dal diario di Claudio - dalle foto di Paolo - Studio...

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dal diario di Claudio - dalle foto di Paolo

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dal diario di Claudio - dalle foto di Paolo

2.

I. Parigi, si parte

E’ il 14 gennaio 2009, sera tardi, io (Claudio) e Paolo siamo all’aeroporto di Parigi CDG e stiamo partendo per la settimana africana che ci siamo voluti “regalare”. C’è un volo diretto alla settimana, il giovedì, e l’aereo torna il venerdì. Punto. Volendo, c’è Afriqiyah, che ti offre un volo un po’ meno caro di Air France, passando da Roma e da Tripoli con un volo il cui orario di arrivo è “più o meno, se va bene, non si sa”. Vorrà dire qualcosa, penso, mentre preparo la valigia, forse è per questo che nessuno sa dov’è ‘sto paese. Tutti si ricordano, e anch’io, solo di Bokassa, quel pazzo scatenato famoso in Occidente per essersi nominato Presidente a vita e poi Imperatore, al cospetto di qualche vescovo e di qualche sottosegretario francese, un po’ di anni fa, spendendo 20 milioni di dollari per la cerimonia (5 o 6 volte il PIL nazionale), invitando tutto il mondo ed ottenendo il record mondiale di rifiuti all’invito ad una festa. Guardare il filmato su youtube è come leggere il capitolo di un libro di storia. Qualcuno dice che per tre o quattro anni fosse stato anche un buon governante che alimentava l’economia nazionale e curava l’ordine e la salute pubblica. Poi deve essergli successo qualcosa, alla fine lo hanno accusato anche di antropofagia.

Nessuno conosce un paese che è grande più di due volte l’Italia ma che ha, forse, solo 4,5 milioni di abitanti. Metà o forse più bambini. Nessuno sa niente di questo paese e della gente che lo abita, e neanche noi.

Mangiamo un panino brutto come la luce al neon, livido come noi, stanchi per il lavoro degli ultimi giorni. Siamo due liberi professionisti, liberi di andare in Africa e di lavorare settimane giorno e notte per poterci permettere di andare. Tra poco si parte, parliamo dei nostri amati bambini e del programma di viaggio che non c’è, perché lo conosce solo Carla, che ci aspetta a Bangui, la capitale.

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Comincio a conoscere il mio compagno di viaggio. Paolo è uno che ne fa mille, è il tipico (ma quanti ce ne sono veramente?) cattolico che fa le cose e vive per il prossimo, inteso come la comunità in cui lui e la sua famiglia sono inseriti. Non si risparmia mai, e chi gli vuol bene gliene deve volere tanto, per accettare quel suo darsi continuo senza calcoli. Ecco perché stiamo mangiando lì, a Parigi, noi due, quell’orrido panino: due mesi prima lo incontro alla cena del Centrafrica, a Villa d’Este, come ogni anno e gli dico: “Paolo, vado in Centrafrica con la Carla, vieni anche tu? E lui, semplicemente: “ sì, vado al tavolo e comincio a spiegare anche questa a quella santa donna di mia moglie.”. Io avevo deciso prima; non mi basta più vedere che gli altri fanno e io sto a guardarli e a dire che ne condivido i valori. Voglio essere in prima linea, lo sono per carattere e ogni tanto bisogna dare ascolto alla propria indole per essere felici. E mia moglie Sabrina è come me e peggio di me, ecco perché siamo felici insieme da tanti anni.

Bangui, la destinazione.

Ho visto delle foto su Internet quando ho cercato di documentarmi un po’ prima di partire. Una baraccopoli, grande. Temperatura 40/50%. Umidità tanta. Sicurezza, poca. Meglio non lasciare la capitale e comunque non uscire dopo le 17. So già che non sarà così e ho un po’ paura. Carla, però, mi ha abbastanza rassicurato anche se mi ha detto poco o nulla: “Sì poi venite, non dovete lavorare perché dovete capire, vedere i progetti, vedere la gente”. Cioè? Lo capirò dopo, aveva ragione.

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Per fare i volontari non basta la buona volontà, ci vuole esperienza, preparazione e una buona guida. Carla, 21 volte in Centrafrica, una specie di icona nazionale, è la migliore delle guide, anche se a volte ci farà arrabbiare perché fa tutto lei, sa tutto lei, dice tutto lei, donna la cui fede e passione e intelligenza non permettono di darsi un limite. Fantastica sempre, insopportabile qualche volta!

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II. 15 gennaio, Bangui.

Arriviamo alle 6 del mattino dopo un buon viaggio di poche ore senza fuso. Perché, allora c’è solo un viaggio alla settimana diretto? Perché nessuno vuole venirci dall’Europa? Esco dall’aeroporto e comincio a capire. Subito i due stadi, quello vecchio, luogo della cerimonia del vecchio Bokassa, abbandonato, e a fianco quello nuovo, bianco enorme illuminato, tra nave e grand hotel di Fellini, assurdo, simbolo della invasione cinese del paese. I cinesi ci sono, portano gente che lavora, prendono il legname, costruiscono dighe e per avere appalti e concessioni a buon prezzo, ad esempio regalano... lo stadio. Forse non una priorità, ma tant’è.

Il viaggio per visitare i progetti della Associazione Amici per il Centrafrica Onlus (AAC) parte subito a razzo, alla faccia della solo supposta pietà cristiana di Carla. Subito visitiamo:

• Il grande centro di raccolta dei bambini di strada, con scuola, casa del volontario laico e casa delle suore che cureranno la scuola, che l’AAC sta costruendo in centro a Bangui, dopo aver comperato il terreno da un costruttore di origine italiana. Questo è un grande progetto, la scuola materna, la casa dei volontari e dello staff (le suore) sarà pronta ad ottobre 2009, ci stanno lavorando anche i soci di Padova, muratori esperti ed appassionati di Africa.

• La Piccola Scuola Materna del quartiere Petevò

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• Il Postulato (una piccola scuola per novizie)

• La Comunità di Donne che raccolgono bimbi abbandonati (un po’ del nostro cuore è ancora là, mi sa che torneremo a riprenderlo prima o poi).

A pranzo dalle Suore Comboniane di Bimbo, frazione di Bangui, semplicemente simpatiche e gentili e alle 15 si parte. 5 ore di viaggio e capiamo che nel paese ci saranno in tutto 250 km di strade asfaltate e non sono le strade migliori.

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Intorno il popolo che cammina, le donne che lavorano, i bambini che rubano lo spazio che i nostri sguardi ingordi sanno occupare.

E’ un paese sfortunato, privo di qualsiasi attrattiva. Qui sono ultimi prima di nascere.

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III. 15/16 gennaio: Bossangoa

Arriviamo a Bossangoa, missione delle Suore de l’Ordre de la Providence de Rouen, dove ci accolgono con sorrisi e povertà, scarafoni e acqua corrente che non corre perché un pezzo si è rotto due settimane prima e, sapete, prima o poi arriva il ricambio… Si dorme e si ride, siamo già a pezzi.

Il giorno dopo alle 7.30 c’è la S. Messa che però comincia esattamente “quando tutti sono entrati”. Ed è messa grande, con canti e balli, battiti di mani, partecipata all’inverosimile.

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Io non ci vado mai a Messa, ma se fosse così ci metterei spesso il naso. L’emozione è forte.

Anche il chierichetto suona la campana a ritmo di musica. Il prete sembra un po’ un dj ma vabbè, è divertente e i bambini, 25 per fila, bellissimi e coloratissimi.

Grande popolo, di grande dignità. L’emozione si respira, gente che si muove ovunque, bambini che Paolo comincia ad eccitare con caramelle e buba, i palloncini. La scena si ripeterà spesso durante il viaggio, è così facile farli ridere e così divertente sorprenderli con piccoli scherzi.

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Siamo qui per inaugurare oggi il Liceo del complesso scolastico Nicolas Barré, Beato francese del 1600 (chissà chi lo sa, religiose a parte), finanziato da AAC, 600 alunni, 36 insegnanti, 6 religiose.

Intorno baracche, molte abbandonate e bruciacchiate (fino al 2003 qui ci si sparava per strada per la guerra civile), piccoli esercizi commerciali, ovunque vendita di schede telefoniche perché è questo il business (l’unico) del paese. Il cellulare è status symbol anche per chi non mangia, evidentemente.

Grande il piazzale, forte il sole, levèe des couleurs e inno “Le Centrafrique..” che diventerà uno dei nostri motivi preferiti durante il viaggio. Tutto solenne, le autorità in divise ridicole e pompose, i discorsi e tanti balletti e recitazioni dei bambini in onore delle autorità.

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C’è anche il vescovo, François Xavier, figura dolente di intellettuale africano, che ha un rapporto stretto con Carla e solo per questo è venuto. Capisco che ha aiutato tanto Carla e Carla ha aiutato tanto lui. Si stimano.

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Nota: tra i bambini ci sono tutti, sani e ammalati, cattolici e musulmani, bene così.

Dopo la cerimonia, pranzo in missione e Paolo, che è un matto, canta e balla con le suore. Lui osa tutto subito, io no e non lo farò mai. Voglio mantenermi in disparte, non lasciarmi andare con nessuno, neppure con i bambini. Io non voglio ammalarmi di loro perché voglio aiutarli e non sono sicuro di riuscire a farlo se mi faccio troppo coinvolgere.

Subito dopo pranzo, si va a visitare il centro delle Petit Soeurs di Charles Foucault. Si occupano delle donne della comunità. Alfabetizzazione, broderie e agricoltura. Un po’ funziona e un po’ no. Qua il concetto di ricavo e di lucro non esiste. L’AAC le ha aiutate con il microcredito, e poi compriamo qualche loro prodotto. E’ il compleanno della mia mamma e un vestito le piacerà!

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E si parte, chauffeur Armand Raikkonen della Savana ci porta con la jeep piena di noi e di suore a Yaoundè passando da Oda Ketté un altro progetto in mezzo alla savana, una scuola finanziata in associazione con lo Stato, 3 classi, 3 insegnanti, 300 alunni.

A Yaoundè ci incontriamo con il driver mandato da padre Aurelio, da Bozoum, e lì ci porta. Arriviamo alle 11 di sera, ho fame mal di testa e sonno. Sono già a pezzi. Si mangia salame e formaggio si dorme pesante nella Missione di questo carmelitano, che è un frate manzoniano, eroico, spiccio, magro, insonne per il quale ciao è già una parola di troppo. Un vero piemontese. Tutto come lui, semplice, essenziale e pulito. Bello e bella la gente che ci sta.

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IV. E’ il 17 gennaio : Bozoum

Il giorno della Fiera Agricola di Bozoum, già giunta alla quinta edizione, il progetto economico più importante del Centrafrica. Il progetto iniziato nel 2005 è stato sponsorizzato dalla Fondazione Cariplo per 70.000 euro e l’AAC per altrettanti. Tra tutti è il progetto più interessante, per me.

La Fiera è il momento espositivo annuale di decine di Groupement o cooperative che vengono finanziate, formate, organizzate in tutto il paese sotto la regia di Padre Aurelio. E’ il fenomeno economico più importante del paese. Presenti ministri, militi armati fastidiosi, centinaia di colori e di odori e musica assordante che fuoriesce da casse scassate per tutto il giorno.

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La Fiera si estende tra due filari di alberi che fanno ombra. Molto semplice. Poco più di un mercato. Ma quel che conta è esserci e partecipare al concorso. La gente sfila, ballando con i prodotti ben esposti. Bisogna continuare ad aiutarli e estendere l’esperienza in altre regioni del paese, questo capisco.

Questo paese non ha economia e fare cooperazione significa aiutare la popolazione a far crescere la propria economia per accrescere la propria dignità ed indipendenza. E’ lunga la strada, ma l’entusiasmo c’è e le capacità anche. Ci vogliono tanti soldi. Dopo la mattinata in fiera a gironzolare e curiosare, pranzo con le autorità in missione (buona la pizza!) e poi su un camion in giro a valutare gli orti della zona per premiare il più meritevole. Tutti sul campo nominati giudici con schedina fornita dalla Caritas da riempire: io, i ministri, gli altri occidentali presenti, forse perché no qualche passante. Che caldo, ma che belli questi orti così amati e ben curati. Padre Aurelio mi sa che sta facendo un gran lavoro e so che lo ha fatto per tanti anni.

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Passiamo fra la gente, le case e i bambini sempre i bambini. Parli con uno e spuntano in 50. Da ogni dove. Tutti gentili e disperatamente stracciati, sporchi, malridotti.

Cena in missione, ci sono un po’ di ospiti, due pensionati che fanno i dispensieri nel circolo dei carmelitani, una pediatra giovane e simpatica in cerca di aiutare gli altri e se stessa, un rappresentante della Caritas che cerca di parlare disperatamente francese con Paolo, ormai maestro di esperanto, Davide professionista della cooperazione che lavora per una ONG danese, una francese che non si sa e altri. Bella gente. Scopro che sono tanti i cooperanti, alcuni lavorano bene, altri meno, sento critiche sul modus operandi dell’Unicef, e sull’impegno che non tutti riescono a mantenere per lungo tempo. Ma sono tanti e dovrebbero essere molti di più. Noi non ci rendiamo proprio conto in che stato vive gran parte della popolazione mondiale e, soprattutto, pensiamo che possa non interessarci. Comincio ad imparare. V. Il 18, Bozoum, Yaloukè, Bossambelè e Bangui.

Si parte con la Messa, ed è festa! Ancora più forte di quella di Bossangoa. Musica musica e musica, balli e balletti, un coro eccezionale. Mi sento un po’ a disagio perché continuiamo a fotografare e filmare, ma so che lo faccio per testimoniare. Spero lo capiscano e mi perdonino.

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Dopo la Messa, spesona alla fiera, riso fagioli e carote.

Si parte con il solito pick up alla volta di Yalokè. Lì incontriamo tre suore centrafricane che gestiscono una scuola di 300 bambini ed aiutano, se riescono, le donne della comunità. C’è anche Madre Juliette, Economa Provinciale dell’Ordine di Saint Paul de Chartres, per farci vedere il terreno e i progetti della Scuola che lì verrà costruita con i soldi dell’AAC. Tutto sembra a posto anche se Carla dovrà rivedere i preventivi con l’architetto a Bangui.

Incontriamo Philippe, 1 anno e solo 3 chili, denutrizione totale. La madre, già 3 figli e 20 anni scarsi, è arrivata alla missione solo quando ha capito di non farcela più.

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Li imbarchiamo, assieme a Madre Juliette e a Suor Jolanda, io e Paolo nel retro. Puzza e terra e chiacchiere esistenziali. Se non si fanno in quelle situazioni, quando?

Arriviamo a Bossambelè, dove c’è una missione, un dispensario, un centro nutrizionale e un ricovero per handicappati. Lì lasciamo il piccolo Philippe e la madre. Ci sono circa 10 bambini, handicappati. Uno si muove come un cane, ciabatte alle mani e ai piedi. Tutti ci corrono incontro, si appoggiano dove possono, i più fortunati su delle stampelline in legno, per darti la mano: “Bonjour!”. E poi dici che non ti devi commuovere. Carezze, dolci, scherzi, foto e buba a raffica. Mi sento male.

Tutto ciò è nulla. Anche i soldi che Carla dà alla suora per curare il piccolo Philippe e avere notizie. Una sorta di adozione a distanza ma anche a vista. Cosa facciamo? Ne aiutiamo uno, o anche tremila, e ne muoiono il doppio ogni mese. Ne discutiamo fra noi. A volte il silenzio raccoglie fra le sue braccia la disperazione e la sfiducia, che non trovano più senso nelle parole. L’unica alternativa è fare. E si continua. Anzi stiamo solo cominciando, questo, si sa, è un viaggio che non durerà solo una settimana.

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Si riparte sempre nel retro del pick up impreziosito da un secchio di pesci morti che Madre Juliette ha graziosamente comprato in strada per la sua missione. Che ridere?! E di più ridiamo quando ci fermiamo sul fiume al tramonto e Paolo vede un barcaiolo.

Decide di salire sulla piroga, che non tiene e finisce a bagno. Grande Paolo! Mai vista una Madre Economa sganasciarsi letteralmente dalle risate. Ride anche il barcaiolo e forse qualche pesce.

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Arriviamo sporchi e puzzolenti a Bimbo, frazione di Bangui, dalle Comboniane. Bello rivedere Suor Dalva, brasiliana di una intelligenza unica e tutte le sorelle.

Cena, doccia (!!!), telefonata e sonno. Ciao piccolo Philippe. Magari ci rivediamo ma credo di no. Però mi hai lasciato qualcosa. Adesso siamo un po’ la stessa persona e grazie a te farò qualcosa per te o per chi è come te.

VI. Il 19, Sibut. Si parte alle 6, con Suor Filomena, dell’Ordine delle suore Ruandesi. Senza suora è meglio non girare. Vale come una specie di lasciapassare, senza voler mancare di rispetto. Con loro e per loro si passa facilmente da tutti e sono tanti posti di blocco o sbarre calate con tanto di armigeri non molto rassicuranti per il pagamento del dazio che qui si paga all’ingresso di ogni centro abitato. 500 Franchi CFA, vale a dire 75 cent. Di Euro! A Sibut si va a festeggiare la fine della ristrutturazione di una scuola, già finanziata dalla AAC da 5 anni, dopo la distruzione della guerra civile. Arriviamo in ritardo, sono tutti in attesa, alle 9.30 (ci sono già i bei 45 gradi), in prima fila Suor Myriam, francese magra magra, che gestisce la missione con la scuola cattolica, 600 alunni di cui 100 orfani e molti sieropositivi.

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La cerimonia parte in allegria: una bimba con mazzo di fiori legge una poesia e scoppia a piangere, allora Carla piange anche lei, e io e Paolo ci asciughiamo le lacrime.

I bambini sono schierati con le loro divise nel piazzalone.

Alzabandiera, Inno, Discorso del Sottoprefetto, burocrate furbo e gentile. Discorso pieno di errori del direttore. 4 parole di Carla e mio discorsetto, ormai solito. Sono emozionato, stanco, tremo e mi scopro mettere insieme 4 concetti sulla solidarietà e il dovere che loro hanno, soprattutto le autorità di aiutarci a farsi aiutare, a cui comincio a credere veramente.

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C’è una materna e sette classi. Foto, scherzi, canzoni, interrogazioni, occhi, occhi, occhi e manine. Non bisogna perdere il controllo, ma qui è dura. Ad ogni bimbo un dolce, un gioco e un libro. Io non sto bene, Paolo è coraggioso più di me, gioca e si diverte per divertire.

A parte il nulla di un dolcetto che è anche il tutto di un sorriso, di un momento di sincero stupore e divertimento moltiplicato per cento e sempre uguale e diverso da quello che lo precede, a me fanno impressione gli occhi dei bimbi di stracci che guardano quel che succede in classe da fuori, sono ancora più sfortunati perché non sono alunni di questa scuola scalcagnata ma dignitosa.

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E poi la fame, ma non dei bambini, che te l’aspetti, ma dei bidelli, degli insegnanti, del direttore che sottovoce chiedono un lecca lecca anche per loro. Io sono esterrefatto.

Alle 16, con casse di libri e Suor Filomena, partiamo alla volta di Dekoa. A Dekoa ci sono le Suore Ruandesi che fanno promozione della donna, alfabetizzazione, gestiscono un Centro Handicappati e di riabilitazione fisica, oltre a nutrire ogni giorno un certo numero di bambini alcuni dei quali sono stati adottati a distanza tramite la AAC.

Ci sono tre suore a gestire tutto ciò. E’ evidente la povertà in cui vivono. Ci ospitano con gentilezza e qualche ingenuità nella cura delle stanze dove siamo ospitati. Io e Paolo conveniamo che forse qui le nostre mogli sarà difficile portarle.

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Fa anche un caldo pazzesco questa notte e girano elicotteri animali nell’aria. La stanchezza si sente. Almeno la sentiamo noi. Carla invece è sempre sul pezzo, tra l’altro lei lavora come una pazza, discute di bilanci, spedizioni, costruzioni, fondamenta, pedagogia, è contabile, muratore, architetto, ingegnere, un po’ avvocato e dottore. Chi la ferma?

VII.

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E’ il 20 e si va a Kaga Bandoro. Là troviamo la missione delle suore comboniane, suor Charro colombiana, suor Vittoria spagnola, suor Rita valtellinese.

Ci sono 2 scuole cattoliche, una elementare ed un liceo. Il sistema scolastico in Centrafrica è quello francese, sei primarie e sei secondarie. Solita cerimonia, ma senza autorità e discorsi. Ci attendono i bambini con i fiori, le canzoncine, il corpo insegnante. Visitiamo tutti gli ambienti, uffici e classi della scuola elementare. Le classi sono disadorne, sovraffollate, i bambini sanno poco, i quaderni sono pochi, poco utilizzati, poco controllati dai maestri. Carla si arrabbia con il direttore, forse dovrebbe anche con le suore, forse non lo fa perché sa che fanno ciò che possono e non possono essere tutto, e sapere tutto. Si evidenzia lì un problema che pare generale: non ci sono molti missionari e molti di loro sono anziani e non a loro agio con una opera gestionale complessa come la amministrazione di attività economiche e strutture scolastiche. E’ qui che deve intervenire il volontariato laico, con le proprie competenze, per aiutare e addirittura superare l’opera dei missionari, comunque insostituibile perché insostituibile è la presenza pluriennale sul territorio.

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Al liceo va meglio, direttore intelligente, maestri più giovani e impegnati.

Parliamo con i ragazzi: vogliono il terreno da basket e libri, libri, libri, dizionari, libri di storia e di matematica, dicono chiaramente che possono studiare ma fino a un certo punto possono progredire perché non hanno i libri che sarebbero necessari. Visitiamo il cantiere aperto dove si sta costruendo il laboratorio del liceo scientifico, finanziato anche questo da AAC.

Dopo pranzo, freschi e riposati…partitone a pallone con i ragazzi del liceo, grande tifo, molta atleticità (a parte me e Paolo) e poca tecnica. Bello giocare con loro, sotto gli occhi del direttore e degli insegnanti, vedere come il calcio è una cosa estremamente seria perché è un gioco, come da noi come in tutto il mondo, anche se la palla è un po’ ovale e il campo è pieno di buche. Ci si diverte, si gioisce e ci si arrabbia. Sembra banale ma è bello esserci in mezzo e prendere pestoni senza riguardo, e darli anche, perché no! Nasce l’idea di Inter Campus, la bella iniziativa dell’Internazionale F.C., che cercherò di portare avanti una volta in Italia.

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Al ritorno in missione vediamo e, poco, assistiamo Carla al lavoro. È uno spettacolo, riesce a ragionare di contabilità di cantiere con Philippe il capomastro, in un francese efficace, e a chiedergli sconti e varianti. Negozia, negozia, negozia, tifiamo per Carla ma simpatizziamo per Philippe, che alla fine va, stanco e perdente. Nel frattempo faccio amicizia con le suore. Care, tanto care, anziane e piene di umanità vera. Tutte sono incredule nel vedere Carla, quanto è capace e instancabile. Veramente senza di lei e senza l’AAC, qua e in molti altri posti non succederebbe niente. Ne sono fiero, anche se non ho alcun merito.

Rita mi racconta come al catechismo che lei fa a scuola la più brava a pregare sia una bambina musulmana e di quanto lei rispetti chi non prega anche se è nella scuola cattolica. Me lo racconta con una parlata montanina, senza fronzoli, pane al pane, viva la Valtellina! Anche se ci sono 50 gradi è aria fresca. Torniamo a Dekoa, dove c’è il centro di terapia fisica con annesso un blocco operatorio e conduciamo lì un poveretto infortunato con una gamba ingessata. Arriviamo alle 23, buio e stanchezza dominano. Si dorme, malgrado tutto, domani siamo fermi.

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VIII. 21 gennaio, Dekoa, poi Bangui passando da Sibut. La giornata inizia con Carla che rivede le schede delle adozioni a distanza. Sono ancora poche. Carla mi spiega che ci vuole qualcuno che le segua assiduamente dall’Italia, venendo qui un paio di volte all’anno. Forse Sabrina lo farà. Oggi sono circa 30 o poco più. L’amministrazione non è semplice, ma quel che è sicuro è che i soldi che sono stati affidati ad AAC vanno tutti spesi per il bambino adottato. Non è sempre così.

Io e Paolo andiamo a visitare il Centro Handicappati poi la Scuola a distribuire i libri. Non bastano quelli che abbiamo, bisognerà provvedere. Carla mi spiega che si devono far stampare ad Yaoundè in Camerun, perché in Centrafrica non c’è neanche la stamperia.

Poi, mentre Carla controlla i conti della scuola con Padre Teodoro, io e Paolo andiamo a rivedere quelli del Centro di Riabilitazione Fisica, con la dolce Suor Consolation, esaminiamo il bilancio 2008, discutiamo del budget 2009 e raccogliamo la lista delle apparecchiature che dovremo provvedere a raccogliere.

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Dopo pranzo si va a visitare i bimbi che vengono nutriti 5 volte alla settimana dalle suore e a fotografare i bimbi adottati a distanza. Alcuni non rispondono all’appello che faccio io, mentre Paolo fotografa chi c’è ancora.

Si parte alla volta di Sibut e poi direzione Bangui, dove arriviamo dopo 4 ore di viaggio, nel buio a Bimbo dalle nostre care amiche le suore comboniane. Cena frugale con Terzo e Luciano, i due muratori padovani, venuti per aiutare a costruire il Grande Centro di accoglienza dei Bambini di Strada di Bangui. Il terreno è stato acquistato, è bello e grande, centrale, ben cinto da mura. Ci saranno: dispensario, scuole, uffici, magazzino, casa delle suore e casa dei volontari laici. Poi forse un panificio, magari una gelateria o comunque una attività economica per l’auto-sostentamento.

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Si dorme, bene, sotto un diluvio tropicale. Ho voglia di vedere i miei bimbi, il mio equilibrio fa un po’ fatica a resistere.

IX. 22, Bangui. E’ l’ultima, bella, lunga giornata. Sveglia alle 5.45, colazione alle 7, puntuali. Dopo un po’ di shopping al centro di artigianato, l’unica isola turistica di questa strana capitale, dove non c’è l’acqua né la corrente elettrica eccezion fatta per il quartiere del Presidente, …

… vogliamo andare dai nostri bimbi raccolti per strada e curati nella comunità di donne. Facciamo una spesona nel supermercato per ricchi, visti i prezzi davvero ricchi!, e con Suor Dalva e Suor Flora andiamo in visita. Lì hanno bisogno di lettini e di giochi e di soldi per sopravvivere.

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Lì c’è la bambina di pochi giorni trovata nei liquami. Me la mettono in braccio e la faccio addormentare. Paolo la coccola. Poi faccio ballare una bambinotta di due anni, le lascio le manine e lei me le riprende. Poi mi abbraccia e mi guarda, fisso, senza ridere. Si chiama Amina, la piccola si chiama Marisabel. Facciamo foto, cerchiamo di ridere e di giocare. Paolo piange. Lo segue Suor Dalva, io crollo dopo, di nascosto. Siamo stanchi e in trappola, sappiamo che li aiuteremo. Ho voglia di tornare da Sabrina e dai miei bimbi. E spero di essere capace di non tradire queste persone che hanno bisogno di noi, di tutto.

Dopo pranzo andiamo a trovare il Padre polacco, simpaticissimo, che ha la Parrocchia vicino alla missione e una scuola per orfani. Giochiamo anche con loro, ormai siamo dei professionisti dello scherzo con le macchine fotografiche, e loro ci danno sempre lo stesso spettacolo di gioia e risate e scherzi irriverenti.

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So che è banale, ma sono loro l’immagine che ci porteremo in Italia. Con quella di Marisabel e di Amina. E il pensiero va a questi missionari che magari passano 20 e più anni in questo mezzo inferno e che permettono a noi di lavorare, pensando di aver fatto chissà che cosa, per poi uscire distrutti dopo solo una settimana.

Andiamo alla Casa di Accoglienza per orfani, gestita dalle Suore del Sacro Cuore, 35 bambini, una scuola, un dormitorio e un refettorio. AAC sta costruendo una nuova scuola e dove ora c’è la scuola si faranno dei dormitori per raddoppiare il numero di bambini ospitati oltre a tre classi per chiudere il ciclo delle primarie. I bambini ci accolgono con canti e balli, come sempre, ma questi bambini non hanno la luce negli occhi.

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Suor Paola, che si occupa della gestione ci spiega che con 10.000 euro all’anno provvede alla alimentazione di tutti i bambini, suore ed insegnanti, per tre pasti al giorno tutti i 365 giorni. Ci penso, calcolo, è quasi 1 euro al giorno per persona. Incredibile.

Paolo ed io siamo distrutti, Carla è ancora un uragano. Si va al cantiere del Grande Centro a discutere con l’architetto e con Terzo uno dei due muratori padovani. Il progetto è grande e sarà il passo necessario perché i progetti tutti dell’AAC facciano passi avanti veloci con la presenza per un lungo periodo di volontari laici che possano gestire tutti i progetti in continuità.

Al cantiere incontro Padre Gilberto a cui avevo mandato le magliette dell’Inter per la squadra Real Comboni che lui segue per far giocare un po’ di ragazzi. Sono in seconda divisione e sono bravi. Purtroppo non sono riuscito a vederli, sarà per la prossima volta, ma nasce una simpatia, tornato in Italia continueremo a scriverci, è un giovane entusiasta, che cercherò di aiutare, anche se è juventino!

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X. Fine. Fine, doccia, bagagli, partenza dal lugubre aeroporto. Un abbraccio a Suor Dalva che ci accompagna con la sua macchinetta, è come le abbracciassimo tutte. Veramente sorelle. Parto conscio di sapere cosa fare, finalmente, non so ancora come, ma lo scoprirò. E non vedo l’ora di cominciare. Grazie Carla. Grazie Paolo. Grandi compagni di viaggio. Ho imparato tanto.

Ciao Amina, ciao Gilberto. Grazie Aurelio. Ciao piccolo Philippe, grazie a tutti. Sono un uomo fortunato. Ora capisco quelli che me lo dicevano, so che qui tornerò.