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Da: La Rivista di Servizio Sociale. Studi di scienze sociali applicate e di
pianificazione sociale – n. 3/2007 (http://www.rivistadiserviziosociale.it/it/articoli.aspx?a=2)
Riflessioni sul concetto di contratto nel servizio
sociale
Silvia Fargion
In questi anni si è spesso discusso sull’importanza di studiare ed elaborare un linguaggio
professionale del servizio sociale. Il linguaggio rappresenta nello stesso tempo lo strumento per comunicare
esperienze e conoscenze, ma, innanzi tutto, un modo di organizzare la conoscenza stessa. Parlare di
linguaggio significa, nelle nuove prospettive costruttiviste, andare al cuore dei modi di pensare la realtà e di
costruire una cultura sui temi sociali. Le parole, le categorie costruiscono realtà, come il
disadattamento, l’abuso infantile, la malattia, la sanità ecc. Il contributo all’elaborazione di schemi cognitivi
per costruire e analizzare problemi e situazioni rappresenta, peraltro, uno dei prodotti principali di una
professione nel contesto sociale più ampio. Le professioni sono state viste da molti proprio come luoghi di
produzione di culture e di linguaggi specialistici. Per cogliere il peso del linguaggio in questo processo, basti
pensare al fatto che, in fondo, quando si parla di medicalizzazione ci si riferisce a un’applicazione
generalizzata di categorie mediche nella comprensione della realtà. Oggi vediamo questo processo in
termini eminentemente negativi, come la manifestazione di un potere della professione medica. In altri
termini però nessuno negherebbe gli importanti contributi del diffondersi della cultura medica. Un esempio
più vicino al servizio sociale è quello di “abuso infantile”, termine che ha consentito di cogliere un
fenomeno a volte identificato come educazione severa, a volte ignorato, e che ha stimolato, insieme ad
altri concetti analoghi, lo sviluppo di una cultura relativa all’infanzia e ai suoi diritti.
Come si è accennato, il tema del linguaggio professionale va a toccare tra l’altro un nodo
fondamentale della professione: quello cioè della trasformazione del sapere esperienziale in sapere teorico.
Le generalizzazioni a partire dall’esperienza richiedono infatti che si possa tradurre in termini formali un
processo caratterizzato da alta informalità. La professione ha quindi bisogno di sviluppare un proprio
linguaggio, di parole, che sostengano questo processo di trasformazione. La recente uscita di un dizionario
italiano di servizio sociale rappresenta un’importante testimonianza di una consapevolezza in proposito.
In questa direzione, che muove da una centralità del linguaggio per lo sviluppo dei saperi e delle
pratiche professionali, si sono sviluppate numerose riflessioni e ricerche nel servizio sociale. Una delle
strade intraprese all’interno di questo filone di studi è quella delle esplorazioni relative allo sviluppo di
concetti chiave del servizio sociale, quali “attivazione” (Lorenz, 2005) o “accettazione”, (Berlin, 2005). Ne
emerge come, spesso, concetti e categorie dati per scontati abbiano assunto significati diversi e perfino
contradditori.
Il mio contributo si inquadra in questo filone di riflessione e si focalizza sul concetto di contratto tra
operatore e utente. Perché è rilevante riprendere a riflettere sul contratto? Il concetto di contratto è
significativo nelle pratiche e nella riflessione da più punti di vista. Si tratta di un concetto che ha
un’importanza particolare nel servizio sociale, innanzitutto per la sua diffusione in quanto ad esso fanno
riferimento numerosi approcci del servizio sociale. Buona parte dei libri di testo dedicano uno spazio al
contratto, spesso direttamente dedicando un capitolo a questo argomento (vedi Lishman, 1994; Lee, 1994;
Davies, 1995; Ferrario, 1996; Campanini, 2002), o nella presentazione di approcci in cui il contratto gioca un
ruolo centrale nella presa di decisione. In Italia la diffusione del contratto è collegata all’approccio unitario,
che rappresenta il modello più frequentemente adottato nei programmi scolastici ed è divenuto uno dei
principali riferimenti (Giraldo, 1996). Praticamente senza eccezione i più recenti contributi teorici
introducono il contratto come un elemento importante, se non basilare, negli approcci di servizio
sociale (Ferrario, 1996; Dal Pra Ponticelli, 1987; Campanini, 2002; Masini e Sanicola, 1988; Lerma, 1992). Il
termine contratto è così divenuto uno dei termini chiave della professione (Bartolomei e Passera, 2005;
Cesaroni, Lussu e Rovai, 2000; Fargion, 2005). La sua presenza in dizionari e glossari del servizio sociale ne
testimonia la rilevanza.
In secondo luogo il contratto consente di toccare temi cruciali della professione, quali i modi di
rappresentare la professione di servizio sociale stessa, le immagini diffuse di utente, modi di intendere la
relazione professionista utente, i modi di intendere il proprio lavoro. Il contratto è quindi un concetto che
rappresenta un nodo o un intreccio di molti fili e in questo senso si presta bene ad essere trattato come il
frammento di un ologramma e ad illuminare elementi centrali della cultura professionale.
In questo articolo, a partire da una ricostruzione storica di questo concetto nel servizio sociale e da
una sintesi della ricerca empirica sulla definizione di contratto, si arriverà ad illustrare controversie e
dibattiti ancora aperti relativi al contratto e alle sue applicazioni nelle pratiche sociali.
Origini del concetto di contratto
Molti di coloro che hanno studiato ed elaborato sul tema del contratto (Maluccio e Marlow, 1974;
Corden e Preston-Shoot, 1987b; Davies, 1995) collocano le origini del concetto nella letteratura di servizio
sociale agli albori della professione. Elementi che possono essere collegati al contratto, in particolar modo il
riferimento ad un patto tra operatore e utente, sono presenti infatti in scritti sul lavoro di gruppo e sul
casework fin dagli anni ’50.
Il concetto di contratto assume però un posto di rilievo nella riflessione e nella letteratura con il
successo della scuola funzionalista (Corden e Preston-Shoot, 1987b). Il contratto viene presentato come
uno strumento di cruciale importanza in rapporto alla nuova visione del ruolo di assistente sociale e della
sua relazione con i clienti, che questa scuola propone. Uno degli aspetti innovativi della scuola funzionalista
è stato, infatti, lo spostamento di attenzione dallo specifico incontro tra operatore e utente, al contesto in
cui l’incontro avviene. Si viene così ad enfatizzare l’importanza del servizio, o comunque
dell’organizzazione, e l’influenza di questo sulla natura del rapporto operatore utente nonché sui modi in
cui la relazione sviluppa. In particolare guardare al contesto dell’incontro porta a considerare l’intrinseco
conflitto nella relazione tra operatore e utente. La componente di mediazione del ruolo dell’operatore
diventa un fattore cruciale: l’operatore si trova nel mezzo in questo conflitto e deve render conto a più
soggetti, poiché dipendente di un servizio e professionalmente responsabile nei confronti dei singoli utenti.
In questo scenario si può ben comprendere come il contratto abbia assunto una posizione centrale, in
quanto strumento per trattare il conflitto.
Insieme al successo della scuola funzionalista, altri elementi hanno favorito uno sviluppo di
attenzione sul concetto di contratto tra operatore e utente negli anni ’70. Si pensi per esempio al declino
della psicoanalisi freudiana quale principale teoria di riferimento del servizio sociale e al corrispondente
sviluppo di nuovi modelli ispirati alla psicologia dell’io, alle teorie di Otto Rank, all’approccio umanistico di
Rogers, ai modelli cognitivo-comportamentali. Si tratta di un sostanziale allargamento dei riferimenti
teorici, e i modelli che ispirano il servizio sociale a questo punto, pur molto diversi tra loro, hanno tuttavia
alcuni elementi paradigmatici comuni. Si coglie una netta differenziazione rispetto ai principi della fase in
cui la psicoanalisi si era affermata, e si pongono i presupposti per il successo di approcci contrattuali. Tra
questi elementi i principali sono: l’importanza attribuita alla natura intenzionale degli esseri umani e una
visione quindi degli esseri umani come soggetti che fanno piani e che hanno un “progetto di vita”; l’enfasi
sui processi mentali consci e non sull’inconscio che porta ad accogliere le persone e i loro modi di guardare
alla realtà senza sovrapporre filtri interpretativi; l’attenzione alle risorse degli esseri umani, che porta a
privilegiare interventi di promozione di competenze, invece che basati sull’identificazione di deficit e sulle
patologie; a questo proposito è importante richiamare la fioritura di approcci che si fondano proprio sulla
valorizzazione delle risorse. Infine si afferma una visione degli esseri umani come comunque capaci di
assumere la responsabilità delle proprie azioni. L’enfasi sull’autodeterminazione, sulla cui applicazione si
presta una crescente attenzione, richiama questa visione di fondo dell’uomo. I modelli centrati sulla
partnership poggiano su questo assunto.
Il cambio di tendenza e prospettiva nei riferimenti teorici può senz’altro essere considerato come lo
sfondo che spiega il successo del contratto: tutti i punti riassunti sopra, infatti, forniscono le coordinate per
una visione del rapporto operatore-utente in termini contrattuali. Il concetto di contratto in servizio sociale
implica che i clienti partecipino alle decisioni sul da farsi e alla soluzione dei loro problemi. Presuppone
quindi che si guardi ai clienti come a soggetti adulti, che magari hanno necessità di supporto esterno
professionale, ma che in ultima analisi sono in grado di fronteggiare i propri problemi, di assumere la
responsabilità delle proprie decisioni. I clienti devono quindi essere visti come soggetti che hanno, e
possono esprimere, un valido punto di vista sulla propria situazione. In ultima analisi l’approccio
contrattuale implica un guardare alle persone, ai clienti, come a soggetti in grado di prendere parte attiva e
assumersi la responsabilità delle proprie scelte. E perciò stesso trasforma la visione del professionista, non
più colui che sa meglio dell’utente (Ferrario, 1996, p.170; Neve, 2000, p. 162) che prende in carico in toto le
persone, i loro problemi e le soluzioni, ma diviene mediatore tra soggetti diversi, con risorse diverse e
conoscenze differenti, ma tutti con competenze da spendere nel processo.
Il concetto di contratto nella letteratura di servizio sociale
In questa atmosfera culturale favorevole, il contratto, particolarmente dal 1970, è diventato una
sorta di ingrediente quasi essenziale nelle trattazioni di metodo di servizio sociale (Davies, 1995; Ferrario,
1996b; Neve, 2000). Il concetto è stato infatti sviluppato e specificato nel contesto di buona parte degli
approcci metodologici di questi anni: dall’approccio unitario, all’approccio sistemico relazionale (Pincus e
Minahan, 1973) dall’approccio centrato sul compito (Doel e Marsh, 1992; Ferrario, 1996b), all’approccio
cognitivo comportamentale (Sheldon, 1995) all’approccio basato sull’empowerment (Lee, 1994). In altri casi
è stato trattato come un approccio e oggetto di riflessioni a se stanti (Corden e Preston-Shoot, 1987b). Si
può ben capire che ci siano delle differenze nelle definizioni di contratto, soprattutto quando trattato nel
contesto di approcci diversi. Tuttavia è possibile individuare alcuni punti caratterizzanti e accettati come
non controversi da tutti coloro che si sono occupati del tema. Questi punti sono ben illustrati dalla classica
definizione di Seabury: “In servizio sociale il contratto è stato generalmente definito come un accordo tra
cliente ed operatore che definisce gli obbiettivi della loro interazione e i processi attraverso cui questi
obbiettivi verranno raggiunti”(Seabury, 1976, p.16). In questa definizione, che ricalca quella altrettanto
classica di pochi anni prima di Maluccio e Marlow (1974 p.30), si può cogliere come il contratto sia una
figura composta che si focalizza su due fattori innovativi rispetto a letture più tradizionali del lavoro
professionale. Come Sills sostiene, infatti (Sills, 1997) il contratto introduce sia l’idea di un accordo tra
operatore e utente sul da farsi, e in questo senso comporta una ridefinizione del rapporto professionista-
utente in direzione di una maggiore pariteticità, sia l’idea di una maggiore chiarezza e strutturazione
dell’intervento sociale. L’introduzione di un nuovo modo di concepire la relazione ha fatto sì che il contratto
venisse visto come la soluzione ad annosi problemi nell’intervento sociale, quale quello del divario di
prospettive tra operatore ed utente (Lishman, 1994). L’introduzione di una maggiore strutturazione, cui il
contratto sembra costringere, è stato visto come la soluzione alla vaghezza di confini e scarsa finalizzazione
nel lavoro delle assistenti sociali (Davies, 1995; Coronelli, 1995; Ferrario, 1996).
Le due qualità cruciali del contratto quindi sono l’introduzione di un accordo e di una strutturazione
dell’intervento e, in connessione con queste, le caratteristiche distintive generalmente citate (vedi
Maluccio, 1974; Seabury, 1976; Corden e Preston-Shoot, 1987b; Davies, 1995; Lishman, 1994; Ferrario,
1996) di un lavoro basato sul contratto sono:
- la mutualità, che corrisponde al sostanzialità dell’accordo. Il contratto dovrebbe basarsi sulla
considerazione dei punti di vista e intenzioni dei soggetti coinvolti, operatori e utenti. Questa condizione
rappresenta la base perché gli accordi raggiunti siano significativi per tutti i partecipanti.
- l’esplicitazione, da alcuni trattata in termini di onestà e apertura nella comunicazione, comporta una
comunicazione chiara da parte dell’operatore di quanto viene agito nonché degli elementi che motivano gli
interventi. Un accordo per essere definito contratto deve essere dichiarato apertamente e chiarito in caso
di necessità. Un lavoro su base contrattuale comporta che, anche durante il percorso, non vengano
nascoste all’utente informazioni che lo riguardano. La comunicazione aperta consente agli utenti di
orientarsi nel rapporto con l'operatore e di prendere posizione rispetto alle proposte. Permette inoltre di
evitare un lavoro su binari divergenti, che rappresenta uno dei rischi maggiori degli interventi di servizio
sociale.
- la realisticità, vagliata attraverso il confronto di tutti gli elementi dell'accordo con i dati di realtà a
disposizione. Perché si possa parlare di contratto, il contenuto dell'accordo deve essere valutato in base alle
reali possibilità di attuazione, nonché all'impatto sul problema. In altre parole, il contratto deve essere
all’interno del possibile raggio d’azione dell’operatore, ma anche fattibile da parte dell’utente, e va
verificato rispetto a questo.
- la dinamicità che consiste nella disponibilità a rivedere gli accordi presi alla luce degli sviluppi
dell'intervento e di nuovi eventi imprevisti. Questa è un caratteristica che distingue fortemente il contratto
professionale dal contratto in un contesto legale. Il contratto non è inteso in termini coercitivi né
ingabbianti; rappresenta un riferimento forte, non un obbligo. Ciò che lo può tener fermo non è la presenza
di sanzioni che ne costringono il rispetto, ma la consistenza del mutuo accordo.
- L’introduzione di un fuoco, e cioè la definizione precisa dei contenuti dell’intervento e dei confini,
anche in termini temporali della collaborazione. Se alcuni autori hanno posto questo aspetto in rilievo più
di altri e forse c’è qualche disaccordo rispetto a questo punto, nondimeno viene generalmente considerato
come caratteristica cruciale del lavoro contrattuale.
Questi punti accomunano la maggior parte degli scritti sul contratto. Si può tuttavia notare che qualche
differenza nei modi di trattare il contratto da parte, di autori diversi, può essere riscontrata per esempio
nell’importanza attribuita al contratto e nella funzione che gioca nell’intervento. Alcuni autori sottolineano
l’importanza del contratto in termini di aumento dell’efficacia degli interventi (e.g. Reid 1972; Sheldon,
1995; Ferrario, 1996), altri considerano l’aumento di efficacia come secondario rispetto ad elementi quali
considerazioni etiche relative al rispetto della persona del cliente e al rispetto dell’autodeterminazione
(Corden e Preston-Shoot, 1987b; Neve, 2000).
Inoltre vi sono alcune sottili differenze nel modo di trattare il contenuto del contratto. Alcuni autori
sposano la possibilità che il contratto possa avere contenuti abbastanza generici, almeno in una prima fase,
ma debba includere assolutamente elementi di fondo, compreso l’approccio che si andrà ad utilizzare
(Corden e Preston-Shoot, 1987b). Per altri autori la definizione dei contenuti, obbiettivi, compiti, tempi e
limiti diventa un tratto fondamentale (Ferrario, 1996; Coronelli, 1995; Doel e Marsh, 1992). Ferrario in
particolare dedica un paragrafo al tema dei contenuti del contratto, entrando nel merito in modo specifico
degli aspetti che ritiene sostanziali in un contratto (Ferrario, 1996b, p.172). Di nuovo però se si considerano
le funzioni generali del contratto si ritrova una sostanziale omogeneità tra autori diversi. Il contratto viene
visto come funzionale a:
- garantire il rispetto dell’autodeterminazione degli utenti
- rendere gli interventi più strutturati e mirati
- trasformare il ruolo degli utenti da passivo ad attivo protagonista
- aumentare perciò la motivazione degli utenti ad affrontare i propri problemi
- rendere l’operato degli assistenti sociali più visibile e più verificabile, anche da parte dei clienti
- valorizzare e rendere visibile il lavoro sociale
- monitorare il livello di comprensione reciproca tra operatore e utente soprattutto in relazione ai
problemi che si stanno affrontando, agli obbiettivi e alle soluzioni.
Si può osservare, a conclusione di questa panoramica sul concetto di contratto, che questo
concetto viene spesso presentato come un modo di lavorare e prendere decisioni che contrasta con i modi
naturali di lavorare degli operatori. Per essere più precisi, molto spesso il contratto viene presentato come
una cura ad alcuni mali del servizio sociale, che a parere di molti autori tenderebbe ad essere generico,
vago, non finalizzato e destrutturato (Davies, 1995).
Se il contratto è visto come radicato nel servizio sociale, questo non è in termini di pratiche di lavoro già
in qualche modo consolidate, ma in termini di ricerca. Almeno questa è l’opinione dei sostenitori
dell’approccio, che fondano il loro sostegno da una parte sugli esiti di ricerche empiriche che dimostrano
l’efficacia del contratto, e dall’altra su considerazioni di principio relative ai diritti di rispetto e
partecipazione degli utenti.
L’evidenza empirica sull’efficacia del contratto
Tre filoni di ricerca cooperano nella conferma della validità del contratto in servizio sociale:
- le ricerche sulla continuità e sugli abbandoni negli interventi di servizio sociale rivolti alle persone;
- gli studi sulle percezioni e valutazioni degli utenti dei servizi in relazione alle prestazioni fruite;
- la sperimentazione di specifici modelli metodologici.
Il primo filone di ricerca è anche il più ‘datato’. Le prime concettualizzazioni sistematiche del
contratto, dal punto di vista empirico trovano giustificazione negli esiti di queste ricerche.
Pincus e Minahan (1973) sostengono che il contratto è uno dei principali strumenti di lavoro degli
assistenti sociali proprio perché, al di là di altre considerazioni di tipo teorico, è provato empiricamente che
la cosiddetta continuità nel trattamento è significativamente correlata con la presenza di un accordo,
riconosciuto come significativo dai soggetti coinvolti. La loro argomentazione si basa sulle prove empiriche
raccolte da Cartwrite e Zander (1968) e sulle considerazioni di Levinger (1960) in una sintesi delle ricerche
effettuate negli anni '60 sulla continuità nel trattamento di casework.
Seabury (1976) cita numerosi studi i cui esiti dimostrano la connessione tra continuità nel
trattamento e la presenza di un accordo tra operatori e utenti. Tra questi, particolarmente significativa è la
ricerca sugli interventi di una Child Guidance Clinic, effettuata da Lake e Levinger, dalla quale è risultato che
l'82% dei clienti che avevano proseguito il trattamento fino al termine avevano raggiunto un accordo
relativamente al problema da trattare e agli interventi necessari. Solo il 32% degli utenti che avevano
interrotto il trattamento prima del termine riconosceva di aver raggiunto un tale accordo.
Se la continuità di rapporto con l'assistente sociale non può essere considerata di per sé come
prova dell'efficacia dell'intervento, i primi autori che hanno teorizzato e sostenuto l'uso del contratto,
hanno però considerato questo aspetto come una condizione necessaria al successo.
Il secondo sostegno empirico al contratto viene, come si è detto, dalle ricerche relative a percezioni
e valutazioni degli utenti sugli interventi degli/le assistenti sociali. Va precisato che molti hanno criticato la
corrispondenza automatica tra la soddisfazione degli utenti dei servizi e l'efficacia degli interventi. In molte
ricerche è emerso, infatti, che gli utenti si consideravano soddisfatti della qualità della relazione anche in
presenza di scarsi risultati concreti e misurabili (Fisher, 1983). È però largamente riconosciuto che la
soddisfazione di coloro verso cui l'intervento è diretto rappresenta comunque un fattore fondamentale
nella verifica del successo degli interventi. Pur considerandone i limiti, gli esiti di queste ricerche sono state
a pieno titolo utilizzate a supporto della tesi che sostiene la validità del contratto. La ricerca di Mayer e
Timms (1970), ormai ritenuta un caposaldo in materia, mostra, tra l'altro, come gli utenti che si dichiarano
soddisfatti sono quelli che hanno percepito come il loro punto di vista sia stato compreso, rispettato e
considerato dall'assistente sociale. Un altro fattore cruciale di soddisfazione, che è stato collegato con l'uso
del contratto, è connesso all'essere messi in grado di capire quanto succede e viene fatto dall'operatore nel
contesto dell'intervento. Al contrario, l'insoddisfazione è strettamente associata ad una divergenza di
prospettive non chiarita relativamente alla valutazione della situazione e ai problemi che dovranno essere
trattati. Da questa ricerca emerge anche come l'assenza di una discussione esplicita su questi fattori
provoca disorientamento, pone la relazione su un terreno di malintesi ed è una delle principali cause di
abbandono prematuro da parte degli utenti. Gli esempi offerti dalla ricerca di Mayer e Timms, a questo
proposito, sono numerosi. Dai coniugi che, attraversando un momento di crisi familiare motivata da vari
fattori, si recano al servizio per ottenere un aiuto sul piano economico e si dichiarano sconcertati di fronte
alle domande personali che l'assistente sociale rivolge loro. Ai genitori che si rivolgono all'assistente sociale
per un aiuto nella gestione della figlia adolescente e problematica e non riescono a capire come, invece di
discutere della figlia, sia stato loro richiesto di parlare di loro stessi e della loro relazione. Le domande,
prodotto di una logica non esplicitata da parte degli operatori, vengono percepite come irrilevanti e
prevalentemente interpretate dagli utenti intervistati come abusi di potere, o come trappole per verificare
la veridicità dei loro racconti, o ancora come digressioni inutili motivate dall'incompetenza nel trattare il
problema portato.
Analoghe conclusioni possono essere tratte dalla ricerca di Sainsbury, Nixon e Phillips (1982), che
tra gli altri risultati, ha mostrato gli effetti negativi prodotti dalla divergenza di prospettive tra assistenti
sociali e clienti e dall’assenza di comunicazione aperta. In particolare questa ricerca mette in luce le
difficoltà provocate da obbiettivi non dichiarati da parte degli/le assistenti sociali. Queste difficoltà
risultano evidenti in tre modi. Primo, lo stile di lavoro (cioè i mezzi per raggiungere gli obbiettivi, più che gli
obbiettivi stessi) a volte viene sentito come irrilevante dai clienti; diversi clienti si lamentavano di non
capire cosa stava succedendo. In secondo luogo diversi clienti cominciavano a lamentare il fatto che il
lavoro sembrava non avere alcuno scopo. Terzo, abbiamo raccolto preoccupanti racconti di un
abbassamento del morale che seguiva i primi miglioramenti a questo proposito..." (Sainsbury, Nixon e
Phillips, 1982).
Questi esiti sono stati confermati dalla maggior parte degli studi sulle percezioni dei clienti dei
servizi sociali e hanno confermato la validità, in rapporto alla soddisfazione, di alcuni aspetti centrali del
contratto, quali la necessità di arrivare ad un accordo in merito ad obbiettivi e percorsi, nonché
l'importanza di una comunicazione esplicita da parte dell'operatore.
Gli esiti di altri cosiddetti ‘Clients studies’ sembrano meno univoci, anche se comunque interessanti,
per quanto riguarda l'esigenza degli utenti di assumere un ruolo maggiormente attivo e da protagonisti
negli interventi. Questo rappresenta un aspetto centrale del contratto, che viene considerato proprio come
uno strumento per favorire una maggiore partecipazione e responsabilizzazione degli utenti. Una sintesi
sugli esiti degli studi sui clienti dei servizi sociali (Rees e Wallace, 1982) mette in luce come nelle diverse
ricerche siano emerse due posizioni prevalenti riguardo alla condivisione di autorità e responsabilità. Alla
prima aderiscono gli utenti che vedono l'assistente sociale come una sorta di collega e che si aspettano un
certo grado di pariteticità nel rapporto. Coloro che condividono questa posizione non solo vogliono che il
loro punto di vista sia considerato, ma desiderano partecipare attivamente ai processi decisionali, se non
addirittura riprendere le decisioni nelle loro mani.
È stato però identificato anche un altro tipo di utenti. Una considerevole quota di clienti, al
contrario di quelli del primo tipo, vede l'assistente sociale quale l'esperto il cui ruolo è di assumersi tutta la
responsabilità dell'intervento. Questi clienti si aspettano che venga loro detto cosa devono fare e che
l'assistente sociale assuma un ruolo direttivo. Se questa posizione sembra evidenziare aspettative in
contrasto con l'idea stessa di contratto, un'analisi più approfondita sulle ragioni che fondano questa
posizione può portare a riflessioni di diversa natura. L'uso del contratto sembra non corrispondere per nulla
alle aspettative di questo tipo di utenti, in molti però hanno sostenuto che un lavoro basato su accordi e
mirato a favorire la partecipazione dei soggetti coinvolti sarebbe particolarmente utile e significativo
proprio in questi casi. Senza voler anticipare i problemi connessi all'uso del contratto, che verranno trattati
in paragrafi successivi, è comunque innegabile che, in un intervento con soggetti che hanno assunto questa
posizione, lavorare su base contrattuale rappresenta una sfida.
La terza area di ricerca utilizzata a supporto dell'uso del contratto è la ricerca sperimentale mirata a
controllare l'efficacia di approcci metodologici di servizio sociale. Il lavoro basato su contratti appare infatti
come una delle caratteristiche comuni dei metodi che, messi alla prova attraverso sperimentazione
sistematica, sono risultati come i più efficaci in termini di risultati (Sheldon, 1986, 1995). Sheldon,
sintetizzando gli esiti positivi della ricerca sull'efficacia degli interventi di servizio sociale osserva: “Una
negoziazione aperta con i clienti riguardo a mezzi e fini risulta essere uno dei fattori che hanno un impatto
(sulle probabilità di successo), così come lo sono uno stile basato sulla contrattazione e l'uso di accordi
scritti. La confusione di finalità e mezzi sembra essere una trappola nel lavoro terapeutico (dimostrata, in
modo particolare nel campo del servizio sociale, dalla ricerca sulle opinioni dei clienti) e regolari verifiche
sui progressi a fronte di obbiettivi pre-negoziati risultano il nostro modo migliore di tenere a bada queste
minacce" (Sheldon, 1995, p.17).
Contratto e diritti degli utenti
Un secondo sostegno ad un lavoro basato sul contratto è rappresentato da considerazioni relative
al rispetto dei diritti dei cittadini che entrano in contatto con i servizi. In questi anni si è sviluppata una
crescente attenzione e consapevolezza rispetto a questi temi. Le ricerche sugli utenti sono nello stesso
tempo un segnale e un rinforzatore di questa consapevolezza.
Clark e Asquit offrono una sintesi di quello che può essere considerato un elenco tipico dei diritti
degli utenti, così come vengono definiti nella letteratura di servizio sociale. Tra questi alcuni possono a
pieno titolo essere considerati come una base per sostenere la validità del lavoro basato su contratto:
- Il diritto degli utenti ad essere trattati come fini
- Il diritto all'autodeterminazione
- Il diritto ad essere trattati per quello che si è senza essere giudicati
- Il diritto ad essere trattati con onestà, apertura e senza inganno. (Clark e Asquit, 1985, p.29)
Entrando maggiormente nel merito, Corden e Preston-Shoot (1987) in riferimento all'attuale dibattito,
identificano quattro aree relative ai diritti degli utenti, che possono essere connesse all'uso del contratto.
Riprendiamo puntualmente queste aree in quanto corrispondono a quelle individuate dalla legislazione
italiana in termini di diritti all’accesso all’informazione (L. 241/90) e sono chiaramente individuabili nel
Codice deontologico; in particolare il Titolo II Capo I, che riguarda precisamente i diritti degli utenti. La
prima area è relativa al diritto dei cittadini nei primi contatti con i servizi ad essere informati in modo chiaro
e comprensibile sui loro diritti e doveri legali, sulle diverse opzioni a loro disposizione, sui servizi di cui
hanno diritto e sui criteri per determinare il diritto a tali servizi. (si veda l’art. 8. del Codice deontologico).
L'informazione è vista come la precondizione fondamentale che mette in grado le persone di
prendere le proprie decisioni, o, se questo non è possibile, di partecipare ai processi decisionali che li
riguardano. Questa rappresenta la seconda area di diritti che va considerata. Gli utenti hanno il diritto di
negoziare le modalità attraverso cui verranno aiutati o comunque si interverrà sui loro problemi (art. 7. del
Codice deontologico). La connessione con il contratto è quasi evidente, se si pensa che questo è uno
strumento volto a dare agli utenti un ruolo di attori principali nei processi decisionali nell'ambito degli
interventi del servizio sociale. È da rilevare come sia crescente l'attenzione al rispetto di tali diritti anche in
relazione agli "utenti involontari", visibile anche attraverso un'analisi della legislazione a livello
internazionale.
La terza area comprende i diritti dei cittadini ad una completa informazione riguardo tutto quanto
gli operatori fanno che li riguardi direttamente (L. 241/90 e art. 9 del Codice deontologico). Ai cittadini è
riconosciuto il diritto di conoscere le valutazioni effettuate sulla loro situazione, così come i progetti e i
piani di intervento che li vedono coinvolti. Questi diritti comportano, tra l'altro, un libero accesso degli
utenti alla documentazione che li riguarda. Esplicitazione e comunicazione aperta, che rappresentano
elementi fondamentali del lavoro basato su contratto, risultano particolarmente in sintonia con il rispetto
del diritto all'informazione.
Infine Corden e Preston-Shoot mettono in connessione il lavoro basato sul contratto con i diritti dei
cittadini di esprimere disaccordo e di reclamare riguardo a interventi fatti nei loro confronti e il diritto a
ricorrere contro decisioni prese nei loro confronti. Il rispetto di questi diritti sembra, peraltro, essere
connesso più con la predisposizione di canali istituzionali adeguati per esprimere la protesta e il dissenso,
che con specifiche modalità di lavoro. Un contratto esplicito tra operatore e utente, d'altra parte, pone
alcune basi perché l'utente possa esprimere il proprio dissenso o possa protestare riguardo alle modalità
con cui l'accordo è stato raggiunto. Laddove la persona subisce interventi non chiari e di cui non capisce il
senso si può supporre che incontri ancora maggiori difficoltà nel mettersi in contrasto con l'operatore.
Nello stesso tempo c'è da interrogarsi sui limiti e sul senso del contratto, in relazione al rispetto dei diritti
dei cittadini, laddove, come spesso succede, l'utente non ha alcuna possibilità di impugnare, se così si può
dire, il contratto stesso.
In conclusione si può osservare come l'uso del contratto o di modalità contrattuali ponga le basi per
rendere effettivi molti dei diritti riconosciuti degli utenti dei servizi. La ricerca ha dimostrato la maggiore
efficacia di interventi basati su decisioni condivise e concordate. Alcuni autori, in particolare Ferrario,
hanno messo in rilievo l’importanza dei due fattori. La rilevanza del contratto discende da diversi e
significativi fattori di ordine etico e professionale. Innanzitutto si fonda sul diritto ad autodefinirsi della
persona in base al quale essa viene considerata nelle sue intenzioni. L’elaborazione degli intenti che il
contratto sottende, la chiarezza e la trasparenza degli obbiettivi e del campo di azione rispondono anche a
requisiti di qualità dell’intervento...(Ferrario, 1996b, pp.170-171).
Nodi critici sull’utilizzo del contratto
Dopo aver considerato gli elementi di positività dell’approccio contrattuale si apre però
l’interrogativo relativo alla praticabilità. Fino a che punto e come questo approccio alla relazione può essere
messo in pratica, con quali clienti e in quali situazioni? Nella letteratura di servizio sociale
vengono identificati quattro tipi di contesti in cui l'uso del contratto risulta particolarmente problematico. Il
primo riguarda gli interventi in cui i clienti non hanno chiesto direttamente aiuto. Una seconda situazione di
problematicità è costituita dalle situazioni in cui interessi e volontà del diretto utente sono in contrasto con
il rispetto dei diritti di terzi soggetti, specialmente se questi non sono in grado di far valere in modo
autonomo i propri diritti. Il terzo caso riguarda interventi con persone non considerate in grado di assumere
decisioni autonome. Infine la quarta situazione in cui stipulare un contratto risulta particolarmente
problematico è quella in cui ‘il cliente’ è costituito da un sistema multipersonale i cui membri sono in
conflitto tra loro.
Ostacoli e difficoltà nei casi summenzionati vengono comunque presentati come limiti, o sfide su
cui attivare ricerche per affinare la tecnica. Nel dibattito sul metodo è emersa però anche una posizione più
radicale che sostiene l'oggettiva impossibilità per l'assistente sociale di agire in modo onesto su base
contrattuale. Rojek e Collins (1987), in un famoso articolo dall’eloquente titolo ‘Contract or Con-trik’,
asseriscono che i contratti tra operatori e utenti sono solo un modo di mistificare e coprire la natura reale
della relazione tra assistente sociale e utente, che, nei fatti, è una relazione di potere.
L’attacco più forte mosso al contratto deriva dal fatto che la stessa possibilità per l'assistente
sociale di stipulare un contratto onesto con i propri utenti viene negata: assistente sociale e cliente
comunicano riferendosi a differenti sistemi di significato, attribuiscono significati diversi sia in senso
connotativo sia denotativo alle parole. L'assistente sociale si riferisce al contratto nel significato che questo
termine ha assunto nel linguaggio del servizio sociale, ma che significato assume lo stesso termine nel
sistema di significati dell'utente? Una comunicazione aperta e libera da ambiguità è impensabile in questo
contesto, così come è impossibile cercare di annullare, con uno strumento, la spaccatura nelle prospettive
che molte ricerche hanno messo in luce e dimostrato. Il punto principale, più volte ripreso e sottolineato, è
che, in questo senso, lo squilibrio di potere che caratterizza la relazione rende utopico il raggiungimento di
un accordo equo.
Almeno due di questi argomenti erano gia stati considerati quali problemi da affrontare, dagli stessi
sostenitori del contratto. Ciò che li rende base per una critica più radicale è la prospettiva adottata dagli
autori. Rojek e Collins sostengono in sintesi che in una società ingiusta e ineguale ogni potere rappresenta
un abuso e ogni contratto è iscritto nello sfruttamento di chi ha potere su chi non ne ha. Gli stessi contratti
di lavoro, che secondo altre chiavi di lettura vengono visti come un limite al potere delle classi dominanti e
come una garanzia del rispetto dei diritti dei lavoratori, vengono qua interpretati come un modo di
mascherare lo sfruttamento. Nessuna libertà è garantita dal contratto al singolo lavoratore, che non può far
altro che sottoscrivere al proprio sfruttamento per garantirsi la soddisfazione dei bisogni primari.
I clienti dei servizi hanno sperimentato solo questo tipo di contratti; come ci si può aspettare che
capiscano e reagiscano in modo diverso nel momento in cui interagiscono con un assistente sociale? Come
già è stato sottolineato, gli utenti degli\le assistenti sociali non sono neanche in grado di comprendere il
significato del contratto nel contesto della loro relazione con i servizi. Secondo i due autori pensare di
basare l'intervento dell'assistente sociale su un contratto è come muoversi nell'utopia di poter tener fuori
la società dalla relazione tra professionista e cliente. Se il contratto rende il lavoro dell’assistente sociale più
visibile, non è a favore degli utenti che comunque non sono messi in condizioni di capire, ma a favore della
dirigenza dei servizi che può meglio tenere sotto controllo gli operatori. Ciò che può succedere nel concreto
in questo contesto sociale è che il contratto diventi uno strumento perverso di controllo: degli operatori
sugli utenti, dei dirigenti sull’operato e sui carichi di lavoro degli operatori.
La risposta di Corden e Preston-Shoot a questo attacco si fonda su una riaffermazione delle
caratteristiche positive del contratto quale modo di affrontare proprio quei nodi che Rojek e Collins hanno
messi a fuoco. I limiti dell'approccio vengono riconosciuti e ribaditi, nello stesso tempo il contratto viene
visto come uno dei pochi tentativi significativi di tenere sotto controllo proprio i rischi di abuso di potere
inscritti nella relazione di aiuto ed enfatizzati da Rojek e Collins. Ma la discussione si allarga e va a toccare
temi di fondo. Secondo Corden e Preston-Shoot, ciò che le critiche mettono in discussione, in modo
disfattista, è la stessa possibilità della professione di assumere un ruolo positivo nel contesto sociale e di
intervenire in modo collaborativo con gli utenti per migliorare la qualità di vita. Partendo da un tema
circoscritto, quale il contratto, la posta in gioco del dibattito sembra diventare la possibilità stessa del
servizio sociale di assumere un ruolo di aiuto e cambiamento positivo e non di mero controllo sociale per
conto dei "potenti". Un dibattito, questo, che richiama i temi dell'ormai lontano periodo della
contestazione, il cui esito temporaneo, almeno in Italia, è stato un abbandono del campo rispetto alla sfida
posta dalla ricerca metodologica. L’articolo di Corden e Preston-Shoot in risposta a questo attacco
sottolinea appunto i rischi di critiche puramente negative e distruttive.
Pur senza condividere in toto le posizioni radicali di Rojek e Collins, va però rimarcato che le critiche
e i problemi sollevati rivestono un particolare interesse per il servizio sociale e non sono stati pienamente
affrontati. Si pensi, per esempio, ai nodi connessi alla comunicazione e al linguaggio e all'incidenza di
incomprensioni e malintesi. Una ricerca effettuata dallo stesso Preston-Shoot (1985) ha dato risultati
significativi a questo proposito e messo inluce le visioni differenti di assistenti sociali e utenti. Nel contesto
di un servizio rivolto al supporto di famiglie in difficolatà infatti, gli\le assistenti sociali sostenevano di aver
lavorato su base contrattuale. Su 19 utenti intervistati, tuttavia, solo tre affermavano di aver contrattato
con l'assistente sociale gli obbiettivi e gli interventi. Gli altri non ricordavano né riconoscevano alcun tipo di
accordo.
Un altro problema non irrilevante consiste nell'unilateralità della scelta di stipulare il contratto.
Come la ricerca ha dimostrato (Rees e Wallace, 1982) e l'esperienza di molti operatori conferma, molti
utenti sono tutt'altro che consapevoli dei propri diritti e preparati ad affermarli nella relazione con gli
operatori. In questo quadro il contratto potrebbe assumere la forma di una concessione paternalistica che
può essere tolta, in modo arbitrario dalla prospettiva degli utenti, qualora entrasse in conflitto con altre
funzioni dell'assistente sociale, quale quella di controllo. Se si considera che il contratto mira ad innalzare le
possibilità di autodeterminazione, l'autonomia e il potere degli utenti, questo rappresenta una
contraddizione, se non un paradosso, foriero di notevoli difficoltà nella pratica quotidiana. In questo
contesto, infatti, su quali basi di fiducia può essere costruito un accordo significativo?
Conclusioni
Ripercorrendo la storia del concetto di contratto, considerandone gli elementi distintivi si è potuto
mettere a fuoco come questo concetto abbia avuto un ruolo chiave nello sviluppo delle metodologie di
servizio sociale. La mia ricerca sull’utilizzo di questo concetto nella rappresentazione delle pratiche
professionali da parte degli assistenti (Fargion, 2002, 2003) ha mostrato come questo concetto possa
essere importante per “pensare” un elemento rilevante nel lavoro sociale, per identificare aspetti
significativi della relazione tra operatore e utente. Diversi operatori ritenevano che il termine contratto, più
che introdurre radicali innovazioni, servisse loro a dare un nome ad una componente importante del lavoro
sociale. Avere una parola, un termine, per denotare il particolare modo di sviluppare la relazione nel
servizio sociale consente di riflettere sull’esperienza, di svilupparla e di comunicarla.
Nello stesso tempo polemiche, dibattiti sollecitano alla cautela. Il problema è oggi particolarmente
attuale per il fatto che, come alcuni hanno messo in luce, si è ingenerata una grave confusione tra il
contratto quale strumento professionale dell’assistente sociale e una prassi di contratto che si è andata
diffondendo nei servizi. In una logica di connettere i diritti con le responsabilità, infatti, sempre di più i
servizi stanno adottando dei contratti e cioè dei patti predefiniti che limitano l’accesso alle risorse. Questa
pratica consiste nel fatto che sempre di più i servizi erogano prestazione o offrono servizi in cambio di un
impegno a svolgere determinate operazioni o ad aderire ad un progetto di formazione ecc.
Friedland e King (2003) fanno un’accurata comparazione tra la teoria del contratto nel servizio
sociale e le pratiche di contratto in uso in alcuni servizi. In particolare i due autori segnalano le profonde
differenze tra un’idea di contratto in termini di democratizzazione del rapporto professionista utente e i
contratti adottato in molti servizi in Gran Bretagna. Questi ultimi in realtà sono accordi
unilaterali “preconfezionati” e non negoziati ad hoc, non tengono conto della prospettiva, delle
caratteristiche, della storia e della cultura delle persone. Potrebbe a prima vista sembrare che queste
misure supportino un’attivazione e responsabilizzazione delle persone. Di fatto però sono basati su un forte
squilibrio di potere che fa sì che sia molto difficile per gli utenti rifiutare o negoziare le condizioni del
cosiddetto “accordo”. Friedland e King sostengono come questi contratti siano di fatto degli strumenti per
controllare “utenti difficili” anziché per dare voce a persone marginalizzate. L’obbiettivo ultimo
sembrerebbe essere quello di scaricare i problemi sociali sui singoli, o comunque di scaricare le
responsabilità verso il basso: il problema diventerebbe quello del rispetto dei contratti da parte dei singoli,
non della capacità degli operatori o delle opportunità offerte dai servizi ecc. Già diversi anni fa Jordan
(1990) aveva puntato il dito sul fatto che nei servizi il termine contratto venga a volte utilizzato in modi
addirittura contradditori con quanto definito in teoria: “Lungi dall’essere accordi basati sulla giustizia, alcuni
di questi sono chiaramente piani unilaterali e imposti, disegnati dai professionisti in accordo con i propri
standard professionali, e presentati agli utenti in modo intimidatorio” (Jordan, 1990, p.95).
Il termine contratto nel periodo attuale quindi sta attraversando una fase di scarsa fortuna proprio
per i rischi di coercizione e di mistificazioni che presenta. Il fatto che si tratti di un termine comune ad altri
linguaggi, per esempio quello del mercato o quello legale, percepiti come distanti dal servizio sociale, non
ne facilita l’utilizzo. Alcuni autori (Doel e Marsh, 1992) hanno addirittura pensato che fosse il caso di
abbandonare questo termine, o meglio di sostituirlo con uno più generico di accordo.
Tuttavia resta da discutere se l’unica strada possibile per affrontare le ambiguità e contraddizioni
sia quella di ‘censurare’ i concetti e cambiare nome ai processi. In realtà altre analisi hanno messo a fuoco
le ambiguità e duplicità di uso di termini ritenuti spesso univoci quali quello di ‘attivazione della
persona’ (Lorenz, 2006). Termini come quello di contratto sono entrati a far parte della tradizione e del
linguaggio del servizio sociale. Scegliere di lasciarli cadere, anziché sviluppare una consapevolezza relativa
agli usi differenti e contradditori, porta a recedere in processi di negoziazione sulle definizioni dei significati,
a rinunciare ad affermare una propria costruzione di senso della realtà e degli interventi. Spesso il servizio
sociale si è autocriticato per il fatto di appiattirsi su linguaggi professionali diversi, in primis quello medico;
secondo me nel caso del contratto il rischio è opposto, e cioè quello di accettare di essere ‘scippati’ di un
termine su cui si è costruito ricerca, sperimentato e riflettuto.
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