Dall'aula alla Stampa!

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ANNO XV NUMERO 43 - PAG X IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 20 FEBBRAIO 2010 di Fabiana Giacomotti I l catalogo della mostra che tutti vor- rebbero vedere si trova su Internet, regno incontrastato della frode e del falso storico come s’è dimostrato di re- cente per una foto contraffatta di Sa- rah Palin che ha tratto in inganno tut- ti i quotidiani (non le modaiole però, che avevano subito sgamato la petti- natura fuori moda e fuori misura, da tipico montaggio fotografico), e reca un verosimile logo della fondazione Louis Vuitton: “Un’originale storia sul falso”. Un percorso curatissimo, inte- rattivo, certo non mirato a educare ma piuttosto a sondare i rapporti fra vero e falso e soprattutto le tante sfumatu- re della contraffazione, materia a cui, per propria sfortuna, la maison fran- cese riserva più di un punto percen- tuale del proprio fatturato annuale fra cause, denunce e spettacolari roghi. Racconta, il catalogo, di una sala dedi- cata a William Turner e al suo geniale copista Eric Hebborn, che fece am- mattire i critici e gli esperti nel Nove- cento prima di finire assassinato; di un’altra sala dedicata a Jan Veermer e al falsario Van Meegeren che riempì di discepoli di Emmaus e vedute di Delft i salotti dei nazisti, quindi di uno spazio per Renoir ma anche per i maestri falsari onesti come i tre fratel- li russi Posin, Mikhail, Evgeni e Semjon, che realizzano splendidi Van Gogh forniti di regolare certificato di vera falsa autenticità, al contrario de- gli originali che possono vantare solo la pezza d’appoggio di qualche critico. E infine, lungo una tradizione inaugu- rata in Francia oltre centocin- quant’anni fa e tramandata persino dai grandi magazzini alla Bon Marché, un atelier ricostruito ad hoc perché vi accolga i visitatori, ma solo se ispirato e “con la vena artistica ben fertile”, il copista italo-polacco Robert Stipczyƒski. La mostra che esplora i confini fra l’arte e la pratica della mi- mesi, è naturalmente un falso, come il copista italo-polacco in house. Per me- glio dire, la mostra è un’idea, un pro- getto universitario uscito dallo Iulm, sotto la docenza di Philippe Daverio. Un pensiero, che forse diventerà realtà e verità. Molto probabilmente no. E non ha alcuna importanza. Il go- dimento di quella mostra che nulla ha di immediato se non il presumibile sforzo economico di una sua eventua- le attualizzazione (il progetto parla del 2012, data in cui dovrebbe essere inaugurata la sede della Fondazione, progetto dell’archistar Frank O. Gehry nelle ex usines Renault, al Bois de Boulogne) è già sufficiente nel pensie- ro, in ipotesi, soprattutto di questi tempi. Volendo buttarla nel gergo del marketing, si potrebbe dire che il 2010 si è già posizionato come l’anno della mistificazione al potere, ma soprattut- to della sua consacrazione museale. Falsi d’autore, falsi numismatici, falsi filatelici, con una decisa declinazione per il trompe l’oeil, che del falso è la rappresentazione più sorprendente, più divertente e, nella sua sfacciatag- gine, meno inquietante, come dimo- stra anche l’interesse che la chiesa ha sempre riservato alla tecnica e se per caso un pomeriggio aveste niente da fare e vi trovaste a Milano, mettete la testa dentro il cancello di Santa Maria presso San Satiro, all’angolo di via Speronari e via Torino, a Milano, e provate a non rimanere senza fiato di fronte all’incredibile finta abside del Bramante, dieci metri di profondità inventati su una parete. Osservava la netta deriva dell’umanità sulla valo- rizzazione del falso come estrema for- ma di democrazia anche Beppe Di Corrado dalle colonne del Foglio di due sabati fa, e in effetti non si sa be- ne come valutare la Bibba di Borso d’Este in copia anastatica per le edi- zioni Panini: un bene per l’umanità tutta o l’estrema conseguenza della ri- producibilità dell’arte secondo la filo- sofia di Marcel Duchamp? A due anni dalla crisi del sistema bancario e da una risposta forse insuf- ficientemente rigorosa da parte dei go- verni, Washington in testa, falso e mi- stificazione non hanno mai goduto di miglior fortuna né, probabilmente, ri- scontrato un uguale interesse nella storia. Non è certamente solo perché il mercato della contraffazione e del fal- so, in Italia che ne è un po’ la capolista internazionale, abbia raggiunto i 18 miliardi di euro nel 2009, se i diparti- menti della polizia valutaria di Firen- ze e di Londra sembrano aver preso il posto dei curatori museali e se i più quotati artisti internazionali trovano uno straordinario gusto nel copiarsi sfacciatamente l’un l’altro, e persino in terza battuta, come nel caso del famo- so “Balloon Dog” di Jeff Koons, rein- terpretato prima da un artista sudco- reano, e poi dalla scultrice tedesco-ira- niana Claudia Djabbari, che l’ha espo- sto a Frieze 2009 raccogliendo applau- si e consensi. E’ che il falso di genio, o anche il fal- so vittorioso tout court, nell’epoca del- l’incertezza non può che rappresenta- re un appiglio, una seconda possibi- lità, o meglio un’alternativa alla triste banalità del vero. Se Claudia Djabba- ri fosse nata nella Germania del XVI secolo, e non una quarantina d’anni fa, il suo imperatore Carlo V l’avrebbe in- chiodata a un palo per le orecchie, che era la pena inflitta ai falsificatori e ai mistificatori, mentre qualche bandito- re ne avrebbe affisso sui muri delle strade e quindi declamate ad uso degli analfabeti le ragioni. Ora, il mercato dei falsi d’autore viene discusso sulle riviste di settore e non è più una mani- festazione di grettezza borghese, ma una piacevole eccentricità, farsi realiz- zare una copia del quadro veramente importante appena ereditato. Certo, si era partiti con altri obietti- vi. Come nel caso dei travestimenti, sulla questione dei falsi o delle copie la Bibbia è sempre stata per esempio parecchio formale (“Non costruirai immagini scolpite nella pietra che ab- biano somiglianza con le cose che so- no alte nei cieli e basse sulla terra”, Esodo 20,4), e anche il diritto romano, con la legge Cornelia, nota tuttora agli studenti di giurisprudenza come “la de falsis” era andato piuttosto pesan- te: galera e onorevole ammenda per tre anni alla prima condanna, ai remi tutta la vita per la recidiva, e chissà che cosa sarà successo al fabbricante di falsi vini del famoso produttore ro- mano “M.C. Lassius” le cui anfore, scritte però in caratteri osci, genere i “fettuccini” che si acquistano adesso nei supermercati di Manhattan, venne- ro alla luce anni fa durante un’immer- sione del team di Costeau. Non fosse stato per un intervento le- gislativo francese dell’epoca di Napo- leone III, che derubricava il crimine di contraffazione e falso modificandolo nel ben più facilmente gestibile delit- to, e per una serie di analoghe iniziati- ve nel resto dell’Europa, nessuno tro- verebbe così divertente, così astuto e così fico far quattrini sull’onda della creatività e del rischio imprenditoria- le altrui, che è il motivo per cui Miuc- cia Prada, mecenate per passione e di larghe vedute, s’è trovata un po’ spiaz- zata quando l’artista cinese Cao Fei, un tipetto che applica la propria ambi- zione smisurata a installazioni in pro- porzione e tutte ufficialmente mirate a denunciare i danni del consumismo, ha annunciato di voler costruire una falsa fabbrica Prada in patria. “Bella idea”, ha commentato secca la signora su “Art newspaper”, “non fosse che la contraffazione è già un bel problema, e molto reale, per il nostro marchio”. Avesse aggiunto che buona parte dei falsi tascapane e delle borsine in ny- lon Prada in circolazione sul mercato sono già cinesi (l’altra metà italiane, ça va sans dire), avrebbe ridotto Cao Fei al silenzio. Se ha preferito non insiste- re, è con ogni probabilità perché, al di là di ogni mecenatismo effettivo o a de- clinazione marketing, il mercato cine- se rappresenterà nei prossimi anni il primo sbocco per i marchi del lusso occidentale, perché Prada realizza più di un componente delle proprie linee fra Pechino e Guangzhou, e perché Pa- trizio Bertelli ha sempre sostenuto che il valore di un marchio dipenda dalla creatività che è in grado di generare e non necessariamente dal suo sito pro- duttivo, mettendo dunque in discussio- ne il principio già largamente e gene- ricamente disatteso del made in Italy. Filosoficamente, ma soprattutto uma- namente privo di confini certi (“Nulla è vero o falso, ma è il pensarlo che lo rende tale”, dice il Cesare di Shake- speare ad Antonio prima di raggiunge- re il Senato dove lo aspettano coi pu- gnali sotto la toga, e anche dopo i ven- titré colpi la sua morte verrà definita come la caduta di un simbolo, come l’abbattimento del potere che è innan- zitutto rappresentazione, dunque si- mulacro), il falso, e soprattutto il falso ben riuscito, ha caratteri di fascinazio- ne tali che non si capisce come mai qualcuno si aspetti ancora che la sua esibizione possa diventare un monito e non trasformarsi in un suggerimento. “Speriamo che mettendo in luce qual- cuna delle tecniche in uso, la gente im- pari a guardarsi dalle patacche e, ma- gari, a denunciarle”, spiegava qualche settimana fa il sergente detective Ver- non Rapley dell’unità arte e antiqua- riato di Scotland Yard dalla hall del Victoria&Albert Museum dov’è stata appena inaugurata la grande mostra sui falsari, e il pensiero correva dritto, accompagnato da una botta di buonu- more, a Totò e Peppino che stendono i biglietti da diecimila ad asciugarsi sul- le corde da bucato, più che all’essenza della questione o persino alla sua tri- ste testimonianza storica, per esempio alle sterline false fatte riprodurre dai tedeschi nel 1943 nel campo di concen- tramento di Sachsenhausen ed espo- ste qualche mese fa al Museo Archeo- logico di Firenze, oppure alla cartamo- neta prodotta nell’ultima guerra mon- diale dagli americani in vista dell’oc- cupazione dell’Italia (le famose AM Li- re di cui ancora qualche mamma ri- corda l’uso e le fantastiche tazze di cioccolata Motta col cucchiaino in fon- dente che permisero di concedersi do- po anni di merende a carrube). Ogni collezione nummaria che si rispetti, e i musei non fanno eccezione, esibisce con orgoglio, uno accanto all’altro a te- stimonianza della sagacia del curatore e degli esperti, i falsi e gli autentici, e persino gli spettacolari roghi di griffe false organizzati dagli organismi anti- contraffazione nelle strade delle capi- tali europee (perlopiù Parigi, che non ha evidentemente perso il gusto per l’apparato della place de Grève) si ac- compagnano alla diffusione di cifre mirabolanti, che ammantano la falsifi- cazione di un’aura romantica, per non dire eroica. Il prossimo giugno, quan- do la National Gallery di Londra inau- gurerà una seconda mostra sui falsi, questa volta d’arte (“Close examina- tion: fakes, mistakes and discoveries”), il pezzo forte sarà un falso Holbein, “L’uomo col teschio”. I goliardi livornesi dei falsi Modi- gliani vennero pubblicamente puniti e segretamente ammirati, e non ci sono dubbi che nell’esposizione del Victo- ria&Albert Museum, il ruolo di prota- gonista non spetti alle opere esposte o tantomeno ai detective, ma a Shaun Greenhalgh, il propulsore di quella fabbrica famigliare di falsi d’arte che fra il tra il 1989 e il 2006, da una caset- ta della periferia di Manchester, fece uscire oltre 120 pezzi pregiati per un controvalore di 14 milioni di euro. Abilmente ricostruita (falsificata?) dai media, al momento dell’arresto la per- sonalità di Shaun emerse così prepo- tente che il British Museum, la sua vit- tima più prestigiosa, non se ne ebbe neanche troppo a male: tutto sommato, erano o non erano stati fregati da un artista di valore, dichiaratamente spinto non dalla brama di ricchezza, ma dalla volontà di rivincita contro il mondo cinico e crudele che non aveva riconosciuto il suo talento? In pratica, Shaun era un nuovo conte di Montecri- sto: aveva solo contato male i rintocchi dell’orologio per presentarsi vindice al cospetto dei suoi detrattori, ecco. C’è un unico falso su cui il mondo sembra non transigere, ed è quello sa- nitario, medicinali e affini, che persi- no dall’analisi delle pubblicità raccol- te tutte nelle ultime pagine delle rivi- ste risultava in crescita attorno ai pri- mi del Novecento, anni di boom de- mografico e di una prima espansione economica che oggi si definirebbe glo- bale, e che risulta nuovamente in cre- scita ora. In secondo ordine arrivano i giocattoli, con il loro corredo di verni- ci tossiche. Tutto il resto viene consi- derato un peccato veniale, persino un diritto. Comunque, un divertissement. Per le modaiole che vivono nel cul- to di Audrey Hepburn, il falso è per l’appunto quella faccenda elegante e altamente sensuale per cui può capi- tarti di dover recuperare una finta Ve- nere del Cellini nascosta in in uno sga- buzzino con Peter O’Toole che ti acca- rezza sopra ma soprattutto sotto l’abi- to di Givenchy, scena clou di un filmet- to degli anni del declino di William Wyler, “Come rubare un milione di dollari e vivere felici”, oppure il finto Van Gogh della sequenza di “Un’otti- ma annata” in cui Russell Crowe capi- sce che non può vivere nella dissimu- lazione nella City di Londra ma nella verità della Provenza profumata di la- vanda con l’amore della prima infan- zia miracolosamente ritrovato (e chis- senefrega se quella Francia non esista più neanche nell’enclave del Luberon: che cosa c’è di più vero e confortante di un falso cinematografico?). Falsa, e verissima, è la trattativa condotta a tar- da sera fuori da un ristorante di Brera, quando, complici i fumi dell’alcol, an- che la più sfacciata copia Vuitton esposta sopra un lenzuolo a fiorami ac- quista i tratti del pezzo autentico e il suo possesso il profumo della trasgres- sione (fra Rapallo e Santa Margherita c’è un ivoriano laureato in Legge che, battendo gli stabilimenti balneari con costanza da quindici anni a questa parte, ha mantenuto e allargato la fa- miglia: offre pezzi discreti, non si of- fende e non questua se si acquista nul- la e scusate se non ne citiamo il nome ma è un po’ un parente, e comunque si tratta di un nome di battaglia, come quello dei gladiatori). Sappiamo tutti perfettamente che i denari in cui noi quietiamo la nostra voglia di stupire, di sentirci al tempo stesso intellettual- mente sofisticati e moralmente furbet- ti, finiranno a sostenere la prostituzio- ne e il traffico di droga, ma bene o ma- le, almeno una volta, il brivido dell’in- cauto acquisto vogliamo provarlo tutti. Emozioni da poco, come direbbe Anna Oxa, una che di suo ha cambiato aspet- to almeno sei volte, perdendo ogni contatto con quel barlume di verità che è il proprio aspetto naturale e dunque ogni speranza di fissarsi nella memoria collettiva per qualcosa di di- verso oltre alla voce. Il catalogo della mostra fiorentina “Il vero e il Falso” è stato invece stam- pato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello stato su carta speciale, filigrana- ta e con filo di sicurezza. E’ totalmente vero, molto noioso. IL BELLO DEL F ALSO La copia,specie se d’autore,è un’alternativa alla triste banalità del vero E i marchi più taroccati della moda sponsorizzano mostre celebrative L’artista cinese Cao Fei ha annunciato l’intenzione di costruire in patria una falsa fabbrica di Prada. Miuccia ha abbozzato Per le strade delle capitali europee si organizzano spettacolari roghi di merci contraffatte. Mentre i musei aprono le porte ai falsi d’autore I tre fratelli russi Posin, Mikhail, Evgeni e Semjon, realizzano splendidi Van Gogh forniti di regolare certificato di vera falsa autenticità C’è un unico settore dove la falsificazione è ancora deprecata, quello dei medicinali. L’esempio di Audrey Hepburn per le modaiole Una modella con un trucco molto particolare (foto Reuters)

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"Originale storia sul falso": un progetto universitario di due studenti IULM pubblicato dopo esame su slideshare (http://bit.ly/5NDHls) esattamente un mese dopo diventa ogetto di un articolo di giornale! Ecco l'articolo scritto da Fabiana Giacometti e pubblicato il 20 febbraio 2010 sul "Foglio".

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ANNO XV NUMERO 43 - PAG X IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 20 FEBBRAIO 2010

di Fabiana Giacomotti

Il catalogo della mostra che tutti vor-rebbero vedere si trova su Internet,

regno incontrastato della frode e delfalso storico come s’è dimostrato di re-cente per una foto contraffatta di Sa-rah Palin che ha tratto in inganno tut-ti i quotidiani (non le modaiole però,che avevano subito sgamato la petti-natura fuori moda e fuori misura, datipico montaggio fotografico), e recaun verosimile logo della fondazioneLouis Vuitton: “Un’originale storia sulfalso”. Un percorso curatissimo, inte-rattivo, certo non mirato a educare mapiuttosto a sondare i rapporti fra veroe falso e soprattutto le tante sfumatu-re della contraffazione, materia a cui,per propria sfortuna, la maison fran-cese riserva più di un punto percen-tuale del proprio fatturato annuale fracause, denunce e spettacolari roghi.Racconta, il catalogo, di una sala dedi-cata a William Turner e al suo genialecopista Eric Hebborn, che fece am-mattire i critici e gli esperti nel Nove-cento prima di finire assassinato; di

un’altra sala dedicata a Jan Veermere al falsario Van Meegeren che riempìdi discepoli di Emmaus e vedute diDelft i salotti dei nazisti, quindi di unospazio per Renoir ma anche per imaestri falsari onesti come i tre fratel-li russi Posin, Mikhail, Evgeni eSemjon, che realizzano splendidi VanGogh forniti di regolare certificato divera falsa autenticità, al contrario de-gli originali che possono vantare solola pezza d’appoggio di qualche critico.E infine, lungo una tradizione inaugu-rata in Francia oltre centocin-quant’anni fa e tramandata persinodai grandi magazzini alla Bon Marché,un atelier ricostruito ad hoc perché viaccolga i visitatori, ma solo se ispiratoe “con la vena artistica ben fertile”, ilcopista italo-polacco RobertStipczyƒski. La mostra che esplora iconfini fra l’arte e la pratica della mi-mesi, è naturalmente un falso, come ilcopista italo-polacco in house. Per me-glio dire, la mostra è un’idea, un pro-getto universitario uscito dallo Iulm,sotto la docenza di Philippe Daverio.Un pensiero, che forse diventeràrealtà e verità. Molto probabilmenteno. E non ha alcuna importanza. Il go-dimento di quella mostra che nulla hadi immediato se non il presumibilesforzo economico di una sua eventua-le attualizzazione (il progetto parladel 2012, data in cui dovrebbe essereinaugurata la sede della Fondazione,progetto dell’archistar Frank O. Gehrynelle ex usines Renault, al Bois deBoulogne) è già sufficiente nel pensie-ro, in ipotesi, soprattutto di questitempi. Volendo buttarla nel gergo delmarketing, si potrebbe dire che il 2010si è già posizionato come l’anno dellamistificazione al potere, ma soprattut-to della sua consacrazione museale.Falsi d’autore, falsi numismatici, falsifilatelici, con una decisa declinazioneper il trompe l’oeil, che del falso è larappresentazione più sorprendente,più divertente e, nella sua sfacciatag-gine, meno inquietante, come dimo-stra anche l’interesse che la chiesa hasempre riservato alla tecnica e se percaso un pomeriggio aveste niente dafare e vi trovaste a Milano, mettete latesta dentro il cancello di Santa Mariapresso San Satiro, all’angolo di viaSperonari e via Torino, a Milano, eprovate a non rimanere senza fiato difronte all’incredibile finta abside delBramante, dieci metri di profonditàinventati su una parete. Osservava lanetta deriva dell’umanità sulla valo-rizzazione del falso come estrema for-ma di democrazia anche Beppe DiCorrado dalle colonne del Foglio didue sabati fa, e in effetti non si sa be-ne come valutare la Bibba di Borsod’Este in copia anastatica per le edi-zioni Panini: un bene per l’umanitàtutta o l’estrema conseguenza della ri-producibilità dell’arte secondo la filo-sofia di Marcel Duchamp?

A due anni dalla crisi del sistemabancario e da una risposta forse insuf-ficientemente rigorosa da parte dei go-verni, Washington in testa, falso e mi-stificazione non hanno mai goduto dimiglior fortuna né, probabilmente, ri-scontrato un uguale interesse nellastoria. Non è certamente solo perché ilmercato della contraffazione e del fal-

so, in Italia che ne è un po’ la capolistainternazionale, abbia raggiunto i 18miliardi di euro nel 2009, se i diparti-menti della polizia valutaria di Firen-ze e di Londra sembrano aver preso ilposto dei curatori museali e se i piùquotati artisti internazionali trovanouno straordinario gusto nel copiarsisfacciatamente l’un l’altro, e persino interza battuta, come nel caso del famo-so “Balloon Dog” di Jeff Koons, rein-terpretato prima da un artista sudco-reano, e poi dalla scultrice tedesco-ira-

niana Claudia Djabbari, che l’ha espo-sto a Frieze 2009 raccogliendo applau-si e consensi.

E’ che il falso di genio, o anche il fal-so vittorioso tout court, nell’epoca del-l’incertezza non può che rappresenta-re un appiglio, una seconda possibi-lità, o meglio un’alternativa alla tristebanalità del vero. Se Claudia Djabba-ri fosse nata nella Germania del XVIsecolo, e non una quarantina d’anni fa,il suo imperatore Carlo V l’avrebbe in-chiodata a un palo per le orecchie, cheera la pena inflitta ai falsificatori e aimistificatori, mentre qualche bandito-re ne avrebbe affisso sui muri dellestrade e quindi declamate ad uso deglianalfabeti le ragioni. Ora, il mercatodei falsi d’autore viene discusso sulleriviste di settore e non è più una mani-festazione di grettezza borghese, mauna piacevole eccentricità, farsi realiz-zare una copia del quadro veramenteimportante appena ereditato.

Certo, si era partiti con altri obietti-

vi. Come nel caso dei travestimenti,sulla questione dei falsi o delle copiela Bibbia è sempre stata per esempioparecchio formale (“Non costruiraiimmagini scolpite nella pietra che ab-biano somiglianza con le cose che so-no alte nei cieli e basse sulla terra”,Esodo 20,4), e anche il diritto romano,con la legge Cornelia, nota tuttora aglistudenti di giurisprudenza come “lade falsis” era andato piuttosto pesan-te: galera e onorevole ammenda pertre anni alla prima condanna, ai remitutta la vita per la recidiva, e chissàche cosa sarà successo al fabbricantedi falsi vini del famoso produttore ro-mano “M.C. Lassius” le cui anfore,scritte però in caratteri osci, genere i“fettuccini” che si acquistano adessonei supermercati di Manhattan, venne-ro alla luce anni fa durante un’immer-sione del team di Costeau.

Non fosse stato per un intervento le-gislativo francese dell’epoca di Napo-leone III, che derubricava il crimine dicontraffazione e falso modificandolonel ben più facilmente gestibile delit-to, e per una serie di analoghe iniziati-ve nel resto dell’Europa, nessuno tro-verebbe così divertente, così astuto ecosì fico far quattrini sull’onda dellacreatività e del rischio imprenditoria-le altrui, che è il motivo per cui Miuc-cia Prada, mecenate per passione e dilarghe vedute, s’è trovata un po’ spiaz-zata quando l’artista cinese Cao Fei,un tipetto che applica la propria ambi-zione smisurata a installazioni in pro-porzione e tutte ufficialmente mirate adenunciare i danni del consumismo,ha annunciato di voler costruire unafalsa fabbrica Prada in patria. “Bellaidea”, ha commentato secca la signorasu “Art newspaper”, “non fosse che lacontraffazione è già un bel problema,e molto reale, per il nostro marchio”.

Avesse aggiunto che buona parte deifalsi tascapane e delle borsine in ny-lon Prada in circolazione sul mercatosono già cinesi (l’altra metà italiane, çava sans dire), avrebbe ridotto Cao Feial silenzio. Se ha preferito non insiste-re, è con ogni probabilità perché, al dilà di ogni mecenatismo effettivo o a de-clinazione marketing, il mercato cine-se rappresenterà nei prossimi anni ilprimo sbocco per i marchi del lussooccidentale, perché Prada realizza piùdi un componente delle proprie lineefra Pechino e Guangzhou, e perché Pa-trizio Bertelli ha sempre sostenuto cheil valore di un marchio dipenda dallacreatività che è in grado di generare enon necessariamente dal suo sito pro-duttivo, mettendo dunque in discussio-ne il principio già largamente e gene-ricamente disatteso del made in Italy.Filosoficamente, ma soprattutto uma-namente privo di confini certi (“Nullaè vero o falso, ma è il pensarlo che lorende tale”, dice il Cesare di Shake-speare ad Antonio prima di raggiunge-re il Senato dove lo aspettano coi pu-gnali sotto la toga, e anche dopo i ven-titré colpi la sua morte verrà definitacome la caduta di un simbolo, comel’abbattimento del potere che è innan-zitutto rappresentazione, dunque si-mulacro), il falso, e soprattutto il falsoben riuscito, ha caratteri di fascinazio-ne tali che non si capisce come maiqualcuno si aspetti ancora che la suaesibizione possa diventare un monitoe non trasformarsi in un suggerimento.“Speriamo che mettendo in luce qual-cuna delle tecniche in uso, la gente im-pari a guardarsi dalle patacche e, ma-gari, a denunciarle”, spiegava qualchesettimana fa il sergente detective Ver-non Rapley dell’unità arte e antiqua-riato di Scotland Yard dalla hall delVictoria&Albert Museum dov’è stata

appena inaugurata la grande mostrasui falsari, e il pensiero correva dritto,accompagnato da una botta di buonu-more, a Totò e Peppino che stendono ibiglietti da diecimila ad asciugarsi sul-le corde da bucato, più che all’essenzadella questione o persino alla sua tri-ste testimonianza storica, per esempioalle sterline false fatte riprodurre daitedeschi nel 1943 nel campo di concen-tramento di Sachsenhausen ed espo-ste qualche mese fa al Museo Archeo-logico di Firenze, oppure alla cartamo-

neta prodotta nell’ultima guerra mon-diale dagli americani in vista dell’oc-cupazione dell’Italia (le famose AM Li-re di cui ancora qualche mamma ri-corda l’uso e le fantastiche tazze dicioccolata Motta col cucchiaino in fon-dente che permisero di concedersi do-po anni di merende a carrube). Ognicollezione nummaria che si rispetti, ei musei non fanno eccezione, esibiscecon orgoglio, uno accanto all’altro a te-stimonianza della sagacia del curatoree degli esperti, i falsi e gli autentici, epersino gli spettacolari roghi di griffefalse organizzati dagli organismi anti-contraffazione nelle strade delle capi-tali europee (perlopiù Parigi, che nonha evidentemente perso il gusto perl’apparato della place de Grève) si ac-compagnano alla diffusione di cifremirabolanti, che ammantano la falsifi-cazione di un’aura romantica, per nondire eroica. Il prossimo giugno, quan-do la National Gallery di Londra inau-gurerà una seconda mostra sui falsi,

questa volta d’arte (“Close examina-tion: fakes, mistakes and discoveries”),il pezzo forte sarà un falso Holbein,“L’uomo col teschio”.

I goliardi livornesi dei falsi Modi-gliani vennero pubblicamente puniti esegretamente ammirati, e non ci sonodubbi che nell’esposizione del Victo-ria&Albert Museum, il ruolo di prota-gonista non spetti alle opere esposte otantomeno ai detective, ma a ShaunGreenhalgh, il propulsore di quellafabbrica famigliare di falsi d’arte chefra il tra il 1989 e il 2006, da una caset-ta della periferia di Manchester, feceuscire oltre 120 pezzi pregiati per uncontrovalore di 14 milioni di euro.Abilmente ricostruita (falsificata?) daimedia, al momento dell’arresto la per-sonalità di Shaun emerse così prepo-tente che il British Museum, la sua vit-tima più prestigiosa, non se ne ebbeneanche troppo a male: tutto sommato,erano o non erano stati fregati da unartista di valore, dichiaratamentespinto non dalla brama di ricchezza,ma dalla volontà di rivincita contro ilmondo cinico e crudele che non avevariconosciuto il suo talento? In pratica,

Shaun era un nuovo conte di Montecri-sto: aveva solo contato male i rintocchidell’orologio per presentarsi vindiceal cospetto dei suoi detrattori, ecco.

C’è un unico falso su cui il mondosembra non transigere, ed è quello sa-nitario, medicinali e affini, che persi-no dall’analisi delle pubblicità raccol-te tutte nelle ultime pagine delle rivi-ste risultava in crescita attorno ai pri-mi del Novecento, anni di boom de-mografico e di una prima espansioneeconomica che oggi si definirebbe glo-bale, e che risulta nuovamente in cre-scita ora. In secondo ordine arrivano igiocattoli, con il loro corredo di verni-ci tossiche. Tutto il resto viene consi-derato un peccato veniale, persino undiritto. Comunque, un divertissement.

Per le modaiole che vivono nel cul-to di Audrey Hepburn, il falso è perl’appunto quella faccenda elegante ealtamente sensuale per cui può capi-tarti di dover recuperare una finta Ve-nere del Cellini nascosta in in uno sga-buzzino con Peter O’Toole che ti acca-rezza sopra ma soprattutto sotto l’abi-to di Givenchy, scena clou di un filmet-to degli anni del declino di WilliamWyler, “Come rubare un milione didollari e vivere felici”, oppure il fintoVan Gogh della sequenza di “Un’otti-ma annata” in cui Russell Crowe capi-sce che non può vivere nella dissimu-lazione nella City di Londra ma nellaverità della Provenza profumata di la-vanda con l’amore della prima infan-zia miracolosamente ritrovato (e chis-senefrega se quella Francia non esistapiù neanche nell’enclave del Luberon:che cosa c’è di più vero e confortantedi un falso cinematografico?). Falsa, everissima, è la trattativa condotta a tar-da sera fuori da un ristorante di Brera,quando, complici i fumi dell’alcol, an-che la più sfacciata copia Vuittonesposta sopra un lenzuolo a fiorami ac-quista i tratti del pezzo autentico e ilsuo possesso il profumo della trasgres-sione (fra Rapallo e Santa Margheritac’è un ivoriano laureato in Legge che,battendo gli stabilimenti balneari concostanza da quindici anni a questaparte, ha mantenuto e allargato la fa-miglia: offre pezzi discreti, non si of-fende e non questua se si acquista nul-la e scusate se non ne citiamo il nomema è un po’ un parente, e comunque sitratta di un nome di battaglia, comequello dei gladiatori). Sappiamo tuttiperfettamente che i denari in cui noiquietiamo la nostra voglia di stupire,di sentirci al tempo stesso intellettual-mente sofisticati e moralmente furbet-ti, finiranno a sostenere la prostituzio-ne e il traffico di droga, ma bene o ma-le, almeno una volta, il brivido dell’in-cauto acquisto vogliamo provarlo tutti.Emozioni da poco, come direbbe AnnaOxa, una che di suo ha cambiato aspet-to almeno sei volte, perdendo ognicontatto con quel barlume di veritàche è il proprio aspetto naturale edunque ogni speranza di fissarsi nellamemoria collettiva per qualcosa di di-verso oltre alla voce.

Il catalogo della mostra fiorentina“Il vero e il Falso” è stato invece stam-pato dall’Istituto Poligrafico e Zeccadello stato su carta speciale, filigrana-ta e con filo di sicurezza. E’ totalmentevero, molto noioso.

IL BELLO DEL FALSOLa copia, specie se d’autore, è un’alternativa alla triste banalità del vero

E i marchi più taroccati della moda sponsorizzano mostre celebrative

L’artista cinese Cao Fei haannunciato l’intenzione di costruirein patria una falsa fabbrica di Prada.Miuccia ha abbozzato

Per le strade delle capitali europeesi organizzano spettacolari roghi dimerci contraffatte. Mentre i museiaprono le porte ai falsi d’autore

I tre fratelli russi Posin, Mikhail,Evgeni e Semjon, realizzanosplendidi Van Gogh forniti di regolarecertificato di vera falsa autenticità

C’è un unico settore dove lafalsificazione è ancora deprecata,quello dei medicinali. L’esempio diAudrey Hepburn per le modaiole

Una modella con un trucco molto particolare (foto Reuters)