Dadasimo e Futurismo

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Nella seconda metà dell’Ottocento e per tutto il Novecento si susseguono correnti artistiche sempre più rapidamente, l’una in opposizione all’altra e in un presunto superamento reciproco. Tuttavia queste correnti se anche nascono ufficialmente in un preciso anno, esistevano di fatto, già da tempo e si basavano principalmente su ricerche di ordine artistico maturate da singole personalità. Non esistevano programmi preventivi, la creazione artistica passava avanti ad ogni formulazione teorica, sebbene non si negasse la validità della grande tradizione del passato, quella tradizione adeguatamente rappresentata dalle opere conservate nei musei. Con l’avvento del Futurismo la situazione cambia completamente. E’ il primo movimento che si dà un programma preventivo, che rompe decisamente con tutto il passato, sostenendo di essere proiettato nel futuro, che si colloca in posizione volutamente polemica e provocatoria nei confronti di ogni oppositore. Sono le idee affermate dal suo fondatore, lo scrittore Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) nel Manifesto, che diede origine al movimento, pubblicato a Parigi il 20 febbraio 1909. Il Manifesto, violento e perentorio nel linguaggio, riprendendo il tema della fede nel progresso 28

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Nella seconda metà dell’Ottocento e per tutto il Novecento si susseguono correnti artistiche

sempre più rapidamente, l’una in opposizione all’altra e in un presunto superamento

reciproco. Tuttavia queste correnti se anche nascono ufficialmente in un preciso anno,

esistevano di fatto, già da tempo e si basavano principalmente su ricerche di ordine artistico

maturate da singole personalità.

Non esistevano programmi preventivi, la creazione artistica passava avanti ad ogni

formulazione teorica, sebbene non si negasse la validità della grande tradizione del passato,

quella tradizione adeguatamente rappresentata dalle opere conservate nei musei.

Con l’avvento del Futurismo la situazione cambia completamente. E’ il primo movimento

che si dà un programma preventivo, che rompe decisamente con tutto il passato, sostenendo

di essere proiettato nel futuro, che si colloca in posizione volutamente polemica e

provocatoria nei confronti di ogni oppositore. Sono le idee affermate dal suo fondatore, lo

scrittore Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) nel Manifesto, che diede origine al

movimento, pubblicato a Parigi il 20 febbraio 1909. Il Manifesto, violento e perentorio nel

linguaggio, riprendendo il tema della fede nel progresso scientifico, esalta la velocità della

vita moderna e, per conseguenza, la macchina che, con il motore, moltiplica le forze

dell’uomo inebriandolo di potenza. Per questa ragione centro del futurismo è Milano, la città

simbolo del lavoro industriale, che, soprattutto a partire dagli inizi del secolo, vede sorgere o

ingrandirsi nuove officine e si espande urbanisticamente oltre i tradizionali limiti. Il

futurismo, infatti, è un inno alla modernità, senza rendersi conto dei risvolti negativi e dei

pericoli insiti nella mitizzazione della macchina.

L’ideologia futuristica consiste soprattutto nell’affermazione della superiorità di ciò che è

dinamico su ciò che è statico, il primo destinato a primeggiare sul secondo e quindi a

modificarsi continuamente e trasformarsi, ad avanzare dunque, nel futuro. Primeggia

un’esaltazione non solo di tutto ciò che è vitale, compresi i rumori, ma soprattutto

dell’azione di per se stessa indipendentemente da ogni fine, dell’aggressione, della

sopraffazione, della violenza che esprimono la volontà vitalistica. Ciò spiega anche perché il

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Futurismo, unico fra tutti i movimenti di avanguardia, non possa schierarsi con la Sinistra

internazionale e nemica della guerra ma, politicamente, viene accostato alla Destra italiana,

nazionalista ed interventista, confluendo infine nel Fascismo. Ecco perché, accanto

all’agghiacciante e assurda glorificazione della guerra “sola igiene del mondo”, la

conclamata superiorità dell’Italia (destinata a riprendere il suo ruolo antico di dominatrice) e

dell’uomo sulla donna, si spiega la volontà di distruggere musei, biblioteche e le città-

museo, come Firenze, Venezia o Roma, perché centri di conservazione statica.

L’ideologia futurista, così come enunciata dal Marinetti, è confusa e contraddittoria e

redatta con un linguaggio irritante e virulento che veniva usato nelle “serate futuriste”

organizzate in sale e teatri, davanti ad un pubblico tumultuante, tra grida, offese, schiaffi e

pugni da una parte e dall’altra.

La poetica futurista è enunciata, oltre che in altri scritti, in quattro Manifesti lanciati negli

anni immediatamente seguenti. Depurati i testi dalla consueta verbosità, dalle ripetizioni,

dagli attacchi contro tutto e tutti, il nucleo centrale attorno al quale si sviluppa la poetica

futuristica è che l’arte deve rendere la mobilità alla vita. Ne consegue che nessun oggetto

vive isolatamente; nel suo incessante spostarsi si modifica per l’influsso di ogni altro

oggetto, non solo per i riflessi dei colori, ma anche per i rapporti reciproci delle forme.

Compenetrandosi vicendevolmente, in una totale unità, i corpi si espandono nello spazio.

Per rendere questa idea del moto nelle arti visive, immobili per costituzione, il futurismo si

serve, in pittura e in scultura, principalmente delle “linee-forza”; poiché la linea agisce

psicologicamente su noi con significato direzionale, essa, collocandosi in varie posizioni,

supera la sua essenza di semplice segmento e diventa “forza” centrifuga e centripeta,

mentre oggetti, colori e piani si sospingono in una catena di “contrasti simultanei”,

determinando la resa del “dinamismo universale”.

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Umberto Boccioni Umberto Boccioni (1882-1916), pittore, scultore e retorico, è il maggior artista del

Futurismo, malgrado la brevità della vita gli abbia impedito l’approfondimento della propria

personalità.

I suoi inizi sono divisionisti e, del resto, i Futuristi ritengono il divisionismo la forza più

autenticamente moderna dell’arte italiana.

Ma anche nelle opere più evidentemente divisioniste precedenti la stesura dei Manifesti (non

soltanto la pennellata veloce, a strisce liberamente accostate e a tocchi cromatici)

compaiono la tematica del tempo, spazio e lavoro visto non tanto per le sue implicazioni

sociali, quanto come mezzo per la trasformazione della città e della natura, come elemento

propulsore della vita moderna.

Nell’Autoritratto, per esempio, il busto, leggermente inclinato e mosso, è spostato di lato

così da lasciar apparire, sulla sinistra, la città in periferia con le case in costruzione e, più

lontano, un prato ancora verde, destinato, di lì a poco, ad essere coperto da nuovi edifici. Il

punto di vista è rialzato e la prospettiva è obliqua per dar luogo a un moto ruotante sul perno

costituito dall’uomo, il cui sguardo, intensamente profondo, è il punto focale della

composizione (fig. 1).

Questo impianto prospettico e la visione dall’alto sono elementi comuni a molte opere di

Boccioni. Ricordiamo, fra quelle di questi primi anni milanesi, Il mattino, che ha analogie

con l’Autoritratto per il tema del lavoro (fig. 2). 1-L’ autoritratto

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2-Il mattino

In questi quadri anzi le stesse caratteristiche si accentuano nell’insieme e nei particolari: le

vie tagliate obliquamente (nel secondo quasi in diagonale) danno il senso della distanza; le

ombre lunghe, mentre le persone si affrettano, indicano che il lavoro ferve di prima mattina;

l’atmosfera, malgrado i raggi del sole, è resa fumosa dalle ciminiere.

Lo spettatore entra quasi a far parte della scena. Secondo un’idea di Boccioni che svilupperà

successivamente e che appartiene alla poetica futurista, lo spettatore deve essere posto al

<<centro del quadro>>.

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La città che sale è il frammento di una visione che prosegue oltre i limiti della cornice, la

visione di un moto vorticoso inarrestabile, con linee-forza pluridirezionali, siano quelle

costituite dall’accostamento di vivi colori o quelle geometriche della prospettiva con

convergenza veloce a destra o ancora le verticali dei pali nel cantiere edile sul fondo (fig. 3).

E’ una tipica tesi futurista che qui trova la sua realizzazione artistica: la vita pulsa attorno a

noi che ne facciamo parte integrante non come spettatori ma come attori; non esiste la

possibilità di focalizzare un oggetto fissandolo isolatamente perché, contemporaneamente

noi percepiamo, intuitivamente o con la “coda dell’occhio”, tutto il complesso e tumultuoso

ambiente di cui esso fa parte.

3-La città che sale

Più totalmente realizzato in senso futurista è Visioni simultanee (fig. 4). Il titolo è

significativo. Noi vediamo simultaneamente, tutto ciò che ci circonda: in questo caso,

affacciandosi ad un balcone,, una donna riceve l’impatto della vorticosa attività umana nella

piazza sottostante. Gli oggetti si compenetrano, si sovrappongono, si intersecano, le verticali

diventano oblique in relazione alle varie posizioni assunte, nel giro di pochi attimi, dal

riguardante; tutto è frenetico, tutto è febbrile.

Lo “stato d’animo” è dunque il fulcro della concezione bocconiana: Stati d’animo, infatti, è

anche il titolo che l’autore dà ad alcune serie di quadri (fig. 5).

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4-Visioni simultanee

5-Stati d’animo

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In scultura l’opera più compiuta è Forme uniche della continuità nello spazio (fig. 6). Con

la chiarezza critica che contraddistingue Boccioni, il significato dell’opera è espresso nel

titolo: la forma umana, in movimento veloce, mentre già ha raggiunto una posizione e si

accinge a procedere oltre, è in qualche modo ancora presente nello spazio precedente,

perché nella nostra rètina restano le immagini e soprattutto perché il moto è continuo e noi

lo percepiamo in sintesi.

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6-Forme uniche della continuità nello spazio

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È assolutamente impossibile capire il significato di questo movimento culturale se non ci si

riporta al particolare momento in cui esso è nato: i terribili anni della prima guerra mondiale

(1914 - 1918), quando tutti i valori umani apparivano irrimediabilmente travolti dalla logica

orrenda del grande conflitto.

Ne nasce una specie di disgusto e di rifiuto verso tutto ciò nel cui nome si dice di

combattere (patria, onore, civiltà, tradizioni e così via), in altre parole verso tutte le forme

costituite della società, in primo luogo verso le classi dirigenti, verso il potere economico

che è in gran parte causa delle guerre, e perciò anche verso la cultura che rappresenta la

società contemporanea.

È questo lo spirito che animava un gruppo di giovani intellettuali di varie nazionalità,

rifugiatisi nella Svizzera neutrale per sfuggire alla guerra. Lo dirà con chiarezza, molti

decenni dopo, uno dei fondatori di Dada, il poeta romeno Tristan Tzara (1896-1963).

Dada è dunque una rivolta totale contro ogni aspetto della civiltà attuale. Dada vuole

distruggere tutto, per ricostruire tutto il mondo completamente diverso, dando all’uomo quel

ruolo di protagonista, che gli è stato gradualmente tolto a favore dell’organizzazione

alienante della società moderna.

Che si trattasse di un sentimento comune a molti giovani è provato dal fatto che la rivolta

culturale esplose contemporaneamente, senza contatti reciproci, a Zurigo e a New York e

che si estese rapidamente in buona parte d’Europa, soprattutto in Germania e in Francia.

Ufficialmente Dada nasce a Zurigo, nel 1916, in un cabaret cui venne dato il significativo

nome di Voltaire, il filosofo illuminista francese sostenitore della ragione contro ogni

pregiudizio. Dai primi spettacoli di cabaret, viene via via crescendo un atteggiamento

ironico, dissacratorio e provocatorio. Poiché il movimento combatte contro i significati

tradizionali attribuiti alle parole, espressione di concetti universalmente accettati, Dada non

vuole significare nulla.

Tzara narra di avere trovato la parola a caso in un vocabolario, in una pagina del quale era

incidentalmente scivolato un tagliacarte.

Dada è contro la letteratura, contro la poesia, contro l’arte. Contro tutto ciò che si è fatto

passare per eterno, bello, perfetto; è contro le correnti artistiche <<moderniste>>:

l’Espressionismo, il Cubismo, il Futurismo.

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Una scultura o un quadro diverso da tutto ciò che già esiste può essere ritenuto un’ opera d’

arte. Per esempio e’ opera d’ arte dei pezzi di ferro messi assieme, della carta su cui è

attaccato collage ecc. Dada quindi è liberta e non è un’estetica, come tutti gli altri

movimenti. Non si interessa del valore artistico, si interessa piuttosto dello shock che causa

nello spettatore per toglierlo dalle sue pigre abitudini mentali. Tutto è arte: pezzi di legno

grezzo inchiodati e colorati, per esempio, come in questa Trousse d’un Da di Hans Arp (fig.

1); oppure un oggetto comune, messo in una certa posizione invece che in un’altra. In ciò

sono riconoscibili forse elementi cubisti, come il collage; ma è il modo di intenderli che è

diverso; per il Cubismo il collage è un richiamo alla realtà, matrice unica di ogni nostra

idea, ed è sottoposto all’organizzazione estetica; per il dadaismo è la negazione dell’arte, o

meglio, la dimostrazione che non esiste l’arte come qualcosa di nobile, ma che qualunque

oggetto costruito dall’uomo, proprio perché tale, è frutto della creatività umana e quindi

<<è>> arte.

1-Trousse d’ un Da

Con la fine della guerra, la grande maggioranza degli artisti che avevano animato la città

svizzera lascia Zurigo per tornare in patria.

Negli stessi anni anche gli Stati Uniti, soprattutto New York, conoscono le prime ondate

avanguardiste, che collocano rapidamente l’America in posizione di primo piano.

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Nel 1913 a New York l’ Esposizione internazionale d’ arte moderna aveva mostrato le più

avanzate creazioni europee dagli Impressionisti ai Cubisti; il Nudo che scende da una scala

(fig. 2) di Duchamp Marcel (Blainville 1887-Neuilly 1968) per esempio aveva suscitato

scandalo ma anche interesse vivissimo. Ma è soprattutto con l’arrivo quasi contemporaneo

di Duchamp e di Francis Picabia (Parigi 1879-ivi 1953), nel giugno 1915, che divampano

fermenti e idee analoghe a quelle del Dada svizzero.

2-Nudo che scende da una scala

Già da due anni il primo aveva sovrapposto a uno sgabello bianco una ruota di bicicletta

facendola poi ruotare liberamente. Sono quelli che egli chiamò i ready-made, <<oggetti

d’uso comune>>, <<oggetti già fatti>> isolati dal loro contesto, messi in mostra ed elevati

polemicamente al ruolo di <<opere d’arte>>. La scultura Ruota di bicicletta (fig. 3) e’ il

tipico esempio di quanto appena detto.

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3-Ruota di bicicletta

Ancora più dirompente fu poi l’invio, da parte di Duchamp, sotto lo pseudonimo di Richard

Mutt, di una scultura, intitolata Fontana (fig. 4), ad una mostra organizzata nel 1917. Era un

orinatoio maschile in maiolica bianca capovolto e collocato su un piedistallo di legno. Lo

scandalo fu immenso. Pensando allo pseudonimo Mutt, si può pensare ad una relazione non

solo con la parola “Mutter” (“madre” in tedesco), ma anche con Mut, la dea-madre egizia,

dotata contemporaneamente degli attributi maschili e femminili in quanto generatrice di tutti

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gli uomini. In tal caso la scultura potrebbe rappresentare anche il ventre materno: il titolo

stesso, Fontana, indicherebbe la fonte della vita.

4-Fontana

Così i baffi e la barbetta dipinti più tardi (1919) da Duchamp su una riproduzione della

Gioconda di Leonardo - al di là del gesto iconoclasta compiuto sul quadro più celebre del

mondo - potrebbero significare la sovrapposizione di un elemento tipicamente maschile su

un volto femminile (fig. 5).

5-La Gioconda con i baffi

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Aderiscono alla nuova corrente vari artisti americani, fra i quali il più originale e dotato di

tutti è Man Ray (Philadelphia 1890-Parigi 1976) il cui capolavoro e’ : Regalo (fig. 6).

Quest’ oggetto e’ carico di ironia: un ferro da stiro con la piastra irta di spunzoni pronti a

strappare la fresca biancheria lavata.

6-Regalo

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In Germania il dadaismo si sviluppa principalmente in tre città: Berlino, Colonia, Hannover.

I maggiori artisti tedeschi sono Hans Arp (Strasburgo 1887- Basilea 1966) e Max Ernst

(Bruhl 1891-Parigi 1976). Il loro dadaismo, pur sempre innovatore ed antiborghese, è

contraddistinto dalla ricerca di un linguaggio espressivo nuovo. Con questo scopo Ernst

elaborò alcune tecniche, fra cui, importantissimo per gli sviluppi futuri nell’arte del

novecento, il montaggio di vignette, collage o di fotografie preesistenti ritagliate da giornali

e combinate reciprocamente in rapporti nuovi, in modo da generare una reazione psicologica

inconsueta nello spettatore, agendo sul suo inconscio ed esprimendo il mondo interiore

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dell’artista. Tale tecnica del montaggio e’ presente in particolar modo nel suo capolavoro:

Progetto di manifesto (fig. 7).

7-Progetto di manifesto

RAPPORTI TRA DADAISMO E FUTURISMO

Le manifestazioni dadaiste non si distinguevano molto come criteri d’ azione dalle serate

organizzate dai Futuristi per scandalizzare il pubblico e provocare le ire dei ben pensanti.

Valga l’ esempio di un evento organizzato a Colonia dai pittori Arp ed Ernst: i due

allestirono una mostra di loro opere nel cortile interno di una birreria, ove una ragazza

vestita con abiti della prima comunione recitava frasi scurrili. All’ entrata della mostra c’ era

una scultura in legno di Ernst, cui era attaccata una scure, con l’ invito ai visitatori di

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distruggerla. In generale il debito del Dadaismo svizzero con il Futurismo e’ evidente: nel

manifesto di Tzara troviamo lo stesso tono esaltato del manifesto di Marinetti, nonché lo

stesso rifiuto per le pratiche artistiche tradizionali che aveva caratterizzato i manifesti

tecnici del Futurismo. Sono infatti evidenti le similitudini tra alcuni brani di Dadaisti e

Futuristi. Nel manifesto dei primi si afferma tra le tante cose:<< Noi abbiamo dipinto con le

forbici, con la colla e con molti materiali, con gesso e con tela di sacco, carta ed ogni altro

genere di mezzi>>.

La composizione grafica di alcuni poster nati in ambito dadaista deriva strettamente da

quella futurista. Però i poemi dadaisti appaiono, a differenza di quelli futuristi, molto simili

alle parole in libertà, pace ed anticonformiste, in particolar modo rivolte contro il formale,

ipocrita e chiuso atteggiamento dei borghesi. Lo stesso Hans Richter, uno dei maggiori

artisti di Dada, affermò <<Avevamo inghiottito il Futurismo con tutte le sue radici, che,

però, nel corso della digestione avevamo risputato completamente>>.

A Dada risultarono estranee soprattutto la fiducia nella storia e nella guerra che erano state

care ad i Futuristi. Lo scetticismo, l’ impossibilità di credere che la storia passata e la

costruzione del futuro avessero un senso, fu una componente fondamentale del Dadaismo, la

più innovativa sul piano estetico.

Il presupposto dei Dadaisti era solo quello di fare piazza pulita e ricominciare da zero con

disincanto, ma anche con una creatività libera da ogni vincolo etico o tecnico.

Il manifesto futurista è ben diverso da quello dadaista. Pubblicato nel 1909 da Marinetti è

scritto con un linguaggio perentorio e violento e riprende un vecchio tema: la fede nel

processo scientifico, l’ esaltazione della velocità, della società futura, della dinamicità,

indipendentemente se contraria o a favore dell’ etica (es. guerra, violenza ecc.).

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