Dalla malattia al paziente. Modelli di comunicazione nella relazione terapeutica

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La comunicazione con il paziente è un requisito essenziale nel processo di cura. Si necessita di un cambiamento di prospettiva da un approccio centrato sulla malattia, che approfondisce tutte quelle variabile biologiche e somatiche misurabili di una patologia, ad un approccio centrato sul paziente che pone finalmente l’attenzione sulla persona non solo come portatrice di malattia bensì come individuo portatore di sofferenza e disagio. L’approccio centrato sul paziente rappresenta un modello bio-psico-sociale in cui vengono considerate tutte le componeti di un paziente; la diagnosi di una malattia comporta una modificazione non solo della sua struttura organica, ma di tutte quelle altre parti che sono in relazione con essa nel “sistema uomo”; ciò significa che il malato non è colpito soltanto a livello biologico, ma la malattia provoca un’alterazione anche a livello psicologico e sociale. La figura del medico, profeta della salute, dovrà adattarsi a questa nuoVa prospettiva.

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Ricerche e Contributi in Psicologia

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Roberta De Bellis

Dalla malattia al paziente

Modelli di comunicazionenella relazione terapeutica

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Prima Edizione: 2014

ISBN 9788898037315

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Finito di stampare nel mese di Giugno 2014 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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INDICE

PARTE PRIMA - Premesse teoriche

Introduzione

C 1 - Relazione medico-paziente: il passaggio dal modello centrato sulla malattia al modello centrato sul paziente

1.1 Il modello centrato sulla malattia1.1.1 Il metodo clinico del modello centrato sulla malattia

1.2 Il modello centrato sul paziente: un cambia-mento di prospettiva

1.2.1 Le caratteristiche del nuovo modello 1.3 Il metodo clinico del modello centrato sul paziente1.4 Il colloquio clinico nel modello centrato sul paziente1.5 Le funzioni della comunicazione nel model-lo centrato sul paziente

1.5.1 La fase di raccolta delle informazioni 1.5.2 La fase della restituzione delle informa-zioni

1.6 Considerazioni conclusive

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C 2 - Strumenti di analisi del rappor-to medico-paziente

2.1 Accenni allo sviluppo di analisi della con-versazione 2.2 La “Frame analysis” di Goffman2.3 Principi di analisi della conversazione2.4 Analisi conversazionale e colloquio medi-co-paziente2.5 Analisi degli elementi strutturali di un collo-quio tra medico e paziente2.6 Analisi delle abilità comunicative del medi-co attraverso il test di valutazione BAS

2.6.1 Il ruolo dell’empatia nel rapporto medi-co-paziente

PARTE SECONDA- Applicazione pratica

C 3 - Applicazione degli strumenti di analisi del rapporto medico-paziente

3.3.1 Aspetti teorici3.3.2 Materiali e metodi3.3.3 Risultati

Conclusioni e prospettive future

Bibliografi a

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PARTE PRIMAPremesse teoriche

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INTRODUZIONE

Comunicazione e relazione occupano in medicina uno spazio caratterizzato da forte ambivalenza: se da una parte ne viene esaltata l’importanza, dall’altra c’è ancora chi non ritiene fondamentale dedicarvi una formazione specifi ca né ritiene possibile la ricerca scientifi ca in questo campo.

Le competenze comunicative e relazionali vengono spesso considerate capacità non obiettivabili e, sul piano della loro acquisizione, innate o insegnate dalla vita o, al meglio, appre-se per imitazione di un modello. In realtà non è cosi’: si tratta infatti di abilità comportamentali in gran parte modifi cabili attraverso l’apprendimento. Inoltre, la moderna tecnologia rende oggi possibile raccogliere abbastanza agevolmente gli aspetti relativi alla comunicazione verbale e non-verbale du-rante le visite mediche (per esempio con videoregistrazioni o audioregistrazioni) e una serie di costrutti ben codifi cati guidano nello studio e nell’analisi. Chiedersi davanti ad una videoregistrazione il perché il medico ha detto, o fatto questo piuttosto che quell’altro vuol dire già scomporre l’obiettivo generale “comunicazione” in segmenti che possono essere oggetto di ricerca, di insegnamento e di apprendimento.

Nel presente lavoro si è puntata l’attenzione all’aspetto comunicativo della relazione tra medico e paziente, quale strumento fondamentale nel processo di cura; saper comuni-

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care fa parte del bagaglio culturale del medico, a tutti i livelli e rappresenta un caposaldo fondamentale per l’instaurarsi di una relazione empatica, di una buona compliance da parte del paziente nel percorso di diagnosi e di cura.

Sono stati presi in considerazione due modelli messi a confronto.

Il primo è “modello centrato sulla malattia”, su cui fi no ad ora si è basata gran parte della medicina tradizionale, che fonda i suoi presupposti teorici e pratici sull’individuazione da parte del medico dei sintomi che un paziente manifesta, la possibile associazione causa-effetto paziente attraverso alcu-ni strumenti.

In questo contesto sono state misurate tre dimensioni dif-ferenti.

La prima è relativa all’aspetto tecnico della comunicazio-ne e a tale proposito si è utilizzato uno strumento chiama-to “Analisi della conversazione”, fondato da Harvey Sacks (1979). La sua funzione principale è quella di analizzare tec-nicamente come le persone parlano tra di loro secondo prin-cipi ben precisi e attraverso una metodologia naturalistica. Sacks afferma che il signifi cato di un enunciato è defi nito dal suo uso sociale, e ricerca proprio i metodi con cui le per-sone conferiscono ordine alle loro interazioni verbali. Egli individua per esempio nella sequenzialità degli enunciati e nel sistema della presa dei turni di parola i due meccanismi fondamentali che rendono possibile il carattere socialmente signifi cativo degli scambi linguistici. L’idea di partenza di questa disciplina consta nel fatto che l’interazione parlata tra le persone non sia casuale ma organizzata in modi specifi ci, che è possibile descrivere in modo formalizzato. Analizzare la conversazione signifi ca appunto studiare l’insieme delle

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relazioni che si creano tra quello che una persona dice in un determinato momento della conversazione, quello che è stato appena detto e quello che sarà detto subito dopo.

La seconda dimensione analizzata è quella relativa agli elementi strutturali dell’interazione tra medico e paziente, ovvero il setting dove avviene la consultazione medica nei suoi tempi e nei suoi spazi, facendo riferimento a regole ben precise.

Infi ne, la terza la dimensione valutata è stata quella relati-va all’empatia, in termini di partecipazione emotiva da parte del medico all’interazione.

Sia per la seconda che per la terza dimensione si è rivelata molto utile l’applicazione di un test (BAS) di valutazione, strutturato in 23 items, che mette in evidenza le competenze/abilità o “skills” del medico quando si trova in una situazio-ne di consultazione con un paziente facendo riferimento sia all’idoneità degli elementi strutturali nella situazione e sia alla capacità comunicativa.

Gli strumenti elencati sono stati applicati a colloqui real-mente condotti e registrati tra medico e paziente, con lo sco-po di mettere in luce quanto essi facessero riferimento ad un modello centrato sulla malattia piuttosto che ad uno centrato sul paziente.

Possedere strumenti scientifi camente applicabili per l’a-nalisi della comunicazione medico-paziente è fondamentale per costruire una base di conoscenza che guidi azioni atte a migliorare l’effi cacia terapeutica della relazione.

Oggi si assiste sempre di più ad un cambiamento delle esigenze del paziente il quale non si presenta più in visita lamentando soltanto sintomi e chiedendo una risoluzione far-macologica, bensì riporta, oltre ai sintomi, tutto un mondo

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legato ad essi fatto di sofferenza e disagio, manifestati attra-verso emozioni spesso negative e confl ittuali.

Sia per il “modello centrato sulla malattia” che per il “mo-dello centrato sul paziente”, la patologia risulta la stessa e viene affrontata con le medesime strategie; i due medici sono allo stesso modo attenti al problema clinico, ma la differenza consta nell’attenzione posta al vissuto di malattia.

Gli aspetti emotivo-psicologici del malato, trascurati dal-la “vecchia” medicina tradizionale, sono, in base al modello centrato sul paziente, ora tenuti in considerazione. Questo porta a pensare che una nuova prospettiva della relazio-ne tra medico e paziente, necessiti di strategie comunicati-ve-relazionali innovative che garantirebbero, da un lato una maggiore soddisfazione del paziente al termine della visita in termini di migliore comprensione della sua situazione e, dall’altro, una differente gratifi cazione del medico. Lo stesso assumerebbe un ruolo più ampio non solo di colui che cura la patologia organica ma di colui che capisce e comprende empaticamente il vissuto di malattia del paziente.

Il secondo è il “modello centrato sul paziente” che rappre-senta un allargamento della visione tradizionale e per alcuni versi un’innovazione, poiché si attribuisce grande importanza alla dimensione umana della relazione, sottolineando il fatto che la medicina classica risulta per molti aspetti riduttiva ri-spetto alla complessità dei problemi che possono presentarsi in un ambulatorio. Si tratta cioè di un modello che promuove il “prendersi cura della persona malata” e considera il pazien-te protagonista della sua salute.

Lo scopo del lavoro è stato quello di evidenziare come sia possibile analizzare e valutare gli aspetti comunicativi nella relazione medico-paziente.

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CAPITOLO 1Il passaggio dal modello centrato sulla

malattia al modello centrato sul paziente

La Medicina “…è un insieme armonico di tecnologia medi-ca e antropologica medica, dove accanto all’applicazione delle

scienze di base deve sussistere con pari dignità, il rapporto interumano tra medico e paziente: un rapporto di dualità che

diventa pluralità coinvolgendo medico, paziente e società.Stagnaro S., Vecchio e Nuovo

nella Scienza. Tempo Medico, 1989

1.1 Il modello centrato sulla malattia

Gran parte della medicina e di conseguenza della forma-zione medica teorica è fondata su un paradigma biologico, biochimico e riduzionista. La medicina a tale proposito con-sidera la malattia e la sintomatologia annessa come fulcro su cui dirigere l’attenzione. Tale prospettiva individua appun-to il “modello centrato sulla malattia” o desease centered come riferimento teorico per i medici, i quali seguendo il pa-radigma tradizionale individuano i sintomi, li collegano ad una malattia, formulano un’ipotesi diagnostica principale e defi niscono il trattamento. Da un punto di vista tecnico si può affermare che il modello risulti vincente in quanto il medico

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accerta e approfondisce tutti gli aspetti relativi ad una possi-bile diagnosi del paziente, ma manifesta carenze da un pun-to di vista più umano, ovvero vengono trascurati tutti quegli aspetti invece riferiti alla dimensione psicologica e relaziona-le del paziente inteso come persona, portatore di sofferenza.

Attualmente il modello desease centered è quello più dif-fuso e sostiene che la medicina si debba occupare della ma-lattia, intesa come alterazione dalla norma di variabili biolo-giche, somatiche misurabili. Al medico compete defi nire la presenza di una patologia nei malati, tramite una diagnosi e di intervenire con un piano terapeutico dimostrato scientifi -camente. Il modello biomedico o tradizionale si è costituito attraverso un excursus storico preciso; nasce con Cartesio nel XVII, il quale in base alla sua teoria sul dualismo, sepa-ra nettamente mente e corpo, disumanizzando così il corpo dell’uomo, che viene paragonato ad una macchina. Il para-digma culturale di quel momento disgiunge quindi il soggetto dall’oggetto, il malato dalla malattia, disgiunge tutto ciò che si percepisce come la più autentica identità personale dalla corporeità, assegnandole a due diverse categorie di fenomeni tra loro incomunicabili: uno puramente psichico, l’altro pura-mente fi sico. L’uomo stesso viene studiato come una serie di meccanismi di causa-effetto, offrendo la possibilità alla me-dicina tradizionale di anticipare gli eventi in maniera preditti-va. Dall’altra parte la disumanizzazione del corpo dell’uomo comporta l’esclusione di “un corpo con uno spirito”.

Oltre i contribuiti fi losofi ci, alle spalle di questa nascita seicentesca vi sono anche quelli clinici. Sydenham, in base alla sua visione ontologica, distingue nettamente il malato dalla malattia affermando che la concentrazione del medico debba avvenire su quest’ultima. A questi due modelli di rife-

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rimento, cioè il dualismo cartesiano e la malattia come unico fulcro di interesse, si aggiungono l’anatomia patologica e la biologia. Da un punto di vista metodologico invece l’innova-zione è data dall’introduzione del disegno sperimentale, con-siderato un nodo irrinunciabile della medicina che garantisce l’affi dabilità dei trattamenti testati, fornito dalla ripetibilità degli esperimenti. Il percorso menzionato caratterizzato dal radicamento del dualismo cartesiano, dall’ipotesi della realtà ontologica della malattia e dall’introduzione del disegno spe-rimentale, costituisce le fondamenta della medicina odierna e del modello desease centered che la contraddistingue.

1.1.1 Il metodo clinico del modello centrato sulla malattia

Il metodo clinico utilizzato nella pratica professionale è infl uenzato e plasmato dal modello centrato sulla malattia. Al centro dell’attenzione c’è la malattia defi nita in termini pu-ramente biologici e accanto ad essa la fi gura del medico. La malattia e il medico in quanto esperto della stessa sono i due protagonisti della visita medica e pertanto si potrebbe anche parlare di metodo clinico doctor centered. Il medico rappre-senta l’unico depositario della conoscenza della condizione di salute del paziente; egli sulla base delle sue competenze cerca e individua i segni e i sintomi della malattia, approfon-dendoli con indagini diagnostiche e decidendo quali strate-gie idonee adottare. Il paziente in questo contesto è presente come portatore della malattia e come ricettore passivo delle decisioni che il medico reputa necessarie.

Nella fase di consultazione, durante l’anamnesi, il medi-co accoglie e recepisce fondamentali solo gli elementi che si connettono all’ipotesi di un danno biologico, vengono selezionate le informazioni che si incastrano in una mappa

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biomedica eliminando a priori tutto ciò che non è biologico. Il punto di vista del paziente sulla sua malattia e la sua con-dizione di sentirsi malato non sono tenuti in considerazione e addirittura in molti casi ritenuti ostacoli nel processo diagno-stico. Il medico, infatti, più che un alleato, è spesso percepito come un esperto che parla un linguaggio poco comprensibile e che combatte la malattia con le armi che la tecnologia gli ha consegnato. Un esperto che, quando non riesce a vincere la battaglia, si permette di pronunciare l’inappellabile sentenza di condanna “non c’è più niente da fare”.

Negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati a dismisura, da un lato le accuse ai medici di preoccuparsi solo degli aspet-ti tecnici della loro professione e di curare la malattia sen-za prestare ascolto alle istanze della persona; dall’altro gli appelli alla capacità e al dovere del medico di ascoltare, di curare la persona e non la malattia, di guardare ai problemi della salute con un respiro olistico e globale. La dimensione biologica e biografi ca che defi niscono l’unità della persona devono essere riunite teoricamente. E questa unità deve es-sere il presupposto fondante dell’epistemologia medica. In altre parole, il medico deve avere alle spalle, come solido strumento di riferimento, una teoria che preveda che rivol-gendosi al corpo biologico, ci si rivolge, istantaneamente e simultaneamente, anche al corpo biografi co. Una teoria che sancisca che il corpo biografi co comprende il biologico. E lo comprende non tanto nel senso che ne è il contenitore, ma nel senso che il corpo biografi co altro non è che un corpo bio-logico contestualizzato, cioè che vive nel suo spazio-tempo.

Un metodo doctor centered infl uenza lo svolgimento di una vista medica non solo sul piano dei contenuti ma anche per quanto concerne la modalità attraverso la quale si snoda

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la comunicazione. In un colloquio tra medico e il paziente entrambi dovreb-

bero partecipare in maniera equipollente all’interazione, in cui ciascuna risposta innesca un’ulteriore domanda, ma sulla base di un modello teorico di doctor centered accade che il controllo dell’evoluzione degli scambi comunicativi è intera-mente gestito dal medico il quale inserisce le risposte del pa-ziente sulla base del proprio schema di ipotesi. Un colloquio condotto in base al modello centrato sulla malattia è caratte-rizzato da un alto controllo degli scambi dal parte del medico e da un basso controllo da parte del paziente; all’interno di questo processo l’input degli scambi origina quasi sempre dal medico e dai suoi schemi di riferimento e la risposta del paziente raramente viene raccolta dal medico come stimolo per rilanciare la comunicazione. Il fulcro di quest’ultima è focalizzata esclusivamente sulla dimensione biologica della patologia. I due modelli citati si integrano a vicenda nella pratica clinica.

Le caratteristiche discusse, del modello centrato sul-la malattia, evidenziano una scarsa rilevanza e importanza data agli aspetti umani, emotivi e psicologici del paziente, portatore della sofferenza, ma nonostante ciò tale modello presenta elementi che costituiscono dei punti forza. Il primo consiste nella sua semplicità, ovvero la malattia è analizzata scomposta negli elementi minimi che la costituiscono, ridu-cendo il fenomeno ad un rapporto di causa-effetto. Il secondo punto forza è rappresentato dal potere predittivo in base al quale poiché la malattia è letta in termini di causa-effetto che si ripete in soggetti diversi, ciò consente al medico non solo di diagnosticare la malattia ma anche di indicarne la progno-si. In terzo luogo, punto focale del metodo clinico, questo

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modello propone con chiarezza gli obiettivi da raggiungere, sia quelli generali relativi alla scienza medica che deve iden-tifi care le patologie e trattarle sia quelli specifi ci relativi agli scopi e ai passi che il medico deve effettuare per raggiunger-li. Il quarto punto consiste nella verifi cabilità dei risultati, ovvero la capacità di verifi care la correttezza della diagnosi attraverso l’analisi anatomo-patologica e attraverso la ricerca sperimentale.

Il quinto ed ultimo punto forza riguarda l’insegnabilità ovvero la possibilità di insegnamento e di apprendimento del metodo clinico in contesti istituzionali come per esempio l’u-niversità.

Accanto ai punti forza elencati appaiono evidenti anche una serie di elementi negativi relativi alla disumanizzazio-ne, alla parcellizzazione, alla ipermedicalizzazione di cui il modello centrato sulla malattia è stato accusato. La disu-manizzazione è un punto debole della sanità in generale che deriva dall’infl uenza del modello cartesiano e dell’approccio ontologico della malattia in cui il corpo umano, oggetto di sapere scientifi co è anche un corpo ridotto nelle sue com-ponenti e l’uomo è un aggregato di parti da aggiustare ora l’una ora l’altra. La parcellizzazione del corpo, considerata molto funzionale alla medicina centrata sulla malattia, porta contemporaneamente alla parcellizzazione del sapere medi-co e alla iperspecializzazione dei clinici in cui ognuno tratta un “pezzo” del suo malato. Infi ne la ipermedicalizzazione o overmedicalization (Conrad, 1992) spinge a leggere i feno-meni in una chiave puramente biologica anche quando essi non sono medici.

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1.2 Il modello centrato sul paziente: un cambia-mento di prospettiva

Le prime critiche all’approccio centrato sulla malattia già a partire dagli anni ’50, hanno riguardato l’eccessivo riduzio-nismo che caratterizza tale modello. Questo modello defi nito anche biomedico, prevede appunto un intervento terapeutico alla presenza del sintomo, il quale è unicamente affrontato come conseguenza di un difetto organico; al sintomo segue la diagnosi della malattia, ovvero la ricerca di difetto o di una modifi cazione di un organo, che sarà seguita dalla terapia re-lativa, intesa come riparazione o eliminazione del “guasto”.

Un approccio desease centered è estremamente riduttivo poiché non considera adeguatamente l’interdipendenza e la complementarietà di ciascuna parte del corpo, né la com-ponente psicosociale dell’individuo. Le caratteristiche della consultazione biomedica sono infatti incentrate su un ap-proccio mirato all’organo-corpo, cioè la diagnosi e la terapia avvengono in presenza di disturbi somatici legati allo stato patologico del paziente non dando importanza agli aspetti psicologici ed emotivi del paziente; alla focalizzazione sul medico e al paziente vissuto solo come portatore della malat-tia e alla netta separazione dei ruoli, che vede il medico che cura il paziente in base al suo sapere. Tali aspetti del model-lo portano a concepire una relazione medico-paziente come gerarchica, unidirezionale e per alcuni versi autoritaria. Le accuse al modello desease centered e alla sua applicazione clinica nella relazione medico-paziente che governa il siste-ma sanitario hanno riguardato il fatto di non considerare il paziente come “persona”.

Karl Jaspers, medico e fi losofo sostiene che la medici-na parcellizza la cura e la riduce alla rimessa in funzione di

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organi difettosi e “l’uomo pertanto va perduto e distrutto” (Jaspers, 1987). Le critiche umaniste di Jaspers e di altri au-tori polemici contrari alla disumanizzazione della medicina voleva essere una spinta alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica dettata dalla necessità di una comunicazione tra me-dico e paziente più profonda e di una possibilità di tradurre la posizione teorica suddetta in strategie operative. Si sono sovrapposte altre critiche negli anni ’70 derivanti dal cam-po psicologico che affrontano direttamente l’importanza e le caratteristiche degli aspetti comunicativo-relazionali della visita medica. Si mettono in evidenza i vantaggi clinici nel parlare con il malato in maniera effi cace sottolineando come tale aspetto possa infl uenzare una migliore guarigione. No-nostante i contributi umanisti e quelli scientifi co-sperimenta-li, l’ipotesi di un approccio teorico nuovo risulta ancora vago incidendo scarsamente sull’impalcatura che sostiene la scien-za medica. In questo clima di critiche due contributi risultano fondamentali quello di Michael Balint e di George L. Engel. A Balint si deve importanza nello sviluppo del nuovo model-lo poiché egli ha introdotto la defi nizione di person centered medicine (Balint, 1957). L’introduzione della terminologia costituisce il segno più tangibile dei limiti che l’autore ri-scontrava nella medicina tradizionale e in un approccio alla malattia privo di interesse nei confronti degli aspetti emotivi che secondo lui sono fondamentali in ogni relazione medica.

Balint sottolinea l’esigenza di una risposta al riduzioni-

smo biologico e il riconoscimento di una debolezza nella me-dicina classica.

Un allargamento della visione rappresenta un’anticipazio-ne a quella che sarà la nuova medicina incentrata sul pazien-

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te o patient centered. Egli già introduce una serie di termini nuovi tra cui particolarmente signifi cativo è quello di overall diagnosis (Clyne, 1973) in base al quale i clinici sono tenu-ti a formulare una diagnosi non semplicemente e solamente biomedica, ma più completa di tutti gli aspetti relativi alla persona, fondamentali nell’ambito di un processo di cura. Quindi nodo centrale, per Balint, dell’attività del medico è la relazione con il paziente, terapeutica già di per sé, poiché il medico stesso è la prima medicina. La fi gura del medico intesa nella sua complessità e in tutti gli aspetti più emotivi, è prioritaria e centrale nella relazione con il paziente; le carat-teristiche personali, le esperienze passate del medico entrano in relazione in modo non neutrale con il paziente. A tale pro-posito Balint di matrice psicoanalitica, ritiene necessario e fondamentale un lavoro introspettivo e interpretativo da parte del medico per fronteggiare appunto le diffi coltà insite nella relazione con il paziente al fi ne di svolgere adeguatamente la propria attività clinica. La proposta di Balint non può però rappresentare una risposta defi nitiva perché implica un impe-gno sul piano del tempo e una disponibilità ad un approccio psicodinamico che non tutti i medici hanno.

Engel al contrario di Balint che lavora sull’attività clinica, è orientato alla struttura teorica che supporta tale attività. En-gel è il primo ad affermare l’esistenza di un modello impli-cito della medicina che condiziona la pratica medica (Engel, 1977). Egli sostiene che il modo con cui il medico si rap-porta al paziente e affronta i suoi problemi sono fortemente infl uenzati dal modello concettuale attorno al quale si è for-mata la sua esperienza e la sua conoscenza. I modelli teorici di riferimento defi niscono gli scopi dell’attività medica, le aree di competenza, la ricerca, la formazione del personale

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sanitario e l’esercizio delle singole professioni. Engel cerca di discutere circa il modello desease centered, che è radi-cato nella cultura occidentale e rappresenta il modello per eccellenza indiscutibile e immodifi cabile. Egli afferma che la medicina centrata sulla malattia non è universale ma si fonda su presupposti teorici che non sono imprescindibili ma che divengono tali nel momento in cui il modello diviene dogma; il dogmatismo impedisce l’esistenza di un modello che fonda la medicina, e di conseguenza ogni forma di modifi cazione. Engel sostiene che ogni cambiamento o modifi ca per essere effi cace deve essere basato su un intervento a monte, sul mo-dello; da qui nasce la proposta di un’alternativa al modello tradizionale che l’autore identifi ca nel modello bio-psico-so-ciale ovvero un modello sistemico, in cui vi sia un‘integra-zione tra vari sistemi dei quali l’uomo fa parte e dove anche la malattia non può essere intesa solo in termini biologici. Secondo Engel l’uomo è un sistema complesso analizzabile come un insieme di parti (sistemi) da cui è composto (organi, tessuti, cellule, atomi) e come parte di sistemi sovrastanti (si-stema duale, familiare, sociale).

Quando si presenta una malattia, si assiste ad una modifi -cazione non solo della struttura organica dell’individuo, ma di tutte quelle altre parti che sono in relazione con essa nel “sistema uomo”; ciò signifi ca che il malato non è colpito sol-tanto a livello biologico, ma la malattia provoca un’alterazio-ne anche a livello psicologico e sociale. Nonostante Engel abbia proposto un modello certamente più completo, forte da un punto di vista teorico che considera aspetti fi no a quel mo-mento non tenuti considerazione, non ha individuato gli ele-menti nuovi applicabili alla pratica clinica e i vantaggi della comprensione del vissuto individuale, psicologico e sociale.

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I due contributi quello di Balint e quello di Engel costitu-iscono la premessa per la nascita e lo sviluppo del modello in medicina centrato sulla malattia, che si inaugura con l’e-sigenza di completezza, legittimando la presenza nella medi-cina di aspetti non solo biologici, ma emozionali, psicologici e relazionali.

Rimettere la persona al centro, in altre parole, dev’essere la mission di un progetto culturale in grado di mobilitare tra-sversalmente le risorse umane necessarie a ridisegnare sotto questa nuova luce i percorsi di diagnosi e cura, individuare strategie diagnostiche e terapeutiche più articolate e perso-nalizzate, far emergere i valori e i contenuti di una nuova cultura clinica per la formazione dei futuri medici.

Un approccio al paziente e alla malattia che si ispiri al mo-dello biopsicosociale ha contribuito a fornire una più com-pleta defi nizione dell’attività del medico che non si confi gura come esclusivo derivato delle conoscenze biomediche ma anche come prassi centrata sulla “persona malata” (patient centered-problem oriented), cioè come entità bio-psico-so-ciale, secondo quindi un concetto chiave in medicina, già introdotto da Balint negli anni ‘70, vale a dire il concetto di patient-centered care.

Oltre all’aspetto puramente biologico, il modello biopsi-

cosociale prende in considerazione gli aspetti psicologici e sociali della malattia spiegandone le interazioni. Secondo il suo assunto di base, l’attenzione del medico non dovrebbe pertanto limitarsi alle caratteristiche del disturbo in sé ma do-vrebbe anche rivolgersi alle caratteristiche del paziente che soffre di quel disturbo. Il modello biopsicosociale ha ispirato numerosi programmi di formazione, per alcuni dei quali è

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stata valutata l’effi cacia in base a rigorosi criteri di valutazio-ne (Roter et al., 1990; Smith et al., 1994) con la conseguen-te identifi cazione dei principali requisiti dai quali dipende la qualità dell’intervento formativo. L’attenzione alle dimensio-ni psicosociali della malattia e l’utilizzazione di un approccio che si ispiri al modello biopsicosociale sono state per altro considerate essenziali per una medicina che possa defi nirsi effi ciente (Zimmermann & Tansella, 1996).

1.2.1 Le caratteristiche del nuovo modello

Il nome stesso, “medicina centrata sul paziente”, implica una prospettiva in cui il malato è al centro dell’attenzione ed è protagonista. Il modello patient centered non si limita solamente ad un cambiamento a livello teorico ma propone obiettivi specifi ci per il medico, e individua gli strumenti pra-tici e i percorsi adeguati per acquisire tali strumenti.

In questo modello acquisiscono pari importanza e rilevan-za sia la patologia del malato in senso biologico, sia il suo vissuto di malattia.

Pertanto non si perde la fondamentale utilità di trattare la

stessa patologia da un punto di vista biologico, propria della medicina tradizionale, ma si aggiunge la necessità di con-frontarsi con il signifi cato puramente soggettivo che la ma-lattia acquisisce nel malato che soffre. I malati, nel momento in cui accedono nello studio del medico, portano con sé la malattia e la loro storia, pertanto i medici dovranno disporre di metodi che tengano conto della relazione che intercorre tra aspetti biologici, psicologici, emotivi e sociali. Una visita medica fondata su un metodo patient centered vede il mala-to coinvolto attivamente, con le sue paure, preoccupazioni,

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bisogni, articolati nella relazione con il medico che dovrà comprendere in toto il suo paziente. La partecipazione attiva del paziente non sostituisce le competenze del medico ma al contrario le arricchisce al fi ne di conoscere il vissuto del malato, in termini di medicina centrata sul paziente che vuol dire che l’”agenda del malato”, ovvero l’insieme delle “cose” che il malato porta con sè si integra con l’“agenda del medi-co”, cioè con l’insieme delle “cose” disponibili dal medico.

Le differenze fondamentali tra il modello desease cen-tered e il modello patient centered si riscontrano sul piano relazionale. La relazione medico-paziente non è più uno strumento per formulare una diagnosi bensì è lo scopo della medicina. La relazione viene riconosciuta come parte di un processo che ha come protagonista il malato, l’unico esperto della sua malattia e della sua salute in generale e che si svi-luppa nel prima, nel durante e nel dopo il momento dell’in-contro tra il medico e il paziente1. In quest’ottica è implicito che il medico dovrà munirsi di strumenti e di abilità rela-zionali e comunicative che la vecchia medicina tradizionale non prendeva in considerazione. I punti forza di quest’ultima saranno arricchiti da un nuovo aspetto relativo al vissuto del paziente. Ne conseguiranno le seguenti modifi che: la conser-vazione relativa al mantenimento dell’approccio del model-lo centrato sulla malattia per quanto concerne la patologia; l’ampliamento degli obiettivi generali del modello relativi al concetto soggettivo di malattia; la specifi cità degli obiettivi che caratterizzano il modello centrato sulla malattia; la ve-rifi cabilità degli obiettivi specifi ci intesa sia come verifi ca-

1 Si passa da una concezione del rapporto di cura come evento, che si apre nello studio e si chiude al momento dei saluti, al concetto di ciclo di cura, in cui l’inizio non è costituito dall’atto di entrare in ambulatorio bensì è anticipato dalla decisione di recarsi a fare una visita medica.

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bilità del loro raggiungimento alla fi ne della visita sia come verifi cabilità sperimentale; l’insegnamento degli strumenti comunicativo-relazionali necessari per raggiungere gli obiet-tivi specifi ci relativi alla malattia.

In base a questi presupposti si può dedurre che il paziente appare “esperto” della sua condizione; due termini, desease e illness spiegano meglio il concetto di “paziente esperto”: il primo indica la malattia da un punto di vista puramente bio-logico, il secondo indica la dimensione soggettiva della ma-lattia che appartiene soltanto al paziente2. Essendo il paziente attivamente protagonista della sua malattia e della sua soffe-renza e in quanto esperto, deve essere interpellato, ascoltato e compreso emotivamente. Egli è l’unico in grado di esprimere e rappresentare l’infl uenza che la malattia ha sulla sua vita privata personale, sentimentale, e sociale. Se nella medicina tradizionale il medico era al centro dell’attenzione e l’intera-zione avveniva in maniera univoca, nella medicina centrata sul paziente la comunicazione è caratterizzata da scambi alla pari tra medico e paziente.

Il primo riferimento al concetto di patient centered risale a Tuckett e collaboratori (1985). Vengono approfonditi due concetti, quello di paziente come esperto e i modelli pro-fani di malattia. Secondo gli autori il medico e il paziente si incontrano e ognuno dei due “attori” ha il suo bagaglio di conoscenze e esperienze che condiziona le idee perso-nali. Questi models, defi niti così da Tuckett e collaboratori possiedono due versanti, uno cognitivo, ovvero il semplice signifi cato che il paziente attribuisce ai propri sintomi e un versante emotivo ovvero come il paziente vive il disturbo. In

2 Si evidenzia una tripartizione del concetto di malattia: il disease, la patologia organica, il concetto di illness, la modalità sociale di essere pazienti, la sickness, il versante soggettivo dell’essere malati.

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sostanza il pensiero dell’autore si intreccia nella dimensione delle idee, interpretazioni e frame della malattia del modello patient centered.

La prima concettualizzazione del concetto di patient cen-tered medicine risale agli inizi degli anni ’80; il dottor Leven-stein è un caposaldo dei primi tentativi di una medicina cen-trata sul paziente prestando particolare attenzione all’aspetto relazionale del rapporto medico-paziente; già i primi punti forza del nuovo modello emergono, la centralità dell’atten-zione sul vissuto di malattia portato in visita dal malato e il signifi cato che viene attribuito ad esso; la trasmissibilità del nuovo metodo; la scoperta delle audio e video registrazioni utili nella ricerca e l’analisi delle consultazioni.

I primi passi della nuova medicina vengono mossi in am-bulatorio di Medicina Generale e ciò merita di considerazio-ne. I medici di medicina generale appunto hanno a che fare con una mole di pazienti notevole, e vivono fortemente la necessità di gestire il rapporto con loro e di porre una distan-za tra sé stessi e i pazienti, pertanto come osserva Levenstein sono i primi a sentire l’esigenza di un cambiamento e di un rinnovamento della vecchia medicina tradizionale.

1.3 Il metodo clinico del modello centrato sul pa-ziente

La dimensione biologica non esaurisce il senso di una ma-lattia proprio perché quando essa irrompe nella vita di una persona provoca reazioni soggettive che rappresenta il “vis-suto di malattia”. Ciò che il paziente porta con sé e con la sua malattia è defi nito “agenda del paziente” e rappresenta

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un’innovazione del nuovo modello patient centered. La di-stinzione accennata tra desease, ovvero la patologia organica e illness, ovvero l’aspetto del vissuto di malattia è un’antici-pazione dei nuovi concetti.

Il paziente che si reca a fare una visita porta con sé un vissuto che assume una nuova sfumatura; quest’ultima viene colta proprio dall’introduzione del temine “agenda” che im-plica la necessità di una comunicazione ed è il vissuto portato al medico. L’agenda del paziente rappresenta ciò che il mala-to porta con sé nel momento in cui “bussa alla porta del medi-co” ed è costituita da quattro categorie principali: i sentimen-ti del paziente, la paura dell’essere malato; le idee e le inter-pretazioni relativamente a ciò che non funziona; le aspetta-tive e i desideri riguardo a ciò che dovrebbe essere fatto e infi ne il contesto familiare, sociale e lavorativo. Quest’orga-nizzazione permette la traduzione del vissuto di malattia in obiettivi specifi ci, rappresentano una sorta di “trama” per il medico in base alla quale gestisce la consultazione. Analizza-re il vissuto del paziente durante la visita vuol dire indagare le quattro categorie dell’agenda. Analizziamole nel dettaglio. La prima dimensione, i sentimenti, rappresentano una pre-senza costante in termini di risposta soggettiva alla malattia, sono unici e personali per ciascuna persona e specifi ci di quel malato. È importante distinguere di che tipo di sentimenti si tratti poichè la maggioranza dei malati prova paura, del trattamento, della malattia stessa, del dolore... I sentimenti rappresentano spesso il “biglietto da visita” dell’agenda del paziente, si evidenziano senza doverli richiamare nelle paro-le e nei gesti del malato. Sono importanti poiché sottolineano l’attribuzione dei sintomi da parte del paziente. La seconda dimensione, le idee e le interpretazioni è quella maggiormen-

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te esplorata. Esistono modelli non scientifi ci dei quali il por-tavoce è il paziente (Norman, 1993), in base ai quali gli stessi malati hanno modelli di interpretazione dei sintomi e ipotesi sulla malattia differenti da quelle dei loro medici. Inoltre le interpretazioni si riferiscono al fatto che alla notizia di una malattia è impossibile non formulare un’interpretazione che non è altro che l’attribuzione di una causa ad un sintomo. Le idee e le interpretazioni si articolano tra di loro componendo i cosiddetti frames, che sono pacchetti di interpretazioni e idee, di signifi cati che il paziente collega l’uno all’altro in-torno all’argomento centrale, ovvero un corredo di informa-zioni che tendono a spiegare i fatti. I frames originano da una propria esperienza, dall’osservazione di altri, dai mass media e dal proprio medico e comportano l’agire del malato. È pos-sibile che relativamente allo stesso aspetto coesistano frames diversi, quello del malato e quello del medico; la differenza consta nella costruzione del frame che il paziente attua in base alla sua esperienza personale e il medico in base al suo sapere scientifi co. Un esempio: il termine mammografi a che per il medico rientra negli esami di routine a cui una paziente si sottopone è per il paziente invece il nome di un frame che include cancro, chemioterapia e altro. La terza dimensione delle aspettative e dei desideri indica l’insieme delle catego-rie all’interno delle quali classifi care le richieste dei pazienti e cosa si aspettano dalla consultazione. Questa dimensione varia molto a seconda del contesto in cui essa si esplica. Fino alla metà del secolo i pazienti si recavano dal medico con una fi ducia cieca e si aspettavano da loro un intervento puramente scientifi co basato sull’eliminazione della malattia; nella se-conda metà del secolo i pazienti non si accontentano più di farmaci e strumenti tecnologici per curare la malattia ma cer-

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cano anche un interesse da parte del medico relativamente a quegli aspetti non biologici che ciascun malato porta con sé. Per indagare questa dimensione è importante che il medico si chieda cosa il paziente si aspetti da lui e cosa desidera nel momento in cui si rivolge ad un clinico.

Le aspettative rappresentano un’anticipazione di ciò che dovrebbe accadere nell’incontro clinico, i desideri sono inve-ce ciò che si spera avvenga pur non corrispondendo a volte alla realtà. Sono stati individuati due aspetti relativi alla ri-chiesta rivolta al medico per ciò che concerne questa dimen-sione (Lazare e coll.,1975). La prima riguarda le aspettative che il paziente ha relativamente all’obiettivo della visita, alla ricerca di aiuto, la seconda riguarda le aspettative relative ai mezzi con cui raggiungere tali obiettivi. Gli autori defi nisco-no lo scopo come l’effetto che il paziente vorrebbe raggiun-gere come risultato dell’intervento; il mezzo è il percorso che il paziente ipotizza per raggiungere il suo scopo, che può esplicitarsi in una rassicurazione o in un farmaco. Le aspetta-tive e i desideri si articolano intorno alla visita e al medico a differenza dei sentimenti e delle interpretazioni che circolano intorno alla malattia, pertanto essendo l’agenda del paziente intenzionale poiché rivolta nei confronti del medico, ciascun desiderio o aspettativa risulta specifi co rispetto al medico stesso e alla visita.

La quarta ed ultima dimensione, il contesto, si riferisce alla realtà sociale collegata alla persona portatrice della ma-lattia. Il contesto è il luogo familiare, lavorativo e sociale in cui vive appunto la persona. La malattia è infl uenzata dal contesto di appartenenza; esso determina le interpretazioni, genera i sentimenti e plasma le aspettative e induce il ricorso al medico; agisce a monte del vissuto del paziente e della sua

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agenda e rappresenta il terreno al di sopra del quale si artico-lano i sentimenti, le aspettative e le interpretazioni del mala-to. Pertanto la malattia assume diversi signifi cati a seconda del contesto in cui essa si sviluppa e si esplica. Da un punto di vista terapeutico il contesto è un aspetto fondamentale della relazione tra medico e paziente poiché la conoscenza dello stesso da parte del medico favorisce la compliance.

Il metodo clinico del nuovo modello patient centered pro-pone quindi un’integrazione dell’agenda del medico, che si esplicita nell’identifi cazione della malattia e nel suo tratta-mento in base alle conoscenze teoriche e competenze tecni-che con l’agenda del paziente. Pertanto i due scopi della me-dicina centrata sul paziente sono trattare la malattia, specifi co della medicina tradizionale e comprendere l’agenda del pa-ziente. Le quattro dimensioni descritte rappresentano la gri-glia di riferimento per il medico sulla base del quale possono essere defi niti gli obiettivi specifi ci relativi al versante espe-rienziale della malattia e al vissuto della malattia da parte del paziente (illness). L’utilizzo della griglia permette al medico al termine della visita di aver colto non solo informazioni re-lative agli aspetti biologici della malattia bensì anche a quegli aspetti emotivi, cognitivi e sociali del paziente (l’agenda).

Il modello patient centered non vuole alterare l’intervento del medico da un punto di vista tecnico che diviene al con-trario più effi cace poiché entra in gioco la negoziazione tra medico e paziente che hanno pari responsabilità nel percorso di cura, ma vuole sottolineare come l’introduzione di obiet-tivi specifi ci relativi alla dimensione soggettiva dell’“essere malati”, modifi ca fortemente la consultazione sul piano co-municativo e relazionale.

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