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, poiché lesivo dei principi di solidarietà e collaborazione con il Consiglio di appartenenza, per i quali il professionista è tenuto al rispetto delle disposizioni impartite dai competenti organi nell'attuazione delle proprie finalità istituzionali. Tale contegno configura peraltro un'autonoma violazione disciplinare ai sensi dell'art. 24 del codice deontologico, giacché disattende il dovere imposto a ciascun professionista di collaborare con il C.d.O. per l'attuazione delle finalità istituzionali, dovendo ravvisarsi nelle mancate risposte un mancato rispetto verso le istituzioni collettive e un mancato senso di responsabilità collegato all'attività difensiva”.

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45 r.d. 23 ottobre 1925 n. 2537), implica anche la facoltà di valutazione negativa, rispetto al decoro della professione, della partecipazione ad un determinato concorso (nella specie: a carattere nazionale), e, quindi, rende legittima la diffida ad astenersi da tale partecipazione, che venga impartita, in esito a quella valutazione, dal consiglio nazionale, senza che il giudizio di valore ad essa sotteso sia in alcun modo sindacabile dall'iscritto, con la consequenziale configurabilità di illecito disciplinare in caso di inosservanza della diffida medesima”.

3- SUI RAPPORTI CON I COLLEGHI3.1 L’ingegnere sia esso libero professionista o dipendente pubblico o privato, deve ispirarsi nei rapporti con i colleghi alla massima lealtà, cordialità e correttezza, allo scopo di affermare una comune cultura ed identità professionale pur nei differenti settori in cui si articola la professione.3.2 Tale forma di lealtà e correttezza deve essere estesa e pretesa anche nei confronti degli altri colleghi esercenti le professioni intellettuali ed in particolare modo quelle che hanno connessioni con la professione di ingegnere.3.3 L’ingegnere deve astenersi da critiche denigratorie nei riguardi di colleghi e del loro operato.Se ha motivate riserve sul comportamento professionale di un collega deve informare il Presidente dell’Ordine ed attenersi alle disposizioni ricevute.3.4 L’ingegnere che sia chiamato a subentrare in un incarico già affidato ad altri, potrà accettarlo solo dopo che la Committenza abbia comunicato ai primi incaricati il definitivo esonero.Dovrà inoltre informare per iscritto il o i professionisti a cui subentra e in situazioni controverse il Consiglio dell’Ordine, relazionando a quest’ultimo sulle ragioni per cui ritiene plausibile il subentro.3.5 L’ingegnere si deve astenere dal ricorrere a mezzi incompatibili con la propria dignità per ottenere incarichi professionali come l’esaltazione delle proprie qualità e denigrazione delle altrui o fornendo vantaggi o assicurazioni esterne al rapporto professionale.

Commento: nel rapporto con i colleghi vale sempre il principio della lealtà e correttezza (oltre che della cordialità). Il precetto impone anche un onere di preventiva comunicazione nei casi di subentro (che il subentrante dovrà pretendere anche dalla committenza nei confronti del precedente professionista). Nei casi complessi dovrà essere interessato anche l'Ordine. Il paragr. 3.5 evidenzia il divieto di accaparramento della clientela magnificando la propria capacità e denigrando l'altrui, ovvero praticando

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tariffe reiteratamente al di sotto del minimo.Giurisprudenza: Cassazione civile, sez. III, 18 marzo 2008, n. 7274, relativamente alla professione notarile ha sostenuto che: “L'accaparramento di clientela, compiuto dal notaio attraverso la reiterata e sistematica riduzione degli onorari al di sotto del minimo tariffario, costituisce di per sé, a prescindere dall'azione di uno specifico comportamento doloso, un atto di concorrenza sleale (e, di conseguenza, un illecito disciplinare), rappresentando un mezzo di pubblicità e di richiamo idoneo a porre in essere una condotta disdicevole.Si deve però osservare che con l'entrata in vigore della c.d. Decreto Bersani19 che, come noto, ha abolito i minimi tariffari, il mantenimento di onorari al di sotto del minimo tariffario non appare più perseguibile sotto il profilo disciplinare20.

4- SUI RAPPORTI CON IL COMMITTENTE4.1 Il rapporto con il Committente è di natura fiduciaria e deve essere improntato alla massima lealtà, chiarezza e correttezza.4.2 L’ingegnere è tenuto al segreto professionale; non può quindi, senza esplicita autorizzazione della Committenza, divulgare quanto sia venuto a conoscere nell’espletamento delle proprie prestazioni professionali.4.3 L’ingegnere deve definire preventivamente e chiaramente con il Committente, nel rispetto del presente codice, i contenuti e termini degli

19 Si tratta del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006 n. 248.

20 Cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 06 marzo 2009, n. 1342: “Nell'attuale assetto normativo degli appalti pubblici, le tariffe professionali di ingegneri e architetti e, quindi, tra esse, anche le tariffe relative alle "prestazioni speciali" (concernenti il coordinamento per la sicurezza nella fase della progettazione, piano di sicurezza e fascicolo, nonché il coordinamento per la sicurezza nella fase dell'esecuzione), non costituiscono più "minimi inderogabili". Tanto discende dai principi liberalizzatori di fonte comunitaria e dell'entrata in vigore del c.d. decreto Bersani (decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006, convertito nella legge n. 248 del 4 agosto 2006), che è stato interpretato dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con determinazione 29 marzo 2007, n. 4/2007, nel senso del superamento del principio del carattere inderogabile delle tariffe”. Si veda però, in relazione a fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge c.d. Bersani, Cassazione civile, sez. III, 15 aprile 2008, n. 9878: “L'avvenuta abrogazione delle disposizioni legislative prevedenti tariffe obbligatorie fisse o minime per lo svolgimento di attività libero-professionali o intellettuali non ha fatto venire meno, per i fatti commessi precedentemente, il carattere di violazione disciplinare della illecita concorrenza praticata da un notaio con riduzione degli onorari e diritti accessori”. La sentenza è interessante anche poiché ribadisce che all'illecito disciplinare non è applicabile il principio del favor rei, come avviene per l'illecito penale.

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incarichi professionali conferitigli.4.4 L’ingegnere è compensato per le proprie prestazioni professionali con riferimento alle tariffe ove esistenti e/o alle indicazioni fornite dall’Ordine, la cui osservanza è preciso dovere professionale, salvo per le sole eccezioni previste dalla legge, e comunque commisurando il proprio compenso all’importanza della prestazione e al decoro professionale ai sensi dell’art. 2233 C.C.4.5 L’ingegnere non può accettare da terzi compensi diretti o indiretti oltre a quelli dovutigli dal Committente senza comunicare a questi natura, motivo ed entità e aver avuto per iscritto autorizzazione alla riscossione.4.6 L’ingegnere è inoltre tenuto a informare il Committente, nel caso abbia interesse a materiali o procedimenti costruttivi proposti per lavori a lui commissionati, quando la natura e la presenza di tali rapporti possa ingenerare sospetto di parzialità professionale o violazione di norme di etica.

Commento: nei rapporti con il committente il professionista deve improntare la condotta alle clausole di diligenza e correttezza, proprie del contratto d'opera intellettuale, come disciplinato dal codice civile. Alcuni oneri aggiuntivi riguardano il preventivo chiarimento dell'oggetto dell'incarico (par. 4.3), la comunicazione di compensi provenienti da terzi e l'informazione circa procedimenti costruttivi o materiali per i quali il professionista abbia un interesse particolare.

5- SUI RAPPORTI CON LA COLLETTIVITA’ ED IL TERRITORIO5.1 Le prestazioni professionali dell’ingegnere saranno svolte tenendo conto preminentemente della tutela della vita e della salvaguardia della salute fisica dell’uomo.5.2 L’ingegnere è tenuto ad una corretta partecipazione alla vita della collettività cui appartiene e deve impegnarsi affinché gli ingegneri non subiscano pressioni lesive della loro dignità.5.3 Nella propria attività l’ingegnere è tenuto, nei limiti delle sue funzioni, ad evitare che vengano arrecate all’ambiente, nel quale opera, alterazioni che possano influire negativamente sull’equilibrio ecologico e sulla conservazione dei beni culturali, artistici, storici e del paesaggio.5.4 Nella propria attività l’ingegnere deve mirare alla massima valorizzazione delle risorse naturali ed al minimo spreco delle fonti energetiche.

Commento: il capo 5 opportunamente inserisce la professione nel contesto socio-ambientale in cui opera. Ne discendono, pertanto, alcuni obblighi

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legati alla spirito di categoria che deve animare il professionista, l'onere di tutela dei beni culturali ed ambientali, anche con riguardo all'ecologia, perseguendo, nell'esercizio dell'attività, obiettivi di valorizzazione delle fonti naturali di energia e di risparmio.L'ing. Bonassai ha icasticamente affermata la responsabilità correlata :”(...) all'esigenza di costruire per l'uomo, ma anche a quella di tener conto dell'uomo nel costruire”21

6- DISPOSIZIONI FINALI6.1 Il presente codice è accompagnato dalle norme di attuazione.Il presente codice è stato approvato dal Consiglio dell’Ordine degli ingegneri di Como nella seduta del 17/01/2007 ed entrerà immediatamente in vigore con pubblicazione sul sito e sul notiziario dell’Ordine.

NORME DI ATTUAZIONE DEL CODICE DEONTOLOGICOPremessa

Le presenti norme hanno lo scopo di fornire indicazioni sull’applicazione del codice deontologico.Si riportano alcune situazioni applicative che non devono essere considerate esaustive, intendendo così che particolari casi, non espressamente indicati, non debbono essere considerati esclusi.Ogni violazione al codice deontologico comporta l’applicazione delle sanzioni disciplinari previste dal vigente Regolamento per le professioni di ingegnere ed architetto.Commento: opportunamente la premessa riporta il contesto entro il quale operano i canoni elaborati a solo titolo esemplificativi dal Consiglio: non vi pertanto alcuna pretesa di esaustività, ma solo l'indicazioni di ulteriori criteri che consentano l'individuazione della fattispecie disciplinarmente rilevante.

1- SULLE INCOMPATIBILITA’1.1 Si ravvisano le condizioni di incompatibilità principalmente nei seguenti casi: posizione di giudice in un concorso a cui partecipa come concorrente (o viceversa) un altro professionista che con il primo abbia rapporti di parentela o di collaborazione professionale continuativa, o tali comunque da poter compromettere l’obiettività del giudizio; abuso, diretto o per interposta persona, dei poteri inerenti la carica ricoperta per trarre comunque vantaggi per sé e per gli altri; esercizio della libera professione in contrasto con norme specifiche

21 Edoardo Benassai “Considerazioni sulla formazione etico-culturale dell'ingegnere.”.

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che lo vietino e senza autorizzazione delle competenti autorità (nel caso di ingegneri dipendenti, amministratori, ecc.); collaborazione sotto qualsiasi forma alla progettazione, riparazione e manutenzione di impianti, macchine, apparecchi, attrezzature, costruzioni e strutture per i quali riceva l’incarico di omologazione, collaudo, o di visite periodiche ai fini della sicurezza; fermo restando quanto disposto dall’art. 41/bis della legge 765/1967 e da ogni altra disposizione statale o regionale in materia, l’ingegnere cherediga o abbia redatto uno strumento urbanistico d’iniziativa pubblica, deve astenersi, dal momento dell’incarico fino all’approvazione, dall’accettare da committenti privati incarichi professionali di progettazione inerenti l’area oggetto dello strumento urbanistico. Considerate le difficoltà burocratiche e amministrative degli Enti pubblici che possono dilatare il tempo intercorrente tra l’assunzione dell’incarico e l’approvazione definitiva degli strumenti urbanistici, si ritiene necessario precisare che il periodo di tempo di incompatibilità di cui alle norme deontologiche deve intendersi quello limitato sino alla prima adozione dello strumento da parte dell’Amministrazione committente.Tale norma è estesa anche a quei professionisti che con il redattore del piano abbiano rapporti di collaborazione professionale continuativa in atto.1.2 Si manifesta incompatibilità anche nel contrasto con i propri doveri professionali quali: nella partecipazione a concorsi le cui condizioni del bando siano state giudicate dal Consiglio Nazionale Ingegneri o dagli Ordini (per i soli concorsi provinciali), pregiudizievoli ai diritti o al decoro dell’ingegnere, sempre che sia stata emessa formale diffida e che questa sia stata comunicata agli iscritti tempestivamente; nella sottomissione a richieste del committente, che siano volte a contravvenire a leggi, norme e regolamenti vigenti.1.3 L’ingegnere nell’espletare l’incarico assunto si impegna ad evitare ogni forma di collaborazione che possa identificarsi come sfruttamento del lavoro intellettuale; deve inoltre rifiutarsi di legittimare il lavoro abusivo.

Commento: sono elencati alcuni tipici casi di incompatibilità che riguardano situazioni di evidente conflitto di interesse o comunque nelle quali vi sono elementi che possano inficiare la serenità e l'imparzialità dell'operato del professionista chiamato a svolgere un incarico che richiede imparzialità di giudizio (partecipando, ad esempio, a commissioni di concorso o giudicatrici). Un particolare accenno alla situazione di

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incompatibilità che si configura per il professionista che redige uno piano urbanistico: il codice specifica che l'incompatibilità dura sino all'adozione del piano (non anche sino alla formale approvazione).

Giurisprudenza: T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 20 dicembre 1996, n. 1380 si è soffermato sull'incompatibilità di un membro della commissione giudicatrice che opera in favore di un'impresa concorrente: “Alle cause di incompatibilità dei membri della commissione giudicatrice nella gara di appalto, di cui all'art. 21, l. 11 febbraio 1994 n. 109 e successive modificazioni, devono aggiungersi quelle derivanti dagli usuali principi regolanti l'azione amministrativa, alla stregua dei quali illegittimamente riveste carica l'ingegnere che presta la propria opera professionale a favore di una delle ditte concorrenti (risultando irrilevante che tale collaborazione sia svolta a favore di ditta formalmente diversa ma il cui titolare sia presidente del consiglio di amministrazione della prima)”.

2- SUI RAPPORTI CON GLI ORGANISMI DI AUTOGOVERNO

2.1 Gli impegni che il Consiglio dell’Ordine richiede ai propri iscritti nominati su segnalazione dell'Ordine sono i seguenti: comunicare tempestivamente al Consiglio le nomine ricevute in rappresentanza o su segnalazione dello stesso; svolgere il mandato limitatamente alla durata prevista di esso; accettare la riconferma consecutiva dello stesso incarico solo nei casi ammessi dal Consiglio o altro organismo nominante; prestare la propria opera in forma continuativa per l’intera durata del mandato seguendo assiduamente e diligentemente i lavori che il suo svolgimento comporta, segnalando al Consiglio dell’Ordine, con sollecitudine, tutte le violazioni o supposte violazioni a norme deontologiche, come a leggi vigenti, di cui sia venuto a conoscenza nell’adempimento dell’incarico comunque ricevuto; presentare tempestivamente le proprie dimissioni nel caso di impossibilità a mantenere l’impegno assunto; controllare la perfetta osservanza delle norme che regolano i lavori a cui si partecipa.

3- SUI RAPPORTI CON I COLLEGHI E I COLLABORATORI3.1 I rapporti fra ingegneri e collaboratori sono improntati alla massima cortesia e correttezza.3.2 L’ingegnere assume la piena responsabilità dell’organizzazione della struttura che utilizza per eseguire l’incarico affidatogli, nonché del prodotto dell’organizzazione stessa; l’ingegnere copre la responsabilità

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dei collaboratori per i quali deve definire, seguire e controllare il lavoro svolto e da svolgere.3.3 L’illecita concorrenza può manifestarsi in diverse forme: critiche denigratorie sul comportamento professionale di un collega; operazioni finalizzate a sostituire un collega che stia per avere o abbia avuto un incarico professionale; attribuzione a sé della paternità di un lavoro eseguito in collaborazione senza che sia chiarito l’effettivo apporto dei collaboratori; utilizzazione della propria posizione presso Amministrazioni od Enti pubblici per acquisire incarichi professionali direttamente o per interposta persona. abuso di mezzi pubblicitari della propria attività professionale e che possano ledere in vario modo la dignità della professione. La pattuizione di condizioni non conformi all’art. 2233 del C.C. ovvero non rispettose dell’importanza della prestazione e del decoro professionale.

Commento: Sono individuate alcune figure di illecito nel rapporto che si instaura con i colleghi e con i collaboratori. Oltre alla specificazione della responsabilità piena che il professionista assume anche in relazione all'attività dei collaboratori (responsabilità comunque prevista anche dal diritto privato in relazione alle figure tipiche della culpa in eligendo ed in vigilando) sono specificate alcuna ipotesi di concorrenza sleale già accennata dai principi generali.

Giurisprudenza: il Tribunale Udine, con la sentenza 23 febbraio 1998, presupponendo l'illecito deontologico, ha configurato un danno ingiusto, fonte di risarcimento: “Una condotta illecita sotto il profilo deontologico che comporti un danno per un professionista concorrente trova sanzione in sede civile secondo i principi generali dell'atto illecito, atteso che la violazione delle norme interne della categoria professionale è sufficiente per qualificare il fatto compiuto come "ingiusto".

4- SUI RAPPORTI CON IL COMMITTENTE

4.1 L’ingegnere non può, senza autorizzazione del committente o datore di lavoro, divulgare i segreti di affari e quelli tecnici, di cui è venuto a conoscenza nell’espletamento delle sue funzioni.Egli inoltre non può usare in modo da pregiudicare il committente le notizie a lui fornite, nonché il risultato di esami, prove e ricerche effettuate per svolgere l’incarico ricevuto.4.2L’ingegnere può fornire prestazioni professionali a titolo gratuito solo

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in casi particolari quando sussistano valide motivazioni ideali e umanitarie.

4.3 Possono non considerarsi prestazioni professionali soggette a remunerazione tutti quegli interventi di aiuto o consulenza rivolti a colleghi ingegneri che, o per limitate esperienze dovute alla loro giovane età o per situazioni professionali gravose, si vengano a trovare in difficoltà.Commento: sono individuati gli obblighi di riservatezza, peraltro regolati, in riferimento al trattamento dei dati, anche dalla disciplina contenuta nel codice della privacy.

Giurisprudenza: sulla gratuità della prestazione si è pronunciata la suprema Corte (Cassazione civile, sez. II, 17 agosto 2005, n. 16966), evidenziando le particolari condizioni che possono renderla legittima anche in riferimento ad un'ipotesi di progettazione sottoposta a condizione sospensiva: “Al professionista è consentita la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell'affectio, nella benevolentia, o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha affermato ricorrere una delle suindicate ipotesi nel caso, concernente la progettazione di uno stabilimento per la macellazione e la lavorazione di carni suine giacché, laddove si fosse verificata la dedotta condizione dell'erogazione del finanziamento da parte di terzi, il professionista avrebbe ricevuto un ulteriore incarico concernente la redazione di un progetto esecutivo e la direzione dei lavori per un "notevole importo", a tale stregua configurandosi pertanto per il medesimo la convenienza ad effettuare la prestazione lavorativa oggetto di causa "a rischio" di gratuità per l'ipotesi del mancato avveramento della condizione)”. Sotto il profilo deontologico la norma appare, però, più stringente, poiché i casi indicati sono solo quelli connessi a valide ragioni umanitarie o ideali.

4. Le sanzioni e il procedimento disciplinare

Le sanzioni disciplinari irrogabili a seguito del procedimento disciplinare sono cinque: l'avvertimento, la censura, la sospensione dall'albo, la cancellazione e la radiazione. Si tratta di sanzioni a gravità progressiva.Nell'applicarle il Consiglio deve commisurare la sanzione alla concreta gravità dell'illecito.

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L'avvertimento consiste in un richiamo sulla mancanza commessa ed alla esortazione a non reiterarla nuovamente nel tempo.E' comunicato all'interessato con lettera del presidente del Consiglio dell'Ordine competente.La censura, invece, è una dichiarazione formale della mancanza e del biasimo incorso. Consiste in un'articolata ammonizione che influisca sulla coscienza dell'incolpato, oltre che la prima vera e propria sanzione disciplinare, quale precedente di riferimento. La sospensione impedisce l'esercizio della professione per un tempo non superiore a sei mesi. Si tratta di una grave sanzione che incide profondamente sulla vita professionale dell'ingegnere, non consentendogli di proseguire l'attività intrapresa. La cancellazione inibisce l'esercizio della professione per un tempo illimitato. Vi sono, in sintesi, due sanzioni formali (avvertimento e censura), che si traducono in una deplorazione del comportamento posto in essere dal professionista, senza nessuna incidenza (se non di riflesso) sulla sua attività professionale, ed, invece, sanzioni formali e sostanziali (sospensione, cancellazione), che impediscono in modo temporaneo oppure definitivo l'esercizio della professione di ingegnere.

5. Il procedimento disciplinare

Il procedimento disciplinare ha natura amministrativa e non assume contenuto giurisdizionale22.Ne discendono alcuni piani principi.In primo luogo è ad esso applicabile la disciplina generale sul procedimento amministrativo disciplinato dalla L. 241 /90.In secondo luogo vi è un preciso onere motivazionale.Inoltre la citata legge sul procedimento amministrativo impone un modulo partecipativo che consenta un'adeguata e congrua istruttoria, consentendo l'esercizio del diritto difesa.Il procedimento, per gli ingegneri, è disciplinato dal regolamento

22 Si veda: Le Cassazione civile, sez. un., 05 ottobre 2007, n. 20843 che statuisce: “Le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli locali dell'Ordine degli avvocati, e il relativo procedimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale, sicché la disciplina procedimentale non è mutuabile, nelle sue forme, dal c.p.p. e, in particolare, non è prevista né la fase delle indagini preliminari, conseguente alla ricezione della notizia dell'infrazione disciplinare, né una fase istruttoria vera e propria.”

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professionale, contenuto nel R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537.L'avvio del procedimento può avvenire ad istanza di parte, su segnalazione del pubblico ministero o d'ufficio.Tuttavia, come afferma la migliore dottrina :”Carattere (…) peculiare e qualificante del procedimento disciplinare è la discrezionalità del suo promovimento, pur in presenza di una notizia, anche circostanziata e precisa, di illecito anche grave(...). Tale carattere discende come naturale conseguenza dall'assunto che finalità primaria del procedimento disciplinare è l'interesse generale dell'aggregazione, nel cui ambito è stato perpetrato l'illecito, in relazione anche alla qualificabilità in astratto dell'illecito e comunque alla qualificazione in concreto del fatto come illecito. I criteri di tale valutazione sono tipicamente di opportunità, sia generale che speciale, in relazione al momento o in considerazione della posizione del soggetto da sottoporre al procedimento. La decisione di non avviarlo nel singolo caso non può che essere la conclusione del bilanciamento tra vantaggio dell'aggregazione, di affermare la “giustizia interna”, o di ignorare il fatto per evitare il disdoro associativo che dalla celebrazione potrebbe derivare all'aggregazione”23.Ai sensi dell'art. 44 del regolamento: “Il Presidente assumendo le informazioni che stimerà opportune, verifica i fatti che formano oggetto dell’imputazione”.Successivamente, sentito l’incolpato, su relazione del Presidente, il Consiglio decide se vi siano le ragioni per procedere con giudizio disciplinare.Se il Consiglio ritiene sussistenti i presupposti, il Presidente nomina il relatore e dispone la notificazione, a mezzo ufficiale giudiziario, della citazione24 a comparire dell'incolpato dinanzi al Consiglio dell’Ordine, con

23 I. Cacciavillani, op. cit., 46-47.24 Secondo la giurisprudenza della Cassazione: “In tema di giudizio disciplinare nei

confronti di professionista, la formale incolpazione non richiede una minuta, completa e particolareggiata esposizione delle modalità dei fatti che integrano l'illecito e l'indagine volta ad accertare la correlazione tra addebito contestato e decisione disciplinare non va fatta alla stregua di un confronto meramente formale, dovendosi piuttosto dare rilievo all'iter del procedimento e alla possibilità che l'incolpato abbia avuto di avere conoscenza dell'addebito e di discolparsi. Tuttavia, anche se sono valorizzabili elementi non desumibili direttamente dal testo della formale incolpazione, è necessaria una adeguata ricognizione dei medesimi e una valutazione della loro idoneità ad esplicitare ed integrare il capo di incolpazione, ipotesi che non sussiste nel caso in cui nei confronti di un avvocato, incolpato dei fatti di cui al capo di imputazione formulato in sede penale dai quali sia stato assolto, oltre che della condotta tenuta in relazione e in dipendenza dei fatti medesimi, connessi e consequenziali, sia applicata la sanzione disciplinare per i fatti accessori contestati. (La S.C. ha ritenuto che detta

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un termine non inferiore a 15 giorni per essere sentito.L'incolpato potrà presentare memorie e documenti in sua difesa e richiedere l'eventuale audizione di testimoni.Sarà poi il Consiglio a valutare l'ammissibilità e la rilevanza delle testimonianze richieste25. Nel giorno indicato dalla citazione a comparire ha luogo la discussione, in seguito alla quale, uditi il relatore e l’incolpato, il Consiglio delibera26.L'assenza dell’incolpato senza legittimo impedimento, non determina

formula di chiusura era generica ed avrebbe dovuto essere vagliata ed eventualmente giustificata sulla base dell'esame del contesto delle circostanze in cui era avvenuta la promozione del procedimento disciplinare e attraverso cui si era sviluppata la contestazione disciplinare ed altresì della concreta portata della decisione di condanna disciplinare). Cassazione civile , sez. un., 22 agosto 2007, n. 17827. Con particolare riferimento al giudizio disciplinare nei confronti degli ingegneri si segnala: Cassazione civile, sez. III, 23 maggio 2006, n. 12122 che conferma: “In tema di procedimento disciplinare a carico degli ingegneri, il compimento degli atti di indagine volti ad accertare la configurabilità o meno dell'illecito disciplinare non deve essere necessariamente preceduto, a pena di illegittimità del procedimento, dalla specifica contestazione all'indagato dei fatti integranti l'illecito disciplinare, in quanto tale specifica contestazione deve precedere soltanto il giorno fissato per il giudizio, e può ritenersi effettuata qualora l'incolpato abbia avuto conoscenza dell'accusa e sia stato messo tempestivamente in condizione di difendersi e discolparsi in giudizio”.

25 Si riporta un interessante decisione in relazione agli oneri dell'incolpato e alle prerogative dell'organo decidente: ”Anche nella fase del procedimento disciplinare nei confronti degli esercenti professioni sanitarie che si svolge davanti al Consiglio dell'Ordine locale, avente natura amministrativa e non giurisdizionale, è tutelato il diritto alla difesa dell'incolpato; occorre tuttavia che l'incolpato stesso espliciti attraverso precise richieste le sue scelte difensive; ne consegue che se l'incolpato non ha richiesto che nella seduta ex art. 45 d.P.R. n. 221 del 1950 i testi escussi nell'inchiesta preliminare siano risentiti in sua presenza, egli non può dolersi della loro mancata audizione, e non si ha violazione del principio del contraddittorio se la decisione del Consiglio dell'Ordine si fondi esclusivamente sulle risultanze dell'inchiesta preliminare”. Rusalen c. Cons. ord. Ingegneri Prov. Treviso e altro Giust. civ. Mass. 2006, 5

26 Si riporta un interessante decisione sulla portata del giudizio penale sul giudizio disciplinare, anche in relazione ad un'ipotesi di patteggiamento. Cassazione civile , sez. III, 27 agosto 1999, n. 8993 afferma: “La disposizione di cui all'art. 445 comma 1 c.p.p., secondo la quale la sentenza di patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi, si applica anche con riferimento al procedimento disciplinare, pur quando esso non abbia natura giurisdizionale (come nel caso di specie, con riferimento alla fase innanzi al Consiglio provinciale dell'ordine degli architetti ed ingegneri, che ha natura amministrativa); ne consegue che, nel giudizio disciplinare, l'accertamento dei fatti addebitati al professionista, allo scopo di valutare la rilevanza in sede disciplinare avviene in modo del tutto autonomo rispetto alla sentenza di patteggiamento emessa nei confronti dello stesso in relazione ai medesimi fatti; tale

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alcuna sospensione o rinvio.Ai sensi dell'art. 48 del regolamento: “Le deliberazioni del Consiglio in materia disciplinare possono essere impugnate dall’incolpato innanzi al Consiglio Nazionale nel termine di giorni trenta dalla avvenuta notificazione. Possono inoltre essere impugnate innanzi allo stesso Consiglio Nazionale dal Procuratore della Repubblica nel termine di giorni trenta dalla comunicazione ufficiale che gliene è fatta dal Segretario del Consiglio dell’Ordine entro cinque giorni”.Le decisioni degli organi centrali delle categorie professionali in materia disciplinare sono impugnabili con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. per violazione di legge e per vizio di motivazione nei casi in cui la motivazione sia inesistente o apparente.Resta esclusa la verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione stessa, perché l'individuazione, l'interpretazione e l'applicazione delle regole di deontologia professionale nella valutazione degli addebiti attengono al merito del procedimento e non sono sindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivate27.

accertamento può, bensì avvalersi degli elementi che risultano dal contenuto della predetta sentenza, ma esige che non si tragga da essa l'esclusiva prova della sussistenza dei fatti costituenti illecito disciplinare, richiedendo l'affermazione di responsabilità disciplinare che, in esito a cognizione piena, l'accertamento a contenuto negativo del giudice penale (assenza degli estremi per il proscioglimento) si trasformi in un accertamento positivo sulla sussistenza dei fatti, con conseguente necessità dell'esame, quanto meno, della posizione che l'incolpato ha assunto sul punto sia in sede penale, che nel corso del procedimento disciplinare. Nel giudizio disciplinare a carico di un professionista in ordine ai medesimi atti in relazione ai quali sia in corso un procedimento penale in fase anteriore a quello dibattimentale, gli atti compiuti durante le indagini preliminari cui può attribuirsi efficacia probatoria piena sono soltanto quelli per i quali è previsto l'inserimento nel fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 431 c.p.p., mentre l'utilizzazione degli altri, che trovano collocazione nel fascicolo del pubblico ministero a norma dell'art. 433 c.p.p., presuppone che il Consiglio dell'ordine professionale (nella specie, degli architetti ed ingegneri) ne accerti direttamente l'esistenza, traendola, se del caso, anche dai predetti atti, esprimendo, peraltro, le ragioni del proprio convincimento, che deve valutare anche le tesi difensive sostenute dall'incolpato. (Nella specie, in applicazione del principio di cui

in massima, la C.S. ha annullato la decisione del Consiglio nazionale degli architetti ed ingegneri che aveva motivato la ritenuta sussistenza dei fatti addebitati al professionista incolpato, facendo genericamente richiamo alla circostanza che questi risultavano "dal mandato di cattura, dalle richieste di rinvio a giudizio e da altri atti istruttori").

27 Cassazione civile, sez. un., 16 novembre 2007, n. 23728 statuisce che: “L'accertamento in concreto se una determinata condotta posta in essere da un avvocato integri, o meno, la violazione di un determinato precetto deontologico costituisce una valutazione di

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Il sindacato sulla motivazione, dunque, non può essere esteso alla sussistenza dei fatti o alla valutazione delle prove né agli apprezzamenti sulla gravità dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine, né infine all'adeguatezza della sanzione inflitta, in quanto non si può riscontrare violazione di legge nell'applicazione di una determinata sanzione.

6. Rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale

Ogniqualvolta un illecito penale commesso da un ingegnere viola anche un precetto disciplinare si pone la questione se il procedimento disciplinare debba essere sospeso in attesa della sentenza del Giudice penale.Nel caso degli ingegneri l'art. 46 del regolamento espressamente prevede: “Nel caso di condanna alla reclusione o alla detenzione, il Consiglio, a seconda delle circostanze, può eseguire la cancellazione dall’Albo o pronunciare la sospensione; quest’ultima ha sempre luogo ove sia stato rilasciato mandato di cattura e fino alla revoca. Qualora si tratti di condanna che impedirebbe l’iscrizione nell’Albo giusto l’art. 7 del presente regolamento in relazione all’art. 28, parte prima, della legge 8 giugno 1874, n. 138, è sempre ordinata la cancellazione dall’Albo, a norma del precedente art. 20.”Occorre premettere che vi sono fatti che assumono rilievo esclusivamente disciplinare non integrando gli estremi di fattispecie penalmente rilevanti. Ed è il caso più frequente.L'organo disciplinare (Il Consiglio) procederà all'accertamento dell'illecito irrogando la relativa sanzione: come riferito le norme deontologiche, secondo la giurisprudenza, hanno pieno valore normativo giustificando l'esercizio del potere disciplinare attribuito agli ordini.In questi casi, mancando in genere negli ordinamenti professionali una specifica norma in tema di precisazione del termine di decorrenza della prescrizione (l'articolo 51 Rdl citato, si limita a sancire che l'azione disciplinare si prescrive in cinque anni), Da tenere fermo è il principio della autonomia del procedimento

fatto, come tale non suscettibile di sindacato in sede di legittimità. In particolare la valutazione del Consiglio nazionale forense in ordine alla sussistenza dell'illecito disciplinare addebitato al professionista - e alla contrarietà dei fatti contestati al decoro e alla dignità professionale - è incensurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione adeguata e immune da errori. L'accertamento del fatto, l'apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali - quindi - non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità, salvo che si traducano in palese sviamento di potere, ossia nell'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito”.

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disciplinare, che si instaura nell'ambito dell'ordinamento proprio di ciascuna professione, con regole specifiche, ed è volto all'accertamento dell'eventuale illecito disciplinare e all'irrogazione della relativa sanzione, rispetto al procedimento penale, il quale ha evidentemente regole processuali e finalità del tutto proprie, connesse alla generale pretesa punitiva dello Stato nei confronti dei soggetti che si macchino di comportamenti penalmente rilevanti.Corollario di tale principio il venir meno, nel passaggio dal vecchio al nuovo codice di procedura penale, dell'istituto della sospensione necessaria per pregiudizialità penale.A parte il caso specifico del giudizio di danno che prosegue di fronte al giudice civile (articolo 75 Cpp), infatti, in presenza di giudizio penale il processo diverso da quello penale deve essere sospeso solo ove ricorra il rapporto di pregiudizialità di cui all'articolo 295 Cpc ("Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa"), oppure ove sia così disposto da espressa norma di legge. La novità della sentenza in commento consiste proprio nel basare il proprio ragionamento decisorio intorno all'ipotesi dell'applicazione in via analogica dell'articolo 295 Cpc ai procedimenti disciplinari professionali.La sentenza esclude che nei procedimenti disciplinari il suddetto articolo possa essere applicato, e che dunque ci si trovi di fronte ad un caso di sospensione necessaria:a) perché non esiste alcuna specifica disposizione di legge che imponga all'organo professionale la sospensione;b) perché non esiste rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica fra il processo penale e il procedimento disciplinare, nel senso che non esiste una norma che precisi l'assoluta prevalenza della sentenza penale, sia di condanna che di assoluzione, sulla decisione disciplinare, ma vi è piuttosto lo spazio, in astratto, per una diversa qualificazione giuridica del medesimo contegno materiale.Non depone infatti nel senso della pregiudizialità neanche l'articolo 653 Cpp, come modificato dall'articolo 1 della legge 97/2001 recante "Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche", ai sensi del quale la sentenza penale irrevocabile ha efficacia di giudicato nei procedimenti disciplinari quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l'imputato non l'ha commesso.Un'efficacia pertanto limitata, lungi dall'integrare quella condizione di

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pregiudizialità tecnica che sola potrebbe condurre a configurare una causa di sospensione necessaria del procedimento amministrativo.Non trovandoci in un caso di sospensione necessaria, e ben potendo l'organo professionale competente procedere ad un autonomo accertamento dei fatti parallelamente a quanto non avvenga in sede penale, qualora tale organo ritenga di disporre, in via di mera opportunità, una sospensione facoltativa del procedimento per attendere le risultanze del processo penale, a tale sospensione non può applicarsi ovviamente il regime degli effetti permanenti dell'interruzione della prescrizione, imprescindibilmente connesso al rapporto di stretta pregiudizialità tra due procedimenti, ma più semplicemente (e più favorevolmente rispetto agli interessi dell'incolpato) il regime degli effetti istantanei dell'interruzione. La sospensione facoltativa cioè, interrompe il termine quinquennale di prescrizione dell'azione disciplinare, ma dal giorno in cui tale atto è notificato all'incolpato decorre altro termine quinquennale. Ciò in stretta aderenza all'articolo 2945 Cc; ai sensi del primo comma, infatti, "per effetto della interruzione si inizia un nuovo periodo di prescrizione", mentre, in forza del secondo comma, solo in caso di instaurazione di un procedimento giurisdizionale l'interruzione ha effetti permanenti (è questo non è, come detto, il caso dei procedimenti disciplinari).Viene così superato l'orientamento già espresso dalle sezioni unite civile con la nota decisione n. 9893/93 (in Giust. Civ. 1994, I, c. 2303) che aveva finito per consolidare un'interpretazione del regime della prescrizione nei procedimenti disciplinari in sostanziale deroga al principio generale dell'autonomia del disciplinare.Con quella decisione infatti, conformemente ad un corposo filone giurisprudenziale, la Suprema corte precisava come nell'ipotesi di procedimento disciplinare sospeso in costanza della pendenza di processo penale “... il termine predetto (di prescrizione) non può decorrere che dalla definizione del processo penale, posto che solo nel giorno in cui la sentenza penale diviene irrevocabile, si avvera, per il disposto dell'articolo 44 Rdl 1578/33, il presupposto necessario della sanzione disciplinare. E ciò esclude altrettanto che, agli effetti della prescrizione, possa tenersi conto del periodo di tempo decorso dalla commissione del fatto alla instaurazione del processo penale, anche se in tale periodo l'Ordine, venuto a conoscenza del fatto, abbia avviato il procedimento disciplinare, per poi sospenderlo di fronte all'avvenuto esercizio dell'azione penale”.Siamo pertanto di fronte ad un diverso orientamento, in astratto più coerente con il principio di autonomia del procedimento disciplinare, ma

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comunque in concreto suscettibile di inconvenienti di non poco conto.In ogni caso la decisione sembra essere destinata ad incidere sulle modalità di svolgimento dei procedimenti disciplinari professionali.L'opportunità di sospendere il procedimento disciplinare per attendere l'accertamento dei fatti in sede penale dovrà infatti essere attentamente vagliata caso per caso, e si avvia a divenire un'ipotesi sempre più residuale, considerato il rischio di vedere spirare il termine per far valere la responsabilità disciplinare dell'incolpato.

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II. LA RESPONSABILITÀ PENALE

1.La definizione di reato (cenni di carattere generale) e gli elementi costitutivi del reato.

Definire il concetto di "reato" può essere una questione particolarmente semplice o particolarmente complessa a seconda del grado di rigore e a seconda della completezza che pretendiamo da questa definizione.Il concetto di reato appartiene al concetto più generale di "illecito" nel senso di "contrario alla legge"; qualora la legge infranta riguardi esclusivamente interessi e rapporti tra privati, avremmo un illecito di carattere civile che potrà dar vita ad una controversia, cioè ad una causa, di carattere civile; qualora, invece, la legge infranta riguardi l'interesse al corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione, avremmo un illecito amministrativo che possiamo anche definire un "atto illegittimo"; infine, nell'ipotesi in cui la legge infranta riguardi un interesse di carattere generale e fondamentale le cui conseguenze ricadono sull'intera collettività per la gravità dei valori compromessi, cioè nell'ipotesi in cui la legge infranta sia quella penale - con la conseguenza che l'autore dell'inflazione merita una sanzione penale (cioè una "pena") - avremo un illecito penale che possiamo meglio definire un "reato".Questa definizione per un verso può risultarci pienamente soddisfacente perché individua e distingue perfettamente che cos'è il reato (cioè l'atto contrario alla legge penale colpito con una pena); per altro verso potrebbe lasciarci insoddisfatti perché ci fornisce una definizione puramente formale (cioè svincolata da qualsiasi contenuto sostanziale).Tuttavia i numerosi tentativi di andare oltre una definizione formale per approdare ad una definizione sostanziale sono risultati inadeguati, con la conclusione che è più corretto accontentarsi di una definizione di carattere formale; a questa conclusione occorre giungere rilevando, concretamente, che, anche prendendo in considerazione un solo ordinamento giuridico come, ad esempio, quello italiano, i comportamenti considerati reato sono cambiati nel tempo a seconda delle specifiche scelte del legislatore, scelte che riflettono, spesso, il mutamento del comune sentire della società ma, a volte, anche specifiche ideologie politico - culturali o, addirittura, esigenze del tutto contingenti (come quelle di cassa); esempio eclatante di questo discorso può essere individuato negli illeciti legati all'ambito fiscale-tributario (ma si pensi anche al vastissimo numero di esempi che si possono fare in materia di codice della strada, con comportamenti che sono passati da reato a illecito amministrativo e viceversa, più volte nel corso

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degli anni; si pensi anche al reato di oltraggio a pubblico ufficiale, al reato di apologia eccetera).L'unico tentativo di approdare ad una definizione sostanziale del reato può essere quello di agganciare tale concetto ai valori espressi dalla Costituzione intesa, da un punto di vista formale e sostanziale, quale fonte di primaria importanza di tutto l'ordinamento giuridico: in questa prospettiva possiamo definire reato quel comportamento che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di tutela secondo i valori costituzionali (cioè i valori più alti che accomunano l’intera collettività) e con la precisazione che tale aggressione faccia risultare inevitabile il ricorso alla sanzione penale in quanto qualsiasi altra sanzione risulterebbe insufficiente.Con riferimento ai "requisiti" del reato occorre evidenziare i seguenti principi: 1) principio di legalità (è reato soltanto quello previsto come tale dalla legge e non da altre fonti del diritto come i regolamenti, gli atti amministrativi, gli atti privati eccetera); 2) principio di tassatività (la previsione della legge deve essere specifica e tassativa, senza nessuno spazio per l'applicazione analogica); 3) principio di irretroattività (la legge penale dispone soltanto per l'avvenire e non per il passato; 4) principio di causalità soggettiva ed oggettiva (il comportamento deve essere riconducibile oggettivamente (condotta materiale) e soggettivamente (consapevolezza della condotta) al soggetto che lo ha causato; 5) principio di costituzionalità del bene tutelato dalla norma penale: la tutela riguarda solo beni giuridici particolarmente importanti (di rilievo costituzionale), la cui aggressione viene sanzionata con la sanzione criminale, cioè con la pena.Con questo ampio, anche se superficiale, excursus sulla definizione di reato abbiamo già accennato a quelli che sono gli elementi essenziali del reato: 1) un comportamento umano, che può consistere in un'azione (ad esempio uccido una persona) o in una omissione (ad esempio omette di soccorrere il passante che ho investito con l'automobile); 2) la volontarietà del comportamento (parleremo successivamente della distinzione tra volontà dolosa e colposa); 3) la antigiuridicità della condotta (cioè il contrasto con la norma penale).

2. Delitti e contravvenzioni. L'elemento psicologico.

Anche con riferimento al tentativo di definire i diritti e le contravvenzioni e la differenza che intercorre tra queste due categorie, potremmo ripetere quanto già accennato con riferimento alle difficoltà relative alla definizione

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del concetto di reato.Il problema ce lo poniamo perché è lo stesso codice penale (e anche le leggi penali speciali relative a settori specialistici come l'edilizia e l’urbanistica) che introduce la differenza tra un gruppo di reati chiamati delitti è un gruppo di reati chiamati contravvenzioni (da non confondere con gli illeciti amministrativi del codice della strada che tutti, abitualmente, chiamiamo contravvenzioni).Anche in questo caso, infatti, i tentativi di giungere ad una definizione sostanziale della differenza tra delitti e contravvenzioni sono risultati inadeguati; l'unica definizione effettivamente sostenibile e quella formale contenuta nell'articolo 39 del codice penale, secondo il quale "i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni a seconda della diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite"; i delitti, infatti, sono puniti con la reclusione (sanzione detentiva) e la multa (sanzione pecuniaria); le contravvenzioni sono punite con l'arresto (sanzione detentiva) e l'ammenda (sanzione pecuniaria).Evidentemente, se la differenza dovesse riguardare soltanto il nome della sanzione, la distinzione avrebbe ben poco rilievo pratico visto che, ad esempio, un mese di reclusione ed un mese di arresto non comportano alcuna differenza per il condannato che deve scontare 30 giorni in carcere; il sistema penale, tuttavia, ricollega tutta una serie di differenze, ben più rilevanti rispetto al solo nome, ai delitti ed alle contravvenzioni:1) il tentativo (cioè il reato tentato) è previsto dal nostro sistema penale soltanto per i delitti e non per le contravvenzioni; 2) i fatti commessi all'estero sono punibili soltanto se costituiscono delitti (non sono punibili dallo Stato italiano, quindi, le contravvenzioni commesse all'estero); 3) alcune circostanze aggravanti sono previste soltanto per i delitti e non per le contravvenzioni; 4) altre differenze pratiche tra delitti e contravvenzioni riguardano i tempi di prescrizione e la possibilità di estinguere il reato con l'oblazione (cioè pagando una somma di denaro; opportunità possibile per alcune contravvenzioni minori ma mai non per i delitti); 5) l'elemento psicologico: le contravvenzioni sono punibili sia se commesse con colpa sia se commesse con dolo; la maggior parte dei delitti, invece, è punibile soltanto se commessa con dolo (ad esempio non esiste il furto o la truffa colposa); alcuni delitti particolarmente significativi sono punibili anche a titolo di colpa (i casi più importanti sono l'omicidio colposo e le lesioni colpose).Veniamo, dunque, al concetto di dolo e di colpa; la teoria dell'elemento soggettivo del reato costituisce uno dei capitoli più complessi del diritto penale e anche dalla sua concreta applicazione; in questa sede,

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evidentemente, ci limiteremo ad alcuni cenni utili a comprendere i concetti generali.La definizione di dolo è fornita dallo stesso codice penale (articolo 43) il quale, innanzitutto, ci chiarisce che il concetto di dolo equivale a concetto di intenzione: il delitto è doloso quando l'evento costituente reato è preveduto e voluto dall'autore come conseguenza del proprio comportamento; gli elementi più caratterizzanti di questa definizione sono, quindi, la consapevolezza e la intenzionalità; la consapevolezza indica che l'autore del reato è consapevole di ciò che sta facendo e si rappresenta anticipatamente le conseguenze del proprio comportamento; la intenzionalità o volontarietà indica che quelle conseguenze sono volute dall'agente.La colpa indica, invece, un'imprudenza, un'imperizia, una negligenza, una violazione di regole di condotta: il guidatore dell'automobile che per distrazione (cioè per un comportamento imprudente e contrario alle regole di condotta imposte dal codice stradale) attraversa l'incrocio con il semaforo rosso e causa la morte del passante che stava attraversando, non aveva l'intenzione/la volontà di uccidere una persona ma, pur essendo nel pieno delle sue facoltà, ha tenuto un comportamento gravemente imprudente, la cui conseguenza è la morte del pedone; l'ingegnere impreparato (cioè imperito) nei calcoli del cemento armato progetta e realizza una struttura non idonea a sostenere il peso di coloro che vi abitano e vi lavorano: il crollo della struttura causa la morte di più persone che non era desiderata dal progettista ma è stata causata dalla sua imperizia.1. Questi esempi ci chiariscono in modo efficace il concetto di delitto colposo ma la teoria della colpa (inizialmente evolutasi solo per contrasto con quella del dolo) costituisce un argomento particolarmente complesso e vasto; trascurando le numerose ed interessanti teorie che si sono succedute negli anni per definire il concetto di colpa, possiamo dire che la teoria attualmente più completa e convincente é quella che individua l'essenza della colpa nella violazione di una regola di diligenza relativa all'esercizio di un'attività lecita ma rischiosa: guidare un automezzo sulla strada, curare e se necessario operare un malato, tenere un corso di alpinismo, affidare ad un lavoratore dipendente una pressa o una sega particolarmente potenti... sono alcuni tra i numerosissimi esempi che possono chiarire l'ambito di applicazione del reato corposo: lo svolgimento di un'attività lecita (spesso perfino incoraggiata dall'ordinamento) ma contenente dei pericoli rispetto ai quali l'unica forma di salvaguardia è costituita dal massimo rispetto delle regole (giuridiche e/o tecniche di prudenza e diligenza): la violazione di

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una di queste regole può comportare il verificarsi dell'evento con tutte le sue conseguenze dannose; di questo evento l'autore risponde a titolo di colpa.

3. I reati omissivi.

I reati possono essere determinati da un comportamento commissivo (cioè il porre in essere un'attività, un'azione) o da comportamenti omissivi (omettendo, cioè, di fare un qualche cosa); mentre l'azione è un concetto naturalistico visibile e percepibile (dire una parola, compiere un movimento, svolgere una serie di attività) ed assume valenza penale quando si tratta di comportamento penalmente rilevante (di una parola offensiva, compie un gesto lesivo come sferrare un pugno eccetera); l'omissione, al contrario, è un concetto esclusivamente teorico-giuridico: l'omissione, infatti, consiste in un "non fare" ed assume rilevanza in quanto non si è fatta una cosa che si aveva il dovere di fare, non si è fatta una cosa che l'ordinamento giuridico si aspettava che venisse fatta: ad esempio non si è soccorso il pedone investito.

4. Alcune figure di reato: l'omicidio colposo e le lesioni colpose.

L'omicidio consiste, ovviamente, nel provocare la morte di una persona; tale attività può essere sostenuta dal dolo (omicidio doloso detto anche volontario) o dalla colpa e in assenza di cause di giustificazione; perché si parli di omicidio, la vittima deve essere un essere umano vivo; l'omicidio è un delitto a forma libera, nel senso che non sono richieste modalità specifiche per la sua realizzazione (qualsiasi azione od omissione che determini, in qualunque modo, la morte della vittima).In questa sede ci occuperemo esclusivamente dell'omicidio colposo che si distingue da quello doloso perché, evidentemente, l'autore del fatto non vuole la morte della vittima e non vuole neanche l'evento lesivo da qui deriva la morte; per il concetto di colpa ci richiamiamo a quanto già detto sopra, aggiungendo che esistono vari gradi di colpa (una colpa più o meno intensa e, quindi, più o meno grave). A questo proposito si è già detto che il concetto di colpa richiama quello di violazione di una norma di comportamento nello svolgimento di un'attività consentita ma pericolosa: in questo ambito si colloca, evidentemente, il concetto di colpa professionale dove l'attività pericolosa è per l'appunto lo svolgimento di una professione di per se stessa delicata e fonte di responsabilità e le norme di comportamento sono costituite da un insieme di norme giuridiche e di

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norme di perizia professionale e prudenza il cui rispetto è preteso nel professionista ad un livello molto alto in considerazione della sua qualifica.Per completezza di esposizione ricordiamo che la norma generale sull'omicidio colposo (l'articolo 589 codice penale) prevede due specifiche ipotesi di aggravamento: quella della violazione delle norme del codice della strada e quella, qui più rilevante, nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (dovendosi intendere queste norme, ancora una volta, sia come norme giuridiche (come tali specifiche e determinate) sia come norme tecniche costituenti quegli accorgimenti il più possibile efficaci per tutelare l'integrità fisica dei lavoratori).Un discorso pressoché analogo può essere svolto per le lesioni colpose, precisando che la norma (articolo 590 codice penale) distingue, secondo della gravità, le lesioni lievi, gravi e gravissime.

5. Altre figure di reati particolari: la falsità ideologica e la falsità materiale; i concetti di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio.

Il codice penale dedica diversi articoli alle varie ipotesi di reato legate alla falsità (ci riferiamo, qui, evidentemente, alla falsità dei documenti).Secondo la distinzione tradizionale, il falso può essere materiale o ideologico.Si ha documento falso dal punto di vista materiale quando il documento non proviene da quello che sembrerebbe essere il suo autore; in altri termini, il documento è stato redatto da un soggetto diverso da quello che è l'apparente autore; il falso materiale si può concretizzare nell'ipotesi della alterazione (quando sono state apportate delle modifiche al documento originale, ad esempio un’aggiunta o una cancellatura) e nell'ipotesi della contraffazione (quando il documento è stato predisposto da un soggetto diverso da quello che appare l'autore).Il falso ideologico si verifica, invece, quando il documento proviene integralmente da quello che appare essere il suo autore ma riporta contenuti non veritieri e riguarda, dunque, le attestazioni compiute nel documento dal suo autore.Distinti da questi concetti, anche se poi spesso utilizzati in collegamento tra loro, sono le definizioni di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio.Sebbene i concetti di pubblico ufficiale ed incaricato di pubblico servizio siano da molto tempo definiti dalle stesse norme del codice penale, tuttavia essi pongono molti problemi di carattere definitorio; le modifiche

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legislative apportate nel 1990 e nel 1992 hanno solo parzialmente risolto questi problemi.Premettiamo che il legislatore ha scelto la via di definire le categorie di pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio non in base ad un criterio formale (la dipendenza da un ente pubblico, un determinato inquadramento lavorativo come impiegato, dirigente eccetera) ma in base al contenuto dell'attività svolta.Secondo l'articolo 357 del codice penale sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa; è dunque il contenuto della funzione svolta a caratterizzare il pubblico ufficiale.L'individuazione della funzione legislativa e giudiziaria non pone particolari problemi; pone invece qualche problema in più l'individuazione della funzione amministrativa; tralasciando l'ampio ed ancora aperto dibattito che vi è stato in dottrina e giurisprudenza possiamo sintetizzare dicendo che la qualifica di pubblico ufficiale con riferimento alla pubblica funzione amministrativa deve essere attribuita ai soggetti che (anche alternativamente) 1) formano o concorrono a formare la volontà di un ente pubblico o lo rappresentano all'esterno; 2) a coloro che sono muniti di poteri autoritativi e 3) a coloro che sono muniti di poteri di certificazione.Secondo l'articolo 358 del codice penale devono "considerarsi incaricati di pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima e con esclusione lo svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale"; si tratta, quindi, di una funzione pubblica ma priva dei poteri di decisione, di rappresentanza, di autorità o di certificazione prima indicati per il pubblico ufficiale.

6. I reati edilizi.

2. Il diritto di edificare spetta al proprietario del suolo su cui viene costruito il manufatto; tale diritto costituisce, quindi, una manifestazione del diritto di proprietà; tuttavia, in considerazione delle conseguenze che l'attività edificatoria determina per l'intera collettività, l'attività edilizia è sottoposta alla regolamentazione dell'Autorità amministrativa; la Pubblica Amministrazione svolge questa attività di controllo e pianificazione mediante il permesso di costruire ed il regolamento edilizio; l'intera materia è stata riorganizzata con il Testo Unico delle disposizioni in

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materia edilizia costituito dal DPR 380/2001 il quale disciplina le attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia le seguenti ipotesi: 1) interventi di nuova costruzione; 2) interventi di ristrutturazione urbanistica; 3) interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifica del volume, di sagoma, di prospetti, di superfici o, per quanto riguarda le zone omogenee A, gli interventi che comportino mutamento di destinazione d'uso.Gli interventi eseguiti in mancanza o in difformità del permesso di costruire danno luogo a diverse ipotesi di reato che vanno sotto il nome complessivo di abusi edilizi.Le principali ipotesi di abuso edilizio (già contenute nell'articolo 20 della legge 47/85 integralmente recepito dal nuovo Testo Unico all'articolo 44) sono quelle contenute nelle ben note lettere a), b) e c):lettera a) inosservanza delle prescrizioni e delle modalità esecutive previste dal Testo Unico, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici, dal permesso di costruire; lettera b) costruzione in totale difformità o assenza del permesso di costruire o prosecuzione dei lavori dopo l'ordine di sospensione; lettera c) lottizzazione abusiva (lettera c) prima parte) e interventi edilizi in zone sottoposte a vincolo (lettera c) seconda parte).Si tratta di reati contravvenzionali e quindi punibili anche per semplice colpa (cioè non è richiesto il dolo), dei quali sono chiamati a rispondere soggetti specifici quali il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore, il direttore dei lavori; si tratta di reati permanenti che cessano o con il completamento delle opere o con l'impossibilità di completarla oppure con la desistenza volontaria dell'agente; si tratta di reati procedibili d’ufficio e la competenza è del Tribunale in composizione monocratica; il potere di ordinare la demolizione dell'opera abusiva spetta principalmente al Comune e, qualora questi non si attivi, alla Regione; il Giudice penale, tuttavia, ha il potere di subordinare la sospensione della pena inflitta al condannato alla demolizione delle opere abusive; il rilascio del permesso in sanatoria estingue il reato e la sussistenza di un procedimento amministrativo di sanatoria consente la sospensione del processo penale.Non costituiscono ipotesi di reato le opere interne (non più soggette a concessione), gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, gli interventi di restauro o risanamento conservativo.

7. Il reato di disastro colposo

I reati relativi a stragi, disastri, incendi, affondamenti sono reati contro

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l'incolumità pubblica cioè reati che ledono non l'integrità fisica di singoli individui ma, potenzialmente, l'integrità fisica della collettività o comunque di una cerchia indeterminata di persone; il codice penale dedica una prima parte ai reati dolosi di questo tipo per i quali, oltre l’incendio, l’affondamento, l’inondazione eccetera viene previsto anche il “crollo di costruzioni”; l’articolo 449 codice penale prevede poi una norma generale e di chiusura del sistema che introduce i delitti colposi di danno, facendo riferimento alle ipotesi dolose già elencate e proponendole anche come ipotesi colpose.

8. Il reato di esercizio abusivo della professione.

Il reato previsto dall'articolo 348 del codice penale punisce chi esercita abusivamente la professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato; la norma si propone, evidentemente, di evitare che determinate professioni siano esercitate da chi non è in possesso di una specifica abilitazione attestante le competenze necessarie; con l'articolo 348 codice penale ci imbattiamo in una norma penale in bianco in quanto quest'articolo rinvia alle speciali abilitazioni richieste dallo Stato che sono contenute in norme specifiche non penali (ad esempio quelle che regolano l'accesso alle diverse professioni); la norma penale, quindi, é in bianco in quanto il suo contenuto viene concretizzato da norme extra penali.L'esercizio abusivo si realizza anche con il compimento di un solo atto della professione (non è quindi necessario il compimento di una serie di atti) e senza bisogno di uno scopo di lucro; l'eventuale consapevolezza e l'eventuale consenso del destinatario della prestazione (il paziente che si fa intenzionalmente curare dall'odontotecnico invece che dall'odontoiatra) è del tutto irrilevante perché la norma tutela non solo l'interesse del destinatario della prestazione ma anche un interesse di carattere pubblico indisponibile.Vi è esercizio abusivo sia quando non si è mai ottenuta la relativa abilitazione sia quando il soggetto sia decaduto o anche semplicemente sospeso; per integrare il reato è sufficiente il dolo generico, cioè la semplice coscienza e volontà di esercitare la professione senza l'abilitazione; la giurisprudenza ha precisato che il delitto sussiste anche nell'ipotesi in cui l'attività oggetto dell'esercizio abusivo sia formalmente imputabile ad un professionista abilitato e anche nel caso in cui sia in tutto conforme ai dettami della tecnica professionale.

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III. LA RESPONSABILITÀ CIVILE

1. Il contratto d’opera intellettuale e le obbligazioni del professionista

Le fonti normative che regolano la prestazione professionale si rinvengono nel codice civile, laddove è fornita la definizione di contratto d’opera, le precisazioni in tema di opera intellettuale e l’indicazione del grado di diligenza richiesta per la corretta realizzazione della prestazione medesima.L’art. 2222 c.c. individua il tratto distintivo del contratto d’opera nell’assunzione dell’obbligo di compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.Gli articoli da 2230 c.c. a 2238 c.c. disciplinano alcuni aspetti peculiari del rapporto professionale, a cominciare dal contenuto dell’obbligazione principale che è quella di fornire una prestazione d’opera intellettuale.L’ articolo 1176 codice civile delinea le corrette modalità di adempimento della prestazione, prevedendo che se nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, nell’adempimento delle obbligazioni professionali inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.Ciò vuol dire che il professionista, nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali inerenti alla propria attività professionale, è tenuto ad una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall'art. 1176, 1º comma, c.c., ma è quella specifica del debitore qualificato, come indicato dal 2º comma dell'art. 1176, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione esercitata, tenendo conto che il progresso della scienza e della tecnica ha notevolmente ridotto, nel campo delle prestazioni specialistiche, l'area della particolare esenzione indicata dall'art. 2236 c.c. (prestazioni di particolare difficoltà).Quindi il professionista risponde delle conseguenze dei propri atti laddove non abbia fatto ricorso alla necessaria - prudenza (scelte tecniche opportune in relazione al caso pratico, anche colpa lieve)- diligenza (attenzione del soggetto qualificato ed esperto nel settore, anche colpa lieve)- perizia (conoscenza dello stato dell’arte nello specifico settore, solo dolo o colpa grave per i casi di particolare difficoltà)

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Questi sono i principi generali regolatori della materia della responsabilità professionale in genere.Apparentemente, quindi, il discorso sembrerebbe avviarsi su binari tranquillizzanti, dal momento che si presume che qualunque professionista – dopo aver completato un percorso di studi specifico ed aver superato un esame di abilitazione e di iscrizione all’albo professionale – naturalmente orienti la sua attività nell’osservanza dei detti principi. Da dove sorge – allora – il profilo di particolare problematicità nella gestione delle vicende di responsabilità professionale e quello della percezione di afflittività che a volte i professionisti lamentano in relazione a questa tipologia di controversie (in particolar modo nell’ambito della responsabilità professionale sanitaria, tanto che sempre più frequentemente si sente parlare di medicina difensiva)?Il problema sorge da un percorso interpretativo dei principi regolatori della responsabilità professionale che è stato intrapreso dalla Suprema Corte di Cassazione, inizialmente con affermazioni e ricostruzioni che sono state adottate in relazione allo specifico settore della responsabilità professionale medica e che stanno – via via – trovando applicazione con riferimento al settore del rapporto professionale in genere.

2. Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato

Come insegna la definizione tradizionale, nelle obbligazioni di mezzi la prestazione dovuta prescinde da un particolare esito positivo dell'attività del debitore, che adempie esattamente ove svolga l'attività richiesta nel modo dovuto. In tali obbligazioni è il comportamento del debitore ad essere in obbligatione, nel senso che la diligenza è tendenzialmente considerata quale criterio determinativo del contenuto del vincolo, con l'ulteriore corollario che il risultato è caratterizzato dall'aleatorietà, perché dipende, oltre che dal comportamento del debitore, da altri fattori esterni oggettivi o soggettivi.Nelle obbligazioni di risultato, invece, ciò che importa è il conseguimento del risultato stesso, essendo indifferente il mezzo utilizzato per raggiungerlo. La diligenza opera solo come parametro, ovvero come criterio di controllo e valutazione del comportamento del debitore: in altri termini, è il risultato cui mira il creditore, e non il comportamento, ad essere direttamente in obbligazioneSotto il profilo dell'onere della prova, la distinzione (talvolta costruita con prevalente attenzione alla responsabilità dei professionisti intellettuali e dei medici in particolare) è stata utilizzata per sostenere che mentre nelle

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obbligazioni di mezzi, essendo aleatorio il risultato, sul creditore (committente) incombe l'onere della prova che il mancato risultato è dipeso da scarsa diligenza, nelle obbligazioni di risultato, invece, sul debitore (professionista) incombe l'onere della prova che il mancato risultato è dipeso da causa a lui non imputabile.Questa tradizionale distinzione risulta ormai superata e ciò anche con specifico riferimento alla prestazione professionale dell’ingegnere, di cui si è occupata la Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 15781/05) approfondendo il problema dell’applicabilità a tale ambito della norma dettata dall’art. 2226 c.c. in tema di contratto d’opera.Tale articolo sancisce che:"L'accettazione espressa o tacita dell'opera da parte del committente libera il prestatore d'opera dalla responsabilità per difformità o per vizi della medesima, se all'atto dell'accettazione questi erano noti al committente o facilmente riconoscibili, purché in questo caso non siano stati dolosamente occultati. Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi occulti al prestatore d'opera entro otto giorni dalla scoperta. L'azione si prescrive entro un anno dalla consegna”. Per giungere a stabilire se la detta disposizione si applica o meno al tema in questione, la Corte ha effettuato un excursus della figura professionale dell’ingegnere, precisando che nella tradizionale giurisprudenza si rinvengono al riguardo pronunce discordanti.Quanto all’obbligazione del progettista, alcune sentenze hanno ritenuto che, sebbene l'obbligazione inerente all'esercizio di un'attività professionale sia generalmente obbligazione di mezzi, in determinate circostanze essa assume la caratteristica dell'obbligazione di risultato, nella quale il professionista si impegna a realizzare un determinato opus; come, appunto, nel caso dell'obbligazione di redigere un progetto d'ingegneria, che ha per oggetto un risultato ben definito e dotato d'una sua autonoma utilità qual è la sua realizzabilità (con conseguente applicabilità dell’art. 2226 c.c.).

Altre sentenze, evidenziato come il precedente orientamento dia luogo, per i progettisti, ad uno snaturamento del rapporto, configurando come di risultato un'obbligazione viceversa ritenuta tipicamente di mezzo per tutte le altre libere professioni, si è, per contro, considerata anche l'obbligazione in esame come di mezzo, appunto, ed il prodotto della prestazione come l'esito d'un lavoro intellettuale oggetto del contratto, che resta un bene immateriale benché si estrinsechi in una cosa la quale, tuttavia, costituisce un mero strumento d'espressione, cioè il corpus mechanicum in cui l'opera

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intellettuale si estrinseca per poter essere utilizzata dal committente (con conseguente inapplicabilità dell’art. 2226 c.c.).Quanto all’obbligazione del direttore dei lavori, partendo dalla premessa che il contratto che ha per oggetto una prestazione d'opera intellettuale (inquadrabile nella categoria del lavoro autonomo) comporta normalmente per il professionista un'obbligazione di "mezzi", detta anche obbligazione di diligenza o di comportamento, la giurisprudenza è costante nel ricondurre l'obbligazione del direttore dei lavori nell'ambito delle obbligazioni di mezzi, con inapplicabilità dell'art. 2226 c.c. ed applicabilità, invece, dell'ordinaria prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.Quanto all’obbligazione del progettista - direttore dei lavori, nel caso di cumulo della funzione di progettista con quella di direttore dei lavori, la giurisprudenza ritiene generalmente che si tratti di obbligazione di "mezzi", con conseguente esclusione dell'applicazione dell'art. 2226 c.c.In realtà questa distinzione non appare più idonea a creare il punto di discrimine e di adeguata regolamentazione della materia, ove si consideri come la commistione tra i sopra detti due concetti sia sempre più incidente nella pratica concreta dell’attività e come – oramai – al professionista venga richiesta sia la prestazione di un comportamento professionalmente diligente sia la realizzazione di un prodotto pienamente utilizzabile.Il professionista deve, quindi, fornire la propria attività con la diligenza qualificata dell’operatore del settore e deve fornire la prova (in caso di contestazioni con il committente) del proprio diligente adempimento e ciò nell’ambito dell’ordinario termine di prescrizione decennale.

3. Conseguenze pratiche dell’evoluzione interpretativa: l’onere della prova e la prescrizione.

a) La sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n.13533/01.

Innanzi tutto, occorre interrogarsi sull’incidenza che, anche nella specifica materia in esame, potrebbe esplicare la pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite, affermativa della ripartizione dell’onere probatorio sulla scorta del cosiddetto principio della “vicinanza della prova”.Recita la citata sentenza: “In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto

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adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento”. Facendo applicazione del citato principio anche alla materia della responsabilità professionale dell’ingegnere, la conseguenza è immediatamente intuibile.Se il committente agisce per la risoluzione del rapporto ed il risarcimento del danno, può limitarsi ad affermare che – conferito l’incarico al professionista – questo è rimasto inadempiuto ovvero non è stato esattamente adempiuto, incombendo al professionista la prova concreta del corretto adempimento.Allo stesso modo, se il professionista agisce per ottenere il pagamento del proprio onorario ed il committente eccepisce l’inadempimento del professionista, incombe a quest’ultimo la prova concreta del proprio corretto adempimento al fine della positiva valutazione della sua domanda di condanna della controparte al pagamento.Il profilo non è di poco momento ove si consideri come la prova del corretto adempimento di una prestazione a contenuto tecnico il più delle volte non può essere fornita al giudice (che non è tecnico della specifica materia) se non attraverso la rilettura e la descrizione dell’attività operata da un ausiliario del giudice (il consulente tecnico d’ufficio), con tutti i connessi problemi costituiti dalla difficoltà di scelta dell’ausiliario, dalla necessità che questi sia dotato di adeguata imparzialità e specifica conoscenza nella particolare materia oggetto di contratto e dalla aleatorietà della rilettura tecnica da parte di un soggetto estraneo all’originaria vicenda.La possibilità di leggere in modo così più rigoroso la materia in esame potrebbe discendere – a maggior ragione – dalla pletora di sentenza pronunciate dalla Suprema Corte in tema di responsabilità sanitaria.

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A questo proposito, il discorso non può prescindere dalla pronuncia adottata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (577/08) secondo la quale “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto o il contatto sociale e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, non è stato eziologicamente rilevante”.

b) la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 581/08.

Abbiamo già detto sopra come la Suprema Corte abbia espressamente escluso che alla prestazione professionale dell’ingegnere possa applicarsi la prescrizione breve prevista dall’art. 2226 c.c., trovando – invece – applicazione l’ordinaria prescrizione decennale.Il problema ulteriore che si pone in relazione a tale aspetto è costituito dall’individuazione del momento di decorrenza di tale termine prescrizionale.Anche in relazione a tale aspetto, la lettura più dirompente risulta formulata dalla Cassazione in relazione ad un caso di prestazione professionale medica, laddove la Corte ha affermato che: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche” (Cass. sez. un. 581/08)Se si giungesse a fare rigorosa applicazione del detto principio alle ipotesi di prestazioni professionali dell’ingegnere, si avrebbe che – fornito un progetto per la realizzazione, ad esempio, di un impianto industriale nel gennaio 2000 (senza ulteriori coinvolgimenti del progettista) e portato avanti un contenzioso decennale con l’impresa appaltatrice (piuttosto che con la società fornitrice di specifiche componentistiche) per dei lamentati malfunzionamenti – qualora nel 2011 dovesse emergere che i difetti lamentati derivano da vizi originali del progetto, il committente avrebbe la possibilità di citare in giudizio il progettista per ottenere il risarcimento del

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danno (con tutte le consequenziali difficoltà di difesa e di prova in relazione ad una vicenda gestita e ritenuta conclusa sin dal decennio precedente).

4. La responsabilità extra contrattuale dell’Ingegnere.

Nel nostro ordinamento vige il generale principio del neminem ledere, ovvero del divieto di arrecare danni a terzi (dolosamente o colpevolmente) nell’espletamento di qualsivoglia atto della vita quotidiana (e, quindi, anche nella realizzazione di un atto di natura professionale).Facendo applicazione del detto principio alla materia della responsabilità professionale dell’ingegnere, appare evidente come le cautele – al fine di prevenire eventi dannosi – che lo stesso deve professionalmente porre in essere per prevenire il verificarsi di eventi dannosi a carico del proprio interlocutore contrattuale abbiano uguale rilievo anche nei confronti di soggetti estranei al detto rapporto contrattuale e che possano essere danneggiati in occasione della sua esecuzione.Così la Suprema Corte ha affermato che:“La natura della responsabilità del direttore dei lavori nominato dal committente o dell' appaltatore - da valutare alla stregua della diligentia quam in concreto in relazione alla competenza professionale dallo stesso esigibile - per un fatto dannoso cagionato ad un terzo dall'esecuzione di essi, è di natura extracontrattuale e perciò può concorrere con quella di costoro se le rispettive azioni o omissioni, costituenti autonomi fatti illeciti, hanno contribuito causalmente a produrlo. In relazione poi al direttore dei lavori dell'appaltatore egli risponde del danno derivato al terzo se ha omesso di impartire le opportune direttive per evitarlo e di assicurarsi della loro osservanza, ovvero di manifestare il proprio dissenso alla prosecuzione dei lavori stessi astenendosi dal continuare a dirigerli in mancanza di adozione delle cautele disposte” (Cass. 15789/03).Il caso pratico di cui la Cassazione si era occupata era relativo alla richiesta di risarcimento danni avanzati dai congiunti di un soggetto deceduto in seguito all’esplosione di una conduttura del gas ed al crollo dello stabile limitrofo a quello ove si stavano svolgendo i lavori.In particolare, il primo dicembre 1992, durante i lavori di demolizione di un fabbricato confinante con la casa dei danneggiati, eseguiti dall'impresa s.n.c. di BBBB, diretti, anche per lo scavo, dal LLLL, il QQQQQ, manovratore della pala meccanica, aveva rotto una conduttura del gas, che l'AAAAA, dipendente dell'Italgas, aveva sigillato, omettendo però di

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accertare se lo strappo avesse danneggiato anche altre parti della conduttura più a monte, e di intervenire dopo che era stato nuovamente chiamato proprio il giorno precedente la tragedia per il persistente e forte odore di gas, che infatti era fuoriuscito per due giorni perché la pala meccanica aveva strappato il tubo di adduzione del gas dalla conduttura principale di distribuzione, finché aveva provocato l'esplosione.Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 18 aprile 1995, riteneva provato che il QQQQQQQQQ tranciò un tubo del gas, mentre eseguiva i lavori commissionatigli da BBBBB, e di cui era direttore LLLLL, e che l'AAAAA, dopo aver chiuso tale tubo resecato, senza ulteriori accertamenti, si rifiutò di intervenire il giorno dopo, malgrado sollecitato per il forte odore di gasPerciò, pur ritenendo che la causa efficiente della fuga di gas fosse stata l'azione del QQQQQ, attribuiva però l'esclusiva responsabilità della deflagrazione alla s.p.a. Italgas, ravvisando nella condotta del suo dipendente, che non aveva eseguito l'intervento con la dovuta prudenza e perizia, non avendo controllato la restante parte della tubazione, e che non era intervenuto, malgrado avvertito del forte odore di gas il giorno precedente l'esplosione, la causa sopravvenuta tale da interrompere il nesso di causalità tra l'azione degli altri convenuti, che si erano attivati nei limiti delle loro possibilità, e l'evento. Conseguentemente condannava la s.p.a. Italgas in via esclusivaCon sentenza del 22 ottobre 1999 la Corte di Appello di Brescia, dichiarava la corresponsabilità nell'evento di QQQQQ, BBBBB e LLLLL sulle seguenti considerazioni:anche LLLLL, progettista e direttore dei lavori del cantiere era da dichiarare responsabile perché ausiliario dell'imprenditore e da questi incaricato, ragion per cui era obbligato a sorvegliare e ad ingerirsi nei lavori commissionati ad altri come il titolare del cantiere, facendo in modo che essi non danneggiassero i terzi, e se era stato BBBBB a dare il via alla demolizione della sua casa, spettava al LLLLL, per la sua competenza tecnica, evitare che l'escavatore rompesse le tubature individuandole e segnalandole, mentre invece egli il primo dicembre non era sul cantiere, non essendosi informato dell'inizio dei lavori, come era suo onere per esercitare il compito assegnatogli, tanto più che l'esistenza dell'impianto di distribuzione del gas ove dovevano esser eseguiti i lavori di scavo faceva presagire il sorgere di situazioni dannose.La Cassazione ha confermato tale decisione precisando che per quanto attiene in particolare al direttore dei lavori dell'appaltatore egli risponde del fatto dannoso verificatosi sia se non si è accorto del pericolo, percepibile in

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base alle norme di perizia e capacità tecnica esigibili nel caso concreto, che sarebbe potuto derivare dall'esecuzione delle opere, sia se ha omesso di impartire le opportune direttive al riguardo nonché di controllarne l'ottemperanza, al contempo manifestando il proprio dissenso alla prosecuzione dei lavori stessi ed astenendosi dal continuare la propria opera di direttore se non venissero adottate le cautele disposte.Pertanto il LLLLL, nominato direttore anche dei lavori di demolizione del fabbricato di proprietà del BBBBB - come emerge dalla narrativa - e perciò dei lavori di scavo e di sbancamento dei materiali sul terreno di proprietà del predetto, e dunque vero e proprio ausiliario e mandatario dello stesso (Cass. 6739/1988) contrariamente a quanto ritiene in ricorso, non aveva soltanto l'obbligo di "alta sorveglianza" della conformità della erigenda costruzione - prevista dopo la demolizione del rudere esistente - al progetto, bensì di sovraintendere all'impostazione generale del cantiere, per conto del suo titolare, e cioè dell'appaltatore BBBBB, e quindi di impedire che l'impresa del QQQQQQ continuasse a scavare e sbancare sotto terra prima che i tecnici dell'Italgas avessero provveduto a staccare dalla conduttura principale del gas tutte le derivazioni interrate. Tale decisione costituisce corretta applicazione del principio secondo il quale se la condotta di un soggetto si inserisce in una preesistente situazione di potenzialità dannosa costituente sviluppo di un processo produttivo di essa avviato dal fatto illecito altrui, non per questo diviene causa esclusiva dell'evento dannoso finale, anche se la condotta successiva, posta in essere per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto antecedente, le ha invece aggravate per negligenza, imprudenza o imperizia. Infatti anche in questo caso, benché sussista la colpa, anche se grave, del soggetto intervenuto successivamente, essa non può tuttavia ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al fatto che ha reso necessario tale intervento, perché l'errore professionale in sè non è del tutto imprevedibile, ma si inserisce nella serie causale originata dall'azione preesistente e ne dipende perché, se manca questa, l'altra non verrebbe neppure ad esistenza. Perciò la mancata eliminazione di una situazione pericolosa, posta in essere dall'agente, ad opera di altra persona, quand' anche destinataria di un obbligo giuridico in tal senso, non rappresenta una distinta ed autonoma causa dell'evento, ma solo una condizione negativa perché quella continui ad esser efficiente ed operanteAd analoga soluzione era pervenuta la Cassazione anche nella precedente pronuncia n. 10719/00.Nel caso oggetto di esame si discuteva della richiesta di risarcimento dei danni avanzata dai congiunti di soggetto deceduto il 10 novembre 1979

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per folgorazione mentre si trovava nell'appartamento abitato dal proprio nucleo familiare, di proprietà della Amministrazione Comunale e facente parte di immobile della costruzione del quale il PPPP era stato progettista e direttore dei lavori.Il Tribunale di tempio Pausania il 18 aprile 1996 pervenne alla condanna dell’Amministrazione Comunale e del Direttore dei Lavori ritenendo che l'evento mortale fosse stato causato dalla mancanza degli impianti di salvaguardia.La pronuncia è stata confermata dalla Corte d’Appello nonché dalla Cassazione in via definitiva.Il Direttore dei Lavori aveva presentato il ricorso in Cassazione contrastando la pronunciata condanna e sostenendo che la mancata realizzazione degli impianti in questione è imputabile direttamente all'appaltatore e solo indirettamente al direttore dei lavori, il quale è legato al committente da un rapporto di prestazione d'opera, risponde solo indirettamente nel caso in cui gli siano addebitabili concrete omissioni eziologicamente collegate al fatto dannoso, e non è tenuto ne' alla continua presenza in cantiere ed alla verifica delle operazioni elementari ne' al collaudo dell'opera per il quale fu nominato un collaudatore. Osserva la Corte che, come i giudici del merito hanno accertato, il contratto d'appalto prevedeva la posa in opera delle cautele in questione (messa a terra dell’impianto), cautele che non furono invece realizzate omissione, questa, che essi hanno ritenuto causa dell'evento mortale.Rileva, altresì, la Corte che non v'è dubbio che di tale omissione debba rispondere, come il ricorrente esattamente osserva, anche ed in primo luogo l'appaltatore l'autonomia del quale non è annullata dal potere di controllo e di vigilanza del direttore dei lavori preposto dal committenteNon è invece esatto che la responsabilità di quest'ultimo escluda od assorba quella del direttore dei lavori: con la responsabilità contrattuale di entrambi nei confronti del committente può infatti concorrere quella aquiliana giacché la prima non sottrae ne' l'uno ne' l'altro dalla osservanza del precetto del neminem laedere, posto a tutela dei terzi dall'art. 2043 c.c.E’ stata, quindi, ribadita la responsabilità del direttore dei lavori per non aver sorvegliato l'effettiva realizzazione di tali impianti, poichè egli - seppur non tenuto, come rettamente osserva ad una continua presenza in cantiere - doveva infatti sorvegliare perché le opere, nei loro aspetti essenziali, venissero realizzate in conformità al progetto ed alle regole tecniche del caso, ne' poteva ritenersi sottratto alla conseguente responsabilità per il fatto che il collaudo dovesse essere poi eseguito da altri, valendo anche al riguardo il principio della equivalenza delle cause,

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posto dall'art. 41 primo comma c.p., in base al quale tutti gli antecedenti, in mancanza dei quali l'evento dannoso non si sarebbe verificato, sono causa efficiente di esso salvo che sia intervenuta una causa prossima idonea da sola a produrlo la quale interrompe il nesso causale a norma del secondo comma dello stesso art. 41

5. La responsabilità concorrente dell’Ingegnere

La sentenza sopra esaminata contiene un inciso di particolare importanza per la valutazione della questione successiva e cioè quello della possibile concorrente responsabilità del professionista (progettista ovvero direttore lavori ovvero entrambi) con quella dell’appaltatore nei confronti del committente.E’, infatti, possibile che la situazione dannosa di cui si lamenta il committente sia casualmente riferibile (per la presenza di distinti e concorrenti inadempimenti) a diversi soggetti legati al committente da differenti rapporti contrattuali (quali, ad esempio, il progettista e direttore lavori e l’appaltatore).In questo caso, il committente ha la possibilità di chiedere il risarcimento del danno patito sia ad entrambi i detti soggetti (i quali risponderanno dell’esito del proprio inadempimento in concorso tra loro ed in misura che potrà essere paritaria – laddove non emerga un differente apporto causale – ovvero diversificata) sia ad uno solo di essi.Così, ad esempio, ho avuto occasione di occuparmi di una controversia di responsabilità professionale nell’ambito della quale il committente aveva citato in giudizio il progettista e direttore lavori per ottenerne la condanna al risarcimento dei molteplici danni lamentati e costituiti dai vizi e difetti riscontrati nell’opera di ristrutturazione del proprio immobile (un importante complesso immobiliare costituito da una villa con giardino e piscina). Il professionista aveva, a sua volta, chiamato in causa tutte le imprese appaltatrici e subappaltatrici (in numero di sette), sostenendone la loro diretta responsabilità per il caso di riscontrati vizi e difetti.Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, il ctu ha escluso l’addebitabilità al convenuto di una serie di aspetti oggetti di doglianza da parte del committente ed ha riscontrato la sussistenza di profili di negligenza professionale in relazione ad alcuni aspetti di carente espletamento dell’attività progettuale (conformazione dei lucernari, mancata previsione di guaina di separazione isolante nella zona box, di adeguata coibentazione in piscina, di soglie rialzate nei serramenti verso l’esterno) nonchè di carente controllo sull’esecuzione delle opere da parte delle imprese

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designate (mancato rilievo in merito alla non conforme esecuzione dei risvolti verticali dell’impermeabilizzazione sulla muratura perimetrale di facciata ovvero sulla mancata posa di prodotti impermeabilizzanti).In relazione a detti ultimi aspetti, deve rilevarsi come non possa aderirsi alle tesi difensive del convenuta secondo le quali la propria responsabilità come direttore lavori insorgerebbe solo nell’ipotesi di collaudo positivo di un’opera in realtà affetta da vizio.Ed infatti, il negligente comportamento professionale può, nella fattispecie, essere ravvisato anche per l’ipotesi di consentita prosecuzione delle opere malgrado la primigenia realizzazione non conforme alle regole dell’arte di un intervento propedeutico ai successivi, che avrebbe dovuto essere immediatamente rilevato e rinnovato, impedendo la prosecuzione dei lavori con estensione del vizio all’opera finita e maggiori difficoltà nel suo successivo ripristino.In relazione agli ulteriori punti trattati dal ctu – e pure riscontrati affetti da vizi – deve, invece, essere esclusa una responsabilità propria del professionista, essendo emerso che il convenuta aveva fornito le corrette indicazioni alla ditta esecutrice quanto all’applicazione del prodotto impermeabilizzante in piscina; che le infiltrazioni nel corridoio di accesso della piscina sono state determinate non da difetti costruttivi ma da comportamenti negligenti di imprese addette all’esecuzione di diverse e successive opere (con probabile rottura della guaina a seguito del passaggio di mezzi pesanti) ed hanno determinato un fenomeno infiltrativo non immediatamente riscontrabile; che analoga valutazione può essere effettuata con riferimento al drenaggio del corridoio della piscina; che le infiltrazioni nel bagno padronale si sono verificate per causa non concretamente accertata e che la normativa in tema di limiti di immissioni rumorose e di provvedimenti da adottare in tema di isolamento acustico trova applicazione nell’ipotesi di unità abitative diverse e non nella diversa ipotesi (qui ricorrente) di unico ed unitario complesso immobiliare.I vizi che in questa sede si sono ritenuti direttamente imputabili a responsabilità del convenuto – per difetto di progettazione ovvero per omesso controllo – sono stati quantificati dal ctu nel complessivo importo di circa 70 mila euro.Peraltro, sin dalla costituzione in giudizio della terza chiamata appaltatrice principale delle opere è stato da detta parte allegato che il committente si è già avvantaggiato – sotto forma di riconoscimento di sconti e di rinuncia a compensi – della complessiva somma di euro 140.000,00.Detta circostanza è stata ritenuta assolutamente rilevante ed incidente sull’odierna determinazione avuto riguardo al fatto che la stessa incide sul

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profilo della stessa attuale esistenza di un qualche profilo di danno risarcibile.Ed infatti, “La responsabilità solidale, a norma dell'art. 2055, primo comma, cod. civ., è volta a rafforzare la garanzia del danneggiato, consentendogli di rivolgersi per l'intero risarcimento a ciascuno dei responsabili, senza doverli perseguire pro quota, ma non incide sull'entità complessiva del risarcimento conseguibile, risarcimento limitato, anche in ipotesi di più responsabili, al danno effettivamente subito, non essendo ammessa alcuna riduzione o duplicazione del risarcimento del medesimo danno al di fuori dell'ipotesi in cui fra i soggetti responsabili sia compreso lo stesso danneggiato (art. 1227, primo comma, cod. civ.,) e dell'ipotesi dell'esistenza di una norma speciale che in deroga ai principi generali ponga a carico di un determinato responsabile il risarcimento di danni non risarcibili in base alle regole generali” (Cass. 12174/04).Da quanto sopra consegue che, considerato che il committente nel presente giudizio non ha prospettato l'esistenza di danni ulteriori e diversi (rispetto a quelli dedotti nelle scritture private inter partes sottoscritte e prodotte al fascicolo della terza chiamata appaltatrice) ma ha solo invocato un nuovo accertamento della entità del danno subito, nel presupposto della non estensibilità, in via automatica, delle refusioni economiche già conseguite da altro soggetto, deve ritenersi che la stessa non possa avere alcun interesse ad agire in giudizio per ottenere l'ulteriore condanna degli altri corresponsabili del lamentato danno, essendo già avvenuta la restaurazione del diritto violato, per la quale ha proposto nuovamente l'azione di condanna.Mancando, quindi, l’attualità del pregiudizio economico (siccome già restaurato in precedenza) deve farsi luogo al rigetto della domanda di condanna dalla stessa proposta nei confronti del convenuto.

6. Casistica della responsabilità nelle pronunce della Suprema Corte

Di seguito alcune pronunce della Corte di Cassazione in casi di lamentata responsabilità professionale dell’ingegnere:In tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente - preponente si aspetta

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di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto"; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e di riferirne al committente; in particolare l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell'opera nelle sua varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. 10728/08).In tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell'opera nelle sua varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati. (Nella specie, relativa a infiltrazioni d'acqua risalenti per capillarità dal sottosuolo, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto la responsabilità del professionista, essendo risultato che il fenomeno derivava da cattiva qualità dei materiali e omessa posa in opera di prodotti impermeabilizzanti, nonostante le previsioni contrattuali). Cass. 4366/06 In tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma,essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare , relativamente all'opera in

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corso di realizzazione, il risultato che il committente - preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto"; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente (Cass. 15255/05). Se dall'edificazione di una costruzione in violazione delle norme sulle distanze legali sia derivato l'obbligo del committente della riduzione in pristino, sussiste il diritto di rivalsa del committente nei confronti del progettista direttore dei lavori, qualora l'irregolare ubicazione della costruzione sia conforme al progetto e non sia stata impedita dal professionista medesimo in sede di esecuzione dei lavori , in quanto il fatto illecito, consistente nella realizzazione di un edificio in violazione delle distanze legali rispetto al fondo del vicino, è legato da un nesso causale con il comportamento del professionista che ha predisposto il progetto e diretto i lavori. (Cass. 1513/03)L'ingegnere, come l'architetto o il geometra, nell'espletamento dell'attività professionale - sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi - è obbligato ad usare la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che l'irrealizzabilità dell'opera, per erroneità o inadeguatezza (anche per colpa lieve) del progetto affidatogli, costituisce inadempimento dell'incarico ed abilita il committente a rifiutare di corrispondere il compenso, avvalendosi dell'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 cod. civ.. (Ipotesi di incarico progettuale conferito ad un ingegnere per la realizzazione di una palestra da parte del Comune e su un preventivo di spesa indicato – di massima – dal professionista in 300 milioni di lire e rivelatosi poi di oltre 800 milioni di lire; affermazione del principio per cui il professionista, per una sua erronea valutazione, aveva indotto il comune a conferirgli l'incarico che altrimenti l'ente non avrebbe deliberato per mancanza di fondi; affermazione dell'impossibilità di realizzare il progetto e dell'inutilità del lavoro svolto dal professionista. (Cass. 11728/02). Poiché l'obbligazione di redigere un progetto di costruzione di un'opera pubblica è di risultato, impegnando il professionista alla prestazione di un

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progetto concretamente utilizzabile, anche dal punto di vista tecnico e giuridico, in presenza di una disciplina normativa che preveda, per la realizzazione di impianti sportivi, il previo parere favorevole del CONI e la necessaria conformità alle disposizioni regolamentari in materia di superamento delle barriere architettoniche, legittimamente l'ente pubblico committente, in base al principio "inadimplenti non est adimplendum", di cui all'art. 1460 cod. civ., rifiuta di corrispondere il compenso al professionista quando costui abbia fornito un progetto in concreto non utilizzabile per i rilievi ostativi formulati dal CONI, evidenzianti la non rispondenza del progetto alle norme tecniche di funzionalità sportiva e alla disciplina, imperativa, volta a rendere accessibile l'impianto anche in favore dei soggetti, atleti e non, diversamente abili. (Cass. 2257/07).

7 - L’azione per il pagamento del compenso professionale

Il professionista che abbia svolto la propria attività senza ottenere il pagamento del compenso (ovvero dell’intero compenso) può agire nei confronti del cliente con un’azione ordinaria ovvero con un decreto ingiuntivo.In entrambi i casi il committente potrà far valere le proprie tesi difensive costituendosi in giudizio e potrà – altresì ove ne ricorrano gli estremi – formulare domanda riconvenzionale per la condanna del professionista al risarcimento dei danni che si allegano essere sopravvenuti per sua colpa.In entrambi i casi il professionista – per andare esente da conseguenze in esito alle contestazioni del committente e per ottenere il pagamento del compenso rivendicato – dovrà fornire la prova di aver ricevuto l’incarico dal soggetto che lui stesso indica come committente, di aver correttamente espletato la prestazione richiesta, di aver conteggiato il compenso dovuto conformemente alle prescrizioni della tariffa professionale ovvero agli accordi intercorsi.La peculiarità del procedimento per decreto ingiuntivo è costituita dal fatto che per la sua positiva valutazione è necessario il provvedimento dell’Ordine Professionale di liquidazione della parcella (cosiddetto visto di conformità); qualora il professionista ottenga il decreto ingiuntivo ed il committente non si opponga nei 40 giorni dalla notifica, il decreto stesso diverrà definitivo (ed il professionista avrà a disposizione un atto con effetti analoghi a quelli di una sentenza di condanna passata in giudicato).

a) l’incarico

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Sarebbe buona norma – ed in alcuni casi (come nei rapporti con la Pubblica Amministrazione) è una assoluta necessità – raccogliere il conferimento di incarico con atto scritto.Il mandato professionale può essere conferito anche in forma verbale, dovendo in tal caso la relativa prova risultare, quantomeno in via presuntiva, da idonei indizi plurimi, precisi e concordanti; ne', sotto altro profilo, la prova dell'attività asseritamente svolta in esecuzione del medesimo può ritenersi assolta mediante la dichiarazione unilaterale dal professionista resa, ai fini dell'emissione del parere di congruità sull'emessa parcella, al Consiglio dell'Ordine, attesa la mancanza in capo a quest'ultimo di alcun potere di accertamento al riguardo. (Cass. 8850/04)Nel contratto di prestazione di opera professionale la qualità di cliente può non coincidere con quella del soggetto a favore del quale l'opera del professionista deve essere svolta, di tal che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un professionista affinché questi presti la propria opera a favore di un terzo, con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente ed il professionista, il quale resta obbligato verso il primo a compiere la prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso. (Cass. 22233/04) I professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all'associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d'opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale. (Cass. 6994/07)Ai fini della conclusione di un contratto d'opera professionale, che, quando ne sia parte la pubblica amministrazione, va redatto, a pena di nullità, in forma scritta, è irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale dell'ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, richiamando ed approvando anche lo schema del disciplinare, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente stesso e dal professionista. Detta deliberazione non costituisce, infatti, una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all'ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell'ente legittimato ad esprimere la volontà all'esterno e carattere meramente autorizzatorio. (Cass. 17695/03)

b) la misura del compenso

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Il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233 cod. civ. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all'art. 36, comma primo, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari (quale, per gli ingegneri, quello contenuto nella legge 5 maggio 1976 n. 340) non importa la nullità, ex art. 1418, comma primo, cod. civ., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale (Cass. 1223/03) Al professionista è consentita la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere nell'"affectio", nella "benevolentia", o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha affermato ricorrere una delle suindicate ipotesi nel caso, concernente la progettazione di uno stabilimento per la macellazione e la lavorazione di carni suine giacché, laddove si fosse verificata la dedotta condizione dell'erogazione del finanziamento da parte di terzi, il professionista avrebbe ricevuto un ulteriore incarico concernente la redazione di un progetto esecutivo e la direzione dei lavori per un "notevole importo", a tale stregua configurandosi pertanto per il medesimo la convenienza ad effettuare la prestazione lavorativa oggetto di causa "a rischio" di gratuità per l'ipotesi del mancato avveramento della condizione ). Cass. 16966/05 Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all'art. 1358 cod. civ., che impone alle parti l'obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione , e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo della condizione mista.(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l'applicabilità dell'art. 1358 cod. civ. ad un contratto di progettazione di un'opera pubblica in cui il professionista aveva accettato di condizionare il diritto al compenso al conseguimento,da parte dell'amministrazione pubblica, del finanziamento dell'opera, ed ha rinviato la causa al giudice di merito affinchè proceda ad un penetrante esame della clausola recante la

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condizione e del comportamento delle parti, al fine di verificare alla stregua degli elementi probatori acquisiti, se corrispondano ad uno standard esigibile di buona fede le iniziative poste in essere dall'ente locale onde ottenere il finanziamento). Cass. S.U. 18450/05

c) il recesso.

L'art. 2237 cod. civ. - nel consentire al cliente di recedere dal contratto di prestazione di opera intellettuale - ammette, in senso solo parzialmente analogo a quanto stabilito dall'art. 2227 cod. civ. per il contratto d'opera, la facoltà di recesso indipendentemente da quello che è stato il comportamento del prestatore d'opera intellettuale, ossia prescindendo dalla presenza o meno di giusti motivi a carico di quest'ultimo. Tale amplissima facoltà - che trova la sua ragion d'essere nel preponderante rilievo attribuito al carattere fiduciario del rapporto nei confronti del cliente - ha come contropartita l'imposizione a carico di quest'ultimo dell'obbligo di rimborsare il prestatore delle spese sostenute e di corrispondergli il compenso per l'opera da lui svolta, mentre nessuna indennità è prevista (a differenza di quanto prescritto dal cit. art. 2227 cod. civ.) per il mancato guadagno. Cass. 14702/07

d) Il foro competente.

La disposizione dettata dall'art. 1469 bis, terzo comma, numero 19, cod. civ.(nel testo vigente "ratione temporis") si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente e salva la prova che la pattuizione sia stata oggetto di specifica trattazione fra le parti; l'applicazione della predetta disciplina non è esclusa dalla natura della prestazione oggetto del contratto, nella specie stipulato dal consumatore per la partecipazione ad un corso organizzato e fornito nella propria attività d'impresa da un istituto di istruzione (da qualificarsi come professionista), restando irrilevanti la sede (istituto d''istruzione statale) o la denominazione quale "tassa" del corrispettivo pattuito, elementi che non mutano la natura privatistica del rapporto. (Cass. 27911/08)Nelle controversie tra consumatore e professionista, ai sensi dell'art. 33, comma 2, lett. U, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (e già dell'art. 1469 bis, terzo comma, cod. civ.) la competenza territoriale esclusiva spetta al

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giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo e si presume vessatoria la clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa. Pertanto, mentre spetta al consumatore, ex art. 34, comma 5, Codice del Consumo, che agisca in giudizio di allegare e provare che il contratto è stato predisposto dal professionista e che le clausole costituenti il contratto corrispondono a quelle vessatorie di cui all'art. 33, comma 2, del citato d.lgs., spetta viceversa al professionista superare tale presunzione, dando prova che la sottoscrizione della clausola derogatrice della competenza ha costituito l'esito di una trattativa individuale, seria ed effettiva, essendo a tal fine insufficiente la mera aggiunta a penna della clausola, nell'ambito di un testo contrattuale dattiloscritto, o la mera approvazione per iscritto della clausola medesima. (Cass. 24262/08)

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IV LA RESPONSABILITÀ NEI CONTRATTI PUBBLICI

1) La responsabilità del progettista in genere.

Esaminiamo, in primo luogo, alcuni casi pratici.A) Tizio citava in Tribunale l'ing. Caio, il costruttore Mevio e l'architetto Sempronio esponendo che per la costruzione di quattro villini aveva affidato la progettazione dei lavori all'ing. Caio, il collaudo all'architetto Sempronio, nominato in corso d'opera e la loro esecuzione a Mevio.L'opera era risultata non commerciabile perchè l'altezza di ciascun piano era di m 2,60 e quindi inferiore di cm. 10 a quella minima prevista dall'art. 3 L. n. 457 del 1978.Chiedevano quindi la risoluzione del contratto, il risarcimento dei danni e la restituzione della somma di 30 milioni versata a Mevio mediante assegno, quale deposito cauzionale.I convenuti resistevano alle domande deducendo, l'ing. Caio, che l'altezza di m. 2,70 per piano, sebbene prevista nel contratto non poteva essere assicurata con millimetrica esattezza.L'architetto Sempronio si giustificava dichiarando di avere eseguito un solo collaudo, risultato positivo, il costruttore Mevio assumeva di avere rispettato gli elaborati progettuali anche se a causa dello spessore degli intonaci del soffitto e del pavimento l'altezza dei piani era risultata inferiore a m. 2,70.Così la Suprema Corte28 risolveva il caso:“La responsabilità del progettista - direttore dei lavori per inadempimento dei suoi obblighi di redazione di un idoneo progetto e di una realizzazione conforme all'incarico ricevuto è concorrente e solidale con quella dell'appaltatore (v. sentt. n. 20294/2004, n. 15124/2001, n. 7180/2000, 11359/2000). A nulla quindi rileva che, a costruzione eseguita, l'altezza di ciascun vano fosse risultata inferiore a m. 2,70 perché l'obbligo dell'ing. Caio era quello di assicurare il rispetto della maggiore altezza di m. 2,70 ad opera compiuta.”B) I signori Bianchi e Rossi convenivano davanti al Tribunale di Piacenza l'ing. Verdi, esponendo che l'incarico commesso al professionista di ristrutturazione, demolizione e progettazione di un complesso edilizio era stato eseguito senza la dovuta diligenza ed in violazione alle vigenti prescrizioni del piano di fabbricazione, tanto da determinare la mancata approvazione del progetto.Chiedevano pertanto la condanna del convenuto al risarcimento del danno,

28 Cass. Civ., Sez. II, 6 marzo 2007, n. 5131.

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consistito nel maggior costo delle costruzioni sopportato dopo il rilascio della concessione a seguito di un successivo progetto e nell'assoggettamento agli oneri previsti dalla legge n.10/77, nel frattempo emanata.Dopo la costituzione del convenuto, che resisteva alla domanda, e dopo l'espletamento di una consulenza tecnica, l'adito giudice rigettava la domanda sul presupposto che non fosse ravvisabile un rapporto eziologico tra gli eventuali errori addebitati dai committenti al professionista ed i danni da loro asseritamente subiti, riguardando, tali danni, solo gli edifici adiacenti al vecchio fabbricato, la cui progettazione, secondo le valutazioni e gli accertamenti del CTU, era stata immune da errori o manchevolezze.Proposta impugnazione da parte degli attori, la Corte d'appello, con sentenza, rigettava il gravame osservando che, sebbene non fosse condivisibile l'assunto del giudice di primo grado circa la relazione causale degli eventuali danni con la parte della progettazione che era risultata immune da errori, tuttavia il giudizio finale circa il difetto di nesso eziologico tra l'operato dell'ingegnere ed il danno subito dal committente non poteva mutare, dipendendo la mancata approvazione del progetto solo da una campagna di stampa promossa dall'associazione Italia Nostra.Inoltre, secondo la corte territoriale, per quanto fosse risultato che il progetto polivolumetrico di ristrutturazione predisposto inizialmente dall'ing. Verdi non fosse esattamente conforme ad alcune norme del piano di fabbricazione del Comune, presentando gli edifici progettati sulla zona di completamento A un'altezza superiore di cm. 15 a quelle prescritta ed essendo stato erroneamente computato nel calcolo del volume un'area scoperta contigua al fabbricato da demolire, tuttavia la commissione edilizia aveva espresso comunque parere favorevole di massima, per cui il professionista aveva predisposto successivamente il progetto esecutivo che presentava le stesse difformità al piano di fabbricazione del piano polivolumetrico da cui derivava, difficoltà che non avevano ostato, peraltro, all'emanazione, da parte del Consiglio comunale, della deliberazione 18-3-77 con cui era stata approvata la convenzione.In definitiva, per la stessa corte, tali difformità non erano di gravità tale da giustificare l'affermazione che l'incarico professionale fosse stato espletato con negligenza.E neppure si poteva ritenere negligente la successiva attività dispiegata dal professionista, allorché, per superare i rilievi sull'eccesso di altezza e di cubatura dei fabbricati mossi dall'amministrazione comunale, posto che aveva proposto una soluzione - asservimento di un'area al di là della costruenda via al Calvario, respinta dall'ente pubblico con ragioni da

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ritenersi pretestuose.La questione veniva affronta dal Giudice di legittimità che affermava29: “Quando il contratto d'opera concerne la redazione di un progetto edilizio destinato all'esecuzione, come nella specie risulta pacifico in sentenza, tra gli obblighi del professionista rientra quello di redigere un progetto conforme, oltre che alle regole tecniche, anche alle norme giuridiche che disciplinano le modalità di edificazione su di un dato territorio, in modo da non compromettere il conseguimento del provvedimento amministrativo che abilita all'esecuzione dell'opera, essendo questa qualità del progetto una delle connotazioni essenziali di un tale contratto di opera professionale; onde gli errori di progettazione concernenti la mancata adeguazione degli edifici previsti alla normativa vigente, compromettendo il rilascio della concessione, non possono che costituire inadempimento caratterizzato da colpa grave e quindi fonte di responsabilità del progettista nei confronti del committente per il danno da questi subito in conseguenza della mancata o comunque ritardata realizzazione dell'opera”I due casi esaminati mettono in luce alcuni aspetti salienti della responsabilità che assume il progettista ove non adempia correttamente alle obbligazioni assunte con il contratto d'opera.La prima decisione del giudice di legittimità evidenzia l'obbligo del risultato. Il professionista doveva garantire che l'opera progettata rispettasse le altezze minime previste dalla legge per gli edifici destinati a civile abitazione.Non un rimando, dunque, alle obligations de moyen, ma un richiamo dell'obbligo di conseguire il risultato.Eppure la stessa Corte di Cassazione (Cass. Civile, sez. II, 08.08.2000, n. 10431) ha precisato che: “le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista assumendo l'incarico si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo”.Regola generale che non vale, però, per il progettista.Il progettista può essere definito come il professionista incaricato di redigere il progetto di un'opera: un impianto, una macchina industriale od un immobile.L'incarico, pur rientrando nella nozione di contratto d'opera professionale,

29 Cass. Civ. , Sez. II, 16 febbraio 1996, n. 1208

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determina, quale obbligazione principale in capo al professionista, il risultato.Ne consegue che il suo inadempimento viene desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile perseguito dal cliente e non, come in genere accade, alla luce dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale ed in particolare il dovere di diligenza (per il quale trova applicazione, la clausola generale fissata dall'art. 1176, secondo comma c.c., che deve essere commisurata alla natura dell'attività esercitata).Dottrina e giurisprudenza sono unanimi nel ritenere che30: “L'obbligazione del professionista incaricato di redigere un progetto può, quindi, essere considerata una obbligazione di risultato tout court ed in questa opinione siamo confortati anche dalla copiosa giurisprudenza della Suprema Corte”.

1.2) Alcune ipotesi specifiche di responsabilità

A) accertamento dei confini e distanzeSi tratta, in genere, di un'obbligazione assunta con la redazione del progetto e che prelude l'attività di progettazione vera e propria: il professionista è responsabile qualora non accerti con esattezza i confini o violi le distanze.In tali casi non potrà essere invocata un'attenuazione della responsabilità poiché non si ritiene che l'accertamento dei confini ed il calcolo delle esatte distanze tra edifici possa implicare la soluzione di problemi di particolare difficoltà.Che accade, pertanto, se a seguito della violazione delle distanze legali, causata dall'errore del progettista, il committente viene condannato a demolire le opere realizzate a distanza inferiore?Il progettista potrà essere chiamato in rivalsa dal committente per il risarcimento del danno.D) la responsabilità concorrente del progettista e dell'appaltatore.La Cassazione civile31 ha affrontato la questione della responsabilità derivante da rovina o gravi vizi e difetti dell'opera realizzata in forza di contratto di appalto, a carico di coloro che abbiano collaborato nella costruzione, relativamente alla fase di progettazione architettonica, a quella di redazione dei calcoli strutturali ed alla direzione dell'esecuzione dell'opera.

30 Musolino, La rasponsabilità del professionista tecnico, Santarcangelo di Romagna 2005, pag. 157.

31 Sez. II, sent. n. 8811 del 30 maggio 2003

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Va ricordato che, secondo l'art. 1669 cod. civ. "Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia"La sentenza ha sottolineato il seguente principio: "In tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità ex art. 1669 cod. civ. per rovina o difetti dell'opera, la natura extracontrattuale di tale responsabilità trova applicazione anche a carico di coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli relativi alla statica dell'edificio, che in quella di direzione dell'esecuzione dell'opera, qualora detta rovina o detti difetti siano ricollegabili a fatto loro imputabile".La conseguenza è che "la chiamata in causa del progettista e/o direttore dei lavori da parte dell'appaltatore, convenuto in giudizio per rispondere, ai sensi dell'art. 1669 cod. civ., dell'esistenza di gravi difetti dell'opera, e la successiva chiamata in causa di chi ha effettuato i calcoli relativi alla struttura e statica dell'immobile da parte del progettista e/o direttore dei lavori, effettuata non solo a fini di garanzia ma anche per rispondere della pretesa dell'attore, comporta, in virtù di quest'ultimo aspetto, che la domanda originaria, anche in mancanza di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, trattandosi di individuare il responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unico".Va ricordato che in materia di procedimento civile, la chiamata in causa del terzo, ai sensi dell'art. 106 cod. proc. civ., può essere disposta perché questi risponda, in luogo del convenuto, oppure sia condannato a rispondere di quanto il convenuto sarà eventualmente tenuto a prestare all'attore: nel primo caso, quando l'affermazione della responsabilità dell'obbligato principale e del garante trovano fondamento negli elementi costitutivi della medesima fattispecie, la garanzia si definisce "propria".Nel secondo caso, quando la responsabilità dell'uno e dell'altro traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diversi, ed è esclusa l'esistenza di ogni legame tra il preteso creditore ed il garante, la garanzia si definisce "impropria", che tale è anche quando il convenuto in giudizio designa un terzo come responsabile di quanto lamentato dall'attore.Con la recente decisione la Suprema Corte inquadra la responsabilità del progettista e del direttore dei lavori nell'ambito della prima categoria,

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trattandosi di soggetti personalmente e direttamente obbligati alla prestazione rivendicata dall'attore, con la conseguenza che la domanda introduttiva del giudizio può ritenersi loro automaticamente estesa se chiamati in giudizio.

1.3) la responsabilità del progettista nei contratti pubblici.

Con riguardo alla figura del progettista, dopo la stipula del contratto, sussiste tra questi e l’Amministrazione appaltante un rapporto di natura privatistica, al quale si applica la disciplina di diritto comune in materia di contratto d’opera professionale.Ovviamente, in relazione alla fase genetica del rapporto, ove è necessaria l'evidenza pubblica, il rapporto tra le parti non sarà paritetico, ma disciplinato da norme di azione (il codice dei contratti pubblici), con la conseguente giurisdizione del Giudice amministrativo.Successivamente, con la sottoscrizione del disciplinare d'incarico (contratto d'opera intellettuale) muta il quadro di riferimento32.La disciplina, sarà, in gran parte, quella di diritto comune.Peraltro, in relazione alla progettazione di lavori pubblici, il codice dei contratti, all'art. 111, prevede l'obbligo in capo al professionista di munirsi di una polizza di responsabilità civile per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza.La giurisprudenza33 è ferma nel ritenere che la responsabilità professionale trascende i limiti contrattuali ed assume la configurazione derivante dal fatto illecito, con la conseguenza che le diverse figure intervenute possono tutte concorrere alla produzione del danno.In tema di lavori pubblici, però, il tema centrale riguarda la giurisdizione. Come rilevato dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza delle Sezioni unite 13 gennaio 2003, n. 340, la pubblica amministrazione deve sottoporre l’elaborato progettuale ad una specifica approvazione.

32 Sulla forma del disciplinare d'incarico si deve porre estrema attenzione all'indirizzo recente della Suprema Corte (Cassazione civile , sez. III, 18 novembre 2008, n. 27406) secondo cui: “Il contratto di prestazione d'opera professionale, stipulato da un ente locale col professionista, è nullo sia quando la delibera di conferimento dell'incarico non è accompagnata dall'attestazione della necessaria copertura finanziaria, sia quando è priva della forma scritta . Di tali due ipotesi di nullità, solo la prima può essere sanata attraverso la ricognizione postuma di debito da parte dell'ente locale, ai sensi dell'art. 24 d.l. 2 marzo 1989 n. 66 (convertito, con modificazioni, nella l. 24 aprile 1989 n. 144), poi seguito dal d.lg. n. 267 del 2000 (art. 191 e 194). La suddetta dichiarazione, per contro, non rileva e non può avere alcuna efficacia sanante ove il contratto stipulato dalla P.A. sia privo della forma scritta.

33 Cass. Civile, 23 maggio 2005, n. 10806.

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Ne consegue che non ricorre inserimento del soggetto nell’organizzazione dell’amministrazione, bensì l’instaurazione di un contratto di natura privatistica.Con riguardo alla responsabilità per danni cagionati all’amministrazione dal progettista, sussiste, pertanto, la giurisdizione del Giudice ordinario. Ma cosa accade allorquando le due figure fan capo ad un unico soggetto?Alla luce di un recente intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è possibile avere un quadro di riferimento.In effetti, con l’ordinanza 20 marzo 2008, n. 7446, la Suprema Corte, in composizione allargata, ribadisce la natura pubblicistica dell’attività posta in essere dal direttore dei lavori, il quale assume la veste di agente della P.A. e deve ritenersi funzionalmente e temporaneamente inserito nel suo apparato organizzativo, operando quale organo tecnico e straordinario della stessa.La Corte ritiene la sussistenza della Giurisdizione della Corte dei Conti, ai sensi dell’art. 52, comma 1, R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, il quale dispone: «I funzionari, impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell'ordine giudiziario e quelli retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni statali ad ordinamento autonomo, che nell'esercizio delle loro funzioni, per azione od omissione imputabili anche a sola colpa o negligenza, cagionino danno allo stato o ad altra amministrazione dalla quale dipendono, sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e modi previsti dalla legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello stato e da leggi speciali».Risolta la prima problematica, residua quella relativa al progettista che svolga anche funzioni di direttore dei lavori.La Corte regolatrice della giurisdizione, accolta la tesi a favore della natura privatistica del rapporto tra il progettista e l’amministrazione di riferimento, rileva come nel caso di riunione degli incarichi, non possa «giungersi alla scissione delle giurisdizioni, affermandosi quella del giudice ordinario per il danno causato nella qualità di progettista e quella del giudice contabile per il danno causato nella qualità di direttore dei lavori».Il ragionamento si fonda essenzialmente sulla constatazione che i due incarichi professionali determinano una complessiva attività professionale; in particolare, l’attività di progettazione anche se si pone come momento antecedente a quella di direzione, può ritenersi in collegamento unitario con la seconda.In effetti: «I doveri di verifica del progetto, propri del direttore dei lavori» osserva il supremo Collegio, «sussistono già durante la progettazione, che

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così continua ad avere una sua autonomia solo ideale ed astratta dalla direzione dei lavori (…)». La Corte però non ritiene sufficiente il cumulo dei due incarichi.Occorre, quale ulteriore requisito, che la domanda risarcitoria proposta dall’Amministrazione «investa la complessiva attività posta in essere dall’unico professionista incaricato».Qualora ricorrano entrambi i requisiti (due incarichi e loro unitarietà), la giurisdizione apparterrà al Giudice Contabile. Si osservi, come riferito, che nell'ambito dei lavori pubblici il progettista deve obbligatoriamente apprestare le garanzie assicurative a copertura della responsabilità professionale.Le conseguenze, rispetto alla giurisdizione non sono di poco conto.Se la giurisdizione è attribuita al Giudice ordinario, l'evidenza è posta sulla natura privatistica della prestazione del progettista, con la conseguente applicazione dei principi di diritto Comune, sia pure integrati dalla normativa pubblicistica in tema di appalti.Di diverso tenore una decisione del Giudice contabile34: «La progettazione anche dopo la l. Merloni 11 febbraio 1994 n. 109, assume rilievo sia per i suoi aspetti tecnici e sia come studio delle caratteristiche funzionali dell'opera, per accertarne la fattibilità e contribuire alle scelte d'investimento; e rientra così, anche se affidata a professionisti privati, nella fase pubblica della programmazione e della procedura per le gare d'appalto. Di conseguenza la responsabilità del progettista per il danno da esso eventualmente causato appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti».Il Giudice contabile darà, dunque, prevalenza agli aspetti pubblicistici e procedimentali35.

1.4) Copertura assicurativa e verifica dei progetti: in particolare la responsabilità nel codice dei contratti.

Come accennato, il codice dei contratti pubblici prevede, all'art. 111, che i

34 Conti reg. Molise, sez. giurisd., 17 dicembre 1999, n. 194.35 Si veda, ad esempio, Conti reg. Marche, sez. giurisd., 07 novembre 2006, n. 803 che

afferma: “In caso di appalto di lavori per la realizzazione di opera pubblica rimasta incompiuta e priva di qualsiasi funzionalità, sussiste la colpa grave del progettista e direttore lavori che abbia attestato la fattibilità dell'opera e l'affidabilità statica del manufatto omettendo di effettuare i relativi sopralluoghi ed eseguire le opportune indagini geognostiche (nella specie, ricognizione tecnica della resistenza della roccia), così da lasciare all'oscuro i politici circa le difficoltà insite nel progetto e la conseguente insufficienza del finanziamento previsto”.

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progettisti, nei contratti relativi a servizi, lavori e forniture, debbano essere muniti, sin dall'approvazione del progetto esecutivo, di una polizza di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento dell'attività, valida per tutta la durata dei lavori e sino alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio.La polizza del progettista o dei progettisti deve coprire, oltre alle nuove spese di progettazione, anche i maggiori costi che la stazione appaltante deve eventualmente sopportare per il caso di varianti resesi necessarie in corso di esecuzione.La presentazione della polizza costituisce condicio sine qua non per il pagamento della parcella professionale.Il codice dei contratti pone in rilevo la verifica di conformità dei progetti alla legge ed ai precedenti livelli di progettazione.In particolare l'art. 112 (Verifica della progettazione prima dell'inizio dei lavori) prevede che: 1. «Nei contratti relativi a lavori, le stazioni appaltanti verificano, nei termini e con le modalità stabiliti nel regolamento, la rispondenza degli elaborati progettuali ai documenti di cui all'articolo 93, commi 1 e 2, e la loro conformità alla normativa vigente. 2. Nei contratti aventi ad oggetto la sola esecuzione dei lavori, la verifica di cui al comma 1 ha luogo prima dell'inizio delle procedure di affidamento. Nei contratti aventi ad oggetto l'esecuzione e la progettazione esecutiva, ovvero l'esecuzione e la progettazione definitiva ed esecutiva, la verifica del progetto preliminare e di quello definitivo redatti a cura della stazione appaltante hanno luogo prima dell'inizio delle procedure di affidamento, e la verifica dei progetti redatti dall'offerente hanno luogo prima dell'inizio dell'esecuzione dei lavori. 3. Al fine di accertare l'unità progettuale, il responsabile del procedimento, nei modi disciplinati dal regolamento, prima dell'approvazione del progetto e in contraddittorio con il progettista, verifica la conformità del progetto esecutivo o definitivo rispettivamente, al progetto definitivo o preliminare. Al contraddittorio partecipa anche il progettista autore del progetto posto a base della gara, che si esprime in ordine a tale conformità».Al regolamento, attualmente non ancora emanato, è demandata la disciplina delle modalità di verifica dei progetti, che dovranno, comunque, attenersi ai seguenti criteri: a) per i lavori di importo pari o superiore a 20 milioni di euro, la verifica deve essere effettuata da organismi di controllo accreditati ai sensi della norma europea UNI CEI EN ISO/IEC 17020; b) per i lavori di importo inferiore a 20 milioni di euro, la verifica può essere effettuata dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti ove il progetto sia stato redatto da progettisti esterni o le stesse stazioni appaltanti

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dispongano di un sistema interno di controllo di qualità, ovvero da altri soggetti autorizzati secondo i criteri stabiliti dal regolamento; Il regolamento potrà prevedere modalità semplificate di verifica dei progetti.Come riferito, attualmente, il regolamento non è ancora in vigore, con la conseguente ultrattività, sino all'approvazione, del regolamento contenuto nel D.P.R. 554/99.Si osservi che la responsabilità del progettista, nell'appalto pubblico di lavori, è tipizzata in relazione a vizi, difetti o carenze progettuali.L'art. 132 del codice dei contratti, relativo alle varianti in corso d'opera, espressamente prevede: «1. Le varianti in corso d'opera possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei lavori, esclusivamente qualora ricorra uno dei seguenti motivi: a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari; b) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento, o per l'intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell'opera o di sue parti e sempre che non alterino l'impostazione progettuale; c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d'opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale; d) nei casi previsti dall'articolo 1664, comma 2, del codice civile; e) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell'opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione all'Osservatorio e al progettista. I titolari di incarichi di progettazione sono responsabili per i danni subiti dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della progettazione di cui al comma 1, lettera e). Nel caso di appalti avente ad oggetto la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori, l'appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d'opera a causa di carenze del progetto esecutivo. I danni subiti dalla P.A. in conseguenza di errori od omissioni del progettista sono, nel sistema delineato dal codice dei contratti pubblici, posti a carico del progettista. Nell'appalto integrato risponderà invece l'appaltatore che potrà, però, rivalersi sul progettista.L'ultimo comma dell'art. 132, contiene la definizione dell’errore o omissione di progettazione: “ai fini del presente articolo si considerano errore o omissione di progettazione l’inadeguata valutazione dello stato di

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fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali”. In questa formula definitoria che ha funzione esaustiva viene riportata – con elasticità di previsione – una norma di chiusura residuale ed onnicomprensiva – “la violazione delle norme di diligenza” – destinata ad essere suscettibile di adattarsi ad una casistica che contempli i diversi casi di errori ed omissioni nella progettazione che potranno verificarsi in concreto.Dunque accanto alla statuizione positiva definitoria degli errori od omissioni del progetto la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati riguarda tutte quelle regole che il progettista deve comunque rispettare e che fanno parte del normale bagaglio tecnico professionale di conoscenza del professionista nel campo.L’approvazione di una variante per errori od omissioni del progetto esecutivo fa nascere la responsabilità del professionista che risponde per intero per i danni subiti dalle stazioni appaltanti.I danni sono individuabili nei costi per riprogettare l’opera, nelle spese necessarie per attuare le varianti, nel maggior tempo necessario per la realizzazione e nella mancata individuazione dell'opera.L’art. 132 del codice va letto, in effetti, alla luce dell'art. 105 del regolamento, commi 2 e 3.

2) La responsabilità del direttore dei lavori.

Il direttore dei lavori è l'alter ego tecnico dell'appaltante: sono a lui affidati poteri di verifica delle prestazioni dell'appaltatore.Sotto il profilo civilistico le sue attribuzioni sono contemplate all'articolo 1665 c.c.:“Il committente, prima di ricevere la consegna, ha diritto di verificare l'opera compiuta. La verifica deve essere fatta dal committente appena l'appaltatore lo mette in condizione di poterla eseguire.Se, nonostante l'invito fattogli dall'appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro un breve termine, l'opera si considera accettata.Se il committente riceve senza riserve la consegna dell'opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica.Salvo diversa pattuizione o uso contrario, l'appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l'opera accettata dal committente”. La responsabilità del direttore dei lavori nell'appalto privato sarà

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necessariamente connessa alla culpa in vigilando: come per ogni altro professionista, il direttore dei lavori, che ha l'alta sorveglianza della costruzione, è inadempiente se contravviene alla diligenza prescritta dall'art. 1176, comma 2 del c.c., che è la normale diligenza con riferimento alla natura dell'attività esercitata, configurabile anche nei casi di colpa lieve36.Ove la soluzione di particolari problemi implichi una speciale difficoltà, per cui sia necessaria una maggiore capacità rispetto a quella media, il professionista risponderà per per dolo o colpa grave, o ai sensi dell'art. 2236 del c.c.Anche se la prestazione del direttore dei lavori si risolve in una obbligazione di risultato, non tutti i difetti dell'opera potranno essere ascrivibili al suo comportamento.La responsabilità si sostanzia nelle omissioni delle verifiche affidategli dal committente.Vigilanza che dovrà restare tale, senza trasformarsi in ingerenza.Occorre, difatti, prestare particolare attenzione ai rapporti con l'appaltatore: la responsabilità del direttore dei lavori, sarà esclusiva, quando la sua attività ha compromesso l'autonomia dell'appaltatore, riducendolo alla figura, evocata dalla giurisprudenza del "nudus minister".Tolta la riferita eccezione, ordinariamente la responsabilità del progettista non esclude quella dell'appaltatore in relazione alla conformità del proprio operato al contratto ed alla tecnica costruttiva secondo le regole dell'arte.Ove il committente abbia affidato al medesimo professionista l'incarico di progettista e direttore dei lavori, le responsabilità si cumulano.Fatti alcuni cenni di carattere generale, si osservi che, la figura del direttore dei lavori nell'ambito dell'appalto pubblico di lavori è assai peculiare.In particolare, il direttore dei lavori è considerato quale soggetto dotato di poteri autoritativi nei confronti dell’appaltatore, ma al contempo sottoposto alle direttive della stazione appaltante per il tramite del responsabile unico del procedimento.La disciplina civilistica sul contratto d'opera professionale è integrata dalla pervasiva norma pubblicistica, in base alla quale, il direttore dei lavori è

36 Sulla portata della diligenza si veda, in relazione all'incarico di direttore di lavori, Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2006, n. 12995 che incidentalmente afferma un obbligo di diligenza è ancora più rigoroso rispetto all'appaltatore “essendo il direttore dei lavori tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi”.

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considerato organo tecnico straordinario dell’amministrazione, inserito temporaneamente nel suo apparato tecnico-organizzativo.Sul punto, la giurisprudenza di legittimità37 ha evidenziato come «(…) al direttore dei lavori sono affidati compiti di attiva vigilanza, per conto della p.a. committente, in tutta la fase esecutiva dell'opera, compiti di ingerenza fattiva dell'amministrazione stessa per la corretta gestione delle opere appaltate e di tramite per la continuativa cooperazione cui la stazione appaltante resta tenuta».Del resto il direttore dei lavori è figura necessariamente prevista e dettagliatamente disciplinata dalla normativa pubblicistica.Attualmente il codice dei contratti, all'art. 130, intitolato alla Direzione dei lavori (riprendendo l'art. 27, legge n. 109/1994) afferma: “1. Per l'esecuzione di lavori pubblici oggetto del presente codice affidati in appalto, le amministrazioni aggiudicatrici sono obbligate ad istituire un ufficio di direzione dei lavori costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da assistenti. 2. Qualora le amministrazioni aggiudicatrici non possano espletare, nei casi di cui all'articolo 90, comma 6, l'attività di direzione dei lavori, essa è affidata nell'ordine ai seguenti soggetti: a) altre amministrazioni pubbliche, previa apposita intesa o convenzione di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; b) il progettista incaricato ai sensi dell'articolo 90, comma 6; c) altri soggetti scelti con le procedure previste dal presente codice per l'affidamento degli incarichi di progettazione”.Il regolamento, attualmente vigente, all'art. 124, oltre alla definizione, elenca le attività a lui affidate: “Il direttore dei lavori cura che i lavori cui è preposto siano eseguiti a regola d'arte ed in conformità al progetto e al contratto. 2. Il direttore dei lavori ha la responsabilità del coordinamento e della supervisione dell'attività di tutto l'ufficio di direzione dei lavori, ed interloquisce in via esclusiva con l'appaltatore in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto. 3. Il direttore dei lavori ha la specifica responsabilità dell'accettazione dei materiali, sulla base anche del controllo quantitativo e qualitativo degli accertamenti ufficiali delle caratteristiche meccaniche di questi così come previsto dall'art. 3, comma 2, della legge 5 novembre 1971, n. 1086, ed in aderenza alle disposizioni delle norme tecniche di cui all'art. 21 della predetta legge. 4. Al direttore dei lavori fanno carico tutte le attività ed i compiti allo stesso espressamente demandati dalla legge o dal presente regolamento nonchè: a) verificare periodicamente il possesso e la regolarità da parte

37 Cass. Civ., Sez. Un., 5 aprile 1993, n. 4060.

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dell'appaltatore della documentazione prevista dalle leggi vigenti in materia di obblighi nei confronti dei dipendenti; b) curare la costante verifica di validità del programma di manutenzione, dei manuali d'uso e dei manuali di manutenzione, modificandone e aggiornandone i contenuti a lavori ultimati.”Si tratta, con tutta evidenza, di un'attività complessa, per la quale è necessaria una costante e continuativa diligenza, dovendo i compiti spaziare dall'esecuzione che risulti conforme al progetto ed alle regole dell'arte, all'accettazione dei materiale ed alla verifica della regolarità della documentazione apprestata dall'appaltatore in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.Come anticipato trattando del progettista, spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulla controversia relativa alla responsabilità patrimoniale, nei confronti di un'amministrazione del direttore dei lavori38 in quanto soggetto temporaneamente inserito nell'apparato organizzativo della P.A., quale organo tecnico e straordinario.Vediamo allora alcune decisioni del Giudice contabile sul punto.Secondo Corte Conti, sez. I, 10 marzo 2008, n. 130: «Non sussiste colpa grave del direttore dei lavori per ritardo nella redazione della perizia di variante e suppletiva quando vi sia stato un suo trasferimento a meno di due anni dalla sospensione dei lavori e risulti la sua attività di reperimento dei dati tecnici necessari e di predisposizione degli elaborati tecnici, utilizzati dal suo successore per redigere in pochi mesi la richiesta perizia».Quanto ai vizi ex art. 1669 (gravi vizi e difetti strutturali), Corte Conti sez. II, 20 giugno 2007, n. 209, ha affermato che: «sussiste la responsabilità del direttore dei lavori per i danni conseguenti ai gravi difetti strutturali di un'opera pubblica, dovendo ritenersi connotato da colpa grave il comportamento assunto durante l'esecuzione dell'opera dal professionista il quale, pur essendo a conoscenza della progettazione del tutto carente, per avervi partecipato, ha altresì omesso qualunque controllo sulla esecuzione a regola d'arte dell'immobile». L'attività del direttore dei lavori svolta per conto del committente si concretizza nella sorveglianza delle opere, che - pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere, né il compimento di operazioni di natura elementare - comporta il controllo della realizzazione dei lavori nelle sue varie fasi e, pertanto, l'obbligo del professionista di vagliarne l'esecuzione, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli

38 Ex multis Cassazione civile , sez. un., 20 marzo 2008, n. 7446

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organi tecnici dell'impresa, da attuarsi, in relazione a ciascuna di tali fasi, verificando se sono state osservate le regole d'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati.Secondo C.Conti reg. Molise, sez. giurisd., 27 ottobre 2004, n. 13: «Va affermata la responsabilità del direttore dei lavori che, con evidente negligenza e grossolana imperizia nell'esercizio della sua funzione, abbia omesso di effettuare i dovuti controlli sull'esecuzione delle opere appaltate dalla p.a., non evidenziando che negli atti di contabilità ufficiale dei lavori da lui sottoscritti le quantità dei materiali poste in opera erano state indicate in entità superiori a quelle effettivamente impiegate. L'attività del direttore dei lavori svolta per conto del committente si concreta nella sorveglianza delle opere, che - pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare - comporta il controllo della realizzazione dei lavori nelle sue varie fasi e, pertanto, l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole d'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati».

3) Il responsabile unico del procedimento.

Nel codice dei contratti pubblici è prevista la figura del responsabile del procedimento, con un richiamo alla figura introdotta dalla L. 241/1990.L’art. 10, comma 1, prevede che “Per ogni singolo intervento da realizzarsimediante un contratto pubblico, le amministrazioni aggiudicatrici nominano, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, un responsabile del procedimento, unico per le fasi della progettazione, dell’affidamento, dell’esecuzione”.Peraltro il codice dei contratti pubblici non innova rispetto alla disciplina previgente, posto che l’art. 7 della Legge Quadro n. 109/1994, aveva previsto la presenza di un soggetto, emanazione della stazione appaltante, che selezionava la procedura di gara, escludeva i concorrenti ed intervenuta l'aggiudicazione, dialogava con l'appaltatore e con il direttore dei lavori.In particolare, il citato art. 7 stabiliva l’obbligo di nominare il responsabile soltanto per “i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a)” e, segnatamente, per “le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, agli enti pubblici, compresi quelli economici, agli enti ed alle amministrazioni locali, alle loro associazioni e consorzi nonché agli altri

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organismi di diritto pubblico”.Il codice, quindi, ha confermato una figura già conosciuta nell’ordinamento in materia di lavori pubblici, estendendo, però, la relativa disciplina anche al settore dei servizi e delle forniture.

La sostanziale coincidenza tra R.U.P. in materia di procedure ad evidenza pubblica ed il responsabile del procedimento disciplinato dalla L. 241/1990 (disciplina, peraltro, richiamata) determina, quale onere a carico delle P.A. Di “determinare per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale” (art. 4, comma 1, legge 241/90).Al responsabile del procedimento sono dunque attribuiti compiti di istruzione, trattazione ed adozione del provvedimento amministrativo nello specifico settore dei lavori pubblici.Il consiglio di Stato ha affermato39: “Dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 415 del 1998, che ha soppresso la figura del coordinatore unico introdotta dalla l. n. 109 del 1994, il responsabile del procedimento è la figura centrale del nuovo sistema di realizzazione dei lavori pubblici, presentandosi come il centro unitario di imputazione delle funzioni di scelta, controllo e vigilanza: ad esso sono stati attribuiti i compiti di un vero e proprio "project manager", sull'esempio di un modulo organizzativo molto diffuso all'estero”. L’art. 5 della legge n. 241/1990, nella sua attuale versione, stabilisce che “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale”.In sostanza il RUP, assumendo le funzioni procedimentali (e provvedimentali) in materia di appalto, svolge una funzione amministrativa nella materia, senza assumere autonomi poteri di spesa o decisionali diverse rispetto al responsabile individuato nella legge generale sul procedimento amministrativo: le peculiarità sono legate alla disciplina speciale degli appalti.Pertanto il RUP, come ogni pubblico impiegato, è responsabile ai sensi dell’art. 28 Cost. e della L. 86/1990 (in tema di rifiuto ed omissione di atti d’ufficio). Il provvedimento di nomina del RUP rientra, come riferito, nella competenza del dirigente dell’unità organizzativa responsabile della

39 Consiglio St. Atti norm., 25 ottobre 2004, n. 8301

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procedura. In difetto di tale provvedimento, il ruolo viene assunto dal dirigente.L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha chiarito che “l’attività svolta dal responsabile del procedimento, in sé considerata, non ha carattere di funzione dirigenziale”.L’art. 7, comma 1, D.P.R. 554/1999, prevede che il RUP sia “nominato dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del proprio organico, prima della fase di predisposizione del progetto preliminare da inserire nell’elenco annuale (di programmazione dei lavori pubblici)” L’art. 8 della L. 241/1990 prescrive che, nel medesimo provvedimento con cui è data notizia dell’avvio del procedimento, debbano essere indicati tanto l’ufficio quanto la persona responsabile del procedimento.Nel più specifico ambito dei contratti pubblici, poi, l’art. 10, comma 8, D.Lgs. 163/2006, prescrive chiaramente che “Il nominativo del responsabile del procedimento è indicato nel bando o avviso con cui si indice la gara per l’affidamento del contratto di lavori, servizi, forniture, ovvero, nelle procedure in cui non vi sia bando o avviso con cui si indice la gara, nell’invito a presentare un’offerta”.Secondo la consolidata per giurisprudenza40, l’omessa indicazione del nominativo del responsabile di un procedimento amministrativo era considerata una mera irregolarità, non suscettibile di determinare l’illegittimità dell’atto e rilevante ai soli fini dell’eventuale responsabilità disciplinare del funzionario agente che ha omesso di comunicare il nominativo.Attualmente l'art. dell’art. 21 octies, comma 2, L. 241/1990, esclude che l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento (avviso contenente peraltro l’indicazione del RUP) renda automaticamente annullabile il provvedimento amministrativo finale.I requisiti di professionalità richiesti al RUP sono delineati dall’art. 10 del codice. In particolare è necessario un “titolo di studio e competenza adeguati ai compiti per cui è nominato”.L’individuazione puntuale dei requisiti sono riservati al regolamento di attuazione del codice.In attesa dell’emanazione del citato regolamento, continuano ad operare (per il solo ambito dei lavori pubblici) le disposizioni contenute nel D.P.R.

40 Da ultimo: Consiglio Stato, sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2910: “La mancata nomina del responsabile del procedimento non determina alcuna illegittimità viziante, in quanto la legge prevede che nel caso di omessa nomina le relative responsabilità restano intestate al titolare dell'ufficio di riferimento”.

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554/1999.In particolare, ai sensi dell’art. 7, D.P.R. 554/1999, il RUP viene “nominato dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito del proprio organico” e dev’essere “un tecnico in possesso di titolo di studio adeguato alla natura dell’intervento da realizzare” oltre che “abilitato all’esercizio della professione” ovvero “un funzionario con idonea professionalità e con anzianità di servizio non inferiore a cinque anni”.Il requisito della professionalità tecnica, nella materia degli appalti di lavori, esclude che possa essere attribuita la funzione di R.U.P. a colui che non possiede un'idoena qualifica professionale.L’art. 10 del codice fornisce un’elencazione generale ed esemplificativa dei compiti attribuiti al RUP.In particolare“il responsabile del procedimento svolge tutti i compiti relativi alle procedure di affidamento previste dal presente codice, ivi compresi gli affidamenti in economia, e alla vigilanza sulla corretta esecuzione dei contratti, che non siano specificamente attribuiti ad altri organi o soggetti” .Vengono, in sostanza, riprodotti i compiti già previsti dall’art. 7, comma 3 L. 109/94, con un rimando al regolamento.In attesa della sua emanazione, vale quanto previsto dal D.P.R. 554/99. Si tratta, in sostanza di compiti di tipo istruttorio, con la presenza di attività d’impulso e coordinamento; funzioni di comunicazione con i terzi coinvolti nelle varie fasi del procedimento; funzioni decisorie endoprocedimentali o comunque finalizzate all’adozione del provvedimento finale.Nell’affrontare il tema della responsabilità, si deve, in primo luogo, richiamare il principio di cui all’art. 28 Cost., in base al quale: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi civili, penali ed amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato ed agli enti pubblici”.I dipendenti della P.A. sono responsabili per i danni cagionati solo nei casi di dolo o colpa grave, con conseguente esclusione dell’imputabilità per la colpa lieve.Per i danni causati dal dipendenti nell'esercizio delle sue funzioni, in conseguenza dell'immedesimazione organica41, risponde, nei confronti dei

41 In punto vedi Cassazione civile, sez. III, 08 ottobre 2007, n. 20986: “la riferibilità all'amministrazione del comportamento (...) presuppone che l'attività posta in essere dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell'attività dell'ente pubblico, e cioè tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo

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terzi, la P.A. che potrà poi rivalersi sul dipendente in sede contabile. Nel nostro ordinamento vi sono specifiche ipotesi di responsabilità del pubblico dipendente ove si esclude la riconducibilità all'Ente.Ad esempio l’art. 191, comma 4, D.Lgs. 267/00 (ordinamento delle autonomie locali), prevede che qualora venga ordinata una spesa di beni e servizi senza il regolare impegno registrato sul capitolo di bilancio o senza l’apposizione da parte dell’ufficio ragioneria dell’attestazione di copertura finanziaria: “il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconoscibile ai sensi dell’art. 194, comma 1°, lett. e), tra il privato fornitore e l’amministrazione, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura. Per le esecuzioni reiterate o continuative detto effetto si estende a coloro che hanno reso possibile le singole prestazioni”.Anche l’art. 3, comma 6, lett. b) della L. 109/1994 prevedeva sanzioni a carico del RUP, rimandando al regolamento.L’art. 8, del regolamento ha stabilito che “Il responsabile del procedimento che violi gli obblighi posti a suo carico dalla legge e dal presente regolamento o che non svolga i compiti assegnati con la dovuta diligenza è escluso dalla ripartizione dell’incentivo posto dall’art. 18 della legge relativamente all’intervento affidatogli, ed è tenuto a risarcire i danni derivati alla amministrazione aggiudicatrice in conseguenza del suo comportamento, ferme restando le responsabilità disciplinari previste dall’ordinamento di appartenenza”.Si riportano alcune decisioni del Giudice contabile, relativamente alla responsabilità del RUP.Il primo caso riguarda la mancata escussione della polizza fideiussioria. La Corte dei Conti ha affermato42: «La garanzia fideiussoria, prevista dall'art. 30 l. 11 febbraio 1994 n. 109, appare automaticamente destinata a ristorare il pregiudizio economico subito dall'ente appaltante per il mancato o inesatto adempimento della prestazione dell'appaltatore; si connota pertanto come gravemente colposo e causa di danno erariale il comportamento del capo dell'ufficio tecnico del Comune, nonché responsabile del procedimento il quale, pur essendo perfettamente in

nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto. Tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all'amministrazione - o addirittura contrario ai fini che essa persegue - ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell'agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico fra l'attività del dipendente e la p.a”.

42 Corte Conti , sez. III, 30 ottobre 2007, n. 369

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grado, per la sua qualificazione professionale, di valutare in maniera corretta la disciplina di settore, abbia omesso di incamerare la fideiussione nonostante I' inadempienza degli obblighi contrattuali assunti dall'appaltatore». In relazione ad una variante contrattuale è stata affermato43 che sono responsabili: «il capo dell'ufficio legale, il responsabile del procedimento e il direttore dei lavori in un contratto di appalto di lavori di un tratto autostradale per aver redatto ed approvato una perizia di variante di lavori, a seguito della quale la ditta avrebbe iscritto riserve poi confluite in un accordo bonario che ha consentito alla ditta di scaricare l'onere della tangente pagata ad una cosca mafiosa; nella specie la colpa grave dei funzionari è riferibile all'accoglimento di riserve presentate dalla ditta appaltatrice totalmente infondate, nonché nell'aver ritenuto che la riduzione delle opere a corpo, operata con la perizia, non superando la soglia del 5% del complessivo importo contrattuale non dava luogo a riduzione del compenso dell'appaltatore».

4) Funzioni e responsabilità del collaudatore.

Il collaudatore svolge un importante funzione di verifica e certificazione dell'opera realizzata sia in ambito privatistico che pubblicistico.Il TUdell'edilizia (D.P.R. 380/2001), in particolare prevede, all'art. 67, che “Tutte le costruzioni di cui all’articolo 53, comma 1, la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità devono essere sottoposte a collaudo statico. 2. Il collaudo deve essere eseguito da un ingegnere o da un architetto, iscritto all’albo da almeno dieci anni, che non sia intervenuto in alcun modo nella progettazione, direzione, esecuzione dell’opera. 3. Contestualmente alla denuncia prevista dall’articolo 65, il direttore dei lavori è tenuto a presentare presso lo sportello unico l’atto di nomina del collaudatore scelto dal committente e la contestuale dichiarazione di accettazione dell’incarico, corredati da certificazione attestante le condizioni di cui al comma 2”. La norma è un richiamo della legge 5 novembre 1971, n. 1086, articoli 7 e 8.Il collaudo può anche essere parziale o in corso d'opera laddove vi siano particolari complessità di ordine tecnico e non sia possibile ispezionare e collaudare la struttura ad opera eseguita.Si osservi che il certificato di collaudo è condizione per il conseguimento dell'agibilità dell'immobile.

43 C.Conti reg. Lazio, sez. giurisd., 22 febbraio 2007, n. 180

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Il collaudo, nella specifica accezione delineata dal TU dell'edilizia, è l'espressione di un giudizio sulla funzione statica delle strutture portanti dell'edificio, a prescinde dai materiali impiegati e dal sistema costruttivo adottato.Esso si estende anche alla verifica amministrativa per accertare il rispetto delle norme tecniche sulle costruzione, volte a tutelare la pubblica incolumità.Dovranno quindi essere verificati i certificati sulle prove dei materiali impiegati: inoltre il collaudatore potrà richiedere ogni approfondimento, esperimento o studio utile al giudizio sulla collaudabilità della struttura, comprese le prove di carico per le quali il direttore dei lavori è chiamato a darvi concreta attuazione.Laddove il costruttore non consegni la certificazione prescritta per gli accertamenti amministrativi, il collaudatore, dopo aver formalmente invitato il costruttore ed il direttore dei lavori ad esibire la certificazione di conformità dei materiali alle NTC, potrà esprimere un giudizio negativo sulla verifica compiuta, non avendo la disponibilità degli elementi necessari per esprimere il giudizio complessivo sulla funzionalità della struttura. Nell'appalto di lavori il collaudatore assume una funzione più ampia, non limitata alle strutture portanti, ma estesa alla funzionalità dell'opera.L'art. 141 del codice dei contratti rimanda la disciplina di dettaglio al regolamento, allo stato, in attesa di emanazione (il rimando è dunque al vecchio D.P.R. 554/99).In ogni caso la norma chiarisce che per le operazioni di collaudo possono essere nominati da uno a tre tecnici di elevata e specifica qualificazione riferita al tipo di lavori, alla loro complessità ed al loro all'importo. Salva la carenza di organico, accertata e certificata dal responsabile del procedimento, devono essere nominati tecnici interni. Il collaudatore o i componenti della commissione di collaudo non devono avere svolto funzioni autorizzative, di controllo, di progettazione, di direzione, di vigilanza e di esecuzione dei lavori sottoposti al collaudo.Nell'ultimo triennio i soggetti nominati non devono, inoltre, aver avuto rapporti di lavoro o di consulenza con il soggetto che ha eseguito i lavori.L'articolo in esame prevede inoltre quando deve essere disposto il collaudo in corso d'opera.Per la definizione del collaudo occorre però riferirsi all'art. 187 del regolamento (D.P.R. 554/99): “Il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che l'opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d'arte e secondo le disposizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto,

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delle varianti e dei conseguenti atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati. Il collaudo ha altresì lo scopo di verificare che i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti giustificativi corrispondono fra loro e con le risultanze di fatto, non solo per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiali, dei componenti e delle provviste, e che le procedure espropriative poste a carico dell'appaltatore siano state espletate tempestivamente e diligentemente. Il collaudo comprende altresì tutte le verifiche tecniche previste dalle leggi di settore”.Il regolamento prevede l'estensione del collaudo alle riserve eventualmente iscritte dall'appaltatore nel registro di contabilità.Il responsabile del procedimento ha l'obbligo di fornire al collaudatore tutta la documentazione tecnica e contabile.Spetta invece all'appaltatore, a propria cura e spesa, mettere a disposizione del collaudatore le maestranze ed i mezzi d'opera necessari ad eseguire le operazioni di riscontro, le esplorazioni, gli scandagli, gli esperimenti, compreso quanto necessario al collaudo statico, provvedendo, successivamente, all'eventuale ripristino.Se appaltatore non ottempera alle richieste, il collaudatore può disporre che si provveda d'ufficio con la spesa conseguente a carico del residuo credito dell'appaltatore.Il regolamento disciplina nel dettaglio le modalità procedurali.Per il collaudatore dell'opera pubblica si ripropone il tema della giurisdizione che, secondo la giurisprudenza concolidata è attribuita al Giudice contabile44 proprio: «In considerazione dei compiti e delle funzioni loro devolute, comportanti l'esercizio di poteri autoritativi nei confronti dell'appaltatore e l'assunzione della veste di agente dell'amministrazione”, con la conseguenza che i collaudatori “devono ritenersi funzionalmente e temporaneamente inseriti nell'apparato organizzativo della p.a. che ha conferito loro l'incarico, quali organi tecnici e straordinari della stessa».La responsabilità del collaudatore sarà di tipo omissivo e ove accertata essa darà luogo al risarcimento del danno ingiusto, ragguagliato al maggior prezzo versato dalla stazione appaltante.Anche la difformità rispetto al progetto darà luogo ad un'ipotesi di responsabilità45.

44 C.Conti reg. Marche, sez. giurisd., 29 marzo 2001, n. 82. Si veda anche C.Conti reg. Sicilia, sez. giurisd., 10 marzo 2008, n. 786.

45 Sent. Cit.: “Deve essere affermata la responsabilità amministrativa del collaudatore di un'opera pubblica realizzata in difformità dal progetto”

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6) La responsabilità in tema di sicurezza nei cantieri. Cenni.

Il testo unico in materia di sicurezza nei luoghi di lavori (D.Lgs n. 81/2008) non costituisce esclusivamente la consolidazione, in unico testo normativo, della legislazione in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.In realtà esso contiene una serie di novità rispetto alla legislazione previgente. Del resto la procedura d'infrazione, avviata nei confronti dell'Italia per il mancato recepimento della direttiva 92/57/CE, imponeva nuove misure per la tutela della salute e della sicurezza nei cantieri temporanei o mobili.Tra le novità si registrano, in particolare, l’identificazione dei soggetti che possono assumere la delega di responsabile dei lavori, le ipotesi di designazione dei coordinatori per la sicurezza, la definizione dei requisiti tecnici professionali delle imprese e dei lavoratori autonomi e l'affermazione del ruolo centrale affidato all’appaltatore nella gestione della sicurezza nei cantieri.Inoltre sono stati ridefiniti i contenuti del piano di sicurezza e coordinamento (maggiormente orientato verso la “progettazione” della sicurezza rispetto alla valutazione dei rischi delle imprese) e specificati i contenuti minimi del fascicolo.La norma disciplina, inoltre, le ipotesi in cui il committente o il responsabile dei lavori deve designare i coordinatori per la sicurezza.Nella normativa previgente l’obbligo riguardava i casi in cui, nel cantiere, si prevedeva la presenza di una pluralità di imprese, anche non contemporaneamente, ed il volume dei lavori era stimabile in almeno 200 uomini/giorno, ovvero l’esecuzione di lavorazioni presentavano rischi specifici.Ad integrale recepimento della citata direttiva comunitaria, che prevede la designazione di uno o più coordinatori per la sicurezza per ogni cantiere in cui sono presenti più imprese, l'articolo 90 del D.Lgs. 81/2008, dispone che nei: “cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di coincidenza con l'impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all'affidamento dell'incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione e, prima dell'affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti”.Tale disposizione non si applica nel caso di lavori appaltati da privati, ove il Legislatore nazionale rende obbligatoria la designazione del coordinatore per la progettazione solo nei casi in cui l’intervento richieda il permesso di costruire, mentre negli altri casi è il coordinatore per l’esecuzione che, ai

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sensi del combinato disposto dall’articolo 90, comma 11 e 92, comma 2, elabora (a posteriori) il piano di sicurezza e coordinamento ed il fascicolo (ove richiesto). Molti dubbi interpretativi sono sorti in relazione alla nomina del responsabile dei lavori, riservata al committente ed alla designazione del coordinatore per l'esecuzione dei lavori.In effetti la novella legislativa, identificando il responsabile dei lavori nel responsabile del procedimento, per quanto concerne il settore dei lavori pubblici e nel progettista e direttore dei lavori, rispettivamente nella fase di progettazione e nella fase dell’esecuzione dei lavori, nel settore dei lavori affidati da privati, induce a ritenere operante una sorta di automatismo nella designazione. In realtà, una lettura sistematica del dettato normativo conduce a conclusioni diverse.L’articolo 89, comma 1, lettera c), infatti, definisce il responsabile dei lavori come il soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dalla legge medesima; nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il responsabile dei lavori è il responsabile del procedimento.Il successivo articolo 90, intitolato agli obblighi del committente o del responsabile dei lavori, lascia intendere, con la disgiunzione, che gli obblighi sono posti a carico dell’uno o dell’altro soggetto, ove incaricato.L'art. 90, al quarto comma, prevede che sia il responsabile dei lavori a designare il coordinatore dei lavori per l'esecuzione.L’articolo 93, relativo alle responsabilità del committente e del responsabile dei lavori, chiarisce che il primo è esente da responsabilità connesse all'adempimento degli obblighi nei limiti dell'incarico conferito al secondo.Evidentemente la peculiarità della figura del responsabile dei lavori, nel settore privato, non ammette assimilazioni, posto che presuppone la delega46 del committente (art. 89, lett. c): conseguentemente l'incarico può

46 Sulla portata della delega e sulla sua estenzione si veda Cassazione penale, sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 20395: “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve allestire le misure di sicurezza idonee. La presenza nel cantiere di un preposto (nella specie, trattavasi del capo squadra), salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri e autonomia decisionale, e di una sua particolare competenza, non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico soltanto il dovere di vigilare a che i lavoratori osservino le misure di sicurezza in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri.

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essere affidato anche ad un soggetto diverso dal progettista e dal direttore dei lavori.Nell'ambito dei lavori pubblici, con l'ultimo intervento correttivo (art. 90, lett.b), comma 1 bis) è ora reso esplicito che: “l’attuazione di quanto previsto al comma 1 avviene nel rispetto dei compiti attribuiti al responsabile del procedimento e al progettista”.Con la conseguenza che gli obblighi del committente e responsabile dei lavori sono assunti dal responsabile del procedimento e dal progettista.Nell'ambito dei lavori pubblici la questione si complicata in merito alla designazione del coordinatore per l'esecuzione in quanto l'art. 127 del D.P.R. 554/99 che statuisce: “Le funzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori previsti dalla vigente normativa sulla sicurezza nei cantieri sono svolte dal direttore lavori”.Conseguentemente anche la figura del coordinatore sarebbe assimilabile, sic et simpliciter, al direttore dei lavori.In realtà non solo il regolamento (peraltro antecedente al TU) chiarisce che il responsabile del procedimento provvede alla designazione del coordinatore per l'esecuzione (art. 8, comma, lett c), contraddicendo l'interpretazione sull'automatismo, ma prevede anche la possibilità di individuare una figura autonoma qualora il direttore dei lavori non abbia i requisiti previsti dalla legge.Si aggiunga che la coesistenza delle due figure è esplicitamente prevista dalla normativa laddove stabilisce che sia il direttore dei lavori a liquidare i costi per la sicurezza sentito il coordinatore per l'esecuzione 47.Il grave allarme sociale destato dall'elevato numero di infortuni (e di decessi) sui luoghi di lavoro (ed in particolare nei cantieri temporanei o mobili) ha determinato una politica legislativa improntata al rigorismo formale e all'inasprimento delle sanzioni.Il TU prevede, per l'inosservanza delle sue disposizioni, una serie di sanzioni penali.La giurisprudenza, in punto, è ancora in formazione.Alcuni concetti di carattere generale sono comunque ricavabili dalle specificità degli incarichi che il professionista assume.In primo luogo in qualità di responsabile dei lavori.E' evidente, in questo caso, un'assunzione di responsabilità piena in ordine

Cassazione penale , sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 20395

Z. 47 Cfr. l'art. 7 del D.P.R. 222/2003.

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al rispetto degli obblighi imposti dalla legge in tema di sicurezza. La responsabilità potrà essere esclusiva od in concorso con il committente48 anche nel caso in cui l'incarico risulti invalido.Peraltro la giurisprudenza49 ha chiarito che il direttore tecnico, espressamente delegato alla predisposizione delle misure di sicurezza ed alla vigilanza sulla loro attuazione (figura certamente assimilabile al responsabile dei lavori per i cantieri temporanei o mobili), assume una posizione di garanzia originaria per il suo ruolo specifico e derivata per la delega conferitigli dal datore di lavoro. La presenza dei piani per la sicurezza non esclude la responsabilità in sede di esecuzione, poiché, come è stato osservato50, l'esecutore: “è pur sempre tenuto a rendersi conto, "in loco" e di concerto, dei rischi connessi all'esecuzione dell'opera, ponendo in atto gli accorgimenti necessari per evitare pericoli”.In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve allestire le misure di sicurezza idonee. La presenza nel cantiere di un preposto (nella specie, trattavasi del capo squadra), salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri e autonomia decisionale, e di una sua particolare competenza, non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico soltanto il dovere di vigilare a che i lavoratori osservino le misure di sicurezza in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri.

48 Cassazione penale , sez. IV, 27 novembre 2008, n. 4829, in relazione alla delega conferita dal datore di lavoro ad altro soggetto ha affermato: In materia di infortuni sul lavoro, l'invalidità della delega (nella specie, argomentata dal delegato sul mancato accertamento delle sue qualità tecnico-professionali, della sua accettazione della delega e della facoltà di impegnare la spesa in nome e per conto dell'azienda), laddove sussistente, impedirebbe che il delegante possa essere esonerato da responsabilità, ma non escluderebbe comunque la responsabilità del delegato che, di fatto, abbia svolto le funzioni delegate, e ciò in base al principio di effettività che presiede l'individuazione dei soggetti responsabili del rispetto della normativa prevenzionale. Infatti, il delegato che ritenga di non essere stato posto in grado di svolgere le funzioni delegate o, a maggiore ragione, che non si ritenga in grado di svolgere adeguatamente queste funzioni, per andare esente da responsabilità deve chiedere al delegato di porlo in grado di svolgerle e, in caso di rifiuto o mancato adempimento, rifiutare il conferimento della delega”.

49 Cassazione penale, sez. IV, 21 maggio 2009, n. 2392950 Cassazione penale , sez. IV, 10 febbraio 2009, n. 20395

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