Da i “Quaderni della Valtolla” Anno II, Dicembre 2000. · di certi toponimi, ma anche il...

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1 Da i “Quaderni della Valtolla” Anno II, Dicembre 2000. (fig.1) La giurisdizione della Valtolla raggiunse la massima espansione territoriale nel XII secolo. Il suo territorio si espandeva per circa 250 km quadrati e comprendeva l’attuale comune di Morfasso, la maggior parte dei comuni di Vernasca e Lugagnano, una parte dei comuni di Alseno, Bardi, Carpaneto, Castell’ Arquato, Gropparello, altri territori delle Diocesi di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Pavia, Cremona. La zona tratteggiata indica territori in cui il Monastero aveva delle proprietà, pur non rientrando nella sua giurisdizione diretta.

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Da i “Quaderni della Valtolla” Anno II, Dicembre 2000.

(fig.1) La giurisdizione della Valtolla raggiunse la massima espansione territoriale nel XII secolo. Il suo territorio si espandeva per circa 250 km quadrati e comprendeva l’attuale comune di Morfasso, la maggior parte dei comuni di Vernasca e Lugagnano, una parte dei comuni di Alseno, Bardi, Carpaneto, Castell’ Arquato, Gropparello, altri territori delle Diocesi di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Pavia, Cremona. La zona tratteggiata indica territori in cui il Monastero aveva delle proprietà, pur non rientrando nella sua giurisdizione diretta.

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LA GIURISDIZIONE AUTONOMA DI VALTOLLA La sede dell’Abbazia e il suo territorio Fausto Ferrari

I “Liguri Veleiati”. Per meglio comprendere l’origine, l’importanza, l’estensione temporale e territoriale che raggiunse in circa mille anni di vita l’antica Abbazia di Valtolla, che ai giorni nostri identifica una realtà geografica dell’alta valle dell’Arda (fig.1), occorre tornare indietro al tempo remoto (6.000-5.000 a.c.), quando l’alta valle dell’Arda, insieme alle vicine vallate del Taro e del Ceno, del Trebbia, del Nure, dell’Ongina e dello Stirone, del Chiavenna e del Chero, era parte integrante dell’antica “Liguria”, vale a dire di quell’ampio territorio occupato dalle popolazioni liguri, appartenenti alle più antiche stirpi mediterranee, forse precedenti le razze indoeuropee che popolarono in seguito questa parte d’Europa. Fin dai tempi preistorici, l’antico popolo dei “Ligures”, occupò stabilmente, oltre al territorio dell’attuale Liguria, le zone montane dell’odierna Emilia, le zone settentrionali dell’attuale Toscana, le zone dell’attuale Piemonte meridionale – a sud del fiume Po – e una parte dell’attuale Francia meridionale1. Gli studi finora compiuti dagli storici, hanno permesso di accertare che gli antichi “Ligures”, popoli montanari e guerrieri, possedevano una straordinaria resistenza alle fatiche, si nutrivano di cacciagione e pastorizia, preferendo queste attività all’agricoltura. Abitavano preferibilmente in case costruite con pietrame a secco, oppure in grotte naturali, abbondanti in queste zone; usavano come armi archi e frecce, con cuspidi di pietra e d’osso (fig.2).

1 MONACO G., Venti anni di ricerche, di lavori e studi veleiati, in “Bollettino storico piacentino”. Piacenza, 1962.

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(fig.2) Ascia levigata, in cloromelanite verde scura, la cui tipologia allungata e a tagliente piuttosto stretto può ben riferirsi al periodo Neolitico, usata generalmente per la conciatura delle pelli. Recuperata dai volontari dell’Associazione Archeologica Pandora della Valdarda alle pendici del Monte Castellaccio.

La popolazione viveva in piccoli nuclei sparsi, ed era organizzata in tribù, le quali spesso si univano in federazioni. Essa aveva un profondo culto per i morti, che erano sepolti anche all’interno delle loro abitazioni; era un popolo religioso, credeva nell’immortalità dell’anima e venerava il dio Pen. Il nome di questo dio ricorre frequente nella regione abitata un tempo dai “Ligures”. Si pensi alle Alpi Pennine, al Monte Penna e al Monte Pennino, al Monte Penice, alla località di Pentema - alle pendici del Monte Antola -, a Rocca Penna, vicino a Casali di Morfasso. Così lo ritroviamo nel nome che da secoli distingue la catena montuosa di cui fanno parte queste montagne: l’Appennino2. Il panteismo cosmico che pare ispirasse la religiosità di quest’antico popolo e che, per certi aspetti, sembra richiamare le concezioni religiose himalaiane, elevò numerose vette della regione a veri e propri simulacri di fede3. Solo così è possibile spiegare e comprendere non solo l’esistenza di certi toponimi, ma anche il significato di alcuni ritrovamenti archeologici, realizzati proprio sulle sommità di alcune delle nostre montagne, come ad esempio la statuetta bronzea raffigurante il dio Pen, rinvenuta sulla cima del Monte Alfeo4, in alta Val Trebbia, e la scoperta

2 SQUERI P., Alte valli del Taro e del Ceno. Piacenza, 1959. 3 GRASSI A. – SALTARELLI F., Valtrebbia e Valnure, TEP. Piacenza, 1997. 4 DE NEGRI T.O., Un bronzetto votivo a Monte Alfeo e il culto delle vette presso i Liguri antichi, in “Bollettino Ligustico”, 1956.

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degli undici gradini, scolpiti nella dura roccia della rupe sottostante la Rocca di Casali, di cui gli ultimi tre si trovano proprio sulla vetta e sembrano finire nel vuoto. Potrebbero essere i resti di una qualche costruzione, (un’ara sacrificale? Una torre?), rovinata a motivo probabilmente di una frana, che in tempi remoti ha squarciato la montagna (fig.3).

(fig.3). La Rupe dei tre gradini, a Casali di Morfasso.

Gli storici romani Tito Livio, Strabone e Polibio e le tavole romane dei “fasti trionfali”, testimoniano che gli antichi “Ligures” delle nostre vallate opposero una strenua resistenza alle legioni di Roma, tanto che occorsero ben ottant’anni prima che queste ultime fossero in grado d’aver ragione di questo popolo montanaro, che aveva proprio negli Appennini, nelle montagne che venerava, il maggior alleato5. Gli antichi Liguri, detti “Veleiati”, avevano nella vicina Veleia non un capoluogo, né un centro amministrativo - perché questo non rispondeva alle esigenze della loro organizzazione -, ma solo il loro più importante centro di mercato (fig.4).

5 GRASSI A. – SALTARELLI F., …op. cit.

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(fig. 4) Il Foro di Veleia Romana.

A Veleia, soprattutto, essi si recavano a vendere e a barattare i prodotti della caccia e della pastorizia e ad acquistare i prodotti artigianali occorrenti per la vita. A vendere ai nostri antichi antenati tali prodotti erano le popolazioni galliche o etrusche, che abitavano nella sottostante pianura padana e che similmente confluivano a Veleia per i loro commerci6. Gli avvenimenti storici che interessarono la zona dell’alta Valdarda furono certamente legati, fin dal tempo dei nostri antichi “Liguri”, ad un’importante strada che collegava il territorio dell’attuale Emilia settentrionale a quello dell’attuale Liguria orientale, ove era la città di Luni (presso l’attuale La Spezia), e a quello dell’attuale Toscana settentrionale, ove era la città di Lucca. Su questo percorso sono stati fatti approfonditi studi, e gli ultimi risultati hanno indotto parecchi storici alla conclusione che si trattava di una strada con la caratteristica delle nostre recenti mulattiere, in molti tratti selciata con pietre e percorribile anche con i carri. Ne è stato individuato il percorso ed è stato denominato “Via Piacenza – Lucca” 7.

6 JESINI A., Monastero di Val Tolla e alta Val d’Arda, “Notizie di storia e di cronaca”. Milano, 1976. 7 BANTI L., Via Placentia-Lucam. Contributo allo studio della guerra annibalica in “Atene e Roma”. Firenze, 1932.

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Questa strada partiva da Piacenza, e dopo essere arrivata nelle zone collinari della Val Tidone, conduceva attraverso la Val Trebbia, nella Valle del Nure - presso l’odierna Vigolzone - portava poi nella Val Chero, a Veleia, entrava nella vallata dell’Arda transitando presso l’attuale Taverne di Morfasso, scendeva lungo il crinale tra il rio della Rocca e rio Caselle, superava l’Arda presso i Bardetti, quindi raggiungeva i fianchi del Monte Carameto – passando attraverso il passo del Pelizzone o sul lato del torrente Cenedola, attraversava il Ceno nei pressi dell’attuale Bardi, proseguiva per la valle Noveglia, per il passo del Monte di Santa Donna, transitava per l’attuale Borgotaro, attraversava il passo del Bratello, raggiungendo, con un ramo, la città di Luni, nel golfo dell’attuale La Spezia, e, con un altro ramo, la città di Lucca8. Questa strada esisteva certamente e rivestiva una grande importanza prima ancora che la regione divenisse romana. Essa venne mantenuta e usata per i collegamenti civili e militari in epoca romana, e divenne frequentatissima, sia per i collegamenti civili che per le spedizioni militari, durante il Medio Evo. Sicuramente in periodo medioevale, questa strada seguiva il corso del torrente Arda, toccando le località di Castell’Arquato, Lugagnano, Mignano, raccordandosi con l’altra strada proveniente da Veleia ai Bardetti, proprio vicino a dove sorgeva l’antica Abbazia di Valtolla. Il torrente Arda figura, sia pure con un incerto tracciato e con il nome “Hadra”, in una Tavola di Peutinger9, presente nei Musei Vaticani (fig.5). Scrive la Banti che per questa strada, in epoca “Ligure”, transitò l’esercito romano in disfatta condotto dal console Petronio, diretto a Roma, nell’inverno del 218 avanti Cristo – l’anno in cui fu fondata la città di Placentia – dopo la sconfitta subita ad opera di Annibale, nella battaglia presso il fiume Trebbia. Sempre L. Banti riferisce, nel suo libro “Atene e Roma” del 1932, che per questa strada passò Annibale con il suo esercito, tra gli alleati liguri delle montagne piacentine, avviandosi attraverso la Toscana, verso la grande battaglia e la sua vittoria presso il lago Trasimeno (giugno del 217 a. C.) contro i Romani, condotti dal console Flaminio.

8 BANTI L., … op. cit. 9 PEUTINGER KONRAD. Umanista tedesco, nato ad Augusta nel 1465. Il suo nome è legato alla pubblicazione di antiche carte geografiche della rete stradale dell’Impero Romano, che da lui presero il nome di Tavole Peutingeriane.

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(fig.5) La “Tabula Peutingheriana, presente nei Musei Vaticani, in cui figura il torrente Hadra.

In prossimità di questa “Via” erano collocati dei “castellieri”, luoghi d’avvistamento e di difesa di popolazioni insediate contro gli invasori. Ne sono state trovate tracce ad Ombrìa - in Val Noveglia -, sul Monte Carameto, presso la rocca dei Casali, sul Castellaccio di Monte Lama, sul Monte Palazza. I “castellieri” non sembrano costruzioni d’epoca celto-ligure come qualche storico è stato, in passato, propenso a datare10, ma costruzioni molto più tarde, di epoca longobarda, tra il VII e l’VIII secolo dopo Cristo. Ultimamente l’Associazione Archeologica Pandora della Valdarda, che da anni lavora sul territorio dell’alta Valdarda, in collaborazione con il

10 CORRADI CERVI M., Il castelliere dei Cerri e il sistema difensivo dei Liguri Veleiati in “Atti del III convegno di Studi Veleiati”. Varese, 1969.

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Museo Archeologico Nazionale di Parma ne ha individuati altri due: un “castelliere”, situato sulla Rocca degli Orsi, presso Metti di Bore, e un altro situato sul colle di Croce Lasa, sopra la frazione di Rocchetta di Morfasso (fig.6).

fig.6) Il “castelliere” di Rocca degli Orsi, a Metti di Bore.

I “Liguri Veleiati”, insieme con quelli di Genova, di Luni e di Pisa, facevano parte della tribù “Galeria”. L’occupazione Romana di Veleia e delle circostanti montagne, tra cui l’alta Val d’Arda, avvenne nel 158 a. C. dopo che le altre tribù liguri erano già state assoggettate dal proconsole Mario Fulvio Nobiliore. Veleia, con la Valdarda, divenne colonia di diritto latino nell’anno 89 a. C. in forza alla legge Pompeia. Nel 49 a. C. alla popolazione di questa zona fu concessa la cittadinanza romana da Giulio Cesare, il quale fece di Veleia e del suo territorio un “municipio”11. La città di Veleia aveva, nel primo secolo di Cristo, una popolazione di circa 1000 abitanti. La località divenne, coi Romani, un ambìto luogo di villeggiatura e di cure termali (sorgenti d’acque sulfuree, note fino al 1700 e di cui l’associazione Pandora ha ritrovato traccia sulla Rocca di Monte Moria). Lungo quest’antica direttrice, che da Veleia porta al passo del Pelizzone, sono stati effettuati vari ritrovamenti d’epoca romana: monete, frammenti di sepolcri, embrici bollati sono stati recuperati dalla Pandora della Valdarda e attualmente si trovano in deposito presso la sede dell’Associazione a Morfasso. La città di Veleia scomparve improvvisamente tra il IV e il V secolo dopo Cristo, pare sepolta da un’immane frana precipitata dal Monte Rovinasso, che sovrasta il luogo ove sorgeva la città .

11 JESINI A., …op. cit.

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A Veleia non sono state ritrovate, al momento, tracce del culto cristiano12. La città, perdutosi l’appellativo derivatole da un’antica tribù ligure, sarà ricordata in seguito con un nome latino. L’unica città romana in un raggio di molte miglia nella montagna piacentina resterà nella memoria locale come la sede dell’autorità imperiale: l’“Augusta”13. Nel 1747, a Veleia, don Giuseppe Rapacioli, Arciprete di Macinesso – frazione nel comune di Lugagnano, situata nelle vicinanze del luogo ove sorgeva Veleia – scoprì la Tavola Alimentaria Traiana, risalente agli anni 102-110 dopo Cristo, costituente uno dei più importanti documenti storico-giuridici romani, e ora conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma. La Tabula, in bronzo, indica tra l’altro la mappa di tutta la Repubblica dei Veleiati, comprendente 32 distretti (pagi) entro i quali è menzionata la presenza di circoscrizioni minori, i vici, probabile retaggio di una suddivisione preromana, in cui sono dislocati i fundi e i saltus (fondi rustici e regioni aspre e selvose)14. La zona che ci interessa era compresa tra i “pagi” Meduzio, Salutare, Albense, Veleio e Floreio. Nel pago Meduzio viene menzionato il fundus Varianus, (Variano, località nel comune di Morfasso, che ha conservato il nome per almeno due millenni). Nel pago Floreio, figurano il fundus Aminianum, - corrispondente all’attuale Mignano, dove si può ancora ammirare una bellissima chiesetta in stile romanico -, e il fundus Terentianum, (Terenza), ambedue in comune di Vernasca. Il territorio in cui, alcuni secoli più tardi, sarebbe dovuto sorgere il Monastero di Valtolla, in epoca romana faceva parte del pago Veleio15. Dopo la guerra tra i Goti e Bizantini, promossa e iniziata da Giustiniano nel 535, e conclusasi con la sconfitta e la dispersione dei Goti ad opera dei generali Belisario e Narsete, la vita di buona parte degli abitanti della nostra penisola era decisamente misera. Le descrizioni degli storici del tempo non lasciano dubbi in proposito. Il graduale abbandono della terra, cominciato fin dal secondo secolo da parte del vecchio ceppo contadino d’origine latina, causato dall’impari concorrenza dei prodotti agricoli provenienti dalle province dell’Impero, aveva portato ad un sempre maggiore utilizzo a pascolo dei terreni e alla

12 POGGIALI C., Memorie storiche di Piacenza. Piacenza, 1757. 13 MARINI CALVANI M., Aspetti della civiltà romana, in “Momenti storici della Val Tolla”.

Morfasso, 1986. 14 MARINI CALVANI M., …op. cit. 15 CRINITI N., La scoperta e la fortuna della Tabula veliate, in “Storia di Piacenza. Dalle origini all’anno mille”. Piacenza, 1981.

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formazione di latifondi attorno alle case padronali, che diverranno poi castelli. Il lento ma costante degrado del potere centrale e di una classe dirigente imbarbarita, corrotta e ormai incapace di reazioni, aveva innescato una crisi economica senza precedenti. Il resto lo avevano fatto i saccheggi di Attila e Genserico, la presenza vandala in Africa del nord che aveva tolto a Roma l’ultimo “granaio”, i Goti e la loro guerra coi Bizantini, alla quale abbiamo già accennato. In questa povera Italia alla deriva, nel 568, attraverso il passo di Predil – nelle Alpi Giulie -, calarono i Longobardi – popolo nomade che viveva di razzie e di saccheggi -, non trovando che pochi ostacoli. L’esercito Bizantino si ritirò a Ravenna e soltanto qualche città oppose resistenza. Una di queste, Pavia fu espugnata solo nel 572 e venne eletta da Alboino, Re e capo dei Longobardi, capitale del nuovo regno. Nel VI secolo d. C., spingendosi verso sud, l’espansione longobarda si estese alla Toscana, a Spoleto e Benevento, elette al rango di Ducati. In quel tempo la strada di Monte Bardone divenne di vitale importanza per i collegamenti longobardi tra il nord e il centro dell’Italia; era un corridoio obbligato, dato che la Via Emilia, scendendo verso sud, dopo Parma correva in territorio Bizantino. Quello che oggi è chiamato il passo della Cisa, era un valico naturale e abbreviava notevolmente il percorso verso la Toscana, senza presentare difficoltà particolari16. La prima preoccupazione dei Longobardi fu forse il riassetto del fondo stradale di questa vecchia strada Ligure-Romana, e la costruzione di fortilizi, forse riutilizzando anche i vecchi “castellieri”17, che con le loro guarnigioni garantissero la sicurezza delle comunicazioni, che dovevano essere, al tempo, di quasi esclusivo interesse militare. I vecchi padroni erano stati sostituiti quasi ovunque dalle nuove gerarchie longobarde, preoccupate di spremere qualsiasi forma di reddito. Con il consolidarsi del potere dei conquistatori, si ebbero i primi timidi segnali di miglioramento. L’Editto di Rotari, che diede al suo popolo le prime leggi scritte, fu un segno dell’incivilimento che, inevitabilmente il contatto coi Romani aveva favorito. La conversione al Cristianesimo, sotto il regno di Agilulfo, fu un decisivo passo avanti. Nacquero numerosi monasteri con il favore dell’autorità regia. Il fenomeno del Monachesimo trovò con San Benedetto una sua espressione anche in Italia, ove svolse opera di difesa delle popolazioni,

16 JUNG C., Bobbio, Veleia und Bardi in “Archivio Storico Parmense”, Parma, 1904. 17 CATARSI DELL’AGLIO M., I castellieri dell’Alta Val d’Arda: storia di un problema, in “Momenti storici della Val Tolla”. Morfasso, 1986.

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esposte a violenze d’ogni tipo, e salvò, nelle biblioteche dei monasteri, l’eredità culturale di Roma. I monasteri ebbero una grande espansione in epoca longobarda, in particolar modo con la Regina Teodolinda - moglie di Agilulfo - e Liutprando, e diventarono mandatari di autorità anche civile; la politica longobarda tendeva a delegarli alla gestione del territorio. I presidi militari vennero gradualmente sostituiti con “distaccamenti” monastici, ove i frati venivano selezionati tenendo conto non soltanto del loro fervore mistico, ma anche delle capacità operative necessarie alla nuova funzione dei monasteri. A circa duecento anni dalla discesa dei Longobardi in Italia, qualcosa era cambiato. Anche la funzione della Via di Monte Bardone cambiò: ai militari, religiosi e politici si aggiunsero sempre più numerosi i mercanti, e, favorite dalla Chiesa, cominciarono a fare capolino le figure dei pellegrini, che nei secoli successivi saranno presenti in modo massiccio sulle strade d’Italia e d’Europa, dirette verso i centri di culto della Cristianità. Quando si parla di strade del settimo secolo dopo Cristo, non si deve pensare alla grande viabilità romana, che in poco meno di 300-400 anni d’incuria era andata in gran parte perduta. Erano rimasti soltanto sentieri o poco più, larghi al massimo due o tre metri, con fondo in terra battuta e qualche volta integrati con pietre. La precarietà delle opere per l’attraversamento dei fiumi e torrenti li rendevano spesso impraticabili. Forse per questo negli itinerari Romei riconosciamo tanti percorsi alternativi che probabilmente coesistevano, e che permettevano al viandante di scegliere quello al momento più agevole. In questo periodo l’antica strada di Monte Bardone privilegiava probabilmente il tratto Fidenza - Fornovo - Passo della Cisa18. Attraverso la Valceno e la Valtaro doveva certamente transitare chi, provenendo dal Piacentino, dopo aver salito la Valnure o la Valdarda, desiderava raccordarsi con la strada parmense oppure proseguire attraverso il Passo del Borgallo o del Bratello. Nei secoli la Strada Romea che transitava in Valdarda prese certamente una grande importanza, perché più corta ed altrettanto ben servita – con hospitali e chiese – di quella parmense19. E’ con quest’ottica che bisogna guardare per capire il grande sviluppo religioso, politico ed amministrativo che raggiunse e mantenne per circa mille anni, in pieno medioevo, l’Abbazia di Valtolla. Tanto è stato scritto attorno a questa presenza, tante sono le notizie certe, molte le tracce

18 BOCCHI C. - MORI G., Una Strada Romea detta anche di Monte Bardone o Francigena. Salsomaggiore. 1994. 19 CAVACIUTI S., La Via Francigena della Val d’Arda, in “Quaderni della Valtolla”. Vernasca, 1999.

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storiche ricavate da fonti chiare ed indiscutibili; vaghi, discussi e tuttora avvolti da un velo di mistero, numerosi e indicativi elementi di riferimento tra cui, per esempio, l’anno di fondazione, l’esatta identità dell’Abate fondatore, la progressiva scomparsa dell’Abbazia e le tormentate vicende del suo archivio. La Valtolla L’Antica Abbazia viene spesso menzionata come “Monastero di Valtolla”. Non esiste però alcuna valle che porti o abbia portato in passato tale nome. Le fonti storiche si limitano di solito a far ricorso al termine “Tolla” senza altra aggiunta tranne che in un caso in cui compare un “monte Tolla”, tra l’altro mai esistito (donazione di Ariberto d’Intimiano)20. Sembra dunque che nel proseguimento del tempo si sia inconsapevolmente sentita la necessità di aggiungere al termine “Tolla”, di per sé scarsamente indicativo, il titolo di “Valle”, senza però far posto ad alcuna identificazione precisa21. Proprio nei documenti di Tolla s’incontrano nel ‘600 un Lugagnano Val Tolla e un Castelletto Val Tolla, mentre i paesi si trovano in Val d’Arda, lontani chilometri da Tolla. Il Molossi, nel suo “Vocabolario topografico dei Ducati di Parma e Piacenza” ci riferisce di un San Michele Val Tolla, quando questo centro abitato si trova in un'altra valle - quella del Chero -, a breve distanza da Veleia. L’espressione “Valtolla” non porta dunque con sé alcun contenuto di precisa indicazione orografica, né attiene ad alcuna delimitazione territoriale (fig.7).

20 RATTI A., Il probabile itinerario della fuga di Ariberto arcivescovo di Milano da un suo autografo inedito in “Archivio Storico Lombardo”. Milano, 1902. 21 GANDOLFI P.F., …op.cit.

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(Fig.7) La Giurisdizione della Valtolla in un disegno ad inchiostro del pubblico perito piacentino Fiorenzo Torri (sec. XVIII).

Sull’origine e la derivazione di tal nome, è tuttora aperta una questione interpretativa davvero singolare e con esiti diversi, anche se attualmente sembra prevalere l’opinione di una presunta derivazione etrusca. Il Formentini collega il toponimo “Tolla” alla voce etrusca “tular”, che equivale a “pietra in segno di confine”, dove il confine è quello del pago. Poiché il toponimo appare ben distribuito tanto sulla fascia dell’Appennino emiliano che su quello ligure, si è concluso che gli Etruschi in epoca antecedente all’occupazione dell’Etruria hanno

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occupato sui due versanti l’Appennino ligure-emiliano e lo hanno fatto sulla base della ripartizione in pagi22. Lo storico M. Pallastrelli scrive che il toponimo ha maggiori probabilità d’essere costituito sul germanico toll, che vale per massa compatta di terra o letame, a indicazione concreta di una vocazione prettamente agricola della zona, o forse derivi dall’ancor più plausibile radice tol (dol), di sostrato celtico, con valore di luogo elevato, che non potrebbe dirsi più propriamente di un monte. Tolla varrebbe quindi semplicemente per altura o monte, oppure in senso aggettivale per monte alto, toponimo per nulla estraneo alla zona, si pensi alla conformazione geografica del monte Moria, che sovrasta il pianoro dove nel VII secolo di Cristo fu fondato il Monastero di Valtolla23. La nascita del Monastero di Valtolla. L’epoca esatta della fondazione del Monastero di Valtolla, pur essendo collocata nel VII secolo, non è stata finora stabilita con certezza dagli storici, per la mancanza di documenti che ne determinino la data. Così gli autorevoli storici che si sono interessati a questa vicenda hanno cercato di dare una propria interpretazione sull’anno di fondazione dell’antico Monastero di Valtolla. Secondo il Poggiali, Mobillon, Molossi, Ottolenghi24, il Monastero fu fondato nell’anno 616, sotto il regno del Re longobardo Agilulfo. Secondo il Campi, invece, la data della fondazione sarebbe da porsi nell’anno 68025. Gli ultimi studiosi della storia del nostro Monastero: il Ratti, Bognetti, Nasalli Rocca, Felice da Mareto non si sono specificatamente interessati all’anno della fondazione26. P.F. Gandolfi, pur non escludendo del tutto che la fondazione possa essere avvenuta sotto il regno d’Agilulfo (616), propende per la fondazione sotto Grimoaldo (622-671)27.

22 FORMENTINI U., “Per la storia preromana del pago” (pagus-tularu?) in “Studi Etruschi”. 1957. 23 PALLASTRELLI M., La Val di Tolla, in “Origini, sviluppo e declino di un’antica Giurisdizione Francigena”. Ricerca inedita, Fiorenzuola, 1999. 24 POGGIALI C., Memorie storiche di Piacenza. I-XII. Piacenza, 1757. MOBILLON J., Annales S. Benedicti. I-III. Paris, 1739. MOLOSSI L., Vocabolario topografico dei ducati di Parma e di Piacenza. Parma, 834. OTTOLENGHI E., Storia di Piacenza. I-II. Piacenza, 1969. 25 CAMPI P.M., Historia Ecclesiastica di Piacenza. I-III. Piacenza, 1651. 26 RATTI A., (PIO XI), Il probabile itinerario della fuga di Ariberto, Arcivescovo di Milano da un suo autografo inedito in “Archivio Storico Lombardo”. Milano, 1902. BOGNETTI G.P., L’Abbazia regia di S. Salvatore di Tolla, in “Bollettino Storico Piacentino”. Piacenza, 1929. NASALLI ROCCA E., L’Abbazia di S. Salvatore in Val Tolla, in “Studi in onore di C. Castiglioni”. Milano, 1957. DA MARETO F., Abbazia di S. Salvatore in Val Tolla, in “Studi in onore di E. Nasalli Rocca”. Piacenza, 1971.

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In ogni modo non si può dubitare che la determinazione della data di fondazione vada posta nel settimo secolo, almeno perché il Decreto di Re Ildebrando dell’anno 744 ne tratta come di un Monastero affermato e consistente. Il documento dal quale risulta il nome del fondatore del Monastero di Valtolla è il “Privilegio” del Papa StefanoVIII, rilasciato a Roma nell’anno 940 all’Abate Tollense Ariberto: “Stefano Papa ad Ariberto Abate del Monastero Tollense, che sembra sia stato costruito dal Beato Tobia, in onore del Salvatore e del Beato Pietro Principe degli Apostoli”. Il testo integrale fu pubblicato dallo storico Campi nel 1662. Sulla sua autenticità non sono mai stati sollevati dubbi. Il documento, conservato a Monastero fino al 1600, venne successivamente trasferito a Roma e si trova attualmente presso la Biblioteca Vaticana, insieme alla maggior parte dei documenti dell’archivio del Monastero di Valtolla. Sul documento è stata apposta posteriormente una nota: “Non risulta in forma comprovata”, questo dubbio è stato riportato dallo studio fatto da Felice Da Mareto28. Lo studioso A. Jesini di Rabbini di Monastero ritiene invece che questo dubbio debba essere superato, in quanto il documento fu rilasciato personalmente all’Abate Ariberto, recatosi a Roma come medico a curare il Pontefice29. Sul “Beato” Tobia, fondatore del Monastero Valtolla, sono state formulate varie ipotesi. Il Campi, che pone la costruzione del monastero nella seconda metà del 600, lo identifica con il celebre Abate Tobia, che sul finire del secolo andò a diffondere il vangelo in Inghilterra, divenendo vescovo della cattedrale di San Paolo in Londra, nel 69330. Il Nasalli Rocca, invece, attribuisce a Tobia un’origine ebraica, per il fatto, storicamente accertato, dell’istallazione nell’Alta Valdarda di numerose famiglie di stirpe giudaica. Alcuni toponimi presenti tuttora nella zona ove è sorta l’Abbazia di Valtolla lo potrebbero confermare: lo stesso nome del fondatore, il nucleo abitato dei “Rabbini”, il villaggio di “Levei”, il monte Moria (Moriah – valle ove, nel ricordo biblico, Dio mette alla prova la fede di Abramo, chiedendogli di sacrificare il figlio, Isacco -) che sovrasta tutta la zona, sono chiaramente d’origine giudaica; diffusi sono cognomi come Rabbini e Scrabbi31.

27 GANDOLFI P.F., Origini, fortune e decadenza dell’Antica Abbazia piacentina di Tolla. Piacenza, 1975. 28 DA MARETO F., …op. cit. 29 JESINI A., …op. cit. 30 CAMPI P. M., …op. cit. 31 GANDOLFI P.F., …op. cit.

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Le più note vicende storiche di Valtolla L’analisi dei fatti storici che interessarono il Monastero di Valtolla richiederebbe un’estesa e approfondita trattazione, che non rientra nei limiti di questo scritto; ci limiteremo quindi ad una sintesi cronologica degli avvenimenti più importanti. Nel VII secolo fu fondato il Monastero di Valtolla, nell’VIII secolo, la comunità benedettina di Valtolla si era affermata e il suo territorio, libero da imposizione, amministrato religiosamente, serviva specialmente a garantire la transitabilità dalla Lombardia e dall’Emilia verso la Toscana. Il re longobardo Ildeprando, con il decreto del 22 marzo 744, univa, anche politicamente, il Monastero di Valtolla all’Episcopato Piacentino, insieme con i Monasteri di “Florentiola” e di “Gravaco”32. Anche questi posti non a caso lungo la strada che partendo da Fiorenzuola, attraverso la Valdarda arrivava a Tolla, quindi, dopo aver superato il passo del Pelizzone, passando a Gravago, andava verso la valle del Taro, per poi spingersi fino in Toscana. Nel 746, il successore Rachis, rinnova integralmente la concessione33. Nel IX secolo l’Imperatore dei Franchi Carlo Magno, con un atto dell’808, confermava che il Monastero di Valtolla governava un suo territorio, che confinava a nord con il territorio della Diocesi Piacentina34. Nell’anno 826 viene registrata una permuta tra il grande monastero di Nonantola, in terra di Modena, e Tolla35. Nel 880 il re Carlo il Grosso confermava l’autonomia al Monastero di Valtolla e a tutto il territorio a questo assoggettato. L’Abate di Valtolla, dunque, sul suo territorio aveva un’autonomia che si poteva equiparare a quello di un vero e proprio capo di stato. Dello “Stato”, nel Monastero Valtolla venivano, così, ad esistere tutti gli elementi essenziali, e cioè: il territorio, la popolazione, il governo. Nel X secolo, il re Berengario I, con l’atto del 902, confermava l’autonomia al Monastero di Valtolla, garantendo la sua alta protezione; donava all’Abbazia anche il castello di Sperongia (Spelunca), che egli aveva fatto edificare per la difesa della Valtolla, nell’anno 936 i re Ugo e Lotario confermavano al Monastero la piena autonomia, sotto la loro protezione. Con una Bolla del 940, Papa Stefano VIII riconosceva l’autonomia del Monastero di Valtolla. Nel XI secolo l’Imperatore Enrico II, con atto del 1014, rinnovando all’Abate Aginulfo la protezione sui beni acquisiti dal Monastero, concedeva allo stesso anche il Castello di Vernasca (Lavernasco), per la difesa di quel territorio, e confermava l’appartenenza al Monastero di

32 CAMPI P. M., …op. cit. 33 CAMPI P. M., …op. cit. 34 CAMPI P.M., …op. C. 35 TIRABOSCHI G., “Storia dell’augusta badia di San Silvestro di Nonantola”. Modena, 1785.

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beni posti in Mistriano e San Cassiano, (in comune di Castell’ Arquato), Luganiano, Cattivelli, Lucullo, Casale Sarbadi, Ravanioli (Ravazzoli, in comune di Morfasso), Saliano (Sariano, in comune di Gropparello), Burla e Pulplano (Borla e Perpiano, in comune di Vernasca). Nel 1037 l’Arcivescovo di Milano Ariberto di Intimiano, – che era anche il capo politico di quella città –, fatto prigioniero dall’Imperatore Corrado II e tenuto rinchiuso nelle vicinanze di Piacenza, riuscì a sfuggire alla prigionia per l’intervento dei monaci della nostra Abbazia, capitanati dal monaco Albizzone. Da Piacenza, Ariberto riparò in Valtolla, rimase nella nostra Abbazia per alcune settimane e poi, scortato dai monaci, attraverso Morfasso, Bettola, Bobbio e Voghera, fece ritorno a Milano36. Nel marzo del 1040 Ariberto di Intimiano, in riconoscenza dell’aiuto che aveva ricevuto dai nostri monaci, nominava Albizzone Abate di Tolla e faceva una donazione di terre. Nel XII secolo Papa Eugenio IV riconosceva l’autonomia del Monastero di Valtolla, con un atto del 1148. Tra i possedimenti elencati Mistriano (Castell’ Arquato), Vernasca, Castelnuovo (Castelnuovo Fogliani), Sperongia, Morfasso con i rispettivi castelli, le chiese e le pertinenze di Rugarlo (Bardi), Rezzano (Carpaneto), la chiesa di San Dalmazio a Piacenza37. Nel 1162 Papa Alessandro III dichiarava che il Monastero era canonicamente soggetto all’Arcivescovo di Milano. Nel 1167 l’Imperatore Federico Barbarossa confermava la protezione imperiale e l’autonomia al Monastero. Con un atto del 1184, Papa Urbano III riconosceva la diretta soggezione alla Sede Apostolica del Monastero di Valtolla. In questo periodo, tra attribuzioni, riconoscimenti, privilegi, donazioni, l’Abbazia, grazie alla protezione di potenti garanti, raggiunse la massima espansione territoriale. Attorno al XII secolo, infatti, il suo territorio si estendeva per circa 250 KM quadrati e comprendeva l’attuale comune di Morfasso, la maggior parte dei comuni di Lugagnano e Vernasca, una parte dei comuni di Alseno, Bardi, Carpaneto, Castell’ Arquato, Gropparello, altri territori delle Diocesi di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Pavia, Cremona. Con la progressiva espansione dell’Abbazia, le popolazioni delle vallate circostanti aumentarono in misura rilevante. L’influenza esercitata dai monaci fu fondamentale per lo sviluppo economico della zona. I Benedettini applicavano concretamente la regola “Ora et Labora”, e oltre all’insegnamento religioso, portarono abilità tecnica e conoscenze scientifiche, insegnarono forme di artigianato redditizio, l’irrigazione, l’utilizzo dei mulini, la lavorazione della lana, l’edificazione di case e 36 RATTI A., ...op. cit. 37 CAMPI P.M., …op. cit.

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stalle, la costruzione di mezzi di trasporto; si può quindi affermare che la loro venuta determinò l’inizio della civiltà dell’Alta Val d’Arda38. Da dove dipese dunque la singolare situazione di privilegio, di autonomia, di immunità di cui l’Abbazia godette per oltre otto secoli? Sicuramente molto fu dovuto alla posizione geograficamente strategica (all’inizio il crinale appenninico era il confine tra Longobardi e Bizantini), molto fu dovuto anche alla rilevanza politica ed economica delle vie di collegamento che attraversarono per un lungo tratto il suo territorio. Ecco allora spiegata la posizione sempre di equilibrio tra la giurisdizione papale e quella imperiale, oggetto ora di assoggettamento canonico da parte del vescovo di Milano, ora di attestazione di autonomia ed “esenzione da qualsiasi episcopato” e quindi assoggettata direttamente alla Sede Apostolica. L’Abate di Valtolla aveva nel suo territorio un’autonomia paragonabile a quella di un capo di stato: amministrava i beni e la giustizia. La popolazione godeva di tranquillità assoluta, esenzione da obblighi di leva militare, esenzione da tributi ed imposte. In questo periodo di grande floridezza, alle dipendenze del Monastero di Valtolla sorsero priorati, centri monastici ed ospizi per l’assistenza agli infermi e l’ospitalità ai viandanti in transito (il più famoso di questi fu l’Hospitale di Monte Pelizzone)39. A partire dal XIII secolo cominciò il declino dell’Abbazia. Le guerre tra Guelfi e Ghibellini finirono per coinvolgere anche i territori della Valtolla, che furono ripetutamente saccheggiati. Si indebolì rapidamente quell’autonomia che aveva sempre caratterizzato e reso potente l’Abbazia di Valtolla, e crebbe rapidamente l’avidità di chi voleva trasformare il territorio del Monastero in un proprio feudo40. I signori di Milano, Galeazzo II nel 1357, Gian Galeazzo nel 1379 e Filippo Maria Visconti nel 1429, riaffermarono la loro giurisdizione sul territorio e l’autonomia della vallata dal resto della provincia di Piacenza. Il Monastero venne trasformato in “commenda”, fu eletto un “Podestà”, che governava la Valtolla, risiedendo alternativamente a Vernasca e Sperongia. Cessò quindi l’amministrazione civile da parte dei Benedettini, i quali scomparvero definitivamente dal nostro Monastero. Con atto del 10 luglio 1455, Antonello Rossi di Piacenza faceva trasformare la Valtolla, dal Duca di Milano Francesco Sforza, in suo feudo. Nel 1535 gli Sforza di Santa Fiora subentrarono ai Rossi. Da questi nel 1624 la valle passò al Cardinale Francesco Barberini, verso il 1700 la

38 MITI M., Il territorio di Gropparello e il Monastero di Val di Tolla, in “Gropparello e la Val Vezzeno”. Piacenza, 1977. 39 MITI M., …op. cit. 40 MITI M., …op. cit.

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giurisdizione di Valtolla passò agli eredi dei duchi Sforza Cesarini, che ne rimasero in possesso fino al 180442. La vallata nel frattempo era stata compresa nel Ducato di Parma e Piacenza (costituito nel 1545) di cui seguì tutte le vicende, prima sotto i Farnese e i Borbone e successivamente sotto Maria Luigia d’Austria. Nel 1859, a seguito del Plebiscito, venne annessa al Regno d’Italia. Oggi il titolo di Abate di Valtolla è portato dal vescovo di Piacenza. In assenza di fonti attendibili e di specifiche documentazioni, la ricostruzione storica d’importanti accadimenti non è solo oggettivamente difficile e necessariamente incompleta, ma lascia ampi spazi al dubbio, all’incertezza, al mistero. In particolare, l’archivio dell’Abbazia visse strane vicissitudini; disperso dopo la partenza dei monaci, ritrovato in parte e trasferito a Roma nell’Archivio Barberini, da qui confluito nella Biblioteca Vaticana, nuovamente sparito e riapparso solo all’inizio del secolo scorso. La sede del Monastero di Valtolla Il Campi, che si era recato sul luogo ove sorgeva l’Abbazia e aveva costatato personalmente l’esistenza di alcuni fabbricati, nel 1651, scrisse che si fondò “nel territorio e diocesi di Piacenza, l’antichissimo Monastero dell’Abbatia di Tolla, che sin al presente veggiamo – benché ridotto in commenda – ad onore del Salvator nostro eretto e del glorioso Apostolo Pietro, sotto la Regola e Ordine di San Benedetto” e “fu altrevolte molto insigne quell’Abbatia di Tolla, mentre ebbe sotto di sé e governò, per più secoli, varie chiese e Monasteri, con titolo di priorati e alquante castella ancora nel piacentino…”43. Il Poggiali, che pure ispezionò la località di Valtolla, attestò di aver visto i resti dei fabbricati dell’Abbazia, e scrisse nel 1751, che si fondò “l’antichissimo Monisterio e la Badia di Val di Tolla nel Piacentino, sotto l’invocazione del nostro Divin Salvatore e del Principe degli Apostoli San Pietro, secondo l’istituto di San Benedetto” e “questa celebre Badia, oggidì ridotta poco meno che a nulla, la quale, oltre al temporale dominio sopra tutta la Val Tolla, ed altre terre e castella, ebbe per più secoli sotto la sua giurisdizione parecchie chiese e monisteri nel Piacentino, con il titolo di priorati”44. Il capitano napoleonico Antonio Boccia, durante la sua visita nelle valli piacentine compiuta nell’anno 1804, ebbe modo di verificare di persona l’esistenza di resti di fabbricati non lontano dalla chiesa parrocchiale, e di aver potuto osservare i resti di un pozzo di eccezionali dimensioni; questo pozzo ancora nel 1644 era compreso tra i beni in uso della Chiesa e della Casa Parrocchiale di Monastero. 42 DA MARETO F., …op. cit. 43 CAMPI P.M., …op. cit. 44 POGGIALI C., …op. cit.

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Il Boccia, nel 1805 nello stendere la sua “Dèscription topographique e statistique des états de Parme, Plaisance et Guastalla”, scrisse: “…Pochi passi lungi dalla Chiesa del Monastero, si sono trovate molte vestigia di abitato e molte ossa umane. Un altro campo a sinistra della strada chiamasi “Campo del pozzo” perché ve ne era uno. Questa villa è impropriamente chiamata il Monastero perché quattro secoli fa ve ne era uno dei monaci Benedettini, i quali erano padroni di tutta questa Valle. Di questo sopraccitato Monastero non si vede più alcun avanzo ai nostri giorni, fuorché una porzione nel campo ove era situato, il quale oggimai è stato asportato dalle lavine che divellano nel menzionato Rio della Rocca, il quale scorre sulla destra in poca distanza dalla chiesa parrocchiale. Il parroco attuale e qualche vecchio abitante mi indicarono il luogo ove esisteva, come pure il campo, ove trovatasi il pozzo, opera non da privati a quest’altezza”45. Il Boccia continua lasciandoci una testimonianza molto precisa del luogo ove era sorta l’antica Abbazia di Valtolla: distanze dalla chiesa del Monastero “…al nord-est Monte diggià nominato tre miglia lungi dalla chiesa, Favale due miglia e un terzo pure al nord-est, S.Giorgio un miglio e mezzo all’est, Casale al nord- est un miglio e mezzo, Gazola all’est nord-est un miglio, i Rabbini un miglio al nord, Selva al nord nord-ovest mezzo miglio, gli Inzani al nord nord-ovest tre quarti, Taverne anch’esse sull’istesso punto un miglio, Tolara al nord-ovest un miglio e mezzo, Castagneto all’ovest uno e un quarto, Bardotto al sud tre quarti, le Moglie, case distrutte da una lavina accaduta sette anni or sono, mezzo miglio al sud, la Colombara all’est nord-ovest un quarto e le Case Nuove pure un quarto all’est…”. La posizione dell’Abbazia fu fraintesa da Achille Ratti, il futuro papa Pio XI, il quale la pose “ad ovest sud-ovest da Piacenza, a circa un miglio a nord di Vernasca (Lavernascum), a quattro incirca a sud di Sperongia (Spelunca) ”46. In questi termini l’ubicazione appare del tutto improbabile, perché l’Abbazia stava ben ad est di Piacenza, a circa quattro miglia a sud di Vernasca, e a nord per un miglio da Sperongia, (si noti che invertendo la posizione di Vernasca con quella di Sperongia, la posizione dell’Abbazia risulta essere esatta). Altri autorevoli storici, tra cui il Bognetti e il Felice da Mareto hanno dato le stesse indicazioni del Ratti, segno che probabilmente non si erano mai recati sul sito dell’antica Abbazia di Valtolla. Scrive Jesini: “La concordanza, la continuità cronologica, la precisione e l’attendibilità di queste testimonianze sono tali da escludere ogni fondamento ai dubbi circa l’esatta località in cui sorgevano i fabbricati dell’Abbazia”.

45 BOCCIA A., “Viaggio ai monti di Piacenza” (1805), T.E.P., Parma, 1977. 46 RATTI A., …op. cit.

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E continua: “Anche per evitare ogni altro dubbio sull’esatta località nella quale sorgeva la nostra antica Abbazia Benedettina, precisiamo che i fabbricati della Sede Abbaziale sorgevano nel luogo denominato “Chiesa Vecchia”, all’altezza di m. 452 sul mare, in prossimità di Case Nuove di Monastero, sul rialzo di terreno fiancheggiato dal Rio della Chiesa e dal Rio Casella, alla distanza di circa 600 metri a nord-ovest dall’Arda, in prossimità dell’incontro delle strade comunali Case Nuove- Bardetti e Tollara- Bardetti. La località è contrassegnata come “Chiesa Vecchia” nel foglio 72, II, SO, scala 1: 25.000, dell’Istituto Geografico Militare edizione 1962; la località era segnata come “Monastero” nel foglio 72, II, SO, scala 1: 25.000 dell’Istituto Geografico Militare, edizione 1935. I fabbricati dell’Abbazia, principali ed accessori – sulla base degli elementi sopra indicati e dei residui tuttora rivelabili in luogo – si trovavano sulle aree indicate coi mappali n. 83, 84, 85, 86 del foglio 26 dell’attuale Catasto Terreni di Morfasso – con un’estensione di circa 18.000 metri quadrati – che sono, ora, di proprietà del Beneficio parrocchiale di Monastero e della famiglia Grandi”47. L’Associazione Archeologica Pandora della Valdarda, che da anni sta compiendo studi sull’ubicazione dell’antico Monastero di Valtolla, concordando pienamente con le tesi esposte dallo Jesini, ha compiuto numerose ispezioni in loco sotto la supervisione della dott.sa Piera Saronio, responsabile per il settore piacentino della Soprintendenza Archeologica di Parma, e ha potuto rilevare direttamente che esistono tuttora, nella parte alta del sito, frammenti di murature appena affioranti dal terreno relativo alla Chiesa, altre mura esterne ancora in condizioni di decenza, all’interno delle quali in passato è stato costruito un cimitero - usato fino all’inizio del secolo scorso -, e altre porzioni di murature a secco (queste sotto il livello del terreno), che sembrano collegare la vecchia Chiesa con il “cimitero”. La zona interessata misura nella sua lunghezza circa 80 metri e circa 36 metri nella sua larghezza. Inoltre attorno a quest’area si possono ancora trovare depositi di pietre e laterizi, provenienti probabilmente dagli antichi fabbricati accessori dell’Abbazia di Valtolla (Fig.8). L’Associazione, dopo aver valutato che anche la scelta del luogo, dettata oltre che da una serie d’elementi favorevoli contingenti quali la posizione panoramica e centrale rispetto alla vallata, la prossimità di terreni fertili e pianeggianti, l’esposizione al sole, la ricchezza d’acqua, fu soprattutto determinata dalla vicinanza delle due cennate antiche strade che da Piacenza portavano verso la Toscana: la Via Piacenza-Lucca e la Via Francigena della Valdarda, e dopo che la dott.sa Saronio, che con l’ausilio dei volontari dell’Associazione ha compiuto alcuni saggi di scavo, ha ritenuto, pur al momento ritenendo prematuro trarne conclusioni

47 JESINI A., …op. cit.

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affrettate, di giudicare molto interessanti questi primi saggi di scavo48, ritiene di aver centrato il sito ove nel VII secolo di Cristo fu fondato l’antico Monastero di Valtolla. Ha già preparato alcuni progetti di scavi, studiati con l’ausilio degli studi approfonditi compiuti dagli storici nostri associati presso l’Archivio di Stato di Piacenza e l’Archivio di Castell’ Arquato, e che intende sottoporre agli organi preposti.

48 Studi più approfonditi su questi scavi sono annunciati dalla stessa dott.sa Saronio.

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(Fig.8) Agli inizi del secolo scorso era ancora possibile vedere i ruderi del portone d’ingresso del vecchio cimitero.