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1 (foto in archivio Carla Tonelli, Castelnovo del Friuli) Davour La Mont, culla della Resistenza nel Friuli occidentale Premessa Non ci si dovrà stupire se oggi, a dispetto di quel ruolo di oratore “ufficiale” che mi sta stretto – non fosse altro che perché io non ho mai voluto fare il militare ed ho fatto il servizio civile come semplice pompiere volontario, in uno dei comuni disastrati del terremoto del 1976 - parlerò soprattutto di garibaldini e di comunisti. Non vuole essere un atto di parzialità o di mancanza di rispetto per le altre componenti del movimento partigiano; piuttosto una semplice constatazione della realtà vissuta da Davour la Mont e dal comune di Castelnovo negli anni della lotta antifascista e poi del movimento partigiano. Parlare qui, tra le rovine restaurate di questo borgo, oggi reso nuovamente accessibile grazie al

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(foto in archivio Carla Tonelli, Castelnovo del Friuli)

Davour La Mont, culla della Resistenza nel Friuli occidentale

Premessa

Non ci si dovrà stupire se oggi, a dispetto di quel ruolo di oratore “ufficiale” che mi sta stretto –

non fosse altro che perché io non ho mai voluto fare il militare ed ho fatto il servizio civile come

semplice pompiere volontario, in uno dei comuni disastrati del terremoto del 1976 - parlerò soprattutto

di garibaldini e di comunisti. Non vuole essere un atto di parzialità o di mancanza di rispetto per le altre

componenti del movimento partigiano; piuttosto una semplice constatazione della realtà vissuta da

Davour la Mont e dal comune di Castelnovo negli anni della lotta antifascista e poi del movimento

partigiano.

Parlare qui, tra le rovine restaurate di questo borgo, oggi reso nuovamente accessibile grazie al

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lavoro dei volontari organizzati dall’Anpi ed al contributo di altre associazioni locali, vuol dire parlare di

una lunga lotta, più che ventennale, di comunisti e, nel 1943-1945, di partigiani garibaldini. La lotta

garibaldina, qui, iniziò tra i primi luoghi in Italia, non attendendo le radiose primavere del 1944 e poi del

1945, col diffondersi massiccio del movimento partigiano.

Una lotta iniziata quando gran parte dei partiti italiani non erano ancora antifascisti, prima

dell’uccisione del segretario del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti nel 1924, quando spesso i

democratici – anche nomi famosi, poi diventati numi e storici dell’antifascismo; quelli che coniarono

precocemente il termine “totalitarismo” per definire il regime mussoliniano – approvavano, non solo

tacitamente, le camicie nere (gli “scherani dello schiavismo agrario”, come li aveva definiti con

lungimiranza Gabriele D’Annunzio) che bruciavano camere del lavoro, cooperative, sedi dei partiti,

circoli culturali, e violentavano e uccidevano migliaia di attivisti operai e contadini. In fondo, nel 1921

erano stati eletti in Parlamento solo 37 deputati fascisti su 535: molto lontani come numero da quella

maggioranza che, nell’ottobre 1922, portò al governo Mussolini con il voto di liberali, democratici

radicali e cattolici del Partito Popolare Italiano.

Quello che farò oggi, insomma, non è lo stesso discorso che potrei fare a Pielungo, per

esempio, parlando dei giovani seminaristi concordiesi spediti da don Giuseppe Lozer a combattere

nell'Osoppo, che è un’altra storia, altrettanto dignitosa e meritoria. Come è una storia diversa – più

avanti nella costruzione oggi di un modello di rinascita, che speriamo venga assunto in prima persona

dal Comune di Castelnovo – da quella di Paraloup, il borgo montano del Cuneese dove si costituirono i

primi reparti piemontesi di Giustizia e Libertà, quelli di Duccio Galimberti e Nuto Revelli 1. Anche se

poi, dobbiamo sempre ricordarcelo, quelle storie e quella dei garibaldini si intrecciarono, a volte

tempestosamente, nel comune Movimento di Liberazione, e spesso anche nelle scelte politiche del

dopoguerra.

Guerriglia nel giardino dello Spilimberghese

La prima cosa che balza agli occhi è come, in circa un secolo, la geografia di queste colline sia

cambiata. Quello che oggi è un bosco che ricopre quasi tutto il territorio comunale, a volte assorbendo

del tutto antiche borgate abbandonate dai loro abitanti e distrutte dal terremoto del 1976, un tempo era

un frutteto, definito il “giardino dello Spilimberghese”. Un giardino, Castelnovo del Friuli, dove ai suoi

abitanti era reso impossibile vivere mantenendosi con i frutti della terra e dell’allevamento, a causa del

1 http://www.patriaindipendente.it/il-quotidiano/una-domenica-di-sole-a-paraloup/.

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frazionamento delle piccola proprietà fondiaria e della mancanza assoluta di infrastrutture 2.

Per vivere, bisognava andare altrove, secondo i flussi di una emigrazione stagionale che iniziava

a primavera e terminava a dicembre, trasformando gradualmente i contadini piccoli proprietari in operai

professionali dei vari mestieri dell’edilizia. Se nel 1871, cinque anni dopo l’annessione all’Italia, era

costretto ad emigrare l’11% della popolazione complessiva, anziani e bambini inclusi 3, quarant’anni

dopo – nel 1911 – la percentuale sarebbe quasi raddoppiata, arrivando al 20,7%. Praticamente tutte le

unità lavorative disponibili, più di una per famiglia, come denunciava quasi mezzo secolo fa Mario

Lizzero, nella sua pionieristica biografia di Virginia Tonelli 4; un libro elaborato in occasione

dell’inaugurazione del monumento a lei dedicato a Paludea ed oggi opportunamente ristampato a cura

dell’Anpi dello Spilimberghese 5.

Povertà del territorio ed emigrazione sono le chiavi che spiegano innanzitutto, quasi

naturalisticamente, le ragioni del perché in comune di Castelnovo e nello specifico in questa borgata di

Davour La Mont («11 abitazioni con annesse piccole stalle per gli animali» 6), sia nato il primo nucleo

autoctono della Resistenza armata contro il fascismo nella montagna del Friuli occidentale, come hanno

rivendicato due famosi comandanti partigiani di questi paesi.

Affermava nel 2002, in un convegno organizzato a Villa Sulis dal Circolo Arci intitolato a

Virginia Tonelli, il pinzanese Spartaco Serena, “Agile” 7: «Non dobbiamo mai dimenticare che

Castelnovo ha dato un contributo indescrivibile alla lotta di Liberazione. Tutto è partito di qui,

Castelnovo, partiti tutti i battaglioni che si sono formati tutti in giro qui, quelli sul Monte Prat, Agile (il

sottoscritto) e Furore 8 abbiamo creato il Battaglione Matteotti; poi siamo andati in Carnia e dalla

Carnia in provincia di Belluno e dalla provincia di Belluno ritornati in provincia di Udine, verso Erto

2 «Per raggiungere la frazione di Davour La Mont […] posta in cima ad una collinetta […] bisognava camminare a piedi attraverso sentieri (trois) dissestati ed in salita»: cfr. Rino Tonelli, Ricordi di una piccola pagina della storia della resistenza, 1996, http://www.anps.udine.it/files/rino-tonelli-memoriale.pdf. 3 Castelnovo è situato fra le basse propaggini prealpine della valle del torrente Cosa ed il sistema di colli di origine morenica che si distendono verso l’alta pianura spilimberghese ed il Tagliamento. I dati del censimento del 1871 davano al comune 3067 abitanti, di cui 20 assenti per meno di sei mesi e 320 per più di sei mesi. La composizione sociale della popolazione era la seguente: 286 casalinghe; 1090 contadini (il 35,54% della popolazione), 933 senza professione (il 30,42%), 83 tagliapietra, 159 muratori, 31 fornaciai, 102 fra artigiani di vario mestiere, domestici e bottegai, oltre a 19 possidenti, 4 sacerdoti, 4 maestri ed un segretario. Le funzioni di maestri erano svolte in quell’anno da due sacerdoti come interinali. L’insegnamento si teneva nelle due sedi di Paludea nella vallata e di Mondel sulle colline, coinvolgendo mediamente 85 alunni, nel primo caso solo in una scuola maschile. La percentuale degli alunni sul totale della popolazione era quella infima del 2,77%. Le attività prevalenti nel comune erano la coltivazione delle viti e degli alberi da frutta, integrati dalla zootecnia, collegata alla produzione di fieno ed alla produzione di latticini. Scarsa invece la produzione di cereali, acquistati all’esterno scambiando le produzioni tipiche del luogo. Il paese, descritto come il giardino dello Spilimberghese, era difficilmente raggiungibile a causa della difficoltà delle strade. Cfr. Luigi Pognici, Spilimbergo e suo distretto, Pordenone, Antonio Gatti, 1872, pp. 410-414. 4 A Castelnovo del Friuli il cognome Tonelli è particolarmente diffuso, non sempre legato a rapporti di parentela. 5 Mario Lizzero, Virginia Tonelli “Luisa” partigiana, Tricesimo, Anpi Friuli-Venezia Giulia, Quaderni della Resistenza n. 1, 1972, p. 10. 6 Rino Tonelli, Ricordi, cit. 7 1923-2018, comandante durante la Resistenza del battaglione garibaldino “Mario Buzzi”, operante in Valcellina. Cfr. http://www.storiastoriepn.it/ci-ha-lasciato-spartaco-serena-il-comandante-agile-1923-2018/. 8 Luigi Grion, comandante del Battaglione Garibaldi “Matteotti”, alla Liberazione è comandante della Brigata Garibaldi “Picelli-Tagliamento”.

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[…]. Qui a Castelnovo, in Franz, abbiamo creato il primo Comitato di Liberazione Nazionale, che era

presente la Tonelli Virginia, bruciata a Trieste, ed è stata formata nella stanza e nel fienile di Canciani

Mario […]. Merita la medaglia d’oro, il Comune di Castelnovo!» 9.

Ed il più fecondo testimone tra quei militanti castelnovesi, che combatterono quasi per un

decennio per la libertà europea, Vincenzo Tonelli 10, scriveva nel 1985 al commissario politico della

Garibaldi in Friuli, Mario Lizzero “Andrea” «[…] dopo avere letto più libri sulla resistenza Friulana, mi

permetto una osservazione mi scuserai se mi sbaglio, Castelnovo che è stato tra i primissimi dopo 8

settembre a dare il via alla resistenza specie (Dietro la Monte 11) la chiamavano piccola (Stalingrado). Si

era un gruppo dei perseguitati politici, che dopo la caduta del fascismo siamo arrivati dai Confini e dalle

Carceri, io mi trovavo alle Carceri di Udine poi Tonelli Vittorio, Salvador Giovanni, e Sergio, non mi

ricordo il suo vero nome 12, Rossi Carlo tutti dai Confini, poi non dimentichiamo la brava Virginia. 4

Reduci dalla grande Epopea della Spagna» 13.

«Qui il movimento comunista è sempre stato presente, forte e attivo, e questa intanto è una

spiegazione prima del perché c’è stata una Resistenza così importante in questa zona. Spartaco ha

ricordato come da qui siano passati tutti i dirigenti della Resistenza; lo si sa. E [il contenuto]sociale, di

guerra di classe, qui è più chiaro che in altri posti, in altre zone. […] Questo è il segno, come da una

protesta sociale, da un’adesione ad un partito popolare, si passi poi alla Resistenza; e purtroppo si passa

all’emigrazione, perché la discriminazione che c’è stata nei confronti dei partigiani garibaldini è una

storia ancora da scrivere» 14.

Per quanto possa stupire, a tre quarti di secolo dagli anni della guerra di Liberazione, non

abbiamo ancora una ricostruzione organica delle vicende di queste terre, anche se a più riprese sono

9 Spartaco Serena “Agile”, intervento al convegno organizzato dal Circolo Arci “Virginia Tonelli”, Villa Sulis, 10 novembre 2002. Secondo Bruno Steffè, invece la costituzione del Cln sarebbe avvenuta nel 1944, con la nomina del muratore Dorino Del Frari, cristiano sociale (che sarà poi nominato sindaco dal Cln nel 1945) con il consenso del parroco di Paludea don Mario Carlon, che lo ritenne rappresentativo dei cattolici: cfr. Bruno Steffè, Antifascismo e lotta partigiana nello Spilimberghese, cit., p. 192. 10 Tra le sue pubblicazioni note, cfr. Vincenzo Tonelli, Testimonianza (a cura di Marco Puppini), in Dario Mattiussi (a cura di), Le passioni del Novecento, Gradisca d’Isonzo, Centro Leopoldo Gasparini, 2001, pp. 56-65; Fabio Minazzi (a cura di) L'incontro con Vincenzo Tonelli e la visita al campo di concentramento del Vernet d'Ariege, «Agorà» (annuario del Liceo Scientifico “Ferraris” di Varese), anno IV, 2000, pp. 557-8; Vincenzo Tonelli, Un comunista, combattente dell’antifascismo europeo (a cura di Fabio Minazzi), Napoli, La Città del Sole, 2005; Vincenzo Tonelli e Giovanni Pesce, Sulla guerra civile spagnola e i suoi immediati dintorni storici, Napoli, La Città del Sole, 2005, pp. 55-79. Cfr. inoltre: http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/tonelli-vincenzo/. Suoi materiali sono depositati ad Udine negli archivi dell’Anpi e dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione (fondo Mario Lizzero): d’ora in poi Ifsml. Registrazioni di sue interviste sono state raccolte dall’Anpi di Sacile e (nel 2008) dall’autore di questa relazione. 11 Sic. Nelle varie testimonianze, il nome della borgata - in friulano occidentale, quella versione di là da l’aghe (oltre Tagliamento, visto da Udine) nobilitata letterariamente da Pier Paolo Pasolini – viene a volte riportato italianizzandolo, oppure traducendolo in friulano standard. Abbiamo lasciato le varie versioni come le abbiamo trovate nei testi. 12 Si tratta di Eugenio Candon: cfr. Giuseppe Toffolutti, Eugenio Candon “Sergio”, Pordenone, Comune, 1989 e Bianca Minigutti, Dedicato a Eugenio Candon “Sergio”, Palcoda, 11 Dicembre 2016, http://www.storiastoriepn.it/wp-content/uploads//2016/12/Candon.pdf. Altrove Vincenzo Tonelli si riferisce a Candon come ad un compagno passato per la Maison de la Santé (che fu effettivamente uno dei carceri parigini in cui era stato detenuto): cfr. nota 30. 13 Lettera di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, Tolosa, 27 agosto 1985, in: Ifsml, fondo Mario Lizzero, busta 7, fascicolo 51. 14 Alberto Buvoli, intervento al convegno organizzato dal Circolo Arci “Virginia Tonelli”, Villa Sulis, 10 novembre 2002.

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state raccolte testimonianze preziose: pensiamo alle biografie di Virginia Tonelli; alla produzione

autobiografica di Vincenzo Tonelli; al lavoro di Bruno Steffè, quando si trasferì dalla sua Trieste a

Spilimbergo e promosse l’Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età

Contemporanea di Pordenone; infine, all’inizio del nuovo secolo, alle testimonianze raccolte grazie

all’attività del Circolo Arci intitolato a Virginia Tonelli, che era nato per valorizzare quell’edificio – la

piccola “Casa del Popolo” di Paludea – dove dal 2016 ha sede l’Anpi zonale dello Spilimberghese.

Altre testimonianze sono presenti negli archivi resistenziali, ma complessivamente il ruolo del

“fuoco di guerriglia” di Castelnovo è generalmente trascurato, probabilmente per due fattori. Il primo è

la sua autonomia dai centri dirigenti delle forze resistenziali: «A questi distaccamenti [quelli rifugiatisi dalle

Prealpi Giulie sul Ciaurlec nel dicembre 1943] si unirono in seguito anche alcuni gruppi isolati che si erano

formati nella Pedemontana, come il gruppo di Castelnuovo del Friuli comandato da Eugenio Candon

“Sergio”», afferma uno storico militare solitamente rigoroso come Mario Candotti 15. Il secondo è

certamente l’indebolimento della memoria prodotto dalla “grande emigrazione” del dopoguerra, che ha

trasformato definitivamente la tradizionale emigrazione stagionale in uno stabile spopolamento dei

paesi collinari e montani friulani, come ha insistito un protagonista di primo piano come Dante Bertoli

“Sandro”16.

Ma ritorniamo al rapporto tra la geografia, la realtà sociale e quella politica di Castelnovo 17. La

presenza all’estero di tanti emigranti ha facilitato la partecipazione politica in un clima libero dalla

dittatura; la partecipazione di ben 10 castelnovesi all’esercito repubblicano di Spagna 18 e poi al Maquis

15 Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna Arzino e Tagliamento. I rastrellamenti dell’autunno 1944, in: «Storia Contemporanea in Friuli», n. 12, 1981, pp. 15-16. Più corretta, sulla base della letteratura successiva, è la sintesi di Fabio Tafuro, La resistenza nel Friuli Occidentale, in: «Storia Contemporanea in Friuli», n. 37, [2007], pp. 128-130. 16 Dante Bertoli, intervento al convegno organizzato dal Circolo Arci “Virginia Tonelli”, Villa Sulis, 10 novembre 2002. 17 Non dimenticando di notare – sul piano metodologico - come l’introduzione del primo studio (quello di Mario Lizzero) sembri influenzata dal laboratorio della storiografia francese delle «Annales», quella che nel secolo trascorso ha valorizzato la storia dal basso, che inizia dall’analisi della terra e delle condizioni di vita materiali, per poi passare allo studio delle condizioni economiche, culturali e giuridiche della vita sociale, lasciando sullo sfondo l’histoire bataille, quella dei re e dei principi. In questo caso non possiamo ipotizzare una trasmissione di tipo accademico: pesa certamente l’influenza del marxismo sulla democratizzazione della storiografia; ma conta soprattutto quella “università popolare” in cui si trasformarono le carceri e le colonie di confino, in cui migliaia di perseguitati politici antifascisti di estrazione operaia e contadina ebbero un’occasione unica per acculturarsi grazie alla formazione organizzata clandestinamente dal Partito Comunista, avendo per insegnanti d’eccezione i principali dirigenti politici del partito, a partire da Gramsci, e tanti compagni intellettuali di grande levatura. Lizzero stesso accenna ai suoi studi da autodidatta; a quelli fatti sotto la guida del segretario della sezione del Pcd’i clandestino cividalese, l’operaio Odoardo Tosoratto, che lo spinse ad imparare il francese per leggere i libri in quella lingua; alle letture nelle biblioteche delle carceri in cui fu ristretto ed infine allo studio collettivo nel reclusorio di Castelfranco Emilia (cfr. Mario Lizzero “Andrea”, Il suo impegno civile, politico e sociale, Udine, Ifsml, 1995, pp. 9-13; Mario Lizzero, Memorie di un “sovversivo” 1928-1943, Udine, Anpi – Ifsml, 2018). Testimonianza esplicita di questa impostazione “francese” di Lizzero è il riferimento contenuto in un suo richiamo all’iniziativa di stilare, dopo la Liberazione, dei veri e propri cahiers de doléance, come quelli redatti per gli Stati Generali del 1789: «Il III [congresso provinciale del Pci] decidemmo di realizzarlo sulla base di una indagine di massa della situazione di allora, e in ogni organizzazione si scrissero i «Quaderni di Rivendicazioni» (qualcosa come i Cahier des doleances della Rivoluzione francese), che possiamo rileggere anche oggi con interesse per le informazioni che danno sulla situazione del tempo»: cfr. Mario Lizzero, Lotte operaie e contadine nella Bassa Friulana negli anni Cinquanta, in «Storia Contemporanea in Friuli», anno V, n. 6, 1975, p. 205. 18 Cfr. Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna, La Spagna nel nostro cuore 1936-1939. Tre anni di storia da non dimenticare, Roma, Aicvas, 1996; Marco Puppini, In Spagna per la libertà. Antifascisti Friulani, giuliani e istriani nella guerra civile spagnola 1936/1939, Udine, Ifsml, 1986; Gian Luigi Bettoli, «...di Pordenone che lotta contro la reazione internazionale ne sono 6 o

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francese ha trasformato giovani operai in esperti guerriglieri e donne di servizio in funzionarie

responsabili di partito. Non ci si può quindi stupire che – mentre, subito dopo l’8 settembre della

monarchia e dell’esercito fascista, partigiani veneti ed emiliani accendevano quel fuoco di guerriglia nel

Vajont che sarebbe diventato nel Cansiglio la grande Divisione garibaldina “Nino Nannetti” 19; mentre i

cantierini monfalconesi impegnavano insieme con l’Osvobodilna Fronta sloveno lo scontro frontale

con i nazisti nella “battaglia di Gorizia”; mentre i comunisti ed azionisti friulani costituivano i primi

reparti guerriglieri nelle Giulie, immediatamente a valle delle avanguardie occidentali dell’Esercito di

Liberazione Jugoslavo; qui si realizzasse precocemente quella base sul Ciaurlec, dove si sarebbero poi

trasferiti in parte i reparti garibaldini friulani sfuggiti ai rastrellamenti dell’autunno 1943. Dal Ciaurlec

partirono poi i distaccamenti garibaldini che diffusero la Resistenza in tutte le Prealpi ed Alpi Carniche,

come ci ha appena ricordato la citazione di “Agile”.

Ma le cause non sono mai solo socioeconomiche; vanno considerate le esperienze politiche

concrete, individuali e collettive. La lotta per sindacalizzare gli emigranti - che proprio da questo

territorio vedeva ai primi del Novecento partire nuclei di crumiri professionali che facevano temere ed

odiare oltralpe i friulani - si collegava con la costruzione del sindacato trasnazionale degli edili e la

creazione di solidi riferimenti in ogni paese della montagna friulana (società operaie e sezioni sindacali,

biblioteche ambulanti e corsi professionali), coordinati da un forte Segretariato dell’Emigrazione laico

ad Udine (contemporaneamente a Pordenone ne veniva creato uno cattolico). A Castelnovo la sezione

socialista nasce nel 1906, ma già quattro anni prima l’amministrazione socialista di Pinzano - la prima ad

essere eletta in Friuli – era intervenuta energicamente contro i reclutatori dei crumiri e l’emigrazione dei

fanciulli 20.

7 che siamo decisi a lottare fino in fondo». La Guerra di Spagna attraverso gli articoli e le lettere degli antifascisti e dei garibaldini del Pordenonese, Pordenone, Casa del Popolo di Torre, https://issuu.com/erabbit/docs/guerra_di_spagna, 2008, ripubblicato in versione ampliata (ma senza le foto) in «Storia contemporanea in Friuli», a. XLI, n. 42, 2012, pp. 43-217. L’elenco degli internazionalisti dello Spilimberghese combattenti in Spagna è stato aggiornato dall’Anpi zonale in occasione dell’evento di Davour La Mont. «MEDUNO: Maraldo Luigi; FORGARIA DEL FRIULI: Ribanelli Domenico; CLAUZETTO: Brovedani Giacomo, [Tanner Giovanni: i suoi dati, escluso cognome ed anno di nascita, sembrano corrispondere con Zannier Giovanni; non è schedato al Cpc. Forse tutto nasce da un errore di trascrizione], Zannier Eugenio, Zannier Giovanni; SPILIMBERGO: Bisaro Carlo, Cengarle Giovanni, Troiano Guerrino, Zanier Pompeo; PINZANO AL TAGLIAMENTO: Simonutti Mirino; SAN GIORGIO DELLA RICHINVELDA: Cocitto Pompeo, Sedran Domenico; CASTELNOVO DEL FRIULI: Canciani Enrico, Cozzi Ermenegildo fu Antonio, nato a Castelnovo il 25.8.1901, mosaicista, anarchico, confinato politico [Cozzi Carlo è nel libro di Puppini “In Spagna per la libertà”, ma i dati, a parte “Carlo” e “1905”, coincidono con quelli di Ermenegildo. Al Casellario Politico Centrale c’è un “Cozzi Carlo”, ma non è di Castelnovo e non è schedato riguardo alla Spagna], De Michiel Ciro, Rossi Carlo, Salvador Giovanni, Tonelli Vincenzo, Tonelli Vittorio, Vedova Emilio Luigi, Vedova Eugenio, Vedova Vittorio, Zampollo Pietro (marito di Virginia Tonelli “Luisa”); TRAMONTI DI SOTTO: Arturo Bidoli, 1900, facchino, muratore [nato a Trieste, rientra al paese d’origine della famiglia (Campone, frazione di Tramonti di Sotto) fin dall’infanzia, dove rimane domiciliato anche dopo l’emigrazione in Corsica nel 1922]»: cfr. email del 14 gennaio 2019 di Bianca Minigutti. 19 Fabio Tafuro, La resistenza nel Friuli Occidentale, cit., pp. 125-127. 20 Gian Luigi Bettoli, Il male viene dal Nord. Come il sindacato tedesco promosse la nascita del socialismo in Friuli. Una microstoria: comune socialista e lotta al crumiraggio a Pinzano al Tagliamento, in: Michele Colucci e Michele Nani (a cura di), Lavoro mobile. Migranti, organizzazione, conflitti (XVIII-XX secolo), Società italiana di storia del lavoro, Quaderno n. 1, https://www.newdigitalfrontiers.com/it/book/lavoro-mobile-migranti-organizzazioni-conflitti-xviii-xx-secolo-_69/, 2015, pp. 118-128.

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Nel primo dopoguerra l’antifascismo militante degli Arditi del Popolo aveva conteso ai fascisti

le piazze di questi paesi; le propaggini del tentato tirannicidio del deputato socialdemocratico Zaniboni

arrivano fino a Spilimbergo, dove rimangono punti di riferimento per l’antifascismo sia l’estesa rete

clandestina comunista, che l’ex sindaco socialista Ezio Cantarutti, l’ex deputato cattolico Marco Ciriani,

che aderisce a Giustizia e Libertà, ed il parroco don Luigi Colin, perseguitato dai fascisti fino a morire di

stenti.

L’antifascismo friulano processato dal Tribunale Speciale

Talvolta la lotta viene prepotentemente allo scoperto, superando le rigide regole della

clandestinità. Negli anni ’30 nel mandamento era stata scoperta una ramificata organizzazione

clandestina comunista, anche con radici a Castelnovo, Pinzano e Lestans, punti di forza della scissione

del Psi avvenuta al congresso di Livorno del 1921. Nei mesi precedenti agli arresti, i militanti comunisti

spilimberghesi, nel clima di disperazione sociale ed effervescenza politica alimentato dalla crisi mondiale

del 1929, polemizzano con i fascisti in pubblico ed organizzano scioperi delle filandine e manifestazioni

di disoccupati. Nel 1933 trecento disoccupati occupano il municipio di Castelnovo 21.

Con sentenza del 19 ottobre 1934 il Tribunale Speciale del fascismo condanna, tra gli altri, tre

comunisti di Castelnovo: Dante Tonelli, Emilio Colautti e Domenico Muzzatti, rispettivamente a 7, 3 e

2 anni di carcere.

«L’imputato Tonelli Dante ha dichiarato al dibattimento di essere comunista, di aver assunto la

carica di capo gruppo di Castelnuovo 22, di aver cercato di costituire anche un gruppo di giovani, di aver

ricevuto materiale di propaganda da Fritz, dirigente della zona di Spilimbergo 23, e di averlo distribuito

ai compagni del proprio gruppo; di aver ricevuto da costui anche una bandierina rossa e di averla

esposta in Castelnuovo il 1°-5-1933; e di aver preso parte a varie riunioni di comunisti.

«Dalle dichiarazioni da lui rese al Giudice Istruttore risulta che egli era capo della zona di

Castelnuovo, carica più elevata di quella di capo gruppo; che formò dei gruppi nella sua zona

nominandone i capi; che dava direttive ed ordini per la organizzazione e per la propaganda.

«Nella perquisizione gli è stato trovato un cifrario del quale si serviva per corrispondere con i

21 Gian Luigi Bettoli, Fascismo ed antifascismo nello Spilimberghese, Castelnovo del Friuli, 2016, http://www.storiastoriepn.it/wp-content/uploads//2016/09/fascismo-ed-antifascismo-nello-Spilimberghese.pdf; Idem, A dispetto della dittatura fascista. La lunga resistenza di un movimento operaio di frontiera: il Friuli dal primo al secondo dopoguerra, Osoppo, Olmis, 2019, pp. 142-147. 22 Sic. Nei testi si ritrova talvolta questa forma di ipercorrettismo, che abbiamo conservato nella trascrizione. 23 Amedeo Fritz, fabbro.

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capi delle altre zone.

«Pertanto il Tonelli dev’essere ritenuto colpevole dei reati di organizzazione e direzione

dell’associazione comunista, di partecipare alla detta associazione e di propaganda sovversiva, come in

rubrica.

«L’imputato Colautti Emilio ha dichiarato al dibattimento di essere entrato nell’associazione

comunista di Castelnuovo ad opera di Tonelli, e di aver ricevuto stampe da costui […] ha confessato di

aver diffuso le stampe dategli dal Tonelli, di aver avuto incarico di formare un gruppo adulti del quale

divenne capo, e di aver tenuto tale carica sino al febbraio 1933. […]

«L’imputato Muzzatti Domenico al dibattimento ha dichiarato di essere entrato

nell’associazione comunista di Castelnuovo nel gennaio 1932, di aver ricevuto stampa da Bortolussi

Luigi 24, e di averle passate ad altri. […]».

Perseguiti dal Tribunale Speciale, anche se non giunti alla condanna (furono comunque

sottoposti a circa sette mesi di carcere preventivo) furono altri quattro castelnovesi. Nicolò Braida,

bracciante, nato il 23 novembre 1912; Mario Canciani, contadino, nato il 20 luglio 1914 - è a casa sua

che si costituirà il Cln nel 1943 - ed Antonio Muzzatti, contadino nato il 29 aprile 1911 (detenuti dal 19

settembre 1933 all’11 aprile 1934); Mattia Muzzatti, calzolaio nato il 28 luglio 1908 (detenuto dal 6

settembre 1933 all’11 aprile 1934).

Per riduzioni della pena, Dante Tonelli, detenuto dal 2 settembre 1933, sarà scarcerato il 18

febbraio 1937; Domenico Muzzatti ed Emilio Colautti, detenuti dal 16 settembre 1933, sono scarcerati

invece, per pena espiata, il 19 ottobre 1934, dopo la sentenza 25.

Non abbiamo notizie successive su di loro con l’eccezione, grazie al pregevole lavoro di

catalogazione di Sergio Antonini, della concessione dell’onorificenza della croce di guerra al merito –

non registrata nella banca dati dell’Anpi nazionale 26 – assegnata a Dante Tonelli per la sua attività

partigiana nel Bresciano: «pieno di slancio e ardimento, era sempre tra i primi nelle azioni più rischiose.

In una azione contro preponderanti forze avversarie, guidava la sua squadra all’assalto all’arma bianca

delle posizioni nemiche, contribuendo sensibilmente con tale audace azione al suo vittorioso esito.

Monte Padrio, 23 febbraio 1945» 27.

24 Mario Lizzero, Luigi Bortolussi "Marco". Una vita per la libertà, Ifsml, Udine, 1986. 25 Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Decisioni Emesse nel 1934, Roma, 1989, https://issuu.com/rivista.militare1/docs/tribunale-per-la-difesa-dello-stato_0414f015ae2c95, pp. 185-197. 26 https://www.anpi.it/donne-e-uomini/decorazione/croce-di-guerra-al-valor-militare. 27 Ministero della Difesa, Ricompense al valor militare per attività partigiana, Decreto presidenziale 25 maggio 1968, in: «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana», n. 228 del 7 settembre 1968, pp. 5418-5419; Sergio Antonini, Guerra di Liberazione 1943-1945. I decorati al valore militare della Provincia di Pordenone, «Quaderni di Storia. Cose nostre, cose di tutti», Istituto Provinciale per la storia del Movimento di Liberazione e dell’Età Contemporanea, Pordenone, fascicolo n. 9, luglio 2000, p. 155, che lo colloca nelle file della 54a Brigata Garibaldi “Belotti”.

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Grazie alla documentazione conservata dall’Anpi di Brescia, Dante Tonelli risulta aver operato

dal novembre 1943 all’agosto 1944, con funzioni di organizzatore, nella Resistenza friulana, per poi

passare nel Bresciano, operando dal settembre 1944 al giugno 1945 come capo squadra della Brigata

“A. Schivardi” della Divisione Fiamme Verdi “Tito Speri”, partecipando a scontri armati dal gennaio al

1° maggio 1945, quando riportò anche una ferita 28.

Una “piccola Stalingrado” 29 sulle colline friulane

Vincenzo Tonelli, internato nel campo di concentramento del Vernet d’Ariège per la sua

partecipazione alla Resistenza francese nelle file dei Franc-Tireurs et Partisans Français 30, consegnato

alla polizia fascista ed arruolato per pochi giorni nell’esercito regio, descrive così il suo avventuroso

ritorno nel Friuli dopo l’8 settembre:

«[…] non appena sono ritornato a casa ho ritrovato subito altri tre compagni che avevano fatto

come me la guerra di Spagna e vi era poi un compagno che veniva direttamente dalla Maison de la

Santé di Parigi, anche lui friulano, che era appena scappato dalle carceri 31. Ci siamo subito organizzati

tra di noi e abbiamo preso tutti i contatti del caso. In quei giorni non abbiamo perso tempo: siamo

andati a prelevare i fascisti che avevano fatto del male durante i vent’anni di dittatura del fascismo e in

tal modo abbiamo subito dato avvio alla Resistenza, in questo modo. Poi, certo, ci siamo dovuti

organizzare sempre meglio, anche perché abbiamo avuto episodi di spionaggio, abbiamo subito

rastrellamenti, ecc. Carabinieri e tedeschi hanno organizzato spedizioni punitive nei nostri confronti,

hanno bruciato le nostre case. Ma, in ogni caso, dalle nostre parti, a Castelnovo del Friuli, la lotta è

incominciata subito e in questo modo» 32.

«Dopo l’8 settembre 1943 sono arrivati a Castelnovo i primi partigiani. Venivano chiamati

“ribelli” nei primi tempi, e non si sapeva chi erano. Poi hanno cominciato un po’ alla volta, tramite

conoscenze nel paese, a contattare quelli della mia età che ritenevano di idee antifasciste e disposti a

collaborare» 33.

28 Email del 28 settembre 2019 di C. Pasinetti dell’Anpi di Brescia (che ringrazio) e: Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, Corpo Volontari della Libertà, Comando regionale lombardo, scheda personale n. 7582. 29 Spartaco Serena “Agile”, intervento cit.; Vincenzo Tonelli, lettera a Mario Lizzero del 27 agosto 1985, cit. 30 L’equivalente delle future Brigate Garibaldi italiane a guida comunista. 31 Eugenio Candon (cfr. nota 12). 32 Vincenzo Tonelli, Un comunista, combattente dell’antifascismo europeo, cit. p. 85; Idem e Giovanni Pesce, Sulla guerra civile spagnola e i suoi immediati dintorni storici, cit. p. 37. 33 Pietro Zanetti, intervista [a cura di Renato Camilotti] del 3 settembre 2005 in [Renzo Peressini (a cura di)], Il sole tramonta a mezzanotte. La resistenza nello Spilimberghese nei racconti dei testimoni, Anpi, Spilimbergo, 2005, p. 219.

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« ... ci siamo presentati ai comandi, su in Davour La Mont, dove c'erano i garibaldini, c'erano “i

spagnoi”, c'era la Virginia, era Vittorio Tonelli che faceva le domande. Ti chiedevano perché volevi fare

il partigiano, come la pensavate tu e la tua famiglia sul fascismo, come avresti voluto che andasse il

mondo quando avremmo vinto, insomma ti facevano l'esame di ammissione» 34.

Narra Giovanni Angelo Colonnello “Eligio” 35, giornalista spilimberghese fondatore del Pcd’i 36

e durante la Resistenza, partigiano e curatore insieme a Luigi Bortolussi della stampa della Brigate

Garibaldi friulane 37: «Nel suo mandamento [di Spilimbergo] il primo consistente reparto partigiano

ebbe vita il 20 settembre 1943 in territorio di Castelnovo del Friuli e precisamente in un avvallamento

dietro, cioè a nord, e al riparo di un monte; e fu proprio in quell’avvallamento, ove si svolse il primo

grosso combattimento della zona (24 aprile 1944) e in cui il nemico subì forti perdite in morti e feriti,

che cadde da valoroso il garibaldino Giovanni Bonomi junior da S. Giovanni di Manzano 38 la cui

famiglia, sull’esempio del padre, un ex ten. col. degli alpini, partecipò in blocco alla lotta di liberazione.

All’atto costitutivo, seguito dal giuramento, erano presenti 84 individui e tra questi quattro ex

garibaldini di Spagna compreso Giovanni Felice (Polo), in seguito divenuto ispettore di zona della

Divisione Sud Arzino operante nel triangolo Feletto-Venzone-Tarcento 39, giunto assieme a Orio 40,

Sergio 41 ed Arno 42 dal Collio, appunto con l’incarico specifico di dar vita a reparti partigiani nella

destra Tagliamento; e dal Collio, con altri compagni, erano pure partiti, con la medesima incombenza,

Andrea 43 per Buia e Guerra 44 per Cornino.

Come altrove, dunque, anche nello spilimberghese matrice della Resistenza è stata la Garibaldi.

34 Intervista del 2017 ad Alberto Dell'Agnese, nato il 13 febbraio 1924 a Castelnovo del Friuli, partigiano combattente della Divisione “Garibaldi Sud-Arzino” (in Archivio Anpi Spilimberghese, presso Bianca Minigutti). 35 Come ha notato Mario Blasoni (Giornalista e patriota raccontò la guerra di Liberazione in Friuli, in: «Messaggero Veneto», 22 giugno 2011, https://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2011/06/22/NZ_19_01A.html) si tratta di «un personaggio troppo presto, e ingiustamente, dimenticato» (come tantissimi altri). La sua storia della Resistenza friulana (la prima ad essere pubblicata, anche se l’opera di Mautino, edita solo nel 1981 – cfr. nota 40 - era antecedente) contiene riferimenti autobiografici. 36 Partito Comunista d’Italia, fino al 1943; poi Partito Comunista Italiano. 37 Bruno Steffè, La guerra di liberazione nel territorio della Provincia di Pordenone 1943-1945, Pisa, Ets, 1997, p. 91. 38 Si tratta dell’episodio in cui il 24 aprile 1944, presso la stazione di Castelnovo, Eugenio Candon tenne un comizio ai lavoratori pendolari, per invitarli a scioperare contro il lavoro obbligatorio imposto dai tedeschi. Una colonna germanica giunse improvvisamente, uccidendo sei partigiani: cfr. Giuseppe Toffolutti, Eugenio Candon “Sergio”, cit., pp. 32-34 e http://www.storiastoriepn.it/il-monumento-a-valeriano-ferrovia-restaurato-dallanpi-dello-spilimberghese/20170413_120149-copia/. 39 http://www.anpiudine.org/a-tricesimo-oggi-come-allora-le-memorie-di-un-combattente/. 40 Giovanni Battista Periz, morto a Mauthausen il 3 marzo 1945. Cfr. https://www.anpi.it/donne-e-uomini/2451/giovan-battista-periz. Un elenco sintetico dei nomi di battaglia dei partigiani friulani in appendice a: Ferdinando Mautino, Guerra di popolo. Storia delle formazioni garibaldine friulane. Un manoscitto del 1945-1946, Padova, Libreria Feltrinelli, 1981. 41 In mancanza di altri riscontri (“Sergio” Candon operava nello Spilimberghese e non nel Collio) e vista la sua testimonianza in Sigfrido Cescut, Partigiani fra Collio, Armentaria e Melmose. Fatti e uomini della Resistenza nella Provincia di Pordenone, Pordenone, Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età Contemporanea, 2009, riteniamo possa trattarsi di Sergio Visentin “Rino”. 42 Oreste Cotterli, impiccato a Premariacco il 29 maggio 1944. Cfr. http://archivio.anpiudine.org/easyne2/archivio-fotografico/oreste-cotterli-arno-dirigente-del-pci-clandestino.aspx. 43 Mario Lizzero. 44 Mario Foschiani, fucilato ad Udine il 4 aprile 1945. Cfr. https://www.anpi.it/donne-e-uomini/735/mario-foschiani.

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Infatti la Osoppo si mise in azione assai più tardi e preferenzialmente in zone montane e con maggiore

intensità nei centri di Meduno, Pielungo e Tramonti» 45.

La ricostruzione dello storico Bruno Steffè arricchisce il quadro grazie ad altre testimonianze: «I

comunisti dello Spilimberghese […] presero contatto, tramite Alfio Tambosso 46, con i dirigenti della

Federazione comunista di Udine. Seppero della costituzione nel goriziano di una Brigata Proletaria

formata con alcune centinaia di operai provenienti da Monfalcone e dall’Isontino, in maggioranza

lavoratori dei Cantieri navali.

«Furono inoltre informati che Mario Lizzero ‹Andrea› stava organizzando i primi reparti

partigiani sui monti della Benecia. Presero la decisione di convocare una riunione degli antifascisti di

tutta la zona della Val d’Arzino.

«La riunione si svolse il 19 settembre nel borgo ‹daur le mont› di Castelnovo, nella casa di

Virginia Tonelli, e parteciparono oltre ai garibaldini di Spagna, Mirolo 47, Cancian, Codogno, Tambosso,

Miguel Troiano da Spilimbergo; Bertoli Dante da Castelnovo; Bortolussi e Beltrame da Lestans,

Candon e Pocci da Valeriano, Serena Vincenzo da Pinzano; Ribanelli Domenico da Forgaria. Insieme

presero la decisione di costituire un gruppo partigiano e di stanziarlo nelle Casere del monte Ciaurlec,

nel quale far affluire dei giovani volontari. Dante Bertoli ricorda: “io ho portato con me e per gli altri

delle coperte e del vestiario. Siamo stati prima alla Casera dei Beac, poi a quella dei Sinic; dopo alla

Casera Tamer”.

«Quel primo gruppo si preoccupò di attrezzare alcune basi sicure nelle quali avrebbero potuto

trovare rifugio i ricercati, temendo un’azione persecutoria dei tedeschi contro gli antifascisti già

segnalati e condannati. Invece la occupazione tedesca dello Spilimberghese, in quel primo periodo, si

rivelò abbastanza ‹soffice›, mentre le notizie provenienti da altre parti d’Italia, dal Piemonte ma anche

dal Carso triestino e dal Goriziano, rilevavano concentramenti di forze tedesche e cruente battaglie per

stroncare sul nascere ogni opposizione partigiana». In seguito ai rastrellamenti del novembre 1943,

«Alcuni nuclei dei Battaglioni Garibaldi e Pisacane raggiunsero armati la base partigiana del Ciaurlec,

nella Destra Tagliamento» 48.

45 Giovanni Angelo Colonnello, Guerra di Liberazione. Friuli-Venezia Giulia-Zone Jugoslave, Udine, Editrice Friuli, 1965, p. 190. 46 “Ultra”, vicesegretario della Federazione friulana del Pci, cfr. il suo articolo Ricordo di Sergio in: La Resistenza spilimberghese nel trentennale della Liberazione, supplemento de: «Il Barbacian», a. XII, n. 2, dicembre 1975, riprodotto in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., pp. 187-189 e http://www.storiastoriepn.it/la-resistenza-spilimberghese-nel-trentennale-della-liberazione-in-un-inserto-de-il-barbacian/. 47 “Cesarin”, esponente di primo piano del Pci di Spilimbergo: cfr. il suo articolo Significativi episodi della Resistenza spilimberghese, apparso nel supplemento de: «Il Barbacian», cit., riprodotto in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., pp. 129-131 e http://www.storiastoriepn.it/, cit. 48 Bruno Steffè, Antifascismo e lotta partigiana nello Spilimberghese, «cose nostre cose di tutti», quaderno n. 11, ottobre 2001, pp. 77-78. Ho scelto di riferirmi a questa versione, perché successiva; quattro anni prima però Steffè aveva riportato una versione rovesciata delle relazioni tra i comunisti spilimberghesi ed il comando garibaldino friulano, in cui l’iniziativa parte dai primi: «Mario Lizzero, nelle sue note, non spiega il perché della scelta del Ciaurlec per il ripiegamento degli uomini dei Bt.i Garibaldi, Friuli e Pisacane. Egli ebbe notizia da Angelo Mirolo e da Alfio Tambosso delle riunioni avvenute in

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Riprende Dante Bertoli: «Quando sono arrivati i garibaldini dal Friuli, com.te era ‹Guerra›,

com.ario ‹Tribuno›. Io ero guida, intendente e cuciniere del gruppo. Giunto Andrea, in dicembre, è

stato ricostituito il Btg Garibaldi con una trentina di uomini… In primavera, Tribuno 49, Odo 50, Valerio

51 sono stati mandati sul Piancavallo; Guerra e Gracco 52 in Carnia; Falco 53 e Spartaco 54 sono stati

avviati verso la Valcellina per formare altri Btg.i. Willi 55, Rino Visentin e Moro 56 sono rimasti sul

Tamer» 57.

E’ in queste riunioni che si manifesta la forte personalità di Eugenio Candon, cresciuto in

Francia e dotato di «una preparazione politica sconosciuta alla grande massa dei giovani italiani di

allora»: «Ero allora segretario di zona per il mio partito. Il Pci. Uscivamo appena da una lunga ed

estenuante riunione clandestina tenuta nella ‘legnaia’ di “Vittorio” a “Daur la Mont” in quel di

Castelnovo del Friuli, quando mi venne presentato. Erano gli ultimi giorni dell’ottobre 1943» 58.

Sergio Visentin “Rino” è il primo ad arrivare: «[…] a Castelnovo mi accolgono con una certa

diffidenza, destinata a sciogliersi al momento del recupero del carico. Il giorno dopo, arriva anche un

comunicato di “Andrea”, che informa i partigiani della mia venuta. Nel frattempo ci raggiunge “Willi”

con il suo carico d’armi: è andato tutto bene.

«Da Davour La Mont, il borgo rosso di Castelnovo, saliamo alle malghe del Monte Ciaurlèc.

Prendo confidenza con i centri di Travesio, Clauzetto, Vito d’Asio, i tanti borghi di Castelnovo. Cerco

di reclutare partigiani, meglio se possiedono già qualche arma. […]

«Ci sono posti che, per quanto piccoli, si rivelano molto importanti per una guerra di guerriglia.

settembre nel borgo ‹daur le mont› di Castelnovo, promosse da Vittorio Tonelli, ex garibaldino di Spagna, tra gli antifascisti del mandamento. […] Il gruppo di partigiani del Btg. Garibaldi Friuli, giunto con ‹Andrea›-Mario Lizzero il 4 dicembre ’43 sul Ciaurlec, si unì con il gruppo di partigiani già esistente del mandamento di Spilimbergo. Man mano il Btg s’ingrossò, formò dei distaccamenti stanziandoli nella zona, sul monte Pala e monte Prat, tra Travesio, Castelnovo, Clauzetto e Vito d’Asio »: cfr. Bruno Steffè, La guerra di liberazione nel territorio della Provincia di Pordenone 1943-1945, cit., pp. 38 e 44. 49 Mario Modotti, fucilato il 9 aprile 1945. Cfr. Luigi Raimondi Cominesi, Mario Modotti “Tribuno”. Storia di un comandante partigiano, Udine, Ifsml, 2002 e https://www.anpi.it/donne-e-uomini/2273/mario-modotti. 50 Odoardo Tosoratto, commissario politico, morto sul Tagliamento nel dicembre 1944: https://www.anpi.it/donne-e-uomini/242/edoardo-tosoratto. 51 Aldo Plaino, di Buttrio, comandante gappista. 52 Pietro Roiatti, ucciso il 14 dicembre 1944, cfr. http://archivio.anpiudine.org/easyne2/archivio-fotografico/ritratto-di-pietro-roiatti-gracco.aspx. 53 Vincenzo Deotto, cfr. http://archivio.anpiudine.org/easyne2/archivio-fotografico/ritratto-del-partigiano-vincenzo-deotto-falco.aspx. 54 “Spartaco” è un nome di battaglia frequente tra i partigiani (anche l’osovano Carlo Comessatti). E’ adottato da Mario Betto, che si sacrifica il 23 ottobre 1944 per bloccare una colonna tedesca che marcia su Barcis; un commissario politico “Spartaco” aveva parlato alla popolazione ad Andreis il 13 giugno 1944 (cfr. Giovanni Angelo Colonnello, Guerra di Liberazione, cit. p. 176). In questo contesto – come forse anche nell’episodio andreano - ci pare però si possa riferire a Spartaco Serena “Agile”, anche per la familiarità tra quasi compaesani. 55 Luigi Palla, uno dei sei partigiani che saranno uccisi durante il comizio alla stazione di Castelnovo: cfr. http://www.storiastoriepn.it/il-monumento-a-valeriano-ferrovia-restaurato-dallanpi-dello-spilimberghese/, cit. 56 Salvatore Bulla, cfr. http://archivio.anpiudine.org/easyne2/archivio-fotografico/comandanti-partigiani-gino-della-torre-ferdinando-mautino-carlino-vincenzo-marini-banfi-mario.aspx. 57 Bruno Steffè, La guerra di liberazione nel territorio della Provincia di Pordenone 1943-1945, cit., p. 38. 58 Alfio Tambosso (Ultra), Ricordo di Sergio in: La Resistenza spilimberghese nel trentennale della Liberazione, supplemento de: «Il Barbacian», cit., riprodotto in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., p. 187 e http://www.storiastoriepn.it/, cit.

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Delle case di Davour La Mont, arrampicate sulla collina, lungo la strada che da Castelnovo scende a

Pinzano, oggi non restano che i ruderi mimetizzati fra la vegetazione. Ma in quei lunghi mesi, fra l’inizio

del 1944 e la fine della guerra, tanti partigiani hanno trovato rifugio, ospitalità, polenta calda e fuoco nel

camino in quelle dimore di sasso» 59.

«Dobbiamo creare il distaccamento con i giovani locali e alcuni antifascisti. Scegliamo di

insediare la nostra prima base poco sopra Praforte, ai piedi del Monte Ciaurlèc. In poco tempo, visti i

numerosi reclutati, si forma il Battaglione Garibaldi. “Willi” diventa comandante, io commissario.

Abbiamo una stella tricolore sul berretto e adottiamo un fazzoletto rosso, come segno di

riconoscimento, in omaggio ai garibaldini del Primo Risorgimento e dell’Unità d’Italia» 60.

Davour La Mont è il luogo dove si ritrovano i massimi dirigenti resistenziali garibaldini: «A metà

giugno [1944] giungono sul Ciaurlèc Giannino Bosi “Battisti” 61 e Fidalma Garosi “Gianna” 62.

Organizziamo una riunione a Davour La Mont di Castelnovo. Ci troviamo noi tre con “Tribuno”,

“Richard” 63, “Corrado” 64 e “Sergio”. Facciamo il punto sulla situazione dei reparti partigiani nella

Destra Tagliamento» 65. Ed il rifugio nei momenti più duri dei rastrellamenti della fine del 1944: «Ero di

nuovo ospite a Davour La Mont, dove otto mesi prima avevo conosciuto Virginia Tonelli “Luisa”. In

quella casa del borgo, durante i rastrellamenti tedeschi, mi nascondevo in un cunicolo, al quale si

accedeva da una botola, ricoperta da un cassone, sul pavimento della cucina. I nazifascisti avevano

ispezionato più volte l’abitazione, senza mai trovarmi» 66.

«“Per invitare altri volontari a unirsi al gruppo – spiega Dante Bertoli – bisognava avere una

disponibilità di armi. La più grossa preoccupazione iniziale fu perciò il loro reperimento. Sapevamo che

molti militari, dopo l’8 settembre, erano rientrati a casa con il fucile e che altri di passaggio, avevano

abbandonato l’arma nella zona. Si trattava di recuperarle. Io, conoscendo la zona, mi esposi a girare

casa per casa. Inoltre, la mia casa in Borgo Costa 67, divenne un punto di riferimento e di ritrovo per i

nuovi arrivati da oltre il Tagliamento. Il movimento di facce nuove e la incetta di armi fu notata e, da

parte di qualche zelante legalitario, fu segnalata ai carabinieri. Questi avvisarono il comando tedesco di

Spilimbergo il quale intervenne con i suoi sistemi sbrigativi.[”]

59 Sigfrido Cescut, Partigiani fra Collio, Armentaria e Melmose, cit., pp. 54-55. 60 Ivi, p. 70. 61 Giannino Bosi, ucciso il 9 dicembre 1944 a Palcoda. Cfr. Alberto Buvoli, Il partigiano "Battisti". Giannino Bosi Medaglia d'Oro della Resistenza friulana, Padova, il Poligrafo, 1995 e https://www.anpi.it/donne-e-uomini/589/giannino-bosi. 62 Fidalma Garosi Lizzero, Storia di Gianna, Udine, Publicoop-Anpi-Ifsml, 2007 e https://www.anpi.it/donne-e-uomini/2769/fidalma-garosi-lizzero. 63 Alessandro Naccarato (a cura di), Giulio Contin. Il partigiano Richard-Riccardo. Commissario politico della brigata “Ippolito Nievo”, Padova, Federazione provinciale dei Ds e Centro studi “E. Lucini”, 2004, http://www.centrostudiluccini.it/attivita/resistenza/pdf/contin.pdf. 64 Adolfo Lanzardi, alla Liberazione comandante del Gruppo Brigate Garibaldi “Sud-Arzino”. 65 Sigfrido Cescut, Partigiani fra Collio, Armentaria e Melmose, cit., p. 71. 66 Ivi, p. 88. 67 Più specificamente in località Forca.

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Una perquisizione in Forca dà fuoco alle polveri

Il 6 dicembre, una colonna nazifascista in assetto di guerra, giunse a Castelnovo. Bloccò il bivio

di Paludea e iniziò un rastrellamento sino a Borgo Costa. Dante Bertoli e il partigiano di servizio alla

casa (per accogliere e instradare chi cercava contatti con il gruppo partigiano) 68 si allontanarono

portandosi in osservazione su un’altura vicina. I nazifascisti fecero uscire le donne, rovistarono la casa

in cerca di armi e di documenti che non c’erano. Cosparsero le stanze di benzina e diedero fuoco,

dichiarando ai vicini che avrebbero bruciato tutte le case di coloro che davano ospitalità ai partigiani» 69.

Questo episodio è rimasto nella memoria di alcuni partigiani, ma è anche precocemente

testimoniato nei documenti ufficiali. Di fronte ad una prima perquisizione della sua abitazione da parte

di due carabinieri giunti dalla stazione di Clauzetto, che trovarono un fucile mitragliatore, Dante Bertoli

reagì disarmandoli 70.

Secondo Vincenzo Tonelli, Dante, dopo la perquisizione, si rifiutò da darsi alla macchia come

consigliato dagli altri compagni, costringendo così gli “spagnoli” ad intervenire per difenderlo dalla

successiva massiccia azione dei carabinieri, giunti con rinforzi da Udine e Pordenone 71: fu così che

iniziò la lotta partigiana a Castelnovo, e che intervennero i tedeschi 72.

Eccezionalmente, in uno strumento di schedatura come il Casellario Politico Centrale, che si

bloccò con la caduta del regime dopo l’8 settembre 1943 - per poi riprendere purtroppo nel

dopoguerra, nel clima di restaurazione e continuità delle istituzioni poliziesche - si trova una

annotazione sul foglio Notizie per il prospetto biografico di Vittorio Tonelli che risale al 28 gennaio 1944: «Il

28/11/1943, in Castelnuovo del Friuli si rendeva responsabile di ferimento nei confronti di Carabinieri

e davasi alla latitanza. Denunciato per detenzione abusiva di armi da guerra, mancato omicidio ed

organizzazione a delinquere. Diramate ricerche arresto» 73.

Inoltre «Querino Bullian ‹Intrepido› da Castelnovo, divenuto poi Comandante del Battaglione

68 Probabilmente Vittorio Tonelli. 69 Bruno Steffè, Antifascismo e lotta partigiana nello Spilimberghese, «cose nostre cose di tutti», quaderno n. 11, ottobre 2001, pp. 77-79. 70 Dante Bertoli “Sandro” e Vanda Cesca Bertoli “Milena”, intervista a Castelnovo del Friuli raccolta da Gian Luigi Bettoli e Fiorenza Bagnariol, 26 febbraio 2006, copia presso l’autore. 71 L’indicazione relativa alle provenienze dei carabinieri è nella Lettera di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, Tolosa, 27 agosto 1985, cit. 72 Vincenzo Tonelli, intervista raccolta da Gian Luigi Bettoli, Tolosa, 2 settembre 2008, copia presso l’autore. 73 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, Sezione prima, Casellario Politico Centrale, b. 5146, f. Vittorio Tonelli.

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Pisacane, attesta: “All’8 settembre ero caporalmaggiore con la 86.a Batteria stanziata a Novo Mesto in

Jugoslavia. Tutta la Batteria partì per l’Italia che fu raggiunta dopo 11 giorni di marce durissime. Molti

furono i dispersi… Avendo incontrato i partigiani e condividendo le idee politiche degli stessi, mi fu

facile intraprendere la stessa strada… Ci fu un incontro ‹daur la mont› al quale parteciparono Mario

Lizzero ‹Andrea› ed Eugenio Candon ‹Sergio› nell’ultima settimana di novembre ’43. In quell’occasione,

molti valligiani entrarono nelle file partigiane. Io raggiunsi il Battaglione Garibaldi nella zona del monte

Ciaurlec verso i primi di dicembre. Detto Btg. era già organizzato con proprio comando e reparti ben

definiti. Era diviso in tre distaccamenti o compagnie: ‹Monte Pala› 74, ‹Pisacane› e ‹Santarosa› con

schieramento tra il Meduna e l’Arzino. Io fui aggregato al Pisacane. La vita al reparto durante l’inverno

1943-44 fu molto difficile per la mancanza di tutto: armi, munizioni, viveri e vestiario. I tedeschi fecero

diverse puntate sul Ciaurlec ma senza provocare perdite o danni ai partigiani in quanto questi erano

molto mobili e la popolazione segnalava sempre i movimenti del nemico. In primavera ’44 il Btg. scese

dal Ciaurlec e a poco a poco prese possesso di tutta la zona da Castelnovo a Clauzetto, Vito d’Asio e

Anduins, assieme al Btg. osovano (comandato da Goi) 75. I tedeschi e repubblichini facevano continue

puntate da Spilimbergo verso Castelnovo e Clauzetto, ma i reparti partigiani non accettavano battaglia

frontale. Ci furono diverse sparatorie, imboscate che tenevano in continuo allarme il nemico. Dal mese

di giugno ’44 la zona suddetta fu completamente in mano ai reparti partigiani» 76.

Il comando tappa e la scuola di formazione politica di Davour La Mont

Oltre alla costituzione dei reparti partigiani di montagna, Davour La Mont diviene il centro di

una importante iniziativa: il Comando Tappa.

«Per iniziativa degli ex garibaldini di Spagna, Castelnovo divenne sin dall’ottobre 1943 il centro

promotore dell’attività partigiana nelle Prealpi Carniche. Chiunque cercasse contatti con il Movimento

di Liberazione, veniva avviato al Comando Tappa, creato da Vittorio Tonelli, sulla base della esperienza

spagnola, e in mano a un gruppo di comunisti fidati. Detto Comando accentrò non solo le informazioni

militari, l’avvio dei volontari nei reparti partigiani, ma controllò anche il movimento dei civili nella zona,

raccolse le esigenze e le lamentele della popolazione del Comune, svolse l’attività politica sul ‹terreno›,

74 Recte: Palla (Willi). 75 Si tratta del Battaglione Osoppo “Italia”, comandato da Rainero Persello “Goi”: cfr. Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna Arzino e Tagliamento. I rastrellamenti dell’autunno 1944, cit., p. 25. 76 Bruno Steffè, Antifascismo e lotta partigiana nello Spilimberghese, cit., pp. 79-80.

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come si diceva allora, tutelando che l’interesse militare partigiano fosse preminente su quello civile» 77.

«Io sono stato uno dei primi di Castelnovo ad andare con i partigiani: ho fatto quattordici mesi

con loro. Prima però ero un collaboratore, portavo da mangiare al primo nucleo che si era formato

dopo il rastrellamento che era avvenuto dalle parti dei confini con la Jugoslavia, verso Gorizia. Si sono

rifugiati sul monte Ciaurlec, erano sempre in contatto con il comando tappa che si era formato nella

borgata Daur la Mont di Castelnovo. Noi, una dozzina di giovani, si andava su con gli zaini a portare i

viveri e le munizioni che l’organizzazione procurava dalla Bassa» 78.

«Io sono andato a Daur la Mont dove c’era sempre un comando tappa centrale. Lì c’era

“Marco” (Luigi Bortolussi), uno di Lestans, che faceva il tipografo e stampava i giornali della

Resistenza» 79.

Davour La Mont è anche il luogo di formazione politica per il Fronte della Gioventù,

l’organizzazione giovanile della Resistenza.

«A domeniche alterne ci recavamo a Castelnovo del Friuli, nella borgata “Daur la Mont” per

ascoltare delle conferenze politico-ideologiche che si concludevano sempre con animate, interminabili

discussioni. Ritornavamo a Spilimbergo carichi di libri e di stampa» 80.

Garibaldini e sacerdoti

Gli organizzatori garibaldini si trovarono a confrontarsi fin dall’inizio del loro movimento con

la struttura ecclesiastica locale, nel quadro della politica di unità nazionale antifascista. I parroci ebbero

reazioni differenziate, dalla aperta collaborazione al dissenso nei confronti del movimento partigiano

(per quanto accompagnato da interventi umanitari a favore delle vittime dei nazifascisti,).

Una differenza di comportamento che i garibaldini avevano imparato a valutare in Spagna, dove

al pesante anticlericalismo popolare, dovuto al ruolo storicamente consolidato di oppressione sociale

della chiesa ispanica, corrispondeva la partecipazione militante di settori cattolici alla resistenza

repubblicana, come testimoniavano nelle loro lettere Enrico Canciani e Carlo Rossi 81.

«Don Luigi Botter, parroco della Castelnovo alta (il Comune aveva anche una parrocchia a

77 Ivi., pp. 190. 78 Egidio Cozzi, Sono stato uno dei primi, in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., p. 51. 79 Ivi, p. 57. 80 Pasquale Carminati, Brevi note sull’attività del Fronte della Gioventù e sulla liberazione della città, apparso nel supplemento de: «Il Barbacian», cit., riprodotto in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., p. 25 e http://www.storiastoriepn.it/, cit. 81 Gian Luigi Bettoli, «...di Pordenone che lotta contro la reazione internazionale ne sono 6 o 7 che siamo decisi a lottare fino in fondo», cit.

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Paludea, nella Castelnovo bassa), attesta di sapere ben poco dell’attività dei partigiani e solo per sentito

dire. E’ stato invitato ed ha partecipato nel novembre ’43 a una riunione in borgo Franz, nella casa dei

Canciani, con gli ‹spagnoli›, cioè con gli ex garibaldini di Spagna. I Tonelli esposero il loro programma

di costituire un reparto partigiano per combattere contro gli occupatori tedeschi, e lo invitarono nel

Comitato che avrebbe coordinato la lotta. Egli dichiarò che ciò significava portare la guerra in casa e

coinvolgere anche la popolazione. Quelli affermarono che “la guerra era stata scatenata da fascisti e

nazisti ed ora si subivano le conseguenze: prima o poi il fronte sarebbe giunto anche nella nostra zona”.

Don Botter dichiarò di essere contrario alla guerriglia e abbandonò la riunione. “Così – aggiunse – il

loro Comitato nacque rosso e rimase rosso sino alla fine” [per scelta precisa del sacerdote, evidentemente:

n.d.a.]. Don Luigi afferma ancora: “nell’inverno 1943-44 fu per alcuni giorni mio ospite in canonica don

‹Giulio› Piccini. Questi divenne poi il cappellano dei garibaldini e sbagliò”.

«Vanda Cesca conferma la opposizione ai partigiani di don Botter e spiega: “lui era contrario a

ogni tipo di violenza. Quando i tedeschi giunsero in Forca per bruciare la casa di mio marito, - che

qualcuno aveva denunciato per avere ospitato dei partigiani – don Botter giunse affannato e cercò di

fermare i tedeschi. Con la casa già in fiamme e nonostante le minacce tedesche, lui cercò di portare in

salvo vestiario, biancheria e tutto ciò che potè.

«Da quanto risulta a Ruggero Drusi, il parroco di Paludea (Castelnovo bassa), non ebbe

posizioni di principio contro i partigiani. Nella estate 1944, don Mario Carlon, richiesto e avendo

disponibile della tela rossa, la fornì al Comando tappa per confezionare i fazzoletti rossi per i

garibaldini. Il Comando tappa procurò e distribuì alla popolazione quando Castelnovo fu esclusa dalla

distribuzione dei generi tesserati della Sepral 82, e istituì una guardia popolare con turni notturni fra gli

uomini, per la sicurezza del paese.

«Cozzi Egidio afferma che il podestà era stato richiamato alle armi e sostituito con il

Commissario prefettizio Beacco Daniele, il quale amministrava solo le pratiche burocratiche. Tonelli

Vittorio, nel 1944, tramite il Comando tappa, controllava praticamente la vita del paese, avendo quali

collaboratori la Virginia Tonelli, Marco Bortolussi e Dante Politi, comandante della Compagnia

82 «Sezione provinciale dell’alimentazione (dal 1939 al 1958). [...] Con regio decreto legge 18 dicembre 1939, n. 2222, viene istituito un Servizio degli approvvigionamenti per l’alimentazione nazionale in periodo di guerra alla dipendenza del Ministero dell’agricoltura e delle foreste e un Servizio della distribuzione dei generi alimentari e del controllo degli stabilimenti dell’industria alimentare alla dipendenza del Ministero delle corporazioni. Viene inoltre istituito presso il Ministero dell’interno un Ufficio speciale di collegamento tra i servizi e gli organi ed enti dipendenti dallo stesso Ministero. Compito del Servizio degli approvvigionamenti per l’alimentazione nazionale è quello di effettuare censimenti della consistenza delle risorse alimentari, provvedere agli acquisti e alla eventuale incetta e requisizione delle derrate, del bestiame, dei foraggi; determinare l’aliquota di generi alimentari da ritirare in ciascuna provincia; assegnare alle Forze armate e alla popolazione civile i quantitativi di generi alimentari occorrenti; stabilire i quantitativi di generi alimentari da destinare all’esportazione; segnalare al Ministero degli scambi e delle valute le derrate da acquistare all’estero; smistare le derrate provenienti dall’estero; segnalare al Ministero delle comunicazioni, i trasporti necessari per la raccolta e lo smistamento delle derrate. Il Servizio della distribuzione dei generi alimentari e del controllo degli stabilimenti dell’industria alimentare ha il

compito di provvedere alla ripartizione dei generi alimentari [...] ». Cfr. http://www.san.beniculturali.it/web/san/dettaglio-soggetto-produttore?id=30137.

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garibaldina schierata nella zona » 83.

Castelnovo resistente: i numeri

Castelnovo conta la massima incidenza di resistenti attivi sulla popolazione dei comuni della

zona collinare dello Spilimberghese: il 7,66%, seguito da Pinzano con il 6,41%, Travesio con il 5,49% e

Sequals con il 3,77%. In questo gruppo di comuni, spicca l’egemonia comunista che vede, soprattutto a

Castelnovo, la presenza monolitica della “Garibaldi”, con 190 partigiani e collaboratori su 191.

Percentuali così nette si ripetono anche a Travesio e Sequals; solo a Pinzano la presenza osovana è

significativa, anche se di poco inferiore ai garibaldini 84.

Il radicamento della Resistenza a Castelnovo è dimostrato anche dalle decorazioni al valore

riconosciute ai suoi abitanti: la medaglia d’oro alla memoria di Virginia Tonelli, quella di bronzo a

Giovanni Bortolussi “Milan” e le quattro croci al valore militare ad Antonio Braida “Lupo”, Maurizio

Edo Del Colle “Iena” (caduto insieme ad Eugenio Candon in uno scontro con i fascisti della Decima

Mas), Amedeo Peresson “Arno” e quella già citata a Dante Tonelli 85.

Il tributo di sangue del comune è stato pesante: 2 internazionalisti morti durante la guerra di

Spagna ed uno in campo di concentramento in Germania, cui si aggiungono gli 8 partigiani caduti in

combattimento od in campo di concentramento 86.

E poi, anche se i gradi contavano poco per queste persone (Vincenzo Tonelli aveva rifiutato la

promozione da sergente ad ufficiale della Brigata Garibaldi in Spagna, «perché ero ancora giovane e

pensavo che vi fossero dei combattenti più anziani di me che meritavano, prima di me, questa

promozione. Per questo mio rifiuto fui anche punito, ma non cambiai idea» 87), va ricordato che la

Resistenza castelnovese ebbe almeno due noti ufficiali superiori: Querino Bullian, comandante del

battaglione “Pisacane” e Vincenzo Tonelli “Remo”, vicecomandante e commissario politico del

battaglione “Garibaldi” (come il “Pisacane”, appartenente al momento della Liberazione alla Brigata

“Tagliamento” del Gruppo Brigate Garibaldi “Sud”, trasformatosi infine in Divisione Garibaldi “Sud

83 Bruno Steffè, Antifascismo e lotta partigiana nello Spilimberghese, cit., pp. 190-191; sull’impegno umanitario di don Luigi Botter, a favore degli arrestati di Davour La Mont, cfr. Rino Tonelli, Ricordi, cit. 84 Ivi, p. 162. 85 Sergio Antonini, Guerra di Liberazione 1943-1945. I decorati al valore militare della Provincia di Pordenone, cit. 86 Bruno Steffè, Antifascismo e lotta partigiana nello Spilimberghese, cit., p. 143; Gian Luigi Bettoli, «...di Pordenone che lotta contro la reazione internazionale ne sono 6 o 7 che siamo decisi a lottare fino in fondo», cit. 87 Vincenzo Tonelli e Giovanni Pesce, Sulla guerra civile spagnola e i suoi immediati dintorni storici, cit. p. 21.

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Arzino - Fratelli Roiatti” 88), incaricato poco prima della Liberazione di costituire un nuovo battaglione

“Antonio Gramsci”: scelta che sarà superata dagli eventi 89. Altri, del cui ruolo conosciamo meno, sono

ricordati da Bruno Steffè nel suo elenco nominativo dei partigiani castelnovesi 90.

Il curriculum di un partigiano di Davour La Mont

I documenti conservati da Vincenzo Tonelli – oltre ai suoi ricordi, maggiormente centrati sulla

guerra di Spagna, la Francia, la detenzione al Vernet e le riflessioni politiche sul senso dell’antifascismo

nella storia del Novecento – permettono di ricostruire il suo percorso durante i 20 mesi di guerra

partigiana, colmando almeno in parte le lacune sulla conoscenza delle condizione ed azioni concrete dei

partigiani operanti tra Castelnovo del Friuli, il Comando tappa di Davour La Mont, il Monte Ciaurlec

ed il complesso territorio montagnoso tra le valli del Cosa, dell’Arzino e del medio Tagliamento.

Nella sua scheda personale gli episodi relativi ai «fatti d’arme cui ha partecipato» sono essenziali:

«Clauzetto ottobre 1943 – Rastrellamento Ciaurlec 1943 – Rastrellamento Pielungo – Presa di

Spilimbergo» 91. La prima voce è relativa ai due assalti alla caserma dei carabinieri; ma successivamente

egli ricordava che «già ottobre 43 a Paludea io con Ricardo abbiamo bruciato le divise fasciste in piazza

dei dirigenti del comune che tenevano sotto terrore tutta la popolazione ed una sovvenzione mensile

per i Partigiani. Poi è stata anche l’azione alla stazione di Castelnovo che sono rimasti 6 Compagni tra i

quali il comandante Willi, io sono riuscito che ò saltato basso sulla ferrovia, che mi correvano dietro

sparandomi».

Nella fase successiva arrivano in zona Mario Lizzero e Ninci 92, ai quali Tonelli recupera le armi

rimaste a Ragognam oltre Tagliamento. Successivamente, di ritorno da un’azione a Pinzano, intercetta

dei nemici che si stanno avvicinando e, impegnandoli in combattimento, allerta e permette lo

sganciamento del comando garibaldino.

In una occasione, essendo stati catturati due partigiani, costretto ad agire tempestivamente per

impedire il loro trasferimento a Spilimbergo, lontano dalla zona in cui operano i reparti partigiani,

Tonelli con altri due partigiani compie un’azione improvvisa, incruenta fino quasi alla liberazione dei

due detenuti presso l’ambulatorio di Pinzano, riuscendo poi a sganciarsi senza perdite nonostante la

88 Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-1945, Udine, Ifsml, 1988, p. 246. 89 Documenti in archivi Anpi ed Ifsml Udine. 90 Bruno Steffè, Antifascismo e lotta partigiana nello Spilimberghese, cit., pp. 163-165. 91 Archivio Ifsml, fondo Mario Lizzero, busta 7, fascicolo 51, cit. 92 Lino Zocchi, comandante supremo dei reparti garibaldini del Friuli e, nel dopoguerra, segretario dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti (Anppia): cfr. https://www.anpi.it/donne-e-uomini/1049/lino-zocchi.

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reazione armata dei tedeschi.

Un’altra azione era avvenuta proprio a Davour La Mont, a seguito di una sua visita a casa per

fare il sapone per i partigiani insieme alla moglie, alla sorella e ad altre amiche. Dopo aver lavorato per

gran parte della notte, all’alba viene avvertito dalla sorella della presenza di tedeschi e riesce a sfuggire al

rastrellamento, dileguandosi nel bosco a dispetto della sparatoria.

In occasione di un lancio di aiuti a Forgaria, tre partigiani ed i militari di una missione

americana, dopo aver trascorso inutilmente in attesa tutta la notte, si accorgono di essere stati

accerchiati dai tedeschi. Partigiani ed americani riescono a sfuggire e, dopo aver mangiato il pranzo

preparato loro dalla moglie di Tonelli a Davour La Mont, raggiungono il Monte Rossa, dove verrà

ripetuto il lancio 93.

Durante il rastrellamento più duro, quello contro gli ultimi reparti partigiani sulla Monte Rossa

alla fine del 1944 - quando troveranno la morte il comandante del Gruppo Brigate Garibaldi Sud

“Battisti”, il commissario “Sergio” e l’infermiera “Paola” 94, e gli ultimi partigiani arresisi saranno fucilati

a Tramonti di Sotto 95 - Tonelli riesce a salvarsi rimanendo per 24 ore a cavalcioni di un albero, per poi

sganciarsi attraversando le linee tedesche 96:

«[…] durante la ritirata i tedeschi hanno catturato molti compagni e molti di questi, sottoposti a

torture e sevizie terribili, hanno rivelato nomi di battaglia e l’ubicazione delle intendenze attraverso la

cui scoperta i tedeschi hanno poi conosciuto buona parte della nostra organizzazione partigiana. Fu

veramente un colpo durissimo per tutto il movimento di Liberazione. Inoltre i tedeschi ci hanno

inseguito fin sulle cime delle montagne: salivano solo di giorno, perché poi di notte si ritiravano, ma

sparavano a più non posso e abbiamo vissuto delle ore e delle giornate veramente drammatiche. Noi

partigiani, per fuggire, dovevamo ricorrere agli espedienti più diversi. Mi ricordo che una volta per

sfuggire mi sono messo a cavallo di un grosso ginepro e mi sono gettato lungo un pendio innevato,

mentre i tedeschi sparavano all’impazzata. I tedeschi sparavano su tutti le valli e avendo anche

conosciuti i nostri nomi di battaglia a volte ci chiamavano con questi nomi e bisognava stare attenti a

non cadere in queste vere e proprie trappole » 97.

Ma poi, dopo un terribile inverno, al momento dell’insurrezione del 25 aprile 1945,

«Castelnuovo, come sempre, ha dato tutto sé stesso per le formazioni, al momento della mobilitazione

erano spariti gli uomini del paese; le donne venivano mobilitate per il trasporto viveri ed armi, ogni casa

era diventata un posto di ristoro. Esse erano pure addette alla raccolta del materiale dei lanci, da parte

93 Lettera di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, Tolosa, 27 agosto 1985, cit. 94 Iole De Cillia, morta a Palcoda il 9 dicembre 1944 combattendo di retroguardia insieme a Giannino Bosi, immobilizzato da una ferita: cfr. https://www.anpi.it/donne-e-uomini/2922/jole-de-cillia 95 Cfr. http://www.storiastoriepn.it/10852/. 96 Lettera di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, Tolosa, 27 agosto 1985, cit. 97 Vincenzo Tonelli, Un comunista, combattente dell’antifascismo europeo, cit., p. 45.

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degli aerei alleati, alla confezione di distintivi, fascie e gagliardetti» 98.

“Remo” sarà a capo del gruppo di partigiani che per primi entrarono a Spilimbergo: «Il primo

nucleo di arditi, comandanti dal compagno garibaldino Remo, e dotato di una sola arma automatica,

attacca audacemente il presidio del Poligono facendo gran bottino di armi e munizioni e mantenendo in

seguito la posizione. Spilimbergo veniva, subito dopo, circondata dai Battaglioni Santarosa, Garibaldi,

Pisacane e da due Battaglioni Osovani. Fallite le intraprese trattative di resa, s’iniziava un violento fuoco

di mortai, fuoco che consigliò il nemico di constatare la vera realtà dei fatti» 99.

Una guerra di Liberazione: contro gli invasori tedeschi e russi “bianchi”,

contro il regime della guerra e dell’oppressione di classe, contro i traditori in

camicia nera

E’ nota la classica definizione della Resistenza fissata da Claudio Pavone 100: guerra patriottica di

liberazione nazionale; guerra di classe dei subalterni per la loro liberazione sociale; guerra civile.

Indubbiamente tutti questi aspetti ci sono stati nel movimento di Liberazione sviluppatosi nel 1943-

1945, facendo seguito alla resistenza, soprattutto passiva e clandestina, dell’antifascismo nel ventennio

precedente, ed alimentandosi della reazione di una popolazione stremata dalle guerre fasciste (dalla

guerre coloniali in Libia degli anni ’20 ed Etiopia dal 1935, fino alla sconfitta del 1943 nella seconda

guerra mondiale) e soprattutto delle decine di migliaia di giovani traditi dal fascismo, e gettati

nell’abbandono assoluto dopo l’8 settembre 1943 e lo scioglimento dell’esercito regio.

Le guerre condotte dal fascismo durante tutta la sua esistenza si sono accompagnate a forme

estreme di oppressione di classe, attraverso la protezione degli interessi dei capitalisti e degli agrari;

l’estensione dell’ “esercito del lavoro di riserva”, con il blocco dell’emigrazione e la lotta

all’urbanizzazione; l’esclusione delle donne dal lavoro; il taglio continuo e sistematico delle retribuzioni

ed il peggioramento delle condizioni di lavoro dei salariati, attraverso la diminuzione delle tutele e

l’aumento dell’orario di lavoro; l’esproprio fiscale della piccola proprietà contadina; la persecuzione

della cooperazione ed il divieto di libera organizzazione sindacale. Solo parte della piccola e media

borghesia legate allo squadrismo ed alla crescita della burocrazia fascista furono avvantaggiate, fino allo

98 La liberazione di Spilimbergo, ritaglio di articolo di giornale comunista, senza data, identificabile nel numero del 2 maggio 1945 de «L’aratro e il martello» (cfr. lettera del 9 ottobre 1975 di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero), in Archivio Ifsml, fondo Mario Lizzero, busta 7, fascicolo 51, cit. Sul periodico, diretto da Luigi Bortolussi, cfr.: http://www.stampaclandestina.it/?page_id=116&ricerca=238. 99 Ivi. 100 Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, I ed. 1991.

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scoppio almeno della seconda guerra mondiale. I dati erano disponibili già allora ufficialmente - come

dimostra lo studio del giovane Matteo Matteotti La classe lavoratrice sotto la dominazione fascista (1921-1943)

- e confutano oltre ogni legittimo dubbio tutti gli studi apologetici del regime 101.

Ma va innanzitutto sottolineato che il movimento di liberazione dal fascismo è stata una grande

lotta non solo nazionale e patriottica, per riscattare l’Italia da venti anni di dittatura e di aggressioni ad

altri popoli (dopo la Libia e l’Etiopia, l’Albania, la Francia, la Grecia, la Jugoslavia e l’Unione Sovietica),

ma un grande fenomeno planetario. Che ha visto partigiani italiani combattere negli altri paesi (spesso,

come nei Balcani, dopo essere stati accolti fraternamente da chi fino all’8 settembre era stato vittima

della loro persecuzione) e partigiani di ogni parte del mondo combattere qui, per la libertà del Friuli.

Come i tanti jugoslavi che si ritrovano nei reparti partigiani di ogni regione d’Italia, dove erano stati

internati nei campi di concentramento fascisti 102; a maggior ragione qui in Friuli, dove gli sloveni

avevano iniziato la loro guerra di Liberazione già nel 1941, dopo l’invasione italiana della Jugoslavia.

Come i tedeschi, austriaci e cecoslovacchi dei Sudeti che formano, con partigiani della “Carinzia

italiana” conquistata nel 1918 (il Tarvisiano) il Battaglione Garibaldi “Freies Deutschland” 103. Come

“Daniel”, ufficiale sovietico caduto a San Francesco nel novembre 1944 alla testa del Battaglione

Garibaldi “Stalin” 104, uno dei tre reparti partigiani sovietici operanti in Friuli Venezia Giulia, formati da

ex prigionieri dei campi di concentramento. Come Raymond Lefevre “Paris”, rimasto a combattere in

Cansiglio quando la sua Francia era già libera, e fucilato nel febbraio 1945 con altri sei partigiani a

Mezzomonte 105. Come Rana Bakhtiar, soldato dell’esercito anglo-indiano e partigiano della brigata

Garibaldi “Veneziano”, fucilato dai fascisti nel marzo 1945. Il suo cui cadavere fu esposto al pubblico a

Corva per vari giorni, con addosso un cartello ove era scritto: «un indiano, teppa che gli anglo-

americani fanno combattere per la ... liberazione, giace senza parola, quasi a dimostrare all'ineffabile

signor Roosvelt che quella accozzaglia di razze inferiori da lui inviate in Europa (...) è destinata a finire

101 L’opera del figlio minore di Giacomo Matteotti ha avuto una vita laboriosa e marginale sul piano editoriale. Alla I ed. ridotta, apparsa clandestinamente a Roma nel 1943 e subito sequestrata in gran parte, è seguita la II ed., Roma-Milano, Avanti!, 1944 (è evidente che “Milano” era una rivendicazione, più che una realtà, visto che ricadeva ancora nella zona occupata dai nazifascisti); solo nel 1983 c’è stata la III ed. a Roma, Lavoro Italiano. Nel frattempo la storica Annamaria Andreasi aveva pubblicato nel 1972 il libro nel XIV volume degli Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli, ritenendolo un inedito ed attribuendolo a Bruno Buozzi, nel cui archivio era conservata una copia della bozza, consegnata al segretario della Confederazione Generale del Lavoro dall’autore, al fine di ottenerne la prefazione. In ambedue le edizioni del 1972 e 1983 il periodo della ricerca viene indicato diversamente (1922 invece di 1921, come riportato nella II ed.). La vicenda di questa ricerca anticonformista, basata sugli studi ufficiali, lasciati intonsi all’Università di Genova, ma soprattutto su un lavoro sul campo, attraverso interviste agli operai liguri, viene narrata dall’autore nell’introduzione alla III ed. 102 http://www.odradek.it/Schedelibri/partigianijugoslavi.html. 103 Tranquillo De Caneva, Note per un primo studio sulla guerra partigiana in territorio austriaco da parte di unità della Divisione Garibaldi “Carnia” – Il Btg. “Freies Deutschland”, 1951-1968, http://www.storiastoriepn.it/partigiani-tedeschi-tra-friuli-ed-austria-il-battaglione-garibaldi-freies-deutschland/, 2016. 104 Daniil Varfolomeevič Avdeev: cfr. Alberto Buvoli, Comandante Daniel. Un ufficiale russo nella Resistenza friulana, Comune di Pordenone, 2005; Mario Candotti, Il battaglione "Stalin”, in «Storia contemporanea in Friuli», nº 6, 1975; Leonardo Picco, Partigiani sovietici nella Valle d'Arzino, Sezione A.N.P.I. di Spilimbergo, 2002. 105 Sergio Antonini, Guerra di Liberazione 1943-1945. I decorati al valore militare della Provincia di Pordenone, cit.

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così miseramente» 106. Questo era il linguaggio razzista – di cui risentiamo ancora l’eco, in modo

sinistro, quasi ogni giorno, nei cupi proclami dell’ex Ministro dell’Inferno alle “sue” folle

strumentalizzate e deliranti - di quegli squadristi che un incauto parlamentare, ed ex ricercatore degli

istituti di storia della Resistenza, definirà decenni dopo “ragazzi di Salò”. Vogliamo oggi astenerci dal

pronunciare il nome di quel parlamentare opportunista, rivolgendo un pensiero rispettoso a quel nostro

liberatore nero, il cui nome di battaglia era “Nobile”.

E ricordare l’impegno di Vincenzo Tonelli che - ritornato come tanti in Francia da clandestino

nel dopoguerra, ed evitata l’espulsione grazie alla sua attività resistenziale, che gli meritò, solo grazie

all’assistenza delle associazioni partigiane, la cittadinanza francese – ha presieduto a lungo

un’associazione, Les Garibaldiens di Tolosa 107, dedicata a ricordare l’impegno dei garibaldini italiani per

la liberazione dei popoli di ogni parte del mondo, al di fuori di ogni vieto nazionalismo, e piuttosto

inserito in un contesto di fraternità internazionalista ed antifascista: «Réunir, sans distinction de

conception politique, philosophique ou religieuse, en vue de la défense de la Paix, de la Liberté, de

l'Independance des peuples, des interets moraux et materiels de tous les patriotes et résistents qui

combattirent contre le fascisme et le nazisme: qui furent Déportés ou Internés au sens de la loi du 6

août et 9 septembre 1948, ainsi que les familles des disparu relevant des dites lois. Le nom de Garibaldi

est synonyme de Liberté. L'esprit Garibaldien continue d'exister aujourd'hui contre toutes idées de

fascisme, racisme, négationnisme et pour la mémoire collective qui aide à ne pas oublier hier pour

préparer demain» 108.

Lasciamo quindi da parte, dandolo per scontato (come le vicende militari, la parte meglio

studiata del movimento resistenziale) e superato dalla dimensione europea ed internazionale della

battaglia antifascista, l’aspetto patriottico, che per altro – l’abbiamo visto – non era comunque tale da

coinvolgere, nel caso di Castelnovo, tutte le altre forze sociali, come dimostra la divisione tra i sacerdoti

di cui abbiamo riferito.

Mario Lizzero ha già sottolineato l’aspetto della lotta di classe, ovviamente enfatizzato dalla

militanza comunista dei comandanti partigiani, ed accentuato dalle dimensioni materiali dei venti mesi

di guerra partigiana. Combattuta casa per casa, paese per paese, in un crescendo di violenze estreme da

parte degli occupanti, coinvolgendo tutta la popolazione nelle rappresaglie – così come era stata

continua ed asfissiante la persecuzione degli antifascisti e delle loro famiglie sotto la dittatura – con

torture, uccisioni, lavoro coatto, deportazioni nei campi di concentramento, saccheggi, incendi degli

106 Monica Emmanuelli, … con riso sardonico e velenoso mi rispose: «Parroco. E’ guerra», in: «Memorie storiche forogiuliesi», v. XCII-XCIII-2012-2013, Udine, 2015, pp. 161-162; http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=1793; Sigfrido Cescut, Il partigiano fucilato: dagli archivi Anpi spunta una foto da Oscar, in «Messaggero Veneto» del 21 marzo 2007, http://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2007/03/21/PN_05_PNE2.html. 107 Cfr. i documenti in Archivio Ifsml, fondo Mario Lizzero, busta 7, fascicolo 51, cit. 108 http://garibaldienstoulouse.free.fr/

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edifici. In sintesi: una guerra totale contro i civili, che non poteva che ridurre allo stremo una

popolazione che già viveva ai limiti della soglia di sopravvivenza.

Rino Tonelli - pur finalizzando discutibilmente il suo ragionamento al rifiuto del concetto stesso

di “guerra civile”, in evidente contrasto con le testimonianze di altri partigiani, come ad esempio il

fratello Vincenzo - ricorda come: «Noi si combatteva un nemico, un nemico che veniva a rubare le

galline nelle nostre case, non solo a portar via gli uomini; a rubare le galline, i vitelli, tutto quello che

potevano rubare [voce dal pubblico: Si doveva dare una percentuale!]. Questo era quello che succedeva

qua, su queste colline qui di Castelnovo; a parte il fatto delle angherie che si dovevano subire» 109.

Il movimento partigiano si difende

Ragion per cui la sopravvivenza dei partigiani, e delle stesse popolazioni – in particolare

nell’estate-autunno 1944, quando la realizzazione della Zona Libera della Carnia portò all’isolamento di

questi comuni, obbligando la Resistenza a sobbarcarsi l’alimentazione di decine di migliaia di persone –

era legata alla realizzazione di una vera e propria economia alternativa, costruita sul boicottaggio degli

ammassi dei prodotti da parte delle autorità nazifasciste e sui prelievi, a partire dalle Latterie sociali

diffuse in tutti i paesi 110

Solo il forte consenso popolare e la solidarietà con il movimento partigiano poteva permettere

di operare in sicurezza nel territorio, a dispetto del terrore nazifascista e della rete di complicità e

delazioni stesa dal regime nei suoi ultimi mesi di vita, volte a dare la caccia ai più noti comandanti

partigiani, tra i quali ci sono Vincenzo e Vittorio Tonelli. E’ questo il motivo per cui i tedeschi possono

arrivare solo molto tardi - ed una sola volta - a Davour La Mont, nella notte tra l’1 ed il 2 febbraio 1945

111. Coesione popolare che si manifesta anche attraverso la compattezza dei sei arrestati, giovani

partigiani o loro familiari, che resistono a sedici giorni di arresto e di interrogatori, ridotti alla fame dai

carcerieri, senza lasciarsi sfuggire alcuna informazione 112.

E’ quindi inaccettabile continuare a strumentalizzare il fenomeno della giustizia partigiana, le

invenzioni periodiche di presunte “foibe” in ogni dove, alimentate dalla paranoia antipartigiana. Un

movimento diffuso nel territorio, privo di linee del fronte e di istituzioni, povero negli armamenti – se

109 Rino Tonelli, intervento al convegno organizzato dal Circolo Arci “Virginia Tonelli”, Villa Sulis, 10 novembre 2002. 110 Vincenzo Tonelli, intervista a Tolosa, cit. 111 «[…] quante volte i tedeschi ànno fatto delle puntate su Castelnovo, quante volte ànno avuto il loro daffare per sortirsene incerchiati, uccisi e prigionieri e anche retrocedere, certo a parte i grossi rastrellamenti, che si impiegavano tedeschi repubblichini cosacchi ecc. del 1944»: cfr. lettera di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, Tolosa, 27 agosto 1985, cit. 112 Rino Tonelli, Ricordi, cit.

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si pensa al fatto che i nazifascisti ci misero due mesi interi per debellare la Zona Libera della Carnia, con

forze di gran lunga superiori, risulta probabilmente realistico il giudizio di Ferdinando Mautino, che

riteneva che, con adeguati rifornimenti di armi e munizioni, si sarebbero potuti trattenere gli invasori 113

- aveva l’obbligo per sopravvivere di ripulire il territorio di ogni presenza di fascisti e spie, attraverso

l’esercizio legittimo di forme di giustizia popolare e, purtroppo, di ricorrere a forme estreme di

condanna, in mancanza di alternative come quelle che il sistema carcerario offre in condizioni normali.

Anche iniziando subito l’epurazione nei confronti degli esponenti della dittatura, squadristi e

profittatori di regime. E’ a causa di una ragazza che faceva la spia, che sono stati impiccati Primo

Zanetti a Spilimbergo e Gianni Missana a Valeriano 114. Ed il cedimento, sotto le torture, dei partigiani

catturati che accettavano i tradire i compagni, non era neanche garanzia di non essere a propria volta

fucilati dai carnefici, come nel caso del traditore che dava la caccia al corriere divisionale Egidio Cozzi

115. C’è anche un’esigenza di garantire la massima correttezza da parte dei partigiani nei confronti della

popolazione, imponendo una disciplina rigidissima, in particolare nei confronti di ogni forma di furto.

Non si può fare nessuna guerra senza garantirsi le retrovie, e chi nega questo aspetto del

Movimento di Liberazione rivela innanzitutto le sue riserve, quando non la sua contrarietà, verso i

partigiani. Fare scandalismo e qualunquismo verso la Resistenza significa mettere sullo stesso piano il

bene e il male, la democrazia ed la dittatura, chi la guerra l’ha provocata per lunghi anni e chi l’ha

conclusa, a costo di una scelta soggettiva di protagonismo civile; agitare il fantasma delle “foibe” è in

ultima istanza il rivendicare una legittimità al totalitarismo fascista che è stato condannato

definitivamente dalla storia.

D’altra parte, se la Resistenza è stata fatta innanzitutto per porre termine alla guerra, è pur vero

che pochi erano gli spazi per una reazione che escludesse la lotta armata, contro un avversario che

aveva già provocato decine di milioni di morti in tutto il pianeta, sperimentato nuovi strumenti di

distruzione di massa (dai gas asfissianti fascisti in Africa alle camere a gas tedesche fino ai lager fascisti e

nazisti) e che non prendeva prigionieri, se non per renderli schiavi, fino a stremarli nelle produzioni

belliche del sistema concentrazionario, eliminando spietatamente subito gli “improduttivi”.

Impossibile, sotto questo aspetto, distinguere insindacabili esigenze di sicurezza e disciplina

militare, lotta di classe contro chi ha approfittato del fascismo per impoverire le classi lavoratrici e

guerra civile, che sono solo le facce di un unico prisma. In cui la Resistenza inizia a realizzare una nuova

legalità, costruendo un confronto egemonico con le forze sociali e con le stesse istituzioni della

113 Ferdinando Mautino, Guerra di popolo. Storia delle formazioni garibaldine friulane, cit. 114 Intervista del 2017 a Pietro Zanetti, nato a Castelnovo del Friuli il 1° novembre 1925, partigiano combattente, nome di battaglia Primo, Divisione “Garibaldi Sud-Arzino” (in Archivio Anpi Spilimberghese, presso Bianca Minigutti); precedente intervista in Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., pp. 219-221. 115 Egidio Cozzi, La Resistenza in Canal di Cuna, in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., p. 43. Per questo motivo “Marco” (Luigi Bortolussi), incontrato in Davour La Mont, manda per cautela il compagno, a conoscenza dell’identità dei comandanti partigiani, a passare l’inverno 1944-1945 in montagna.

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monarchia in disfacimento:

«Sì, una volta costituito il gruppo siamo subito entrati in azione, anche perché era fin dagli anni

venti che in quelle nostre zone gli antifascisti avevano subito le prepotenze e le angherie dei fascisti.

Organizzammo così dei veri e propri attentati ai carabinieri e alle sedi nazi-fasciste 116. Riuscimmo anche

a compiere dei rapimenti di alcuni fascisti tra i più in vista e tra i maggiori responsabili delle violenze

fasciste in quella zona del Friuli e li sottoponemmo, poi, ad un regolare processo partigiano, che si

svolgeva nelle baite in montagna. Ben presto le nostre azioni e la nostra capacità offensiva ci

consentirono di controllare in modo capillare l’intero territorio, costituendo un serio problema per

l’autorità nazista e per i loro alleati fascisti. A questo proposito vi posso raccontare il seguente episodio:

[…] il prete del paese vorrebbe parlarci. […] Così abbiamo organizzato un incontro tra una nostra

delegazione e una rappresentanza dei carabinieri: tre partigiani si sono incontrati con tre carabinieri. Il

luogo dell’incontro era la casa del prete, la canonica. […] Ha iniziato subito a parlare il maresciallo dei

carabinieri il quale ci ha chiesto quali erano le nostre intenzioni. Noi abbiamo risposto che eravamo

invece noi che volevamo conoscere le loro intenzioni, giacché i fascisti ci avevano aggrediti con la

complicità degli stessi carabinieri. Un’aggressione alla quale noi avevamo risposto con forza, tant’è vero

che anche gli stessi carabinieri, schieratisi al fianco dei fascisti, avevano subito alcune perdite. Allora il

maresciallo dei carabinieri ci garantì che se non li avessimo più attaccati non avrebbero più preso

posizione in relazione alla Resistenza e alla connessa battaglia politica con i fascisti. […] In questo

modo, grazie a questo accordo concluso con i carabinieri locali, abbiamo potuto andare a snidare tutti i

fascisti che, già a partire dagli anni Venti, avevano organizzato le violenze fasciste in quelle zone,

avevano fatto arrestare dei compagni e avevano perseguitato e variamente angariato le famiglie degli

antifascisti. In tal modo arrestammo molti fascisti che avevano compiuto tutti questi crimini e tutte

queste violenze. […]

«Del resto il processo popolare si svolgeva sulla base del tradizionale sistema dell’accusa e della

difesa: i fascisti venivano accusati, ma poi bisognava fornire anche la prova dei loro crimini e le prove

erano ricostruite dal coinvolgimento popolare di chi aveva memoria delle violenze compiute anche

contro chi non era più presente per accusare il proprio carnefice. In questo modo siamo riusciti a

terrorizzare tutta la zona perché i fascisti, quando iniziarono ad accorgersi che i loro camerati sparivano

a vista d’occhio dalle loro abitazioni e dai vari paesi, iniziarono a spaventarsi a morte. Dovete tener

presente che in questa azione di giustizia popolare non abbiamo dimenticato chi ha speculato e ha rubato i

beni degli antifascisti e ha incamerato proprietà che non erano sue. […] Infine riuscivamo anche a

organizzare dei comizi volanti, con i quali riuscivamo a parlare con tutta la popolazione e a informarla

116 Due volte il primo gruppo partigiano di Castelnovo attaccò la caserma di Clauzetto, per rappresaglia in conseguenza del rastrellamento ed incendio della casa di Dante Bertoli: cfr. la lettera di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, Tolosa, 27 agosto 1985, cit.

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sulla nostra lotta, sui nostri obiettivi per conquistare la libertà e la democrazia, scacciando l’occupante

tedesco e i suoi servi fascisti. Quando organizzavamo questi nostri comizi volanti i gerarchi fascisti –

che comandavano, appunto, i comuni in qualità di podestà, di segretari locali del Partito fascista e di

altre cariche analoghe – erano in genere in prima fila ad ascoltarli» 117.

La giustizia partigiana continua ad essere esercitata anche sui “liberatori”, dopo la vittoria sul

nazifascismo: «In ultima analisi l’unico “torto” che ci può essere attribuito è che dopo la Liberazione non

si poteva far più niente. In Italia vi erano sia gli americani, sia gli inglesi che hanno assunto subito il

comando in tutta la nostra penisola. Devo anche dirle che, a Spilimbergo, all’inizio, questi inglesi si

ubriacavano, ci trattavano male e ci malmenavano pure e allora noi abbiamo iniziato a farne sparire

qualcuno. Allora gli alleati hanno introdotto il coprifuoco alle otto di sera, poiché si sono resi conto che

di notte sparivano anche loro» 118.

Questo del comportamento delle truppe di occupazione - proseguita, a partire dal 1950, con la

costruzione di grandi basi come quella di Aviano 119 - è una questione occultata nella memoria storica.

Una forma di colonialismo mascherato, che ha permesso ideologicamente di assolvere i crimini delle

truppe angloamericane durante la guerra (salvo, “ovviamente”, i comportamenti delle truppe di colore,

fossero queste afroamericani o marocchini) ed in primo luogo gli estesi bombardamenti terroristici

contro la popolazione civile. Ma anche di dimenticare troppo facilmente il comportamento delle truppe

di occupazione nel dopoguerra, i cui episodi di disprezzo verso una popolazione, intesa più come

inferiore e colonizzata che come “liberata”, vengono confinati solo nella memoria familiare delle

vittime: «Lei era figlia di Giusto Zucco, un falegname che alla fine della guerra successiva, nel 1946,

sarebbe stato travolto e ucciso da un camion di soldati inglesi ubriachi mentre andava in bicicletta al

lavoro, sulla strada che da Redipuglia porta a Ronchi […]» 120. Fino a rischiare la dissolvenza: come un

analogo episodio che ha coinvolto in quegli anni la famiglia Turco di Zaule (Muggia), di cui però ci

rimane solo il cognome della vittima, Petronio.

117 Vincenzo Tonelli, Un comunista, combattente dell’antifascismo europeo, cit., pp. 39-42. Anche Bruno Steffè, La guerra di liberazione nel territorio della Provincia di Pordenone 1943-1945, cit., pp. 191-192, affronta il problema della giustizia partigiana, ma sulla base di informazioni inadeguate e del suo noto pregiudizio anticomunista. Cita un intervento di Luigi Bortolussi per riportare gli “spagnoli” alla linea politica unitaria (che però abbiamo visto, proprio grazie al suo libro, applicata dagli stessi fin dal principio). 118 Vincenzo Tonelli, Un comunista, combattente dell’antifascismo europeo, cit., p. 49. 119 Vanno ricordati gli ampi réportages di Sigfrido Cescut, apparsi sul periodico della Federazione Giovanile Comunista Pordenonese «Progetto Aperto» negli anni ’80, sui comportamenti sociali delle truppe statunitensi nella cittadina pedemontana. 120 Andrea Olivieri, Una cosa oscura, senza pregio, Roma, Alegre, 2019, pp. 135-136.

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Pluralismo nelle scelte di adesione alla Resistenza

Un movimento popolare di massa e pluralistico come quello partigiano si alimenta di tante

motivazioni, non sempre politiche, riassumibili nel pressante desiderio di porre termine all’oppressione

e di reagire al clima di violenza. Per Pietro Zanetti (testimone oculare dell’uccisione di sei partigiani

presso la stazione ferroviaria di Castelnovo) voleva dire rifiutare l’arruolamento da parte dei fascisti e

cacciare gli occupanti tedeschi, che avevano impiccato il cugino Primo ed incendiato la casa di famiglia,

con gli abitanti ancora dentro:

« ... io sono riuscito a scappare, e sono andato su a Davour La Mont, dove c'era il comando

partigiano. Mi hanno mandato in zona Andreis, non potevo restare nei dintorni, ero ricercato dai

tedeschi, lì ho fatto 6 mesi ... ho fatto l'addestramento con i partigiani, e poi ho combattuto ... prima ero

staffetta partigiana, portavo le armi a Castelnovo e Pinzano nei luoghi di raccolta, me le davano i

partigiani, gli ordini venivano sempre da Davour La Mont» 121.

Motivazioni antiautoritarie e patriottiche, che non ne escludono altre, più esplicitamente

politiche e sociali, che si incrociano con quelle dei promotori del movimento (abbiamo visto come la

verifica di Vittorio Tonelli a Davour La Mont mirasse proprio ad introdurre una valutazione in questo

senso): «Non potevamo vedere i tedeschi, e poi volevamo essere comunisti», testimonia Alberto

Dell’Agnese 122.

Ed Evandro Galante ricorda come l’arruolamento suo e del fratello come staffette della

“Garibaldi” fosse stato determinato, in una famiglia antifascista e di sinistra, dall’esempio del fratello

maggiore Cesare (classe 1925 e partigiano combattente), «comunista … però era un comunista

sfegatato» 123.

Similmente, per Egidio Cozzi «è stato naturale aderire al movimento per la liberazione, mio

padre era un socialista. Nonostante che fosse grande invalido di guerra, fu l’unica persona di Travesio

ad essere picchiata e a cui fu dato l’olio di ricino da parte dei fascisti. Anche quando andavo a scuola

mio padre mi esortava di non andare agli incontri settimanali organizzati dal partito fascista, e infatti io

non vi andavo mai. Il lunedì, quando si tornava a scuola, un maestro, fascista sfegatato, bacchettava chi

non aveva partecipato alle adunate del sabato, e quando lo vedevo entrare dalla porta, io uscivo dalla

121 Intervista a Pietro Zanetti, cit. 122 Intervista ad Alberto Dell'Agnese, cit. 123 Intervista ad Evandro Galante, 2019 (in Archivio Anpi Spilimberghese, presso Bianca Minigutti).

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finestra» 124. E’ pure una violenza del maestro fascista – forse lo stesso? – che porta al primo atto di

ribellione di Vincenzo Tonelli, figlio di un operaio emigrante non politicizzato, che abbandona la scuola

e sceglie di emigrare giovanissimo con il padre, prima tappa del suo viaggio internazionalista attraverso

l’Europa.

Le diverse componenti di un movimento partigiano faticosamente unitario non sono

automaticamente leggibili nelle appartenenze a reparti cui si aderisce per vicinanza territoriale, legami

interpersonali, talvolta per caso. Anche se va apprezzata la diversa capacità di mobilitazione ed

organizzazione delle forze politiche. Relativamente alla guerra di Spagna, dove il legame tra le Brigate

Internazionali e l’Internazionale Comunista è noto, un’analisi relativa ai 3.397 italiani rileva che di 1.449

non si conosce l’orientamento politico; cifra superiore ai 1.301 comunisti (il 38,29%, pari alla metà della

percentuale riscontrata tra il complesso delle nazionalità inquadrate nelle B.I.), seguiti da 328 anarchici

(9,6%), 224 socialisti (6,6%), 56 repubblicani (1,7%) e 39 di Giustizia e Libertà (1,2%) 125.

Acquisito che almeno una parte dei volontari internazionali di cui non si conosce l’orientamento

non facesse direttamente riferimento ad un’organizzazione politica, lo stesso ragionamento può valere a

maggior ragione per l’orientamento dei partigiani combattenti, tra i quali si trovavano moltissimi

giovani, ex combattenti dell’esercito regio oppure renitenti alla leva della Repubblica Sociale Italiana. E’

in questa chiave che va letto il rapporto dimensionale tra le diverse formazioni partigiane, soprattutto in

una regione come il Friuli Venezia Giulia, dove i movimenti partigiani erano tre (l’Osvobodilna Fronta

sloveno e la Garibaldi a guida comunista e l’Osoppo, dove confluivano sia reparti di matrice militare

autonoma che tutte le formazioni politiche non comuniste, anche di sinistra).

Per non impelagarci in polemiche politiche di bassa lega, tra posizioni antipartigiane e

nostalgiche e più sottili tentativi revisionisti di annacquare il valore antagonista del movimento

partigiano, ci rivolgiamo a quanto affermato da una fonte certamente non estremista come

l’Enciclopedia Treccani: «Le formazioni più numerose e presenti in tutto il territorio furono le Brigate

Garibaldi; seguivano le Brigate giustizia e libertà, forti soprattutto in Piemonte. Le prime avevano come

referente politico il Partito comunista, le seconde il Partito d’azione; ma questo non significa che esse

fossero composte integralmente, e talvolta nemmeno prevalentemente, da comunisti o da azionisti. Le

Brigate Matteotti facevano riferimento, in modo analogo, al Partito socialista. Importanti furono anche

le formazioni partigiane autonome, che non si riconoscevano in nessun partito e davano alla lotta un

significato soprattutto militare: le maggiori furono le divisioni alpine delle Langhe, le Fiamme verdi del

Bresciano e le divisioni Osoppo del Friuli. Cattolici e liberali trovarono spesso negli autonomi la loro

124 Egidio Cozzi, Sono stato uno dei primi, in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., p. 51 125 Pietro Ramella, I “diversi” e la Guerra di Spagna. Ebrei, negri e omosessuali nelle Brigate Internazionali, in: «l’impegno», n. 3, dicembre 2001, Istituto storico della Resistenza di Borgosesia, http://www.storiaxxisecolo.it/antifascismo/Guerraspagna17.htm.

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spalla militare. Nelle città agirono le SAP (Squadre di Azione Patriottica), che miravano ad avere un

carattere di massa, e i GAP (Gruppi di Azione Patriottica), piccoli nuclei di audacissimi combattenti,

votati alla totale clandestinità» 126. Ricordiamo che Dante Bertoli, in Lombardia, aveva combattuto con

una formazione autonoma-cattolica come le Fiamme Verdi 127.

Il vero significato della Resistenza (come dimostrarono poi molte sorprese e delusioni, dalle

elezioni per la Costituente del 1946 in poi) non è meramente militare, e men che meno una specie di

sanguinoso “sondaggio” sulle opinioni politiche degli italiani e delle italiane. E’ soprattutto un

significato civile, di educazione e realizzazione pratica nella lotta, della ricostruzione di un protagonismo

democratico, dopo sessant’anni di democrazia oligarchica liberale che teneva ai margini le masse

popolari e vent’anni di dittatura che le aveva escluse radicalmente. Contro le catastrofi della guerra, con

la Resistenza rinasce una vita politica e sociale pluralistica.

Non solo staffette: le partigiane

Ricorda Alberto Dell’Agnese: « ... qui a Castelnovo la gente era con noi, i tedeschi

ammazzavano tutti, bruciavano le case, anche chi non c'entrava, le staffette ci avvisavano sempre, erano

giovani, correvano più dei tedeschi ... non c'era pietà neanche per loro, sai quanti ne hanno portati nei

campi ... ». Era il destino – comune a tante donne ed a tanti ragazzi – che portò all’impiccagione i

giovani Gianni Massina e Primo Zanetti, ed i gemelli Varinio ed Evandro Galante da Celante al lager di

Buchenwald 128.

Più in generale le donne dimostrano appartenenza al movimento partigiano costituendo una

diffusa rete di collegamento con i reparti: « ... erano brave le donne di Castelnovo, hanno tanto aiutato i

partigiani, no come da altre parti ... mettevano le lenzuola “su la mont” per avvisare che c'erano i

tedeschi, poi le toglievano quando andavano via ... » 129.

Parlare di guerra, anche se di Liberazione, rischia di far parlare solo degli uomini. Ma sarebbe

una visione a senso unico di un movimento che ha visto un protagonismo, forse per la prima volta in

termini così massicci, dei ceti subalterni, e delle donne in primo luogo.

126 http://www.treccani.it/enciclopedia/resistenza_res-f6256dce-e1f1-11df-9962-d5ce3506d72e/. 127 https://www.anpi.it/storia/189/fiamme-verdi. 128 Testimonianza telefonica di Varinio ed Evandro Galante (a Torino) a Bianca Minigutti, s.d. [2016]; intervista ad Evandro Galante, 2019, cit. 129 Intervista ad Alberto Dell'Agnese, cit.

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Più che altrove, nell’esperienza dello Spilimberghese emerge il loro protagonismo130. Questo

movimento di liberazione di genere, oltre che nazionale, che sfocerà nel 1946 nell’acquisizione del

diritto di voto alle elezioni e nei cambiamenti sociali del dopoguerra, è solitamente confinato nei campi

della generica solidarietà umanitaria, dell’approvvigionamento di generi di sussistenza e dell’assistenza

sanitaria oppure nel ruolo sottovalutato – mentre era importantissimo ed assai pericoloso - di staffette.

Innanzitutto, donne e uomini condividono una vita durissima, che per gli antifascisti è ancora

più estrema in termini di sacrifici. Lunghi anni di sofferenze, di lavoro in condizioni difficili

nell’emigrazione, sommate alle fatiche della cospirazione e della guerriglia, logorano i protagonisti, che

spesso appaiono precocemente invecchiati, come rivelano le testimonianze su Virginia Tonelli, Regina

Franceschino ed anche quelle su Tina Modotti dopo la sua uscita dalla Spagna, dove ha lavorato alla

direzione del Soccorso Rosso Internazionale.

Un destino di logoramento che non è solo femminile. Solo alcuni esempi: Vittorio Tonelli, che

muore sessantattreenne nel 1971, «dopo tanta lotta, ormai cagionevole di salute, dovè di nuovo

emigrare. Andò a lavorare fino al limite delle sue forze» 131. E Luigi Bortolussi, che muore

quarantaquattrenne di tubercolosi nel 1946, e la curia udinese impone pure al parroco di Lestans di

negargli i funerali religiosi 132. O Vittorio Cao “Biella”, comandante alla Liberazione della Brigata

Garibaldi “Ippolito Nievo”, che muore nel 1956 in Lussemburgo in un incidente di miniera 133. Oppure

ancora Eugenio, l’unico sopravvissuto dei tre fratelli Vedova - Vittorio, caduto durante l’offensiva

repubblicana dell’Ebro nel 1938 e Luigi, morto nel campo di concentramento in Germania - che muore

quarantaquattrenne nel 1948 134.

La Resistenza delle donne assume caratteri assai complessi e generali, e testimonia il

protagonismo di quella metà della popolazione che il fascismo non solo aveva continuato a

discriminare, ma aveva cercato deliberatamente di ricacciare in una condizione disumana di

sfruttamento riproduttivo.

Secondo la testimonianza di Maria De Michiel “Lidiana”, si camminava più di notte che di

giorno, per recuperare i lanci e portare nelle gerle armi e munizioni, anche quelle delle armi pesanti. E

poi si facevano lunghi percorsi in bicicletta fino ai paesi della pianura, magari per portare alle famiglie la

130 Ernestina Negro De Caneva, Le donne spilimberghesi nella Resistenza, in: La Resistenza spilimberghese nel trentennale della Liberazione, supplemento de: «Il Barbacian», a. XII, n. 2, dicembre 1975, riprodotto in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., pp. 133-135 e http://www.storiastoriepn.it/la-resistenza-spilimberghese-nel-trentennale-della-liberazione-in-un-inserto-de-il-barbacian/. 131 Mario Lizzero, Virginia Tonelli “Luisa” partigiana, cit., p. 16. 132 Mario Lizzero, Luigi Bortolussi "Marco", cit.; «Lotta e lavoro», a. II, n. 54 di domenica 20 ottobre 1946, p. 1, La salma di Luigi Bortolussi riceve il commosso estremo saluto del popolo Friulano. Le onoranze funebri a Udine-Spilimbergo e Lestans e 55 di domenica 27 ottobre 1946, p. 1, I funerali di Bortolussi. Risposta a “Vita Cattolica”. 133 Marco Puppini, In Spagna per la libertà, cit., pp. 140-141. 134 Aicvas, La Spagna nel nostro cuore 1936-1939. Tre anni di storia da non dimenticare, cit.; Marco Puppini, In Spagna per la libertà, cit.

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notizia della morte dei loro figli. E si combatteva, come gli uomini: come lei, cui era affidata la

mitragliatrice, perché più brava degli uomini ad utilizzarla, e che ancora anni dopo lo rinfacciava ai suoi

compagni di un tempo 135.

Si correvano gli stessi rischi degli uomini, anzi talvolta – come nel caso della fuga del marito

Dante Bertoli, dopo la scoperta delle armi nascoste in casa – se ne prende il posto in carcere, anche se

si è incinte e ci si deve arrangiare a partorire durante la detenzione. Per poi, dopo essere stata liberata,

darsi alla clandestinità in montagna 136.

Le donne non solo partecipano anche direttamente alla lotta armata, ma assumono, qui più

direttamente che altrove, ruoli direttivi di primissimo piano. Innanzitutto Virginia Tonelli, la partigiana

più nota di Davour La Mont. Che emigra fin da giovane nel tentativo di sfuggire al ruolo di casalinga e

contadina, cercando di diventare infermiera – è la stessa strada di emancipazione che condividerà con

altre partigiane, come Iole De Cillia, Fidalma Garosi, Maria Antonietta Moro 137 - e finendo, in Francia,

per diventare “basista” del Pcd’i clandestino a Tolone, conoscendo gran parte del gruppo dirigente del

partito. Di lavoro fa la donna di servizio – come diciamo noi oggi, alternativamente all’ipocrita colf:

allora e fino a poco tempo fa si sarebbe senz’altro detto serva - ed intanto organizza la solidarietà con i

combattenti di Spagna, tra cui c’è il marito, un operaio comunista padovano. Finché ad un certo punto,

quando scoppia la guerra mondiale ed i comunisti vengono messi al bando dal governo francese,

Virginia Tonelli passa al lavoro a tempo pieno per il partito, diventando un “fenicottero”, cioè un

corriere, costruendo i contatti tra quello che resta dell’organizzazione e partecipando alle attività della

Resistenza francese.

Un modo di intendere il lavoro politico ormai desueto, in questi tempi nostri in cui c’è

un’emergenza chiamata “costi della politica” e fare quell’attività a tempo pieno significa essere un

privilegiato. A quei tempi, e con l’aggravante della clandestinità, fare la funzionaria di partito voleva

dire, per avere un reddito minimo, anche fare la lavandaia, la sarta, la pulitrice e – anche in un apparato

segreto – la divisione dei ruoli tra lavoratori intellettuali e manuali era tale da poter far preferire, ad una

funzionaria del Pcd’i, l’abbandono della politica (e dei geloni alle mani costantemente nell’acqua gelida)

ed il ritorno in stabilimento, a fare la tessitrice, come fece la pordenonese Ida Brusadin 138.

Rientrata in Italia nel 1942, Virginia Tonelli inizia ad organizzare l’opposizione a Castelnovo, a

partire dalle donne, fino a promuovere una manifestazione che nel 1943 occupa – nuovamente, come

135 Intervento al convegno organizzato dal Circolo Arci “Virginia Tonelli”, Villa Sulis, 10 novembre 2002 (la parte relativa alla mitragliatrice, purtroppo, non è stata registrata). 136 Dante Bertoli “Sandro” e Vanda Cesca Bertoli “Milena”, intervista a Castelnovo del Friuli, cit.; Vanda Cesca, La moglie del partigiano, in: Renzo Peressini, Il sole tramonta a mezzanotte, cit., pp. 27-31. 137 Lorena Fornasir, Nataša-Anna. Da partigiana di Tito a partigiana garibaldina, in: La storia le storie. Centenario della Casa del Popolo di Torre 1911-2011, Pordenone, Associazione Casa del Popolo di Torre, 2011, pp. 121-154; Mario Antonietta Moro, Tutte le anime del mio corpo. Diario di una giovane partigiana (1943-1945), Roma, Iacobelli, 2014. 138 http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/oliva-ernesto/.

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avevano fatto i disoccupati esattamente dieci anni prima – il municipio di Castelnovo. E’ lei al centro

dell’organizzazione politica: «In quel periodo Virginia tenne numerosi incontri, conversazioni politiche,

piccole assemblee, nella sua casa. Numerosi compagni passarono per quella casa; molte volte essi

restavano a discutere con Virginia durante tutta la notte» 139.

Scoppiata la lotta partigiana, Virginia Tonelli diventa agente di collegamento tra la Garibaldi

Friuli ed i centri dirigenti del Pci e del movimento resistenziale, ad Udine, Trieste, nel Veneto, a Milano.

Si tratta di un’attività di cui incrocia i percorsi delle compagne di lotta, fino all’arresto a Trieste ed alla

morte alla Risiera di San Sabba nel settembre 1944. Prima di morire, nonostante le torture, non fa

alcuna rivelazione sui suoi importantissimi contatti 140.

Virginia Tonell non è sola: nei paesi vicini ci sono altre importanti esponenti dell’antifascismo.

E’ di Forgaria Regina Franceschino, che aveva fatto parte dell’ultimo Centro interno del Pci, quello

individuato dall’Ovra nel 1939, e che nel 1944 diviene la responsabile friulana dei Gruppi di Difesa della

Donna, l’organizzazione unitaria della Resistenza femminile 141. Originaria di Lestans è Natalia

Beltrame, coinvolta nel processo all’organizzazione clandestina del Pci friulano del 1934, che nel 1945

sarà la prima segretaria provinciale dell’Unione Donne Italiane, erede dei Gdd 142.

Sarebbe però sbagliato fermarsi a questi, pur rilevanti, esempi di militanti politiche di primo

piano. Ci sono episodi di protagonismo individuale che rappresentano plastici esempi di “eroismo

quotidiano”: come l’intervento a favore dei sei imprigionati di Davour La Mont della loro parente Luisa

Zannier, che si reca, fiera della sua conoscenza della lingua tedesca, dal maggiore delle SS di Travesio

per reclamare temerariamente – ed ottenere - la loro liberazione, non temendo di strattonare

fisicamente l’ufficiale in pubblico, di fronte ai suoi sottoposti 143.

Un altro episodio di protagonismo femminile, accaduto nell’immediato secondo dopoguerra e

contrastante con la tradizionale immagine di subalternità delle donne friulane all’egemonia dei sacerdoti

cattolici, è stato raccolto da Bianca Minigutti: «Il parroco di Paludea (sempre quello che "rossi nacquero

e rossi restarono") annuncia che la Processione del Venerdì Santo, itinerante per le borgate di

139 Testimonianza di Antonio Tonelli, in: Mario Lizzero, Virginia Tonelli “Luisa” partigiana, cit., pp. 26-27. Conferma del suo ruolo di orientamento per i giovani partigiani in: Dante Bertoli “Sandro” e Vanda Cesca Bertoli “Milena”, intervista a Castelnovo del Friuli, cit. 140 Mario Lizzero, Virginia Tonelli “Luisa” partigiana, cit.; Ines Domenicali, «Oscura parlò, convinse, lottò». Virginia Tonelli medaglia d’oro della Resistenza friulana, Padova, Il Poligrafo, 2000. Testimonianze in: Luigi Tessitori, I ricordi di Giulia. La storia di Rosa Cantoni, Udine, Università delle Liberetà, 1995; conferenza di Rosa Cantoni (a cura di Luigi Vidal) a Villa Sulis, Castelnovo del Friuli, 8 dicembre 2005 (copia presso l’autore); Lorena Fornasir, Nataša-Anna. Da partigiana di Tito a partigiana garibaldina, cit., pp. 145-146. Cfr. inoltre http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/tonelli-virginia/. 141 Ines Domenicali, Regina Franceschino “Irma”, in: «Storia Contemporanea in Friuli», a. XXV, n. 26, 1995, pp. 201-203. 142 Gian Luigi Bettoli, A dispetto della dittatura fascista. La lunga resistenza di un movimento operaio di frontiera: il Friuli dal primo al secondo dopoguerra, Osoppo, Olmis, 2019, pp. 254-255; Commissione regionale per le pari opportunità del Friuli Venezia Giulia, L’associazionismo femminile tra Ottocento e Novecento. Storia nazionale e storia regionale, Trieste, 2017, https://www.consiglio.regione.fvg.it/export/sites/consiglio/pagine/commissione-pari-opportunita/.allegati_crpo/Memoria.PDF. 143 Rino Tonelli, Ricordi, cit.

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Castelnovo, non passerà per Davour La Mont, che "lì non serve, tanto sono tutti atei comunisti".

«Le donne di Davour La Mont non la prendono proprio bene, e si dotano di un sacco di quei

lumini rossi che di solito illuminano il cammino della processione dai davanzali e dai portoni delle case.

Compongono con gli stessi una enorme falce e martello sul crinale della collina, allora a pascolo e dopo

averlo debitamente sfalciato. La falce e martello accesa e rossa si vedrà in tutta la vallata durante tutta la

processione.

«[…] la storia è verissima e c'è ancora chi la ricorda e chi l'ha vista. Stavo raccontandola a

Bertolini scendendo la scalinata, e una signora di Castelnovo (qualche anno più di me ma non troppo)

che nel mentre dal canto suo saliva evidentemente aveva sentito il racconto, ce lo ha riconfermato in

diretta. Io non sapevo di che processione si fosse trattato, lei me l'ha indicata proprio come quella del

Venerdì Santo» 144.

Il messaggio dei partigiani oggi, stretti tra il pensiero unico neoliberale

della “fine della storia” ed il neofascismo

Accade spesso di sentirsi rinfacciare giudizi riduttivi sulla Resistenza: quando non è sbagliata -

perfino in qualche pubblicazione resistenziale nostrana è accaduto di leggere che «Tutti credevamo in

un’Italia migliore, persino coloro che, più politicizzati di tutti, i comunisti, sognavano un cambiamento

secondo i canoni della rivoluzione che in Unione Sovietica avevano dato vita a un regime rivelatosi

negli anni non diverso dagli altri sistemi totalitari del secolo» 145 - è inutile: tanto c’erano i “liberatori”

angloamericani.

Nessuno vuole negare il grande, enorme, sforzo bellico delle potenze delle Nazioni Unite (ad

iniziare dall’Unione Sovietica, che da sola fornì un sacrificio umano pari a metà delle vittime dell’intera

guerra mondiale). La questione è un’altra, e consiste nella risposta a questa domanda: cosa sarebbe

successo all’Italia se, come in Germania, non si fosse organizzato un movimento partigiano di massa,

che combattesse una guerra parallela a quella degli eserciti anglosassoni che risalivano la penisola?

Da sempre sono noti due dati storici: quello che è successo dopo Caporetto al Friuli ed al

Veneto orientale, passati da retrovia della prima guerra mondiale a territorio di attraversamento di due

offensive contrapposte (una del “nostro” esercito): non rimase in piedi nulla, la regione fu desertificata.

144 Bianca Minigutti, email dell’1 ottobre 2019. 145 Arturo Zambon, Prefazione a: Sigfrido Cescut, Partigiani fra Collio, Armentaria e Melmose, cit., p. 7.

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Viceversa, la fine della seconda guerra mondiale vide il patrimonio industriale italiano quasi interamente

preservato, grazie all’azione specifica del movimento partigiano, ed in particolare delle Sap, destinate

alla difesa degli stabilimenti.

Ed i confini nazionali, concupiti da tutte le potenze confinanti e – la Sicilia – perfino dagli Stati

Uniti d’America, furono meglio difesi dal sangue dei partigiani combattenti, che da qualsiasi

nazionalista, come sintetizzò magistralmente il presidente del consiglio Alcide De Gasperi alla

conferenza di pace di Parigi del 1947: «Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto,

tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa

ritenere un imputato, l'essere arrivato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro

conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione.

« [...] Ho il dovere innanzi alla coscienza del mio paese e per difendere la vitalità del mio popolo

di parlare come italiano, ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico

antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le sue aspirazioni

umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze

internazionalistiche dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi

cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire».

Ma sono i dati macroscopici a dire quale destino il movimento partigiano abbia risparmiato al

nostro paese, evitando una guerra totale combattuta con armi di distruzione di massa, quali i

bombardamenti terroristici, che hanno ridotto invece gran parte della Germania ad un mucchio di

rovine:

Germania Italia

Vittime civili 2.100.000 153.000

% sulla popolazione 146 3% 0,3 %

Profughi dai territori perduti 14.000.000 su 90.000.000 300.000 su 45.500.000

% sulla popolazione 147 15,55% 0,65% 148

Che dire, oggi che ci troviamo a commemorare il movimento partigiano sorto a Davour La

Mont a dieci giorni esatti dal voto semiclandestino di un Parlamento Europeo formato da ignoranti

settari (ivi compresi quasi tutti i parlamentari italiani, con l’eccezione di due isolati deputati del Pd e del

146 https://it.wikipedia.org/wiki/Conteggio_delle_vittime_della_seconda_guerra_mondiale_per_nazione 147 https://it.wikipedia.org/wiki/Espulsione_dei_tedeschi_dopo_la_seconda_guerra_mondiale e https://it.wikipedia.org/wiki/Germania_nazista 148 Se la percentuale tedesca di profughi fosse stata applicata all'Italia, ci sarebbero stati più di 7 milioni di profughi!

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gruppo del M5s) 149 ?

A parte la facile previsione che la poca pubblicità concessa all’evento sia preliminare

all’introduzione in sordina di un’ulteriore data celebrativa dei fasti del pensiero unico neoliberale e della

sua pretesa “fine della storia” – come quella “giornata del ricordo” del 10 febbraio, data del trattato di

pace del 1947, che in Italia è servita per anestetizzare la “giornata della memoria” del 27 gennaio, data

della liberazione del lager di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa - appare inaccettabile che la massima

(solo teoricamente, visto che è ancora un parlamento di ancien régime, subalterno al potere esecutivo)

istituzione europea parifichi comunismo e nazismo, e riduca il regime fascista italiano, quello per il

quale è stata coniata la definizione di totalitarismo, al rango minore di «altri regimi» (Considerando M3).

Più in generale, il paragone è storicamente non solo osceno, ma di basso livello, così come

evidente l’utilizzo distorto di giudizi storici per operazioni di scontro politico con paesi come la Russia.

Ai parlamentari europei (non solo a qualche ex comunista che si è dichiarato esso stesso criminale,

senza rendersi conto della contraddizione logica in cui è caduto, personificando così l’antico “paradosso

di Epimenide, o del mentitore”) vorremmo ricordare che, prima di scrivere documenti come quello

citato, l’Europa dovrebbe chiedere scusa per i crimini del colonialismo e dello schiavismo, per due

guerre mondiali che hanno insanguinato il Novecento, e per le responsabilità dei cosiddetti stati

democratici nell’aver ammirato, finché non fu troppo tardi, il regime fascista instaurato da Mussolini,

abbandonando poi paesi sovrani come l’Etiopia e la Spagna all’aggressione fascista. A chi ricorda la

vergogna del patto Molotov-Ribbentrop del 1939, vogliamo ricordare il patto del 1938 tra Germania,

Italia, Francia e Gran Bretagna che abbondonava ai nazisti Cecoslovacchia ed Austria.

Che direbbero oggi, i nostri partigiani?

Vincenzo Tonelli è morto dieci anni fa, a 93 anni, dopo una vita di lavoro e di militanza politica,

amareggiato ma non pentito. Andando alle radici della sua fede comunista ed antifascista, rifletteva a

proposito del rovinoso crollo del blocco sovietico nel 1989, a proposito delle responsabilità di quei

dirigenti di partito che avevano a lungo ingannato i militanti sulla realtà di “oltre cortina”:

«Del resto mi sono anche detto: se i nostri dirigenti ci hanno ingannato e ci hanno tradito io

non ho però molto da rimproverarmi, perché nel corso della mia vita non ho mai ingannato e tradito,

ho sempre fatto il mio dovere e sono sempre rimasto coerente con le mie scelte in difesa della libertà e

la democrazia per tutto il popolo e per tutti i popoli, contro ogni oppressione e ogni dittatura» 150

Il ragazzo che aveva dovuto diventare rapidamente muratore professionale per non essere

149 http://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2019-0021_IT.html. 150 Vincenzo Tonelli, Un comunista, combattente dell’antifascismo europeo, cit., p. 50.

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rinviato in Italia o morire di fame in Francia 151; l’emigrante clandestino che aveva provato sulla sua

pelle le reazioni dei residenti e le persecuzioni poliziesche; l’operaio divenuto capo cantiere senza mai

rinunciare – a costo di farlo da solo – ad uno sciopero; il presidente dell’associazione “Les

Garibaldiens” di Tolosa e promotore della salvaguardia del sito del Campo di concentramento di

Vernet d’Ariège 152, ci ha lasciato infine un messaggio attualissimo, valido più che mai in quest’epoca

dove la generalizzata conversione delle forze democratiche al neoliberismo più classista ha consegnato

fette insperate di disagio delle classi subalterne prive di rappresentanza alla destra neofascista e razzista,

di nuovo offrendo il facile capro espiatorio della rivalsa su chi è più povero:

«Mi ricordo che questi impresari, che assumevano questi italiani, venivano in mezzo a noi, ci

osservavano e poi toccavano i lavoratori per vedere se erano abbastanza muscolosi, forti e sani. Era una

cosa incredibile e veramente terribile: eravamo trattati come gli schiavi di un tempo o i cavalli, cui si

controllavano i muscoli e la dentatura» 153.

«Oggi mi pare che molti sembrano pensare esclusivamente alla propria libertà e ai propri beni:

vi è molto individualismo. Certamente hanno anche ragione, tuttavia non bisogna neppure cadere nel

nostro errore o in quello delle generazioni che ci hanno immediatamente preceduto, perché il nemico

fascista è sempre là, dietro alla porta, pronto a rinascere, più forte e pericoloso di prima 154. Quella porta

non va aperta, occorre sempre stare in guardia per non ricadere negli errori in cui siamo caduti noi.

Soprattutto, bisogna evitare che vi siano nuove guerre: bisogna rinforzare l’Europa nella democrazia e

nella pace, sapendo che la pace e la democrazia sono sempre strettamente legate. Naturalmente non

151 A Tolosa, dopo che il padre era ritornato in Italia, Tonelli era riuscito a farsi assumere come muratore, a dispetto della giovane età, dall’impresario friulano Angelo Polacco, con il quale ritornerà a lavorare, dopo i suoi periodi di combattente antifascista. Negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, Polacco era stato esponente di primo piano della sinistra socialista e poi comunista, e prima di emigrare per le persecuzioni subite in Italia, segretario provinciale del Pcd’i di Udine nel 1922: cfr. Gian Luigi Bettoli, Una terra amara. Il Friuli occidentale dalla fine dell’Ottocento alla dittatura fascista, Udine, Ifsml, 2003, ad indicem e Gabriele Donato, Sovversivi. Cospirazione comunista e ceti subalterni in Friuli fra le due guerre, Udine, Ifsml, 2008, p. 277. Interrogato al proposito, Vincenzo Tonelli ha ammesso di non avere mai saputo nulla del passato politico del suo datore di lavoro: cfr. intervista a Tolosa, cit. 152 Tonelli cercò continuamente, con risultati non sempre soddisfacenti, di acquisire documentazione sulla Resistenza friulana, tramite Mario Lizzero e l’Anpi di Udine e quello nazionale, con il proposito iniziale di realizzare una mostra a Tolosa e la volontà di tenersi aggiornato sugli studi (ad esempio commenta il libro di Lizzero su Luigi Bortolussi, che è stato suo compagno nella lotta partigiana, e chiede copia del libro di Marco Puppini sui friulani e giuliani che hanno combattuto per la repubblica spagnola). Nel carteggio, che contiene anche argomentazioni di tipo personale (pensione; ricostruzione dell’abitazione dopo il terremoto) sono presenti sia frequenti ricordi biografici, che informazioni sull’attività dell’associazione Les Garibaldiens, come le celebrazioni del 25 aprile a Tolosa ed altre riunioni di reduci partigiani ed internazionalisti. Cfr. la corrispondenza ad iniziare dalla lettera del 9 ottobre 1975 di Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, in Archivio Ifsml, fondo Mario Lizzero, busta 7, fascicolo 51, cit. 153 Ivi, p. 95. 154 «Ti mando un comunicato alla posizione presa dal consiglio dipartimentale della resistenza al mio riguardo che nella notte

dal 8 al 9 marzo ànno dipinto alla mia casa la croce (nazista) gli insulti e le provocazioni sono sempre d’actualità». «Embrèmes nazis. On nous communique: Le conseil départemental de la Résistence, réuni le mardi 10 mars, en séance extraordinarie, dénonce les agissements d’élements fascistes qui ont souillé, par del emblèmes nazis, le domicile de Vincent Tonelli, résistant de la première heure. Le conseil, à l’unanimité, se déclare entièrement solidaire de cet authentique

combattant de la liberté et dénonce le renouveau scandaleux de ces nostalgiques du régime fasciste». Cfr. la lettera di

Vincenzo Tonelli a Mario Lizzero, Tolosa, 16 marzo 1987 e ritaglio de «La Dépèche» dell’11 marzo 1987 allegato, in Archivio Ifsml, cit.

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parlo di una democrazia “sporca” come quelle che vi è oggi in Austria e che, per altre ragioni, rischia di

avere anche l’Italia, nella quale vi sono passaggi non molto chiari e trasparenti» 155.

Davour La Mont (Castelnovo del Friuli, Pn), 29 settembre 2019.

Gian Luigi Bettoli

155 Ivi., pp. 101-102.