DEGLI ITALIANI CHE HANNO RESO ILLUSTRE NEL IMMENSO … · piuttosto di cose serie, un primo...

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IL MARCHESE EMILIO PUCCI CON UNA MODELLA SUI TETTI CHE GUARDANO IL DUOMO DI FIRENZE. LA FOTOGRAFIA È STATA SCATTATA NEL 1957 PER LA PRESENTAZIONE DELLA COLLEZIONE PALIO. NELLA PAGINA A FIANCO, IL GENNAKER DI WALLYÑO, LO YACHT CHE BATTE LA BANDIERA DELLA MAISON PUCCI. 9 8 GENNAIO - FEBBRAIO 2008 I personaggi di Monsieur PUCCI_CR 6-12-2007 9:39 Pagina 98 GENNAIO - FEBBRAIO 2008 9 9 Monsieur uomo elegante uomo [ DI GIANLUCA TENTI ] IMMENSO PRECURSORE EMILIO PUCCI È STATO UNO DEGLI ITALIANI CHE HANNO RESO ILLUSTRE NEL MONDO L’ITALIA. ECCO IL RACCONTO DELLA SUA VITA AVVENTUROSA TROPPO PRESTO FINITA NELL’OBLIO IMMENSO PRECURSORE EMILIO PUCCI È STATO UNO DEGLI ITALIANI CHE HANNO RESO ILLUSTRE NEL MONDO L’ITALIA. ECCO IL RACCONTO DELLA SUA VITA AVVENTUROSA TROPPO PRESTO FINITA NELL’OBLIO PUCCI_CR 6-12-2007 9:39 Pagina 99

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IL MARCHESE EMILIO PUCCI CON UNA MODELLA SUI TETTI CHE GUARDANO IL DUOMO DI FIRENZE. LA FOTOGRAFIA È STATA SCATTATA NEL 1957 PER LAPRESENTAZIONE DELLA COLLEZIONE PALIO. NELLA PAGINA A FIANCO, IL GENNAKER DI WALLYÑO, LO YACHT CHE BATTE LA BANDIERA DELLA MAISON PUCCI.

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I personaggi di Monsieur

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Monsieur uomo elegante uomo

[ D I G I A N L U CA T E N T I ]

IMMENSOPRECURSORE

EMILIO PUCCI È STATO UNODEGLI ITALIANI CHEHANNO RESO ILLUSTRE NELMONDO L’ITALIA. ECCOIL RACCONTO DELLA SUA VITAAVVENTUROSA TROPPOPRESTO FINITA NELL’OBLIOIMMENSO

PRECURSORE

EMILIO PUCCI È STATO UNODEGLI ITALIANI CHEHANNO RESO ILLUSTRE NELMONDO L’ITALIA. ECCOIL RACCONTO DELLA SUA VITAAVVENTUROSA TROPPOPRESTO FINITA NELL’OBLIO

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Ci sono storie che non finiscono. Mai. E ci sono nomi che non muoio-no. Mai. Quando questi due fiumi confluiscono, nasce il mito. Che inItalia (e solo in Italia) se indigeno e del ’900 viene frettolosamente ar-chiviato per via di un’insana tendenza che porta a esaltare l’esterofilia ea minimizzare i tesori della nostra identità. Pensateci un po’. In un idea-le Pantheon troverete sempre un Jfk, un John Lennon, una Coco Cha-nel, un Charlie Chaplin. Incontrerete difficoltà a riscoprire un’italiani-tà che, invece, altrove nel mondo ha conquistato i ruoli che merita, fa-cendo della propria attività il miglior biglietto da visita del tanto sban-dierato «made in Italy». Quella che segue è una di queste storie. È la sto-ria di un fiorentino nato a Napoli nel tramonto del 1914, fattosi atletae cultore delle arti, nobile di lignaggio, dal temperamento forte, forgia-to dalla guerra e sviluppato dalla creatività. Un genio, come lo ebbe a de-finire un collega eccellente,Christian Dior: «Mais vous sa-vez que votre Emilio Pucci estun génie?». Il mondo lo bat-tezzò Prince of prints. In real-tà era marchese, di Barsento.E conquistò i pionieri ameri-cani della moda con un car-toncino che non ammettevaderoghe: «Emilio Pucci, pa-lazzo Pucci, via de’ Pucci».Questa in realtà è storia nota,degna di un marchio di pre-stigio come appunto EmilioPucci (curioso, da allora si ini-ziò a parlare di una firma del-la moda come «brand»). Maquello che mi preme raccon-tare, per Monsieur, è l’uomoPucci di cui poco è conosciuto come meriterebbe. Perché la sua è unastoria importante che è andata incrociandosi con la Storia. Lo ricor-do fiero, in sella al destriero, quando entrava nell’arena del Calcio sto-rico e tratteneva l’irrequieto cavallo stordito dai boati della folla.Mantella nera, sguardo sicuro, sfidava anche i commenti non semprebenevoli dei suoi concittadini. Firenze è così: criticherebbe anche Dan-te, Leonardo e Michelangelo, figurarsi «i’ marchese».All’epoca, fine anni 80, non sapevo chi fosse in realtà. Lo scoprii colpassare degli anni. In gioventù, scrivevano di lui le cronache, si era «se-gnalato» come sciatore. Fece pure parte della squadra olimpica italia-na nel biennio 1934-35, vincendo anche una borsa di studio che lo por-tò ad allenarsi nel lontano Oregon. Sì, la sua grande passione era lo sci,quando le piste erano quelle dell’Abetone, sopra Pistoia. Le raggiun-geva con una comitiva di amici dai nomi importanti (da Fosco Marainia Giovanni Sartori) che presto lo ribattezzarono «Siringa» per via del-la sua figura esile. Con alcuni di questi partiva quando in città era an-cora buio: bus della Lazzi alle 5 del mattino da piazza della Repub-blica (all’epoca Vittorio Emanuele II) e arrivo in montagna tre ore più

tardi. Poi, dopo una giornata di discese, «la sera si tornava col sedere fra-cido» per dirla alla David Lees, che sarà fotografo di punta di Time-Li-fe nell’Europa del dopoguerra: «A Firenze salivamo intirizziti sui tramche ci dovevano riportare a casa, ma c’era sempre da discutere perché gliautisti non volevano farci montare gli sci». Ma non fu quello il debuttoin società. La sua storia avventurosa, come detto, inizia a Napoli. E na-scere alle pendici del Vesuvio fu un segno del destino (di quelli che por-tano bene). La famiglia Pucci da secoli abitava a Firenze; ma quando Ora-zio Pucci andò sposo alla giovane partenopea Augusta dei conti Pa-voncelli, la di lui madre Barbara Narijshkin non approvò l’unione e dalpalazzo di famiglia a pochi passi dal Duomo i Pucci si spostarono in unavilla di proprietà lungo la via Bolognese, prima del trasloco temporaneoa Posillipo, nella più accogliente villa dei Pavoncelli detta «lo Scoglio di

Frisio», dove il 20 novembre1914 venne registrata all’ana-grafe la nascita di Emilio Pao-lo. La trasferta napoletana nonera però il più grande proble-ma di casa Pucci.Risale a quel periodo la vendi-ta di pezzi pregiati della qua-dreria di palazzo, come nel ca-so del Ritratto di donna dipin-to da Leonardo, oggi alla Na-tional Gallery di Washington.La cessione servì a coprire lespese per ricostruire un ponte,nella fattoria di Granaiolo, tra-volto da una piena... E qui sipotrebbe aprire un nuovo ca-pitolo, perché è un fatto che at-torno a queste operazioni si

muovessero già all’epoca spregiudicati mercanti d’arte. Motivo per il qua-le non è dato sapere se la mancanza delle mani dell’opera leonardesca siadovuta effettivamente al viaggio oltreoceano cui l’opera fu sottoposta, ce-lata nel doppio fondo di una valigia. È accertato invece che sempre neiprimi anni del ’900 da casa Pucci uscirono, dal portone principale, altricapolavori come il San Sebastiano del Pollaiolo (oggi alla National Gal-lery di Londra) e quattro tavole del Botticelli, imponente dono di noz-ze di Lorenzo il Magnifico per un lontano parente.Quest’ultima perdita in particolare sarà un cruccio per l’intera esistenzadi Emilio Pucci: tre dei quattro capolavori sono oggi al Prado, l’ultimo,tornato sul mercato, sarà poi riacquistato dal marchese. E se i quadri difamiglia finiscono lontano, da lontano arrivano le consorti. I Pucci, fio-rentini da 20 generazioni (le prime tracce sono del 1264), vantano 28 prio-ri e otto gonfalonieri di giustizia e a lungo fiancheggiarono i Medici (fu-rono rilevatori di crediti apparentemente inesigibili), prima di affer-marsi come una delle grandi famiglie cittadine fra il ’400 e il ’500. Risa-le al 1662 il marchesato del Barsento (vicino ad Alberobello) che Ora-zio Roberto Pucci acquistò da Filippo IV di Spagna per 4mila scudi.

UN COMPLETO DEL 1967 CON AMPIO PONCHO IN CHIFFON DI SETA STAMPATA (SOPRA, A SINISTRA). A DESTRA, IL MARCHESE FIRMA I SUOI TAPPETINEL 1970 AL MUSEO NACIONAL DE ARTE DECORATIVO DI BUENOS AIRES. NELLA PAGINA A FIANCO, LA CAPPA BARRACANO CON CAPPUCCIO IN SETA (1965).

Le prime tracce dei Pucci risalgono al 1264

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LO SCI È STATO UNA DELLE GRANDI PASSIONI DI EMILIO PUCCI. QUI SOPRA, UN COMPLETO REALIZZATO NEL 1957 PER LO SCI CLUB ABETONE E, AL CENTRO,UNA CREAZIONE PUCCI PER ROSSIGNOL. NELLA PAGINA A FIANCO, IL MARCHESE CON MADAME POPPI DE SALIS IN COMPLETO DA SCI NEL 1948.

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UNA TENUTA BALNEARE DELLA COLLEZIONE PALIO (1957, SOPRA A SINISTRA) CON MOTIVI ISPIRATI ALLA CONTRADA DELL’AQUILA. A DESTRA,TESSUTI CREATI PER LA COLLEZIONE FANTASIOSA (1963). NELLA PAGINA A FIANCO, IL MARCHESE A CAVALLO IN PIAZZA DELLA SIGNORIA, A FIRENZE.

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uUna famiglia importante quella che genererà il futuro couturier.Nell’800, dalla corte di San Pietroburgo, giunge la bisnonna di Emi-lio, Lidya Grigorievic Bohbrinskoj, discendente della grande Cateri-na: nel 1848 sposa Roberto Orazio Pucci; il loro figlio sposerà la no-bildonna Barbara Narijshkin (imparentata con Pietro il Grande). Ec-co perché il matrimonio tra Orazio Pucci e Augusta Pavoncelli fini-rà con l’offrire spunto a certi aristocratici fiorentini (pressoché nulla-facenti) per un complicato calcolo sulla qualità del sangue blu: con-clusione è che in realtà il sangue di Emilio Pucci sarebbe fiorentino perun ottavo, la metà napoletano, russo il resto. Detto ciò, parlandopiuttosto di cose serie, un primo capitolo della sua esistenza anticipale doti sciatorie. E riguarda le estati al Forte, le gare di castelli di sab-bia. I capisquadra erano i fratelli Emilio e Puccio Pucci. «Puccio erabasso di statura», scriverà diquel periodo Susanna Agnel-li in Vestivamo alla marinara,«aveva capelli neri e fisiono-mia mediterranea; piaceva atutti. Emilio era alto, magrocome uno scheletro, con unalunga, malinconica facciaequina. Nessuno voleva starenella sua squadra. Miss Parker(la governante degli Agnelli,ndr) mormorava: “Now, Su-ni, be a good girl and ask to beon Emilio’s team”. Accettavodi entrare nella squadra diEmilio, il castello di Puccioera sempre il più bello». C’e-ra anche Gianni, è chiaro. Sot-to la tenda piazzava una speciedi bisca, portando le fiches per giocare a carte con gli amici. Questa ful’infanzia di Emilio Pucci. Prima dello sci. Prima dei grandi viaggi. Co-me quello del 1935, quando Emilio e Puccio si imbarcarono sulla Ame-rigo Vespucci per tre mesi, nell’ambito di uno scambio fra le Marine ita-liane, inglesi e tedesche, con paga di 500 lire al mese. In Europa fu l’ul-tima estate di pace. E vide i marchesini Pucci in crociera tra Alessan-dria, Marsiglia, Barcellona, Gibilterra.Arrivarono poi gli anni dello sci. E dell’aviazione. Per via della guer-ra. Emilio Pucci fu richiamato nel 1938 e si arruolò come ufficiale del-l’aviazione. Anche in questo la sua vita fu avventurosa: non solo per cer-te evoluzioni acrobatiche, di cui pure parlerò, ma perché s’incanalò lun-go i perigliosi crinali del fascismo, portandolo da una sorta di eredi-tà morale (il padre era stato senatore e presidente del partito fascistanella Firenze degli anni 30, quando la città era detta «la fascistissima»)al diventare testimone privilegiato dei tormenti di Edda Ciano. Il lo-ro incontro ha il sapore d’altri tempi. Emilio Pucci, nobile e monda-no, già intenzionato a diventare aviere, per tornare in patria dagliStati Uniti sceglie una via lunga e piena di fascino. Viaggia molto. Giap-

pone, Cina, Malesia. Nell’inverno del 1939, incontra Edda Mussolini,figlia del Duce e moglie del ministro Galeazzo Ciano. La vede a Cor-tina, nelle sale dell’Hotel Bellevue, dove lei trascorre i pomeriggi giocandoa bridge con Delia Guidi di Bagno e altre amiche. «Edda ed Emilio»,ricorda Enrico Mannucci nel volume Il marchese rampante (Baldi-ni&Castoldi editore), «sono vestiti esattamente uguali, stesso pullover,identico colore dei pantaloni, medesima perfino la cintura in vita». Laloro diventa una sincera amicizia che sconfina nel confidenziale.Ci sono prove documentali sulla loro relazione, rese dallo stesso marchesein un verbale d’interrogatorio della polizia svizzera datato 27 gennaio1944, nel quale Pucci si definisce «intimo amico della contessa». Co-munque sia, i venti di guerra incombono anche sulle loro teste. Il 10 giu-gno 1940 Ciano consegna la dichiarazione di guerra agli ambasciatori

di Francia e Gran Bretagna.Lo stesso giorno Emilio Puc-ci entra in forza al 10° stormoda bombardamento distacca-to in Africa settentrionale. Laprima missione muove da Be-nin. Il primo incontro col ne-mico avviene il 12 luglio: gliitaliani, in volo, vengono presidi mira dalla contraerea. Il ve-livolo di Pucci rientra alla ba-se senza grossi problemi, madalla fusoliera vengono estrat-te un bel po’ di schegge deglishrapnel britannici. Anche perquesto il comandante gli asse-gna uno degli aerei peggiori.Emilio non la manda giù. Sen-za autorizzazione, decolla. Ina-

nella acrobazie sopra il campo militare, chiudendole con passaggi radentila tenda del comandante. Ottiene una licenza, parte per il Sestriere. Al-la vigilia del ritorno nei ranghi dell’aviazione, scendendo lungo l’ultimapista da sci, cade e si frattura la gamba sinistra. Un amico gli consigliadi finire la convalescenza a Capri, dove il giovane fiorentino si trova «da-vanti a un mondo che viveva come se la guerra neppure esistesse… Leesperienze di guerra mi avevano segnato profondamente. All’inizio ilcombattimento aveva cancellato le mie capacità di pensiero. Poi le ave-va esaltate. E ora mi ritrovavo incerto, privo di un’intima direzione daseguire». Torna in combattimento mentre cade Tobruk e nel Pacifico igiapponesi vengono fermati alle Midway. Il 27 maggio, presso la costadi Jaffa, Pucci affonda un’imbarcazione da 2mila tonnellate. Il 30 abbatteun caccia britannico Beaufighter. Il 6 giugno affonda una petroliera. Ri-corda Suni Agnelli: «Improvvisamente, durante la guerra, diventò un eroe,cominciammo a leggere che aveva silurato questo e quello e per tutti erasempre un gran risata». Douglas Attems, compagno di sci di anteguer-ra, è più distaccato: «L’avevamo sempre trattato da ballista, per le di-scese audaci e per le impossibili conquiste sentimentali.

Fu pilota nel 10° stormo da bombardamento

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SALVADOR DALÍ E SIGNORA A PARIGI NEL 1963 (SOPRA, A SINISTRA). L’ABITO PUCCI È IN JERSEY ED È ISPIRATO ALLE OPERE DEL PITTORE HENRYROUSSEAU (1844-1910), DETTO «IL DOGANIERE» PER L’IMPIEGO CHE AVEVA AVUTO NEL DAZIO PARIGINO. A DESTRA, UN RITRATTO DI LAUDOMIA PUCCI.

cCosì lo consideravamo sempre un po’ con diffidenza e anche quandoleggevamo sui giornali delle imprese durante la guerra eravamo un po’dubbiosi». Dubbi non ne ebbero invece gli uomini della Gestapo.Per quanto avesse combattuto per il Duce, quel marchese fiorentinoera amico di Edda Ciano. E le SS volevano i diari del di lei marito Ga-leazzo. Così quando si imbattono in Emilio Pucci lo fermano, lo sot-topongono a un lungo interrogatorio. Gli rompono la testa. Sonoconvinti che sia stato lui ad agevolare la fuga di Edda in Svizzera. «Ven-ni sottoposto a tortura», ricorderà di quel periodo. «Mi fu spaccato iltimpano dell’orecchio sinistro, venni ferito in testa in più punti, bat-tuto in tutto il corpo. Ma non parlai». Non fu facile. Questa pagina tri-ste parla anche di un tentativo di suicidio per la disperazione, con unalametta da barba. Per fortuna non fu l’epilogo di un’esistenza destinata,invece, a fiorire. Ma è com-prensibile che Pucci sia arri-vato a pensare al gesto estre-mo. Lo si capisce dalle sue pa-role: «Il cranio mi fu frattura-to in più punti, un timpanomi fu fatto scoppiare, mi sof-focarono con il noto sistemadel secchio d’acqua. Voleva-no sapere da me i seguenti fat-ti : 1) Tutto quello che riguar-dava la fuga dei piccoli Ciano;2) I particolari della fuga del-la contessa; 3) Cosa avesse lacontessa con sé quando erafuggita; 4) Se vi erano copiedei diari e dove erano nasco-ste; 5) Se la contessa avessedocumenti politici e cosa neavesse fatto». In mani naziste Emilio passa una settimana di torture.A San Vittore la Beetz e lo spionaggio tedesco arrivarono a offrirglisalva la vita se avesse accettato di portare un messaggio alla figlia delDuce. Volevano seguirlo. Ma Pucci riuscì a fuggire, riparando inSvizzera, dove si consegnò alla polizia elvetica.A Losanna riesce finalmente a rivedere Edda, grazie a un appunta-mento combinato a casa di Virginia Agnelli. È un incontro che il mar-chese custodirà a lungo nei suoi ricordi, senza svelarne i particolari. Sto-rici e ricercatori si sono affannati a indicare che si parlò di diari e do-cumenti. Seguirono comunque contatti con emissari americani, cometestimoniano intercettazioni dell’epoca che rendono nota una con-versazione nella quale due interlocutori si scambiano queste battute:«Avete sentito parlare del nuovo matrimonio della contessa Ciano?»;«Nient’affatto»; «L’annuncia in prima pagina il Tempo di Roma. Il ma-rito sarebbe un ricco possidente fiorentino, il marchese Pucci». Alla fi-ne il governo americano fornirà a Edda un salvacondotto ufficioso pertornare in Italia. Il Chicago Daily News sborserà 25mila dollari per lapubblicazione di alcuni documenti supervisionati dalle autorità. Sem-

bra escluso che Pucci abbia ricavato somme per il ruolo nella tratta-tiva. La guerra è finita. Emilio Pucci mette da parte il blasone e uti-lizza i suoi contatti per inventarsi una nuova vita. L’Italia del primis-simo dopoguerra è una terra dove non è difficile sparire quando in gi-ro si sanno (o si immaginano) trascorsi e contiguità col passato regi-me. Ma Firenze non fa parte del «triangolo rosso» emiliano. EnricoD’Afflitto, del Pli, scriverà: «L’antifascismo fiorentino si limitava a par-lare della storia con Edda. Non credo che Pucci abbia rischiato atornare». All’inizio del 1947, comunque, Pucci ha 33 anni. Decide diripartire dalle piste da sci. Dal Sestriere, dove fa l’istruttore. La fami-glia Agnelli, che possiede più o meno tutto da quelle parti, gli affidaun ruolo nella gestione della stazione sciistica. Lui torna in confidenzacon Gianni Agnelli, col quale si lamenterà, qualche anno dopo, so-

stenendo che l’idea della Giar-dinetta era sua e che la Fiatnon gliel’ha riconosciuta, conannesse spettanze. Ma la suavera strada è un’altra. Porta aFirenze dove, tra le macerie,riparte il pellegrinaggio fra inegozi del centro, tutti attor-no a via Tornabuoni, tutti d’i-spirazione britannica. Il so-gno è il cappotto di vicuña.Da Doney, da Procacci doveservono i panini tartufati, lediscussioni sono ora sulla lar-ghezza dei risvolti della giac-ca, sull’altezza del risvolto deipantaloni, sul nodo della cra-vatta, sulle stoffe. E da quiche parte la sua cultura, l’atti-

tudine al gusto e alla bellezza. Arriva a organizzare un laboratorio disartoria nello storico palazzo di famiglia. Ma non subito. Lo farà so-lo dopo che «per caso» a Zermatt, nel 1947, la fotografa Toni Frisseldi Harper’s Bazaar rimase colpita da una giovane amica di Pucci cheindossava una tuta da sci (pantaloni fuseaux e giacca a vento parka concappuccio) da lui disegnata, e la immortalò. Quando venne pubblica-ta sul magazine a corredo di un articolo sulla moda invernale in Eu-ropa, fu un successo. Questo episodio lo incoraggiò definitivamente nelcreare e vendere vestiti da donna, portandolo all’apertura della sua pri-ma boutique nel 1950 a Capri. La produzione si contraddistinse perl’uso di colori brillanti e motivi vistosi e marcati, che influenzarono lamoda di quei decenni. Il suo stile s’impose sin da subito. I prototipi ve-nivano confezionati in laboratori diversi, sparsi fra Torino, Capri, Fi-renze e Cervinia. Emilio Pucci pone le basi per una rivoluzione.Scrive Shirley Kennedy in Un Rinascimento nella moda: «Dopo la guer-ra le donne erano ansiose di recuperare il fascino a lungo represso... Ilnew look di Cristian Dior le aveva immaginate come fiori, con grandigonne e vita sottile, metri e metri di tessuti sontuosi e pesanti.

Aprì la sua prima boutique nel 1950, a Capri

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IL MARCHESE EMILIO PUCCI DI BARSANTO (SOPRA, A SINISTRA, IN UN RITRATTO DEL 1987) È NATO A NAPOLI IL 20 NOVEMBRE 1914 E MORTO A FIRENZEIL 29 NOVEMBRE 1992. A DESTRA, L’ INGLESE MATTHEW WILLIAMSON CHE, A SOLI 36 ANNI, È L’ATTUALE DIRETTORE CREATIVO DELLA MAISON PUCCI.

eEmilio Pucci dall’Italia mostrava al mondo come lui immaginava ledonne ed era molto diverso dal punto di vista di Dior, o di Balencia-ga o di Schiaparelli. Gli abiti di Pucci sarebbero stati più sportivi e me-no costruiti della moda francese, meno presuntuosi: niente impalca-ture a conchiglia lontane dal corpo, niente taffettà, organza o pesan-te satin, niente formalismi artificiosi in questa linea italiana».Pucci torna a legarsi così all’isola di Tiberio. Non senza qualche affanno.Ha già organizzato un laboratorio nel palazzo fiorentino, ha messo inpiedi i primi traffici con l’America. Lo zio Roberto però non è d’ac-cordo: «Non sia mai che un Pucci faccia il sarto. In famiglia abbiamoavuto condottieri, costruttori, gonfalonieri di giustizia, un sarto pro-prio no. Ti proibisco di usare il nostro cognome». Debutta così la fir-ma «Emilio of Capri», che appare sui primi costumi e abitini. È un vez-zo, diventerà una griffe. Ga-leotto sarà anche l’incontrocon un amico di vecchia data,Giovan Battista Giorgini, det-to «Bista», il resident buyerfiorentino che dette vita allamoda made in Italy: nella suacasa si tenne, il 12 e 14 feb-braio 1951, la prima presenta-zione di abiti, per le boutiquesfilarono Emilio Pucci, Avolio,Bertoli e Tessitrice dell’Isola.Spettatori Gertrude Ziminskydi B. Altman & Co, EthelFrancau (alta moda), JessicaDaves e Julia Trissel (addetta amantelli e tailleur per Berg-dorf Goodman); John Nixondi Henry Morgan (Montreal);Stella Hanania per I. Magnin (San Francisco). In seguito il marche-se sfodererà l’invito «Emilio Pucci, palazzo Pucci, via de’ Pucci». Fir-merà molto. Una linea per la Pantene, occhiali e penne, una Vespa 50(due strisce fini, ai bordi delle carrozzeria, marrone e nero, e la firmasullo scudo anteriore). Sua la firma che più seduce nel mondo della mo-da. Come testimoniano Marylin (che si farà anche seppellire con unsuo abito) e Jackie, fino agli anni della vita nuova con LaudomiaPucci che è responsabile dell’immagine del gioiello che il nume Ber-nard Arnault si è assicurato nel 2000... Questa storia non dovrebbe fi-nire. Decine sono gli spunti meritevoli di attenzione.Dai richiami stilistici ai colori Pucci, limone, buganvillea, ghiaccio,oceano, dalle storie dei divi (Arthur Miller s’innamorò di Marylin ve-dendola uscire da un negozio fasciata da un jersey di seta, senza reg-giseno, che le si appiccicava alle forme) alle gelosie ( Jacqueline Ken-nedy entrando nella boutique caprese e notando una foto della Mon-roe apostrofò: «Anche quella lì veste Pucci...»). Si dovrebbe parlaredel vestito in jersey di seta che pesava 170 grammi che si poteva ri-piegare come un fazzoletto e dell’emblema della missione Nasa

«Apollo 15». Del suo amore per Cristina Nannini, baronessina di Ca-sabianca. E dell’attività politica. Di lui resterà per sempre celebre unatagliente battuta. Accadde quando il sindaco di Firenze, Giorgio LaPira, durante un’intervista concessa all’Espresso, usò parole durissimeverso il neo-eletto consigliere Emilio Pucci: «Quello che vorrei, cheveramente vorrei, è che il marchese Pucci, leader dei Liberali, non met-tesse nemmeno piede a Palazzo Vecchio.La mia maggiore tentazione è buttarlo fuori il primo giorno che si pre-senta. Naturalmente non sarebbe giusto e non lo farò. Ma nessuno po-trà impedirmi di dire quello che penso e cioè che il marchese Puccinon può parlare in nome di questa città. Firenze è la città della Re-sistenza. Una città che ha sempre resistito nei secoli dei secoli. È lasua missione storica. Ma quando Firenze resisteva vent’anni fa, nel

momento più difficile dellasua vita, e perdeva sangue datutte le parti, il marchese nonera con lei. Egli non appar-tiene a questa città». Cometutta risposta il marcheseaspettò di incontrare il sinda-co. E mentre La Pira salivagli scaloni della Camera dicommercio, lo apostrofò: «Si-gnor sindaco, lei ha mai vola-to?». Alla risposta negativa,aggiunse: «Bene, allora primadi fare certe affermazioni cipensi bene, sennò la prossi-ma volta la faccio volare io,dalla tromba delle scale». Ar-riverà in Parlamento. Nei ne-crologi, la ricostruzione più

schietta appare sul Giornale, a firma di Donata Righetti: «Nella real-tà Pucci fu un solitario aristocratico e un artigiano di grande talen-to. La sua caratteristica: un privatissimo orologio poco sensibile al pre-sente, spostato sempre verso il passato o il futuro. A sintetizzarequesta doppia propensione, nel suo studio, accanto a un disegno chelo raffigura nelle vesti di crociato, c’è una copia della sigla che gli astro-nauti dell’Apollo gli chiesero di disegnare per la loro impresa spaziale,uno stemma che venne deposto sulla luna...L’ormai notissimo Pucci, certo il più efficace ambasciatore di Firen-ze nel mondo, veniva considerato dai suoi concittadini un perso-naggio esagerato, una specie di barone di Münchhausen. Racconta-va: “Henry Ford mi ha chiesto di disegnare una nuova auto, la Lin-coln Continental”, e nessuno gli credeva. Però dopo qualche settimanaecco che arriva il contratto firmato». Davanti al grande vuoto di no-mi della moda e alla scarsa folla al funerale del marchese, Franco Zef-firelli sentenziò: «Questa città non ha mai risparmiato nessuno, si èsempre impegnata al massimo per distruggere le individualità, figu-riamoci se non arrivava a emarginare uno come Emilio Pucci».

L’emblema della missione Apollo 15 era suo

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