Decameron Chichibio cuoco C - CPIA PALERMO 1 3_Ita_II... · una gamba? non vidi io mai più gru che...

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1 1. Chichibio: il nome è ricavato da una voce onomatopeica ve- neta cicibio riferita al verso del fringuello. 2. Currado Gianfigliazzi: perso- naggio storico, esponente di una ricca famiglia di banchieri fio- rentini, vissuto tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XIV. 3. salute: difesa. 4. le sue opere... stare: per non ricordare, ora, le sue azioni più importanti. 5. Peretola: borgo fiorentino, dove i Gianfigliazzi avevano vari possedimenti terrieri. 6. gli... dicendo: gli mandò a dire. 7. governassela: la cucinasse. 8. nuovo... pareva: era un simpa- tico chiacchierone (bergolo) come sembrava. 9. acconcia la gru: preparata la gru. 10. caramente: gentilmente. 11. avrì: avrete. 12. turbata: irritata. 13. spiccata: staccata. 14. alcun suo forestiere: alcuni ospiti provenienti da fuori. 15. che fosse divenuta: cosa ne fosse stato. 16. non vidi... questa?: forse che io non ho mai vista altra gru pri- ma di questa? 17. ne’ vivi: nelle gru vive. 18. non volle... andare: lasciò perdere la discussione con il cuo- co dinanzi agli ospiti. La Sesta giornata è dedicata alla battuta di spirito, ai motti arguti, che denotano in chi li pronuncia un’intelligenza pronta e ironica. L’episodio di Chichibio, narrato da Neifile, mostra come questa dote fosse apprezzata al tempo di Boccaccio, tanto da far scemare la rabbia di un padrone verso il proprio cuoco. Chichibio 1 , cuoco di Currado Gianfigliazzi 2 , con una presta parola a sua salu- te 3 l’ira di Currado volge in riso e sé campa della mala ventura minacciatagli da Currado. Currado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato notabile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente in cani e in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare 4 . Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola 5 una gru ammazzata, trovandola grassa e gio- vane, quella mandò a un suo buon cuoco il qual era chiamato Chichibio e era viniziano; e sì gli mandò dicendo 6 che a cena l’arrostisse e governassela 7 bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo era così pareva 8 , acconcia la gru 9 , la mise a fuoco e con sollecitudine a cuocer la cominciò. La quale essendo già presso che cotta e grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte in- namorato, entrò nella cucina, e sentendo l’odor della gru e veggendola pregò caramente 10 Chichibio che ne le desse una coscia. Chichibio le rispose cantando, e disse: «Voi non l’avrì 11 da mi, donna Bru- netta, voi non l’avrì da mi». Di che donna Brunetta essendo turbata 12 , gli disse: «In fé di Dio, se tu non la mi dài, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», e in brieve le parole furon molte; alla fine Chichibio, per non cruc- ciar la sua donna, spiccata 13 l’una delle cosce alla gru, gliele diede. Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere 14 messa la gru senza coscia, e Currado maravigliandosene fece chiamare Chichibio, e domandollo che fosse divenuta 15 l’altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo su- bitamente rispose: «Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba». Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? non vidi io mai più gru che questa 16 ? » . Chichibio seguitò: «Egli è, messer, come io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder ne’ vivi 17» . Currado, per amore de’ forestieri che seco avea, non volle dietro alle parole andare 18 , ma disse: «Poi che tu di’ di farmelo veder 5 10 15 20 25 Giovanni Boccaccio Decameron Chichibio cuoco a cura di C. Salinari, Laterza, Roma-Bari, 1985 10 T10 testi T10 Invito all’opera 4. Il Decameron 1 Percorso L’autore e l’opera Giovanni Boccaccio 4. Il Decameron [Invito all’opera] Copyright © 2011 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201] Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI © Zanichelli 2011

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1. Chichibio: il nome è ricavato da una voce onomatopeica ve-neta cicibio riferita al verso del fringuello.2. Currado Gianfigliazzi: perso-naggio storico, esponente di una ricca famiglia di banchieri fio-rentini, vissuto tra la fine del XIII secolo e la prima metà del XIV. 3. salute: difesa.

4. le sue opere... stare: per non ricordare, ora, le sue azioni più importanti. 5. Peretola: borgo fiorentino, dove i Gianfigliazzi avevano vari possedimenti terrieri.6. gli... dicendo: gli mandò a dire.7. governassela: la cucinasse. 8. nuovo... pareva: era un simpa-

tico chiacchierone (bergolo) come sembrava.9. acconcia la gru: preparata la gru.10. caramente: gentilmente.11. avrì: avrete. 12. turbata: irritata.13. spiccata: staccata. 14. alcun suo forestiere: alcuni ospiti provenienti da fuori.

15. che fosse divenuta: cosa ne fosse stato.16. non vidi... questa?: forse che io non ho mai vista altra gru pri-ma di questa?17. ne’ vivi: nelle gru vive.18. non volle... andare: lasciò perdere la discussione con il cuo-co dinanzi agli ospiti.

La Sesta giornata è dedicata alla battuta di spirito, ai motti arguti, che denotano in chi li pronuncia un’intelligenza pronta e ironica. L’episodio di Chichibio, narrato da Neifile, mostra come questa dote fosse apprezzata al tempo di Boccaccio, tanto da far scemare la rabbia di un padrone verso il proprio cuoco.

Chichibio1, cuoco di Currado Gianfigliazzi2, con una presta parola a sua salu-te3 l’ira di Currado volge in riso e sé campa della mala ventura minacciatagli da Currado.

Currado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato notabile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente in cani e in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare4. Il quale con un suo falcone avendo un dì presso a Peretola5 una gru ammazzata, trovandola grassa e gio­vane, quella mandò a un suo buon cuoco il qual era chiamato Chichibio e era viniziano; e sì gli mandò dicendo6 che a cena l’arrostisse e governassela7 bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo era così pareva8, acconcia la gru9, la mise a fuoco e con sollecitudine a cuocer la cominciò. La quale essendo già presso che cotta e grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta della contrada, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte in­namorato, entrò nella cucina, e sentendo l’odor della gru e veggendola pregò caramente10 Chichibio che ne le desse una coscia.

Chichibio le rispose cantando, e disse: «Voi non l’avrì11 da mi, donna Bru­netta, voi non l’avrì da mi». Di che donna Brunetta essendo turbata12, gli disse: «In fé di Dio, se tu non la mi dài, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», e in brieve le parole furon molte; alla fine Chichibio, per non cruc­ciar la sua donna, spiccata13 l’una delle cosce alla gru, gliele diede.

Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere14 messa la gru senza coscia, e Currado maravigliandosene fece chiamare Chichibio, e domandollo che fosse divenuta15 l’altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo su­bitamente rispose: «Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba».

Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? non vidi io mai più gru che questa16?».

Chichibio seguitò: «Egli è, messer, come io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder ne’ vivi17». Currado, per amore de’ forestieri che seco avea, non volle dietro alle parole andare18, ma disse: «Poi che tu di’ di farmelo veder

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Giovanni Boccaccio Decameron

Chichibio cuocoa cura di C. Salinari, Laterza, Roma-Bari, 1985

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Invito all’opera 4. Il Decameron

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Percorso L’autore e l’operaGiovanni Boccaccio4. Il Decameron [Invito all’opera]

Copyright © 2011 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201] Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI © Zanichelli 2011

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Il tardo MedioevoL’autore e l’opera: Giovanni Boccaccio

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ne’ vivi, cosa che io mai più non vidi ne udi’ dir che fosse, e io il voglio veder domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo che, se altra­menti sarà19, io ti farò conciare in maniera, che tu con tuo danno ti ricorderai, sempre che tu ci viverai, del nome mio».

Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente, come il gior­no apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l’ira cessata, tutto ancor gonfiato20 si levò e comandò che i cavalli gli fosser menati21; e fatto mon­tar Chichibio sopra un ronzino22, verso una fiumana23, alla riva della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nel menò24 dicendo: «Tosto vedremo chi avrà iersera mentito, o tu o io».

Chichibio, veggendo che ancora durava l’ira di Currado e che far gli con­veniva pruova della sua bugia25, non sappiendo come poterlasi fare cavalcava appresso a Currado con la maggior paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora innanzi e ora addietro e dallato si riguardava, e ciò che vedeva credeva che gru fossero che stessero in due piè.

Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che a alcun vedute so­pra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano26, sì come quando dormono soglion fare; per che egli, prestamente mostratele a Currado, disse: «Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno».

Currado veggendole disse: «Aspettati, che io ti mostrerò che elle n’hanno due», e fattosi alquanto più a quelle vicino, gridò: «Ho, ho!», per lo qual grido le gru, mandato l’altro piè giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire; laonde Currado rivolto a Chichibio disse: «Che ti par, ghiottone? Parti27 che elle n’abbian due?»

Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse28, rispose: «Messer sì, ma voi non gridaste “ho, ho!” a quella d’iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l’altra coscia e l’altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste».

A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa29 e riso, e disse: «Chichibio, tu hai ragione: ben lo doveva fare».

Così adunque con la sua pronta e sollazzevol30 risposta Chichibio cessò la mala ventura31 e paceficossi32 col suo signore.

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Un motto di spiritoAndando un mattino a caccia, Currado cattura una gru e la manda al cuoco Chichi­bio. Il profumo attira Brunetta, che ottiene dal cuoco, innamorato di lei, una coscia da mangiare. A cena, quando Currado chiede perché la gru abbia una sola coscia, Chichibio risponde con prontezza che le gru hanno una sola gamba. Il padrone, per amor de’ forestieri che seco avea, trattiene la sua ira e rinvia la verifica al giorno

ANALISI E COMMENTO

19. se altramenti sarà: se le cose andranno diversamente (da come dici).20. gonfiato: arrabbiato.21. menati: condotti.22. ronzino: cavallo non di razza.

23. fiumana: fiume.24. nel menò: lo condusse.25. gli conveniva... bugia: gli era necessario sostenere la bugia. 26. in un piè dimoravano: erano ferme sopra una sola gamba.

27. Parti: ti pare. 28. donde si venisse: come gli venisse quella risposta. 29. festa: allegria.30. sollazzevol: divertente.31. cessò... ventura: evitò la pre-

vista punizione.32. paceficossi: fece pace, si riappacificò.

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successivo. Currado a cavallo, ancora adirato, e Chichibio su un ronzino, piuttosto preoccupato, avanzano all’alba lungo la riva del fiume, dove fortuna vuole che dodici gru stiano dormendo ritte su un piede. Il servo soddisfatto le addita al padrone, ma Currado le sveglia con un grido (Ho ho!) e quelle, messa giù l’altra gamba, spiccano il volo. Dinanzi all’evidenza Chichibio ha l’ennesima arguta risposta ispiratagli dalla fortuna: se anche alla gru della sera precedente Currado avesse gridato ho ho, quella avrebbe allungato l’altra coscia.

Il realismo delle sceneL’ambientazione è realistica, con riferimenti precisi a località e personaggi. Il nobile Currado è un banchiere contemporaneo di Boccaccio. I luoghi indicati sono quelli veri: Peretola era effettivamente feudo dei Gianfigliazzi. La novella si sviluppa per quadri successivi e in ambienti diversi: a casa del signore, prima in cucina e poi in sala da pranzo a ora di cena; la mattina seguente lungo la riva del fiume.

Le caratteristiche dei personaggiIl gusto per la battuta breve e arguta è già presente in molti testi del Novellino (• T23), ma Boccaccio inserisce l’aneddoto in un contesto realistico, insistendo sulla caratte­rizzazione sociale dei personaggi e sui particolari d’ambiente.

Currado è notabile r. 2 cittadino, liberale e magnifico, conduce una vita cavalleresca e si diverte a cacciare con il falcone; oltre che magnanimo è anche dotato di autocon­trollo (non volle dietro alle parole andare r. 27­28) e di ironia: non esita a riconciliarsi con il suo cuoco quando questi dà prova di arguzia. Il suo riso indulgente manifesta la generosità di un nobile rappresentante di quella civiltà fiorentina pronta a rico­noscere la virtù delle parole: l’arguta trovata e il motto di spirito riscattano il furto, riequilibrando il contrasto.

Chichibio è buon cuoco, veneziano (il suo dialetto è come un canto), un po’ mat­tacchione, bugiardo e timoroso. Le sue risposte sono certamente argute (si noti il dop­pio senso contenuto nella risposta a Brunetta: Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì da mi rr. 14­15, cui peraltro la donna replica con pari arguzia: se tu non la mi dài, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia r. 16­17) ma anche impulsive (subitamente rispose [...] quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse).

Lingua toscana e venezianoIl valore stilistico di questa breve novella è affidato alla rapidità del dialogo e all’acce­lerazione del ritmo nell’attesa della risolutiva battuta finale. All’interno di una lingua toscana rapida e scorrevole Boccaccio inserisce la parlata a cantilena di Chichibio,

1. Il ritratto dei personaggi. Individua se il ritratto di Currado e di Chichibio è condot­to mediante una descrizione dettagliata o se ne deduci le caratteristiche psicologiche dalle azioni che compiono. Poi spiega in che cosa consiste l’abilità di Chichibio e quale virtù lo salva da una sicura punizione.

2. Le differenze sociali. Currado e Chichibio rappresentano due livelli sociali diffe­renti e lontani: quali sono gli elementi che rendono possibile un avvicinamento fra i due personaggi e consente loro di instaurare un rapporto?

3. Il ruolo della fortuna. Quale ruolo gioca la fortuna in questa novella?

4. Chichibio e Ciappelletto. Confronta l’abilità di parlare di Chichibio con quella di Ciappelletto. Che cosa differenzia i due personaggi?

LAVORIAMO SUL TESTO

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Invito all’opera 4. Il Decameron

3Copyright © 2011 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201] Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI © Zanichelli 2011

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Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education

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Il giovane Federigo degli Alberighi1, di nobilissima famiglia fioren-tina, bravo nelle armi e ammirato da tutti per la sua cortesia, si erainvaghito di una gentile dama ritenuta una delle più belle e leggia-dre della città. Per farsi apprezzare da lei, partecipava a tornei e adaltri esercizi cavallereschi, organizzava feste e si vestiva riccamente,spendendo senza ritegno. La signora, di nome Giovanna, onestaquanto era bella, pareva non accorgersi di quel che faceva il giovaneper mettersi in vista e acquistar merito ai suoi occhi.Federigo, non avendo altra maniera per trovar rimedio alla sua pas-sione, finì col dilapidare il suo patrimonio, pur senza trovarsi ad averfatto alcun progresso nella considerazione della dama.Non gli era rimasto, nella rovina in cui era caduto, che un suo po-deretto del quale si ridusse a vivere poveramente, portandosi dietrosoltanto un falcone2, che aveva carissimo e che tutti gl’invidiavano,perché era il migliore del mondo.In quel luogo solitario, passava tristemente le sue giornate, avendoper unico svago e anche per unica risorsa il bel falcone col quale pas-sava le giornate cacciando.Ora avvenne che mentre Federigo campava così stantemente la suavita3, il marito della signora si ammalò e in breve morì. Rimasta ve-dova, la donna si dedicò interamente al suo unico figliolo, che eragià grandicello, ma assai gracile e di cattiva salute. Venuta l’estate,per rimetterlo in forze, lo portò in campagna, all’aria buona, in unpodere di sua proprietà che era vicino a quello di Federigo.Il giovanetto, girando per i dintorni, conobbe Federigo e, incuriosi-to dalla caccia, cominciò ad andargli appresso e a frequentare la suacasa, fin che gli divenne amico. Più d’ogni altra cosa, lo attraeva lacaccia col falcone, che seguiva spasimando per il bel rapace, quan-do, scattato dal pugno di Federigo, ghermiva le prede a volo e le ri-portava, deponendole ai piedi del padrone.

Federigo degli Alberighi, il giovane e nobile cavaliere protagoni-sta di questa novella d’amore a lieto fine, raffigura quegli idealidi vita cortese e cavalleresca che all’epoca di Boccaccio appariva-no ormai superati. Nella società, infatti, dei mercanti borghesi delTrecento trionfava la logica del denaro e della ricchezza. TuttaviaBoccaccio, pur considerando la gentilezza, la nobiltà d’animo, l’a-more puro e delicato, dei valori superati, tipici della mentalità delpassato, non esita a celebrarli in questa sua novella in quanto co-stituiscono pur sempre un significativo modello di vita.

Dal momento che la versione originale presenta parecchie diffi-coltà di comprensione, ti presentiamo questa novella nella ver-sione in lingua moderna di Piero Chiara.

Giovanni Boccaccio

Federigo degli Alberighi

1. Alberighi: antica enobile famiglia fioren-tina.

2. falcone: falco adde-strato per la caccia agliuccelli.

3. campava... vita: tra-scorreva la vita così po-veramente, in grandi ri-strettezze.

La letteratura – Il Trecento

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Avrebbe voluto che quel magnifico falcone divenisse suo, ma nonosava domandarlo a Federigo, perché sapeva quanto costui lo avessecaro. Invece di aver giovamento della vita all’aria aperta, il ragazzo neebbe danno, perché quel poco di strapazzo della caccia lo indebolì elo fece ricadere ammalato. Sua madre, la quale non aveva altro beneche lui, gli stava intorno tutto il giorno a curarlo e continuamente glidomandava se c’era qualcosa che potesse fargli piacere.Il ragazzo un giorno disse: «Madre mia, se mi faceste avere il falco-ne di Federigo, sento che guarirei».La donna rimase perplessa. Sapeva quanto Federigo l’avesse amatasenza ottenere da lei un solo sguardo, e si diceva: “Come posso do-mandargli quel falcone, che a quanto si dice è il migliore che mai vo-lasse, e oltre a ciò è quello che lo mantiene in vita4?”.Era certa che se glielo avesse chiesto l’avrebbe avuto, tanto era notala gentilezza di Federigo e tanto poteva contare sulla sua devozione,ma non si decideva a togliergli quell’unica ricchezza. L’amor del fi-glio finì tuttavia col deciderla.«Cercherò di accontentarti» disse al figlio.Il malato fu così contento di quella promessa, che parve subito mi-gliorato.La mattina seguente, presa con sé un’altra donna, con l’aria di chivoglia fare una passeggiata, Giovanna passò dalla casetta di Federi-go e lo fece chiamare. Mentre, stupito, il giovane accorreva dall’or-to dove stava intento a piccoli lavori, Giovanna gli si fece incontrolietamente e gli disse: «Salute Federigo. Vengo a farvi questa visitaper ricambiarvi, un po’ tardi, la gentilezza che mi avete dimostratoamandomi per tanto tempo senza speranza. Starò, se lo consentite,a pranzo con voi, alla buona, insieme a questa mia compagna».«Signora», rispose Federigo «da voi ho avuto soltanto del bene, per-ché l’amore che vi ho portato mi ha fatto grande onore. Vedervi oraqui così amabilmente, mi è più caro di quanto non mi sarebbe il ria-vere quanto ho speso amandovi, ma purtroppo questa povera casanon è degna di voi. Permettete almeno che vada a far mettere un po’d’ordine e a comandare che si disponga la tavola. Sedetevi intantocon la vostra amica in giardino, dove la moglie del mio contadino viterrà compagnia».Così detto entrò in casa, andò nella cucina e si rese conto che non viera nulla da portare in tavola, altro che rape e qualche insalata.Avrebbe potuto mandare a comprare qualcosa al paese vicino, ma siaccorse di non avere neppure un soldo in tasca. Guardandosi intor-no in cerca di qualche ispirazione, gli caddero gli occhi sul suo fal-cone, che se ne stava appollaiato sopra una stanga. Senza un istanted’esitazione lo prese e, trovandolo grasso e di buon peso, pensò dipoterlo cucinare. Gli tirò il collo, lo fece spennare e ordinò alla don-na di cuocerlo allo spiedo. Apparecchiò intanto la tavola con unabella tovaglia che aveva salvato dai creditori e, passata una mezz’o-

4. lo mantiene in vita:gli procura di che vive-re.

La letteratura – Il Trecento

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ra, andò in giardino e con un gesto da gran signore invitò e due don-ne alla mensa.Fu subito portato in tavola il falcone che, ben cotto com’era e pri-vato della testa e delle zampe, pareva un fagiano. Federigo scalcò5

l’animale e servì le donne delle parti migliori, poi se stesso.Mangiato che ebbero, Giovanna diede inizio a una piacevole con-versazione, nel corso della quale, quando le parve venuto il momen-to giusto, disse a Federigo: «Ora vi debbo dire la vera ragione per laquale vi ho fatto questa visita. Forse, ricordando la mia riservatezza,che voi avrete giudicato durezza d’animo e crudeltà, troverete stra-no il passo che ora sto per compiere. Chi non ha figlioli non può ca-pire cosa si arriva a fare per le proprie creature. Ma forse voi, chesiete uomo di grandi sentimenti, potrete comprendere il mio statod’animo. È per lui, per mio figlio, che sono qui a chiedervi un donoche vi sarà difficile fare, perché si tratta dell’unica consolazione chevoi abbiate nella solitudine in cui vivete. Si tratta del vostro falcone.Mio figlio, che è ammalato, si è tanto invaghito del vostro falcone,che se non glielo porto si aggraverà e potrà anche morire. Perciò viprego, per l’amore che mi portate, che mi facciate questo dono conla generosità che avete sempre mostrato. Mio figlio riavrà la sua sa-lute ed io vi sarò per sempre obbligata».Federigo, che aveva i sudori freddi pensando al falcone che avevanoappena mangiato, incominciò a piangere in silenzio. Giovanna, con-vinta che quel pianto fosse dovuto al dispiacere che il giovane pro-vava nel separarsi dal suo falcone, era quasi pentita del suo ardire estava per rinunciare al dono.Federigo allora, trattenendo a fatica le lacrime, disse: «Signora, daquando Dio volle che io vi amassi, in molte cose ho avuto contrariala fortuna. Ma erano cose da nulla rispetto a ciò che oggi mi accade.Quand’ero ricco non vi degnaste mai di entrare nella mia casa, maecco che ora siete venuta in questo mio povero luogo a chiedermi unpiccolo dono che non vi posso fare. Io, che per voi ho dato tuttoquanto avevo! Sappiate che appena siete arrivata qui e mi avete chie-sto di desinare, per riguardo al vostro valore6 ho deciso di mettervicotto sul tagliere la cosa che più mi era cara e preziosa: il falcone. Ve-dendo ora che lo volevate vivo, il dispiacere di non potervi accon-tentare è così forte che non mi darà più pace».Poi andò in cucina, prese le penne, le zampe e il bello del falcone eli mise davanti a Giovanna; questa lo rimproverò d’aver sacrificatoun simile animale per darle da mangiare, ma non poté tuttavia far ameno di ammirare la sua grandezza d’animo.Triste e sconsolata, se ne partì e tornò dal suo figliolo, il quale per ilsuo disappunto di non aver avuto il falcone e per la gravità del ma-le che lo aveva colpito, si aggravò e dopo alcuni giorni morì.Giovanna, dopo lunga sofferenza, trovandosi sola, ricchissima e an-cor giovane, venne consigliata dai suoi fratelli a rimaritarsi. Per al-

5. scalcò: spezzettò, fe-ce a pezzi.

6. valore: qualità uma-na e morale.

La letteratura – Il Trecento

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cun7 tempo non volle sentirne parlare, parendole finita la vita sua.Ma davanti alle insistenze di tutto il parentado e dovendosi in qual-che modo risolvere, avendo sempre presente la grandezza d’animodimostratale da Federigo, disse che solo lui avrebbe sposato. I fra-telli, sapendolo povero, non furono d’accordo e le suggerirono pa-recchie altre persone facoltose8. Ma Giovanna fu irremovibile.«Fratelli miei», disse «so benissimo in quali condizioni è ridotto Fe-derigo degli Alberighi, ma preferisco un uomo che abbia bisogno diuna ricchezza a una ricchezza che abbia bisogno di un uomo».I fratelli, vinti da un tale atteggiamento, finirono per cedere e die-dero in sposa a Federigo la loro sorella, con tutto il suo patrimonio.Divenuto saggio amministratore della sua nuova ricchezza9, Federi-go visse in letizia con Giovanna fino alla fine dei suoi anni, benedi-cendo il giorno in cui aveva tirato il collo al suo bel falcone.

(da G. Boccaccio, Decamerone, dieci novelle raccontate da Piero Chiara, Mondadori, Milano)

7. alcun: qualche.

8. facoltose: ricche.

Saper fare

COMPRENDERE

1. Ti presentiamo, messe alla rinfusa, le principali sequenze della novella. Riordinale se-condo un esatto ordine di tempo.

Giovanna, rimasta vedova, va a vivere in campagna vicino alla casa di Federigo.

Giovanna si reca da Federigo per chiedergli di donare il proprio falconeal figlio malato.

Federigo ama Giovanna, ma non è riamato.

Il figlio di Giovanna muore.

Federigo si riduce a vivere in povertà con la sola compagnia del suo falcone.

Giovanna sposa Federigo e lo rende ricco.

Federigo, che ha cucinato il falcone per Giovanna, si dispera.

Il figlio di Giovanna si ammala gravemente.

ANALIZZARE

2. Quali sono i personaggi della novella? Chi è il protagonista?

3. Completa la seguente tabella di descrizione di Federigo e di Giovanna:

Federigo Giovanna

Condizione sociale

Qualità, aspetti del carattere

La letteratura – Il Trecento

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Rosetta Zordan, Il quadrato magico, Fabbri Editori © 2004 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education

4. Il tenore di vita del protagonista, nel corso della narrazione, subisce delle modifiche. Ini-zialmente peggiora: perché? Alla fine, invece, improvvisamente migliora: perché?

5. Secondo te, il figlio di Giovanna è un personaggio secondario: (segna con una cro-cetta la risposta esatta)

appena citato

importante nello sviluppo della vicenda

di scarsa importanza

6. I fratelli di Giovanna quale ruolo assumono nei confronti del protagonista? Di aiutanti odi antagonisti?

7. I fatti narrati si svolgono in luoghi: (indica con una crocetta le risposte che ti sembranopiù appropriate)

reali

fantastici

aperti

chiusi

8. I fatti narrati si svolgono in un unico tempo o in tempi diversi? Motiva la tua risposta.

9. Boccaccio, quali valori esalta in questa novella? (indica con una crocetta le risposte cheti sembrano più appropriate)

L’amore puro e delicato

L’amore terreno, sensuale

La generosità d’animo

L’ingratitudine

La cortesia

L’avarizia

10. Questa novella può essere definita “psicologica” nel senso che a Boccaccio interessa inmodo particolare:

l’analisi dei pensieri e dei comportamenti dei personaggi

la descrizione dell’ambiente in cui agiscono i personaggi

gli eventi e il loro evolversi

PRODURRE

11. Interpretare il pensiero di un personaggioQuale significato attribuisci alle parole finali di Giovanna: «... preferisco un uomo che ab-bia bisogno di una ricchezza a una ricchezza che abbia bisogno di un uomo»?Confronta la tua interpretazione con quella dei compagni e discutine in classe.

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La letteratura – Il Trecento

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1Analisi del testo con svolgimento guidato

Da I promessi sposi di A. Manzoni

La madre di CeciliaIl brano è tratto dal capitolo XXXIV dei Promessi sposi: c’è la peste, e Milano è una città sconvolta dal dilagare della morte. Renzo ne percorre le strade desolate, invase dai carri funebri e riecheggianti delle urla terribili dei monatti. Una scena, in particolare, attira la sua attenzione e suscita in lui una profonda pietà.

In mezzo a questa desolazione aveva Renzo fatto già una buona parte del suo cammino, quando, distante ancor molti passi da una strada in cui doveva voltare1, sentì venir da quella un vario frastono2, nel quale si faceva distinguere quel solito orribile tintinnìo3.Arrivato alla cantonata4 della strada, ch’era una delle più larghe, vide quattro carri fermi nel mezzo; e come, in un mercato di granaglie, si vede un andare e venire di gente, un caricare e un rovesciar di sacchi, tale era il movimento in quel luogo: monatti ch’entravan nelle case, monatti che n’uscivan con un peso su le spalle, e lo mettevano su l’uno o l’altro carro: alcuni con la divisa rossa, altri senza quel distintivo, molti con uno ancor più odioso, pennacchi e fiocchi di vari colori, che quegli sciagurati portavano come per segno d’allegria in tanto pub-blico lutto. Ora da una, ora da un’altra finestra, veniva una voce lugubre: «qua, monatti!». E con suono ancor più sinistro5, da quel tristo brulichìo usciva qualche vociaccia che risponde-va: «ora, ora». Ovvero eran pigionali6 che brontolavano, e dicevano di far presto: ai quali i monatti rispondevano con bestemmie.Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non guardar quegl’ingombri, se non quanto era necessario per iscansarli; quando il suo sguardo s’incontrò in un oggetto singolare di pietà, d’una pietà che invogliava l’animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo.Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio7, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bel-lezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affa-ticata, ma non cascante; gli occhi non davan8 lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito9 ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Nè la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera10 spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza11, e il capo posava sul l’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento.Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare

1. il sereno … alla montagna: a occidente, da dietro alla montagna, 1. voltare: svoltare. 2. frastono: frastuono.3. tintinnìo: è il tintinnio dei campanelli che accompagna il pas-saggio dei carri funebri.4. cantonata: angolo.5. sinistro: pauroso, agghiacciante.

6. pigionali: persone che abitavano case in affitto.7. convoglio: carro.8. davan: versavano.9. stracco e ammortito: sfinito e quasi annullato del tutto.10. a guisa di cera: come fosse fatta di cera. 11. gravezza: pesantezza.

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2 Analisi del testo con svolgimento guidato

sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa12, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così».Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato che per l’inaspettata ricompensa, s’ affaccendò13 a far un po’ di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole: «addio Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri». Poi voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola».Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, tenendo in collo un’altra bambina più piccola, viva ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e metterse-le accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorel-lino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.

12. una borsa: contenente dei soldi. 13. s’affaccendò: si impegnò velocemente.

Analisi del testo con svolgimento guidato

Ogni analisi del testo, per essere completa ed esauriente, va sempre condotta lungo la triplice linea della compren-sione del testo, dell’analisi tematica e formale e della contestualizzazione. Il modello adottato negli esami di Stato si articola, infatti, proprio secondo la seguente tripartizione:

1. Comprensione del testo2. Analisi del testo3. Interpretazione complessiva e approfondimenti

Procediamo allora secondo questo schema.

1. Comprensione del testo

Nell’analizzare un testo narrativo, la prima operazione che conviene svolgere è leggere attentamente il testo cer-cando di individuare delle macro-sequenze; ciò infatti consente di cogliere immediatamente la vicenda narrata e il suo sviluppo, facilitando la sintesi del contenuto che generalmente viene richiesta. Nel nostro caso, il testo è di-visibile in varie macro-sequenze, la prima delle quali corrisponde alle righe 1-13. Individua le altre e sinte-tizza il contenuto dell’intero brano in non più di dieci righe...........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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3Analisi del testo con svolgimento guidato

2. Analisi del testo

Anche in questa parte dell’elaborato conviene prendere le mosse dalla divisione in macro-sequenze (eventualmen-te individuare ulteriori sequenze all’interno delle macro-sequenze) e capire se c’è una prevalenza di sequenze narrative, descrittive, dialogiche ecc. per rilevare subito le caratteristiche del testo che abbiamo di fronte. Quale tipo di sequenze prevale qui? ...................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Un’altra operazione fondamentale è individuare la voce-narrante: qui chi è il narratore? Ed è opportuno a questo punto fare riferimento anche alla focalizzazione o punto di vista. Nel caso di questo brano che tipo di focalizza-zione è utilizzata?.....................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Come in un testo poetico, anche in un testo narrativo è molto importante fare attenzione a parole ed espressioni ricorrenti, o che rinviano a uno stesso campo semantico, o che ancora sono messe in rilievo attraverso il ricorso a una particolare figura retorica. In questo brano, ad esempio, la scena che introduce la comparsa della madre di Cecilia inizia con un iperbato (Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna) e prosegue in una prosa che potremmo definire lirica per la presenza di accorgimenti stilistici tipici della poesia. Individua (a partire dalla frase indicata fino a quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori) tutte le rime (incluse le assonanze e le consonanze) e figure retoriche che riesci a individuare. Particolarmente efficace appare anche l’utilizzo delle similitudini: proprio una similitudine imprime grande movimento alla scena della città devastata dal-la peste. Rintracciala nel brano e spiegane il senso. Ne rinvieni altre?...............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

3. Interpretazione complessiva e approfondimenti

Per un’interpretazione complessiva del brano si potrebbe innanzitutto rilevare in esso le caratteristiche che lo ascrivono al genere del romanzo storico, e della particolare interpretazione che di esso diede l’autore, magari al-

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largando il discorso con un confronto con gli illustri precedenti del genere (Ivanhoe di Walter Scott e Don Chisciot-te di Cervantes). In questa chiave, infine, si potrebbe fornire anche una più ampia contestualizzazione, rilevando come le caratteristiche generali dell’opera ci permettano di ascriverla alla cultura romantica, ampliando poi il di-scorso su come Manzoni si inserisca in tale contesto storico-culturale. 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Shemà e Se questo è un uomo La poesia Shemà di Primo Levi è un breve testo in versi liberi che apre Se questo è un uomo (pubblicato per la prima volta dall’editore De Silva nel 1947), opera in cui viene descritto l’internamento e la prigionia nel campo di Monowitz e di Auschwitz dal febbraio 1944 al gennaio 1945. Il testo compare poi nella raccolta di poesia Ad ora incerta 1, edita nel 1984. Shemà è una parola ebraica (שמע) che significa “ascolta”; essa compare nell’espressione Shemà Israel ( ישראל שמע , “Ascolta, Israele”) in una fondamentale preghiera della liturgia, recitata durante le orazioni del mattino e della sera 2. Levi utilizza questa espressione in apertura del suo romanzo per rivolgere un forte appello al suo lettore, affinché egli presti attenzione a ciò che sta per leggere e fissi nella memoria la testimonianza agghiacciante della Shoah. La poesia riporta la data del 10 gennaio 1946, poco più di un anno dopo la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz del 27 gennaio 1945. Testo di Shemà

1. Voi 3 che vivete sicuri 2. nelle vostre tiepide case, 3. voi che trovate tornando a sera 4. il cibo caldo e visi amici: 5. considerate se questo è un uomo 6. che lavora nel fango 7. che non conosce pace 8. che lotta per mezzo pane 9. che muore per un sì o per un no 4. 10. Considerate se questa è una donna, 11. senza capelli e senza nome 12. senza più forza di ricordare 13. vuoti gli occhi e freddo il grembo 14. come una rana d'inverno. 15. Meditate che questo è stato: 16. vi comando queste parole 5. 17. Scolpitele nel vostro cuore 18. stando in casa e andando per via, 19. coricandovi alzandovi; 20. ripetetele ai vostri figli 6. 21. O vi si sfaccia la casa, 22. la malattia vi impedisca, 23. i vostri nati torcano il viso da voi 7.

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Commento Il tema fondamentale di Shemà è quello dell’esigenza del ricordo; di fronte all’immane tragedia di cui è stato protagonista, Levi infatti identifica nella memoria dell’orrore l’unico strumento per reagire al dramma e per fare sì che questo non possa mai più ripetersi. L’importanza di questo tema è tale da diventare un comandamento morale, cui nessuno di noi può sottrarsi; da qui deriva la perentorietà del tono del poeta, che si traduce in uno stile secco ed asciutto, dall’andamento assai prosastico. Levi rinuncia infatti alla cantabilità del verso o all’artificio della rima, facendo piuttosto risaltare la forza delle immagini. L’appello ai lettori è mediato dalla serie di imperativi (v. 5: “considerate”; v. 10 “Considerate”; v. 15 “Meditate”; v. 17: “Scolpitele”; v. 20: “ripetetele”) che danno alla poesia il tono di un comando ineludibile. La chiusa della poesia (vv. 21-23) sottolinea ulteriormente la necessità del ricordo e della testimonianza: chi non lo farà è destinato, nell’augurio del poeta esplicitato dalla serie dei congiuntivi (“vi si sfaccia la casa, | la malattia vi impedisca, | i vostri nati torcano il viso da voi”), ad un doloroso contrappasso. 1 Il titolo rimanda ad un verso de The Rime of the Ancient Mariner di Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), che compare anche come esergo dell’altro romanzo di Levi sulla tragedia dei lager: La tregua. 2 L’espressione si ritrova anche in tre passi biblici: due volte nel Deuteronomio (6, 4-9; 11, 13-21) e una volta nei Numeri (15, 37-41). 3 Voi: L’appello al lettore è esplicito attraverso l’uso del pronome personale come prima parola del testo. 4 La contrapposizione tra la vita “normale” e la follia del campo di concentramento è l’oggetto dei vv. 3-9: da un lato abbiamo la sicurezza (“vivete sicuri”), gli affetti (“visi amici”), il nutrimento (“il cibo caldo”); dall’altro le condizioni disumane (“che lavora nel fango | [...] | che muore per un sì o per un no”) e la perenne lotta per il cibo e la sopravvivenza (“che lotta per mezzo pane”). Proprio la necessità di procurarsi cibo e di sopravvivere alla logica disumana del campo - riassunta nel motto Arbeit macht frei che compare sopra il cancello di Auschwitz - sono i due temi che attraversano tutti i capitoli del romanzo. 5 Questi due versi introducono la seconda parte della poesia: l’autore chiama in causa il lettore e lo “obbliga” alla funzione fondamentale del ricordo e all’impossibilità di negare o disonoscere ciò che è successo nei campi di concentramento nazisti. 6 ripetetele ai vostri figli: secondo un tema costante in tutta la produzione di Levi (si pensi soprattutto a I sommersi e i salvati), la memoria e il ricordo, per quanto deboli e fallaci, sono una risorsa insostituibile contro il rischio che tutto quello che è successo sia dimenticato e quindi, tragicamente, si ripeta nel corso della Storia. 7 Shemà si conclude con una sorta di minaccia profetica: chi non vorrà ricordare la tragedia della Shoah merita il castigo divino evocato dal poeta.