Davide Dario Levi · 2015. 1. 27. · Noi stavamo via da casa, nella casa dove eravamo andati sono...

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Vogliamo sapere, se non siamo troppo indiscreti, in che anno è nata? Il 29 agosto 1920. Quindi ha compiuto 90 anni. Certo, e vado per i 91. E se li porta anche molto bene. Eh, una cosa… Senta, ma ha una storia molto importante e interessante da raccontare a proposito di suo padre.. Suo padre come si chiamava? Davide Dario, ma lo chiamavano sempre Dario.Era nato a Roma il 16 settembre del 1880. Ed era sposato con… Eugenia Esdra, romana pure lei . Da questo matrimonio quanti figli sono nati? Tre. Rosina, Benedetto e Emilia, la più vecchia ancora c’è. Lei era la maggiore dei tre figli. Dove vivevate? La casa dove è nata… Corso Vittorio Emanuele 119, un palazzo stupendo, meraviglioso, fatto da un certo Ingegnere Ta- gliacozzo che era nostro parente. Sfortunatamente nel 1936 il Duce ci ha fatto il bel regalo di but- tarlo giù. Le porte di questo palazzo, lo ha scoperto una mia zia, le hanno messe in Via Nazionale angolo Via Napoli. Lo scoprì mia zia che abitava da quelle parti. Quindi il palazzo non c’è più… Non c’è più. Era proprio…sa la chiesa di Sant’Andrea, c’è la fontana, là c’eravamo noi. Ho capito. Fotografie non ne avete? Forse c’era pure una fotografia, mi pare, di Corso Vittorio, ma allora non si usava tanto come oggi. Naturalmente. Senta, e poi, dopo, dove siete andati ad abitare? A via delle Zoccolette 11. Mi descrive la casa dove abitavate? Era una casa grande? Quella di Corso Vittorio era stupenda, era stata costruita da uno zio di mia madre che aveva preso la laurea a Pisa. (*) Rosina Levi Bonfiglioli, figlia, nata a Roma il 29 agosto 1920. 7 Dal Cerimoniale allOpera, poi il nulla Davide Dario Levi nei ricordi di Rosina Levi Bonglioli (*)

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  • Vogliamo sapere, se non siamo troppo indiscreti, in che anno è nata?Il 29 agosto 1920.Quindi ha compiuto 90 anni.Certo, e vado per i 91.E se li porta anche molto bene.Eh, una cosa…Senta, ma ha una storia molto importante e interessante da raccontare a proposito di suo padre.. Suopadre come si chiamava?Davide Dario, ma lo chiamavano sempre Dario.Era nato a Roma il 16 settembre del 1880.Ed era sposato con……Eugenia Esdra, romana pure lei. Da questo matrimonio quanti figli sono nati?Tre. Rosina, Benedetto e Emilia, la più vecchia ancora c’è.Lei era la maggiore dei tre figli. Dove vivevate? La casa dove è nata…Corso Vittorio Emanuele 119, un palazzo stupendo, meraviglioso, fatto da un certo Ingegnere Ta-gliacozzo che era nostro parente. Sfortunatamente nel 1936 il Duce ci ha fatto il bel regalo di but-tarlo giù. Le porte di questo palazzo, lo ha scoperto una mia zia, le hanno messe in Via Nazionaleangolo Via Napoli. Lo scoprì mia zia che abitava da quelle parti.Quindi il palazzo non c’è più…Non c’è più. Era proprio…sa la chiesa di Sant’Andrea, c’è la fontana, là c’eravamo noi.Ho capito. Fotografie non ne avete?Forse c’era pure una fotografia, mi pare, di Corso Vittorio, ma allora non si usava tanto come oggi.Naturalmente. Senta, e poi, dopo, dove siete andati ad abitare?A via delle Zoccolette 11.Mi descrive la casa dove abitavate? Era una casa grande?Quella di Corso Vittorio era stupenda, era stata costruita da uno zio di mia madre che aveva presola laurea a Pisa.

    (*) Rosina Levi Bonfiglioli, figlia, nata a Roma il 29 agosto 1920.

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    Dal Cerimoniale all’Opera, poi il nulla

    Davide Dario Levinei ricordi di Rosina Levi Bonfiglioli (*)

  • Perché siete andati a vivere in Via delle Zoccolette?Perché il Duce ci ha cacciato via. Ma questa casa era altrettanto bella?Bella, bella, un palazzo meravigliosoSì, davvero?Ho capito. Quindi abitavate in belle case……bellissime……vuol dire che suo papà faceva un lavoro importanteSì, aveva un lavoro importante al Comune però poi,quando è stato disoccupato, viveva a Villa Sciarra e alGianicolo.Intanto incominciamo a parlare di quando era occupato.Che tipo di lavoro faceva suo papà al Comune?Guardi, io .temo che il lavoro…so solo che usciva la mat-tina. Veniva per il pranzo, e scappava. Poi, dal suo ufficioebbe un incarico dal Teatro dell’Opera.Aspetti, non andiamo di corsa. Io, dai mio appunti, so chesuo padre all’epoca del fascismo era il capo del cerimonialedel Governatore di Roma.Potenziani…(Ludovico Spada VeralliPotenziani, Gover-natore di Roma dal 1926 al 1928,n.d.i). Quindi immagino che abbia incontrato tutte le persone più importanti dell’epoca.Tutte.Infatti mi pare ci sia una serie di fotografie straordinarie, in cui suo papà è insieme….Mi racconti unpo’…Il Duce….forse anche quegli altri…

    Mi pare di averlo visto con i Reali, vero?. Nelle cerimonie ufficiali era sempre in prima …E poi ci sono queste due belle fotografie incorniciate, con il principe Umberto e Maria José.di Savoia…Quelle erano le bomboniere dei reali, a mio padre le hanno regalate.Ma suo padre non è andato al matrimonio?Non so, lei mi fa domande da 150.000 dollari…Senta, però tra le foto che poi consulteremo insieme con calma……però papà ci è andato…per avere la bomboniera…Ho visto che c’è anche una foto, più foto, della cerimonia civile del matrimoniodi Edda Ciano (nata Mussolini, n.d.i.), e suo papà era accanto a loro, ha fatto gli onori di casa.Può essere. Io mi ricordo ‘sto matrimonio di Edda Ciano, ma avevo 10 anni perché ha sposato nel‘30, perciò…Mi ricordo le fotografie, mi ricordo che papà ci andò, più di questo…Suo papà mi pare che la portasse dappertutto, è vero?Sì, anche perché ero la più grande e allora..C’è una foto a Ostia, per l’inaugurazione del……dell’Idroscalo di Ostia.Quindi lei ha conosciuto personalmente personaggi importanti, no?Insomma, ero una ragazzina, non è che mi davano molta importanza. Però papà mi portava molto.

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    Davide Dario Levi ritratto durante una festa.

  • Ho capito. Senta, dove andavate…ho visto una fotografia sua con i suoi fratelli, che andavate……a Santa Marinella, siamo vissuti ….siamo andati la prima volta a Santa Marinella nel 1925, ancoraci vado, perciò…Quindi le foto in un giardino sono in una Villa qua vicino. Qual’era il posto dove andavate a passeggiare?Beh, guardi, molto a Villa Sciarra che era sotto casa. C’era il famoso 29 che portava sotto a VillaSciarra, però mamma la domenica ci portava pure a Villa Borghese, c’era il tram, un autobus cheda Via delle Zoccolette portava al Galoppatoio. Allora qualche volta la domenica mattina ci portavae incontrava tutta Roma. Perché al Galoppatoio, alla domenica mattina, tutta la Roma….…quindi diciamo che la famiglia di suo papà è andata avanti tranquillamente, benissimo…… fino al 1938.Aspetti… mi pare che nel 1928 sia successo qualcosa a suo papà.Beh, da un posto importante dissero che un levita non poteva stare.E non a caso, di lì a qualche mese sarebbe stato stretto il Concordato tra lo Stato e la Chiesa. E quindi,probabilmente, un Levi….Papà ha avuto un posto molto buono, e mi ci ha portato.Così lei ha assistito alla firma del Concordato?Assistito per modo di dire, perché ha avuto una finestra a Piazza San Pietro. Abbiamo visto il Duce,abbiamo visto questo, però…Quindi, nel 1928 suo papà è stato sol-levato dal suo incarico molto presti-gioso di capo del cerimoniale……un levita non poteva stare in unposto così in vista.E dove è stato mandato a lavorare?È andato benissimo, perché è andatoalla Decima Ripartizione, che c’eracome capo il Professor Mugnoz chelo aveva conosciuto e che gli volevamolto bene,. tanto che tutte le frega-ture che c’erano, importanti, le davaa mio padre (ride).Però aveva anche un altro incarico, suopadre, mi pare.All’Opera.E che faceva all’Opera?All’Opera l’avevano fatto …lavorava sempre per il Comune…all’Opera l’avevano fatto direttoredell’Ufficio Abbonamenti.A questo punto, mi pare che essere direttore dell’Ufficio Abbonamenti aveva entusiasmato gli ebrei ro-mani, che frequentavano l’Opera. Perché frequentavano l’Opera, gli ebrei romani?Perché quando papà ci aveva i biglietti, li dava…il cioccolataio era un gran cliente…quando ci avevai biglietti li dava.Infatti ancora adesso gli ebrei romani adorano l’Opera, credo che il merito sia di suo papà, no?Papà era una persona molto benvoluta, non era una persona che si dava arie, era una persona molto

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    Davide Dario Levi con la figlia maggiore Rosina.

  • cordiale…Ho capito. Senta, poi è venuta labotta terribile del 1938…Quella è stata una botta…unuomo che lavorava dalla mattinaalla sera, con un piacere…gli pia-ceva, non è che lo faceva tantocosì…..rimanere disoccupato, an-dare a Villa Sciarra e al Gianicoloè stato duro.Quindi noi abbiamo il documentoin base al quale suo padre è solle-vato dal lavoro. .A voi come lo haraccontato, se lo ricorda?Beh, insomma…Lei aveva 18 anni…A 18 anni già capisci…Non si ricorda…Tragico, tragico, perché un uomo così, che usciva la mattina e tornava alla sera, veniva solo a pranzo,trovarsi disoccupato…Io so che, in genere, gli ebrei che si sono trovati senza lavoro all’improvviso, hanno trovato qualche lavoro…No, no, neanche ci ha provato. Forse era talmente affezionato al suo posto, al suo lavoro, che nonci ha neanche provato.Quindi, diciamo che fino all’occupazione……andavamo a Villa Sciarra, al Gianicolo…uno che lavorava dalla mattina alla sera..Poi, quando sono entrati i tedeschi dopo l’ 8 settembre del ‘43 …mi racconti i suoi ricordi del 16 ottobredel 1943.Oh, stavamo a casa. Noi stavamo via da casa, nella casa dove eravamo andati sono arrivati i figli ela sorella e il fratello del padrone di casa, che uno stava ad Anzio, e la figlia stava sopra Civitavec-chia…sono venuti dalla madre e dal padre. Allora siamo andati a casa nostra, in cerca…Lei mi aveva detto che suo papà, la mattina del 16 ottobre, non era a casa…

    …era andato a prendere le sigarette.Mi racconti..Niente, andando a prendere le sigarette ha visto che c’erano tutti i camion in Via Arenula, che pren-devano gli ebrei…Allora siete usciti subito da casa. Lei però mi ha detto che non sono venuti a cercarvi.No. Ha detto la portiera che non sono mai venuti.Una cosa incredibile.Una cosa incredibile, a Via delle Zoccolette 11……a due passi dal Ghetto……che di fronte a noi c’erano i camion a Via Arenula.Senta, a questo punto dove siete andati a stare?Allora, mio fratello è andato al Don Bosco…

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    Davide Dario Levi accompagna Re Vittorio Emanuele III e la ReginaElena nella sua qualità di capo-cerimoniere del Governatorato di Roma.

  • Suo fratello quale?Benedetto. Sono rimasta io sola, la più grande. Noi dalle monache…No, i primi giorni siamo andatiin una casa che aveva trovato ….che aveva ospitato mamma e papa. Perciò i primi giorni abbiamodormito tutti e quattro in un letto, perché mamma e papà conoscevano…e noi, che eravamo in unaltro posto, siamo andati là …. Poi, dopo lì, siamo andati dalle monache, molto chic, in Via Barto-lomeo Eustacchio, mi pare che erano Orsoline, confinavamo con Villa Torlonia.Ho capito. Quindi eravamo in bocca al lupo(ride).Uscendo dal convento, a destra avevamo Villa Torlonia.Quindi lei mi ha raccontato che uscivate dal convento.Incoscientemente. Guardi, fino a che uscivamo io e mia sorella, potevamo essere due anonime. Ma miopadre, conosciuto da tutta Roma, direttore dell’Ufficio Abbonamenti, uscire come niente fosse..Però aveva dei documenti falsi, vero?Ah, tutti. Pennacchiotti.Il cognome, quindi, era Pennacchiotti Ma aveva avuto difficoltà ad avere la carta di identità falsa?No, perché papà conosceva tutti. In più, poiché papà era uno che non si dava arie, gli volevano tuttibene. Gli hanno dato subito la carta di questo antico impiegato del Comune che si chiamava Pen-nacchiotti. E da lì è nata tutta la storia.Quindi la carta d’identità come PennachiottiCe l’ ho ancora, è tutto per aria, ma ce l’ ho an-cora.Senta, a questo punto avete passato tutti i diecimesi dell’occupazione in un convento. Lei si ri-corda la liberazione di Roma?(Sospira). Guardi, la sera del 3 (giugno, n.d.i.)“Cominciano ad entrare, cominciano ad en-trare…”, ma nessuno ci aveva il coraggio …..così ho cominciato a vedere qualcuno checamminava…poi Via Bartolomeo Eustacchio.è una strada abbastanza…non è come Via No-mentana…si cominciava a vedere qualcuno.La mattina dopo siamo usciti tutti per Roma,ed è successo pure un brutto incidente, che –mi sembra un ebreo - è stato preso da un ca-mion……è stato investito da un camion…Guardi, forse potrei dirle una bugia, forse sichiamava Procaccia, però…cosa volete da unapoveraccia come me…..ha ancora dei ricordi straordinari…Ho vistoche suo papà ha chiesto di essere reintegrato nelsuo lavoro..…subito…..nel luglio del 1944 Nei suoi ricordi, ha lavorato

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    Davide Dario Levi insieme ad Edda Mussolini e GaleazzoCiano in occasione del loro matrimonio civile.

  • ancora a lungo, oppure no? Perchédoveva essere vicino alla pen-sione…E sì, perché papà mio era vec-chiottino. A me, mi ha avuto a 40anni.Quindi è andato in pensione su-bito dopo, e dopo la pensione cosaha fatto suo padre?Niente.Se l’è goduta la pensione?Ma, insomma niente di speciale.Continuava ad andare all’Opera?All’Opera ci andava sempre, ciaveva tutti gli amici…ho visto piùopere io che.. (ride)….Forse l’Aida…sono arrivata a cinquanta volte…Lo immagino, con un padre così che aveva i biglietti a disposizione ..L’Aida, poi…mi ricordo che alla fine era diventata un’ossessione…però quando ci andavano mi do-vevano portare per forza.Quindi, nel dopoguerra non ha ricordi particolari…suo padre si occupava della Comunità ebraica…Beh, era consigliere…Bene, questo è interessante…Insieme a mio suocero.. ….consiglieri della Comunità, appena forse arrivati gli Alleati, non mi ri-cordo. Comunque sia Bonfiglioli che Dario Levi ci devono essere.Ho capito, ho capito. Quindi si è occupato della Comunità, e a che età è morto suo papà?Allora mi sembrava tanto vecchio, però mi pare che ci avesse 83 anni, qualcosa così. Però, alloraera decrepito, però oggi è un bambino, la Levi Montalcino ci ha 100 e tanti anni…….…appunto, e continua ad essere ancora lucidissima. A questo punto, ha ancora qualcosa da raccontarci disuo papà, che non abbiamo toccato in questa nostra chiacchierata? Fisicamente com’era, me lo descriva.Era bello, lo dicevano tutti, era bello…Era elegante.Molto, ci teneva moltissimo.E quindi aveva dei modi… …quando usciva era molto…insomma, era una persona fine.Bene, signora, a questo punto io la ringrazio moltissimo per la chiacchierata, e mi complimento per lasua straordinaria memoria (ride di cuore) Non esageriamo, su…

    Roma, 16 marzo 2011

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    Bomboniera del Principe Ereditario Umberto di Savoia e della PrincipessaMaria José, donata a Davide Dario Levi in occasione delle loro nozze.

  • Ubaldo Sermoneta era un fratellodi mio padre Salvatore Sermoneta.Era più giovane, perché mio padreera del 1899, zio Ubaldo probabil-mente, non ricordo con sicurezza,era del 1901 o del 1902. Ubaldo erastato sempre molto vicino a noi, per-ché non era sposato; quindi lo ab-biamo avuto in ogni circostanza dellavita vicino, non ultima quella di avervissuto i nove mesi nascosto semprevicino a noi. Era impiegato al Co-mune di Roma, ora a distanza dianni, io non mi ricordo bene qualifossero le sue mansioni (era agentedelle Imposte di Consumo, n.d.i.),però mi ricordo che era dipendentedel Comune quando ci disse con di-sperazione che, a causa delle leggirazziali, aveva perso il suo posto. Eraun tipo alto , bruno, direi un bel-l’uomo, non un uomo di molte pa-role, un po’ schivo, abbastanzaallegro, ma non moltissimo... Però iolo ricordo sempre come zio Ubaldo;il suo compleanno era in luglio, luiabitava a Testaccio, e ormai era un’abi-

    La presenza di spirito può salvare la vita

    Ubaldo Sermonetanei ricordi di Giulia Sermoneta Coen (*)

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    (*) Giulia Sermoneta Coen, nipote, nata a Roma il 4 settembre 1922, già impiegata di banca.

    Ubaldo Sermoneta adolescente posa insieme al nonno Alberto indivisa da carabiniere, e al fratello maggiore Salvatore.

  • tudine che tutti gli anni, il 18 luglio , insiemecon mio padre, i miei fratelli, si andava tutti amangiare a Testaccio, perché lui voleva festeg-giare col fratello e con i nipoti ...Queste sono lecose che ricordo più di tutte.

    Devo dire che sia mio padre che lo zio hannosofferto moltissimo perché mia nonna era mortagiovanissima; io non l’ho mai conosciuta, èmorta a 29 anni, quindi loro sono cresciuti conil padre e logicamente molto soli. Mio nonno haavuto negozi in via Cola di Rienzo, quindihanno avuto sempre qualcuno che badasse aloro; so che di questo hanno sofferto, forse neha risentito anche la loro vita. Mi chiedi se eranofratelli che vivevano in simbiosi, e ti rispondoche si amavano molto. Purtroppo mio padre emia madre si sono separati molto presto, alloraera una cosa molto rara, nella mia famiglia pur-troppo è successo. Zio Ubaldo è stato sempre vi-cino a noi, c’era sempre anche lui nei giorni in cuipapà ci prendeva per portarci con lui, magari apranzo, al circo equestre, a fare una passeggiata.

    Vuoi sapere cosa faceva mio padre? Mio padreè stato sempre un po’… il suo hobby era stato farel’arbitro di boxe, infatti poi è stato arbitro inter-nazionale di pugilato, nonché manager di Car-nera che aveva fatto uno sbaglio in America congli incontri di lotta libera.. Poi è stato un po’ in negozio, ha fatto un po’ di rappresentanze e poi,negli ultimi anni, era il rappresentante di una ditta di estintori. Invece zio, quando rimase senza la-voro cominciò a guardarsi intorno; lui abitava a Testaccio, l’unica cosa che gli è capitata, ma sempresentendosi un po’ un disgraziato… gli dettero un banchetto a Testaccio, una licenza per poter ven-dere cose di abbigliamento. Che non era il suo lavoro, però dovette accettarlo per tirare avanti, per-ché mandandolo via non è che aveva avuto nessun vantaggio economico, naturalmente. Insomma,aveva spirito di iniziativa e si è adattato.

    Mi domandi cosa ci è successo il 16 ottobre 1943. Zio Ubaldo abitava in via Aldo Manuzio 42,uscì molto presto quella mattina perché c’era la distribuzione delle sigarette. Quindi lui uscì dalportone, mentre stava uscendo entravano dei tedeschi, con una lista in mano e gli dissero: “Sermo-neta Ubaldo?” E lui, con una grande presenza di spirito, che non era un uomo così, ha detto:“Quarto piano, interno 12”, e lui si è salvato. È venuto subito a telefonare a noi, a mia mammaGina Ottolenghi, Regina (mio nonno era Jona Ottolenghi, la famiglia di mia mamma veniva daCasale Monferrato, però lei era nata a Roma). Il 16 ottobre era il compleanno di mia madre, disse:“Gina, non ti telefono per gli auguri, fai andare via i ragazzi, stanno prendendo gli uomini”. Quindi,contemporaneamente a noi fece una telefonata a mio padre, poi è venuto, ha preso i miei fratelli

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    Ubaldo Sermoneta ritratto insieme al fratello Salvatorenella masseria sulla Via Cassia dove entrambi avevano

    trovato rifugio durante l’occupazione tedesca.

  • Alberto, più piccolo di me, e Renato 15 mesi di meno e li ha portati via. Io sono rimasta in casa dimia mamma , con il fratello di mia mamma Ermanno Ottolenghi; anche lui non si era mai sposato,era sempre rimasto con noi, anche lui mandato via dalla Fiat e poi la Fiat, in sotterfugio, lo avevamesso al Sugherificio Toscano, così, senza comparire.

    Comunque quella mattina eravamo ancora in casa (in Via Banco di Santo Spirito 3, n.d.i.), ab-biamo chiuso tutto come se non ci fosse nessuno, poi abbiamo sentito i tedeschi per le scale, urlareper le scale un signore che era stato preso, si chiamava De Benedetti. E noi che stavamo chiusi incasa, mamma aveva tirato il catenaccio, ma abbiamo sentito i tedeschi cercare, ...addirittura sfondarela porta, andare dal Pastore della Chiesa evangelica (era il Pastore Sbaffi, n.d.i.) per cercare se c’eraun muro di contatto per rompere il muro, non ci sono riusciti. Non riuscivamo più a capire niente,ad un certo punto mia madre ha detto: “L’unica speranza è la finestra”. Andammo nell’ultima stanzadell’appartamento, dove c’era una piccola stanza e c’era una finestra che dava in un cortile interno;era il primo piano sopra il mezzanino. Quindi ci siamo buttate da quella finestra, mia mamma di-ceva “Questa è l’unica via d’uscita”. Chi si è buttato per primo? Mio zio, lui se l’è cavata bene, solorompendosi due dita di un piede, poi si è calata mia mamma, era del 1896, nel ‘43 aveva 49 anni,ma purtroppo ebbe tutto il piede stritolato.

    Io avevo vent’anni, io sono nata nel 1922… non so che cosa ho pensato in quel momento, il cer-vello che mi ha detto; non mi sono calata come loro, sono montata in piedi sul davanzale e sonouscita come da una porta, ho messo il piede fuori, quindi mi sono insaccata, sono caduta come in-saccandomi ...rompendomi due denti, mi sono rotta due vertebre della colonna, anche la mano si-nistra… C’era un marmista che lavorava su Via di Panico, aveva il retro del negozio in questocortiletto; come ci ha visto ha aperto la porta, ci ha tirato dentro… Come mio padre ci abbia ritro-vato non lo so; ha visto che non c’eravamo, forse si è guardato intorno, non so come è stato. Pro-babilmente con il portiere aveva aspettato che il camion (dei tedeschi, n.d.i.) andasse via… Io miricordo benissimo che siamo montate su una carrozza, quelle carrozze di Roma col vetturino e icavalli… in quelle condizioni non è stata una passeggiata; come però siamo arrivate, camminando,in braccio, questo non me lo ricordo assolutamente.

    Da là siamo state ricoverate alla Clinica delle Figlie della Sapienza, in Corso d’Italia, dove adessoc’è la CGIL. Lì c’era il professor Enrico Sovena, anche lui appassionato di boxe; lui conosceva miopadre, tra l’altro lui era in divisa fascista, però era una persona eccezionale. Appena ci vide, disse:“Qui non basto io chirurgo, qui ci vuole un ortopedico”, quindi chiamò il professor Tancredi, altrapersona che ricorderò sempre con estremo affetto. Ci ha operato, ci ha ingessato… anzi, per di piùmentre mi portavano in sala operatoria è suonato l’allarme, mi hanno fatto cadere pure dalla ba-rella...questo per migliorare le cose. Comunque sono stata operata, ingessate tutte e due questamano e il braccio fin qui, tutto un busto completo di gesso. A mia mamma le hanno messo unchiodo per tenere l’osso del tallone, poi aveva una staffa e tutto il piede e la gamba ingessate. Peròla sera, quando venne papà a trovarci prima del coprifuoco, la Madre Superiora disse: “Deve portarevia queste due donne, perché è proibito tenere gli ebrei”, e papà era disperato, non sapeva che fare.Chiamò Sovena, venuto di corsa, che disse: “Madre, se lei manda via queste due donne in pericolodi vita, io le assicuro che domani mattina il Santo Padre sarà informato di questo atto di poca caritàcristiana”.

    Quindi la sera stessa ci ha fatto andare nel sottoscala, dove c’erano le suore di clausura, e lì siamostati vent’otto giorni senza muoverci, ricordo che fu proprio terribile; io sono stata vent’otto giorni

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  • a bocca in giù, il gesso mi tagliava, ricordo che papà con pazienza… Vuoi sapere se papà era connoi, e la risposta è no, ma veniva tutti i giorni; viveva presso amici in via Rasella, lui stava lì con imiei fratelli e con mio zio. L’altro zio, il fratello di mamma, aveva raggiunto… erano partiti perFiuggi, poi erano andati a Trevignano e sono sempre stati nascosti lì. Un amico dei miei zii materni,l’ingegner Andreani - altra persona che ricordo con affetto e al quale abbiamo fatto fare un diplomad’onore dal Comune di Roma. - aveva una mezzadria in via Cassia, nel tratto che va da Ponte Milvioa via Stefano Iacini. Una piccola casa di campagna dove c’era una famiglia di contadini marchigiani,con un figlio grande e un nipoteche erano nascosti perché non sierano presentati alla leva di Salò.Lui disse: “Mi dovete tenere quiquesta gente”, e noi siamo rimasti lìfino all’arrivo degli alleati; eravamomamma, papà, io, zio Ubaldo e imiei fratelli. Loro da noi nonhanno mai voluto niente, hannodiviso quello che c’era, sono statedelle persone formidabili; stoaspettando la risposta da Gerusa-lemme, che questi due contadiniabbiano la Medaglia dei Giusti perquello che hanno fatto.

    Vorrei dire che il problema grossoè stato mio padre, perché lui, nel-l’ambito di Ponte Milvio, del ForoMussolini, era molto conosciuto,perché era arbitro di boxe. Quindi,quando andavamo a prendere ilpane con le razioni, quello che cispettava nel negozio di Ponte Mil-vio, papà era riconoscibile, il for-naio l’aveva riconosciuto. Io devodire che c’erano tante persone perbene; se faceva così (fa un gesto,n.d.i.), voleva dire che potevamoentrare, se faceva così (un altrogesto, n.d.i.) voleva dire che dove-vamo andare subito via, perché c’erano delle persone nel negozio di cui lui non si fidava. Un altroricordo bellissimo che ho è che, il giorno di Pasqua, la contadina mi portò con lei nella chiesa diPonte Milvio, mi disse: “Vieni con me, io prego il mio Dio, tu il tuo, ma di lassù lui ci sentirà”.

    La liberazione è stata molto emozionante. Nella zona dove eravamo noi, nel pomeriggio c’erastato molto movimento di camion tedeschi, un viavai anche di camion italiani che andavano versoil nord. Verso la fine entrò un camion militare della X Mas, noi dicemmo che cosa era successo,

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    Foto del famoso pugile Primo Carnera con dedica a Salvatore Sermoneta.

  • avevamo le tessere un po’ rovinate, scolorinate, da Sermoneta ci chiamavamo Simonetti, abitantiin via Prenestina 43; era un palazzo che era stato bombardato, quindi non si potevano fare ricerche,ufficialmente eravamo persone bombardate - questo lavoro di scololorinatura l’aveva fatto AlbertoManni, amico di mio zio, nonché segretario di Roberto Rossellini.

    Ufficialmente eravamo degli sfollati… “Noi siamo ingessate, vi procureremmo solo fastidi”… Venneun camion1 con quattro tedeschi, dicevano che volevano essere nascosti, gli alleati erano alle portedi Roma, facevano prigionieri. Non erano tedeschi, erano un polacco, un francese, uno dell’AlsaziaLorena, uno austriaco, non volevano più combattere; mio padre, coraggiosamente si fece conse-gnare le armi, li chiuse in una stanza e lì restarono, e si passò la notte in un silenzio veramente pau-roso. Era la notte tra il 3 e il 4 giugno, verso l’alba abbiamo sentito sparare, ci siamo affacciati allafinestra che era ad altezza d’uomo e papà ha visto questi soldati accucciati. Tedeschi? Americani !!Papà è uscito di corsa ed è tornato con la cioccolata, i chewing gum, le Camel… era la liberazione!La cosa che ci ha emozionato molto fu che ci chiesero di mettere una piccola tenda da campo percurare i primi feriti, finché non venivano le ambulanze. Entrò l’ufficiale medico e vide mia madrecon il bastone e il gesso; io dissi che ero ingessata, abbiamo detto la verità. Questo ufficiale eraebreo, c’è stata tanta emozione da ambo le parti, lui era americano, eravamo i primi ebrei che ve-deva…

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    Primo Carnera in una foto-ricordo con Salvatore Sermoneta ed altri amici.

  • Memorie in Comune

    Siamo stati lì ancora un po’ di giorni, poi mio padre ha ripreso la sua strada per conto suo, noisiamo tornati a casa nostra, che nel frattempo era stata occupata dai fascisti con una famiglia; peròper fortuna se n’è andata anche se aveva venduto tutto, lenzuola di mamma, tovaglie ricamate… Cidissero nel palazzo che chiedevano sempre: “Volete comprare?”. Noi siamo tornati a casa nostra, ezio Ubaldo è andato a casa sua. Nella vita di zio Ubaldo c’era una persona, Adriana, non riesco aricordare il cognome, che è stata una persona eccezionale. Era andata a casa nostra pochi giornidopo che eravamo scappate, eravamo ancora in clinica, ci ha preso dei vestiti di ricambio - noi era-vamo ancora vestite come quella mattina. Ha preso a casa nostra tutto quello che poteva in varieoccasioni a rischio della sua vita, entrando prima con le chiavi, poi quando è stata occupata, bus-sando. Ha sempre preso quello che ci serviva, ce l’ ha portato, è sempre stata vicina a noi; lei nonha mai abitato con mio zio, è stata sempre indipendente, aveva una figlia, un genero, dei nipoti.Ubaldo Sermoneta poi morì in maniera stupida, con un incidente d’auto; però noi, quando è mortomio zio, noi le siamo stati molto vicini. La figlia poi l’ha voluta mettere in una casa di riposo, siamosempre andati a trovarla, avevamo un grande affetto per lei.

    Io adesso vado nelle scuole a parlare. Finisco sempre dicendo “Ricordati che questo è stato”.

    Roma, 23 marzo 2011

    1 Fuori registrazione, Giulia Sermoneta Coen si è corretta: non era un camion, ma un grande carro tirato daquattro cavalli, che suo padre Salvatore poi vendette per potere ricominciare.

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  • Vuol sapere quando è nato e come mi ricordo mio zio? È nato l’8 gennaio del 1908, era molto bello,bellissimo, era buono, conosciuto da tutti perché aveva avuto una carriera splendida.

    Mia nonna Bianca e mio nonno Settimio Citone vivevano a Roma, lui ha fatto l’Università, si è lau-reato ed è diventato medico. Aveva due fratelli e tre sorelle, una era mia madre, poi un’altra, poi quel-l’Adriana che lei ha conosciuto a voce, per telefono. Di questa zia Adriana, la sorella di zio Angelo, levolevo raccontare un aneddoto perché questa mia zia quando ha sposato… ha avuto sempre il rimorsodi una cosa che lei aveva fatto...invece di andare col padre al Tempio, ha voluto che fosse il fratello,

    Un medico condotto nell’Agro Romano

    Angelo Citonenei ricordi di Bianca Spizzichino Perugia (*)

    Da verbale delle deliberazioni del governatore. Deliberazione n. 388 del 23 gennaio 1939.A firma di S.E. il Governatore di Roma Cav. di Gran Croce Don Piero Colonna dei Principi di Paliano.

    (*) Bianca Spizzichino Perugia, nipote, nata a Roma il 5 dicembre 1926, ha lavorato nel suo negoziodi abbigliamento.

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  • Memorie in Comune

    Angelo Citone ritratto durante un ricevimento.

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  • Un medico condotto nell’Agro Romano

    zio Angelo, ad accompagnarla. Siccome lui era un tenente, adesso non mi ricordo..dell’Esercito…simise in alta uniforme, in divisa da cerimonia, con la fascia azzurra, era uno spettacolo..(ride, n.d.i.).Poi mia zia mi disse una volta che lei viveva con il rimorso di non essere andata con il padre. Peròera talmente orgogliosa del fratello, che ha voluto andare con lui.

    A quel tempo (negli anni ‘30, n.d.i.) era a servizio del Comune, diciamo un medico condottomolto popolare e molto benvoluto; non solo, ma questi contadini (dell’Agro Romano, n.d.i.),quando lui andava fuori a curare qualcuno, restava là, non veniva a Roma e gli regalavano uova, fa-rina, polli,perché allora si usava fare una cosa del genere, era una vita più semplice Andava nei pae-sini, gli davano l’incarico di curare questa gente dei paesi, lo ha fatto per parecchi anni, fino a quandosono venute le leggi razziali e lo hanno mandato via. Se era sposato quando faceva il medico con-dotto? No, non era sposato. Nel 1938 l’hanno mandato via, e lui ha iniziato la sua carriera in altromodo.

    È stato un periodo di tempo al San Camillo e poi si è fatto una bella clientela e faceva il medicodi famiglia, bravissimo perché non è come oggi che vogliono vedere le lastre, TAC, questo e quel-l’altro. Lui era un gran diagnostico, lui visitava il paziente, e dopo aver fatto tutte le sue deduzioni,faceva la diagnosi e spesso e volentieri era esatta...per cui lui si fece questa bella clientela e andòavanti… Lui, durante le leggi razziali conobbe una ragazza, non mi ricordo come si chiamava…

    Lei mi suggerisce il nome, mi ricorda che si chiamava Maria Magnanimi, e che aveva la farmaciain Via Marianna Dionigi? Sì, era una gran brava persona sia lei che i fratelli, tutti laureati, era gentemolto perbene e durante la guerra infatti, quando ci dovemmo nascondere, lui andò a casa di ziaMaria, quella che poi è diventata la moglie. Tant’è vero che per un certo periodo sono stata pure iolà, perché ad un certo momento ci siamo dovuti dividere in famiglia e uno da una parte e uno dal-l’altra. Io sono andata a casa di zia Maria (dopo la guerra Maria Magnanimi ha sposato Angelo Citone,n.d.i.) e c’era zio Angelo. Come si è salvato il resto della mia famiglia? La mia famiglia è andata adabitare.. perché prima siamo stati 4 mesi ad Olevano Romano, ospiti di amici di mio padre primadel 16 ottobre, perché mio padre ha sentito qualche cosa e ha detto: “Facciamo i bagagli, andiamovia”; infatti siamo stati quattro mesi ospiti di questi suoi amici, che erano eccezionali.Se mi ricordoil nome di queste persone? Sì..Dio, però adesso.. caso mai glielo telefono, tanto mia sorella pure siricorda di tutto(si chiamavano Guido e Natalino Ciolli, n.d.i.)

    Dunque, poi siamo dovuti scappare perché sono venuti i tedeschi, ebbero una spiata che cercavanogli ebrei, siamo venuti via alla spicciolata, siamo venuti a Roma. Io sono andata direttamente a casadi zia Maria , mia sorella che era sposata stava in un altro posto, i miei genitori con mio fratellosono andati a piazza Ragusa. Mio padre prese una casa in affitto, per cui eravamo proprio divisi.Vuol sapere se avevamo documenti falsi? Tutti i documenti falsi. Come ci chiamavamo? Eh, nonme lo ricordo assolutamente. Finché un giorno arrivò una lettera, anonima naturalmente, che incerte case c’erano delle persone pericolose, mio zio e io eravamo talmente pericolosi… Zia Mariaviveva con la mamma e i due fratelli, che erano ragazzi allora, in via Pompeo Magno, in Prati; allorasiamo dovuti venire via , zio Angelo e io, siamo venuti a casa di mamma, a Piazza Ragusa, siamostati là fino a che sono arrivati gli Alleati.

    Una mattina verso le 4, sentivamo un rombo di motori, si sentiva che era qualche cosa di pesanteche arrivava; ci affacciamo da dietro alle grate e vediamo tutta la gente che è scesa per strada, alle 4di mattina, che andavano verso il Ponte Casilino. Scendemmo anche noi, ci siamo azzardati perchénon si sapeva quello che poteva succedere, e nei pressi del ponte Casilino vedemmo questi belli

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  • americani (ride,n.d.i.). Io avevo 17 anni. Se ho un ricordo vivo? Questi carri armati, bianchi, nericome erano, erano… bastava che fossero americani che ci venivano a salvare. Una grande festa? Uh,non può immaginare!

    Dopo pochi mesi, no, sarà passato un annetto, i miei nonni non la conoscevano neanche questaragazza, e allora c’è stato un periodo di fidanzamento, poi hanno sposato… (si riferisce a Angelo Ci-tone e a Maria Magnanimi, n.d.i.) Mi domanda se hanno avuto qualche difficoltà per il fatto chezia Maria non era ebrea? No, si sono sposati in municipio, perché lei teneva alla sua religione; ioabitavo a Viale Glorioso con mia madre, proprio incontro a Rosina (Levi, un’altra testimone n.d.i.),e loro vennero ad abitare a via Dandolo, là vicino, per cui ci siamo sempre frequentati.

    Hanno avuto tre figli, due femmine e un maschio. Una delle femmine è Cristiana Capotondi,quella che fa i film, che sta nel cinema; l’altra ha sposato un bel ragazzo, brava gente sempre, in fa-miglia nostra abbiamo guardato soprattutto all’educazione delle persone. Il maschio, invece, avevapreso la laurea per dentista,si è arruolato in Marina ed ha viaggiato sempre per mare, fino a che èarrivato in Giappone. Ha incontrato una giapponesina, ha fatto una figlia, però l’ha lasciata là. Diceche è come Butterfly, la stessa storia? Ogni tanto la va a trovare o lei viene qua, i rapporti sono ot-timi. Dopo la guerra zio Angelo ha messo uno studio vicino casa, a viale Trastevere, lui (il figlio,n.d.i.) ancora abita là. Zio Angelo ha fatto davvero una gran carriera, benvoluto da tutti; era il veromedico di famiglia, si interessava, quando vedeva un caso più difficile, più pericoloso, era lui chetelefonava al cliente per sentire come stava, capito? Poi c’erano i consulti…era tutta un’altra tec-nica..

    Vuol sapere se si occupava della Comunità Ebraica? No, era talmente preso dal suo lavoro per cuinon poteva fare una cosa e l’altra; non è che lui aveva un orario, non è come oggi che se lei va achiamare un medico di domenica non lo trova...lui era sempre pronto, sempre a disposizione.

    Roma, 28 marzo 2011

    Memorie in Comune

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    Era il fratello di mia suocera,per cui ci vedevamo nellefeste, le occasioni, sapevo persommi capi quale è stata la suavita. Mi chiede se posso de-scriverlo? Alto, un bell’uomo,ha visto dalla fotografia, poiera una famiglia elevata…Ilpadre era stato presidentedegli Asili Infantili ebraici,all’epoca era una bella carica,infatti era commendatore..Chetipo di lavoro faceva il padre diTullio? Era nel ferro, lavoravanel ferro, tant’è vero cheanche i figli poi sono entrati,altri due figli…Perché avevatre figli maschi e una femminache era mia suocera: due figlisono entrati a far parte della ditta e invece Tullio, che aveva studiato… non mi ricordo… Tullio halavorato alla Manifattura dei Tabacchi che stava a Piazza Mastai, io questo l’ho saputo, così..

    Vuol sapere se la Manifattura Tabachi era legata al Governatorato di Roma? E certo, certo..e ap-posta fu mandato via nel 1938. Aveva sposato una signora cattolica, una bella signora bionda (sichiamava Clara, n.d.i.), però pure lei l’ho conosciuta proprio così, di passaggio…ero fidanzata alloranel ‘44, nel ‘46 mi sono sposata e ho avuto pochi contatti con loro. Alla domanda su che tipo divita faceva, su come campava durante le leggi razziali le rispondo che non lo so, era nascosto cometanti. Dopo la guerra lo hanno reintegrato nel suo posto, e poi è andato in pensione. Mio marito

    (*) Bianca Spizzichino Perugia, nipote, nata a Roma il 5 dicembre 1926, ha lavorato nel suo negoziodi abbigliamento.

    Giusto in tempo per recuperarne la memoria

    Tullio Spizzichinonei ricordi di Bianca Spizzichino Perugia (*)

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    Da verbali della Giunta Municipale Provvisoria. Deliberazione n.183 sedutadel 27 febbraio 1945 presidenza Principe Filippo Andrea Doria Pamphilj.

  • aveva il negozio in largo Arenula, a Roma chi non lo conosce…ogni tanto passava, si faceva unachiacchierata con mio marito. Lui non aveva avuto figli, non aveva famiglia, spesso passava daquesti nipoti, s’intratteneva un pochino... Poi non so altro, sa, era la famiglia di mio marito… chipensava di andare a cercare..non me ne sono interessata proprio1.

    Roma, 23 marzo 2011

    1 Grazie a questa testimonianza, e al ritrovamento di un’unica fotografia, è stato possibile recuperare la me-moria di una persona legata per lavoro al Governatorato di Roma, che altrimenti sarebbe andata perduta.

    Memorie in Comune

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    Tullio Spizzichino nell’unica foto ritrovata, che lo ritrae con la sorella e il cognato.

  • Mia zia Enrica era laprima dei dieci fratellidella famiglia di miopadre, era nata ad An-cona; l’albero genea-logico risale al ‘700.Vuoi sapere chi è il ca-postipite?È un certoSalomone Ajò, che ènato nel novembredel 1722 ad Ancona emorto nel 1821, e si èsposato con una certaConsola Pacifico. Eda lì c’è tutta la genea-logia che arriva fino aitempi nostri. Miononno, che tra le altre cose era stato anche presidente della Comunità ebraica di Ancona, aveva ungrosso commercio di tessuti. Poi, non so come, ha avuto dei grossi problemi e poi alla fine si sonotrasferiti a Roma, non so esattamente le vicende. Non le ho mai sapute, in famiglia non se ne èmai parlato. Avevano una grossa villa alla Palombina ; addirittura ad Ancona c’è un palazzo Ajò,che sembra fosse appartenuto alla famiglia, un palazzo che risale al 1700, ma non sappiamo esat-tamente di quale ramo, che rapporti ci siano stati. Loro vivevano alla Palombina, che era enormeperché la famiglia era composta da padre, madre, due vecchie sorelle del padre più dieci figli e ilpersonale di servizio, quattro o cinque persone. Era veramente una tribù (fuori registrazione, GiorgioAjò ha raccontato che, all’ora dei pasti, la famiglia era convocata con il suono di un gong, n.d.i.). Se ri-cordo i nomi? Di tutti i dieci figli sì, con un poco di difficoltà, ogni tanto me ne sfugge qualcuno.

    (*) Giorgio Ajò, nipote, nato a Roma il 24 luglio 1937, già funzionario di banca.

    Roma-New York e ritorno

    Enrica Ajònei ricordi di Giorgio Ajò (*)

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  • Dunque: Enrica, Renzo, Enrica Lea, Lindoro, Agnese, Nella, Nedda, Valeria, Bruno….Ne mancauno…(il nome mancante è Alma, n.d.i). Tutti nomi d’opera, secondo una sana tradizione ebraica ,non ce n’è nemmeno uno che possa essere vagamente biblico! Nedda è la Cavalleria Rusticana,Nedda, Lindoro, abbiamo un po’ di tutto.

    Mi domandi se hanno studiato. Sì, quasi tutti, diciamo tutti hanno avuto un’educazione – perl’epoca – abbastanza elevata. La stessa Enrica, che era del 1896 se ben ricordo (1898, n.d.i.) si èlaureata in chimica. Pure Lindoro si è laureato in Economia e Commercio…le ragazze hanno tuttestudiato. Musicista era zia Alma, che era una delle prime, che suonava l’arpa, no, scusa il pianoforte,ed era anche concertista; credo che fosse di un certo valore. La penultima, zia Valeria, suonaval’arpa, poi quando si è trasferita in America con zia Enrica so che ha fatto diversi concerti, e ha suo-nato anche con Toscanini a New York. La mia famiglia si è trasferita da Ancona a Roma intornoagli anni ‘15/20 (del secolo scorso, n.d.i). Enrica era persona molto simpatica, molto allegra, facevada catalizzatore, era un po’ il centro di raccolta della famiglia, per qualsiasi avvenimento era lei checoordinava tutte le cose. Io, ovviamente, me la ricordo da bambino, sono nato nel 1937; l’ ho co-nosciuta dopo la guerra perché lei, nel 1938 insieme alla penultima sorella che è Valeria, all’iniziodelle leggi razziali è andata in America. Cosa facesse nei primi anni ‘30 sinceramente non lo soperché non c’ero. So che era stata impiegata al Comune (al Governatorato, n.d.i.) e per quello chericordo io l’ultimo lavoro, prima di lasciare l’Italia a seguito delle leggi razziali, era al laboratoriodel Comune per le analisi dei cibi; era, diciamo, il laboratorio che controllava i cibi, le vettovaglie.

    Perché nel 1938 hanno deciso di andare in America?Vedendo che le cose si mettevano male,come tanti altri che avevano la possibilità di farlo… sono tantissimi che l’ hanno fatto… In Americaavevamo pure dei parenti. Avevamo …c’era già nostro cugino Max Ascoli, e anche del marito di zia

    Memorie in Comune

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    Enrica Ajò fotografata insieme ad un gruppo di amiche.

  • Valeria, Alberto Finzi,che anche loro sono an-dati in America, anche daparte loro c’erano dei pa-renti. Se è vero che MaxAscoli ha trovato ancheun lavoro a zio Enrica?Sì, non so esattamenteche cosa, narrano che ad-dirittura avesse fatto labadante al padre di MaxAscoli, ma sinceramentel’ ho sentito dire così, va-gamente Non ne ho cer-tezza perché, ripeto,parlo di cose di cui si par-lava quando ero ragaz-zino molto piccolo. ZiaValeria e il marito sonorimasti in America, sisono trasferiti. Hannofatto una vita molto av-venturosa perché loroall’inizio abitavano aNew York, poi si sonotrasferiti a Buffalo vicinoalla Cascate del Niagara.Da lì hanno preso un ca-ravan, hanno attraversatotutta l’America e fino allafine, fino a pochissimianni fa hanno vissuto inCalifornia. Zia Enrica èrimasta sola a New York eappena è finita la guerra ètornata.

    Zia Enrica, tornata in Italia è stata reintegrata nel suo posto di lavoro e ha seguitato a lavoraresempre al laboratorio del Comune di Roma, dietro via Merulana. Stava il suo posto di lavoro pra-ticamente a due passi da casa nostra, dove abitavamo io, mio padre e mia madre. Ci frequentavamomoltissimo, era una frequentazione…diciamo un paio di volte alla settimana minimo, in quantoogni tanto telefonava e diceva “Ho fatto tardi, posso venire a pranzo da voi?” “Con piacere!”.No,zia Enrica non si è mai sposata. Se è stata una chioccia per i suoi fratelli? Non è stata proprio chioc-cia, no, è più esatto dire il coordinatore. Poi a Roma lei abitava a via Nicola Fabrizi, là dietro Villa

    Roma-New York e rotorno

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    Enrica Ajò negli ultimi anni della sua vita.

  • Memorie in Comune

    Sciarra, e abitava insieme ai tre che erano scapoli: lei, zia Alma la pianista e zio Bruno che era il piùpiccolo e poi si è sposato, e ovviamente ha lasciato… Mi domandi se per me è stata importante. Ri-peto, costituiva il punto di riferimento di tutta la famiglia; infatti, da quando è venuta a mancarelei - perché è venuta a mancare presto, perché lei è morta nel 1964. Appena lasciato il servizio,subito dopo si è ammalata, dopo pochissimi mesi. Praticamente è venuto a mancare questo puntodi riferimento e la famiglia, sì, è stata abbastanza unita però non c’era più la coesione che c’era inprecedenza, quando era viva lei. Non so se abbia svolto attività nel campo ebraico, non mi sembra,non mi risulta per lo meno. Comunque era molto dedita alla famiglia, aveva tanti amici, aveva unavastissima cerchia di conoscenze non solo nell’ambito familiare, era conosciuta in giro…Ripeto,era una persona molto aperta. Vuoi sapere se raccontava dell’America? Delle cose americane no,non è che ne abbiamo parlato molto, ossia non ne ho sentito parlare io. L’esperienza americana èstata abbastanza breve.

    Roma, 29 marzo 2011

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  • Si chiamava Settimio Menasci, era nato a Romail 30 gennaio del 1910. Erano 4 sorelle e l’unicomaschio era papà, il padre di mio padre era mortoquando lui aveva 14 anni. Che io sappia, aveva abi-tato tanto a via San Francesco a Ripa e a via San-t’Angelo in Pescheria; ma la casa che io hoconosciuto era a via Luciano Manara. Penso chefosse un po’ viziatello, perché era l’unico maschio,circondato da quattro femmine; aveva una sorellache era più grande di lui di cinque anni e una cheera più piccola di lui di dodici anni, quindi lui eraal centro. Mi chiedi se era riuscito a studiare no-nostante la morte precoce del padre, o si era messoa lavorare Si era negli anni ‘20, aveva fatto comele classi medie, e poi lui aveva una grande passioneper i motori, era bravissimo, riusciva a capire i di-fetti delle macchine dal rumore che faceva il mo-tore. Diceva: “Metti un po’ in moto la macchina”,uno metteva in moto, “Fa sentì’ ”, lui diceva, “que-sto cià ‘sto difetto, è rotto questo, bisogna sosti-tuire questo” e era sempre così, la sua passione. Erabravissimo con le mani, sapeva fare tutti i mestieri.Si rompeva la luce? L’aggiusta papà. Noi bambinisaltavamo sul letto, una volta abbiamo rotto l’asseche reggeva le reti. Mia madre: “Che avete fatto?”. “Mamma, ce penza papà”. Lui pensava a tutto,con le mani era bravissimo, sapeva lavorare molto bene.

    Il primo lavoro penso che sia stato come autista… dunque, lui era del ‘10, prese la patente nel

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    Un uomo ingegnoso dalle mani d’oro

    Settimio (Memmo) Menascinei ricordi di Rina Menasci (*)

    (*) Rina Menasci Pavoncello, figlia, nata a Roma il 7 ottobre 1941, già impiegata presso la ComunitàEbraica di Roma.

    Settimio Menasci appare vestito con estrema ricercatezza, come era sua abitudine.

  • 1929. Lavorava come autista, neltrasporto. Però, il lavoro oggi c’era,domani non c’era più, dovevi cam-biare, e lui aveva fatto la domandaall’ATAG, l’Azienda Tranviaria, per-ché voleva lavorare presso quel-l’azienda. E non gli rispondevanomai; un giorno stava per la strada,anche se aveva ormai 23 anni stavainsieme alla madre, e incontra unapersona, un correligionario. “Macome mai? “Sai, il lavoro che cia-vevo, l’ho perduto, ho fatto due, tredomande all’ATAG, però non mihanno mai risposto”. E quello glidice: “Ma tu il numero della tesseradel Fascio ce l’hai messa?”. “ E no!Perché io la tessera del Fascio no, néora e né mai”. E allora quello : “E tuné ora e né mai avrai il posto. Senon ce lo metti, tu non prenderai ilposto”. Mi pare che rimase un po’così… “Allora mi viene preclusoanche il modo di poter lavorare lì”.Allora questo, evidentemente erauna persona che conosceva, disse:“Viè co’ me”, perché nel ‘33 le tes-sere non si potevano più prendere…. Questa persona lo portò con sé, eraun Di Nepi, disse: “È mio cugino”. Fece la tessera del Fascio, rifece la domanda e naturalmente fuassunto.

    Alla domanda se voleva mettere su famiglia, se aveva adocchiato la sua futura moglie, rispondodi no. Era nel ‘33, a quell’epoca no, tra mamma e papà c’erano cinque anni di differenza; se papà cen’aveva 23, mamma ne aveva 18. E poi stiamo parlando di ottanta, settanta anni fa, non è che unofrequentava, incontrava, o fermava le ragazze, anche se piacevano, se aveva interesse. Non era pro-prio così, non se faceva. Mio padre s’era innamorato di mamma, Emma Terracina… ma prima devodire com’era mio padre… Era un uomo alto, molto magro, elegantissimo; nonostante lui fosse unmeccanico, lavorava con i motori, si sporcasse, aveva le mani sempre pulite, in ordine, andava sempredalla manicure, ci teneva molto. Era molto, molto austero, una parola era poco, due parole eranotroppo, mentre mia madre era un fiume in piena, come tutte le femmine. Allora andava lì, le piaceva,si era innamorato, finché andò dalla sorella, la sua, Silvia, quella grande, disse: “Tu devi andaredalla madre di quella ragazza lì, e le devi chiedere la mano”. “Io ci devo andare? Adesso lo diciamoalla nonna”. Nonna mia e l’altra zia fecero un po’ di resistenza e lui: “Ci sei andata? Hai fatto quello

    Memorie in Comune

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    Settimio Menasci con la giovane sposa Emma Terracina.

  • che ti ho detto?” “Ma, sai, volevo vede se era possibile…”. Mio padre fece una tragedia, mandò tuttoper aria… “Ti ho detto che devi andare lì, che devi chiedere…”. “Va bene, va bene”, e sai, l’unico ma-schio…E quindi la madre.. e la mano fu concessa. Vuoi sapere la durata del fidanzamento, e quantoguadagnava? Un anno, un anno e mezzo, e cinquecentoventi lire al mese. Mamma diceva… la suareazione…aveva un carattere…era di queste donnine… aveva una personalità molto forte…

    Mi domandi se aveva un soprannome, come tutti in “Piazza”. No, io non l’ho conosciuta con unsoprannome, mio padre la chiamava sempre Emmarella, gli altri la chiamavano Emma e, quandoera bambina, il padre la chiamava Cocca perché era molto amata, era la prima femmina dopo nonso quanti maschi, cinque maschi che aveva avuto…però quando era sui quattordici, quindici anniquesto nome è sparito, anzi non lo sapevo neanche, mamma me lo disse.. Allora, la fecero incontrarecon questo ragazzo, e lei disse: “Sai che c’è, si sono permessi di fare una cosa di questo genere, dovesta la porta? Io me ne vado”. Lei sta pronta per uscire, papà si è avvicinato, è andato di là e le hadetto: “Eh, mi dispiace di avervi conosciuta così, ma che potevo fare?” Allora la cosa è iniziata, enon è più scappata. Mamma non lavorava, mamma diceva così: “È un operaio, una persona mode-sta, almeno avrò alla fine del mese uno stipendio sicuro, potrò pagare il vitto, mi verranno dei figli,potrò mandare avanti una famiglia, senza lussi, ma senza privazioni”. Questo è quello che dicevasempre mia madre, che con papà aveva trovato una persona che andava bene.

    Se vuoi sapere del matrimonio, mamma si è sposata il 6 novembre del 1938 al Tempio Maggioredi Roma; era un bel matrimonio, lei eramolto bella, le avevano prestato il vestito,e mio padre era elegantissimo, aveva ilpapillon, a mio padre piaceva il papillon,più della cravatta il papillon...Quale rab-bino li ha sposati? Angelo Sonnino. Hovisto la ketubbàh, il contratto di matri-monio, quello dove viene siglato, firmatoil contratto di matrimonio, ho letto ..Ieuddàh.. ma non sono andata oltre, per-ché era un ebraico corsivo degli anni ‘30,vecchio stile, e quindi...le lettere..magariuna firma presa…. Se fanno il viaggio dinozze? Immediatamente dopo il matri-monio, vanno a Bologna, vanno a Fi-renze e a Venezia…il giro che si faceva.Non avevano preso casa perché in quelmomento…c’erano difficoltà anche perl’arredamento… Io dico sempre mammama loro due, mamma e papà, avevanostabilito che sarebbero andati in coabita-zione con un’altra famiglia. Dice: “Poi,quando vengono i figli ci saremo un po-chino sistemati, vediamo se ci potremocomprare qualcosa di nuovo”. Perché

    Un uomo ingegnoso dalle mani d’oro

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    Foto di Emma Terracina in età giovanile.

  • prima le case si trovavanoabbastanza facilmente,non era una tragediacome oggi; quindi pren-dono queste due camerein subaffitto in via Montedella Farina 56, sposano evanno in viaggio di nozze.Quando ritornano… nonso, sarà durato una setti-mana, dieci giorni… noncredo che sia durato dipiù… comunque, imme-diatamente dopo chesono tornati dal viaggiodi nozze, trova una letteradell’ATAG, dove papà la-vorava... Per effetto delleleggi razziali, della legge1728, veniva mandato via…Papà andò via con effettoimmediato ma con decorrenza 1° gennaio 1939.. quindi questa si sposa perché vuole una famigliaun po’ più… anche se modesta, non vuole avere la preoccupazione di pagare il fitto, di avere…e sitrova immediatamente immersa in una situazione molto difficile.

    Papà però…allora prende questa lettera: “Ma non ti preoccupare, vedrai, potremo fare tutto, cela facciamo uguale, prima che non stavo all’ATAG io lavoravo e adesso…”. Cercava di darle corag-gio… escono e vanno in “Piazza”, in via Portico d’Ottavia dove sapevano che trovavano la mamma,nonna materna e paterna e incontra…Mi chiedi di fermarmi un momento, perché forse è interes-sante sapere della “Piazza”, una specie di salotto, con le sedie che si calano dalle finestre e la genteche si mette tutt’attorno a raccontarsi le ultime novità. Ancora lo è. Intanto la “Piazza” cià pro-prio…ci sono le nostre radici nella “Piazza”, soprattutto per le persone che sono nate o sono cresciutenel centro del quartiere ebraico o nei quartieri limitrofi. Noi, per esempio, non siamo vissuti a Por-tico d’Ottavia, stavamo a via Monte della Farina che era abbastanza vicino come quartiere...lì na-turalmente c’era tutta la famiglia di mia madre, e ruotava intorno alla “Piazza”. Io me lo ricordoperfettamente, c’erano dei bar, le osterie, c’erano le persone che si mettevano lì sedute, quattro gio-cavano e venti guardavano e commentavano..(ride). Nonna Elvira era bravissima, la madre di miamadre, si metteva lì, quando litigavano dicevano : “Chi ha sbagliato nonna Elvì’?”. “Hai sbagliatote, perché se tu tiravi”… era bravissima (ride). Se le donne entravano nelle osterie? Si, certo, quellaera l’osteria del fratello di mia nonna. Erano soltanto due fratelli, lei e il fratello Settimio, che poi…una tragedia… comunque era il suo locale, per cui andava…che poi era stato della madre e del padreprima, perché il papà de nonna faceva il carrettiere, andava col carretto nei paesi vicini a caricare ilvino e lo portava…Quindi voglio dì’...era un mestiere che si tramandava, mio nonno sarà del 1860…no, ma mia nonna era del 1° giugno del 1882 e mio nonno era nato il 5 ottobre del 1879…quindi

    Memorie in Comune

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    Foto ufficiale delle nozze di Settimio Menasci e Emma Terracina, con parenti ed amici distribuiti armonicamente sui gradini del Tempio Maggiore.

  • i genitori conseguentemente, venti o trentaanni prima, ci avrà avuto... comunque ce l’ho la data perché io ho fatto una ricerca,sono andata all’indietro, sono anche an-data a prendere i genitori dei nonni.

    In Piazza si va per incontrare...poi ci sonosempre persone amiche, ci vediamo sai,così, e vederci, sederci, andando a prenderela seggiolina era una cosa del tutto nor-male, naturale… questo fino a venti anni fa,aspetta… 1993, era una cosa di normaleamministrazione… Chi passava per Por-tico d’Ottavia…. c’era là il gruppo chestava... dove c’è Sheva adesso, lì ce n’erauno, il gruppo di Piazza Costaguti, quelloche stava dove adesso sta Baghetto, quelloche stava dove c’è adesso Franco e Cristina,ogni gruppo…. e io sapevo che se volevotrovare dove stava una persona, se a casanon c’era, andavo lì e la trovavo. Mi do-mandi se sono andati a chiedere aiuto? No,hanno soltanto… quando la nonna paternaha visto: “Ma che t’è successo?”. Si chia-mava Esther, aveva un soprannome, si chia-mava Cicia… quando parlava era tutta unpo’ così, però si chiamava Esther. “Ma cheè successo?”, papà lo chiamavano Memmo,“Che è successo?”. “M’è arrivata la letterache devo annà via dal posto di lavoro, m’-hanno cacciato via”. Allora c’era vicino una sorella di nonna Esther che si chiamava Enrichetta, e jedisse: “Eh, vabbè”, come se fosse la cosa più normale del mondo. Una ragazza giovane, sposetta daquindici giorni, invece de daje coraggio, “Eh, vabbé, vuol dire che una se mette a fa la cameriera etu marito, l’autista”. Mia nonna l’ha mangiata co’ tutti i panni, prima ha mangiato la sorella, poi s’ègirata a mamma: “Nun te preoccupà’, bella de mamma, che tu ciai un marito co’ le mani d’oro, qual-siasi cosa tuo marito se mette a fa’, tu non te morirai mai de fame”.. E infatti papà fu chiamato...per-ché poi le leggi razziali c’erano state per tutti, anche per quelli che erano ricchi e che ciavevanol’autista; hanno mandato via l’autista cattolico, quello che ciaveva un impiego, l’hanno mandatovia e quindi anche le aziende, le grandi famiglie andiedero in Comunità e chiesero se c’erano dellepersone che facevano il mestiere d’autista.

    Presentarono papà, e papà andò a lavorare dalla famiglia Almagià Terni, dall’ingegner FilippoTerni. Cinquecentoventi lire guadagnava all’ATAG, e mille lire dagli Almagià, e mamma che erauna persona previdente… non è che insomma ha fatto che questi soldi… spendeva quanto papà gliavrebbe portato… Gli avrebbe dato cinquecentoventi lire? E mamma spendeva cinquecentoventi

    Un uomo ingegnoso dalle mani d’oro

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    Settimio Menasci ritratto insieme ai suoi colleghi di lavoro all’ATAG.

  • lire, le altre quattrocentottanta le metteva da unaparte ..e così passa un po’ di tempo…Nasce ilprimo figlio il 27 agosto del ‘39, nel ‘40 razio-nano la benzina, pertanto i Terni devono man-dare via dal lavoro papà, e papà s’inventaquest’altro mestiere. Comprava le macchinecompletamente in disuso, le aggiustava e le fa-ceva camminà’ se poteva, se non potevano cam-minà’ le rompeva, metteva da una parte il ferro,da una parte il rame, da una parte il pezzo, e cosìlui aveva trovato un mestiere che gli consentivadi tirare fuori il necessario, quello che era neces-sario per il sostentamento. Il 7 ottobre del 1941nascono due gemelle: mia sorella Elda è quellache è nata prima, e nasce Rina che sono io,quindi io sono la più grande. Soltanto che siamonate di sette mesi per cui, tempo de guerra, senzatanto mangiare, senza riscaldamenti dentro casa,senza tutte quelle accortezze… Sì, c’era la coperta,c’era quello che doveva servire, ma mancavano lecose importanti. Mamma, ringraziando Dio be-nedetto, cià allattato a tutti quanti, per un anno.Dici che non siamo cresciute tanto male? Alte!Te ricordi quando dicevo io.. no, queste so’ pic-cole, de quanto so’ nate? De nove mesi dico io,noo, gemelle de sette! (ride). Quando una devenascere alta o de corporatura robusta, nasce,sennò nasce piccola, o una o due è la stessa identica cosa. Mi chiedi come è andata con i problemidella guerra e con le leggi razziali, e se papà è stato chiamato per il lavoro obbligatorio? È stato… ioho visto che nell’elenco del lavoro obbligatorio c’era il nome di papà, però non è stato contattato,precettato; ho visto il nome di papà…tu guarda che strano! Avevano precettato anche lui, però poinon l’hanno chiamato perché il lavoro… poi non l’hanno chiamato.

    Vuoi sapere, quando arriviamo al 25 luglio, se i miei genitori antifascisti si sono sentiti sollevati.Allora c’era, dentro casa dove abitavamo a via Monte della Farina, il marito, il padrone di casa,quello che ciaveva fatto il contratto d’affitto, era un antifascista tosto… Allora va come operaio daFiorentini sulla Tiburtina, gli scavatori… Allora ogni tanto mamma andava a chiude tutte le finestreperché lui… chiamava la moje: “Autelia! ce vonno le giornate rosse de Bologna!”. Allora tutti achiude le finestre… e questo, poverino, morì nel bombardamento di San Lorenzo, sulla Tiburtina,era giovanissimo, pover’omo… nel secondo bombardamento, non quello del 19 luglio. Tutti quantipensavano che qualcosa di grosso era successo, ma qualcosa di molto più grande doveva ancora av-venire…l’8 settembre del ‘43… Mia madre ciaveva tre fratelli e una sorella; uno era Gilberto, chelui era del ‘26, per cui in rapporto a mamma ciaveva 11 anni di meno, e mamma l’aveva un po’ cre-sciuto…E questo fratello, se diceva qualcosa Emma, non si spostava più, non c’era più discussione:

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    Emma Terracina Menasci insieme al primogenito Alberto.

  • Questo fratello di mia madre nel ‘43 aveva 17 anni… insieme ad altre tre o quattro persone vacome partigiano…si dirigono… era una mattina… era bello, un bellissimo figlio, i capelli neri tuttiondulati, bello… qualcuno lo definiva di una bellezza imbarazzante, e questo mi sembra l’aggettivoche lo definisce bene. Questo ragazzo arriva a casa, s’era rasato tutti i capelli e allora nonna Elviraje dice: “Gilbè, ch’hai fatto, tutti i capelli..” e lui: “M’hanno detto….”. “Tu ci hai successo co’ ledonne perché ciai tutti ‘sti capelli così neri…”. “Io gli ho detto damme dieci, cinquanta lire, che neso, io me li tajo tutti, m’ha dato i soldi, io me li so andati tutti a tajà”. Invece lui ch’aveva fatto? Luiaveva tutto accordato, la mattina dopo la mamma sul letto trovò la sua catenina d’oro, si tolse lasua catenina d’oro che ci aveva e andò a fa’ il partigiano, e fece le Quattro Giornate di Napoli. Sitrovò a settembre a Napoli, poi si trattenne un po’ di giorni, vennero addestrati a Brindisi, e poi siimbarcò e andò a fare il partigiano.

    Se vuoi sapere chi era l’altro, era un campione di boxe, si chiamava Settimio Terracina ed era natol’11 gennaio del 1917, era più piccolo di mamma di due anni. Pure quell’altro ragazzo sta a fa’ ilmilitare nel ‘38, ciaveva 21 anni, e lo cacciano via. Era campione di boxe, insomma tirava di boxe;prima era uno sport molto in voga, era molto praticato, e lo cacciano via dalla palestra (del CONI,n.d.i.). Quando l’hanno cacciato via dal militare, quando non aveva più una strada da poter seguire,non aveva più un punto di riferimento, il generale Mazzia gli propose di espatriare, di andare inAmerica. Lui prima disse che non avrebbe potuto perché non ciaveva il passaporto: “Come faccio?”.E quelli gli procurarono un passaporto e lui andò, nel marzo del ‘40, prese la valigetta d’emigrantee se ne andò, espatriò in America. È ritornato con la Quinta Armata; quando l’America entrò inguerra, gli chiesero che cosa avrebbe... o c’era il campo d’internamento perché era un nemico, eradi un paese in guerra, oppure c’era la cittadinanza americana e venire in Italia a combattere… E luinaturalmente prese la cittadinanza e venne con la Quinta Armata, fece lo sbarco in Sicilia, salì sua Napoli e poi venne a Roma, fece la campagna di Anzio e Nettuno, lì pure fu dura, eh, ebbe tantecose.. ‘sto figlio, ‘sto ragazzo… Ritornando a mio padre e mia madre, vuoi sapere se hanno conse-gnato qualche cosa per raccogliere i 50 chili d’oro. Quello che ciaveva; mamma andò lì, si tolse lafede, si tolse l’anello che poi mica era un anello di brillanti, come andavano, si tolse la catenina, enell’andare incontrò una sua cugina che ciaveva sei figli. Gli disse: “Che sei andata a da’ l’oro purete? Gli ho dato tutto”, je dice questa, “ e che vôi, nun je dò l’oro? E se me toccheno uno dei miei fiji,n’è peggio?” Il 16 ottobre l’hanno deportata co’ tutti e sei i figli, e col marito e co’ le sorelle…1

    Mi chiedi del 16 ottobre 1943. Prima del 15 ottobre, il 13 o il 14 ottobre il fratello… allora nonc’era rimasto più nessuno, quello era andato in Iugoslavia, quello era andato a fa’ il partigiano, lasorella più piccola ciaveva 5 anni di meno, stava a casa con i genitori e c’era un fratello grande, ilfratello più grande di mamma. Abitava in Prati lui, ciaveva un negozio a via Giuseppe Ferrari, ledisse: “Ecco le chiavi, guardate che uno di questi giorni circondano il Ghetto, come fanno in tuttii paesi, e fanno una retata, e portano via tutti…Tu”, rivolgendosi alla mamma e alla sorella, noi no,avevamo casa da un’altra parte, “andate via da Via Tribuna Campitelli”, dove i genitori Elvira e Al-berto Abramo Terracina e la sorella Luciana abitavano, “perché succederà così”. La sera del 15 ot-tobre mia mamma dice alla sorella: “Oh, ma guarda che t’ha detto che….”. “Ma fa freddo, stasera fafreddo...no…”. “Ma guarda che se Cesare t’ha detto d’annà lì, bisogna che ce vai, se vede che lui sa,capisce più de noi...”. Vuoi sapere dov’era questo appartamento dove dovevano andare? A via Gia-cinto Carini, su a Monteverde Vecchio. “Magari domani, va’…perché stasera fa freddo”. “Allora tu(si rivolge alla nonna Elvira, n.d.i..,) domani vai a casa e Luciana lasciamela qui a casa mia, m’ar-

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  • rangio io, non ti preoccupà”. Sai, prima, il fatto de dormì, di avere un letto, il divano, non era comeoggi che siamo tutti più… prima era ‘na cosa più normale, naturale… Se uno doveva rimanere acasa, se rimediava per poter dormire, e zia Luciana rimane a casa con mamma, lei (Elvira Terracina,n.d.i.) invece va a Via Tribuna Campitelli n. 12. Sarebbero dovute andare, zia Luciana e nonna enonno a via Giacinto Carini, ma siccome faceva freddo quella è andata da una parte, e l’altra sorellaa casa di mamma. Così il 16 ottobre, il signor Silvio, quello che poi è morto nel secondo bombar-damento di San Lorenzo (era il coinquilino di Via Monte della Farina, n.d.i.), rientra dentro casaverso le 6 – usciva presto, era un operaio, andava al Tiburtino – e bussa alla porta dei miei genitorie gli dice: “Sor Emma, sor Emma, in campana, che ce stanno i tedeschi in giro”.

    Allora tutti quanti, come tutti, si pensava che fossero per gli uomini, per i renitenti di leva o peril lavoro obbligatorio, o quello che era; perché purtroppo molti o alcuni... io ne conosco alcuni,poi non so se sono molti, si sono salvati, sono scappati pensando che fosse solo per gli uomini... In-vece poi la razzia è stata per tutti, per cui è stata una tragedia per tutti. Mi chiedi se avevano prepa-rato una via di scampo.Ah, sì… allora, noiabitavamo sempre lì avia Monte della Fa-rina al quarto piano,ciavevamo 4 piani, ipiani de ‘na vorta,ogni volta che biso-gnava andà’ su…e alsesto piano c’eranodelle soffitte e c’eranodelle famiglie che ciabitavano…Erano trefamiglie che ci abita-vano, in una di questefamiglie c’era unbuco nella soffitta, saicome erano fatte le sof-fitte? Ad un lato c’era un buco...l’avevano fatto questo buco, ma immetteva sui tetti di Sant’Andreadella Valle, perché via Monte della Farina è quella strada che va dai giardinetti di San Carlo, vadritto così e si sbuca a Sant’Andrea della Valle. Siccome papà insieme agli altri aveva lavorato perfare questo buco e davanti c’era un mobile, quando c’erano le retate e cercavano i renitenti di leva,cercavano i ragazzi – la notte, la sera, la notte non so – quando si sapeva, scendevano a pioggia gliuomini, i ragazzi…Perché passavano di lì e andavano da un’altra parte, me lo diceva sempre mamma,vedevi che proprio così… scendevano così, l’avevano aperto ‘sto buco, c’era un mobile davanti ecc……

    Il 16 ottobre mamma, la prima cosa che fa, cerca di dire a papà di salvarsi, pensando che fosse sol-tanto per gli uomini. Allora je dice: “Va su, va su da Marianna” – Marianna era l’affittuaria dellasoffitta dove c’era il buco, era una de Testaccio. “Ma va su, va su, che c’è er coso, ma tu nun te pre-occupà’ ”, e mamma spinge papà ad andare. Se papà faceva un po’ di resistenza? Non voleva lasciare

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    Foto delle gemelle Rina ed Alda Menasci.

  • la moglie co’ tre ragazzini, se c’è bisogno d’andare coi ragazzini come fa… Nel mentre fanno cosìentra un’altra signora, era del piano, era di Genazzano, dice: “Che fai sor Emma, ho visto che stannoa portà’ via tutti”. “Come tutti?”. “Sì, tutti!”. “Ma gli ommini….”. “Nooo, pure le donne, le creature,ho visto una, parlava un po’ burina, co’ ‘na panza così, li mettono sopra i camion, li stanno a porta’via tutti”. Allora la cosa prende un altro aspetto, allora mamma dice: “Mo’ mi’ madre?”. “Dove vai?”.“Vado a avvertì mi madre”. “Ma sei matta, esci così, i ragazzini, li lasci così, come facciamo?”. “Iovado”. Scende per le scale, mamma scende, nonna saliva contemporaneamente e gli dice di aver…Via Tribuna Campitelli è quella strada che va da via dei Funari, da via Arenula dritta dritta a VillaCaffarelli. Nonna, piangendo, gli dice che ha visto... che lei era passata dietro, non aveva fatto lavia Tribuna Campitelli, però aveva visto tutto quello che succedeva. “Ho visto mi’ cugina che l’-hanno presa ecc. ecc.”. Quindi c’è anche il problema della madre… mentre che è così, mio padrescende: “T’ho detto d’annà’ su, c’è er buco”. “Ma no, nun me va, io sto co’ te.”. Marianna, non… nongli aveva voluto aprì’… Mamma così fa queste due rampe de scale, allora c’erano due rampe, poic’era una scala lunga che arrivava fino su alla soffitta; arrivata ai piedi della seconda scalinata, entra,je fa: “Marià, sbrighete, sbrighete, aprije er buco che mi’ marito deve entrà’ ”. Allora quella dice:“Ah, Emmarè, nun se pô, e tu capisci, m’hanno detto che se uno aiuta l’ebrei, poi succede che li pi-jeno, li coseno, e poi denun…”. Mamma se ferma e je fa: “Apri! Perché quant’è vero che esiste Dio,tante lacrime faccio io pe mi’ marito, tante te ne faccio fa’ a te, io vado a denunciatte, tu fijo Attilioche era classe…che è renitente de leva... Apri!! T’ho detto apri!”. Quella apre subito, e papà perònon va perché vede una situazione che è troppo così… Apre, ma mamma riscende e sente dalle scaleche qualcuno la mette sull’avviso che ci sono i tedeschi per la strada, che stanno arrivando al portonedi via Monte della Farina, i tedeschi… Allora uno glielo dice: “Emma! I tedeschi!!”. Accennanoche so’ entrati nel portone, evidentemente…

    Allora mia madre prende in mano la situazione, si trova che papà non c’è, che una vicina di casaprende noi tre ragazzi, nonna e zia Luciana, apre una porta che era un’entrata a se stante dalla casadove stavamo noi, fa entrare tutti. Mamma dice no, io no: “Metteme dentro le creature”, poi mandavia tutti de casa… “Qui ce rimango io, annate via, annate via”, e caccia via tutti quanti. Se vuoi saperecom’era vestita, non era in camicia da notte, non me lo hai mai detto. Allora mamma caccia viatutti quanti da casa e c’era un motivo, perché la padrona di casa dove noi abitavamo, era una donnasplendida, buona fino… Però era malata di cuore e mamma cià paura, cià paura che vedendo i te-deschi, vedendo i cosi, i fucili, insomma una situazione tragica, magari se l’avessero un po’ costrettaavrebbe potuto, per paura, non per dire qualche cosa, denunciare… non lo so se avrebbe detto qual-che cosa, come faccio a saperlo? Se l’avesse fatto non sarebbe stato per cattiveria, ma per paura,questo è sicuro, ci adorava a tutti quanti. E così mamma rimane dentro casa; ogni volta che suona-vano, mamma sentiva: “No, su, su”, dicevano e mettevano i catenacci alle porte, e chiudevano tuttiquanti. Mamma lascia aperta la porta di casa. Aveva messo su una pentola vuota, senza manco l’ac-qua e faceva finta di sventolare con la ventola, mica c’era il gas, faceva finta di ravvivare il fuoco.Allora, ad un certo punto entrano dentro casa tutti insieme cinque tedeschi, cinque ragazzi tede-schi… lei si gira, con molta cosa... li guarda : “Ma che volete qua, voi che state a fa’ qua”. Alloraquesti glie danno in mano un foglietto, naturalmente c’erano scritti i componenti di tutta la nostrafamiglia, Alberto, Rina, Elda, papà e mamma prima, poi tutti e cinque”Con noi, con noi, pochigiorni, con noi”… Quello je toje il foglietto, gliene danno una altro e c’era scritto, ormai sono noti:portare con sé le chiavi di casa, le tessere annonarie, cibo, soldi, entro 20 minuti dovete essere pronti

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  • ecc..ecc.. E mamma lì per lì imbastisce ‘na bella storia: “No, no, no, questo”, je prende il foglietto,lascia questo, prende quell’altro “questo qui non c’è”. “Fuggito?”. “No fuggito, lavora”, e comincia adirgli “Lavora con auto” e lei, nella sua cosa, faceva questo gesto del volante, pensando che quellicapissero. Ma quelli non capivano…”Lavora con auto”. Quello la guarda… “Tu iuda? Iuda kaputt!”.“No, no io no juda, io no “, mamma ciaveva i capelli molto neri, però ciaveva gli occhi verdi e ciavevala carnagione molto chiara, non era come me, a me m’acchiappavano subito. “No, no”, e va avantico’ ‘sta storia, che papà lavorava co’ loro e che loro non erano fuggiti, collaboravano, i giudii checollaboravano coi tedeschi era ‘na bella storia, comunque questi qua non capivano.

    Arriva ‘na bambina che abitava nel palazzo, ciaveva 10 anni, era del ‘33 e je dice: “Sor È, sor È, cel’ho io er vocabolarietto, ce l’ho io”. Allora mia madre… che me l’avrà raccontato mille volte ‘stacosa..s’esprimeva sempre in questo modo: “Oddio, in quel momento ho detto Oddio, l’avrei am-mazzata, così, proprio così”, faceva questo gesto di disperazione,”mo’ me manda per aria tutto quelloche ho imbastito fino adesso”. Gli dà una guardata, “Aspetta aspetta” je fa a ‘sti tedeschi che stavano...va lì e prende ‘sto quadernuccio. Sai come si faceva allora nelle scuole, c’era la figura, c’era scritto“amico” in italiano, “amico” in tedesco, “la casa” in italiano, “la casa” in tedesco, tutte queste parolebasilari, che poi che ce servivano a noi? Nun s’è mai capito, comunque, mamma gli strappa ‘st’affareda mano, je dà ‘na guardata. “No”, dice, “quando l’ho visto, pensa no, forse m’ha salvato”... alloratrova sopra a questo... “amico”, “autocarro”.. co’ tre parole spiega il fatto, allora riacchiappa il fojetto,je fa vede il nome de mi padre e je dice: “Questo amico, lavora con auto, camerata, amico”. Quelloche hanno capito, io non lo so, co’ ‘ste due, tre parole come è andata avanti io non lo so… Però ilfatto è che si sono rasserenati e dice: “Mi guardavano un po’ sorridendo, con un altro sguardo e al-lora ja, ja, parlavano fra loro… poi io, mentre stavo così e cercavo de sorridere, pure se… vedo unoche se gira così e guarda la porta e allora dico questo vole andà via… “Ma voi dovete andare… prego,prego”. L’ho presi per le spalle e l’ho spinti là verso la porta, l’ha mandati verso la porta… Allora co-minciano a scendere.. mamma era bella e chi l’accarezzava, e chi mandava un bacio, e lei rispondevasorridendo, non finivano mai… quei dodici scalini erano diventati centoventi, non finivano mai,finché hanno girato e sono usciti… “A quel punto ce l’abbiamo fatta, per questa volta siamo salvi ecosì”, dice, “so’ cascata sopra una poltrona come una sacco di patate vuoto, svuotata di ogni energia,svuotata di forza vitale”.

    Nonna…al rientro...papà s’era messo sotto, nella guardiola, non aveva lasciato mamma e i bambini,ha detto: “Ma se succede qualcosa, come se fa? Io me salvo, ma i bambini…”, era andato sotto nellaguardiola del portiere, nella portineria, e s’era nascosto là dentro, e dice “Quando ha visto passarequesti tedeschi che erano soli, ha detto: “Ce l’ha fatta”, e così è salito su a casa e tutti quanti so’ salitie mio zio Cesare… “Emma! Presto, presto che stanno facendo la razzia”, veniva da Piazza Mazzini…“Càlmate!”. “Perché, qui nun sò venuti? Qua sò venuti?”. “Sì”. “E come hai fatto?” E jò risposto.“Chi? Io”. Quello la guardò. È andata, è andata. E allora zio Cesare dà le chiavi a mamma e je fa:“Vai a casa, a via Giacinto Carini, vai co’ tutti i figli, lascia tutto, cerca da salvatte perché qua nunc’è più gnente da fa’ ”. “Cesare, tu sei uno ch’ha sposato adesso, ciai ‘na casa nova, io ciò tre figli, trecreature”. “Nun ce stanno problemi. Rompi, sfascia…”. Vuoi sapere dove stava zio Cesare; stava aPrati, zia Ida aveva partorito nel ‘43 ad aprile, stava coi suoceri. E così ci siamo trasferiti in via Gia-cinto Carini. In quanti sono andati? Allora mamma, papà, i tre bambini, nonna Elvira e zia Luciana,tutti quanti (anche il nonno Alberto, n.d.i.). Dopo un po’, però, sono andati via come sfollati, hannopreso una casa in via Affogalasino. Perché avevano preso questa casa? Perché uno era andato da

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  • nonno e gli aveva detto:“Guardate che c’è questoGioia, che faceva parte dellabanda Antonelli, che va cer-cando vostro figlio Cesare. Si-gnor Alberto, via! Zio Cesareandò da questo una sera al bargli disse: “Senti, m’ hannodetto che me stai a cercà’.Quanto te danno se me de-nunci? Cinquemila lirÈ? Tiè,eccotene dieci e levati dai...sacri… “Poi so’ dovuti annàvia… “Fijo mio, annamovia..scappa via”…

    C’era uno che ciaveva ‘stacasa a via Affogalasino, era alCasaletto. “Abbiamo preso uncarrettino, abbiamo portatoun po’ de cose, siamo sfollati”,dice, “se ce poteva affittare ‘stedue camere…”. E questo gli hadetto de sì. Ce so andati gliuomini, c’è andato lui Zio Ce-sare, Alberto, papà, nonno enonna materna, sono andatilì… Soltanto che là è stataun’altre tragedia, un’altravolta...Perché quello che avevaaffittato la casa a via Affogala-sino a nonna… de tante per-sone… era uno che faceva parte della banda di Palazzo Braschi... torturatori, persecutori, tutto…Se mi ricordo come si chiamava? Come no! Si chiamava Michele Vacante, era uno dei torturatori,seviziatori, collaborava con i tedeschi, rapivano le persone a scopo di estorsione, rapinavano lecase... tutto quello che c’era di negativo di poter fare, questi lo facevano. Tanto è che io ho fattouna ricerca... mia madre ne parla sempre de questo Michele Vacante, ma chi è? Vado su Internet e…Michele era un siciliano, ciaveva un quarantaquattro, quarantacinque anni, era un cinquantino,come dice Montalbano, era un arrogante. Io faccio, io dico… Quando giocavano a carte non volevamai perde, allora nonno e papà e zio Cesare, secondo co’ chi giocava, se facevano l’occhietto, se fa-cevano un cenno d’intesa, non lo so, lo facevano vince. E che vôi, che lo facevano perde? Questos’arrabbia poi… Comunque questo qui aveva preso molta simpatia per nonna, perché diceva cosìche assomigliava alla vecchia sua che aveva lasciato in Sicilia, la sua mamma. E allora diceva a nonna,carina pure lei, era una sbirra di una personalità, guarda, meno che nonno Alberto, tutti gli altri

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    erano di carattere molto deciso, forte, nonno no, era un pecorone... L’aveva presa molto a benvo-lere… “La posso chiamare mamma?”. “E chiameme mamma”, lei accettava così… Questa grandesimpatia che Michele aveva per nonna Elvira… nonna accettava, perché non aveva scelta.

    Disgraziatamente, un giorno, mentre stavano in questa casa, vedono entrare una che si sapeva cheera una spia. Era un’ebrea, la chiamavano l’Incipriata, si chiamava Enrica Di Porto. E così un giornoarriva l’Incipriata, si gira, entra dentro; c’era, così me l’hanno spiegato, c’era una specie di giardinettoe poi c’era una scala e si entrava dentro alla casa. Entra dentro questo giardinetto, vede nonna checonosceva e gli dice: “Ciao, Zia Elvì’ ”, chiamandola per nome e sale e va su. Papà sta anche lì e vadal fratello di mamma, Cesare, e gli dice: “Guarda che qui è arrivata l’Incipriata e ci ha ricono-sciuto… Che si fa?” Allora papà: “Ammazzamoli (ride), ammazzamoli”. “E come li ammazzamo?”“E lì c’è un albero, facciamo una buca, la notte…”. “Càlmate”, je dice zio Cesare, “càlmete, ragioniamoprima, ammazzà’ nun se pô, fa una cosa…” - quella intanto era entrata dentro casa. “Vai ad origliarequello che dicono”. Allora papà, quatto quatto va lì ad origliare e sente che parlano di indirizzi,perché lui (Michele Vacante, n.d.i.) gli chiede: “Non ci sono gli indirizzi!”. Ritorna indietro, stannoparlando di indirizzi, si vede che allora è confidente sua, cercano di tirare delle conseguenze.. Allorache si fa? Certo si organizzano. Allora nonna Elvira, che come t’ho detto era ‘na vecchierella tosta,prende, sale, bussa alla porta, entra senza aspettare e Michele vede nonna e je dice:“Mamma, chehai fatto?”. E lei: “Ti devo parlare”. “Ma adesso? Dopo”. “No, ti devo parlà’ subito”. Si mette sedutae gli confessa tutto. Gli dice: “Michele, non è vero che so una sfollata de Albano, io so ‘na famigliad’ebrei, io so ‘na povera madre che ho perso tanti figli, adesso m’è rimasto solo questo”, perché c’erasolo zio Cesare, solo ‘sto figlio qui a casa. “Michele non me fa avé’ il dolore de levamme... io m’am-mazzo, non lo sopporto”. Insomma io lo dico con il pathos, lei l’avrà detto di più, è la realtà di quelloche stava avvenendo, la disperazione in tutto e per tutto. E in quell’occasione il Michele Vacante,nonostante facesse parte della Banda Koch, no di Palazzo Braschi…. ma era collegata… fu una per-sona umana, perché je disse: “Fino a che tu stai qui, nessuno ti torcerà un capello”, poi c’era lei e jese gira. “Che, io?” e lei cerca de giustificarsi, “ma te pare? Sai queste cose così…”. Quello si toglie lapistola dalla fondina, gliela mette in testa e je dice: “Solo tu sai che questa famiglia sta qui, se gliviene fatto qualcosa io ti faccio saltare le cervella”. “Ma no, ma figurate”.

    Allora questa va via, e il fatto è che Michele Vacante nonostante abbia passato processi per deifatti efferati, che aveva fatto in tutto e per tutto, in quel tempo, l’hanno condannato a dodici annidi carcere… Nel 1946, al processo del Fascio romano, l’hanno condannato a dodici anni e otto mesi,gli avevano dato dei capi d’accusa pesantissimi. E lui chiese a nonna di fare la testimonianza che luili aveva salvati, e nonna la fece, giustamente; evidentemente anche questo aveva contribuito a ri-durre la pena... insomma il fatto è che Michele Vacante ha salvato la famiglia Terracina, c’era purelui (Rina Menasci indica il fratello Alberto, n.d.i.), lui diceva io vado con gli uomini, era piccolo,aveva quattro anni e allora papà se lo portava dietro. Mi domandi se ricordo l’entrata delle truppealleate a Roma il 4 giugno. Ricordare no perché tutto quello che io ho raccontato era soltanto…Naturalmente ora fanno parte di noi, nel DNA ce l’abbiamo, sono i discorsi che abbiamo sentitoripetutamente dai miei genitori. Mamma quando vide… papà prese in braccio una delle gemelle,mamma prese l’altra e uscirono da casa per vedere l’arrivo degli Alleati… che poi io ho visto l’esercitotedesco in rotta, tutti stracciati che però andavano su al Nord e andando al Nord si sono bene ri-focillati, bene riarmati e hanno fatto durà’ la guerra ancora dieci mesi da giugno del ‘44 all’apriledel ‘45. E così finisce la guerra.

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    Un uomo ingegnoso dalle mani d’oro

    Ah, me so’ dimenticata de raccontarte un fatto. Perché mio padre non aveva mai voluto prenderela tessera del Fascio? E perché era così antifascista? Perché mio padre quando ciaveva tredici, quat-tordici anni, nel ‘23 o nel ‘24, non lo so … il 28 ottobre era il compleanno della sorella immediata-mente più grande di mio padre che era del 1908. Questa ragazza fa il compleanno in questo periodo,e la famiglia di mia nonna paterna, la invita a casa a festeggiare il compleanno de zia, se chiamavaRosina. Rosa e mamma, nonna paterna e queste due figlie vanno a questa casa a festeggiare. Si faun po’ tardi, allora mio nonno, il padre de papà, dice a mio padre che già lo considerava grandino– ciaveva tredici, quattordici anni, era magro come un chiodo, è sempre stato, mia madre je dicevache era alto e snello come un levriero – dice: “Va un po’ incontro a tua madre, che nun se vedono,a quest’ora…”. E papà esce de casa e va verso il bar… alla Consolazione... comunque, mentre che staandando, sente che arrivano le squadre dei fascisti che festeggiavano il 28 ottobre, la Marcia suRoma, coi canti, ubriachi come cocuzze. Ad un certo punto, coi coltelli in bocca, sentono tutti ‘sticanti, quelli che stavano per la strada, scappeno, chi scappa da ‘na parte, chi scappa da ‘n’altra parte;c’era ‘na trattoria, un’osteria, tira giù la saracinesca, non si accorge, spero che non si fosse accortoma non c’era alcuna ragione per non fare entrare un ragazzino... chiude e lui rimane fuori. Arrivanoqueste squadracce di fascisti, vedono ‘sta creatura di quattordici anni, ma... che cosa voi che te faccia,lo gonfiano de botte, coi manganelli, co’ le cose, l’hanno ridotto per terra... ‘sta creatura cade perterra svenuta eccetera, uno lo guarda: “Eh, ma bisogna daje il colpo de grazia”, tira fori la pistola,gliela mette alla tempia, siccome era ubriaco e non cià preso bene, ha sparato il colpo, ma il colpoinvece de darlo così, l’ha dato così (fa il gesto, n.d.i.), per cui papà ciaveva qui sulla tempia un solcodel proiettile che j’era passato qui e che non l’aveva colpito, ringraziando Dio.

    Ritorna nonna... “Un macello, hanno ammazzato un regazzino…”. “Ma come. un ragazzino…”.“Sì, hanno ammazzato un regazzino le squadre dei fascisti… la Marcia su Roma”. Va lì e vede cheera il figlio che naturalmente stava per terra, che non riprendeva più... il padre, il papà di papà, loportò alla Consolazione, c’era un ospedale lì vicino, era mostruoso, gli aveva fatto una testa così,tanto era gonfio e gli diceva: “Dillo chi è stato! Dimmelo!” Ma come faceva un regazzino di quat-tordici anni? E poi erano tutti neri, tutti uguali, tutti ubriachi, chissà che cosa non avevano fattoin giro per Roma, si sentivano forti e… quindi mio padre era sempre stato, da quel giorno, sempre,anche quando andò a lavorare all’ATAG, gli mandavano la cartolina rosa, ma lui alle adunate nonci andava, lo mandavano a prendere a casa, ‘na volta gli diedero uno schiaffo. A Piazza Veneziaquello parlava, parlava il grande capo, lui stava lì, scostato e lui non s’è levato il cappello e uno dadietro... ma lui è sempre stato così. Finisce la guerra, lui fa un po’ de mestieri così, poi dice: “Ma ioritorno a lavorare all’ATAG”. E sai, il dopoguerra era un periodo di speranze ma anche difficile ri-cominciare tutto, e quindi ritorna a lavorare all’ATAG dove ha lavorato fino alla pensione. Allorasi andava via il giorno del compleanno e il giorno dopo venivano posti in pensione, “Mi mettotutto vestito bene, porto lo champagne..” e invece la mattina ritornò a casa che era avvilito. Era av-vilito perché ha detto ho lasciato tutto, va bene che cià campato poco dopo che è andato in pen-sione, ma papà faceva un lavoro pesante, lui lavorava di notte, così ciaveva la diaria notturna, cosìsi andava avanti un pochino meglio. Era un gran lavoratore, la mattina andava a lavorare, ad aggiu-stare le biciclette, lavorava molto, però quando andò via dal posto di lavoro cià campato ancora 12anni.

    Nel ‘47 è nata Ornella. Allora, nel ‘47 noi stavamo sempre a via Monte della Farina 56, poi ce fac-ciamo tutti grandi e verso i quindici, sedici anni abbiamo cominciato ad andare ognuno per la sua

  • Memorie in Comune

    strada, siamo andati a lavorare e Alberto, mio fratello va a fare il militare e mia mamma dice: “Mo’che ritorna da fa’ il militare, è ragazzo, ma ritorna un uomo, come faccio io co’ tutta la famiglia?”.E così prendemmo la grande decisione, ci spostammo, andammo ad abitare sempre a Via Montedella Farina, però al numero 30, molto più grande, ciaveva la camera de mamma, la camera dapranzo, una per noi due ragazze, una per Alberto, bagno, cucina. Insomma un salto, noi eravamodiventate un po’ più grandi, potevamo collaborare e quindi... Papà ciaveva 72 anni quando è morto,è morto il 4 febbraio dell’82. Vuoi sapere dell’onorificenza che è stata data a mia madre? QuestaCommenda della Repubblica gli è stata data, gliel’hanno consegnata a maggio… forse il 2 giugno?A giugno del 2005… fece una richiesta Georges (de Canino, n.d.i.), un nostro amico. Tramite PietroAmendola gli v