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Volume abstract XXVII Congresso Nazionale SIDCO Cervia, 1921 aprile 2012 1 Congresso Nazionale SIDCO Cervia,19-21 aprile 2012 Segreteria Organizzativa società certificata ISO 9001 [email protected] www.theoffice.it/sidco2012 VOLUME DEGLI ABSTRACT Volume abstract XXVII Congresso Nazionale SIDCO Cervia, 1921 aprile 2012 2 Relazioni Giovedì 19 Aprile pag. 3 Venerdì 20 Aprile pag. 15 Sabato 21 Aprile pag. 44 Comunicazioni libere pag. 59 Filmati Filmati Premio Baiocchi pag. 81 Filmati pag. 87 Poster pag. 91 INDICE

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1  

 

 

Congresso Nazionale SIDCO Cervia,19-21 aprile 2012

  

 

 

 

 

 

 

 

 

Segreteria Organizzativa

 società certificata ISO 9001 

[email protected]   

www.theoffice.it/sidco2012

VOLUMEDEGLI 

ABSTRACT

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

2  

 

 

 

Relazioni Giovedì 19 Aprile pag. 3

Venerdì 20 Aprile pag. 15

Sabato 21 Aprile pag. 44

Comunicazioni libere    pag. 59

Filmati Filmati Premio Baiocchi pag. 81

Filmati pag. 87

Poster pag. 91

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE 

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RELAZIONI 

Giovedì 19 Aprile 2012

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

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NASO

G. Caresana*, A. Paradisi**

* U.O. Dermatologia – Istituti Ospitalieri di Cremona **U.O. Dermatologia – Ospedale Cristo Re di Roma

La ricostruzione delle perdite di sostanza della cute della piramide nasale, conseguenti all’asportazione di

carcinomi epiteliali, pone spesso difficoltà maggiori rispetto ad altre sedi. In particolare le difficoltà

ricostruttive aumentano mano a mano che ci si avvicina all’apice, in quanto in questa sede la cute è

scarsamente estensibile, ha caratteristiche morfo-strutturali differenti rispetto alle subunità estetiche adiacenti

ed è meno agevolmente raggiungibile con lembi di vicinanza allestiti nei distretti cutanei circostanti. Queste

difficoltà rappresentano uno stimolo costante alla creatività progettuale del dermochirurgo per la ricerca di

soluzioni ricostruttive adeguate, che devono però confrontarsi con il rispetto di parametri procedurali precisi

e definiti. E’ fondamentale la definizione preoperatoria accurata dei bordi periferici della neoplasia. In molti

casi l’esame dermatoscopico consente di definire con maggiore precisione l’estensione della neoplasia

rispetto alla sola osservazione clinica. Ciò permette un duplice vantaggio: individuare le propaggini

neoplastiche periferiche subcliniche evitando escissioni inadeguate e, grazie all’individuazione accurata dei

margini di estensione periferica del tumore, tracciare margini di escissione con una minore distanza dai bordi

della neoplasia e conseguente maggiore risparmio di tessuto sano peritumorale. Tale procedura consente in

molti casi ricostruzioni più agevoli delle brecce chirurgiche. Tuttavia quando l’estensione della neoplasia è

significativa è necessario provvedere a ricostruzione plastica della perdita di sostanza con lembi cutanei di

vicinanza. Nelle scelte ricostruttive è importante il rispetto di alcuni criteri basilari: conservare il più

possibile l’integrità morfo-strutturale delle sub unità estetiche riceventi e donatrici; ricercare sempre, a parità

di risultato, la soluzione più semplice e meno aggressiva ed invasiva (la trasposizione dermochirurgica del

concetto filosofico del rasoio di Ockham “non fit per plura quod fieri potest per pauciora”: è inutile fare con

più ciò che si può fare con meno). Tenuti fermi tali parametri restano larghi margini alla creatività e

all’inventiva del dermochirurgo nel progettare e realizzare diverse soluzioni per ciascun problema

ricostruttivo che si pone in ogni singola sub unità estetica del naso. Il confronto e l’analisi dei vantaggi e

degli svantaggi, delle possibilità e degli inconvenienti delle diverse opzioni ricostruttive viene esemplificato

in modo dialettico attraverso la presentazione parallela di casi clinici paradigmatici da parte di entrambi gli

operatori.

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CARCINOMA DEL LABBRO INFERIORE

V. Schirripa Direttore U.O.C. Dermatologia P.O. Locri - ASP Reggio Calabria

La riduzione degli strati epidermici, la scarsa presenza di melanociti e la mancanza di annessi cutanei

rendono le labbra, in particolare quello inferiore, considerato come “la terrazza del sole del volto” più

sensibili a fattori di varia natura in primo luogo i raggi U.V., che favoriscono il processo carcinogenetico e la

progressione della neoplasia. Pertanto, la localizzazione mediana o laterale, al labbro inferiore di un

carcinoma è un evento non raro,con una percentuale di metastasi latero-cervicali che va dal 3% al 29% dei

casi. Nei casi T1N0 la sopravvivenza a 5 anni va dal 85% al 99% ma scende al 25%-50% nei pazienti che

sono N+ alla presentazione. Il trattamento di scelta di tale neoplasia è l’asportazione chirurgica.

Le tecniche descritte ed impiegate sono numerose e codificate. Come nel caso di altre sedi anatomiche,

accanto ad interventi chirurgici di facile esecuzione, limitati a lesioni di modeste dimensioni, talora è

necessario ricorrere ad interventi demolitivi, che richiedono più complesse ricostruzioni.

Le metodiche comprendono quelle di più frequente utilizzazione come la ricostruzione per accostamento dei

margini e sutura in tre strati (mucosa, muscolo, cute) dopo escissione a V o W a tutto spessore della

neoplasia, le cui dimensioni non debbono superare i due cm; ricostruzioni con lembi piani di avanzamento

dopo escissioni rettangolari della neoplasia che può avere dimensioni comprese tra i due e i quattro cm di

diametro; e tecniche più complesse che consentono l’intera ricostruzione del labbro con lembi di

trasposizione dalla guancia o con altre metodiche più impegnative. Si proietta e si commenta un video che

illustra la ricostruzione post oncologica con la tecnica “starircase advancament flap” che offre buoni risultati

sia estetici che funzionali.

LABBRO  

F. Grosso Dermatologia e Dermochirurgia - Poliambulatorio Euganea Medica, Struttura Extra-Ospedaliera di Chirurgia Albignasego(PD). Casa Di Cura Città di Rovigo.

Il trattamento dermochirurgico dei tumori del labbro,benigni e maligni, maggiormente rappresentati dai

carcinomi squamocellulari, comporta l’adozione di varie tecniche dipendenti dalla loro localizzazione in

considerazione delle peculiarità anatomiche, funzionali ed estetiche del distretto e con una problematica

ricostruttiva particolare tendente a rispettare l’allineamento delle fibre del muscolo “ orbicularis oris”.

Dopo i necessari riferimenti anatomici, funzionali, la videopresentazione intende evidenziare la possibilità

chirurgica e ricostruttiva dopo l’asportazione di una lesione del labbro, eseguita con anestesia loco-plessica,

concentrando l’attenzione sulle modalità per ottenere un buon risultato estetico funzionale. Altresì

l’asportazione di un neoplasia del labbro inferiore può essere effettuata con diverse soluzioni tecniche,

verosimilmente in rapporto alla propria esperienza; in questo caso viene utilizzata la tecnica a gradini.

Lo scopo è di mostrare i momenti salienti dell’asportazione e della ricostruzione, con qualche particolare

personale, con un buon risultato finale estetico e funzionale. Il confronto con un altro operatore tende a

stimolare l’auditorio sulle diverse modalità tecniche con possibile apporto di esperienze personali. 

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ORECCHIO

F. Fantini S.C. Dermatologia, Ospedale “A. Manzoni”, Lecco

La cute del padiglione auricolare è spesso sede di neoplasie cutanee; in particolare i carcinomi

squamocellulari, in quest’area sottoposta a cronica esposizione solare, sono frequenti e a maggior rischio di

metastasi. La stretta adesione della cute al piano cartilagineo rende l’invasione in profondità di queste

neoplasie particolarmente precoce. Circa la metà delle neoplasie del padiglione si localizzano a livello

dell’elice, con un difetto primario che interrompe il contorno elicale.

Dal punto di vista chirurgico, il padiglione auricolare è una struttura anatomica complessa, che si caratterizza

per la presenza di un supporto cartilagineo con rivestimento di cute sottile e aderente, e per la particolare

conformazione morfologica. La conservazione delle caratteristiche anatomo - funzionali di questa regione,

nel corso di chirurgia oncologica, prevede spesso il ricorso a tecniche di ricostruzione complesse anche per la

riparazione di piccoli difetti.

Vengono presentate alcune soluzioni ricostruttive impiegate dopo asportazione di neoplasie estese di

differenti regioni del padiglione.

ORECCHIO

L. Bugatti, G. Filosa U.O.C. Di Dermatologia - Ospedale “Carlo Urbani”, Jesi

La chirurgia ricostruttiva dell'orecchio deve attenersi a principi primari e secondari.

Obiettivi primari: i) mantenimento della pervietà del condotto auditivo; ii) mantenimento del profilo

anteriore; iii) mantenimento del profilo laterale. Obiettivi secondari: i) mantenimento della complessa

topografia auricolare; ii) camuffamento delle cicatrici; iii) mantenimento delle dimensioni dell'orecchio.

La strategia nella ricostruzione auricolare è enormemente semplificata se si considera il difetto da ricostruire

in base alla sua localizzazione anatomica. Quest'ultima è il fattore determinante nella scelta dell'opzione

ricostruttiva più idonea. Quindi, la familiarità con le principali opzioni ricostruttive in relazione alla

localizzazione anatomica aumenta l'abilità chirurgica nel semplificare e ricostruire con efficacia l'orecchio

rispettando i principi estetici e funzionali.

L'Autore prende in considerazione tre semplici casi paradigmatici, valutando le opzioni alternative, la tecnica

scelta, l'esito finale e le eventuali criticità.

Bibliografia

D.G. Brodland. Auricolar reconstruction. In Dermtol Clin 23:23-41; 2005.

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PALPEBRE

VENOUS WALL GRAFT UP TO DATE

C. Barbera SOC Dermatologia - Ospedale degli Infermi di Biella

L’innesto di parete venosa, metodica chirurgica che permette la ricostruzione simultanea dei piani tarsale e

congiuntivale, è stata ideata dall’Autore nel 1999 con un triplice obiettivo:

• Utilizzare un autoinnesto composto, strutturalmente simile ai piani da ricostruire, che sia già presente

nell’organismo con la stratificazione necessaria (lamina di tessuto fibroelastico rivestita su una faccia da

sottile mucosa)

• Disporre di un organo donatore capace di fornire innesti di cospicue dimensioni

• Contenere la ricostruzione in un unico intervento.

Sulla scorta dell’esperienza clinica personale -46 casi quasi totalmente oncologici- l’Autore illustra le fasi

del procedimento chirurgico, ne evidenzia i molteplici pregi ed i rari limiti e presenta nuove possibilità

applicative, sempre in chirurgia palpebrale, talora preventivate talaltra nate estemporaneamente al tavolo

operatorio.

 

 

SOLUZIONI CHIRURGICHE A TUTTO SPESSORE PER LA RICOSTRUZIONE DELLA PALPEBRA INFERIORE G.M. Tomassini Struttura complessa di dermatologia-Azienda Ospedaliera di Perugia. Nella ricostruzione palpebrale occorre tenere presenti alcune regole fondamentali ormai codificate.

Le perdite di sostanza a tutto spessore che non superino il quarto della lunghezza della palpebra possono

essere chiuse per semplice accostamento dei diversi piani (mucosa, piano muscolare, cute).

Le perdite di sostanza superiori al quarto della lunghezza della palpebra necessitano di un apporto di tessuto.

La ricostruzione a tutto spessore della palpebra comporta il reintegro di due strati differenti sul piano

anatomo- funzionale. L’uno esterno muscolocutaneo e l’altro interno tarso congiuntivale. Viene descritta

una soluzione chirurgica di ricostruzione con cantolisi laterale del tendine cantale, attraverso casi clinici più

significativi della casistica personale.

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LEMBI DELLA FRONTE

C. Magnoni (Modena) Difetti più grandi di 2.5/3 cm necessitano di apporto di tessuto da regione distante. Nella nostra esperienza il

lembo peduncolato maggiormente utilizzato per le ricostruzioni nasali è il lembo frontale mediano. Questo

tipo di lembo necessita una procedura almeno in due tempi. La sua base è compresa tra la parte mediale del

sopracciglio e il canto interno. Il primo step prevede una precisa ricostruzione tridimensionale del difetto che

viene progettata sul lato integro contro laterale alla lesione. La cute della fronte non si contrae e pertanto il

disegno risulta assolutamente preciso. Il lembo frontale viene inciso alla base sul piano periosteo mentre

l’incisione si superficializza al piano sottocutaneo verso la parte apicale al fine di conservare intatta la

vascolarizzazione (arteria sovra trocleare). La componente verticale centrale è utilizzata per ricoprire il

dorso, la punta e la columella. Le ali laterali sono usate per ricoprire l’ala e per ricostruire il pavimento della

narice e il bordo alare nei casi che richiedano una ricostruzione nasale totale (fodera interna e fodera esterna)

Tre settimane dopo il primo intervento il lembo viene nuovamente inciso, completamente scollato e l’eccesso

sottocutaneo viene modellato. Nella stessa seduta se necessario vengono effettuati gli innesti cartilaginei di

sostegno. A distanza di ulteriori tre settimane il lembo viene autonomizzato dividendo il peduncolo e la parte

che non viene utilizzata viene riposizionata sulla fronte.

LEMBI DELLA FRONTE P. Boggio (Novara)

La fronte è un’unità estetica abbastanza uniforme prevalentemente convessa e che si differenzia solo

lateralmente con le sub-unità temporali. La sua estensione è variabile dipendendo della fisionomia, dal sesso

e dall’età (attaccatura del capillizio molto diversa a seconda dei casi).

La cute è molto mobile e si presta meglio a suture prevalentemente orizzontali; solo centralmente può essere

indicata la direzione verticale. Per le sue caratteristiche e per il tipo di unità estetiche confinanti la maggior

parte delle plastiche con lembi di vicinanza per ricostruire brecce frontali può utilizzare solo cute presa

all’interno dell’unità estetica stessa o tutt’al più dalla regione gabellare o temporale. In alternativa si deve

ricorrere a guarigione per seconda intenzione, a innesti liberi o ai più complessi lembi microchirurgici.

Viceversa, la fronte può fornire cute per la ricostruzione dell’unità estetica del naso anche nella sua parte più

lontana (ala e punta) con il classico “lembo frontale di trasposizione peduncolato” che non sarà però

argomento di questa esposizione.

Il lembo più utilizzato è quindi quello di avanzamento rettangolare semplice in posizioni laterali o il doppio

lembo rettangolare contrapposto per lesioni centrali:. Al fine di mantenere la maggior parte della sutura

orizzontale è molto utile anche il doppio lembo triangolare contrapposto (O – T): i migliori risultati con

questa plastica si ottengono per brecce poste al limite con la subunità temporale ove la porzione verticale

della sutura si maschera meglio con le rughe di espressione.

Per lesioni di minori dimensioni e poste centralmente il lembo V – T e la plastica “a tricorno” possono

essere un’ottima soluzione. Meno utilizzati sono i lembi di rotazione più ampi ove la linea di sutura viene

fatta scorrere lungo l’attaccatura del capillizio per la chiusura di brecce della parte alta della fronte sia in

sede mediana che paramediana.

Vengono mostrati sinteticamente con filmati intraoperatori i punti salienti della progettazione e

confezionamento dei principali tipi di lembi della regione frontale.

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MELANOMA NEVUS LIKE E SIMULATORI

I. Stanganelli Skin Cancer Unit - Istituto Tumori Romagna - Ospedale Niguarda Ca’ Granda Milano

Con il termine Falsi Negative vengono indicati i melanomi che presentano aspetti clinici e dermoscopici di un nevo

melanocitico (melanomi nevus like) Nella pratica dermatologica nella maggior parte dei casi di melanoma e’ possibile il

loro riconoscimento clinico pre-operatorio in base all’osservazione di alcune caratteristiche quali la disomogenea

distribuzione del colore, la mancanza di simmetria, l’irregolarità dei bordi oltreche’ sui dati anamnestici riferiti dal

paziente ( modificazioni temporali della lesione pigmentata).

Tali parametri rientrano – com’e’ noto- nella regola dell’ABCDE. In tali casi il ricorso all’esame dermoscopico

costituisce un’integrazione all’esame clinico che consente di valutare in maniera più dettagliata il disordine cromatico e

microstrutturale della lesione analizzata permettendo il raggiungimento di una percentuale maggiore di accuratezza

diagnostica.

Tuttavia non in tutti i casi di melanoma l’asportazione della lesione deriva dall’accertamento di una evidenza clinico-

strumentale di malignità. L’asportazione di tali lesioni è legata a vari fattori: 1) riferimento da parte del paziente di

sintomatologia come prurito, dolore o sensazione di presenza; 2) colore molto scuro (nero o marrone-nerastro); 3)

parametri clinico-dermatoscopici di “nevo atipico” e pertanto non sufficienti a classificare con certezza la natura della

lesione; 4) parametri clinico-dermatoscopici suggestivi di nevo di Reed/Spitz nel qual caso si preferisce- sopratutto nel

soggetto adulto- procedere a biopsia escissionale per verifica diagnostica allo scopo di evitare il rischio di

misclassificazione con il melanoma “Spitzoide”, 5) perché viene notata – ad una valutazione complessiva del paziente -

la differenza morfologico-cromatica di quella lesione rispetto a quella dei nevi presenti in quel soggetto ( segno del

“brutto anatroccolo”); 6) a seguito di modifiche morfologiche documentate in corso di follow up digitale; 8) a seguito di

modificazioni riferite dal paziente. 9) per richiesta del paziente orientato verso una asportazione della lesione a seguito

di precedenti pareri medici ; 10) per finalità estetiche. Con il termine Falso positivo si intende invece una lesione

asportata con diagnosi di melanoma dove i parametri clinici-dermoscopici risultano particolarmente inquietanti per il

clinico. In queste lesioni rientrano sicuramente i nevi melanocitici displastici, i nevi con variazioni significative durante

il follow up digitale, ma anche le lesioni della serie non melanocitaria.

I GRANDI SIMULATORI: IL MELANOMA “NEVUS LIKE”

R. Bono (Roma)

Tra le lesioni pigmentate cutanee che offrono notevoli difficoltà di diagnosi, il melanoma “nevus like” è da considerare

il vero “falso negativo”. Infatti attenendoci alla definizione, si definisce melanoma nevus like la lesione che presenta

gli aspetti clinici e dermoscopici del nevo melanocitario.

Dobbiamo al diffondere di mezzi diagnostici come gli apparecchi di dermatoscopia digitale la possibilità di poter

descrivere tali melanomi; infatti molto spesso la loro asportazione chirurgica e successiva diagnosi è casuale!

Vengono asportati per i seguenti motivi: 1)dati anamnestici soggettivi come il prurito, dolore, …; 2) per estetica; 3) per

dati oggettivi come il colore (nero o marrone scuro), per modificazioni o solo perché si differenziano dagli altri nevi del

soggetto (brutto anatroccolo); 4) come prevenzione nei soggetti ad alto rischio.

Purtroppo spesso non viene diagnosticato in quanto non offre segnali di malignità (sembra un nevo!) e le difficoltà

aumentano quando sono inseriti in una moltitudine di nevi. Nonostante tali difficoltà dobbiamo porre particolare

attenzione a quelle lesioni che presentano le seguenti caratteristiche: brevi tratti di reticolo ispessito, ipopigmentazione

centrale, iper o ipopigmentazione eccentrica, iper e ipopigmentazione multifocale.

Nella nostra casisitica tutti i melanomi classificati come “nevus like” presentavano un spessore sottile (tra “in situ” e

0,40 mm) tanto da farci affermare che il melanoma “nevus like” è il risultato di una diagnosi precoce estrema! E’

probabile che nel tempo avrebbero sviluppato quelle caratteristiche tipiche del melanoma classico.

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LESIONI ACROMICHE ED IPOMELANOTICHE

V. De Giorgi

Dipartimento di Scienze Dermatologiche – Università di Firenze

Il melanoma amelanotico è caratterizzato dall’assenza di pigmento nella lesione. Tali melanoma rappresentano circa il

2-8 % di tutti i melanoma .

La precisa incidenza è difficile da calcolare perché il termine amelanotico è spesso usato in maniera impropria per

indicare lesioni parzialmente pigmentate. Tali lesioni entrano in diagnosi differenziale con un grande numero di lesioni,

maligne e benigne, rendendo la gestione del paziente non facile.

Il melanoma amelanotico si può presentare come una macula o placca eritematosa, con bordi irregolari, simulando un

carcinoma a cellule basali, una cheratosi attinica, un morbo di Bowen.

In altri casi può presentarsi come un nodulo esofitico, spesso eroso, simulando un granuloma piogenico, un emangioma.

La difficoltà diagnostica può essere amplificata anche da particolari regioni anatomiche come la regione plantare, dove

l’errore diagnostico è estremamente frequente a seguito di false diagnosi iniziali come verruche plantari, poroma

eccrino, angiomi. Tali erronee diagnosi comportano altrettanti trattamenti erronei con importanti sequele prognostiche

per il paziente e medico-legali per il dermatologo.

Il ruolo della demoscopia sta diventando fondamentale per una gestione corretta di tali lesioni, anche se non pigmentate.

In questi casi l’analisi della morfologia dei vasi e delle strutture vascolari in generale risulta determinante.

MELANOMA IPO/ AMELANOTICO

M.A. Pizzichetta Divisione di Oncologia Medica C-Prevenzione Oncologica, Centro di Riferimento Oncologico, Aviano

Il melanoma amelanotico è un sottotipo di melanoma che appare parzialmente o totalmente privo di pigmento all’esame

clinico. Dai dati della letteratura, rappresenta circa il 2-8% di tutti i melanomi. In base alla estensione della

ipopigmentazione i melanoma amelanotici si classificano in: amelanotici “veri”, completamente privi di pigmento

all’esame clinico/dermoscopico; parzialmente pigmentati nei quali l’area pigmentata può coprire un’area inferiore o

uguale al 30% della superficie totale e ipomelanotici, nei quali una pigmentazione molto tenue di colorito marrone

chiaro, può interessare tutta o parte della lesione. I “veri” melanomi amelanotici sono rari, una piccola pigmentazione è

infatti spesso presente alla periferia della lesione simulando una serie di lesioni benigne e maligne sia melanocitarie che

non melanocitarie.

La dermatoscopia, grazie ai criteri che riflettono la pigmentazione, quando presente in una parte della lesione, quali

pigmentazione irregolare, globuli/punti irregolari, strutture di regressione e velo bianco-bluastro ed ai pattern vascolari

è una tecnica utile non solo per la diagnosi del melanoma pigmentato ma anche per quella del melanoma amelanotico. I

pattern vascolari risultati predittori positivi di melanoma sono i seguenti: globuli/aree rosso lattescenti (“milky red”

aree); più sfumature di colore rosa; forcina irregolare; pattern predominante lineare irregolare e la combinazione del

pattern puntiforme e lineare irregolare.

Quando il pattern vascolare rappresenta l’unico criterio identificabile in una lesione completamente priva di pigmento,

la valutazione dermoscopica deve essere integrata con le informazioni cliniche quali età, sesso, anamnesi personale o

familiare positiva per melanoma, episodi di scottature solari, numero e sede delle lesioni, epoca d’insorgenza e

modificazioni nel tempo della lesione. La valutazione integrata delle caratteristiche anamnestiche, clinico-morfologiche,

dermoscopiche e dell’esame clinico dell’intera superficie corporea possono aumentare l’accuratezza della diagnosi

dermoscopica dei “veri” melanomi amelanotici.

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LESIONI PAPULOSE E NODULARI

E. Moscarella

La diagnosi differenziale delle lesioni papulose e nodulari include sia lesioni melanocitarie che non

melanocitarie, benigne e maligne. La diagnosi differenziale più temibile è il melanoma nodulare, che può

presentare aspetti clinici e demoscopici confondenti.

L’accuratezza diagnostica è importante soprattutto per la scelta gestionale e la tempestività dell’intervento.

Un ritardo diagnostico anche di poche settimane può risultare in una crescita in profondità del melanoma

notevole, è stato dimostrato infatti che il melanoma nodulare cresce in profondità di circa 5 mm al mese.

La demoscopia e, più recentemente, la microscopia confocale forniscono strumenti in grado di migliorare

l’accuratezza diagnostica in casi difficili.

 

 

 

 

 

LESIONI PAPULOSE E NODULARI C. Longo Le lesioni nodulari comprendono un ampio spettro di patologie benigne e maligne di natura differente, la cui

diagnosi si basa sull’esame clinico integrato all’esame dermoscopico.

La dermoscopia è una moderna metodica strumentale che ha permesso di incrementare notevolmente

l’accuratezza diagnostica delle lesioni pigmentate e nonpigmentate. Nell’ambito delle lesioni nodulari,

l’attenzione del Clinico è rivolta alla corretta identificazione del melanoma nodulare.

Il melanoma nodulare è un sottotipo istologico molto aggressivo, caratterizzato da una rapida crescita che si

sviluppa in senso verticale (assenza di crescita radiale in istologia) e da una presentazione clinica peculiare.

Infatti è un tumore che spesso si presenta come lesione di piccole dimensioni, simmetrico ed ipopigmentato.

Pertanto, la regola dell’ABCDE valida per altri tipi di melanoma, non trova applicazione in questi casi.

Al contrario è valida la cosiddetta regola clinica “EGF” (Elevation, firm on palpation, and continuous growth

for 1 month). Da un punto di vista dermoscopico, il melanoma nodulare è caratterizzato da velo grigio-blu,

aree prive di struttura, pattern vascolare atipico e associazione di colore blu e nero (BB rule).

Tuttavia, tale melanoma è spesso in diagnosi differenziale con numerosi noduli di natura melanocitaria e non

melanocitaria (basaliomi, dermatofibromi, lesioni vascolari).

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DERMATOSCOPIA A ANALISI DERMOSCOPICA DIGITALE DELLE LESIONI PIGMENTATE PALMO-PLANATARI P. Rubegni, R. Pellicano e M. Fimiani Dpt. di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Dermatologia, Università di Siena Dpt di Dermatologia, Casa Sollievo della Sofferenza ospedale-IRCCS, San Giovanni Rotondo

Il melanoma acrale lentigginoso (MAL) è un sottotipo di melanoma, che è stato identificato come entità

distinta circa 30 anni orsono. Come suggerisce il nome, il MAL si localizza in sede acrale: palmo delle mani,

piante dei piedi e apparato ungueale. E’ il tipo di melanoma più diffuso nelle popolazioni non-caucasiche

anche se la sua incidenza appare similare in tutte le razze.

Il MAL ha una prognosi peggiore rispetto agli altri sottotipi di melanoma.

Ciò sembra dovuto principalmente al fatto che esso è, di solito, diagnosticato tardivamente.

Molti fattori sembrano contribuire al ritardo nella diagnosi: età avanzata dei pazienti, difficoltà di

autovalutazione in sede plantare e presentazione insolita, non di rado in assenza di pigmentazione.

Per quanto concerne l’esame dermoscopico, le proliferazioni melanocitarie in sede palmo-plantare, per la

diversa e peculiare conformazione degli zaffi interpapillari assumono pattern caratteristici.

Tra i pattern dermoscopici evocativi di benignità ricordiamo il “parallel furrow”, il “lattice-like” e quello

definito come “fibrillar”. Tra quelli indicativi di lesione sospetta il più frequente è il parallel ridge pattern.

Esistono tuttavia tutta una serie di quadri dermoscopici che possiamo definire “atipici” che creano non poche

difficoltà diagnostiche allo specialista.

In questa sede, prendendo spunto da casi esemplificativi, discuteremo alcuni argomenti che speriamo

possano chiarire aspetti complessi legati a questo tipo di lesioni pigmentate cutanee.

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TRATTAMENTO MEDICO DEL MELANOMA AVANZATO

R. Ridolfi Direttore UO Immunoterapia e Terapia Cellulare Somatica - IRST – Meldola Forlì

La prognosi dei pazienti affetti da melanoma in fase avanzata (stadio IV) è tuttora severa. La sopravvivenza mediana per tali pazienti è stimata in 6-9 mesi, con meno del 10% di pazienti vivi a 5 anni, pur con variazioni dipendenti da diversi fattori prognostici quali il sito ed il numero delle metastasi e l’elevato valore ematico di Lattico Deidrogenasi (LDH). Una recente meta-analisi condotta su 42 studi di fase II dal 1975 al 2005 fissa in 1 anno la sopravvivenza mediana dei pazienti “selezionati” per tali studi, quale punto di riferimento per gli studi futuri. Fra i chemioterapici che hanno dimostrato una efficacia terapeutica in monochemioterapia la Dacarbazina è stata fino al 2010 il punto di riferimento, poiché, fino a quel momento non era mai stata dimostrata inferiore né ad altri farmaci né a schemi di combinazione. Era, pertanto, considerata la terapia “standard”, pur offrendo, nei più recenti trial clinici, percentuali di risposte globali (OR) veramente modeste: 5,5- 12% ed una sopravvivenza mediana (OS) di 7-7,4 mesi, altrettanto deludente. Fotemustina e Temozolomide sono farmaci di più recente introduzione ed hanno mostrato una “non-inferiorità” rispetto alla DTIC. Spesso la sostituiscono nella pratica clinica, anche per una certa efficacia nei confronti delle metastasi cerebrali. Come già detto gli schemi di combinazione a più farmaci chemioterapici, generalmente comprendenti Cisplatino o Carboplatino, alcaloidi della Vinca e più di recente Tassolo, non hanno mostrato di aumentare la sopravvivenza globale rispetto alla sola Dacarbazina in studi di fase III. L’aggiunta di immunoterapici, quali interferone (IFN) o Interleuchina-2 (IL-2), pur mostrando talora segnali di incremento di risposte ed un trend lievemente favorevole per l’OS, non hanno mai mostrato, a loro volta, superiorità rispetto agli schemi di polichemioterapia. A questo riguardo sono da segnalare alcune revisioni di letteratura che hanno cercato di chiarire la reale portata delle combinazioni: Lui P. ha revisionato 48 trials ed ha verificato che la combinazione Dacarbazina ed IFN aumenta la OR (Odds Ratio 1,69), ma non l’OS (16); Eiglenter TK. ha revisionato 41 trials randomizzati per concludere che, anche se i grafici evidenziano un trend a favore della Bio-chemioterapia, non c’è alcuna evidenza di maggior efficacia di quest’ultima, rispetto alla sola chemioterapia, in termini di OR e di sopravvivenza (OS); infine, una meta-analisi di Ives NJ. del 2007 su 18 trials di Bio-chemioterapia indica una OR a netto favore di quest’ultima (Odds Ratio 0,59 ; p< .00001), ma ancora una volta nessun beneficio in OS (Odds Ratio 0,99; p= .9). Fra i farmaci definiti “biologici”, la IL-2 è una citochina approvata dalla Food and Drug Statunitense per la terapia del melanoma. Essa, usata ad alte dosi ev, ha consentito di osservare casi di risposte durature e di lungosopravvivenze in casi sporadici: il 6% di risposte complete (ormai da considerare “guarigioni”) in una casistica di circa 230 pazienti. Altre risposte complete durevoli (19,2% su 38 pazienti) con alte dosi di IL-2 ev sono state osservate in pazienti che erano andati in progressione a seguito di biochemioterapia e più di recente in una casistica altrettanto super-selezionata è stata ottenuta una stupefacente percentuale di 72% di OR con IL-2 ad alte dosi con reinfusione di TIL (Tumor Infiltrating Lymphocytes) autologhi e selezionati dopo linfodeplezione con chemioterapia e total body irradiation. E’ evidente che questi approcci, con alte dosi ev di IL-2, sono ben lontani dall’essere applicabili in realtà diverse da Istituti di Ricerca altamente specialistici, ma prefigurano possibilità di prospettive nuove. Ma la novità che ha scosso il mondo oncologico per quanto riguarda la terapia del melanoma è giunta con l’introduzione di un nuovo anticorpo monoclonale anti-CTLA-4, che, agendo con meccanismi esclusivamente immunoterapici, fornisce la dimostrazione di possibile efficacia delle terapie immunologiche. Per la prima volta, infatti, in uno studio di fase III è stato dimostrato un aumento di sopravvivenza nel melanoma avanzato grazie all’uso di questo anticorpo monoclonale (Ipilimumab): 10,0 vs 6,4 mesi (Hazard Ratio 0,68; p< 0,001). Negli ultimi mesi la letteratura si è arricchita di segnalazioni di efficacia del farmaco, non ancora autorizzato dagli Enti regolatori, ma estremamente promettente; va anche segnalato che l’ipilimumab, non esente da effetti collaterali talora importanti, quali coliti e manifestazioni di tipo autoimmune, ha portato al concretizzarsi di nuovi criteri di valutazione della risposta clinica in oncologia: irCR (immuno-related Criteria Responses). Questi criteri tengono conto di tutto il carico tumorale e soprattutto di possibili risposte tardive dopo iniziale stabilità o progressione, situazioni che possono accadere alquanto frequentemente con tutti i trattamenti immunoterapici, compresi i Vaccini. Approcci vaccinici di vario tipo sono spesso usati nella sperimentazione clinica in pazienti affetti da melanoma e pur non essendo entrati nella routine, per la eterogeneità delle metodiche ed i risultati talora dissimili fra loro, mostrano complessivamente una tendenza all’aumento della sopravvivenza nei pazienti che mostrano segni di immunoresponsività. La target-therapy, infine, è una ulteriore modalità di trattamento che si sta introducendo prepotentemente anche nella terapia del melanoma, come in quella della gran parte dei tumori solidi. La determinazione di oncogeni mutati quali target specifici apre la via per terapie da applicarsi a sottogruppi di pazienti selezionati appunto per la presenza o meno di tali target. Al momento gli oncogeni più promettenti per essere target terapeutici nel melanoma sono il B-RAF, mutato nel circa 45% di tutti i casi, ed il c-Kit, particolarmente espresso nei melanomi acrali e della mucose. La pubblicazione dello studio di fase II con anti-B-RAF mutato in un pur piccolo numero pazienti portatori documentati della mutazione, ha descritto una straordinaria percentuale dell’81% di OR, che apre a prospettive terapeutiche veramente insospettate.

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LA FISICA DEL LASER O. Svelto (Milano) A oltre cinquant’anni di distanza dalla sua invenzione, il laser continua a diffondere intorno a sé

un’atmosfera mista di curiosità e meraviglia. La curiosità è alimentata dal fatto che nuovi tipi di laser

vengono continuamente inventati e nuove, affascinanti, applicazioni vengono sviluppate. La meraviglia

deriva essenzialmente dal carattere pervasivo del laser: non esiste infatti campo della scienza e della tecnica

che non sia stato influenzato, a volte in maniera rivoluzionaria, da questa invenzione.

Nella conferenza verranno innanzitutto illustrati il principio di funzionamento del laser e le proprietà del

fascio d’uscita. In uno spirito di reminiscenza storica, saranno quindi illustrate le prime applicazioni dei laser

evidenziando i successi e soprattutto gli insuccessi iniziali. Si parlerà infine dei principi delle applicazioni

dei laser in dermatologia distinguendoli nei due settori della fototerapia selettiva e della fotodiagnostica

selettiva.

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Venerdì 20 Aprile 2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

RELAZIONI 

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HOW I DO IT. CASI CLINICI. CONFRONTO INTERATTIVO E METODICHE A

CONFRONTO

PL. Bencini (Milano), M. Dal Canton (Belluno), P. Sbano (Siena), GM Tomassini (Perugia), M. Laurenza

(Roma)

Le patologie vascolari cutanee costituiscono un'ampia componente delle problematiche affrontabili da

dermatologo con tecnologie laser selettive, ovvero coni laser vascolari, e con sorgenti di luce policromatica.

I laser vascolari sono a tutt'oggi i capisaldi della applicazione tecnologica del principio fisico della

fototermolisi selettiv , e la varietà di tecnologie disponibili, ognuna di esse con i suoi pregi ed i suoi difetti,

permette un ampio range di scelte operative.

In questa sessione si è optato per discutere e confrontarsi su problematiche dermatologiche molto comuni,

come ad esempio la couperose, la poichilodermia, l’eritrosi del volto, frequente oggetto di richiesta di

trattamento dai nostri pazienti.

La sessione è stata impostata per evidenziare l'approccio personale di ciascun relatore ad ogni problematica

presentata, attivando un confronto sulle personali e differenti tecnologie, tecniche e modalità applicative e

problematiche sperimentate da ciascun operatore.

 

 

 

VANTAGGI DEL LASER CO 2 NELLA CHIRURGIA UNGUEALE

G.E. Cannata, E. De Col U. O. C. Dermatologia Ospedale Civile – Imperia

Vengono presentate alcune patologie dell’apparato ungueale trattate con Chirurgia Laser CO2 ed il loro Follow up:

• Fibrocheratoma digitale acquisito • Onicomatricoma • Tumore glomico • SCC • Biopsia

 

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TERAPIA FOTODINAMICA. PRINCIPI BASE: MECCANISMO D'AZIONE, CARATTERISTICHE MOLECOLE FOTOSENSIBILIZZANTI E FONTI DI IRRADIAZIONE

M. Pellegrino, C. Peccianti, P. Taddeucci, M. Fimiani

S.C. Dermatologia Siena

La Terapia fotodinamica (PDT) è una metodica terapeutica non invasiva che in ambito dermatologico trova

precipue indicazioni nel trattamento di lesioni precancerose e cancerose della cute (cheratosi attiniche,

basaliomi, ecc.), anche se viene utilizzata con successo in numerose altre condizioni “off label”.

La PDT è resa possibile dall’interazione di specifiche radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti con una

molecola foto sensibilizzante (priva di effetti in assenza di illuminazione) che dà luogo ad una serie di eventi

biochimici a cascata che portano alla distruzione selettiva delle cellule tumorali, dove le molecole foto

sensibilizzanti si accumulano preferenzialmente.

Nonostante le prime applicazioni cliniche fossero indirizzate alla terapia di patologie cutanee già nei primi

anni del Novecento, solo nel 1990 grazie all’utilizzo topico dell’acido 5-aminolevulinico si riesce ad ottenere

“ufficialmente” l’approvazione al trattamento delle cheratosi attiniche e dei carcinomi basocellulari

superficiali, dapprima dalla FDA negli USA e successivamente, utilizzando l’estere metilico dell’acido 5-

aminolevulinico, anche in Europa ed Australia,.

Sebbene l'impiego a livello clinico sia ormai consolidato, non sono tuttavia ancora pienamente definiti i

meccanismi di localizzazione e di azione delle molecole foto sensibilizzanti. Quelle più utilizzate hanno

un'elevata efficienza di "intersystem crossing" (cioè, di passaggio allo stato di tripletto), che privilegia la

dissipazione dell'energia assorbita durante l’irradiazione, attraverso processi fotochimici, a scapito

dell'emissione di fluorescenza. Ciò determina la comparsa di specie chimiche ossidanti (ossigeno allo stato di

singoletto, radicali liberi ed altre specie reattive dell'ossigeno), altamente instabili e, dunque, in grado di

interagire con le molecole del microambiente circostante, inducendo danni alle strutture molecolari della

cellula e determinandone la morte per necrosi o apoptosi. Va infine tenuto conto che l'applicazione di una

PDT, oltre a determinare un danno citotossico diretto, induce rilascio di citochine e di altri mediatori

dell'infiammazione, con richiamo di macrofagi all'interno delle cellule neoplastiche.

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MODALITÀ ESECUTIVA DELLA TERAPIA FOTODINAMICA NELLE INDICAZIONI UFFICIALI E OFF LABEL M. Venturini, P. Calzavara-Pinton

Clinica Dermatologica, Spedali Civili di Brescia e Università degli Studi di Brescia

La terapia fotodinamica (PDT) con metil-aminolevulinato (MAL) è un’opzione terapeutica non invasiva

approvata per il trattamento di carcinoma basocellulare, cheratosi attinica (precursore biologico del

carcinoma squamoso, SCC) e SCC in situ (Morbo di Bowen).

Oltre ad un ruolo terapeutico nei confronti dei tumori cutanei, MAL-PDT si è dimostrata in grado di

prevenire lo sviluppo di nuovi BCC e SCC (in accordo con il concetto di “campo di cancerizzazione” su cute

fortemente danneggiata, soprattutto in soggetti immunodepressi) ed inoltre di migliorare l’aspetto globale

della cute fotodanneggiata, riducendo ad esempio l’iperpigmentazione e rughe sottili e migliorando al

contempo la texture cutanea.

Ulteriori studi, hanno valutato l’efficacia di MAL-PDT nel trattamento della micosi fungoide (MF). MAL-

PDT si è dimostrata utile nel trattamento della MF uni lesionale, ovvero lesioni uniche di MF refrattarie alla

PUVA terapia e/o localizzate in aree cutanee che non possono essere raggiunte dall’esposizione ai raggi

ultravioletti. Inoltre, MAL-PDT ha dimostrato una certa efficacia nel trattamento di alcune malattie

infiammatorie, quali ad esempio psoriasi, acne volgare, sclerodermia, granuloma annulare, e

nell’eradicazione di infezioni cutanee, ad esempio verruche, condilomi, micosi e leishmania.

La trattazione dell’argomento sarà svolta con particolare attenzione alle problematiche connesse alla

modalità esecutiva della PDT sia per le indicazioni registrate che per gli usi off-label.

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MAL-PDT OFF-LABEL NELLE DERMATOSI INFIAMMATORIE E PROBLEMATICHE ESTETICHE: RISULTATI DEL REGISTRO ITALIANO NEL PERIODO 2005-2010 P.G. Calzavara-Pinton1, M.T. Rossi1, R. Sala1, M. Venturini1

1Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Brescia, Brescia La terapia fotodinamica (PDT) è una procedura che combina l’applicazione topica o la somministrazione

sistemica di una sostanza fotosensibilizzante all’irradiazione selettiva di una lesione bersaglio da parte di

luce visibile. In presenza di ossigeno, il fotosensibilizzante eccitato trasferisce energia o elettroni alle

molecole di ossigeno determinando la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), come ossigeno

singoletto e ione idrossile, che sono in grado di determinare la morte cellulare.

Nell’ambito dell’Unione Europea la PDT con il metil-estere dell’acido aminolevulinico (MAL) è approvata

per il trattamento delle cheratosi attiniche, dei carcinomi basocellulari e del morbo di Bowen, nei quali si è

dimostrata altamente efficace, con minimi effetti collaterali e in grado di fornire ottimi risultati estetici.

Diversi studi in vitro ed in vivo (su colture di cellule o animali) condotti nel corso di questi anni hanno

inoltre evidenziato come la PDT possieda inoltre proprietà antinfiammatorie, antinfettive, nonché effetti

modulanti sul metabolismo del tessuto connettivo, sulla cheratinizzazione e sui processi di maturazione delle

ghiandole sebacee e del follicolo pilifero. Questi studi hanno espanso lo spettro delle possibili applicazioni

della PDT in campo umano, coinvolgendo le patologie infettive (batteriche, virali, fungine, protozoarie),

infiammatorie a localizzazione dermica ed epidermica, i tumori a origine linfocitaria, le patologie degli

annessi e infine problematiche di tipo estetico quali il fotoinvecchiamento cutaneo.

Un grande limite nel valutare l’efficacia o meno della PDT in queste indicazioni “off-label” è il ridotto

numero di casi trattati, peraltro con diversi protocolli di trattamento, per singola patologia; per ovviare ciò è

stata costituita una rete in Italia, nella quale i centri aderenti possono registrare, secondo uno schema

preimpostato, i dati riguardanti i parametri utilizzati, l’efficacia, la tollerabilità ed i risultati estetici delle

condizioni “off-label” trattate con terapia fotodinamica.

Verranno esposti i dati raccolti nel periodo 2005-2010 relativi a 220 pazienti affetti da dermatosi

infiammatorie e problematiche di tipo estetico.

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LA FOTODINAMICA COME TERAPIA NEOADIUVANTE NELLA CHIRURGIA DEL CARCINOMA BASOCELLULARE

C. Peccianti, R.Sirna, P. Taddeucci, P Pellegrino

La Terapia Fotodinamica è una metodica terapeutica non invasiva utile per il trattamento di ben specifiche

neoplasie cutanee, non NSCM. L’efficacia è molto alta per i piccoli tumori superficiali e non sono mai stati

registrati effetti indesiderati a lungo termine. La guarigione avviene con scarsi o nulli residui cicatriziali e la

procedura può essere ripetuta senza sommazione di tossicità. L’interesse della PTD come terapia

neoadiuvante si è ultimamente accresciuto con la verifica sperimentale prima e in patologia umana poi, delle

grandi potenzialità antitumorali di questa terapia quando questa viene combinata con la chirurgia che rimane

il gold standard per i tumori cutanei. A tal fine presentiamo e discutiamo il caso di una paziente di 78 anni

diabetica e in terapia con anticoagulanti che si è presentata alla nostra osservazione con un basalioma di

ampie dimensioni localizzato a livello della regione vertebrale inferiore. Tale neoformazione è stata

dimensionalmente ridotta effettuando diverse sedute di terapia fotodinamica provvedendo successivamente

all'asportazione chirurgica della parte residuale.

CHIRUGIA FOTO CHEMIO GUIDATA PER LA VALUTAZIONE DEL CORRETTO MARGINE PREOPERATORIO NEI CARCINOMI CUTANEI

F.R. Martone (Isernia)

Attualmente l’escissione dei carcinomi viene effettuata con margini di 4-5 mm per i carcinomi a cellule

basali e 7-8 mm per i carcinomi a cellule squamose. Tale margine risulta essere a volte eccessivo altre volte

insufficiente.

Non essendo in Italia praticabile, soprattutto per motivi economici, la chirurgica di Mohs che rappresenta il

“golden standard” su tali tipi di neoplasie specialmente se localizzate su aree particolarmente importanti a

fini estetico/funzionali (vedi volto e genitali). Si propone una metodica alternativa che pur non pretendendo

di sostituire la chirurgia di Mohs consenta escissioni più adeguate. La metodica da noi proposta prevede più

tappe sequenziali di osservazione della lesione in modo da ben definire i margini della lesione stessa.

La prima osservazione viene effettuata a luce polarizzata. Con tale luce si segna un primo margine;

successivamente si effettua a mezzo di apposizione di olio di mandorle una osservazione a contatto a 35 X

con videodermatoscopio per la valutazione dei capillari della lesione. Lo studio dei capillari, espressione

della neoangiogenesi, consente di visualizzare eventuali ramificazioni della lesione stessa. In tale fase si

disegna un secondo margine che sarà più o meno sovrapponibile al precedente.

In ultimo, dopo aver disegnato questi due margini, si considera un ulteriore cm di distanza rispetto al

margine più periferico, e 24 ore prima dell’intervento si applica in occlusiva un preparato a base di acido

alfaminolevulenico. Tale occlusiva viene tolta un’ora prima dell’intervento lasciando la lesione libera di

prendere luce naturale. Successivamente viene osservata al buio con luce di Wood ove sarà visibile in

luminescenza un’area di colore differente rispetto al resto della cute sana circostante che rappresenta la

probabile reale estensione del tumore. Si procede ad escindere con un margine di 3 mm opportunamente

marcato. La valutazione istologica di 35 casi eseguiti negli ultimi 18 mesi con tale tecnica ha fatto sempre

osservare sempre escissioni complete con opportuno margine.

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ELETTROCHEMIOTERAPIA, UNA VALIDA ALTERNATIVA ALLA CHIRURGIA NEI TUMORI DEL DISTRETTO TESTA-COLLO: LA NOSTRA ESPERIENZA CLINICA

S. Calvieri, P. Curatolo Università degli Studi di Roma “Sapienza” Clinica Dermatologica  L’Elettrochemioterapia (ECT) è una procedura terapeutica basata sull’elettroporazione di tessuti tumorali in

combinazione con la somministrazione locale o sistemica di farmaci chemioterapici, quali la bleomicina e/o

il cisplatino, potenziandone così l’azione citotossica.

Questa modalità di ablazione tumorale si è dimostrata efficace nei confronti di diversi istotipi neoplastici,

anche e soprattutto in quei casi non responsivi o non candidabili a chemioterapie classiche, terapie

locoregionali o ad altre modalità di trattamento.

I principali vantaggi dell’ECT comprendono: un elevato tasso di successo nel controllo locale del tumore,

anche dopo una sola seduta; scarsi effetti collaterali e ampia tollerabilità; facilità e rapidità di esecuzione e un

ottimo rapporto costo/beneficio.

Considerando, dunque, il buon profilo di sicurezza e l’ampio spettro di utilizzo della metodica, l’ECT può

essere proposta come modalità di trattamento alternativo alla chirurgia a scopo curativo e/o palliativo, al fine

di migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Gli Autori riportano l’esperienza clinica maturata in 6 anni nell'utilizzo dell' Elettrochemioterapia come

trattamento dei tumori del distretto testa-collo.

I risultati ottenuti evidenziano l’efficacia e l’adattabilità della suddetta metodica e soprattutto, rispetto alla

chirurgia, una minore invasività nei confronti di quelle neoplasie cutanee localizzate in sedi di difficile

approccio terapeutico.  

 

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ELETTROCHEMIOTERAPIA COME TERAPIA COMPLEMENTARE ALLA

CHIRURGIA

R. Santoni(Forlì), B. Tavaniello (Bologna) L’Elettrochemioterapia (ETC) è una opportunità terapeutica per il trattamento locale delle metastasi cutanee

e sottocutanee non trattabili chirurgicamente.

L’applicazione può estendersi anche a tumori primitivi non aggredibili chirurgicamente per sede o per

condizioni compromesse del paziente.

L’ETC è il risultato della combinazione di due effetti: l’elettroporazione delle membrane cellulari e la

somministrazione di farmaci chemioterapici. L’elettroporazione si basa sull’applicazione locale di impulsi

elettrici brevi ed intensi che permabilizzano reversibilmente le membrane cellulari. I farmaci più adatti per

l’ETC sono la Bleomicina ed il Cisplatino, la cui cito-tossicità aumenta reversibilmente in combinazione con

l’elettroporazione, come dimostrato da molti studi in vitro ed in vivo.

Questa tecnica può integrare la chemioterapia classica e spesso permette di evitare una chirurgia demolitivi

con effetti collaterali minimi.

Può inoltre rappresentare una metodica complementare (trattamento combinato) o potenziante (bonifica dei

margini, demolizione di malattia residua non asportabile) la chirurgia.

Nella nostra relazione definiremo le basi razionali, lo standard di applicazione, i risultati e le nuove

prospettive relative alla metodica con particolare interesse ai trattamenti integrati alla chirurgia.

ELETTROCHEMIOTERAPIA: FOLLOW-UP A LUNGO TERMINE E PROSPETTIVE FUTURE P. Quaglino Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Sezione di Dermatologia. Clinica Dermatologica, Università di Torino L’elettrochemioterapia costituisce ormai una metodica terapeutica consolidata per il trattamento dei tumori

cutanei primitivi e delle metastasi cutanee da tumori solidi, che associa la somministrazione di

chemioterapici per via intralesionale o sistemica con la stimolazione tramite elettrodi inseriti a livello delle

lesioni stesse.

Nella presente relazione, verrà analizzata la casistica di pazienti trattati presso il nostro Centro a partire dal

2005, che include prevalentemente casi di melanoma metastatico, ma comprende anche pazienti con sarcoma

di Kaposi, epiteliomi e metastasi cutanee da carcinomi solidi.

L’attenzione sarà soprattutto mirata sui dati di follow-up a lungo temine e sulla possibilità di mantenere un

adeguato controllo locale delle lesioni. Inoltre, saranno illustrate eventuali prospettive per studi futuri,

soprattutto nell’ambito dell’associazione con immunoterapia.

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ELETTROCHEMIOTERAPIA: L’ESPERIENZA VENEZIANA S. Pasquinucci U.O. di Dermatologia dell’azienda ULSS 12 veneziana. L’Elettrochemioterapia è un nuovo modo di approccio fisico-chimico alle neoplasie o metastasi cutanee e sottocutanee che si basa sulla combinazione di due effetti: infusione di un Farmaco antiblastico idrofilo e l’Elettroporazione di membrane cellulari che ha come effetto produrre alte concentrazioni del farmaco antiblastico all’interno delle cellule trattate. Questa metodica si applica per il controllo locale di neoplasie a sede cutanea e sottocutanea (melanoma, sarcomi, carcinomi, metastasi cutanee) non aggredibili chirurgicamente e/o resistenti alla chemio e radioterapia. Dagli inizi del 2010 presso la U.O. di dermatologia vengono effettuati interventi di elettrochemio terapia. Gli interventi sono eseguiti, in regime di degenza ordinaria, presso la piastra operatoria del Dipartimento di chirurgia dell’Ospedale Civile di Venezia, in genere con una seduta al mese. I farmaci impiegati sono Bleomicina e Cisplatino. Le frequenze impiegate per l’erogazione degli impulsi sono di 1 Hz o 5 kHz e sono generate dal Cliniporator (IGEA S.r.l., Carpi, Italy). La scelta dei pazienti da trattare avviene secondo i criteri dell’ ESOPE*. Le sedute vengono fatte in anestesia generale / sedazione profonda oppure con diverse metodiche di anestesia locale. Secondo le indicazioni ESOPE le anestesie generali o la sedazione profonda è indicata per i pazienti con elevato numero di noduli o noduli di grandi dimensioni, per lesioni su zone del corpo molto sensibili e l’anestesia locale (con epinefrina) per pazienti con pochi noduli, con lesioni di piccole dimensioni o per quei pazienti le cui condizioni non consentano un trattamento in regime di anestesia generale. A Venezia vengono quindi ammessi al trattamento pazienti con qualsiasi tipologia istologica di neoplasia, malattia metastatica o progressiva, pazienti già trattati nei modi standard, con noduli tumorali cutanei o sottocutanei misurabili, pazienti di >18 anni con una spettanza di vita almeno di 3 mesi, pazienti in grado di fornire un consenso informato. I Criteri di esclusione sono: Metastasi extracutanee rapidamente progressive o sintomatiche, disordini della coagulazione che devono essere valutati di caso in caso (anche perché difficilmente l’infissione degli aghi dei manipoli provocano sanguinamenti non controllabili, forse è invece più importante il problema opposto: rischio di insorgenza di trombosi venose nei segmenti sottoposti ad elettroporazione), allergia al Cisplatino od alla Bleomicina, superamento della dose cumulativa di Bleomicina (250 mg/m2), insufficienza renale cronica, pazienti aritmici, pazienti con pacemaker (anche questa condizione deve essere valutata di caso in caso: se la procedura è svolta in piastra operatoria in presenza dell’anestesista e del cardiologo è sempre possibile disattivare il PM e monitorando adeguatamente il paziente nelle condizioni più ottimali si è sempre pronti a riattivare il PM ed eventualmente a rianimare immediatamente il paziente), pazienti epilettici, Gravidanza o allattamento. Dal Gennaio 2010 sono stati trattati 16 pazienti: 7 maschi e 9 donne, età media 83 anni (range 69 – 99 aa.), 6 pazienti con Melanoma metastatico, 4 pazienti con carcinomi squamocellulari, 3 pazienti con carcinomi basocellulare, 2 pazienti con Sarcoma di Kaposi, 1 paziente con recidiva cutanea di neoplasia mammaria. In tutto 29 trattamenti con una media di 1,81 trattamenti/paziente (range 1 – 5). Dall’aprile 2011, presso il nostro centro, non è stata più praticata alcuna anestesia generale o sedazione profonda, ed anche nei casi più estesi o di interessamento di zone del corpo particolarmente sensibili è stata utilizzata l’anestesia tronculare ecoguidata associata ad una sedazione leggera (Ipnovel) o l’anestesia spinale. *(European Standard Operating Procedures of Electrochemotherapy)

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NUOVI TUMORI CUTANEI EMERGENTI

F. Rongioletti Clinica Dermatologica Università di Genova

L’autore discuterà sulla base delle sue personali esperienze alcune nuove neoplasie cutanee che hanno

suscitato un grande interesse in campo dermatologico e patologico quali il tumore squamo-melanocitico o la

neoplasia a cellule plasmocitodi dendritiche blastiche oppure verranno considerati alcuni nuovi aspetti

anatomo-clinici di neoplasie quali l’angiosarcoma pseudolinfomatoso o il carcinoma squamo cellulare con

metaplasia mucinosa

Bibliografia

Rongioletti F, Baldari M, Carli C, Fiocca R.Squamomelanocytic tumor: a new case of a unique biphenotypic neoplasm of uncertain biological potential.J Cutan Pathol. 2009 Apr;36(4):477-8

 

 

 

IL MELANOMA PEDIATRICO G. Ferrara UOC Anatomia Patologica AO Gaetano Rummo – Benevento Il melanoma pediatrico, meglio definito come melanoma dell’età prepuberale insorge in determinati contesti

clinicopatologici, tutti da considerare infrequenti o addirittura eccezionali:

melanoma congenito (primitivo fetale o da metastasi transplacentare);

melanoma in condizioni sistemiche predisponenti (melanosi neurociutanea, xeroderma pigmentoso);

melanoma associato a nevo congenito (gigante o piccolo-intermedio)

melanoma di tipo ‘adulto’

melanocitomi (tumori di Spitz, nevo profondo penetrante atipico).

In tutti questi contesti, il melanoma pediatrico presenta caratteristiche che lo differenziano abbastanza

nettamente da un ‘melanoma convenzionale’: tra queste caratteristiche, la prognosi, he a parità di spessore,

sembra essere consistentemente migliore.

Bibliografia Scalzo DA, et al. Childhood melanoma: a clinicopathological study of 22 cases. Melanoma Res1997;7:63.

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NON MELANOMA SKIN CANCER: COLLOQUIO TRA IL DERMOCHIRURGO E L'ANATOMOPATOLOGO G. Filosa, A. Filosa, L. Bugatti U.O. Dermatologia Osp. Carlo Urbani ASUR Marche Area Vasta 2 Jesi “” U. O. Anatomia Patologica Osp. Macerata ASUR Marche Area Vasta 3 I tumori della pelle rappresentano una patologia cutanea molto frequente in tutti paesi del Mondo, con alta

incidenza nell’età adulta, anche se casi in età più giovanile sembrano attualmente essere maggiormente

frequenti.

La maggior parte è rappresentata dai carcinomi basocellulari e spino cellulari con un rapporto di circa 5:1.

Secondo l’American Cancer Society l’annuale incidenza dei Skin Cancers è ora stimata essere più di un

milione e mezzo di nuovi casi e si pensa che circa il 20% degli americani svilupperà un tumore durante la

vita. La loro prevalenza in Italia è considerevolmente più bassa forse perché sotto diagnosticata o comunque

non correttamente stimata. Possono essere localmente invasivi e, pur essendo raramente metastatizzanti, la

loro mortalità si calcola intorno a 0.91/100000 per anno.

Attualmente c’è una grande varietà di tecniche diagnostiche non invasive, che vengono quotidianamente

utilizzate, ma il gold standard per la diagnosi rimane comunque l’istologia.

A questo riguardo c’è da precisare che molto importanti sono i rapporti tra il Dermochiurgo e l’Anatomo

Patologo, che dovrebbero lavorare in sintonia, contrassegnando il primo i punti di repere sulla lesione escissa

e poi inviata e descrivendo il secondo i margini e le varianti istologiche così importanti dal punto di vista

diagnostico e prognostico e punto fondamentale per l’adozione di una strategia terapeutica radicale.

Bibliografia:

Raasch B.A. Buettner P.G. Basal cell carcinoma: histological classification and body- site distribution. Br itish Journal

of Dermatology 2006;155:401-407

Rogers W. Coldiron Brett M. A relative value unit-based cost comparison of treatment modalities for non melanoma

skin cancer; Effect of the loss of the Mohs multiple surgery reduction exemption. J.Am Acad. Dermatol 2009;61:96-

103

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LA DIAGNOSI ISTOLOGICA DEL MELANOMA: UPDATE E CONTROVERSIE

S. Simonetti Clinica Dermatologica, Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia La presentazione verte sulla refertazione istologica del melanoma.

A questo proposito, le indicazioni più attendibili sono quelle rintracciabili nella “versione 2009 del The

American Joint Committee on Cancer (AJCC) system of melanoma staging and classification” (1) e nelle

“NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology: Melanoma, Version 3.2012” (2). La stadiazione

patologica corretta (p-TNM) deve prendere in considerazione (3):

sottotipo istogenetico;

presenza o assenza di componente desmoplastica;

spessore di Breslow;

livello di Clark;

fase di crescita radiale (non tumorigenica) e verticale (tumorigenica);

figure mitotiche;

ulcerazione;

regressione;

invasione linfovascolare;

invasione perineurale;

satellitosi microscopiche;

linfociti infiltranti il tumore;

nevo melanocitico associato;

citologia predominante;

margini di resezione;

ibridazione comparativa genomica (CGH) o ibridazione fluorescente in situ (FISH), per le lesioni

istologicamente “equivoche”.

Ciascuno di questi aspetti verrà discusso in dettaglio.

Infine, vengono precisate alcune regole da seguire in laboratorio quando vengono allestiti preparati istologici

relativi a lesioni melanocitarie.

Bibliografia

Balch CM, Gershenwald JE, Soong S et al. Final Version of 2009 AJCC Melanoma Staging and Classification. J Clin

Oncol 2009; 27(36): 6199-2006.

NCCN (National Comprehensive Cancer Network) Clinical Practice Guidelines in Oncology: Melanoma, Version

3.2012 (www.nccn.org).

Ivan D, Prieto VG. An Update on Reporting Histopathologic Prognostic Factors in Melanoma. Arch Pathol Lab Med

2011; 135: 825-9.

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TUMORI DELL’ UNITA’ UNGUEALE P.A. Fanti, C.Misciali, Università degli Studi di Bologna Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale Sezione di Clinica Dermatologica Le neoplasie dell’unità ungueale sono di raro riscontro. Possono originare dall’epitelio, dai melanociti, dai

tessuti molli, o essere di tipo degenerativo.

Tali neoplasmi si distinguono in forme che derivano dai componenti specifici dell’unità ungueale, in forme

che non derivano dai componenti specifici dell’unità ungueale ma con alta incidenza di localizzazione

ungueale, e neoplasie con occasionale localizzazione ungueale.

I tumori esclusivi dell’apparato ungueale sono di tipo epiteliale, fibroepiteliale o degenerativo. I tumori di

tipo epiteliale si differenziano verso la matrice o il letto ungueale. Una neoplasia che si differenzia nella

matrice ungueale è l’onicomatrixoma , istologicamente costituito da invaginazioni epiteliali della matrice

all’interno della lamina ungueale . Recentemente abbiamo descritto una nuova entità l’onocoblastoma.

Altri tumori esclusivi dell’unità ungueale sono: onicopapilloma, cisti e corno onicolemmale, cisti

epidermoide intraossea e inclusioni epidermoidi sub-ungueali che derivano dai componenti dell’ unità

ungueale, che sono caratterizzate istologicamente da marcata iperplasia del letto ungueale e da cisti

epidermiche nel derma papillare.

I tumori fibroepiteliali sono rappresentati dal tumore di Koenen e dal fibrocheratoma digitale ed il

fibromixoma acrale che spesso

Tra i tumori di tipo degenerativo sono da annoverare l’esostosi subungueale, che consiste di due tipi, quella

di tipo I giovanile, caratterizzato dalla presenza di cartilagine e quella di tipo II o dell’adulto dove si

osservano solo calcificazione e ossificazione . La cisti mucosa digitale consiste di una cavità contenente

mucina, alcian-blu positiva, che comprime il collagene circostante e spesso si associa a fenomeni artrosici

delle falangi .

Il carcinoma a cellule squamose, il morbo di Bowen, il carcinoma verrucoso, nevi e melanomi, il tumore a

cellule giganti delle guaine tendinee, il tumore glomico sono tumori non esclusivi ma ad alta incidenza tra le

neoplasie a localizzazione ungueale. In particolare il carcinoma a cellule squamose assume una prognosi più

severa nell’unità ungueale per la vicinanza della falange ossea.

La localizzazione ungueale del carcinoma a cellule basali, di tumori annessiali e di comuni tumori benigni

dei tessuti molli come lipoma, mixoma e neurofibroma acquistano un carattere di peculiarità quando sono

presenti in questa sede.

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PROPOSTA DI REGISTRO TUMORI IN CHIRURGIA DERMATOLOGICA F. Fantini S.C. Dermatologia, Ospedale “A. Manzoni”, Lecco Le neoplasie cutanee comprendono una varietà di entità patologiche di differente origine, frequenza e gravità. Nella maggior parte dei casi queste neoplasie sono di agevole diagnosi e trattamento, nonché associate ad una bassa mortalità; occorre però considerare che, nel complesso, queste patologie comportano un enorme peso socio-assistenziale: circa la metà di tutte le forme neoplastiche origina infatti dalla cute. L’appropriatezza diagnostica e terapeutica nella gestione di queste patologie è pertanto fondamentale non solo per la salute del singolo paziente, ma anche in termini socio-economici per la sanità pubblica. La presa in carico e la gestione di questi pazienti non è uniforme per possibilità diagnostiche, scelte terapeutiche e soprattutto per formazione e grado di specializzazione del curante. Si può affermare che, in vaste aree del nostro Paese, manca uno specialista di riferimento per le neoplasie cutanee. A seconda delle tradizioni e delle possibilità del luogo, infatti, la gestione del paziente affetto da neoplasia cutanea può essere affidata a specialisti individuati sulla base di competenze generiche, oncologiche o chirurgiche (oncologo, chirurgo generale, chirurgo plastico), o competenze di distretto corporeo (ORL, maxillo-faciale, oculista, ortopedico). Le conoscenze di oncologia cutanea sviluppate attraverso formazione ed esperienza rendono però il dermatologo il naturale specialista di riferimento di questo settore, l’unico in grado di assicurare competenza specifica in tutte le fasi della gestione assistenziale (diagnosi-terapia-follow up). La letteratura internazionale sul tema certifica la superiorità della presa in carico dermatologica, in ambito di oncologia cutanea, rispetto ad altre specialità, in termini di accuratezza diagnostica e chirurgica (margini neoplastici) e di sopravvivenza. Purtroppo, nonostante siano da tempo operativi in Italia e all’estero molti Centri dermatologici che trattano casistiche oncologiche imponenti, in generale la competenza del dermatologo come specialista di riferimento per l’oncologia cutanea stenta ad essere riconosciuta. Molti fattori sono alla base di questo fenomeno: lo sviluppo recente del settore, la disomogeneità di offerta di una esperienza oncologica e chirurgica nell’ambito dei programmi di formazione specialistica, l’espansione di specialità limitrofe in un settore considerato di semplice gestione e basso rischio e, non ultimo, la mancanza di coordinamento strategico all’interno della specialità. Le grosse casistiche di terapia e prognosi, relative a carcinomi ed altre neoplasie cutanee, si riferiscono in generale a patologia in fase avanzata o di interesse distrettuale (es. testa-collo), e sono quindi raccolte e presentate da specialità di distretto; manca dunque una visione generale dell’argomento e paradossalmente il dermatologo, che pure filtra la grande maggioranza di queste patologie, è relativamente poco rappresentato nella letteratura internazionale. Su queste basi si fondano i ripetuti tentativi, attuati da parte di altre specialità e di autorità sanitarie, di escludere il dermatologo dalla gestione terapeutica del paziente dermato-oncologico. Sulla base di queste premesse appare importante iniziare a “fotografare” la situazione dell’attività chirurgico-oncologica in dermatologia, per analizzare il tipo di casistica trattata e ricavare dati utili relativi alla patologia (fattori di rischio, modalità di presentazione, fattori di prognosi) ed alla concreta prassi terapeutica (tipo di terapia, efficacia e limiti). L’obiettivo è di ampliare la nostra conoscenza delle neoplasie cutanee; contrastare la dispersione dell’esperienza dermo-chirurgica in “mini-casistiche”, prive di autorevolezza sul piano scientifico e di rappresentatività su quello socio-sanitario; dimostrare nei fatti che il dermatologo rappresenta il riferimento principale per il trattamento di queste patologie. Nel concreto si propone di iniziare una raccolta dati tramite scheda informatizzata specifica per tipo di neoplasia, comprendente dati clinici, patologici, terapeutici e di follow up. I dati raccolti saranno analizzati e presentati periodicamente. La raccolta dati è già iniziata presso il centro proponente (Dermatologia di Lecco) ed altre strutture dermochirurgiche, relativamente al ca. squamocellulare e neoplasie cutanee rare.

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TRATTAMENTO DEL VOLTO CON TOSSINA BOTULINICA M. Zanchi U.O. Dermatologia – Ospedale Civile di Venezia L’attività della tossina botulinica a livello muscolare è ben nota: sono numerose le pubblicazioni che dalla

fine degli anni 80 ad oggi hanno analizzato le modalità di azione del farmaco e la sua capacità di diffusione

sistemica e locale.

Per un corretto uso in medicina estetica è necessaria una buona conoscenza degli effetti diretti e indiretti

della tossina, dell’anatomia e fisiologia della muscolatura del capo e del collo e dei rischi di effetti

collaterali.

Per il trattamento delle rughe del volto viene utilizzata quasi esclusivamente tossina botulinica di tipo A,

onabotulinumtoxinA e abobotulinumtoxinA, incobotulinumtoxinA, che agendo sui complessi proteici che

determinano l’adesione delle vescicole contenenti acetilcolina alla membrana presinaptica, provoca una

chemiodenervazione persistente per un periodo di circa 12 settimane.

Nei trattamenti estetici del terzo superiore del volto, c’è un sostanziale accodo sui siti di infiltrazione pur

nell’ambito di variazioni individuali; bisogna comunque tener presente che le modalità di esecuzione del

trattamento possono essere influenzate anche dalle richieste del paziente; secondo questo principio sarà utile

mantenere degli schemi di riferimento ai quali di volta in volta apportare le opportune variazioni, di

posologia e diluizione, in relazione all’effetto che si vuole ottenere.

Fra gli svariati effetti da considerare nei trattamenti estetici va ricordata la possibile influenza sugli schemi di

espressione delle emozioni.

La tossina botulinica determinando una inattivazione selettiva della muscolatura mimica può produrre una

variazione degli schemi di espressione preordinati.

Avvengono così processi di riorganizzazione della mimica facciale che possono determinare effetti estetici

sia positivi che negativi.

TRATTAMENTO DEL TERZO INFERIORE DEL VOLTO CON FILLER M. G. Galimberti I.C.L.I.D. – Milano

Nel corso degli ultimi decenni gli sviluppi della medicina e chirurgia estetica si sono indirizzati a cercare di

ridurre i segni dell’invecchiamento facciale mediante tecniche sempre meno invasive.

Lifting, laser resurfacing sono usati per cercare di risolvere tale problematica,ma a causa dei loro tempi i

guarigione vengono oggi poco affrontati dai pazienti, che non vogliono andare incontro a periodi di

convalescenza.

Per tale motivo i filler a base di acido ialuronico tornano ad essere in auge per trattare non sole le rughe del

volto, ma anche per compensare quelle perdite di grasso dovute all’invecchiamento.

Il ruolo del filler è quello di ridare i volumi che si sono perdi e quindi oltre che a riempire le singole rughe,

viene infiltrato anche nell’occhiaia, negli zigomi,nelle labbra etc…. le tecniche di impianto sono molteplici

da quella lineare, a quella a ponfi a quella con le cannule.

Ogni zona da trattare necessita di un filler con viscosità e densità diverse: più fluido se dobbiamo lavorare a

livello dell’orbita, più denso se dobbiamo sostenere uno zigomo.

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TRATTAMENTO DEL TERZO SUPERIORE DEL VOLTO CON FILLER: DUE TECNICHE A CONFRONTO M. G. Galimberti I.C.L.I.D. – Milano Nel corso degli ultimi decenni gli sviluppi della medicina e chirurgia estetica si sono indirizzati a cercare di

ridurre i segni dell’invecchiamento facciale mediante tecniche sempre meno invasive.

La tossina botulinica, entrata in uso in Italia nel 2004, è subito diventata il gold standard treatment per le

rughe espressive del terzo superiore del volto.

Nonostante l’uso ormai da lungo tempo e la conoscenza dei meccanismi d’azione e gli effetti collaterali,

alcuni pazienti si rifiutano di sottoporsi a tale trattamento. Lifting, laser resurfacing sono stati usati per

cercare di risolvere tale problematica,ma a causa dei loro tempi i guarigione vengono oggi poco affrontati dai

pazienti, che non vogliono andare incontro a periodi di convalescenza.

Per tale motivo i filler a base di acido ialuronico tornano ad essere in auge per trattare le rughe del terzo

superiore. Ovviamente il meccanismo d’azione è diverso da quello della tossina che distende le rughe

inibendo la contrazione muscolare.

Nel caso dei filler andremo a sollevare il fondo della ruga che si è creata cambiando il gioco di luci che c’è

sul volto e quindi dando un aspetto meno stanco, lasciando intatta la mimica del paziente.

TRATTAMENTO DEL TERZO INFERIORE DEL VOLTO CON FILLER F. Steffè (Trieste) I filler rappresentano uno dei più frequenti trattamenti di correzione del terzo inferiore del viso.

Possono essere divisi in materiali di “riempimento” e quelli per “volumetria”.

Quelli di “riempimento “ possono essere usati in genere per la correzione di rughe e labbra, quelli per

“volumetria” per zone da correggere più profondamente.

La scelta dei materiali è diversa a seconda dell’intervento da eseguire con possibilità di adoperare filler più o

meno densi e più o meno duraturi.

Anche le modalità di introduzione sono diverse a seconda del tipo di sostanza usata, della parte da trattare e

del tipo di correzione.

Tutte queste varianti vengono valutate e prese in considerazione in maniera da scegliere la tecnica più

corretta e più consona al difetto da trattare.

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USO DELLE MICROCANNULE NELL’INTRODUZIONE DEI FILLER

F. Steffè (Trieste) L’avvento delle micro cannule è stata una rivoluzione tecnologica nella introduzione dei filler aprendo nuove

possibilità nel trattamento del volto.

La loro atraumaticità, la facilità nella introduzione profonda dei filler, l’assenza pressoché totale di dolore

durante l’intervento, ne fanno uno strumento ormai indispensabile nella correzione di zone del viso che

abbiano bisogno di un aumento volumetrico.

La tecnica di introduzione è differente rispetto alla normale infiltrazione tramite ago e non è adatta a tutte le

situazioni.

Verranno pertanto descritte le modalità di esecuzione e le attenzioni che si devono prestare durante il loro

uso, la scelta delle cannule e le migliori indicazioni.

BIORIVITALIZZAZIONE E BIORISTRUTTURAZIONE

A. Trento (Fontaniva – PD) La biorivitalizzazione e la bioristrutturazione sono tecniche il cui compito è quello di ridare tono,

idratazione, luminosità ed elasticità ad una pelle affaticata e segnata dall’invecchiamento fisiologico nonché

dal fotoinvecchiamento dovuto ai raggi del sole.

Le differenze tra biorivitalizzazione e bioristrutturazione riguardano il ruolo delle singole tecniche, ossia per

biorivitalizzazione si intende la reidratazione tissutale superficiale mediante tecnica mesoterapica a

microponfi, per bioristrutturazione si intende una stimolazione fibroblastica con insorgenza di neocollagene

grazie ad un gel a base di acido ialuronico libero con peso molecolare di 1.2 MDa,peso che i recettori CD44

riconoscono per attivare la stimolazione fibroblastica, unito a due acidi ialuronici,uno a catena corta e uno a

catena lunga, cross linkati con BDDE più aggiunta di mannitolo che garantisce grazie alla sua azione di

scavenger dei radicali liberi l’integrità della matrice iniettata e quindi la continuazione della stimolazione

fibroblastica indotta inizialmente dall’acido ialuronico libero.

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NEOCOLLAGENOGENESI INDOTTA DA RADIAZIONI ELETTROMAGNETICHE NEL

LONTANO INFRAROSSO

S. Laspina1 , N. Zerbinati2

1Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Udine 2Clinica Dermatologia, Università degli Studi dell’Insubria - Varese Il Laser CO2 Frazionato rappresenta il gold standard per quanto riguarda il trattamento di rughe sottili, esiti

cicatriziali di acne, inestetismi del volto. Il CO2 Frazionato è un laser che utilizza una lunghezza d’onda di

10600 nm con un innovativo sistema di erogazione d’impulsi DOT mode. La metodologia si avvale del

sistema dei pixel ovvero la capacità del laser di creare zone di micronecrosi senza danneggiare l’epidermide

e senza raffreddamento cutaneo. Il trattamento prevede l’utilizzo del CO2 Frazionato a diversi tipi di

intensità con sedute programmate da 3 a 5 ad una distanza variabile dalle 2 alle 5 settimane.

La riparazione tissutale con produzione di nuovo collagene avviene in tempi brevi pertanto questa tecnica

permette un tempo di recupero relativamente basso (2-3 giorni). E’ consigliabile un protocollo pre laser

come un post laser per migliorare ed ottimizzare i risultati del CO2 Frazionato. Le indicazioni al trattamento

con laser frazionato sono le rughe sottili, skin resurfacing e fotoaging, cicatrici superficiali, irregolarità

cutanee, ringiovanimento cutaneo. Tale metodica è indicata e particolarmente efficace anche su zone molto

delicate, quali collo, decolté e mani, difficili da trattare con le metodiche tradizionali.

In conclusione l’esperienza nell’uso del CO2 Frazionato con DOT mode ha portato a risultati di grande

rilevanza clinica e di grande soddisfazione per il paziente. L’utilizzo di tale tecnica per eseguire Skin

Resurfacing favorisce il naturale processo di guarigione dell’ organismo pertanto pur non essendo un laser

ablativo ne offre tutti i benefici riducendo i tempi di convalescenza e riducendo al minimo gli effetti

collaterali.

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ALOPECIA ANDROGENETICA DAL PUNTO DI VISTA MEDICO B.M. Piraccini, M. Starace, F. Bruni Dipartimento di Medicina Interna, dell’Invecchiamento e Malattie Nefrologiche - Sezione di Dermatologia e Venereologia (Direttore Prof.ssa Annalisa Patrizi) Università di Bologna L’alopecia androgenetica è una malattia lentamente progressiva, che può peggiorare più in fretta se

subentrano episodi di telogen effluvium acuto. Nelle forme iniziali, fino allo stadio IV di Hamilton nel

maschio, e al Ludwig II nella femmina, la terapia medica può essere efficace nel bloccare la progressione del

diradamento e migliorare l’aspetto clinico.

Attualmente si tende ad affiancare la terapia medica anche all’autotrapianto dei capelli, in quanto consente di

trapiantare un numero minore di follicoli e di mantenere più a lungo i risultati chirurgici.

I trattamenti medici sono diversi nel maschio e nella femmina. Nel maschio la scelta è fra Finasteride per via

orale alla dose di 1 mg al giorno o minoxidil lozione 5% applicato 2 volte al di. Nella femmina la scelta

migliore è il minoxidil al 2% in lozione applicato sul cuoio capelluto 2 volte al di. In alternativa si possono

usare farmaci che contrastano l0’effetto degli androgeni sui follicoli, come finasteride, flutamide o

ciproterone acetato, con associato un trattamento contraccettivo.

Le terapie mediche danno risultati solo se usate in modo continuato per almeno 4-6 mesi. La terapia non

deve essere sospesa per non perdere l’efficacia.

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AUTOTRAPIANTO DI CAPELLI: HOW I DO IT F. Buttafarro Università degli Studi di Torino L’alopecia androgenetica o calvizie comune è quella frequentissima situazione del cuoio capelluto che,

causando un’alterazione del profilo estetico del soggetto in questione, determina problemi psicologici e

relazionali ed interferisce negativamente con la qualità della vita.

E’ noto che la calvizie ha afflitto nel corso dei secoli molti personaggi celebri, impegnati a lasciare un segno

di sé e a passare alla storia, ma pur sempre preoccupati di ciò che stava succedendo sulla sommità della

propria testa. E se la calvizie ha afflitto l’umanità dalla notte dei tempi è accertato che dallo stesso periodo

molti si sono impegnati su come migliorare o guarire questo inestetismo. Quando però si tratta di valutare

una calvizie femminile, la verifica delle possibilità di terapia deve farsi più attenta e la proposta di un

possibile autotrapianto deve essere corretta e corrispondere ad aspettative reali e realistiche. La trasparenza

del cuoio capelluto fino alla vera e propria calvizie è vissuta dalle donne come una grave deturpazione fisica

che determina una drammatica diminuzione dell’autostima e genera enormi difficoltà relazionali, sociali,

lavorative. Nella cura della calvizie l’approccio terapeutico al problema è diverso nei due sessi.

La cura della calvizie maschile si avvale essenzialmente di tre possibilità: 1) Minoxidil (lozione al 2%-5%)

2) Finasteride (1 mg / die) 3) Terapia chirurgica. La Calvizie femminile richiede invece un approccio

diverso in quanto la finasteride non è consigliabile ed il minoxidil pare meno efficace per cui, nei casi di

calvizie femminile, al di là di possibili alterazioni ormonali, l’unica valida alternativa è rappresentata dalla

chirurgia. Le tecniche chirurgiche per la cura della calvizie sono numerose e possono essere usate

singolarmente od in associazione per ottenere il miglior risultato possibile.

La tecnica più conosciuta ed appetita è sicuramente l’autotrapianto con mini e micro innesti. Si tratta di

trasferire, con un intervento chirurgico in anestesia locale, un certo numero di bulbi, vivi e vitali, dalle zone

geneticamente non predisposte alla caduta (regioni laterali e regione nucale del cuoio capelluto) alle zone

diradate o prive di bulbi. In un intervento si riusciranno a prelevare e a preparare circa 3500-4000 bulbi

(megasession) che, una volta trapiantati sulle regioni calve, permetteranno di ottenere un risultato più che

soddisfacente ed estetico, con un aspetto del tutto naturale. La tecnica appare falsamente semplice ma

necessita di una équipe ben addestrata, di una preparazione precisa ed accurata, di un certo gusto estetico. Se

la tecnica è applicata correttamente da un esperto, si possono ottenere risultati definitivi per tutta la vita con

un aspetto assolutamente naturale, pur trattando aree calve anche molto estese. Fondamentale è la

progettazione e la realizzazione della linea frontale o frontal line per la quale è necessario avere

un’esperienza di tutto rispetto perché essa rappresenta la firma del chirurgo sull’intervento.

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DERMATOLOGIA RIGENERATIVA M. Monti (Milano)

Nello scenario medico il Dermatologo nasce come colui che è in grado di medicare e far chiudere le piaghe,

quindi come colui che sa risanare e rigenerare i tessuti. Un tempo risanare e rigenerare significava cruentare

la piaga magari con il fuoco o con l’aceto e più recentemente facendo sanguinare le ferite.

Pur senza nozioni di fattori di crescita e di cellule staminali l’intuito del Dermatologo aveva scoperto che

creando fittiziamente un’infiammazione si potevano stimolare i fattori rigenerativi dell’organo cute. Oggi

sappiamo che sono i fattori di crescita cellulari e le cellule staminali a determinare la rigenerazione ma siamo

ancora incerti sui metodi più validi per stimolare la rigenerazione.

Un errore comune del recente passato ma ancora oggi in atto è quello di cercare di stimolare la rigenerazione

con fonti termiche come LASER, Radiofrequenza, Luce Pulsata. Sebbene l’onda termica generi

infiammazione e azione specifica di retrazione sulle fibre del collageno, prevalgono poi i danni rispetto ai

vantaggi.

La Dermatologia Rigenerativa quindi, sia in patologia sia in estetica, deve adottare tecniche di buon profilo

di sicurezza oltre che di efficacia quali il Micropeeling, la Terapia Fotodinamica, il Needling, lipofiling ecc.

e deve prepararsi a tecniche più complesse ma più efficaci come l’uso delle cellule staminali.

CHIRURGIA DERMATOLOGICA P. Sbano Università degli Studi di Siena – Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche, Sezione di Dermatologia La letteratura scientifica nazionale ed internazionale nel campo della chirurgia dermatologica è sempre in

crescita e mantenere un adeguato aggiornamento sulla stessa per il professionista dermochirurgo è quanto

mai importante. E’ presentata una selezione di lavori scientifici pubblicati a partire dal 1 Gennaio 2010 nel

campo della chirurgia dermatologica ricostruttiva.

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MELANOMA F. Picciotto U.O. Chirurgia Tumori della Cute IRCC- Candiolo (TO) L’Autore analizza e commenta i principali contributi della letteratura internazionale editi nel corso del 2011.

In particolare, vengono trattati in chiave aggiornata i temi di più vivo interesse quali:

La terapia basata sulle evidenze del melanoma in fase iniziale

Le novità nel campo della terapia sistemica del melanoma metastatico

La terapia neoadiuvante nel melanoma ad alto rischio, con estensione regionale

Le linee guida della Linfoscintigrafia e della PET con 18F-FDG nel paziente con melanoma

Il ruolo clinico della biopsia del linfonodo sentinella nei pazienti con melanoma

La biopsia del linfonodo sentinella nel melanoma del distretto cervico-cefalico

La valutazione ecografica dello status linfonodale nel management del melanoma in fase iniziale

Il trattamento locale e intralesionale delle metastasi in transit

Inoltre, a due anni di distanza dalla introduzione della Settima Edizione dell’ AJCC Cancer Staging, viene

presentata una sinossi di quanto pubblicato sulla nuova stadiazione del melanoma e vengono discussi le

caratteristiche ed i limiti di alcuni strumenti “online” di valutazione prognostica, con particolare riferimento

al sito: melanomaprognosis.org.

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LASER E PCL NEL 2012: COSA C’È DI NUOVO M. Dal Canton (Belluno)

Una sessione what’s new in tema di tecnologie laser e sorgenti policromatiche pone delle limitazioni

obbligatorie termini di ampiezza della trattazione, data l’estensione sempre più ampia delle innovazioni

tecnologiche e dello spettro di indicazioni applicative.

In questa relazione volutamente si indicano le più importanti innovazioni in merito all’applicazione di

principi fisici innovativi o al perfezionamento di principi fisici già noti in campo laser e di sorgenti

policromatiche ( PCL), con accenno anche a nuove indicazioni e all’impiego di tecnologie laser note e di

nuove introduzione.

Si fa particolarmente cenno alle nuove modalità di combinazione laser vascolare, alla fisica delle cosiddette

Optimized Policromatic Light sources (OPL), al transepidermal drug delivery facilitato dal laser.

DERMATOLOGIA ESTETICA

A. Corazzol (Venezia) La dermatologia estetica o cosmetica può venire definita come la parte della dermatologia che si occupa del

miglioramento dell’aspetto del paziente, servendosi delle capacità di diagnosi,terapia e prevenzione tipiche

della specialità.

I cambiamenti che la pelle può presentare a causa di svariate malattie di interesse dermatologico, tra le più

comuni per esempio acne, rosacea, irsutismo,oppure le alterazioni legate al crono e al foto invecchiamento,

quali lentigo, lesioni ipercheratosiche, rughe, possono e forse devono venire valutati dallo specialista

scientifico della pelle, sia per proporre trattamenti di tipo correttivo scelti in base alle caratteristiche della

situazione da migliorare che per contrastare i danni da invecchiamento con le metodiche più sicure ed

efficaci a disposizione.

Il dermatologo, nel separare gli aspetti patologici da quelli estetici in virtù della sua preparazione

specialistica, rappresenta la figura ideale per garantire un adeguato percorso al paziente che desidera

raggiungere o mantenere il benessere psicofisico derivante da un armonioso rapporto con la propria

immagine.

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IL TRATTAMENTO DELLE ULCERE CUTANEE

M. Papi Responsabile Unità Operativa “Ulcere cutanee e dermatologia vascolare” Istituto Dermopatico Immacolata, IRCCS, Roma Il problema delle ulcere cutanee come “malattia sociale” del paziente geriatrico è solo parzialmente

conosciuto e considerato forse anche marginale dal Sistema Sanitario Nazionale. In realtà, si calcola che tale

patologia interessi soltanto in Italia oltre 700mila persone. La diffusione è correlata al progressivo

invecchiamento della popolazione nei paesi industrializzati, alle abitudini di vita (sedentarietà, alimentazione

scorretta, fumo di sigaretta, inquinamento ambientale), che favoriscono la comparsa di disturbi micro e

macrocircolatori periferici e alle patologie croniche che costringono all’immobilità (decubiti).

Le ulcere, malattie cronico-recidivanti, creano un enorme impegno di risorse economiche ed un crescente

disagio sociale. L’età avanzata è uno dei principali fattori di rischio.

La medicazione locale è attualmente ricca di presidi che necessitano una conoscenza applicativa specifica e

la terapia con i sostituti dermici e le applicazioni delle tecniche chirurgiche più avanzate hanno aperto nuovi

percorsi di grande prospettiva nella cura delle ferite che non guariscono.

SOSTITUI DERMICI – HYALOMATRIX M. Lombardo La presenza di ulcere cutanee sia acute che croniche oltre che terapie di tipo medico possono richiedere

applicazione di varie tecniche chirurgiche, comprensive il debridment e la copertura della soluzione di

continuo tramite lembi o innesti. La ricerca di tecniche sempre più efficaci e possibilmente sempre meno

invasive ha portato alla ricerca di nuove tecnologie tra cui il sostituto dermico di cui proponiamo la tecnica.

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IMPIEGO DI SOSTITUTI DERMICI NELLA RIPARAZIONE TISSUTALE CUTANEA NOSTRA ESPERIENZA CLINICA L. Valdatta, M. Cherubino, F. Maggiulli I sostituti dermici sono entrati nella pratica clinica nell’ultimo decennio. In principio sviluppati per essere

impiegati nella riparazione temporanea dei pazienti ustionati, sono stati indicati anche nella ricostruzioni post

traumatiche e post oncologiche.

I sostituti dermici bioingegnerizzati rappresentano un valida alternativa alle tecniche ricostruttive classiche, o

come metodo sinergico, permettendo il ripristino dello spessore e della pliabilità cutanea.

Il posizionamento dei sostituti dermici è semplice e rapido.

Trova come indicazione la ricostruzione dalle perdite di sostanza della mano, alle più ampie ricostruzioni

dell’arto inferiore. E’ stato utilizzato nella pratica clinica degli autori per ricostruire deficit del distretto testa

collo, del tronco e degli arti.

La formazione del neo-derma permette il rispristino della normale funzione anche nelle pieghe flessorie,

limitando la contrazione della guarigione delle ferite.

CUTE DA DONATORE R. Brambilla (Monza) Introduzione: I sostituti dermici sono oramai diventati parte integrante dei protocolli di trattamento delle

lesioni cutanee croniche. E’ necessario rivalutare e meglio precisare le modalità di utilizzo e le indicazioni.

Sino a poco tempo fa l’utilizzo era limitato nella nostra esperienza all’uso di preparati con cellule autologhe.

Abbiamo iniziato ad utilizzare sostituti dermici cellulari allogenici, con cheratinociti e fibroblasti su scafold

costitutito da acido ialuronico.

Materiali e metodi: abbiamo eseguito 290 innesti allogenici, 160 con cheratinociti e 130 con fibriblasti.

Per ogni paziente è stata eseguita rilevazione con scheda clinica di numerosi parametri, rivalutando la

situazione sino a 8 settimane e oltre.

Conclusioni: I dati clinici osservazionali sono estremamente interessanti, e, pur non essendo ancora

definitivi, permettono di rilevare una estrema positività nella evoluzione delle lesioni, con un giudizio

positivo in oltre il 90% dei pazienti.

Tali dati sono la base per proporre uno studio più complesso, che permetta di valutare oltre ai dati clinici,

dati istologici e biochimici.

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SOSPENSIONI CELLULARI

A. Motolese Azienda Ospedaliera Macchi, Varese

Le terapie innovative nell'approccio alle ulcere "non-healing" prevedono anche l'utilizzo di sospensioni

cellulari autologhe, che hanno mostrato eccellenti risultati nella applicazione in pazienti in condizioni di

flogosi cronica dell'ulcera senza segni di riepitelizzazione. E' ovvio che in questi casi si debbano operare

delle scelte, dettate anche da considerazioni di economia sanitaria, che indirizzano la scelta nei confronti di

metodiche di cui è dimostrata l'efficacia a fronte di una spesa proponibile.

Abbiamo effettuato 5 innesti con una sospensione cellulare (sistema Re-cell, innesto autologo in sospensione

cellulare), ottenendo degli ottimi risultati clinici. Le ulcere trattate, 4 venose ed una post-chirurgica del cuoio

capelluto, mostravano un'area non superiore ai 55 cm2 con una profondità massima al derma profondo.

L'utilizzo del Re-cell prevede il prelievo di circa 1 cm2 di cute del polpaccio o da altra sede e l'elaborazione

cellulare in circa 30 minuti in un kit apposito che esclude la necessità di ricorrere ad un laboratorio.

La tecnica si è rivelata semplice, scarsamente invasiva, ed ha consentito una ripartenza dei fenomeni di

riepitelizzazione in tempi rapidi. Crediamo che tale opportunità possa essere inserita nelle metodiche di

terapia avanzata delle ulcere non-healing, non soltanto per i buoni risultati ottenuti ma anche per la

valutazione della spesa in grado di essere coperta dai codici di rimborso sanitario ospedaliero.

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MATRICI DERMICHE A BASE DI COLLAGENE G. Guarnera Resp. Unità Operativa “Chirurgia Vascolare delle Lesioni Ulcerative” Istituto Dermopatico dell’Immacolata ( IDI – IRCCS ) Roma Le matrici dermiche trovano un campo di utilizzo sempre più ampio nella pratica clinica nel trattamento

delle ulcere di vaste dimensioni, estese ai piani profondi, site in sede atipiche, con scarsa tendenza a

guarigione.

Le caratteristiche ideali di una matrice dermica sono rappresentate da emostasi e buona aderenza al letto

dell’ulcera, aderenza immediata ai bordi della lesione, copertura dell’intera superficie e protezione contro

l’infezione e la perdita di liquidi, riduzione o eliminazione del dolore, assenza di reazioni immunologiche,

stimolo alla formazione di tessuto di granulazione, proliferazione di fibroblasti, angiogenesi,

riepitelizzazione, protezione contro la formazione di cicatrici esuberanti, piena trasparenza con eccellente

osservazione clinica del processo di guarigione.

L’attività coordinata e bilanciata delle cellule infiammatorie, vascolari, connettivali ed epiteliali necessitano

di una matrice extracellulare ( ECM ) per realizzare il processo di guarigione. La ECM è costituita in

prevalenza da collagene, una proteina fibrosa con proprietà tali da conferire resistenza ed elasticità alla

struttura di cui fa parte.

Le matrici a base di collagene costituiscono quindi la risposta naturale alle esigenze cliniche di gestione delle

ulcere ribelli a terapia. Infatti, dopo impianto di matrice di collagene si è osservata la ricostruzione di una

membrana basale al 7° giorno.

Viene riportata l’esperienza con una membrana a struttura tridimensionale in collagene di tipo I e di tipo III

ricavata da tessuti di origine animale ( pericardio e peritoneo parietale )*. Il collagene di tipo I rappresenta

circa il 90%del collagene totale presente nel corpo umano ed è caratterizzato da una forte resistenza

meccanica, mentre il collagene di tipo III è presente nel tessuto di granulazione, viene prodotto velocemente

e in grande quantità prima del collagene di tipo I, da cui è successivamente sostituito.

In virtù della sua composizione, la matrice agisce come stabilizzatore della struttura extracellulare favorendo

la formazione di una trama di ancoraggio e orientamento per i fibroblasti, rappresenta la base della struttura

architetturale che permette la corretta crescita e movimento di fibroblasti e cheratinociti e favorisce quindi la

formazione di un tessuto di granulazione sano.

E’ una membrana dotata di notevole tenuta e resistenza, eccellente biocompatibilità, ad alta stabilità,

facilmente idratabile, tende ad una spontanea adesione in poche ore ed è riassorbibile in 4-8 settimane.

Il suo utilizzo è indicato in tutti i casi e in tutti gli interventi chirurgici in cui sia richiesto l’uso di un prodotto

che guidi la neoformazione di tessuto connettivo vitale e vascolarizzato e/o il riempimento o la sostituzione

di tessuti connettivali.

Esiste una controindicazione all’applicazione in siti scarsamente irrorati, necrotici, infetti o eccessivamente

essudanti.

* Graftygen Derma, Teva

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VAC

M. Sigona Dirigente Medico - Unità Operativa di Dermatologia Ospedale Provinciale di Macerata – Area Vasta 3 - ASUR Regione Marche Responsabile Ambulatorio Ferite Difficili - Presidio Ospedaliero Tolentino Vac (Vacuum Assisted Closure) o meglio Terapia a Pressione Negativa (NPWT) è un presidio di

medicazione non invasivo che agisce sul letto della ferita utilizzando una pressione subatmosferica,

localizzata e controllata, continua o intermittente, per favorire la guarigione delle ferite. Sulla ferita difficile

consente la riduzione dell’edema, la rimozione dell’essudato, la riduzione della colonizzazione batterica, lo

stimolo alla granulazione del tessuto riparativo, il miglioramento della perfusione ematica, lo stimolo

neoangiogenico e soprattutto lo stimolo alla mitosi cellulare.

Trova indicazione sulle ferite acute e croniche, le ulcere diabetiche, le ulcere da pressione, le ulcere da stasi

venosa e miste, le ustioni, la preparazione di innesti e di lembi e anche sulle fistole.

Non va assolutamente utilizzata su ferite maligne (neoplastiche), fistole verso organi o cavità, ferite con

necrosi ed escara, osteomieliti non in trattamento, allergia a pellicole adesive con particolare precauzione nei

casi di emorragie in atto, terapie anticoagulanti in corso, problemi di ridotta emostasi.

Nella nostra esperienza confermiamo che il presidio risulta semplice da usare, riduce il tempo di

medicazione, accelera la guarigione (circa il 61% più rapida), riduce la durata del trattamento con 2 o 3

cambi settimanali consentendo una migliore gestione del paziente, è risultata utile soprattutto nella gestione

del paziente a domicilio e ci ha consentito di abbattere i costi globali di spesa.

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L'UTILIZZO DEGLI INNESTI CUTANEI IN DERMATOLOGIA S. Vernoni

Ospedali Riuniti di Trieste – Ospedale Maggiore

La tecnica dell'innesto cutaneo permette di ripristinare ampie soluzioni di continuo che altrimenti non sarebbe possibile

riparare. Il lembo, liberato dalle sue connessioni nervose e vascolari d'origine e posto sul difetto, sopravvive

inizialmente nutrendosi per capillarità e in seguito grazie alle connessioni vascolari neoformate che renderanno stabile

ed integrato l'innesto. Fondamentale quindi non solo la tecnica, ma anche un'accurata selezione e preparazione dei

pazienti, nonché la cura nel post-operatorio.

Presentiamo l'esperienza della Clinica Dermatologica di Trieste com un'ampia casistica di innesti sottili, a tutto spessore

e sostituti dermici per il trattamento di ulcere, ustioni e in chirurgia oncologica.

IDROSADENITE SUPPURATIVA

P. Sedona, M. Donini, S. Pasquinucci, F.Gai, M. Zanchi UOC Dermatologia Venezia-Mestre In occasione del Second International HS Research Symposium la Idrosadenite Suppurativa ( HS ) è stata definita come " malattia cronica , infiammatoria , ricorrente , disabilitante ; ad interessamento follicolare , presentazione post-puberale con formazioni cistiche profonde , dolorose , distribuite nelle aree dove sono prevalenti le ghiandole apocrine - ascelle , regioni inguinali , ed anogenitali " ( Danby - Margesson 2010 ). La definizione suggerisce la HS sia disturbo a prevalentemente interessamento delle ghiandole sudoripare apocrine; tuttavia recenti studi sembrano invece suggerire come HS parta quale disturbo della cheratinizzazione dai follicoli piliferi (Von Laffert 2010). Considerata " malattia rara " viene, al contrario , stimata una prevalenza pari all'1% . Piuttosto, il problema reale è la ritardata diagnosi, che porta spesso il paziente attendere anche dieci anni prima di un corretto inquadramento. La coesistenza, non infrequente, del " sinus pilonidalis ", il continuo sviluppo di ascessi, tragitti fistolosi, esiti cicatriziali fibrotici e comorbidità (es. malattie croniche infiammatorie intestinali) dovrebbero suggerire una presa a carico a tutto spessore di questi pazienti. Patologia orfana di terapie HS viene attualmente affrontata con approccio limitante. Il dermochirurgo non può non incontrare tali malati; è necessario riconoscerli per una presa a carico globale, propria di chi, come lo specialista dermatologo, è in grado di gestire il trattamento, anche con approccio medico (antibiotici, immunomodulatori etc . ) come suggerito da recente letteratura .

NEVO MELANOCITICO CONGENITO GIGANTE

M. Polverelli, F. Arcangeli

U.O. Dermatologia, Ospedale M.Bufalini, Cesena

Gli autori, dopo aver brevemente discusso della presentazione clinica dei nevi melanocitici congeniti giganti e del rischio di insorgenza di melanoma, presenteranno ampia documentazione iconografica in merito ai trattamenti, chirurgici e laser, attualmente disponibili.

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Sabato 21 Aprile 2012

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

RELAZIONI 

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DERMATOFIBROSARCOMA DEL CUOIO CAPELLUTO

M. Simonacci – M. Sigona Macerata Il Dermatofibrosarcoma protuberans (DFSP) è un sarcoma dei tessuti molli a basso-intermedio grado di

malignità, che prende origine dallo strato dermico della pelle.

Sebbene, storicamente, sia stata attribuita un’origine fibroblastica, recenti studi suggeriscono che possa

derivare dalle cellule dendritiche della pelle.

DFSP comprende circa lo 0,01% di tutti i tumori maligni e circa il 2 al 6% di tutti i sarcomi dei tessuti molli.

L'incidenza stimata è di 0,8 a 5 casi per 1 milione di persone l’anno, che corrisponde a circa 1.000 nuovi

casi l’anno in America. L'incidenza fra i neri (6,5 per milione) è quasi il doppio che tra i bianchi.

La durata della crescita del tumore, prima che sia fatta la diagnosi, varia da mesi o anni. Il DFSP spesso è

scambiato per lipomi, cisti epidermiche profonde, cicatrici, cicatrici ipertrofiche, cheloidi, dermatofibromi,

fascite nodulare e punture d’insetti.

Per questo motivo, non è rara una diagnosi ritardata, come nel nostro caso che presentiamo. Il tronco è la

localizzazione più comune (47%), seguita dagli arti inferiori (20%), dagli arti superiori (18%), e infine capo

e del collo (14%).

La diagnosi è istologica, con l’ausilio dell’immunoistochimica. La colorazione per CD34 è stata segnalata

positiva tra l'84 e il 100%.

La terapia è chirurgica. Recenti linee guida (NCCN) consigliano una distanza dal margine da 2 a 4 cm, con

trattamento chirurgico convenzionale.

Tuttavia, con l'avvento della chirurgia di Mohs, una completa escissione con controllo microscopico dei

margini , ha dato risultati eccellenti e offre il vantaggio di una ridotta morbilità chirurgica.

In uno studio comparativo della resezione ampia rispetto alla chirurgia di Mohs, la resezione larga è stata

associata a un tasso di recidiva del 13% mentre la chirurgia di Mohs non ha avuto recidive a 5 aa.

La prognosi generale per DFSP è eccellente. Il tasso globale di metastasi a distanza è solo il 5% e le

metastasi regionali sono pari a 1%.

Storicamente, i tassi di recidiva sono stati elevati, e vanno dall’11% -53%, ma con l'avvento della chirurgia

di Mohs, e di altre metodiche con controllo accurato dei margini, i tassi sono scesi. Anche nel caso di DFSP

ricorrente, la chirurgia di Mohs ha un 98% di successo.

Gli autori presentano un caso clinico particolare di localizzazione al cuoio capelluto, insorto da 2 aa., con

escissione ampia e accurato controllo istologico dei margini.

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RICOSTRUZIONE DELLA PALPEBRA INFERIORE DOPO DEMOLIZIONE TOTALE

C.Magnoni, M.Francomano, AC Salgarelli 

I difetti della palpebra a tutto spessore con una larghezza di più del 50% della palpebra sono ricostruiti in due

strati dei quali almeno uno deve essere vascolarizzato per consentire la sopravvivenza di un innesto libero. Il

lembo di Hughes è stato descritto più di settanta anni fa come un metodo per la ricostruzione completa della

lamella posteriore della palpebra inferiore. La tecnica si basa sull’utilizzo della palpebra superiore

omolaterale. Un lembo tarso congiuntivale viene scolpito nella palpebra superiore e avanzato verso la

palpebra inferiore. La preservazione di almeno 4 millimetri di tarso del margine palpebrale superiore è

necessario per prevenire distorsioni della regione donatrice. Nella tecnica originale il lembo veniva

autonomizzato dopo 12 settimane. Nella nostra esperienza supportata da quanto riportato in letteratura, il

peduncolo tarso-congiuntivale può essere diviso senza complicanze dopo due settimane. La lamella anteriore

può essere ricostruita con un innesto dermo-epidermico, un lembo miocutaneo dalla palpebra superiore

oppure con un “cheek lift”.

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LIPOPLASTICA FACCIALE: UN LIFTING CERVICO-MANDIBOLARE NON INVASIVO F. Buttafarro Centro medico chirurgia estetica - dermatologica - Torino Nel panorama dei vari interventi proposti per un lifting basso del volto, occupa un posto importante la

lipoplastica faciale o lifting cervico-mandibolare non invasivo. Un intervento molto conosciuto in Francia

dove viene praticato con una certa frequenza, ma poco conosciuto nel nostro paese dove pochi operatori lo

conoscono e lo apprezzano. Si tratta di un intervento che si esegue attraverso piccolissime incisioni

preauricolari, mentoniera ed in alcuni casi anche attraverso un’incisione nella piega naso-geniena. Permette

un buon ringiovanimento della parte bassa del volto, specialmente in soggetti che presentano una caduta

evidente dei tessuti del collo e del bordo mandibolare. I casi difficili sono rappresentati da pazienti con un

rilassamento molto importante, spesso associato ad alterazioni cutanee e disidratazione con cute sottile,

inoltre dai forti fumatori che non interrompano l‘abuso di fumo qualche settimana prima dell’intervento. Per

i pazienti che presentano un pannicolo adiposo poco rappresentato, la lipoplastica faciale può essere una

soluzione minimamente invasiva in attesa che si presentino le condizioni per un lifting cervico-faciale.

L’anestesia sarà sempre locale e più precisamente un’anestesia cosidetta tumescente, ossia composta da

molta soluzione fisiologica e da poca anestesia addizionata con adrenalina 1/100.000. In questo modo la

soluzione ottenuta potrà scollare il tessuto dermico dai piani sottostanti attraverso un’idrodissezione e

l’anestetico, in misura ridotta, non provocherà fenomeni di sovraccarico inducendo, nel giro di 15 minuti,

un’analgesia completa.

Si procederà quindi ad uno scollamento con una cannula smussa da 3 millimetri, in modo da liberare

completamente le connessioni ed eventuali aderenze tra derma e sottocutaneo operando su tutto il comparto

operatorio cervico-mandibolare. Ad intervento terminato si applicherà un bendaggio elastico, per lo più

rappresentato da un tutore apposito, che verrà rimosso in quarta giornata facendo poi eseguire al paziente un

linfodrenaggio manuale, con movimento circolare, tre volte la settimana per 15-20 minuti per il primo mese.

Terapia antibiotica per cinque giorni ed antiedemigena per circa due settimane. La ripresa dell’attività sociale

e lavorativa sarà permessa dal quinto giorno mentre l’attività sportiva sarà rimandata al decimo giorno. Dopo

l’intervento potrà comparire lieve edema che durerà 5-6 giorni e la possibilità, seppur rara, di qualche piccola

ecchimosi che nel caso sarà facilmente nascosta da un trucco coprente. Le lesioni del nervo faciale sono

molto rare e comunque reversibili, possibili, ma sempre rare, nel caso di un precedente lifting. Naturalmente

la lipoplastica faciale non rappresenta in alcun modo un lifting cervico-faciale proprio per il fatto che non

vengono eseguite trazioni e suture interne, ma si sfrutta la tendenza dei tessuti, scollati e trattati nel modo

descritto, a riaccollarsi diminuendo la loro ampiezza per un fenomeno ben noto di retrazione. Nel caso

risultassero piccole imperfezioni sarà sempre possibile, dopo un tempo adeguato, eseguire piccole revisioni

sempre in anestesia locale.

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DOPPIO LEMBO DI AVANZAMENTO DELL'ELICE CON RESEZIONE DELLA SCAFA

S. Vienna U.O. di Dermatologia Ospedale S. Chiara Trento

La chirurgia del padiglione auricolare pone il chirurgo di fronte a numerose difficoltà per la struttura

anatomica e per la complessa superficie. L’obiettivo della ricostruzione è quello di creare un orecchio

“normale” nell’aspetto e nella posizione. Nel video viene proposta la ricostruzione del padiglione auricolare

con un doppio lembo di avanzamento condrocutaneo dell’elice con resezione della scafa dopo l’asportazione

chirurgica di un carcinoma basocellulare dell’elice.

Tecnica chirurgica L’intervento è preceduto da un’accurata valutazione dei margini di

escissione e da un disegno del progetto. Il solco dell’elice viene evidenziato anche sulla superficie posteriore

dell’orecchio in modo da rappresentare una guida durante l’allestimento dei lembi. L’anestesia viene

eseguita con mepivacaina e adrenalina 1:200.000 senza nessun rischio di ischemico. A questo punto si

esegue l’escissione a tutto spessore della lesione che viene marcata con filo di repere.

La ricostruzione inizia con l’incisione a tutto spessore del padiglione auricolare lungo il solco dell’elice

dapprima verso il basso fino quasi al lobo e successivamente verso l’alto fino all’inserzione. Si ottengono

così due lembi condrocutanei che possono essere avvicinati verso il centro del difetto in modo da

determinare l’area della scafa da resecare. La scafa viene rimossa e modellata con delle forbici. Infine si

suturano i lembi dapprima approssimandoli tra loro e poi alla cute del padiglione auricolare. Il risultato finale

è un’orecchio armonico, di dimensioni ridotte rispetto al controlaterale ma con una curvatura normale senza

tendenza ad accartocciarsi.

Le complicanze come ematoma, sanguinamento, infezione o edema prolungato sono rare vista l’assenza di

scollamento della cute. Le cicatrici sono ben mimetizzate: quella anteriore rimane nascosta nel solco

dell’elice mentre quella posteriore è scarsamente visibile da dietro.

In letteratura sono state descritte numerose tecniche chirurgiche per la ricostruzione del padiglione auricolare

dopo resezione dell’elice. L’escissione a cuneo è una tecnica più veloce ma spesso comporta una curvatura

eccessiva del padiglione auricolare. La conoscenza dell’anatomia vascolare è alla base dell’allestimento dei

lembi dell’orecchio. La vascolarizzazione dell’orecchio deriva da due rami principali: l’arteria auricolare

anteriore ramo dell’arteria temporale superficiale e dall’arteria auricolare posteriore che originano entrambe

dalla carotide esterna. Gli studi di dissezione su cadavere hanno dimostrato che esiste un sistema vascolare

ben sviluppato con interconnessioni fra i due rami arteriosi. Esistono perforanti che dall’arteria auricolare

posteriore si portano sulla superficie anteriore della cute dell’elice, del lobo auricolare, della conca e della

fossa triangolare. In questo modo è possibile allestire dei lembi condrocutanei peduncolati dell’elice con un

elevato rapporto base/altezza senza rischi di ischemia distale.

In conclusione il doppio lembo di avanzamento dell’elice con rimozione della scafa è una tecnica

ricostruttiva semplice e sicura che può essere eseguita facilmente in anestesia locale in un unico tempo.

Bibliografia 1. Butler CE (2003) Reconstruction of marginal ear defects withmodified chondrocutaneous helical rim advancement flaps. Plast Reconstr Surg 111:2009–2013 2. Holzmann RD, Guldbakke KK, Schanbacher CF (2008) Bilateral advancement flaps with helical rim Z-plasty modification for management of ear defects. Dermatol Surg 34:374–377 3. Tezel E, Ozturk N (2008) A practical approach in auricular surgery: double helical rim advancement flaps with scaphal resection. Plast Reconstr Surg 122:217e–218e 4. Tezel E, Ozturk N (2011) Double Helical Rim Advancement Flaps With Scaphal Resection: Selected Cases Over 10 Years and Review of the Literature. Aesth Plast Surg 35:545–552

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NEOPLASIE DELLA PUNTA DEL NASO: POSSIBILITA' RICOSTRUTTIVA CON LEMBI DI VICINANZA M. Lombardo (Varese)

La ricostruzione sub-totale del tip nasale e' sempre una sfida per il dermochirurgo.

Le varie possibilità spaziano dal lembo frontale agli innesti.

Proponiamo una metodica di semplice esecuzione che può permettere di riparare brecce oncologiche in

modo poco traumatico ed utilizzando tessuto con la medesima texture.

ESCISSIONE A CUNEO DI CARCINOMA SPINOCELLULARE DEL LABBRO INFERIORE

Zucchi, F. Satolli, C. Cortelazzi, E. Tognetti, G. Fabrizi U.O. di Dermatologia Direttore: Prof. G. Fabrizi Dipartimento di Scienze Chirurgiche - Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma

Si presenta il caso di una donna anziana con un carcinoma spinocellulare del labbro inferiore e nessuna

intenzione di sottoporsi ad intervento chirurgico.

La radioterapia, che abbiamo consigliato in alternativa, non ha ottenuto il risultato desiderato e quindi la

Paziente ha accettato la soluzione chirurgica proposta inizialmente.

Durante il filmato si potrà vedere la difficoltà nell’ottenere l’emostasi.

FILMATO SU INTERVENTO DI CHIRURGIA DI MOHS

M. Gattoni°,L. Angeli°, F. Flora*, M.L. Moia*, °S.S.v.D Dermatologia Ospedale S. Andrea, Vercelli *Struttura Complessa Anatomia Patologica Ospedale S. Andrea, Vercelli

La chirurgia di Mohs rappresenta l' intervento elettivo per il trattamento di Carcinomi Basocellulari siti in

sedi critiche del volto, specie se recidivi o di istotipo sclerodermiforme. E' un intervento in regime di Day

Surgery, eseguito in anestesia locale, con analisi anatomopatologica estemporanea previa mappatura e

colorazione dei frammenti asportati.

Gli autori presentano un filmato riguardante la tecnica chirurgica, il trattamento dei frammenti asportati

(mappatura e colorazione) e i successivi procedimenti anatomopatologici.

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

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CARCINOMI MULTIPLI DELLA REGIONE FRONTALE: ESCISSIONE SINCRONA E RIPARAZIONE MEDIANTE SINGOLA PROCEDURA

V. Altamura U.O.C. di Dermatologia, Ospedale “Perrino”, Brindisi

La presenza di carcinomi multipli delle aree fotoesposte è un’evenienza non infrequente nel soggetto anziano

quale risultato del danno attinico cronico.

La molteplicità delle lesioni comporta talvolta alcune difficoltà di trattamento, soprattutto quando le lesioni

sono situate in aree contigue. In tal caso si rende, a volte, necessario intervenire sulle singole lesioni in tempi

successivi al fine di evitare la somma di fenomeni di tensione. Altre volte l’impossibilità di disporre di cute

circostante integra rende impraticabile la riparazione delle brecce escissionali mediante mobilizzazioni

locali, e si rende, pertanto, necessario l’impiego di autoinnesti cutanei con risultati estetici non sempre

eccellenti. In qualche caso, però, una osservazione attenta consente di progettare escissioni multiple sincrone

con riparazione eseguita mediante singola procedura.

Nel caso che viene presentato l’operatore intravede, nella riparazione mediante lembi di avanzamento

contrapposti “a cassetto” (plastica ad H) progettata per ricostruire l’escissione di un carcinoma della regione

frontale, la possibilità di far ricadere altre lesioni della regione gabellare in un triangolo di scarico

appositamente modificato.

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LA CHIRURGIA MICROSCOPICAMENTE CONTROLLATA NELLA LENTIGO MALIGNA. CASISTICA CLINICA

M. Bertero, S. Palazzini, L. Musso

ASO Santa Croce e Carle – Cuneo

La Lentigo Maligna (LM) è una varietà di Melanoma cutaneo in situ a lenta crescita (oltre 15 anni prima di

sviluppare la fase invasiva) appannaggio dell’età avanzata (età media alla diagnosi 67 anni), che si colloca

sulle sedi di cronica foto esposizione (volto, orecchie, spalle, estremità distali).

Il tasso di recidiva dopo un’escissione standard si colloca tra l’8 ed il 20 % 1 . Ciò dipende dal fatto che il

margine clinico della lesione pigmentata è spesso sfumato e mal definibile: la lampada di Wood può essere

di aiuto nel definirlo meglio, tuttavia non sono insolite propaggini di melanoma documentate istologicamente

alcuni millimetri oltre il margine, comunque sia stato definito.

D’altro canto la radicalizzazione della LM è fondamentale perché questa variante di melanoma evolve verso

l’invasività in oltre il 5 % 1 dei casi e la persistenza di cellule melanomatose nella cute porta invariabilmente

alla recidiva.

In questo ambito si colloca la Chirurgia di Mohs, poco praticabile nelle strutture ospedaliere per il grosso

impegno organizzativo, ma anche la chirurgia microscopicamente controllata eseguita in differita per la

necessità di effettuare colorazioni immunoistochimiche, che permettono di ottenere l’eradicazione della

malattia in un numero molto elevato di casi.

Gli Autori discutono alcuni aspetti della tecnica e della loro casistica personale.

1.McKenna et al, Dermatol Surg 32:493, 2006

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TECNICHE INFILTRATIVE DEGLI ANESTETICI LOCALI

M. Donini (Venezia) L’anestesia loco-regionale comporta l’interruzione reversibile della conduzione nervosa con l’uso di farmaci specifici: questa interruzione della conduzione dell’impulso può essere eseguita in ogni regione del corpo in cui i nervi siano accessibili da un approccio esterno; Le indicazioni includono principalmente esigenze di: anestesia clinica (blocco chirurgico), per chirurgia dermatologica, ginecologica, traumatologica, urologia, ecc; anestesia in ostetricia ; analgesia post-operatoria; terapia del dolore (blocchi regionali diagnostici, prognostici, terapeutici); Prima di un’anestesia regionale occorre eseguire un esame accurato del paziente come per l’anestesia generale : in modo particolare devono essere escluse le controindicazioni relative come : diatesi emorragica, anormalità neurologiche (danno nervoso locale), ecc. E’ fondamentale prestare particolare attenzione alle relazioni anatomiche, alla palpazione dei reperi ed alla precisa marcatura del punto di puntura, come anche mantenere il costante contatto verbale col paziente in modo tale da poter riconoscere immediatamente possibili effetti collaterali o complicanze durante l’infiltrazione stessa. Le tecniche prevedono essenzialmente un impiego per: Anestesia locale Infiltrativa Tumescente Blocco tronculare Le tecniche di anestesia con blocco subaracnoideo, peridurale, caudale e di certi gangli, rimangono di esclusiva pertinenza dell’Anestesista. A. Infiltrativa: si caratterizza per un rapido onset, migliorato dall’aggiunta di 1 ml di NaHCO3 ogni 9 ml di anestetico, permette di poter usare una soluzione concentrata sulla linea di taglio; occorre accertarsi di non prendere un vaso e di valutare la quantità totale iniettata per non superare le dosi critiche specifiche delle varie molecole impiegate; A. Tumescente: il termine tumescente indica “gonfio e fermo”: infatti l’anestetico locale con adrenalina viene diluito mediamente fino a 20 volte ed in questo modo si ha un rallentato assorbimento che permette una analgesia prolungata ed un maggiore dosaggio limite (es per la Lidocaina si passa da 7 mg/kg a 45 mg/kg) oltre che l’innalzamento del piano chirurgico dalle strutture sottostanti ; Blocchi nervosi: si ottengono mediante iniezione diretta dentro (intraneurale) o immediatamente attorno al nervo (perineurale) che si distribuisce nell’area interessata ; per la estremità cefalica si illustrano le tecniche per i Nervi Occipitali, Trigemino ; per gli arti superiori il blocco del n. Ulnare, Radiale, Mediano all’altezza del gomito e del polso ; per gli arti inferiori il blocco alla caviglia del nervo Peroneo e surale, n. Safeno e n. Peroneo profondo.

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BASIC LIFE SUPPORT

J.L. Chanis Vargas (Forlì)

Il Supporto di base delle funzioni vitali (Basic Life Support, BLS) consiste nelle procedure di rianimazione

cardiopolmonare (RCP) necessarie per soccorrere un paziente che si trovi in stato di incoscienza ovvero in

condizione di apnea ovvero in arresto cardiaco.

Le procedure di BLS sono standardizzate e periodicamente sono sottoposte ad una revisione critica e ad un

aggiornamento in base all'evoluzione delle conoscenze da sulla base dell’International Consensus on

Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care Science with Treatment

Recommendations (CoSTR) che viene aggiornato ogni 5 anni, l’ultimo dei quali pubblicato ad ottobre 2010.

In Italia la pubblicazione e la diffusione delle linee guida internazionali sulla Rianimazione cardiopolmonare

(RCP) viene effettuata da Italian Resuscitation Council (IRC). L'obiettivo principale del BLS è la

prevenzione dei danni anossici cerebrali: la mancanza di apporto di ossigeno alle cellule cerebrali (anossia

cerebrale) determina delle lesioni che diventano irreversibili dopo circa 4-6 minuti di arresto di circolo. Le

manovre previste dal BLS sono rivolte a mantenere una ossigenazione d'emergenza (tramite ventilazione e

circolazione artificiali) ed in tal senso possono prevenire i danni tessutali da anossia. Le manovre di BLS

sono finalizzate a prevenire l'evoluzione verso l'arresto cardiaco in caso di ostruzione respiratoria o apnea o

provvedere alla respirazione e alla circolazione artificiali in caso di arresto di circolo. Esse sono presentate in

sequenza, ovvero un algoritmo in cui ad una serie di valutazioni segue una serie di azioni “correttive”,

secondo lo schema dell’emergenza dell'”ABCD”.

La RCP avrà più probabilità di successo, quanto più rapide ed efficaci saranno le procedure di soccorso, ed

in particolare dalla corretta applicazione della "Catena della sopravvivenza".

Il primo anello della catena si concentra sul riconoscimento precoce del paziente critico, in arresto cardiaco o

a rischio, e sulla chiamata per un trattamento precoce. Attualmente è riconosciuta l’importanza del

riconoscimento precoce del pz critico in ospedale e l’attivazione di un team di emergenza rapida per eseguire

trattamenti volti alla prevenzione dell’arresto cardiaco intraospedaliero. Gli anelli centrali individuano

l’integrazione della RCP con la defibrillazione come le componenti fondamentali della rianimazione precoce

nel tentativo di riportare in vita la vittima. Le compressioni toraciche determinano un flusso ematico ridotto

ma fondamentale il cuore ed il cervello ed aumentano le probabilità di successo della defibrillazione. Ogni

minuto di ritardo prima della defibrillazione riduce la probabilità di sopravvivenza alla dimissione del 10-

12%. Pertanto la defibrillazione, in passato annoverata fra le tecniche di rianimazione avanzata (ALS), viene

a tuttoggi inclusa come un passo del BLS praticato da personale sanitario (BLS-D).

L’anello finale della catena della sopravvivenza, ossia un efficace trattamento intensivo postrianimatorio, è

volto a preservare in particolare le funzioni cardiache e cerebrali e anch’esso è determinante per l’outcome

del paziente andato incontro ad arresto cardiaco.

Resuscitation 81S (2010) e1–e25

IRC-Linee Guida per la Rianimazione Cardiopolmonare 2010  

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OVERVIEW E PRECANCEROSI NEI CENTRI MTS

L. Arancio, M.Cusini

Centro MTS - U.O. di Dermatologia e Venereologia Fondazione Mangiagalli e Regina Elena, Policlinico Milano

La malattia di Bowen, l’eritroplasia di Queyrat e la papulosi bowenoide sono lesioni precancerose dell’area genitale la cui osservazione clinica presenta una grande variabilità dell’incidenza in base alle aree geografiche e alle popolazioni osservate. Si tratta comunque di affezioni rare in Europa e America del Nord : 0,4-0,6% dei tumori nell’uomo e il 2% dei cancri dei genitali. In Asia, Sud America e Africa rappresenta il 10-20% dei cancri nel sesso maschile. Un ruolo importante nella patogenesi è sicuramente ascrivibile all’infezione da HPV, in particolar modo di alcuni sierotipi detti oncogeni, in grado di codificare per alcune proteine che interagendo con le cellule dell’ospite ne disturbano il ciclo cellulare e determinano instabilità genica. Altri fattori di rischio correlati sembrano essere costituiti da fattori socio-economici e religiosi, in particolar modo si è notata una un’incidenza quasi nulla nelle are geografiche dove viene praticata la circoncisione alla nascita o nella prima infanzia. Le terapie proposte presso i nostri centri sono costituite da exeresi chirurgica, 5FU, imiquimod crema e laser CO2. Grande importanza e aspettative sono certamente rivolte ai vaccini bivalenti e quadrivalenti per HPV.

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PATOLOGIE NEOPLASTICHE E HIV

A. Di Carlo Istituto Dermatologico S. Gallicano - IRCCS - Roma

Tra le manifestazioni di interesse dermatologico nei soggetti colpiti da infezione HIV sono molto frequenti

due tipi di tumori (cd AIDS defining).

Si tratta del m di Kaposi-AIDS, in cui le lesioni interessano rapidamente l’ambito cutaneo in maniera diffusa

e simmetrica, ed interessamento orale e viscerale, e dei linfomi (linfomi di tipo B o indifferenziati, spesso

extralinfonodali).

Peraltro, a seguito della terapia HAART, negli ultimi anni è stata osservata una significativa riduzione di

questi tumori opportunisti, mentre appaiono in aumento altri tipi di tumori, non AIDS-specifici, quali linfomi

di Hodgkin, tumori del fegato, della cervice dell’ano (legati a virus come l’Epstein-Barr, l’epatite B e C,

HPV), testa-collo (HPV) polmoni (fumo).

Tra i carcinomi HPV-correlati più diffusi sono da considerare il carcinoma cervicale ed anale; entrambi si

manifestano a livello dell’epitelio mucosale, anche se il carcinoma dell’ano può localizzarsi anche a livello

dell’epitelio perianale cheratinizzato (aree quindi soggette metaplasia) .

E’ stato anche dimostrato nei soggetti immunodepressi un aumento dei carcinomi della testa e del collo

HPV-correlati, con sede principalmente nell'orofaringe, tonsille, base della lingua e palato molle.

Va inoltre considerato una diversa forma di insorgenza di alcuni tumori, in particolare il m di Kaposi).

È stato evidenziato che approssimativamente il 6,6% dei soggetti HIV positivi sviluppa il sarcoma di Kaposi

come manifestazione di sindrome da immunoricostituzione, di solito nelle prime 8 settimane

dall’introduzione della terapia (sindrome IRIS, Immune Reconstitution of Inflamatory Sindrome).

L’insorgenza risulta indipendente dal tipo di terapia HAART e può essere presente anche in soggetti con

livelli di CD4 elevati.

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TUMORI IN ZONA GENITO-ANALE

C. Colli Centro Malattie e Trasmissione sessuale, ASS1 Triestina

Gli operatori che lavorano presso il Centro Malattie e trasmissione sessuale sono spesso in posizione

privilegiata nella richiesta di valutazione di neoformazioni della regione genito-anale.

Si trovano pertanto coinvolti nella diagnosi differenziale di lesioni a genesi infettiva, irritativa o neoplastica.

Il rapporto infezione-carcinogenesi nell'ambito delle malattie a trasmissine sessuale è particolarmente stretto

in quanto vi sono virus con potenziale oncogeno sessualmente trasmissibili come l'HPV, tanto più se in

coinfezione con l'HIV.

La potenzialità carcinogenica dell'HPV è stata studiata in particolare riguardo il carcinoma della cervice ma è

valido il discorso anche nei tumori della vulva, della vagina e del pene, fatto stante la relativa minor

incidenza relativa degli stessi. In particolare è attualmente argomento di approfondimento il tumore della

regione anale in maschi sieropositivi omosessuali con storia di rapporti anali recettivi.

Con questa relazione richiamiamo pertanto l'attenzione anche sulle forme tumorali da considerare nella

diagnosi differenziale di lesioni proliferative o ulcerative della regione genito-anale.

PATOLOGIE INFIAMMATORIE NELLA REGIONE ANOGENITALE

M. A. Gonzales Intxaurraga (Merano)

Quando si parla di regione anogenitale automaticamente a tutti ci viene in mente la venereologia e in alcune

branche la patologia tumorale che può coinvolgere questa regione, invece, si potrebbe dire che praticamente

tutte le malattie infiammatorie dermatologiche possono interessare la regione anogenitale.

Per le caratteristiche anatomo - fisiologiche le manifestazioni cliniche delle diverse patologie, peraltro, ben

note a tutti i dermatologi possono assumere in questa regione caratteristiche clinico - sintomatiche molto

diverse delle loro manifestazioni classiche, di qui l’importanza di saperle riconoscere.

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I CONFINI DELLA CHIRURGIA

P. Monari Divisione di dermatologia- a.o. spedali civili, Brescia

La radicalità oncologica rimane il primo obiettivo del dermochirurgo.

A seconda del tipo di tumore devono essere considerati margini di escissione diversi che variano a seconda

dell’aggressività, del comportamento biologico del tumore e della sua tendenza a recidivare o a dare

metastasi.

Compito del dermochirurgo è quindi quello di conoscere il comportamento evolutivo delle tipologie

neoplastiche al fine di avere una sicura radicalità oncologica, di conoscere l’anatomia della sede di intervento

in modo da preservare le strutture nobili, ed infine conoscere e sfruttare le linee naturali allo scopo di

ottenere il miglior risultato estetico possibile.

L’anatomo patologo ci informa sulla presenza / assenza di presenza di cellule tumorali al margine chirurgico:

margini liberi da neoplasia sono l’obiettivo del dermochirurgo in quanto a fronte di una più ampia escissione

chirurgica e forse di un peggior risultato estetico si ha però maggiore garanzia di completa eradicazione del

tumore e quindi di una prognosi migliore.

In base al tipo di tumore cutaneo ci sarà un diverso approccio chirurgico.

Saranno esposti casi significativi dei vari tipi di tumore cutaneo, in cui tali principi non sono stati tenuti in

considerazione, facendo poi un breve riferimento alle linee guida.

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EFFETTI COLLATERALI AVVERSI - MALPRACTICE IN DERMATOLOGIA CHIRURGICA

G.M. Tomassini Struttura complessa di dermatologia-Azienda Ospedaliera di Perugia. 

Le complicanze in dermatologia chirurgica sono “incidenti” che contrastano il processo di guarigione.

E’ importante sottolineare che ogni azione chirurgica produce alterazioni nell’organismo che lo subisce.

Le complicanze possono manifestarsi durante l'intervento, nell'immediato periodo postoperatorio, o più tardi,

nel rimodellamento tissutale.

Questi processi sono in gran parte interconnessi, e rappresentano una complessa interazione di fattori di un

preciso percorso.

Le complicazioni possono essere previste, e le azioni preventive devono essere prese in ogni momento

chirurgico. Il riconoscimento precoce della complicanza e un intervento appropriato sono il modo migliore

per evitare la progressione verso una situazione più grave.

Anche l’educazione del paziente e uno stretto follow-up sono di fondamentale importanza.

Vengono descritte le principali complicanze e il loro trattamento nella pratica dermatochirurgica.

MALPRACTICE: LASERTERAPIA

P.L. Bencini (Milano)

La laserchirurgia è da considerare, a tutti gli effetti, un atto chirurgico che, creando un danno controllato,

espone inevitabilmente la cute trattata ad effetti indesiderati.

Da questi vanno distinti i danni da malpractice, dovuti da un lato a cattive conoscenze da parte dell’operatore

delle interazioni laser tessuto e delle leggi che le governano, dall’altro sono osservati con frequenza sempre

maggiori danni da malpractice dovuto all’uso incongruo di tecnologia laser su patologie dermatologiche da

parte di operatori non specialisti.

Nella relazione vengono illustrate le cause più comuni di danni da malpractice differenziandoli dagli effetti

collaterali comuni e da lesioni dovute invece alla cattiva qualità degli strumenti commercializzati, la cui

responsabilità non può essere imputata all’operatore.

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    COMUNICAZIONI LIBER

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LE COMPLICANZE IN CHIRURGIA DERMATOLOGICA

M. Papini, C. Taddei. F. Arcangeli Clinica dermatologica di Terni Università degli studi di Perugia

Lo scopo del nostro studio è stato quello di segnalare l’eventuale comparsa di complicanze post-chirurgiche,

precoci o tardive, e di indicare i fattori di rischio ad esse associati .Sono stati reclutati, a partire dal mese di

gennaio fino a tutto dicembre 2011, tutti i pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia cutanea, oncologica e

non, c/o la nostra struttura semplice di chirurgia dermatologica ed oncologica. Sono stati inoltre selezionate

alcune fra le biopsie escissionali “maggiori”, effettuate in regime ambulatoriale nel nostro reparto.

I dati relativi ai pazienti sono stati raccolti dapprima in un questionario e poi in un database comprensivo di

storia medica e farmacologica completa del paziente. Sono state inoltre registrate informazioni riguardanti lo

stile di vita del paziente, sulla lesione da asportare e sull’intervento effettuato.

La profilassi antibiotica è stata effettuata solo nei pazienti con protesi valvolari cardiache o protesi articolari,

ma anche nel caso di condizioni generali scadenti, di interventi prolungati e di sedi cutanee particolari(naso,

orecchie, inguine, regione ascellare, piedi).

Eventuali terapie antiaggreganti o anticoagulanti sono state sospese puntualmente (aspirina 7 giorni prima

dell’intervento) o modificate (warfarin switchato ad eparina a basso peso molecolare).

Dopo l’intervento, i pazienti sono stati seguiti fino alla rimozione dei punti e sono stati contattati

telefonicamente a distanza di 3-6 mesi per effettuare l’ultimo controllo.

Sono stati reclutati 170 pazienti, tra donne e uomini, sottoposti ad intervento di asportazione di lesioni sia

benigne che maligne. Le complicanze più frequenti che abbiamo riscontrato nell’immediato post-operatorio

sono l’infezione della ferita e la deiscenza dei punti; l’espulsione di punti di sutura intradermica, l’eritema e

l’ipertrofia della ferita (seppur di grado lieve) sono stati osservati invece nel lontano periodo post-operatorio.

I nostri risultati confermano tuttavia la bassa percentuale di complicanze già segnalata in letteratura, pertanto

il nostro lavoro contribuisce a definire la chirurgia dermatologica una pratica sicura e scevra da rischi

minacciosi per la vita.

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IPERCORREZIONE DELLA SUTURA PRIMARIA PER LA PREVENZIONE DELLA DIASTASI TARDIVA DELLA LOSANGA CHIRURGICA SUL DORSO DEI GIOVANI

S. Astorino, P. Campioni* Policlinico Militare di Roma “Celio",Area Medica,Dipartimento Medicina,Reparto Dermatologia e Università di Pisa, Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia. * Policlinico Militare di Roma “Celio”, Area Chirurgica, Dipartimento Chirurgia, Reparto Chir. Plastica

A causa delle forze tensive alle quali le cicatrici chirurgiche sono sottoposte specialmente nei giovani e a

livello del dorso, sia per l’elasticità dei tessuti e sia per le sollecitazioni meccaniche da attività fisica, una

delle caratteristiche costanti della cicatrizzazione delle losanghe in questa sede specie nei giovani è la lenta

ma quasi inesorabile diastàsi tardiva, con formazione delle caratteristiche "cicatrici ad occhiello”.

L’osservanza accurata del decorso delle linee di Langer e l'effettuazione di ampi scollamenti è di valido

aiuto, ma non è sufficiente a prevenire tale diastasi tardiva, tranne che nei pazienti più anziani, per i quali il

risultato estetico è migliore che nei giovani, laddove sarebbe viceversa maggiormente gradito.

Abbiamo pertanto pensato di ridurre la diastasi delle cicatrici chirurgiche sul dorso dei giovani, che si

verifica a partire dal 3°-4° mese dopo l'intervento, adottando un semplice artifizio tecnico: una

ipercorrezione della ferita chirurgica al momento dell’intervento, inclinando l’incisione dei margini di 45°

con apice dell'angolo in profondità e verso l’esterno (ottenendo sull'asse minore della losanga una sezione

trasversale di forma trapezoidale, con base maggiore sull’ipoderma ed angoli a 45°), ed effettuando la sutura

primaria intradermica su due piani, con filo 2 zeri intrecciato a lento riassorbimento in profondità e 3 zeri

monofilamento (da asportare in ottava giornata) nel derma superficiale.

L’ipercorrezione determina un rilievo cutaneo temporaneo della durata di circa 8-12 settimane, che,

spianandosi a poco a poco, riduce o compensa del tutto la diastasi tardiva. Tale artifizio tecnico richiede una

adeguata spiegazione al paziente, affinchè egli possa dare un valido consenso informato. I risultati

preliminari di questa tecnica sono già stati da noi riportati al congresso SIDCO 2011 a Pisa; riportiamo in

questa sede una casistica più ampia e maggiormente significativa.

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“SUPERIMPOSED SEGMENTAL POROKERATOSIS” CON EVOLUZIONE CARCINOMATOSA DI UNA LESIONE LINEARE C. Bornacina1, B. Miglino1, E. Colombo1 1Clinica Dermatologica di Novara – Università del Piemonte Orientale

Si presenta l’eccezionale caso di una paziente, affetta dalla prima infanzia da una forma segmentale di

porocheratosi, la quale ha sviluppato in tarda età una porocheratosi attinica disseminata superficiale; la

paziente è quindi giunta alla nostra osservazione per lo sviluppo di un carcinoma spinocellulare su una

lesione lineare.

Recentemente Rudolf Happle ha chiarito il concetto di mosaicismo studiando le malattie segmentali e

distinguendo due tipi di mosaicismo: nel tipo 1 si riflette la condizione di eterozigosi per una nuova

mutazione post-zigotica, nel tipo 2 si sovrappone (“superimposed”) una mutazione somatica ad una

preesistente mutazione gonadica, con la perdita quindi dell’allele “wild type”.

E’ stata quindi posta diagnosi di “superimposed segmental porokeratosis” con evoluzione carcinomatosa di

una lesione. Non sono descritti in letteratura casi analoghi.

Il caso, seppur di non grande interesse dal punto di vista strettamente dermochirurgico, è intellettualmente

molto stimolante perché ermette di sottolineare gli stretti rapporti tra genetica ed oncologia (nella

porocheratosi vi è infatti sovraesposizione di p53) e ci ricorda come dietro la patologia ci possa essere un

lavoro intellettuale che nobilita l’atto chirurgico stesso.

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APPROCCIO CLINICO CHIRURGICO AL MELANOMA UNGUEALE V. Caliendo *, D. Lauro *, M. Grassi * , C. Tommasini ^ , S. Ribero *, G. Macripò * (*) SSCVD Dermatologia Chirurgica, Dipartimento Oncologico, ASOU San Giovanni Battista di Torino. (^) SC Anatomia Patologica 4, Dipartimento di Anatomia Patologica, ASOU San Giovanni Battista di Torino. Il melanoma subungueale rappresenta un'entità clinica non frequente di melanoma acrale, con un'incidenza

stimata variabile dallo 0.7 al 3,5% di tutti i melanomi nella popolazione caucasica.

La sede di insorgenza è la matrice ungueale , ma anche le altre componenti come il letto ungueale o

l'iponichio possono dare origine a questa variante di melanoma .

Altresì l'aspetto clinico delle lesioni varia da pigmentazioni longitudinali a banda, irregolarmente distribuite

sulla lamina ungueale, a neoformazioni amelanotiche talvolta ulcerate subungueali che possono rendere

difficoltosa e tardiva la diagnosi .

Per una corretta definizione ci si avvale della dermatoscopia e della biopsia.

L'accertamento istologico è di primaria importanza.

Il trattamento chirurgico radicale rimane la scelta elettiva.

Presentiamo la nostra esperienza sui melanomi ungueali dalla diagnosi alla terapia.

Bibliografia:

N.Sureda,A.Phan,et al

Conservative surgical management of subungueal (matrix derived) melanoma: report of seven cases and

literature review.

Br.J.Dermatol.2011 Oct;165(4):852-8

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RUOLO DEL VOLONTARIATO LILT (LEGA ITALIANA PER LA LOTTA CONTRO I TUMORI) NELL’ANTICIPAZIONE DIAGNOSTICA DEL MELANOMA

D. Cattoni, M.Cristofolini, S. Boi. LILT Trento

Lo screening di popolazione per i tumori cutanei, inteso come ispezione visiva di tutto il corpo- su chiamata -

di tutti i soggetti da 18 a 80 anni sarebbe sicuramente un metodo idoneo per ridurre la mortalità da

melanoma. Esso tuttavia non è raccomandato dalle organizzazioni internazionali perché ritenuto troppo

oneroso, difficile da organizzare e di non provata efficacia. In Trentino la LILT – Lega Italiana per la Lotta

contro i Tumori, associazione di volontariato che ha come compito istituzionale la prevenzione oncologica,

ha realizzato con successo dal 1977, prima in Europa, campagne per la diagnosi precoce del melanoma

precedute da incontri con i medici e la popolazione, annunci sui media, distribuzione di opuscoli illustranti

le caratteristiche del melanoma iniziale. (1,2).

Dal 2005, ha aperto ambulatori per le lesioni pigmentate in nove delegazioni localizzate su tutto il territorio

provinciale, incluse le aree montane. Ogni persona che, in seguito ad autoesame, riteneva di essere portatrice

di lesioni melanocitarie veniva visitato con un esame visivo di tutto l’ambito cutaneo e con controllo

dermatoscopico di tutte le lesioni sospette. Si è calcolata una media di 6 visite/ora e in caso di sospetto

clinico il paziente veniva inviato presso gli Ospedali pubblici per biopsia ed esame istologico. Negli anni

2005-2007sono state effettuate 7.008 visite (2.589 maschi-36.9% e 4419 femmine - 63.1%) ed esaminate un

totale di 47.842 lesioni con una media di 6,8 lesioni per soggetto. Sono state eseguite 223 escissioni,1 ogni

31 visite. I risultati delle diagnosi istologiche sono stati:63 nevi comuni, 38 nevi displastici, 19 melanomi, 86

carcinomi basocellulari, 17 cheratosi seborroiche, cheratosi attiniche, lesioni vascolari. Dei 19 melanomi, 8

erano maschi e 11 femmine; l’età media era di 52,9 anni e una mediana di 53. Il 66,6% dei melanomi era da

considerare sottile con buona prognosi. E’ stato asportato 1 melanoma ogni 11,7 escissioni e ogni 368,8

visite. (3) Durante lo stesso periodo 2005-2007 presso gli ambulatori di dermatologia del SSN della

Provincia di Trento, venivano effettuate 42800 visite per lesioni pigmentate. Venivano eseguite 4554

escissioni di lesioni melanocitarie e diagnosticati 208 melanomi (19 dei quali inviati dagli ambulatori LILT).

Pertanto negli ambulatori del SSN è stato riscontrato 1 melanoma ogni 23 escissioni .In conclusione gli

ambulatori per i tumori cutanei della LILT sono dotati di grande flessibilità con sedi in zone periferiche,

dove il SSN è poco presente, e presentano una ottima performance diagnostica, documentata dai rapporti

visite/asportazioni e soprattutto asportazioni/melanoma (meno falsi positivi sottoposti ad inutile intervento),

il tutto con costi contenuti.

Bibliografia 1 ) Cristofolini M, Zumiani G, Boi S, Piscioli F : Community detection of early melanoma. Lancet 1986, Jan. 18 1(8473) :156 2 ) Cristofolini M., Bianchi R., Boi S., Decarli A., Hanau C., Micciolo R., Zumiani G.: Analysis of the cost-effectiveness ratio of the health campaign for the early diagnosis of cutaneous melanoma in Trentino, Italy. Cancer 1993, 71:370-374 3 ) M. Cristofolini, S Boi, D Cattoni, S Franchini, R Micciolo: Voluntary work in the early diagnosis of melanoma. JEADV 2010, 24, 737–743

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SUBCUTANEOUS ISLAND PEDICLE FLAPS FOR THE REPAIR OF DEFECTS IN THE MIDFACE: A REPORT OF CASE SERIES B. Gatscher1 , K. Eisendle1 1 Department of Dermatology, General Hospital Bolzano, Lorenz Boehler-Str. 5, 39100 Bozen

We present a case series of 4 patients, two females and two males, (between 50 and 89 years old), three of

them with the diagnosis of a deep extended basal cell carcinoma and one of a melanoma.

The localisations were the midface. In local tumescent anaesthesia the subcutaneous island pedicle flap was

used for the closing of the defects after tumor resection.

Our experience of this technique shows, that necrosis is infrequent in this flaps, because of the excellent

blood supply of the subcutaneous tissue from the angular artery. Further blood loss is not difficult, because

of the small wound area.

This flap can be very useful, especially in such sensitive areas like the lower eyelid to prevent an ectropion.

The design seems to be quite easy, the cosmetic outcome is satisfying and in our opinion this technique

should be in the repertoire of every dermatologic surgeon.

METASTASI CUTANEA DA ADENOCARCINOMA DEL COLON

M.Zucca, G.Fumo, L.Pilloni,I.Tion,A.L.Pinna Clinica Dermatologica, Azienda Ospedaliera-Universitaria di Cagliari

Descriviamo il caso di un paziente caucasico di 64 anni, giunto alla nostra osservazione nel novembre del

2011 per una neoformazione localizzata al cuoio capelluto, ricoverato in regime di DH per l'asportazione

chirurgica con il sospetto di carcinoma basocellulare. Tale lesione, insorta circa tre mesi prima, era stata

sottoposta a diatermocoagulazione in altra struttura con successiva rapida recidiva ed accrescimento.

Nel 2009 il paziente era stato sottoposto a colectomia parziale e ciecostomia per adenocarcinoma del colon

con comparsa, nel 2011, di metastasi polmonari ed ossee trattate con anticorpo monoclonale. L'esame

istologico della neoformazione cutanea escissa metteva in evidenza una neoplasia epiteliale maligna, a

localizzazione dermoepidermica suggestiva di lesione metastatica.

L'immunoistochimica effettuata e confrontata con quella relativa alla metastasi polmonare ed alla neoplasia

primitiva del colon precedentemente studiate, confermava la diagnosi con referti morfologici ed

immunofenotipici sovrapponibili.

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PARTICOLARE IMPIEGO DEI TRIANGOLI DI BUROW NEL LEMBO DI AVANZAMENTO SINGOLO O DOPPIO

F. Garetto , G. Morozzo , U. Morozzo

Dirigente Medico Day Surgery Polispecialistico ASL TO4, Regione Piemonte Responsabile Day Surgery Polispecialistico ASL TO4, Regione Piemonte Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina e Chirurgia

Sempre più spesso nella pratica dermochirurgica quotidiana ci troviamo di fronte a lesioni cutanee estese,

talora a margini mal definibili macroscopicamente; ancora operiamo lesioni in sedi particolarmente difficili

(ali naso, canto interno…), dove la ricostruzione plastica della cute è ardua. Talora, in casi selezionati,

effettuiamo l’esame istologico intraoperatorio per poter assicurare al paziente una exeresi radicale in tempo

unico. Inoltre la progettazione dell’intervento da effettuare avviene nel momento della visita ambulatoriale,

dunque ben prima di entrare in sala operatoria.

Un lasso di tempo più o meno lungo intercorre tra la visita e l’intervento; la neoplasia si modifica, in genere

si accresce e può essere necessario variare più o meno radicalmente l’approccio dermochirurgico.

Dunque il decidere se effettuare un lembo o un innesto o una sintesi diretta non sempre è facile.

Talora in sala operatoria risulta necessario un ampliamento dell’exeresi, grazie alla presenza dell’anatomo-

patologo, che ci guida nell’asportazione. Ciò causa la necessità di variare in itinere l’intervento e richiede da

parte dell’operatore grande duttilità. Nella nostra esperienza in casi particolari ci siamo trovati a progettare

ed effettuare un lembo di avanzamento singolo o doppio, che non è risultato sufficiente a coprire la perdita di

sostanza causata dall’exeresi. Una parte della perdita di sostanza distale risultava non raggiungibile dal

lembo.

Le opzioni a nostra disposizione erano:

guarigione per seconda intenzione

prelievo di cute in altra sede idonea per innesto

ulteriore allungamento dei lembi di avanzamento con rischio di sofferenza vascolare

Abbiamo pensato di utilizzare la cute dei triangoli di Burow, adeguatamente sgrassata e fenestrata, per mini-

innesti a livello della perdita di sostanza. La cute è stata fissata con pochi punti staccati ed è stata effettuata

un medicazione mediamente compressiva con spugna.

La medicazione è stata rinnovata in 3° giornata, sia per controllare la vitalità del lembo sia dei mini-innesti.

Il decorso postoperatorio è risultato regolare, l’attecchimento della cute soddisfacente ed i lembi vitali.

Nella nostra esperienza questa variante della tecnica è risultata particolarmente efficace a livello del cuoio

capelluto, in lesioni sottoposte ad ampliamento di exeresi, in seguito ad esame istologico intraoperatorio, che

evidenziava un margine interessato dalla neoplasia. Bisogna inoltre considerare il fatto che i pazienti

candidati a questo tipo di intervento sono spesso anziani, affetti da pluripatologia, coagulati od

antiaggregati. L’ottimizzare i tempi operatori, il ridurre la quantità di anestetici utilizzati ed effettuare un

intervento meno invasivo possibile, fatta salva la radicalità dell’asportazione, costituisce dunque un obiettivo

primario da perseguire nella pratica quotidiana.  

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W-PLASTIC FOR THE SURGICAL TREATMENT OF LABIAL SQUAMOUS CELL CARCINOMA B. Gatscher1, P. De Bacco1, K. Eisendle1 1 Department of Dermatology ,General Hospital Bolzano,, Lorenz Boehler-Str. 5, 39100 Bozen

We present two cases of labial squamous cell carcinomas, one in a 65-year and the second in a 78-year

old male patient. The first of the labial squamous cell carcinomas measured at its widest point 1.1 cm and the

second 1.5 cm. Both were situated on the right lower lip. A full-thickness W-excision and the sequential

closure of the three lip layers was performed in local tumescent anesthesia with additional blockade of the

third trigeminal nerve (nervus mentalis). Both patients had an optimal cosmetic outcome. We conclude that

the W-plastic is a good option for the surgical treatment of squamous cell carcinomas involving the full

thickness of the lower lips.

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NUOVE FRONTIERE NELLA CURA DEL MELANOMA METASTATICO E. Minutilli, MD Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Introduzione. L’interferon-alfa ad alte dosi (HDI) ha rappresentato sinora il trattamento di prima scelta nella terapia

adiuvante del melanoma metastatico sulla base dei risultati di ECOG 1684, 1690 e 1694. Più recentemente, la Food and

Drug Administration (FDA) ha approvato anche l’uso di alte dosi di interferon-alfa peghilato (HDpegI) per i vantaggi in

termini di compliance rispetto alla formulazione non-peghilata sulla base dei risultati di EORTC 18991. I centri di

studio specializzati stanno valutando accuratamente un trattamento adiuvante con l’anticorpo monoclonale ipilimumab,

alla luce dei promettenti risultati terapeutici in termini di sopravvivenza riportati in diversi trials clinici su pazienti con

melanoma metastatico avanzato. Inoltre, terapie di combinazione di immunomodulatori quali IFN o ipilimumab e

farmaci antineoplastici quali gli inibitori di tirosin-chinasi (TKI) sono in corso di sperimentazione su pazienti con

melanoma metastatico in presenza di specifiche mutazioni geniche per migliorarne ulteriormente la sopravvivenza.

Sulla base di tali novità terapeutiche diventa fondamentale capire quale sia il trattamento adiuvante post-chirurgico più

idoneo ad incrementare i tassi di sopravvivenza dei pazienti con melanoma metastatico, specialmente nelle fasi iniziali

della malattia (stadio III-N1).

Materiali e metodi. Il progetto RF-2010-2302821 basato sul trial clinico ECOG 1609 si pone l’obiettivo di confrontare

i tassi di sopravvivenza ad un follow-up di 3-5 anni (Kaplan-Meier test) dei pazienti con melanoma metastatico iniziale

(stadio III-N1) trattati per 1 anno con HDpegI o ipilimumab, in combinazione con nuovi potenti TKI (vemurafenib) in

presenza di mutazione di BRAF, valutando la tossicità dei singoli trattamenti.

Risultati. HDpegI ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da malattia (RFS) piuttosto che la sopravvivenza

globale (OS) nei pazienti con melanoma metastatico iniziale (stadio III-N1) alle dosi più alte tollerate (3-6 µg/kg/sett.

s.c.). Ipilimumab ha dimostrato di incrementare la sopravvivenza in maniera dose-dipendente (3-10 mg/kg i.v.),

malgrado severi ma reversibili eventi avversi. Vemurafenib ha dimostrato una rapida e soddisfacente risposta clinica

con effetti collaterali trascurabili alla dose di 720 mg x 2/die per os, ma lo sviluppo di resistenze ha confermato il

bisogno che tale risultato sia consolidato da una immunoterapia di mantenimento.

Conclusioni. Tali risultati preliminari confermano la necessità di trattare in futuro i pazienti affetti da melanoma

metastatico con mutazione di BRAF ricorrendo a terapie di combinazione secondo una fase di induzione con TKI ed

una di consolidamento con immunoterapia per incrementare i tassi di sopravvivenza, soprattutto nello stadio III-N1.

Inoltre, ipilimumab si propone come valida alternativa ad IFN. Pertanto, si invitano i centri italiani interessati a

partecipare al progetto RF-2010-2302821 per il Ministero della Salute a prendere contatti con l’Autore presso la

corrispondenza indicata.

Ringraziamenti:

Tale presentazione viene supportata da European School of Oncology (ESO) Award secondo il progetto scientifico RF-

2010-2302821 per il Ministero della Salute in collaborazione con Istituto Superiore di Sanità (ISS), Lega Italiana Lotta

Tumori (LILT) e Società Italo-Tedesca di Dermatologia.

Bibliografia: 1) Eggermont AM, Suciu S, Testori A, Kruit WH, Marsden J, Punt CJ, Santinami M, Salès F, Schadendorf D, Patel P, Dummer R, Robert C, Keilholz U, Yver A, Spatz A: Ulceration and stage are predictive of interferon efficacy in melanoma: Results of the phase III adjuvant trials EORTC 18952 and EORTC 18991. Eur J Cancer, Epub 2011 Nov 4 2) Eggermont AM and Robert C: New drugs in melanoma: it’s a whole new world. Eur J Cancer, 47(14): 2150-7, 2011 3) Wolchok JD, Neyns B, Linette G, Negrier S, Lutzky J, Thomas L, Waterfield W, Schadendorf D, Smylie M, Guthrie T Jr, Grob JJ, Chesney J, Chin K, Chen K, Hoos A, O'Day SJ, Lebbé C: Ipilimumab monotherapy in patients with pretreated advanced melanoma: a randomised, double-blind, multicentre, phase 2, dose-ranging study. Lancet Oncol, 11(2): 155-164, 2010 4) Chapman PB, Hauschild A, Robert C, Haanen JB, Ascierto P, Larkin J, Dummer R, Garbe C, Testori A, Maio M, Hogg D, Lorigan P, Lebbe C, Jouary T, Schadendorf D, Ribas A, O’Day SJ, Sosman JA, Kirkwood JM, Eggermont AM, Dreno B, Nolop K, Li J, Nelson B, Hou J, Lee RJ, Flaherty KT, McArthur GA; BRIM-3 Study Group: Improved survival with vemurafenib in melanoma with BRAF V600E mutation. N Engl J Med, 364(26): 2507-16, 2011 5) Blank CU, Hooijkaas AI, Haanen JB, Schumacher TN: Combination of targeted therapy and immunotherapy in melanoma. Cancer Immunol Immunother, 60(10): 1359-71, 2011

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EPITELIOMI IN SEDE NASALE: CONFRONTO TRA CA. BASOCELLULARE E CA. SPINOCELLULARE E LORO SOTTOTIPI ISTOLOGICI: CASISTICA SU 4 ANNI DI ATTIVITA’

G. Gualdi, P. Monari, S. Crotti, P.G. Calzavara Pinton Divisione di Dermatologia, A.Ospedali Civili, Università di Brescia, Brescia

L’epitelioma basocellulare e spinocellulare rappresentano i tumori più diffusi al mondo e la loro incidenza è

in continuo aumento. In letteratura sono presenti numerosi lavori che analizzano la loro epidemiologia

evidenziando come il capo, nel suo insieme, rappresenti la zona più frequentemente colpita.

Per la sua collocazione al centro del viso e per la particolare complessità della fase ricostruttiva abbiamo

scelto di soffermarci in particolare sull’incidenza di questi due tumori a livello dell’area nasale.

Abbiamo rivisto quindi la casistica della nostra attività chirurgica, analizzando i tumori di tale area asportati

nel periodo di tempo tra l’inizio del 2008 e la fine del 2011, e raccogliendo complessivamente oltre 500

epiteliomi.

Di questi abbiamo poi valutato i dati epidemiologici (distribuzione per sesso e fascie di età) e i diversi

sottotipi istologici (ca squamo cellulare superficiale, ca squamo cellulare infiltrante, ca. basocellulare

nodulare, superficiale, infiltrativo e basosquamoso). Verranno esposti i risultati.

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TRATTAMENTO CHIRURGICO DELL’ONICOCRIPTOSI SECONDO LA TECNICA DI HOWARD-DUBOIS

G. Morozzo , F. Garetto , U. Morozzo Responsabile Day Surgery Polispecialistico ASL TO4, Regione Piemonte Dirigente Medico Day Surgery Polispecialistico ASL TO4, Regione Piemonte Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina e Chirurgia

L'unghia incarnita viene in genere considerata una patologia minore, ma può essere causa di severe

complicanze. Un'onicocriptosi gestita non correttamente può causare una serie di complicanze, soprattutto in

soggetti affetti da patologie croniche. Particolare attenzione deve essere riservata ai soggetti affetti da

diabete, patologie vascolari od affetti da immunodeficienza.

I principali fattori eziologici dell'onicocriptosi sono sostanzialmente tre:

1) microtraumi (compressione provocata da calzature non idonee, calze eccessivamente strette, deformità,

appoggio non corretto)

2) taglio non corretto delle unghie

3) iperidrosi

L'onicocriptosi si manifesta quando si verifica un'eccessiva stimolazione meccanica esercitata sui tessuti

periungueali, che si ipertrofizzano e si infiammano fino a provocare lesione dell’ epidermide. L'eccesso di

sudorazione peggiora il quadro clinico causando la macerazione dei solchi ungueali e quindi facilita la

penetrazione della lamina nei solchi. Dal punto di vista anatomico e biomeccanico esistono alcuni fattori che

concorrono all'insorgere della patologia; tra questi particolarmente rilevante è l'alluce valgo.

L'alluce valgo è una patologia piuttosto frequente, che comporta lesioni a carico dei tessuti periungueali

laterali, causate dall'eccessivo spostamento laterale dell'alluce. Ciò determina una compressione della lamina

ungueale sul secondo dito o sulla tomaia della calzatura quando è presente anche flessione dorsale.

Molto spesso l'onicocriptosi è causata dal taglio improprio dell'unghia: lo sperone ungueale che ne deriva

genera lesione di continuità sul solco periunguale, che scatena un processo di tipo infiammatorio, con una

possibile sovrainfezione secondaria. La tecnica di Howard-Dubois rappresenta un’efficace metodica

correttiva per l’onicocriptosi, in particolare se ricorrente o nei casi già trattati chirurgicamente con metodiche

tradizionali. In anestesia tronculare si asporta il granuloma reattivo mono o bilaterale, rimuovendo solo

parzialmente la lamina ungueale lungo i margini. Si esegue successivamente un’incisione semilunare “a

spicchio d’arancia” a circa 5 mm dal bordo ungueale asportando il tessuto cutaneo in eccesso. Si sutura a

punti staccati, che verranno rimossi dopo circa due settimane. Questa metodica consente un abbassamento

dei tessuti molli posti intorno l’unghia e quindi la normale e libera ricrescita della lamina ungueale. Secondo

la nostra esperienza le recidive sono pressoché assenti ed il risultato estetico è soddisfacente, in quanto la

lamina ungueale viene integralmente mantenuta e si viene a creare un letto ungueale ampio e confortevole.

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ELETTROCHEMIOTERAPIA NEL TRATTAMENTO LOCALE DI METASTASI DA MELANOMA CUTANEO E DI ALTRI TUMORI CUTANEI PRIMARI O METASTATICI

C.M.Oranges, B.Tavaniello, L.Negosanti, E.Fabbri, S.Palo, G.Zannetti Unità Operativa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Ospedale S.Orsola- Malpighi, Bologna. Direttore dr. Riccardo Cipriani

Scopo: valutare l'efficacia dell’elettrochemioterapia (ECT) con bleomicina endovena (BLM) o cisplatino

intralesionale (CDDP) in pazienti affetti da metastasi da melanoma cutaneo e sottocutaneo o da altri tumori

primari o metastatici.

Materiali e metodi: Dal luglio 2006 a marzo 2010, 36 pazienti e 201 lesioni sono state trattate

conformemente all’ European Standard Operating Procedures of Elettrochemiotherapy (ESOPE) con ECT. I

pazienti sono stati trattati in anestesia locale assistita, in anestesia generale o in anestesia spinale in base

all’area da trattare e soprattutto tenendo conto del numero complessivo delle lesioni.

Tale approccio terapeutico, sfruttando il fenomeno fisico dell’elettroporazione attraverso impulsi

elettrici intensi e brevi, permette di aumentare la permeabilità delle membrane cellulari e consente a farmaci

con elevata tossicità intrinseca ma scarsa lipofilia di entrare nelle cellule tumorali e di svolgere la loro azione

all’interno della cellula, altrimenti non permeabile da questi principi attivi.

I pazienti trattati erano così suddivisi: 27 con metastasi in transit da melanoma (158 noduli), 1 con metastasi

cutanee da carcinoma mammario (5 noduli), 2 con carcinoma basocellulare (41 noduli), 1 con carcinoma

squamocellulare della vulva (1 nodulo), 1 con carcinoma squamocellulare recidivo del cuoio capelluto (4

noduli), 1 con angiosarcoma dell’addome (1 nodulo) ed 1 con liposarcoma della regione deltoidea (1

nodulo).

In 6 pazienti è stata utilizzato il cisplastino intralesionale e negli altri pazienti (30) la bleomicina e.v.

Risultati: Dopo un periodo medio di 30 giorni, tutti i pazienti con un’ampia lesione o un gran numero di

lesioni hanno ottenuto una risposta parziale (PR), mentre i pazienti con una singola lesione o un piccolo

numero di neoformazioni hanno ottenuto una completa remissione (CR).

Ad un controllo effettuato a gennaio 2012, 3/36 pazienti si sono persi al follow up; 22/36 pazienti sono

andati in remissione completa (RC); 3/36 hanno presentato una progressione sistemica della patologia di

base a 2 mesi di distanza; si è riscontrata una remissione parziale a due mesi in 7/36 pazienti con melanoma

così come nell’unico paziente affetto da carcinoma squamocellulare recidivo del cuoio capelluto.

Non si sono osservate differenze significative nella risposta ai due trattamenti farmacologici, né effetti tossici

locali e/o sistemici, con buona tollerabilità.

Conclusioni: L’elettrochemioterapia è una nuova modalità di trattamento per noduli tumorali cutanei e

sottocutanei da melanoma e da altre neoplasie. Rappresenta una valida alternativa alla perfusione ipertermia

antiblastica in casi opportunamente selezionati, permettendo un buon controllo locale sulle metastasi cutanee

e sottocutanee.

E’ una metodica facilmente ripetibile con scarsi effetti sistemici.

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UTILIZZO DI LEMBO FASCIOCUTANEO SCAPOLARE “PROPELLER” NEL TRATTAMENTO DI AMPIA RADIODERMITE CRONICA DEL DORSO: CASE REPORT

V. Pinto, E. Fabbri, B. Tavaniello, S. Palo, C.M. Oranges, L. Negosanti, R. Cipriani, G. Zannetti Unità Operativa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Ospedale S.Orsola- Malpighi, Bologna. Direttore dr. Riccardo Cipriani

Le ulcere radiodermitiche presentano un rischio di degenerazione neoplastica cha varia dal 15 al 35%.

Il trattamento convenzionale per il riparo delle ulcere radiodermitiche è rappresentato dalla toilette chirurgica

e dall’utilizzo di innesti cutanei, di vario spessore e prelevati da diverse sedi anatomiche.

Tuttavia, in alcuni distretti anatomici, in particolare quelli sottoposti a carichi pressori prolungati, l’utilizzo

di innesti cutanei può risultare inadeguato, con il rischio di una nuova ulcerazione che tende ad

autosostenersi per lo scarso apporto ematico che ne ostacola la guarigione.

In questi casi, può essere indicato l’utilizzo di tecniche ricostruttive che garantiscano una copertura della

perdita di sostanza con tessuti più resistenti, come i lembi fasciocutanei.

Riportiamo di seguito il caso clinico di un paziente di 58aa, giunto alla nostra attenzione per un’ampia area

radiodermitica del terzo medio del dorso, con interessamento della regione vertebrale, delle dimensioni di

19x15 cm. Il paziente riferiva una sintomatologia dolorosa e pruriginosa cronica, esacerbata dalla posizione

supina e refrattaria alla terapia antidolorifica.

Il paziente è stato pertanto sottoposto a toilette chirurgica, estendendosi in profondità fino al piano fasciale;

l’area cutanea interessata dalla radiodermite è stata sottoposta ad esame istologico, che ha confermato la

diagnosi clinica ed escluso la trasformazione neoplastica della lesione.

Considerando le dimensioni della perdita di sostanza residua, la profondità della resezione chirurgica e la

conseguente vicinanza con le strutture ossee vertebrali, abbiamo ritenuto inadeguato, per la copertura del

difetto, l’impiego del convenzionale innesto cutaneo. Abbiamo pertanto deciso di allestire un lembo

“propeller” fasciocutaneo basato sui rami perforanti dell’arteria scapolare, per il riparo della porzione

craniale del difetto, e un lembo di rotazione “random” dall’emidorso destro, per la chiusura della porzione

più distale.

La sede di prelievo di entrambi i lembi è stata riparata per sutura diretta.

Non abbiamo riportato complicanze né a livello del lembo, né delle sedi di prelievo.

A distanza di 6 mesi dall’intervento chirurgico il risultato ottenuto appare stabile, con risoluzione completa

dell’ulcerazione, senza evidenza di recidive e/o degenerazione neoplastica dei tessuti residui, e con

risoluzione totale della sintomatologia dolorosa cronica associata, che per anni ha compromesso la qualità di

vita del paziente.

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MELANOMA IN SITU A DIFFUSIONE SUPERFICIALE: RIFLESSIONI SUI MARGINI DI ESCISSIONE

F. Presta1, A. Zucchi1, G. Zumiani2, F. Satolli1, G. Fabrizi1 1Sezione di Dermatologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università degli Studi Parma 2Unità Operativa di Dermatologia, Ospedale Santa Chiara di Trento

Le Linee Guida Internazionali consigliano per il melanoma in situ un’asportazione chirurgica che abbia un

margine di escissione (definito “di sicurezza”) di 5 mm e che raggiunga, in profondità, la fascia muscolare.

L’esame istologico è un’indagine indispensabile per indicare se una lesione melanocitaria, clinicamente

atipica, sia o non sia un melanoma. Pertanto, in presenza di un nevo clinicamente atipico, si procede alla sua

asportazione chirurgica; l’escissione viene effettuata ad una distanza massima di 3 mm per deformare meno

l’area interessata ed ottenere anche un miglior risultato estetico. Se il risultato istologico è di “melanoma in

situ”, si interviene una seconda volta allargando la sede cicatriziale per portare la distanza dell’incisione

chirurgica a 5 mm, rispetto alla lesione melanocitaria iniziale e si deve raggiungere anche la fascia muscolare

sottostante.

Lo scopo del presente studio è quello di capire se esiste un motivo nell’effettuare il secondo intervento di

allargamento della ferita chirurgica di pregresso melanoma in situ a diffusione superficiale, già asportato con

margini e fondo indenni. Vengono esclusi dal presente studio gli altri istotipi di melanoma. A tale fine sono

stati controllati i referti istologici di tutti gli allargamenti dei melanomi in situ a diffusione superficiale degli

ultimi sei anni degli ambulatori di dermatologia chirurgica e dell’Azienda Ospedaliero - Universitaria di

Parma e dell’Ospedale “Santa Chiara” di Trento. L’analisi di tali dati non ha mai rilevato infiltrazioni, né

residui di cellule di melanoma nel pezzo operatorio ottenuto dal secondo intervento.

I dati raccolti nel presente studio sollevano il dubbio che l’indicazione al secondo intervento chirurgico di

allargamento, come dettato dalle Linee Guida Internazionali, rappresenti più una precauzione eccessiva che

una effettiva necessità; certamente il suddetto risultato rappresenta un ulteriore stimolo per approfondire la

ricerca in tema di melanoma in situ a diffusione superficiale.

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

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LA DERMATOLOGIA IN OSPEDALI A GESTIONE MISTA PUBBLICA-PRIVATA: L’IMPORTANZA DELLA CHIRURGIA PER UN BILANCIO IN ATTIVO M. Puviani1

1 Responsabile Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologica-Nuovo Ospedale di Sassuolo (MO) e Ospedale San Pellegrino di Castiglione delle Stiviere (MN)

Da pochi anni una sinergia tra pubblico e privato ha consentito di risollevare le sorti di alcune realtà

Ospedaliere pubbliche. In diverse regioni la voglia di un partenariato è stata recepita in tempi e soprattutto in

modi diversi, studiati a misura delle realtà geografiche e socio economiche in cui si trova il presidio

ospedaliero investito da un innovativo concetto di “fare” Sanità. Anche la Dermatologia, ovviamente, è stata

coinvolta in taluni Ospedali da un nuovo modo di concepire il rapporto tra Direzione Sanitaria-

Amministrativa e Dermatologo. La nascita e la crescita professionale di un gruppo di Dermatologi “privati”

integrati nel Sistema Sanitario Nazionale é condizionata da vantaggi, obblighi e compromessi di un metodo

di lavoro sottoposto ad un giudizio economico oltre che di qualità.

La gestione di un servizio Dermatologico all’interno di una struttura a compartecipazione pubblica-privata

come nel nostro caso deve garantire un bilancio economico positivo, possibile in gran parte ad una

autonomia chirurgica. La possibilità e la capacità di eseguire interventi in regime di ricovero, la cui

appropriatezza viene comunque periodicamente verificata, è di fatto una delle prerogative per mantenere

autonomia economica e autorevolezza nel contesto della struttura ospedaliera.

Riappropriarci del nostro organo, la cute, ed essere in grado di garantire un percorso diagnostico terapeutico

completo, compreso quello chirurgico è e sarà fondamentale per non far migrare le patologie dermatologiche

verso altri lidi….

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IL MELANOMA IN GIOVANE ETA’ S. Ribero*§, P. Quaglino*, V. Caliendo§, M. Grassi§, D. Lauro§, M. Sanlorenzo*G. Macripò§, M. G. Bernengo* * Clinica Dermatologia, Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia umana, Università degli Studi di Torino § Divisione di Dermatologia Chirurgica, Dipartimento di Oncologia, AOU San Giovanni Battista Torino

Secondo i dati pubblicati in letteratura si intende melanoma giovanile quello insorto entro i 20 anni.

Nella Clinica dermatologica torinese sono afferiti dal 1976 ad oggi 37 pazienti (21 femmine, 16 maschi)

sotto i 20 anni a cui è stato diagnosticato un melanoma.

L'età media era di 17.3 anni. I referti anatomo-patologici riportavano uno spessore di Breslow medio di

1,7±1.96 mm. Solo quattro pazienti presentavano un’ulcerazione della lesione primitiva. La melanoma era

localizzato agli arti in 24 casi, al tronco in 10 e al distretto capo/collo in 3.

Il follow-up mediano era di 11 anni. In questo periodo 6 pazienti sono deceduti, mentre 11 pazienti sono

progrediti, con un tempo medio di recidiva di 8 anni. Si è assistito ad una progressione regionale in 8 pazienti

(6 ai linfonodi e 2 cutanee) e in 3 casi invece la prima sede di progressione è stata ai visceri (polmone).

Nessuno dei casi progrediti era stato sottoposto alla biopsia del linfonodo sentinella. La stessa era stata

effettuata solo in 4 casi, risultata negativa per metastasi in tutti i pazienti, i quali si presentano al momento

attuale liberi da malattia.

Lo spessore di Breslow manteneva un significatività statistica sulla sopravvivenza e sul tempo libero da

malattia( rispettivamente OR 1.41, p=0.014 e OR 1.57 p=0.006).

La storia clinica del melanoma nel giovane differisce dal ben più conosciuto decorso nell’adulto. Nel

giovane, infatti, le lesioni presentano più spesso degli indici di Breslow elevati, anche se tal caratteristica non

correla sempre ad una effettiva capacità di metastatizzazione. Riteniamo la biopsia del linfonodo sentinella

una tecnica fondamentale per una accurata stadiazione e per delineare il percorso diagnostico terapeutico

anche in pazienti in giovane età.

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

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L’ECT NEL TRATTAMENTO DELLE METASTASI MULTIPLE, CUTANEE E SOTTOCUTANEE, DA MELANOMA

F. Ricotti, A. Offidani, G. Ricotti * Clinica Dermatologica dell’Università Politecnica delle Marche, UOC dermatologia INRCA-IRCCS*

E’ noto che allo stato attuale non esiste ancora una terapia considerata efficace nel combattere le metastasi

cutanee multiple da melanoma; le principali tecniche utilizzate sono rappresentate dalla chirurgia altamente

demolitiva, dalla chemioterapia, dalla radioterapia (verso la quale il melanoma è poco sensibile) o dalla

perfusione antiblastica in ipertermia, limitatamente alle lesioni metastatiche degli arti.

L’Elettrochemioterapia,metodica che consiste nel favorire, attraverso il passaggio di corrente, la

penetrazione di un chemioterapico all’interno delle cellule neoplastiche rappresenta allo stato attuale

l’opportunità terapeutica più innovativa nel trattamento palliativo e locale di noduli o lesioni neoplastiche

cutanee o sottocutanee.

Riportiamo l’esperienza clinica relativa ad alcuni casi nei quali l’ECT ha soddisfatto le “aspettative” riposte

in essa (ovvero la remissione delle lesioni metastatiche in atto ed il prolungamento del periodo libero da

nuovi poussé di diffusione metastatica) a confronto con altri in cui la rapida diffusione neoplastica od il

tardivo approccio terapeutico hanno determinato il fallimento della metodica.

Nei nostri pazienti il trattamento è stato eseguito in anestesia generale con somministrazione per via

endovenosa di 15000 IU/m² di bleomicina a cui ha fatto seguito dopo 8 minuti l’elettroporazione mediante

Cliniporator per una durata massima di 20-25 minuti (finestra terapeutica efficace).

Dalla nostra esperienza abbiamo tratto la precisa convinzione che la velocità nel trattamento delle metastasi

cutanee offra una reale possibilità sul controllo della crescita neoplastica e conseguentemente sulla qualità di

vita del paziente pur non modificandone la storia naturale.

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CARCINOMI SPINOCELLULARI INSORTI SU CICATRICE DA USTIONE: TECNICHE CHIRURGICHE RICOSTRUTTIVE

G. Russo, D. Strippoli, T. Barbagallo, L. Bigi, D. Fideli, F. Fantini U.O. Dermatologia, Ospedale A. Manzoni, Lecco

Le cicatrici da ustione profonda sono una delle pre-cancerosi facoltative a cui il dermatologo deve prestare

più attenzione. I dati della letteratura evidenziano come l’insorgenza di carcinomi spinocellulari sia

relativamente frequente ed inoltre spesso la presentazione clinica, l’istotipo, la dimensione delle lesioni, la

sede, pongono al dermochirurgo la necessità di un approccio ampiamente demolitivo.

I casi che presentiamo si riferiscono a carcinomi spinocellulari di importanti dimensioni, insorti dopo molti

anni su esiti di ustioni di 3° grado, che sono stati da noi trattati con ampie resezioni e con tecniche

ricostruttive differenti che andremo ad illustrare.

Il follow up ci ha permesso di evidenziare la radicalità oncologica richiesta in questi casi, una completa

ripresa funzionale della zona trattata e un buon esito estetico.

RECIDIVA DI MELANOMA ACRALE LENTIGGINOSO... UN ANNO DOPO

A.Zucchi*, F. Satolli*, E. Tognetti*, F. Presta*, F. Zambito-Spadaro, R. Ricci**, G. Fabrizi*. *Sezione di Dermatologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università degli studi di Parma **Sezione di Anatomia Patologica, Dipartimento di Istologia Patologica e Medicina di Laboratorio, Università degli studi di Parma

Paziente di 81 anni operato di melanoma acrale lentigginoso plantare e più volte innestato continua nel

tempo a presentare recidive sia in sede di innesto sia in sede limitrofa.

In accordo con la letteratura1- 2 abbiamo iniziato terapia topica immunomodulante con Imiquimod 5% per

impedire o ridurre le recidive.

La terapia topica immunomodulante può, a nostro avviso, essere giustificata in casi selezionati come

trattamento adiuvante all’atto chirurgico.

1 Munoz CM, Sanchez JL et al. Successful treatment of persistent melanoma in situ with Imiquimod

cream. Dermatol Surg 2004;30:1543-45.

2 Naylor MF, Chen WR et al. In situ photoimmunotherapy: a tumor-directed treatment for melanoma .

Br J Dermatol 2006;155:1287-92.

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ACCESSO MINI-INVASIVO NELLA LINFOADENECTOMIA INGUINO-CRURALE

OTTURATORIA NEL MELANOMA: ESPERIENZA PRELIMINARE

D. Strippoli, G. Russo, T. Barbagallo, L. Bigi, D. Fideli, F. Fantini, A. Pellegrino* U.O. Dermatologia, Ospedale A. Manzoni, Lecco *U.O. Ginecologia Oncologica, Ospedale A. Manzoni, Lecco

Lo scopo di questa comunicazione è evidenziare la possibilità di eseguire interventi di linfoadenectomia nel

melanoma metastatico con tecniche mini- invasive (laparoscopiche).

La linfoadenectomia pelvica laparotomica ( inguino-crurale, otturatoria) è un intervento routinario in caso di

presenza di linfonodo sentinella positivo e\o di metastasi loco-regionali linfonodali clinicamente evidenti. La

procedura non è scevra di morbidità post-operatoria (linfoceli, linforragie, edema dell’arto interessato,

deiescenza della ferita). Il caso che presentiamo evidenzierà i tempi e la tecnica della procedura mini-

Il decorso del paziente nel nostro caso è stato regolare, senza complicanze e la qualità dello svuotamento è

stato confermato dall’esame istologico nel confronto con svuotamenti per via laparotomica eseguiti presso

altri centri di riferimento e con i dati della letteratura. Pur nell’ambito di una esperienza iniziale che

necessita di validazione su casistiche ampie, pensiamo che questo approccio chirurgico possa essere molto

interessante e applicabile su altri pazienti selezionati.

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MELANOMA MALIGNO PRIMARIO DEL GLANDE: CASE REPORT

B.Tavaniello**, M.Medri*, L.Mazzoni*, I.Stanganelli*, F.Modenini***, F.Colombo***, G.Zannetti** * Centro di Oncologia Dermatologica IRST Meldola (FC) ** Unità Operativa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Ospedale S.Orsola- Malpighi, Bologna. Direttore dr. Riccardo Cipriani *** Unità Operativa di Andrologia, Ospedale S.Orsola-Malpighi, Bologna. Direttore dr. Fulvio Colombo

Riportiamo il caso di un paziente di 41 anni, affetto da neurofibromatosi di tipo I con melanoma primario del

glande, insorto su melanosi, con interessamento esteso al meato uretrale.

Il paziente riferiva, da circa 1 anno, l’insorgenza di una lesione nodulare parauretrale con iperpigmentazione

di una parte di essa ed aumento dell’irregolarità dei bordi della stessa.

Giungeva alla nostra attenzione per una prima valutazione e, dopo accurato esame clinico, considerato il

nostro sospetto diagnostico, si inviava il paziente per eseguire dermatoscopia in epiluminescenza digitale e

laser confocale. Entrambe le metodiche ponevano sospetto per melanoma invasivo.

Il paziente veniva quindi sottoposto ad esami di stadiazione preoperatoria quali esami ematici, ecografia

dell’addome completo, ecografia linfonodale inguinale bilaterale e tc pet total body, che risultavano negativi

per secondarismi.

Si è programmato, pertanto, intervento chirurgico di penectomia parziale e ricerca di linfonodo sentinella

previa esecuzione di linfoscintigrafia.

L’esame istologico poneva diagnosi di “melanoma maligno della mucosa del pene, a crescita orizzontale,

con nodulo in fase di crescita verticale infiltrante il chorion per 2 mm secondo Breslow, a cellule epitelioidi e

fusate pigmentate, con marcato politrofismo cellulare ed attività mitotica alta (6/mmq); presenza di infiltrato

linfocitario perilesionale. Presenza di invasione vascolare. Non evidenza di ulcerazione. Margini liberi da

neoplasia”.

Sono stati asportati, inoltre, 2 linfonodi “sentinella” in regione inguinale sinistra, risultati entrambi reattivi, e

2 linfonodi “sentinella” in regione inguinale destra, 1 dei quali mostrava due micro metastasi.

Si è quindi proceduto ad intervento di linfoadenectomia inguino-iliaco-otturatoria destra.

Il melanoma maligno del pene è una patologia estremamente rara che richiede uno stretto follow up nel post

operatorio, considerata la relativamente bassa overall survival a 2 e 5 anni.

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

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MELANOMA DESMOPLASICO RICORRENTE: CASE REPORT CON INTEGRAZIONE DI CHIRURGIA ED ELETTROCHEMIOTERAPIA

B.Tavaniello, C.M.Oranges, S.Palo, V.Pinto, R.Cipriani, G.Zannetti Unità Operativa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Ospedale S.Orsola- Malpighi, Bologna. Direttore dr. Riccardo Cipriani

Riportiamo il caso di un paziente di 80 anni, trattato in altra sede dal 1990 fino al 2002 per una

neoformazione plurirecidivante della regione nucale che, dal punto di vista istologico, era stata diagnosticata

come una lesione cutanea benigna.

Nel 2003 ci fu un’ulteriore recidiva locale e pertanto, dato il comportamento atipico della neoformazione, fu

eseguita presso altra sede una biopsia escissionale che riportava una fibromatosi atipica aggressiva con un

basso grado di malignità.

Nel 2004 si osserva una nuova recidiva che venne sottoposta a biopsia incisionale presso la Clinica

Dermatologica dell’Ospedale S.Orsola-Malpighi ed il pezzo istologico veniva inviato in consulenza

all’anatomia patologica dell’Harvard Medical School (dr. Fletcher) che diagnosticò una recidiva di MMC

desmplasico.

Il paziente è stato poi inviato alla nostra attenzione per un’ampia escissione a 3 cm e ricostruzione con

innesto libero di cute a tutto spessore. Nel 2011 il paziente mostra una nuova recidiva con un grande nodulo

sottocutaneo di 10 x 8 cm, fisso alle strutture profonde.

La TC eseguita senza mdc evidenzia una raccolta fluida estesa longitudinalmente per circa 9 cm, compresa

tra la cute ed i piani muscolari. Lo studio ecografico della regione nucale in corrispondenza della cicatrice

dimostra la presenza di un’ampia recidiva multi nodulare.Si decide inoltre di sottoporre il paziente a

tomoscintigrafia globale corporea che mostra un iperaccumulo del radiofarmaco (SUV max 28) in

corrispondenza della nota lesione nucale, riferibile a localizzazione della nota patologia eteroplastica di base.

A causa dell’incertezza di eseguire una rimozione completa del tumore senza coinvolgimento delle strutturte

spinali, abbiamo deciso di eseguire una prima seduta di elettrochemioterapia neoadiuvante.

L’indagine tomoscintigrafica globale corporea eseguita ad un mese dalla seduta di elettrochemioterapia

neoadiuvante segnala una riduzione della massa e dell’intensità di captazione del radiofarmaco (SUV max

18). A questo punto decidiamo pertanto di pianificare un intervento chirurgico di escissione della massa

nucale, portandoci a circa 2 cm dai margini macroscopicamente palpabili ed estendendoci in profondità fino

al piano muscolare paravertebrale che appare macroscopicamente non interessato dalla nota patologia di

base. Per una completezza diagnostico- terapeutica, si opta per eseguire un prelievo sul fondo della perdita di

sostanza residua, inviato anch’esso all’esame istologico definitivo.

Considerato il comportamento biologico del melanoma desmoplasico, riteniamo utile effettuare una seduta di

elettrochemioterapia a cielo aperto di bonifica sul fondo e sui bordi della perdita di sostanza previa infusione

endovenosa di bleomicina.

L’ampio difetto ottenuto dalla demolizione viene riparato con un lembo muscolo cutaneo di trapezio

perlevato dall’emidorso destro che viene allestito, scolpito e ruotato sul peduncolo vascolare dei vasi

occipitali. L’esame istologico definitivo pone diagnosi di recidiva di melanoma desmoplasico.

Dopo sei mesi non si è osservata alcuna recidiva macroscopica, sebbene il ben noto decorso clinico della

malattia richieda necessariamente uno stretto e serrato follow up.

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OPZIONI TERAPEUTICHE NELLA CHIUSURA DELLA BRECCIA CHIRURGICA A LIVELLO DELLA PIEGA NASOGENIENA Zucchi, R. Tortorella , C. Cortelazzi, G. Fabrizi U.O. di Dermatologia Direttore: Prof. G. Fabrizi Dipartimento di Scienze Chirurgiche Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma La piega nasogeniena è localizzata in una sede corporea ad elevata importanza estetica.

L’escissione di una lesione neoplastica, soprattutto se di piccola dimensione e situata in sua vicinanza, può

avvantaggiarsi di una minor visibilità cicatriziale quando almeno parte dell’incisione viene effettuata sul

fondo della suddetta piega.

Si valutano le possibili opzioni per la chiusura della breccia chirurgica in vicinanza della piega nasogeniena.

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

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FILM

ATI premio Baiocchi 

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EXERESI DI CARCINOMA BASOCELLULARE EMIVISO DX E CHIUSURA DELLA BRECCIA CHIRURGICA CON LEMBO DI AVANZAMENTO AD ISOLA

Zucchi A., Cortelazzi C., Pepe C., Zambito F., Fabrizi G. U.O. di Dermatologia Direttore: Prof. G. Fabrizi Dipartimento di Scienze Chirurgiche - Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma

La parte progettuale è una delle fasi più importanti di ogni intervento dermochirurgico. La scelta del tipo di

intervento dipende da vari fattori relativi non solo al Paziente ma anche al Dermochirurgo.

Si presenta la scelta di chiudere la breccia chirurgica, lasciata dopo l’escissione di un carcinoma

basocellulare ulcerato dell’emiviso dx, con un lembo di avanzamento ad isola.

EXERESI DI CARCINOMA BASOCELLULARE ULCERATO EMIVISO DX E CHIUSURA DELLA BRECCIA CHIRURGICA CON LEMBO DI ROTAZIONE

A. Zucchi, F. Presta, C. Cortelazzi, F. Satolli, G. Fabrizi U.O. di Dermatologia Direttore: Prof. G. Fabrizi Dipartimento di Scienze Chirurgiche - Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma

La parte progettuale è una delle fasi più importanti di ogni intervento dermochirurgico. La scelta del tipo di

intervento dipende da vari fattori relativi non solo al Paziente ma anche al Dermochirurgo.

Si presenta la scelta di chiudere la breccia chirurgica, lasciata dopo l’escissione di un carcinoma

basocellulare ulcerato dell’emiviso dx, con un lembo di rotazione.

ONICOCRIPTOSI TRATTATA CON ONICECTOMIA PARZIALE E FENOLIZZAZIONE

DEL CORNO LATERALE DELLA MATRICE UNGUEALE

Zucchi, B. De Felici, C. Pepe, M. Lombardi, M. Santini, G. Fabrizi U.O. di Dermatologia Direttore: Prof. G. Fabrizi Dipartimento di Scienze Chirurgiche Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma

Si presenta il caso di un Paziente affetto da unghia incarnita dell’alluce destro trattata da tempo con terapia

medica conservativa senza mai ottenere una completa guarigione.

La terapia chirurgica di parziale onicectomia e fenolizzazione del corno laterale della matrice consente di

arrecare minor dolore postoperatorio, di avere un tempo di guarigione più rapido ottenendo anche un buon

risultato estetico.

Volume abstract ‐ XXVII Congresso Nazionale SIDCO  ‐ Cervia, 19‐21 aprile 2012   

 

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LINFOADENECTOMIA INGUINALE PER LINFONODO SENTINELLA POSITIVO

IN PAZIENTE OPERATO DI MELANOMA COSCIA SINISTRA

A. Farnetti, M. Guida*, P. De Paolis, A.M. Ronco, S. Badalamenti, L. Santoro S.C. Chirurgia Generale, Presidio Ospedaliero Gradenigo – Torino * Specialista in Dermatologia - Torino

In caso di metastasi da melanoma in linfonodo sentinella inguinale è importante eseguire un’estesa

linfoadenectomia inguino-iliaca-otturatoria. Tale intervento può essere gravato da importanti effetti

collaterali, tra cui il linfedema dell’arto inferiore. Nel video illustriamo la dissezione inguinale.

Paziente di 51 anni, sottoposta nel settembre 2011 ad exeresi di melanoma coscia sinistra (esame istologico:

melanoma pT3a spessore 2,23 mm, 3 mitosi/mm2, II° livello di Clark), con linfonodo sentinella inguinale

sinistro positivo .TAC total body:Negativa per secondarietà.

Comparsa di linforragia nel post operatorio; modesto linfedema arto inferiore sinistro residuo, senza

limitazioni funzionali.

LEMBO DI RIEGER

L.Peruzzi1, S.Pugliarello1, M. Puviani1 1 Servizio di Dermatologia. Ospedale San Pellegrino Castiglione delle Stiviere (MN)

Mostriamo il lembo di Rieger impiegato nel nostro caso per la asportazione di una lesione melanocitaria

della punta del naso, con cellule atipiche al microscopio confocale e, dopo biopsia della lesione, diagnosi di

“nevo di Clark con atipia moderata”.

Il lembo di rotazione filmato risulta essere ideale per la riparazione di difetti della punta del naso che, in caso

di esposizione cartilaginea esporrebbero a una consistente percentuale di fallimento in caso di innesto libero.

Il risultato estetico finale giustifica il coinvolgimento dell’intero dorso del naso fino alla glabella.

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MELANOMA DELLA FOSSA TRIANGOLARE AL PADIGLIONE AURICOLARE: ASPORTAZIONE DI LINFONODO SENTINELLA DEL COLLO E CHIUSURA CON INNESTO LIBERO A TUTTO SPESSORE

 D. Olezzi1, F.F. Neri 1, A.Sacco1, M. Puviani1 1 Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologica. Nuovo Ospedale Civile di Sassuolo (MO)

La localizzazione infrequente al padiglione auricolare sx di un melanoma di oltre 1 mm di spessore, è la

motivazione della presentazione del filmato. Il linfonodo sentinella è stato localizzato al collo laterocervicale

omolaterale al melanoma dopo linfoscintigrafia radio marcata e iniezione di colorante (Patent blue).

Dopo aver prelevato il linfonodo si è proceduto all’ampliamento chirurgico per il pregresso melanoma della

fossa triangolare al padiglione auricolare; la soluzione più radicale per ampliare l’asportazione chirurgica

comprendeva anche l’asportazione della struttura cartilaginea, che, data la posizione centrale del melanoma,

non ha compromesso la morfologia, la struttura e conseguentemente la funzione dell’orecchio esterno.

L’esposizione del sottocute del padigione posteriore è divenuto terreno ideale per l’attecchimento di un

innesto cutaneo a tutto spessore.

VASTO EPITELIOMA DELLA GUANCIA. LEMBO DI ROTAZIONE M. Martini 1, A. Sacco1, S. Medri 2, M. Puviani1 1 Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologica. Nuovo Ospedale Civile di Sassuolo (MO) 2 Servizio di Dermatologia. Ospedale San Pellegrino Castiglione delle Stiviere (MN)

Presentiamo il caso di una paziente albanese affetta da diversi epiteliomi del volto il più grande dei quali

coinvolge le zone della tempia e dello zigomo destro. La lesione di aspetto cicatriziale, forse anche per i

numerosi trattamenti laser in precedenza eseguiti in patria, viene escissa lasciando una breccia ampia circa 7

x 4 cm.

La chiusura avviene mediante un lembo di rotazione a peduncolo inferiore. Il risultato estetico e la scarsità di

alternative giustificano il coinvolgimento della regione pre e post auricolare e lo scollamento fino al collo.

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3X1: LEMBO DI RIEGER, JIGSAW PUZZLE FLAP ED UN ERRORE PER 1 SOLO NASO!

D.Olezzi 1, M.Curci 1, M.Puviani1 1 Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologica. Nuovo Ospedale Civile di Sassuolo (MO)

In questo filmato vengono documentati due interventi alla punta e all’ala del naso della stessa paziente

svoltisi a distanza di 1 mese l’uno dall’altro.

Il primo intervento riguarda un lembo di Rieger per un epitelioma della punta del naso, soluzione a nostro

parere ottimale per le lesioni attorno al cm di tale regione anatomica.

Il lembo “jigsaw puzzle” è l’oggetto del secondo intervento per un epitelioma dell’ala sx del naso; tale

tecnica a nostro parere è certamente applicabile ad altre regioni del volto, come il labbro superiore, ma trova

nella porzione laterale dell’ala del naso la sede migliore anche in termini di risultato estetico finale.

Ospite inatteso del secondo intervento è un errore dell’operatore…. Sarà rimediabile?

LEMBO AD H “FUORISEDE” Giovanni Sarracco – Emilia Prizio UOC di Dermatologia A.O. “G.Rummo” di Benevento

Il lembo ad H o doppio lembo di avanzamento è una tecnica di grande utilità impiegata prevalentemente per

le lesioni della regione frontale e del cuoio capelluto.

Nel caso in questione per l’asportazione dell’epitelioma ho deciso di praticare un lembo ad H al collo, sede

infrequente per questo tipo di soluzione chirurgica, sfruttando la particolare lassità della cute della paziente.

La sua applicazione al collo mi è parsa la scelta più opportuna per conservare la fisiologica tensione della

zona ottenendo anche un accettabile risultato estetico.

Nel doppio lembo di avanzamento è necessario prestare attenzione alle dimensioni della lesione da

rimuovere: quando la stessa è troppo grande diventa difficile la chiusura dell'H. La lunghezza del lembo deve

essere al massimo il doppio della larghezza della base per garantire una ottimale vascolarizzazione e ridurre

al minimo il rischio di necrosi dell'estremità distale dei lembi che vanno a contrapporsi.

Nel filmato sono visibili l’anestesia locale, l’asportazione della neoformazione, la creazione dei due lembi, lo

scollamento e la coagulazione dei piccoli vasi e la sutura finale.

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LA BIOPSIA DELL’ARTERIA TEMPORALE SUPERFICIALE NELL’ARTERITE DI HORTON S. Vienna U.O. di Dermatologia Ospedale S. Chiara Trento

La biopsia dell’arteria temporale superficial è una procedura chirurgica poco invasiva utile per formulare la

diagnosi di arterite di Horton. Dopo avere scelto la sede del prelievo con l’aiuto di un doppler vascolare si

esegue l’anestesia locale ai lati dell’arteria. L’intervento inizia con l’incisione della cute fino alla fascia

temporale superficiale al di sotto della quale è spesso visibile l’arteria.

Con l’aiuto delle forbici smusse si crea una breccia nella fascia e si isola con cura l’arteria evitando di

danneggiarla per evitare artefatti istologici. I piccoli rami collaterali possono essere cauterizzati a qualche

millimetro di distanza dall’origine. Dopo aver isolato un segmento arterioso di circa 3 cm si procede alla

legatura prossimale e distale in Vicryl 4/0. Dopo un’accurata emostasi si procede con la sutura.

L’incidenza di complicanze è bassa e nella maggioranza dei casi esse sono minori e transitorie.

Queste includono la formazione di un ematoma, deiscenza o infezione della ferita, sanguinamento.

La complicanza più grave è la lesione della branca temporale del nervo faciale con conseguente paralisi del

muscolo frontale. Pertanto particolare attenzione deve essere dedicata durante la dissezione dell’arteria

specialmente nella zona considerata a rischio per la presenza del nervo faciale.

In conclusione con una tecnica chirurgica corretta, la conoscenza dell’anatomia della regione e delle possibili

complicanze la biopsia dell’arteria temporale superficiale è un intervento semplice e sicuro.

 

                

 

 

 

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FILM

ATI

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PRIMA ESPERIENZA INDIRETTA DI LIPOFILLING NEL TRATTAMENTO DI UNA CICATRICE CHIRURGICA

E. Raposio2, A. Zucchi1, B . De Felici1, F.Mazzeo2, G. Fabrizi1 1Sezione di Dermatologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università degli Studi Parma 2Sezione di Chirurgia Plastica, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università degli Studi di Parma

Si presenta il caso di una Paziente affetta da esito cicatriziale inestetico per precedente intervento di exeresi

di melanoma cutaneo a livello della cresta tibiale della gamba destra.

La sofferenza del lembo cutaneo di vicinanza spostato sul piatto tibiale ha determinato un infossamento

cutaneo provocando così un esito inestetico.

Si è ricorsi alla tecnica del lipofilling per cercare di ridurre la concavità ed aumentare il trofismo, la mobilità

e l’elasticità della cute sovrastante la superficie ossea.

Il filmato può risultare utile solo a chi non ha mai effettuato un intervento di lipofilling e vorrebbe ricorrere a

tale tecnica.

LINFOADENECTOMIA ILIACO-OTTURATORIA LAPAROSCOPICA IN PAZIENTE OPERATO DI MELANOMA ALLA COSCIA SINISTRA CON LINFONODO SENTINELLA POSITIVO R. Mattio, M. Guida*, P. De Paolis, A.M. Ronco, A. Farnetti, S. Badalamenti, L. Santoro S.C. Chirurgia Generale, Presidio Ospedaliero Gradenigo – Torino * Specialista in Dermatologia - Torino

In caso di metastasi da melanoma in linfonodo sentinella inguinale è importante eseguire un’estesa

linfoadenectomia inguino-iliaca-otturatoria. Tale intervento può essere gravato da importanti effetti

collaterali, tra cui il linfedema dell’arto inferiore. L’utilizzo della tecnica laparoscopica per il tempo iliaco-

otturatorio riduce l’invasività chirurgica ed il rischio di linfedema.

Nel video illustriamo la parte laparoscopica iliaco-otturatoria dell’intervento:

Paziente di 51 anni, sottoposta nel settembre 2011 ad exeresi di melanoma coscia sinistra (esame istologico:

melanoma pT3a, spessore 2,23 mm, 3 mitosi/mm2, II° livello di Clark), con linfonodo sentinella inguinale

sinistro positivo. TAC total body: negativa per secondarietà.

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ESPERIENZA DI LIPOFILLING IN UN CASO DI RADIODERMITE

A. Zucchi, F. Presta, B. De Felici, F. Zambito Spadaro, R. Tortorella, G. Fabrizi. Sezione di Dermatologia, Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Università degli Studi Parma. Il lipofilling può essere utilizzato oltre che a correggere deficit di volume primitivi e secondari, anche per

migliorare la condizione distrofica presente in caso di radiodermite.

Si descrive il caso di una Paziente di 80 anni, affetta da radiodermite in seguito a trattamento radioterapico,

successivo a mastectomia radicale.

La Paziente è stata trattata con due sedute di lipofilling ed ha sviluppato, in sede di infiltrazione,

un’ulcerazione cutanea, probabilmente dovuta ad eccessivo traumatismo e/o sfavorevole rapporto tra volume

di tessuto adiposo infiltrato ed elasticità della sede ricevente.

In generale si può affermare che innesti di piccole dimensioni hanno le maggiori possibilità di riuscita e che

il riassorbimento è variabile e plurifattoriale.

Il tessuto adiposo si presenta oggi come una risorsa importante di cellule staminali utili per la riparazione e

rivitalizzazione dei tessuti, ma il suo attecchimento e il risultato finale dipendono strettamente

dall’esperienza, dalle tecniche e dagli accorgimenti adottati per la manipolazione del tessuto prelevato.

LIPOSARCOMA MIXOIDE

M.Curci 1, D.Olezzi1 , M. Puviani1 1 Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologica. Nuovo Ospedale Civile di Sassuolo (MO)

I sarcomi dei tessuti molli (STM) sono tumori rari dell’adulto con incidenza globale di 3-5casi/100.000

abitanti/anno; rappresentano l’1% delle neoplasie in età adulta.

Il liposarcoma è il tumore maligno primitivo di derivazione dalle cellule adipose ed è tra i più frequenti

sarcomi dei tessuti molli. Tipico dell’età adulta con incidenza maggiore tra 40-60 anni, raro nell’infanzia.

esistono quattro tipi istologici (WHO classificatio). Il mixoide/ a cellule rotonde (MRCLS) risulta essere tra i

più frequenti con grado di malignità determinato dalla percentuale di cellule rotonde (cutoff 5%).

Il nostro caso è un esempio di malpractice dal punto di vista diagnostico, consente una riflessione su limiti e

competenze della nostra e di altre specialità. Abbiamo filmato e mostriamo la asportazione del liposarcoma

per mostrare dal vivo come e con quali caratteristiche morfologico strutturali si presenta tale lesione.

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EXERESI DI PICCOLO CARCINOMA BASOCELLULARE DEL PADIGLIONE SINISTRO E CHIUSURA DELLA BRECCIA CHIRURGICA CON INNESTO CUTANEO LIBERO A. Zucchi, E. Tognetti, F. Presta, F. Aimi, M. Santini, G. Fabrizi U.O. di Dermatologia Direttore: Prof. G. Fabrizi Dipartimento di Scienze Chirurgiche - Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma

Si presenta il caso di un Paziente affetto da carcinoma basocellulare di piccole dimensioni del padiglione

auricolare sx. La neoplasia si trova tra la branca posteriore dell’antelice e l’elice. Abbiamo scelto, come

opzione terapeutica, l’exeresi chirurgica e la chiusura della breccia con un innesto cutaneo libero. Questa

scelta è stata condizionata dall’assenza di margini clinicamente ben definiti. Abbiamo evitato l’escissione a

cuneo per compromettere meno l’estetica del padiglione auricolare e abbiamo evitato di tenere aperta la

breccia chirurgica (in attesa del risultato istologico) per il rischio di condrite.

DISSEZIONE ANATOMICA, LEMBO AD ISOLA E SI TRASPOSIZIONE GLABELLARE SU MODELLO CHIRURGICO AVANZATO

G.M Vezzoni, C. Ricci, K. Nguyen

Vdermastudio, Viareggio

Si propone questo filmato per mostrare un nuovo modello artificiale di capo e collo finalizzato

all’apprendimento della dermochirurgia avanzata.

Il modello ripropone con estrema fedeltà l'anatomia del capo e del collo, comprese arterie, nervi, muscoli e

fascia. Nel filmato è mostrata la dissezione anatomica di alcune zone a rischio con il reperimento dei nervi e

dei vasi presenti.

Su questi modelli si possono eseguire procedure di dermochirurgia avanzata, come lembi di rotazione, di

avanzamento, di trasposizione e innesti in ogni sede anatomica, compresi orecchio, naso e labbra, dove sono

riprodotte realisticamente cartilagine e mucose. In questo filmato sono presentati un lembo ad isola ed un

lembo di trasposizione glabellare

La struttura del materiale del modello permette di apprezzare come reali il taglio, lo scollamento e la sutura,

favorendo l'acquisizione di capacità chirurgiche avanzate in tempi rapidi.

In particolare possono essere eseguiti tutti i tipi di suture con le stesse difficoltà che si incontrano sul tessuto

umano.

La perfetta riproduzione delle zone a rischio chirurgico del volto sollecita l'operatore alla stessa attenzione

che deve applicare sul paziente reale, perfezionando così non solo la procedura tecnica ma anche l'approccio

mentale all'intervento.

Questi modelli costituiscono un passo avanti molto significativo rispetto ai precedenti materiali utilizzati,

quali zampe e teste di maiale, ponendosi come alternativa economica e pratica, nonché priva di ostacoli

normativi, al cadavere fresco.

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POSTER

 

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L'INDICE DI DIASTASI: UNA MISURA SEMPLICE E RIPRODUCIBILE DELLA DIASTASI TARDIVA DELLA CICATRICE CHIRURGICA A LOSANGA

S. Astorino, P. Campioni*

Policlinico Militare di Roma “Celio",Area Medica,Dipartimento Medicina,Reparto Dermatologia e Università di Pisa, Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia. * Policlinico Militare di Roma “Celio”,Area Chirurgica,Dipartimento Chirurgia,Reparto Chir. Plastica

La lenta ma quasi inesorabile diastàsi tardiva delle losanghe chirurgiche in sedi convesse, specie sul dorso

dei giovani, determina la formazione delle caratteristiche "cicatrici ad occhiello”. Esse sono dovute alle

forze tensive alle quali le cicatrici chirurgiche sono sottoposte, specialmente nei giovani, sia per l’elasticità

dei tessuti e sia per le sollecitazioni meccaniche da attività fisica, ma una misurazione precisa dello

slargamento tardivo delle losanghe chirurgiche non può essere fatta se non attraverso un metodo

possibilmente semplice e sicuramente riproducibile, che consenta un confronto dei risultati ottenuti.

Il calcolo dell'indice di diastasi di una losanga (IDL) è un metodo abbastanza semplice e completamente

riproducibile: esso è dato dal rapporto tra larghezza e lunghezza della losanga. Dato che per ottenere una

chiusura ottimale della losanga chirurgica per definizione si deve rispettare la regola del 3 (la lunghezza

dell'asse maggiore deve essere circa tre volte la larghezza della losanga), il valore dell'indice di diastasi

tardiva della cicatrice a losanga sarà contenuto tra un massimo (IDLmax) di 0.33 (1/3) e un minimo

(IDLmin) di zero (0/3).

Una elaborazione semplice dell'indice di diastasi grezzo è l'indice di diastasi percentuale (IDL%), che va da

zero a cento. Si calcola semplicemente dividendo IDL su IDLmax per cento; in tal modo si ottiene un

numero percentuale che da un'idea immediata di quanto si sia slargata la cicatrice rispetto al massimo

slargamento possibile.

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CONSIDERAZIONI E NOSTRA ESPERIENZA SUL TRATTAMENTO DEL MELANOMA IN SITU DEL VOLTO

V.Caliendo, D.Lauro, M.Grassi, P.Broganelli, C.Tomasini, S.Ribero, G.Macripo’ Divisione di Dermatologia Chirurgica,Dipartimento di Oncologia, AOU San Giovanni Battista Torino

Il trattamento elettivo del melanoma primitivo è l’exeresi chirurgica.

E’ noto che le cellule di melanoma possono estendersi a livello sub clinico oltre i margini clinicamente

apparenti della lesione stessa.

Le linee guida raccomandano infatti, exeresi adeguate , correlate con lo spessore del melanoma .

In particolare per il melanoma in situ l’escissione sarebbe correttamente attuata con margini raccomandati a

0,5 cm .

Quando l’asportazione non può essere considerata in funzione di parametri quali :età, condizioni cliniche del

Paziente, estensione della lesione etc. si rende necessaria una condotta terapeutica differente.

L’uso off-label dell’imiquimod topico è stato proposto come alternativa all’exeresi chirurgica, accanto alla

radioterapia delle lentigo maligne, e alla crioterapia .

I dati presentati si riferiscono a Pazienti portatori di melanoma in situ del volto con valutazione e limiti delle

differenti opzioni terapeutiche affrontate.

Guidelines of care for the management of primary cutaneous melanoma.

J Am Acad Dermatol 2011;65:1032-47

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FASCITE NECROTIZZANTE DA MORSO DI OFIDE

C. D’Acunto°, A. Carboni°, P. Tribuzi*, D. Melandri° ° Centro Grandi Ustionati, Ospedale “M. Bufalini”, Cesena * U.O. di Dermatologia, Ospedale “Belcolle”, Viterbo La fascite necrotizzante è una infezione dei tessuti molli di norma provocata da batteri produttori di tossine, si presenta con una vasta necrosi cutanea e sottocutanea fino alla fascia con parziale risparmio del muscolo sottostante. L’infezione può essere polimicrobica (tipo 1) o monomicrobica (tipo 2). I principali meccanismi di distruzione del tessuto, ad opera delle tossine, sono la deformazione degli eritrociti e il danno delle cellule endoteliali che conducono alla formazione di trombi, emorragie e necrosi tissutale. Le condizioni predisponenti più frequenti sono l’abuso di alcool o droga, l’immunodepressione ed il diabete. La porta d’ingresso dell’infezione può essere un piccolo trauma quale una puntura di insetto, od un intervento chirurgico. Solo sporadicamente è stata riportata l’insorgenza dopo un morso di serpente. Si riporta di seguito il caso di un paziente di 77 anni, senza alcuna delle condizioni predisponenti elencate, che ha sviluppato una fascite necrotizzante dell’arto superiore sinistro in seguito ad un morso di serpente, verosimilmente una vipera comune (Vipera Aspis). Il paziente nelle ore successive al morso, al secondo dito della mano sinistra, ha sviluppato un imponente edema a contenuto siero ematico esteso a tutto l’avambraccio sinistro che progressivamente è evoluto in una vasta area necrotica con interessamento della fascia muscolare. Ha sviluppato inoltre, nei giorni immediatamente successivi al trauma, una insufficienza renale acuta con stato di shock. I tamponi eseguiti sull’area necrotica in maniera seriata sono risultati positivi all’Acinetobacter baumanii ed una specifica terapia antibiotica è stata intrapresa. Localmente l’approccio è stato chirurgico, in più sedute operatorie sono stati rimossi i tessuti necrotici e con l’ausilio di apparecchi a pressione negativa è stato preparato il fondo per il definitivo intervento di innesto cutaneo autologo. Il decorso clinico e l’aspetto della lesione iniziale depongono per una fascite necrotizzate insorta dopo morso di ofide, a tal proposito si ricorda che il veleno delle vipere contiene una miscela di enzimi quali: proteasi, esterasi, fosfolipasi, citotossine ed enzimi di tipo trombotico e attivanti il fattore V che sono responsabili del danno tissutale e sistemico. Kihiczak GG, Schwartz RA, Kapila R. Necrotizing fasciitis: a deadly infection. J Eur Acad Dermatol Venereol. 2006 Apr;20(4): 365-9. Levine EG, Manders SM. Life-threatening necrotizing fasciitis. Clin Dermatol. 2005 Mar-Apr;23(2): 144-7. Dahl PR, Perniciaro C, Holmkvist KA, O'Connor MI, Gibson LE. Fulminant group A streptococcal necrotizing fasciitis: clinical and pathologic findings in 7 patients. J Am Acad Dermatol. 2002 Oct; 47(4): 489-92. Vigasio A, Battiston B, De Filippo G, Brunelli G, Calabrese S. Compartmental syndrome due to viper bite. Arch Orthop Trauma Surg. 1991; 110(3): 175-7. Kuzbari R, Seidler D, Deutinger M. Local complications after poisonous snake bite. Handchir Mikrochir Plast Chir. 1994 Jan; 26(1): 48-50. In Italia sono presenti quattro specie di vipera: L'aspide o vipera comune (Vipera aspis), la più comune, diffusa su tutto il territorio, tranne in Sardegna. Il marasso (Vipera berus), frequente nell'Italia settentrionale. La vipera dell'Orsini (Vipera ursinii), presente solo sull' Appennino Abruzzese ed Umbro-Marchigiano, è la specie più piccola, con una taglia media di circa 40 cm. La vipera dal corno (Vipera ammodytes), presente nell'Italia Nord-orientale Le vipere italiane sono "pacifiche" e preferiscono scappare; il morso è mortale in rarissimi casi (i soggetti più a rischio sono anziani, bambini o persone debilitate). Bisogna evitare la somministrazione di siero (immunoglobuline di origine equina) al di fuori di un ambiente ospedaliero per il rischio di shock anafilattico, in quanto più pericoloso del morso stesso della vipera. I serpenti, le vipere in particolare, suscitano da sempre una grande paura; per questo su di loro circolano molte storie. Ricordiamo la vecchia leggenda metropolitana delle vipere gettate dagli elicotteri per ripopolare zone boschive. È una storia diffusa in gran parte d' Europa, in Italia in particolare, tanto che Paolo Toselli le dedica il titolo del suo libro sulle leggende metropolitane "La famosa invasione delle vipere volanti e altre leggende metropolitane dell'Italia d'oggi", Milano, Sonzogno (1994).

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RECONSTRUCTIVE SURGERY WITH MYOCUTANEOUS RECTUS ABDOMINIS FLAP AND PERITONEAL NET FOR EXTRAORDINARY GIANT BASAL CELL CARCINOMA INFILTRATING THE ABDOMINAL WALL

J. Deluca 1, G. Pierer 2, M. Pichler 1 , HG. Müller 3 , B. Zelger 3, P. Pülzl 2, K. Eisendle1 1Department of Dermatology, General Hospital Bolzano, Lorenz Boehler-Str., 5 I 39100 Bozen 2Department of Plastic Surgery, University of Innsbruck, , Anichstr. 35 A-6020 Innsbruck 3Department of Dermatology , University of Innsbruck, , Anichstr. 35 A-6020 Innsbruck

Basal cell carcinoma (BCC) is the most frequent histological type of non melanoma skin cancer (NMSC).

Around 1% of BCCs achieve a -giant- size, intended as a tumor larger than 5 cm in diameter and rarely

BCCs larger than 20 cm are reported in literature.

We present a case of an extraordinary giant basal cell carcinoma (25x 14x 5 cm) which involved the right

abdominal wall. After removal the defect was reconstructed by placing a peritoneal net and a myocutaneous

rectus abdominis flap to close the skin defect.

The performed surgical procedure was curative and also obtained an excellent aesthetic result. Until now,

where possible, the surgical treatment is preferred for giant BBCs, although this might change with the

availability of hedgehog signaling pathway inhibitors.

“READING MAN FLAP” FOR RECONSTRUCTION OF CIRCULAR INFRAORBITAL SKIN DEFECTS M. Pichler1, J. Deluca1, K. Eisendle1 1 Department of Dermatology ,General Hospital Bolzano,, Lorenz Boehler-Str. 5, 39100 Bozen

The “reading man flap” is a recently described flap named after its appearance and mainly used for

reconstruction of large circular infraorbital skin defects. It is used to overcome surgical complications such

as lower lid retraction and ectropion, which are possible postoperative complications after surgery in this

region. This flap is a optimal alternative and a simple technique for the closure of large circular malar and/or

infraorbital skin defects and for minimizing post-operative complications. The advantages of this flap are a

minimal risk of scar infection, a low risk of flap necrosis and a low risk of complications such as a lower lid

retraction and ectropion. Moreover compared to standard procedures like the bilobed and the single Limberg

flap there is no need to excise additional healthy skin.

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XANTOMA ERUTTIVO: UN SINTOMO PARANEOPLASTICO

R. Filippetti, A. Muzi Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini, Roma, Ambulatorio di Dermatologia

Gli xantomi eruttivi sono piccole papule giallastre spesso con un alone eritematoso che si sviluppano sulle

pieghe o anche in larghe aree del corpo in pochi giorni o settimane. Comune è l’associazione con

iperlipoproteinemie ereditarie o disordini metabolici che alterano il metabolismo delle lipoproteine come il

diabete, malattie renali e tiroidee.

Caso clinico: Una donna di 23 anni è stata valutata per la comparsa da 10 gg di papule giallastre con alone

rosso e piccola depressione centrale disseminate sul tronco,glutei,e superficie estensoria degli arti senza

dolore o prurito o regressione delle lesioni in controlli successivi. Obiettivamente non erano presenti altri

sintomi (fenomeno di Koebner assente) eccetto febbricola. Esami di laboratorio di routine nella norma.

L’esame istologico di una papula mise in evidenza: iperplasia con infiltrazione di plasmacellule policlonali,

mature consistenti con una diagnosi di Plasmocitosi cutanea,una patologia che interessa tipicamente gli

asiatici.

Due mesi più tardi la paziente sviluppò un linfoma non Hodgkin ( dd con mieloma multiplo e plasmocitosi

sistemica).

Conclusioni: il caso clinico dimostra la necessità di valutare istologicamente gli xantomi eruttivi. Se sono

evidenti segni di Plasmocitosi Cutanea sarà necessaria una sorveglianza per una patologia associata

neoplastica.

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UN CASO DI POLIDATTILIA

G.Fumo, C.Ferreli, A.Musinu, M.Pau Clinica Dermatologica, Azienda Ospedaliero -Universitaria di Cagliari.

La polidattilia post assiale e cioè la presenza di un dito sovra numerario alle mani o ai piedi, è evento non

raro ma che in pochi casi viene portato alla attenzione del dermatologo.

Può essere un’anomalia isolata o fare parte, nel 15% dei casi, di più complesse sindromi genetiche (Bardet-

Biedl syndrome, sindrome del nevo basocellulare, Ellis Van Crefeld syndrome). Il dito soprannumerario può

essere rudimentale oppure completamente formato e funzionale. Più frequente nei soggetti di pelle scura con

una percentuale che, in America Latina, è di poco superiore ad 1 caso ogni 1000 neonati per l’esadattilia

localizzata alle mani, più rara allorché localizzata ai piedi. Raramente descritta nei caucasici. Gli AA

descrivono un caso relativo ad un neonato venuto alla loro osservazione che presentava la presenza di

esadattilia sporadica delle mani con quinto dito soprannumerario ed illustrano la strategia terapeutica

intrapresa per eliminare tale problematica.

SUCCESSFULL TREATMENT OF A POSTTRAUMATIC ULCER WITH SPILT-

THICKNESS SKIN GRAFT AND USE OF VAC THERAPY: A CASE REPORT

B. Gatscher1, P. De Bacco1, K. Eisendle1 1 Department of Dermatology ,General Hospital Bolzano,, Lorenz Boehler-Str. 5, 39100 Bozen

We present a case of a 70-year old male patient who developed an important subcutaneous post-traumatic

hematoma (500ml) on his right upper thigh with subsequent large necrosis and cellulitis of the surrounding

skin. Necrectomy and removal of the hematoma was performed and the patient received systemic antibiotic

therapy (amoxicilline plus clavulanic acid) and local wound conditioning via VAC for two weeks prior to

surgery. The defect was subsequently closed by a split-skin graft. Post-operatively VAC-therapy was

continued for five days. Thus one month after the initial trauma the lesion was completely healed. This case

shows how effectively vac-therapy optimizes the wound-healing conditions after application of a split-skin

graft.

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GESTIONE DELLE ULCERE SCLERODERMICHE: VALUTAZIONE COMPLESSIVA

DELLE MEDICAZIONI AVANZATE

G.Gualdi, P.Monari, A. Vascellaro PG Calzavara Pinton

Le ulcere sclerodermiche rappresentano una piccola ma significativa percentuale delle ulcere cutanee

croniche. La loro gestione risulta particolarmente complessa sia per quanto concerne l’outcome guarigione, a

volte difficile da raggiungere e minato da frequenti recidive, sia per il percorso terapeutico stesso, spesso

ostacolato dall’importante dolore e dalla comparsa di infezioni a livello cutaneo.

Nell’ambito dell ambultario vulnologico abbiamo valutato le diverse medicazioni attualmente a disposizione

in relazione alle loro peculiari caratteristiche e in riferimento alle esclusive necessità di tali pazienti.

Risulta evidente che per la particolare patogenesi alla base di tale malattia esistano medicazioni più o meno

indicate .

RIMOZIONE CHIRURGICA DI GRANULOMI DA FILLER AL SILICONE DEL VISO

G.Gualdi, P.Monari, PG Calzavara Pinton Divisione di Dermatologia, A.O.spedali Civili, Università di Brescia, Brescia

I fillers, letteralmente “riempitivi”, sono materiali impiegati per il trattamento delle rughe, delle cicatrici

infossate o per aumentare il volume di alcuni distretti anatomici, come zigomi o labbra.

Dati rilasciati dalla American Society of plastic Surgeons (ASPS), mostrano come nel 2004 si siano avute

1.097.046 procedure d’iniezione di fillers e 872.060 nel 2005; una donna su dieci fra i 30 e i 60 anni fa

ricorso a filler.

Tali valori, in realtà, sono una sottostima in quanto vengono riportate solo le procedure d’iniezione effettuate

da membri della ASPS (Johl S.S. et al., 2006).

I fillers permanenti hanno il pregio di dare un risultato estetico definitivo ma talvolta possono provocare una

reazione di rigetto non prevedibile e difficilmente controllabile e correggibile. Derivano da polimeri con

legami alchil-ammidici e poliacrilamide e sono costituiti da molecole non riassorbibili. Il silicone in forma di

gel iniettabile è un filler permanente il cui uso è stato vietato dalla legge italiana agli inizi degli anni '90,

nonostante ciò, numerosi medici hanno continuato ad utilizzare tale molecola anche in anni recenti.

Presentiamo il caso di una paziente che nel 2005 ha eseguito filler al silicone alle rughe glabellari, naso-

geniene e perilabbiali, che, a distanza di 7 anni, in seguito a biorivitalizzazione con acido ialuronico, ha

presentato una imponente formazione di granulomi da corpo estraneo.

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L’APPARENZA INGANNA …. LIPOSARCOMA MIXOIDE A CELLULE ROTONDE DELL’ARTO INFERIORE DESTRO

D. Olezzi1, F.F. Neri1 , M. Curci1, A. Sacco1, M. Puviani1 1Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologica, Nuovo Ospedale Civile di Sassuolo (MO)

Presentiamo il caso di un paziente di 70 anni in abs che riferisce la comparsa da circa 10 anni di una massa

palpabile sottocutanea in sede lombare asintomatica e, da circa 2 anni, una massa analoga localizzata al

polpaccio dell’arto inferiore destro. Nel marzo 2010, presso altro reparto chirurgico, esegue escissione di

entrambe le lesioni con diagnosi istologica rispettivamente di Lipoma ed Angiomixolipoma. Nel gennaio

2011 il paziente lamenta la ricomparsa di una massa localizzata al polpaccio destro che viene drenata da

specialista ortopedico con diagnosi di sieroma post chirurgico.

Ad ottobre 2011 il paziente giunge alla nostra osservazione per il costante aumento volumetrico della lesione

in sede di pregresso angiomixolipoma e drenato come da complicanza chirurgica, al terzo superiore del

polpaccio destro, documentata ecograficamente di cm 8 x3 come patologia lipomatosa. Nello stesso mese la

massa viene asportata in regime di Day Hospital presso il nostro servizio di Chirurgia Dermatologica.

Pensando ad una recidiva dell’Angiomixolipoma l’intervento viene ampiamente documentato data la rarità di

tale neoplasia benigna (segnalati 14 casi al mondo, nessuno in Italia). All’atto chirurgico però segue una

sorpresa istologica: “neoplasia con ampie aree mixoidi, focali zone di ipercellularità soprattutto periferiche,

discreta vascolarizzazione costituita da vasi di calibro capillare con parete sottile. Reazione

immunoistochimica positiva per CD 34 e localmente positiva per proteina S100. Il reperto depone per

Liposarcoma Mixoide. La componente a cellule rotonde non supera il 5% circa”.Si effettua indagine

biomolecolare con esecuzione della procedura standard FISH per la determinazione del riarrangiamento del

gene CHOP (12q12): presente nel 15% delle cellule analizzate.

Il Paziente viene inviato presso la SC di Clinica Ortopedica e Traumatologica IV a prevalente Indirizzo

Oncologico dell’Istituto Rizzoli di Bologna dove viene programmato un ampliamento chirurgico e

brachiterapia; la stasi azione fino ad ora eseguita con TC ed Ecografia per la ricerca di localizzazioni di tipo

sostitutivo ha dato esito negativo.

Conclusioni: nel caso in oggetto il paziente era stato più volte valutato, a nostro parere, da una figura

professionale non avvezza a tale tipo di lesione, interpretando l’iniziale recidiva come una complicanza

dell’atto chirurgico e determinando in tal modo 10 mesi di ritardo diagnostico. Le dimensioni originarie della

massa (> 5 cm) associate ad un decorso post chirurgico atipico avrebbero necessitato di maggiore sensibilità

diagnostica. E’ vero che l’istologia è fondamentale ai fini diagnostici, ma dobbiamo ricordare che l’atto

medico non deve terminare alla consegna del referto istologico, il decorso clinico deve essere compatibile

alla diagnosi, che nel nostro caso era inizialmente di benignità.

Il nostro caso ribadisce ancora una volta l’importanza di un approccio diagnostico-terapeutico mirato e

specifico condotto da specialisti dedicati. Tale approccio deve divenire multidisciplinare nel caso di lesioni

rare non esitando a cercare risposte quando la clinica è inusuale!

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RICOSTRUZIONE DELLA PALPEBRA INFERIORE PER MELANOMA MALIGNO CUTANEO: HOW WE DO IT

V. Pinto▫, B. Tavaniello▫, L. Negosanti▫, E. Fabbri▫, O. Piccin◦, G. Zannetti▫ ▫ Unità Operativa di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Policlinico S.Orsola-Malpighi, Bologna ◦ Unità Operativa di Otorinolaringoiatria Policlinico s.Orsola-Malpighi, Bologna

INTRODUZIONE:

Il melanoma maligno della palpebra inferiore rappresenta meno dell’1% della totalità dei melanomi cutanei e

meno dell’1% di tutte le lesioni maligne coinvolgenti la palpebra inferiore. Tale patologia rappresenta una

sfida ricostruttiva sia da un punto di vista estetico che funzionale.

Riportiamo una serie di pazienti affetti da MMC della palpebra inferiore trattati con lembo miocutaneo ad

isola prelevato dalla palpebra superiore.

MATERIALI E METODI:

Nel periodo compreso tra il 1996 e il 2011, 9 pazienti affetti da MMC della palpebra inferiore sono stati

sottoposti ad allargamento a tutto spessore dell’escissione primaria e contestuale ricostruzione one-stage con

lembo miocutaneo ad isola prelevato dalla palpebra superiore omolaterale, tunnellizzato e “armato” con

tassello di cartilagine prelevata dalla conca auricolare.

A partire dal 2010 i pazienti trattati sono stati inoltre sottoposti alla ricerca del linfonodo sentinella.

RISULTATI:

L’utilizzo del lembo miocutaneo prelevato dalla palpebra superiore omolaterale al difetto, tunnellizzato, e

“armato” con innesto di cartilagine prelevata dalla conca auricolare, ci ha permesso di ottenere in tutti i

pazienti trattati ottimi risultati estetici e funzionali.

Il vantaggio del lembo miocutaneo prelevato dalla palpebra superiore rispetto ad altri lembi locali descritti

per la ricostruzione dei difetti a tutto spessore della palpebra inferiore è sia estetico che funzionale.

Da un punto di vista estetico, tale lembo permette di ricostruire l’intera sub-unità estetica della palpebra

inferiore, con tessuto della stessa texture, colore e spessore, in assenza di sequele a livello della sede di

prelievo che viene riparata alla stregua di una blefaroplastica superiore estetica.

Da un punto di vista funzionale, l’armatura cartilaginea garantisce la competenza palpebrale, riducendo il

rischio di lagoftalmo ed ectropion e le conseguenze relative all’esposizione sclerale.

Non si sono verificate complicanze maggiori nei casi trattati: tutti i pazienti hanno manifestato edema ed

ecchimosi risoltesi spontaneamente dopo due settimane.

CONCLUSIONI:

Il lembo descritto, già ampiamente utilizzato nella ricostruzione dei difetti a tutto spessore della palpebra

inferiore conseguenti ad altre cause, (oncologiche e traumatiche), garantisce, secondo la nostra esperienza,

ottimi risultati estetici e funzionali, in assenza di rilevanti complicanze.

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MELANOMA DEL VOLTO: LA MICROSCOPIA CONFOCALE PER LA DEFINIZIONE DEI MARGINI CHIRURGICI M. Puviani1 , D. Olezzi1, F.F. Neri 1, M. Curci1, M. Martini1 ,C. Longo 2

1Servizio di Dermatologia e Chirurgia Dermatologic- Nuovo Ospedale Civile di Sassuolo (MO) 2 Dermatologia- I.R.C.C.S. Arcispedale Santa Maria Nuova- Reggio Emilia

Descriviamo il caso di una paziente di 51 anni giunta alla nostra attenzione per una lesione melanocitaria in

regione zigomatica-periorbitaria laterale destra, recidivata dopo diversi trattamenti con crioterapia.

Tale lesione destava dubbi alla dermatoscopia, abbiamo perciò eseguito una biopsia a livello della regione

centrale della lesione che ha dato esito di Melanoma Maligno in situ (MIS). La paziente è stata sottoposta ad

asportazione chirurgica e chiusura della breccia con innesto libero a tutto spessore nell’ottica di attendere un

referto istologico che comprendesse l’intera lesione in termini di spessore e di radicalità.

Il referto confermava la diagnosi di MIS ma anche di un interessamento di parte dei margini chirurgici, fatto

inaspettato dato che il margine chirurgico libero dalla lesione melanocitaria sembrava clinicamente

sufficiente ed ampio (diametro massimo della breccia chirurgica 3,5 cm).

A questo punto abbiamo inviato la paziente presso l’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia in

Dermatologia ove la zona pericicatriziale della lesione è stata studiata con la tecnica della microscopia

confocale e ha permesso la localizzazione di cellule melanocitarie atipiche localizzate nella zona infero

laterale di cute sana pericicatriziale (a ore 6-9).

Con l’indicazione della microscopia confocale è stata quindi eseguita radicalizzazione ed ampliamento

chirurgico della lesione inviando in Anatomia Patologica la lesione ampliata orientata. L’analisi istologica ha

poi confermato la presenza di residuo di melanoma in regione infero laterale alla lesione originaria (a ore 6-

8) e l’assenza di neoplasia nelle altre sezioni esaminate; il margine libero è risultato essere di almeno 5 mm.

La breccia chirurgica creatisi dal secondo intervento si è rivelata estesa in relazione alla sede, con diametro

massimo di 4,8 cm, si è proceduto perciò a una chiusura con un lembo di avanzamento latero-mediale e un

innesto cutaneo libero.

Conclusioni: le lesioni melanocitarie del volto sono, a volte anche dal punto di vista dermatoscopico, di

difficile interpretazione soprattutto se, come nel nostro caso, sono state trattate in modo inappropriato. La

microscopia confocale oltre che essere dirimente in caso di diagnosi differenziale dubbia tra lesioni

melanocitarie benigne o maligne, può essere una tecnica estremamente utile per definire i margini chirurgici

pre operatori e consentire in tal modo risparmio di cute sana e, in definitiva, garantire la radicalità della

asportazione con un migliore risultato estetico finale. L’applicazione di tale tecnica ex vivo dovrà trovare

spazio nei centri di Chirurgia Dermatologica consentendo una riduzione della percentuale di recidiva e di

conseguenza del numero degli interventi.

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IMPORTANZA E RILEVANZA DELLA DERMO-CHIRURGIA IN AMBITO OSPEDALIERO: “LA NOSTRA ESPERIENZA” G. Sarracco, F. Piccirillo, E. Prizio, F. Cusano UOC di Dermatologia, AORN “G. Rummo”, Benevento

La chirurgia svolta dal Dermatologo sta acquisendo negli ultimi anni sempre più valore e dignità con risvolti

importanti in termini di impatto diagnostico ed economico. Il principale vantaggio che ne deriverebbe è la

possibilità di una preliminare valutazione dermatologica con una più mirata e precisa diagnosi pre-operatoria

evitando così interventi talvolta inutili ed ottenendo un contenimento notevole dei costi.

Abbiamo valutato la nostra attività chirurgica dal gennaio 2008 al dicembre 2010 confrontandola, tramite

dati ottenuti dal servizio di anatomia patologica del nostro ospedale, con l’attività delle altre branche

chirurgiche settorializzate (es. senologia e chirurgia maxillo facciale) e valutandone il peso sulle attività del

nostro nosocomio. L’auspicio per il futuro è di dotare i principali nosocomi di unità di dermochirurgia in

modo da poter ridurre le spese per singolo paziente, ridurre il numero di neoformazioni cutanee che sfuggono

alla nostra attenzione, decongestionare le chirurgie e, possibilmente, ampliarne i campi d’azione mirando ad

esempio anche alla piccola chirurgia ricostruttiva.

Tale attività chirurgica dermatologica richiede però non solo delle strutture adeguatamente attrezzate ma

anche un personale, medico ed infermieristico, correttamente formato allo svolgimento di tali procedure.

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RETRONICHIA, UNA CAUSA POCO CONOSCIUTA DI PERIONISSI CRONICA F. Savoia, C.Stinchi, L.Baldassari, G. Gaddoni U.O. Aziendale di Dermatologia, AUSL Ravenna, Italia

Una ragazza di 16 anni giunse alla nostra osservazione per la comparsa da circa 3 mesi di una perionissi

prossimale del I dito del piede sinistro. L’esame obiettivo mostrava marcato eritema ed edema della piega

ungueale prossimale, associati alla presenza di un granuloma piogenico debordante oltre la cuticola. La

lamina ungueale era di colore giallastro. La paziente lamentava dolore e riferiva la mancata crescita

dell’unghia. Non aveva tratto giovamento dalla terapia eseguita con antibiotico sistemico e con

l’associazione di cortisone e antibiotico topico.

Nessun trauma locale era riportato in anamnesi. Un ulteriore peggioramento della flogosi era evidente a

distanza di 10 giorni e veniva quindi eseguita, previa anestesia tronculare, l’avulsione dell’unghia, che

mostrava la presenza sia di un’unghia “vecchia” che di un’unghia “nuova” che non riusciva a procedere

distalmente. L’avulsione dell’unghia consentiva una guarigione completa nell’arco di 6 mesi.

Il termine retronichia è stato introdotto per la prima volta da de Berker nel 1999 per descrivere un’unghia

incarnita prossimale. Inizialmente riportata solo in pazienti anziani, la patologia può invece colpire anche i

giovani.

Sembra essere provocata da traumi locali, anche minimi e non apparenti, che causano un parziale distacco

dell’unghia, senza tuttavia provocare un’onicomadesi. La successiva nascita di una nuova unghia spinge

posteriormente e verso l’alto la vecchia unghia, provocando un’intensa infiammazione della piega ungueale

prossimale e la mancata crescita distale dell’unghia. L’avulsione ungueale è l’unico trattamento possibile e

porta alla completa restituito ad integrum, come nel caso da noi riportato.

 

FATTORI PROGNOSTICI DEL CARCINOMA SPINOCELLULARE A. Ronco1, A. Farnetti1, R. Mattio1, V. Schiavone1, F. De Luca1, L. Santoro1, R. Parente2, M. Pippione2

1Servizio di chirurgia dermoncologica, Presidio Sanitario Ospedale Gradenigo Torino 2Servizio di anatomia patologica, Presidio Sanitario Ospedale Gradenigo Torino

In letteratura si è fatta strada la necessità di una maggiore accuratezza nel classificare il carcinoma

spinocellulare dal punto di vista clinico ed anatomopatologico, nell’intento di poter stratificare un rischio

maggiore o minore di recidiva e di progressione.

Fattori prognostici clinici risultano essere: localizzazione del tumore primitivo, dimensione del tumore,

recidiva locale, immunodepressione.

Tra i fattori prognostici istologici ricordiamo: spessore del tumore e livello di invasione, grado di

differenziazione citologica, invasione linfovascolare e tipo istologico. Sulla base della diagnosi clinica ed

istologica è possibile quindi raggruppare i pazienti in gruppi piuttosto omogenei, formulando una prognosi

più accurata.

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105  

DERMATOFIBROMA GIGANTE ATIPICO: LA NOSTRA ESPERIENZA

A. Farnetti1, A. Ronco1, R. Mattio1, F. De Luca1, V. Schiavone1, L. Santoro1, P. Bo2, M. Pippione2 1Servizio di chirurgia dermoncologica, Presidio Sanitario Ospedale Gradenigo Torino 2Servizio di anatomia patologica, Presidio Sanitario Ospedale Gradenigo Torino 

Si descrive un caso di istiocitoma fibroso atipico giunto alla nostra osservazione: dalla diagnosi clinica ed

istologica alla terapia ricostruttiva. La nostra esperienza può risultare utile anche perché clinicamente la

lesione principale poneva problemi di diagnosi differenziale. Nonostante il dermatofibroma sia una delle più

frequenti lesioni di origine mesenchimale della pelle, in letteratura sono descritte numerose varianti di

dermatofibroma con differenti comportamenti clinici e possibili recidive locali.

ADENOCARCINOMA PAPILLARE DIGITALE: A CASE REPORT A. Farnetti1, A. Ronco1, R. Mattio1V. Schiavone1, F. De Luca1, L. Santoro1, F. Bottomicca2, M. Pippione2

1Servizio di chirurgia dermoncologica, Presidio Sanitario Ospedale Gradenigo Torino 2Servizio di anatomia patologica, Presidio Sanitario Ospedale Gradenigo Torino

Si descrive un caso di adenocarcinoma papillare digitale localizzato ad un dito della mano: dopo una

adeguata asportazione compare una recidiva locale senza segni di secondarietà. Il nostro caso concorda con

quanto riportato in letteratura: l’adenocarcinoma papillare digitale è una patologia di rara osservazione con

tendenza alla recidiva locale.

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INDICAZIONI E LIMITI NELLA TERAPIA NON CHIRURGICA DEL TRATTAMENTO

DEI TUMORI CUTANEI

G. Semprini, M. Francescon, S. Cracco, F. Dell’Antonia, M. Rivilli, P.C. Parodi Clinica di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, Università degli Studi di Udine

E’ ben documentato che l’incidenza dei tumori cutanei “non melanoma” è in continuo aumento, con

approssimativamente una diagnosi del 75% di ca basocellulari e del 20% di Ca squamocellulari all’anno.

Sebbene l’approccio chirurgico delle lesioni cutanee “non melanoma” sia considerato lo standard nel

trattamento di tali tumori, esistono circostanze in cui possono essere applicate procedure alternative di tipo

non chirurgico (crioterapia, laserterapia, terapie topiche ecc).

E’ necessario però tener presente le indicazioni e i limiti di tali trattamenti non chirurgici per garantire un

adeguato trattamento al paziente.

Gli autori presentano alcuni casi clinici in cui la gestione incongra del trattamento ha complicato l’iter

terapeutico e la prognosi del paziente.

Bibliografia

• Brightman L, Warycha M, Anolik R et al., Do lasers or topicals really work for nonmelanoma skin cancers? Semin Cutan Med Surg 30: 14-25, 2011

• Jung DS, Cho HY, Ko HC et al., Recurrent basal cell carcinoma folowing ablative laser procedures. J Am Acad Dermatol 64: 723-9, 2011

• Murchison AP, Walrath JD, Washington CV. Non-surgical treatments of primary, non-melanoma eyelid malignancies: a review. Clinical and experimental ophtalmology 39: 65-83, 2011

• Amini S, Viera MH, Valins W et al., Nonsurgical innovations in the treatment of nonmelanoma skin cancer. J Clin Aesthet Dermatol 3(6): 20-34, 2010