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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 81 LUGLIO 2019 CITTÀ DEL VATICANO DIALOGHI : Abraham Yehoshua • Gerusalemme e il Vaticano • La rivoluzione femminista • Il ruolo della letteratura (Jim Hollander, Epa, 2017) Riparare la Chiesa: la forza delle donne Sant’Ignazio rilettura al femminile Se la teologia è prudente Come pecore in mezzo ai lupi La virtù della prudenza e la libertà Come pecore in mezzo ai lupi La virtù della prudenza e la libertà

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 81 LUGLIO 2019 CITTÀ DEL VAT I C A N O

DIALO GHI: Abraham Yehoshua

• Gerusalemme e il Vaticano• La rivoluzione femminista• Il ruolo della letteratura

(Jim

Hol

land

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Epa

, 20

17)

Riparare la Chiesa:la forza delle donne

Sant’Ignaziorilettura al femminile

Se la teologiaè prudente

Come pecorein mezzo ai lupi

La virtù della prudenza e la libertà

Come pecorein mezzo ai lupi

La virtù della prudenza e la libertà

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numero 81luglio 2019

EDITORIALE

A lato del carro della Chiesa universale tirato dal grifone, cherappresenta Cristo, danzano quattro figure di donna, vestitedi porpora. Sono le quattro virtù cardinali che ricompaiono

nel paradiso terrestre, molto tempo dopo che Dante le ha viste brilla-re come stelle all’uscita dall’Inferno. Una di esse, che ha tre occhi,dirige la danza delle altre. È la Prudenza. Se la giustizia infatti è fon-damento di ogni disposizione al bene e quindi di tutte le altre virtù,è in realtà la prudenza a regolarle tutte grazie al suo triplice sguardo:uno rivolto al passato, l’altro al presente e il terzo al futuro.

In linea con la saggezza dei greci, la prudenza è stata dunque dasempre considerata quella virtù che, facendo tesoro dell’esp erienzapassata, si rivolge ai problemi del presente e riflette sulle prospettivefuture. Ultimamente, però, si è svuotata di significato. Oggi è “pruden -te” chi è cauto, chi esita, chi non vuol osare o esporsi. Si fa largo inol-tre la tendenza a giustificare quella “p ru d e n z a ” egoistica che, simileall’ignavia, rinuncia al vero e al bene. Altra cosa è la prudenza comevirtù, morale o intellettuale, che ci guida nel retto giudizio intorno aciò che si deve operare. Come tale, la prudenza smaschera i falsi ragio-namenti e le false verità, aiuta a compiere scelte dirette al bene perso-nale e comune, ci ispira nella formazione dei giovani e ci sostienenell’osare e nell’andare contro corrente in nome del bene e della verità.

Ma non è tutto. Come la giustizia anche la prudenza si spiritualiz-za e diventa, nella visione cristiana, non solo l’opposto della “p ru -denza secondo il mondo”, ma anche e soprattutto il compimento piùalto della virtù umana razionale, perché illuminata dallo Spirito, inconformità a Cristo. Non per nulla la prudenza cristiana ritratta daDante, è, come d’altronde anche le altre virtù, vestita di rosso. Am-mantata di carità, si lascia guidare dalla Luce, o Sapienza, che sem-pre ci precede. La prudenza illuminata dallo Spirito diventa così co-raggiosa voce profetica per il mondo, per le donne e per la Chiesa.Questione di prudenza, dunque, oltreché di giustizia?

Sulla necessità di conoscere, conoscersi, superare i conflitti nellasocietà, nel matrimonio, nella famiglia e sul ruolo della donna ospi-tiamo un intervento del grande scrittore israeliano Abraham Yeho-shua. Parla di sua moglie Rivka, del loro lungo matrimonio. Sostieneche la “rivoluzione femminista è la rivoluzione più importante dellaseconda metà del secolo XX”.

D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romano

Comitato di DirezioneRI TA N N A ARMENI

FRANCESCA BUGLIANI KNOX

ELENA BUIA RUTT

YVONNE DOHNA SCHLOBITTEN

CHIARA GIACCARDI

SHAHRZAD HOUSHMAND ZADEH

AMY-JILL LEVINE

MA R TA RODRÍGUEZ DÍAZ

GIORGIA SA L AT I E L L O

CAROLA SUSANI

RI TA PINCI (co ordinatrice)

In redazioneGIULIA GALEOTTI

SI LV I A GUIDI

VALERIA PENDENZA

SI LV I N A PÉREZ

Progetto graficoPIERO DI DOMENICANTONIO

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Questione di Prudenza

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TRIBUNA A P E R TA

Il ruolo delle donne per riparare la Chiesa

NAT H A L I E BE C Q UA R T A PA G I N A 4

RILETTURE: GLI ESERCIZI S P I R I T UA L I

Il discernimento ignaziano

GIORGIA SA L AT I E L L O A PA G I N A 14

L’INTERVENTO GIURIDICO

Giurisprudenza basta una parola

MA R TA CA R TA B I A A PA G I N A 25

ETICA E P R AT I C A

Pinocchio, Tommaso e la virtù della verità

FÁINCHE RYA N A PA G I N A 27

RIFLESSIONE TEOLO GICA

Se la teologia è prudente

CRISTINA SIMONELLI A PA G I N A 32SIMBOLI NELLA BIBBIA

Donna Sapienza un ritratto poetico

KAT H A R I N E J. DELL A PA G I N A 36

DIALO GHI

La rivoluzionefemministanon èterminata

ABRAHAM YE H O S H UA A

PA G I N A 17

CU LT U R A

YVONNE DOHNAE CAROLA SUSANI

NELLE PA G I N E 30 E 31

L’A LT R A METÀ

LUIS CARLOS AGUILARBADILLA A PA G I N A 34

LE VO CI DELLE D ONNE

• Più corridoi umanitari: non è ingenuità né impru-denza • Quei trenta ragazzi figli della ‘ndranghetaliberi di scegliere • Un direttore spirituale deve in-tanto conoscere se stesso • Ci vuole un patto traformatori, la scuola e le famiglie • Fake news: atten-zione a addossare tutte le colpe al web

DA PA G I N A 6 A PA G I N A 13

SOMMARIO

Io, femminista tardivae madre controla maternità surrogata

Mi chiamo Roberta Trucco emi definisco una femministatardiva, anche se rappresentolo stereotipo tipico dell’anti-femminista: sono cattolica,

sono casalinga, sono sposata e sono madre di 4figli. Alcuni anni fa ho iniziato a interessarmi dimaternità surrogata. Vagando su internet mi im-battei nella petizione #stopsurrogacynow lan-ciata da Jennifer Lahl in California. Mi bastò lalettura del manifesto e firmai subito. La miaadesione nacque certamente da una motivazione

LA FOTO DI COPERTINA è stata scattatadurante una delle manifestazioni organiz-zate in Israele da Women Wage Peace,Donne fanno la pace. Al movimentoaderiscono donne di tutte le etnie e reli-gioni, laiche e religiose, di diversa ap-partenenza politica. Marciano, cantano,pregano insieme, ognuna secondo lapropria tradizione e cultura. Con sensodi responsabilità e voglia di cambiarehanno deciso di agire, unite dal deside-rio di costruire una convivenza possibile.Inno delle loro marce è diventata la Pre-ghiera delle madri, della cantautrice YaelDeckelbaum che la canta insieme a ungruppo di donne. Un inno di speranza.(youtu.b e/YyFM-pWdqrY)

“di pancia”. Noi donne siamo il nostro corpo:Anna Maria van Shurman, filosofa e teologa del1600, con grande lungimiranza, contrapponevaal “cogito ergo sum” di Cartesio il suo “Sum er-go cogito”.

Oggi, dopo anni di intensi confronti, insiemea molte altre donne abbiamo elaborato suffi-cienti argomenti a dimostrazione di quanto que-sta pratica sia disumanizzante e aberrante.Spezzettare la maternità significa ridurre la ge-stazione a un processo senza anima e senza sto-ria, come se i nostri corpi fossero solo dei tubiattraverso i quali scorre la vita, una vita che nonlascia segno; significa inserire il processo com-plesso e meraviglioso dei nove mesi di relazionefeto/madre in un sistema di mercato, in cui ilvalore di un ovulo o della sperma è equiparatoal processo della gravidanza, e dunque significaaccettare che il capitale (mercato) entri di impe-rio nella logica della maternità. La maternitànon è negoziabile. La madre, sia che si occupe-rà del bambino/a una volta fuori dalla pancia,sia che non se ne occuperà affatto; sia che loabbia desiderato o che non lo abbia desiderato,resterà iscritta per sempre dentro l’identitàdell’individuo generato, e questa funzione, contutto il carico anche drammatico di responsabi-lità, è per me una funzione sacra, intoccabile.L’autodeterminazione delle donne, in questo ca-so, non c’entra nulla, noi non possiamo dispor-re di ciò che è indisponibile, le relazioni non sidonano e non si vendono. Non bisogna esseremadri per comprendere che questa pratica sipresta a diventare la schiavitù del terzo millen-nio e una forma di tratta mascherata dietro unaidea fallace di libertà. Siamo tutte e tutti nati dadonna e sappiamo nel profondo quanto quelcorpo che ci ha generato sia un ricordo indele-bile del nostro essere e parte fondante la nostraidentità.

RO B E R TA TR U C C O, GE N O VA

LETTERE

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Il ruolo delle donneper riparare la Chiesa

di NAT H A L I E BE C Q UA R T *

TRIBUNA A P E R TA

Con Papa Francesco, forgiatodall’esperienza sudamericana radi-cata in una teologia del Popolodi Dio ed eletto per far avanzarela Riforma della Chiesa, la Chiesa

è entrata in una nuova fase della ricezione delconcilio Vaticano II che pone l’accento sulla si-no dalità.

In uno dei testi chiave del suo pontificato(Discorso per la Commemorazione del 50° Anniver-

sario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 otto-bre 2015), Papa Francesco, a partire da una let-tura dei “segni dei tempi”, indica chiaramentel’orizzonte: “Il mondo in cui viviamo, e che sia-mo chiamati ad amare e servire anche nelle suecontraddizioni, esige dalla Chiesa il potenzia-mento delle sinergie in tutti gli ambiti della suamissione. Proprio il cammino della sinodalità èil cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa delterzo millennio”.

La crisi attuale, con la presa di coscienza del-la gravità della questione degli abusi sessuali edell’urgenza di lottare contro ogni forma diabuso, è anche un k a i ro s , un tempo particolar-

mente favorevole per cogliere la sfida del supe-ramento del clericalismo. Perché tanti fedeli, inparticolare i giovani e le donne, sono profonda-mente consapevoli che la Chiesa non può conti-nuare come prima e che deve diventare più si-nodale, affidando ai fedeli ruoli e responsabilitàmaggiori.

Lo shock mondiale dell’incendio della catte-drale di Notre-Dame di Parigi ha simboleggiatoper molti ciò che la Chiesa sta vivendo: unasorta di crollo delle vecchie strutture. Attraversol’ascolto indispensabile e prioritario delle vitti-me si apre oggi un cammino di verità nel dolo-re, per riconoscere che la Chiesa sta bruciandoincancrenita dal di dentro a causa di ciò che hapotuto permettere quelle pratiche perverse, queisilenzi devastanti, quegli occultamenti mortiferi,quegli abusi di potere distruttori. Così si fa piùacuta l’idea che è necessario “riparare la Chie-sa”. Il che richiede pratiche ecclesiali più colle-giali, più dialogali, più partecipative, più inclu-sive, che consentano a tutti — uomini e donne,giovani e anziani — di essere attori e ai laici diessere coinvolti nei processi decisionali.

Rigenerare la Chiesa perché sia più evangeli-ca, più missionaria, più sinodale richiede anchedi coinvolgere in questo cammino i più piccoli,i più deboli, i più poveri, i più feriti. Per “ripa-r a re ” la Chiesa, ma ancor di più per testimonia-re Cristo nelle culture e nelle lingue del XXI se-colo, tutti i battezzati — qualunque sia la lorovocazione — sono chiamati a discernere e a trac-ciare insieme i cammini della missione. Si trattaquindi di trovare i modi di agire che traducanoconcretamente in ogni contesto questa identitàprofonda della Chiesa che è “una comunionemissionaria”, radicata nel mistero trinitario. Dicerto le donne — che immediatamente introdu-cono l’alterità nel sistema clericale e portano undesiderio di collaborazione nella reciprocità congli uomini per una maggiore fecondità pastorale— ma anche le religiose, per la loro esperienzadi vita comunitaria fraterna, di discernimentocomunitario, di un’obbedienza vissuta come“ascolto comune dello Spirito” — hanno un ruo-

lo fondamentale da svolgere per promuovere,insieme a tanti laici che desiderano far parte diquesta Chiesa sinodale, pratiche ecclesiali nuovele cui parole chiave siano l’ascolto, il servizio ditutti, l’umiltà e la conversione, la partecipazionee la corresponsabilità.

La sinodalità, “dimensione costitutiva”, assu-mendo la forma di un “camminare insieme”all’ascolto dello Spirito, è veramente una chiaveper l’annuncio e la trasmissione della fede oggi.Nello slancio del Sinodo di ottobre 2018 suigiovani, la fede e il discernimento vocazionale,nello spirito del Vertice di febbraio 2019 sugliabusi sessuali, e nella prospettiva del Sinodosull’Amazzonia, siamo quindi tutti chiamati avivere e a sviluppare la sinodalità come “lo stilemissionario” della Chiesa per affrontare le sfideattuali.

* Saveriana, consultore presso la segreteria generaledel Sinodo dei vescovi

I lavori di restauro della cattedrale di Notre-Dame (Afp)

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LE VO CI DELLE D ONNE • storie • testimonianze • ra c c o n t i

Più corridoi umanitari:non è ingenuitàné imprudenza

di ALESSANDRA TR O T TA *

Sbarcano all’aeroporto di Fiumicinocon valigioni enormi, indescrivibili.Poi quando li aprono vedi che han-no portato oggetti sorprendenti:utensili da cucina, soprammobili,

piccoli quadri. Le famiglie siriane che arrivanotramite corridoio umanitario, organizzato dallaFederazione delle Chiese evangeliche in Italia,

dalla Comunità diSant’Egidio e dallaTavola valdese, sonostate selezionate neicampi profughi delLibano per le loroparticolari condizionidi vulnerabilità trami-te una dolorosa pro-cedura: se loro sonoqui, altre famiglie so-no rimaste indietro,

ma almeno non hanno rischiato la vita come imigranti che si mettono in mare, che per noihanno comunque diritto a un’accoglienza digni-tosa. È imprudente che un genitore faccia salireun figlio nel barcone? Sì, è imprudente. Ma do-po avere ascoltato i primi racconti di cosa ha la-sciato a casa chi si mette in viaggio, ho capitoche in molti casi sarebbe stato più imprudenterimanere dov’erano. E quando arrivano hannouna fame feroce di vita che è difficile non am-m i r a re .

Parlo ad esempio di un ragazzo della Costad’Avorio che abbiamo ospitato a Napoli comeChiese metodiste e valdesi: arrivato analfabeta,sta imparando tutto ciò che gli capita a tiro, dalsuonare l’organo alla matematica, ai corsi pro-fessionali. Un paese non può che beneficiaredella sua presenza.

Ospitare persone che devono riorganizzareuna vita significa anche riconoscere loro la li-bertà e la competenza di compiere le scelte cheritengono più giuste secondo la loro prospetti-va, anche quando non le si condivide, come nelcaso dei due genitori siriani che, dopo aver vis-suto in un nostro appartamento al Vomero, han-no preferito spostarsi in Germania nonostante iloro figli si fossero trovati bene a scuola e stes-sero imparando l’italiano.

Ora in quella casa vivono due amiche sirianecon i figli di una di loro. Fra i momenti di con-divisione più significativi ricordo sempre quellidella convivialità, dello stare insieme intorno al-la stessa tavola. Organizziamo spesso, anchenella mia casa di Portici, tavolate il più possibi-le inclusive, dove ad esempio possono incon-trarsi siriani e africani subsahariani, che maiavrebbero scelto di stare insieme. A un certopunto, si assiste a uno spostamento fisico che èin realtà mentale e culturale, e distanze e pre-giudizi si sciolgono in un canto comune al finedella serata.

Vedo cristiani storcere il naso perché percepi-scono un aiuto maggiore agli stranieri rispettoagli italiani, e persino tra gli stranieri di fedecristiana esistono perplessità sull’aiutare gli stra-nieri musulmani. Non giudico le paure che

spesso ispirano questi sentimenti, le accolgo macerco di contrastarle con un pensiero in contro-tendenza rispetto allo spirito dei tempi e cioèche siamo tutti sulla stessa barca e che la solida-rietà reciproca fra esseri umani è l’unica via disalvezza per tutti. D’altronde come chiesa meto-dista abbiamo ospitato per qualche tempo an-che una famiglia napoletana dei Quartieri spa-gnoli: non facciamo differenze, per noi vale ilcriterio che riteniamo più coerente con l’evange-lo e cioè «prima gli ultimi» chiunque siano.

Non penso che ci si debba fermare per il fat-to che in questo momento queste idee siano im-popolari. Con chi si oppone a scelte di umanitàcerco di praticare, con pazienza, il dialogo nonviolento che depotenzia l’aggressività dell’a l t ro ,perché attaccare chi subisce la suggestione deipredicatori di odio non produce grandi risultatie invece dobbiamo costruire proprio con chinon la pensa come noi un piano di ragionamen-to che non ceda alla tentazione di divisione edesclusione. Vedo che sul piano dei rapportiquotidiani con le persone funziona, con faticama funziona. E questo impegno è ancora piùefficace quando diventa la voce ecumenica ditutte le Chiese cristiane, che ora chiedono ai go-verni europei di ampliare questi corridoi umani-tari e di prendere esempio dall’esperienza italia-na — finora ne abbiamo accolti circa duemila eabbiamo in agenda l’apertura di un corridoioeuropeo dalla Libia. Non è ingenuità né impru-denza, ma la valutazione responsabile delle pro-prie azioni, mantenendo trasparenza e soprattut-to lo spazio per la fiducia e la sorpresa. E que-sto perché credo in un Dio originale e creativo,che ci ama molto nonostante le nostre debolez-ze, e non ci abbandona mai, come ho potutopersonalmente sperimentare tante volte nellamia vita. (Testo raccolto da Laura Eduati)

*diacona Chiese valdesi e metodiste

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Quei trenta ragazzifigli della ‘ndranghetaliberi di scegliere

di LAU R A ED UAT I

Sono trenta i ragazzi figli della’ndrangheta tolti alle famiglie e ri-collocati in un nuovo ambiente,spesso per esplicita richiesta dei ge-nitori. Li

segue tutti Enza Ran-do, avvocata, vicepre-sidente di Libera,ispiratrice della primalegge sulle infiltrazio-ni mafiose in econo-mia, ora impegnatanel processo Aemiliadove l’associazione didon Ciotti si è costi-tuita parte civile.

«Le donne della ’ndrangheta diventano vedo-ve, perdono un padre, un fratello e comincianoa temere che il figlio maschio faccia la stessafine. E allora si rivolgono al tribunale per i mi-norenni chiedendo di darlo a una famiglia affi-dataria», racconta Rando spiegando il protocol-lo «Liberi di scegliere». I padri rinchiusi al 41bis all’inizio non vogliono che i figli si allonta-nino dalla tradizione mafiosa, eppure dopo anniRando comincia a ricevere lettere dal carceredove questi ’ndranghetisti la ringraziano diaverli salvati: «Sono uomini che stannomaturando una riflessione sulla propria esisten-za. All’inizio riempivano di minacce le loro mo-gli perché osavano sottrarsi alla logica mafiosa,

ora spediscono messaggi di gratitudine anche al o ro » .

La missione di questa avvocata siciliana oggitrapiantata a Modena è tutta rivolta alla preven-zione culturale destinata ai giovani. «Ho porta-to insieme a Libera tremila studenti alle udienzedei maxi-processi per mafia, così ascoltano dalvivo quanto male può provocare un mafiosonon soltanto al singolo imprenditore ma a tuttoun territorio e in ultima analisi a noi tutti». Lasua è la fiducia nel tempo, nella perseveranza,nell’insegnare ai ragazzi a discernere la giustacondotta: «L’obiettivo è farli diventare consape-volmente adulti perbene, persone che agisconocon prudenza al contrario dei mafiosi che prefe-riscono ribadire il loro potere anche se questocomporta il carcere a vita, una convinzione as-surda che va scardinata».

Così succede che nelle aule dei processi glistudenti delle scuole siedano accanto ai figli dei’ndranghetisti, una vicinanza che suscita stupo-re. «Gli alunni mi chiedono se i genitori di que-sti loro coetanei non si rendano conto del caricodi sofferenza inflitto ai figli. Vogliono sapere seun collaboratore è davvero pentito e perché uningegnere magari decide di vendere le propriecompetenze alla mafia. E soprattutto sono cu-riosi di sapere come andrà a finire: se il mafiosoandrà in galera, se verrà fatta giustizia. La loroè una richiesta di etica fortissima», continuaRando, che nonostante il trasferimento dalla Si-cilia continua a ricevere minacce e intimidazionidi cui poco si cura. Anzi, il suo pensiero è intri-so della contentezza di vedere giovani universi-tari che si avvicinano ai processi per mafia e co-minciano a studiare le carte: «È così bello ve-derli impegnati».

Ricorda ancora con nitidezza quando il pen-tito Giovanni Brusca raccontò ai giudici di ave-re ricevuto una pistola dal padre a 4 anni. «Cisono dei destini che possono cambiare e sono le

donne a fare la rivoluzione all’interno della ma-fia», osserva ricordando Lea Garofalo, la donnauccisa dal marito ’ndranghetista perché avevaosato ribellarsi al codice maschile mafioso. Ran-do conosceva Garofalo, e al suo posto ora osser-va decine di donne che seguendo il suo esempioritrovano una vita diversa lontano dalla Calabriainsieme ai figli strappati alla mafia. «All’iniziosono spaesate, applicano la diffidenza che cono-scono così bene perché è la modalità delle fami-

glie di ’ndrangheta. A poco a poco si aprono,cominciano a lavorare, finalmente assumono unruolo di dignità anche di fronte ai figli maschiche iniziano a rispettarle. Uno di loro ormaimaggiorenne mi ha detto che quando era giova-nissimo in Calabria sentiva di incutere timore inpaese perché era figlio di un mafioso. Ora haperso quel riconoscimento sociale ma ha acqui-sito forza e fiducia. Posso dire: obiettivo rag-giunto».

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Un direttore spiritualedeve intantoconoscere se stesso

di ELISA STORACE

«P er un direttore spiritualela Prudenza è soprattuttosapere quando ascoltaree quando parlare, ma an-cor più è conoscenza di

sé: se non conosciamo noi stessi, e quindi nonpossiamo essere onesti con noi stessi, come pos-siamo conoscere e dirigere qualcun altro?». Persuor Gemma Simmonds — docente di TeologiaDogmatica al Margaret Beaufort Institute of

Theology di Cam-bridge, presidenteemerito della CatholicTheological Associa-tion d’Inghilterra, di-rettrice dell’Istitutoper la Vita Consacra-ta di Gran Bretagna,ma soprattutto forma-trice di futuri direttorispirituali — la Pru-denza è un tema mol-

to personale, indispensabile nella pratica del di-scernimento, elemento centrale sia del suo inse-gnamento che del carisma della Congregatio Ie-su, la congregazione ignaziana di cui fa parte.«Un direttore spirituale prudente — r i p re n d esuor Gemma — è in contatto con i propri biso-gni e le proprie vulnerabilità, ed è attento aquelli prima di essere attento a quelli degli altri.Per questo ai miei studenti raccomando di esse-re misericordiosi. E di ascoltare senza stancarsi

il popolo di Dio. «Se siete in dubbio — gli ri-cordo e ricordo a me stessa — pregate, e parte diquesta preghiera dovrà essere chiedervi come visentite, da dove provengono i vostri pensieri,quindi guardate a Gesù e chiedetevi come ha ri-sposto in situazioni simili. Domandare a Lui diessere la nostra guida è indispensabile per ogniprudente direttore spirituale». «Prudente — p ro -segue — è colui che vede prima, che guarda ol-tre le cose contingenti con speranza e coraggio.Per cui la virtù della Prudenza non è timore,circospezione o paura di decidere, ma proprio ilcontrario: cioè lettura attenta del presente, ri-flessione e discernimento per agire bene. Que-sto cerco di comunicare ai miei studenti. D’altraparte il discernimento non è qualcosa che sipossa insegnare come materia astratta. Deve es-sere collegato ai contesti reali. Io insegno quelloche Sant’Ignazio stesso ha insegnato e praticatosul discernimento, ma poi faccio riflettere i mieistudenti sulla loro vita reale: come hanno presouna decisione in una data situazione? Quali fat-tori hanno contribuito a quella scelta? La Pru-denza, dico loro, è soppesare i vari elementi diuna situazione e trovare un equilibrio tra la teo-ria morale e il contesto vivente». Una praticache mette in gioco capacità critiche e cuore.«Indubbiamente non è facile essere prudenti.Papa Francesco incoraggia sempre a considerarele regole e gli orientamenti nel quadro delle si-tuazioni pastorali. Sant’Ignazio, nelle Costitu-zioni gesuite, dà spesso direttive chiare e detta-gliate, ma poi aggiunge: «O secondo le personee i luoghi». Egli presume che i suoi dovrannotrovare un prudente equilibrio tra le norme e leesigenze della situazione reale, che potrebbenon essere la stessa che aveva previsto mentrescriveva le Costituzioni. E parla anche della«legge dell’amore, scritta sul cuore». Questonon significa che la legge della Chiesa non ab-bia importanza, ma, come dice il Vangelo, «ilsabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per

il sabato!». «Spesso mi chiedono se esista unospecifico femminile nella formazione spirituale.E anche se sono sempre diffidente nel dire “ledonne fanno questo”, in generale, ho scopertoche agli uomini piace risolvere i problemi, nelsenso che ascoltano, ma spesso con un soloorecchio, perché le loro menti sono impegnate atrovare una soluzione. Alle donne invece piaceparlare dei problemi perché ritengono che par-larne porti sollievo, e lasciano che la soluzioneemerga lentamente. Quindi forse un particolaredono femminile nella formazione spirituale puòessere quello di ascoltare attentamente senzasentire il bisogno di imporre subito una soluzio-ne dall’esterno. Una naturale Prudenza che ècertamente dono dello Spirito».

Ci vuole un pattotra formatorila scuola e le famiglie

di Virginia Kaladich*

Il nostro lavoro è ispirato dalle paroledel Santo Padre (e della Bibbia): «Gio-vane, dico a te, alzati! Alzati! Ti costi-tuisco testimone delle cose che hai vi-sto». Questo vuol dire che il nostro

obiettivo, in quanto formatori, è di aiutare i ra-gazzi a saper stare sulle proprie gambe, a sce-gliere di testa loro quando dire “sì” e quandodire “no”. I giovani imparano facendo, vivendo:è l’esperienza la migliore delle maestre.

Detto ciò, nessuno agisce da solo e anchenoi, adulti e insegnanti, dobbiamo creare un’al-leanza: ci vuole un patto tra scuole, famiglie,

educatori, formatori e tutti gli adulti del mon-do; e la cosa più importante è che la famigliasia al centro di questa coalizione.

Anche noi formatori abbiamo bisogno di for-mazione, di lavorare insieme. Una delle iniziati-ve che con la Fidae, la federazione di ScuoleCattoliche primarie e secondarie, stiamo tentan-do di realizzare è quella di costruire legami mi-gliori e più forti con le famiglie. Al momento cisono tanti documenti, tante regole scritte chenoi insegnanti dobbiamo seguire, ma quello checi serve ancora di più è la pratica, l’esp erienza.Il ruolo di tutte le scuole, e in particolare diquelle cattoliche, è quello di aiutare i giovani adindividuare le scelte più idonee per la propriavita attraverso un lavoro assiduo.

È un compito arduo. Ma la cosa più importanteè credere nei giovani, vederli crescere e voler farparte, in modo significativo, della loro crescita. È

necessario offrire aigiovani linee guida, masempre senza essere in-vadenti. Al contrario èimportante sentire iproblemi, immaginarecome affrontarli, agire epoi contaminare ilmondo con buone pra-tiche. È un po’ quelloche cerchiamo di inse-gnare loro con il pro-

getto Io posso! I ragazzi applicano ai temi dello svi-luppo sostenibile la metodologia Design for chan-ge, basata sul «senti, immagina, agisci, condividi».Ciò che realizzeranno 5000 ragazzi nel mondo saràpresentato al Papa a Roma a novembre. (testo rac-

colto da Francesca Merlo)

*Presidente Fidae

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Fake news: attenzionea addossaretutte le colpe al web

R ita Marchetti, lei è vicepresidente diWeca, i web cattolici: per combatterele fake news non resta che praticareuna virtù?

Direi la virtù della prudenza che vuol dire ca-pacità di discernimento. Non bisogna fidarsi aprescindere, anche se l’istantaneità che caratte-rizza le piattaforme digitali gioca spesso a disca-pito della riflessione. È necessario sviluppare ecoltivare il senso critico attraverso l’alfab etizza-zione informativa e digitale (social media literacy)che si traduce nel saper comprendere e valutarecriticamente i contenuti con i quali entriamo incontatto online. Per raggiungere questo obietti-vo, la formazione è fondamentale.

Una volta c’erano le bugie, a volte chiamate bufale, oggi lefake news: qual è la differenza?

Rispetto al passato cambia il meccanismo dipropagazione reso possibile dai social media.

Gli utenti, attraversola condivisione, pos-sono alimentare ladiffusione delle fakenews condividendo,allo stesso tempo, conchi le genera anche laresp onsabilità.

Spesso le fake news daisocial arrivano sui quoti-diani, in televisione. E di-

storcono le nostre opinioni, a volte con conseguenze gravi,

pensiamo alle notizie che riguardano la salute.

I social media sono sempre più spesso fontigiornalistiche. Farei attenzione però ad addos-sare tutte le colpe al web. Se è vero che attra-verso i social media le fake news hanno mag-giori possibilità di propagazione, è vero ancheche c’è spesso un’incuria da parte dei giornali-sti che dovrebbero verificare le fonti.

È un tema delicato e di assoluta attualità so-prattutto se consideriamo quanto i media conti-no nella formazione delle opinioni. Riprenden-do le parole di un importante studioso di me-dia, molte delle cose che sappiamo, le sappiamoproprio dai media.

In base alla sua esperienza cosa deve fare una persona, e

pensiamo soprattutto a un giovane, per essere “prudente”

nell’utilizzo e nella fruizione dei social media?

Attenersi a delle buone pratiche. Ne cito soloalcune: valutare l’attendibilità della fonte, diffi-dare dei titoli troppo sensazionalisti, fare atten-zione ai link inseriti nei post, cercare altre fontiche riportino la stessa notizia. Ci sono poi ini-ziative di debunking che possono essere utili,anche se da sole non risolvono il problema.

Come si sconfiggono le fake news?

L’unica risposta possibile alle fake news èl’educazione ai media e lo sviluppo di undibattito pubblico che sappia produrre consape-volezza.

Come WeCa cosa fate?

Come WeCa, cerchiamo di fare costantementeformazione sui temi legati al digitale. In particolare,i Tutorial WeCa: brevi video in stile youtuber cheforniscono indicazioni, consigli e suggerimenti permuoversi in maniera un po’ più consapevole online.

La normativa attualmente vigente è adatta, sufficiente?

Ritengo ci sia un vuoto nelle policies dei socialmedia relativo ai contenuti pubblicati all’interno del-le piattaforme. Tuttavia, non credo che il contrastoalle fake news possa essere delegato in toto alla nor-mativa e ancor meno alla censura, che oltre a esserecontraria alle logiche della rete è anche inefficace. Lefake news si combattono con l’educazione ai mediae l’esercizio della prudenza che permette di discerne-re il vero dal falso, il bene dal male. (dcm)

«Il “serpente astuto”,di cui parla il Librodella Genesi, si rese arteficedella prima “fake news”,che portò alle tragicheconseguenze del peccato,concretizzatesi poi nel primofratricidio e in altreinnumerevoli forme di malecontro Dio, il prossimo,la società e il creato»(Papa Francesco, messaggioper la 52a Giornatamondiale dellecomunicazioni sociali)

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Il discernimento ignazianoe le esigenze femminili

RILETTURE: GLI ESERCIZI S P I R I T UA L I

Pablo Picasso, «Madre e figlio» (1905)Dici “discernimento” e pensi subi-

to al piccolo e prezioso testo de-gli Esercizi Spirituali di S. Igna-zio di Loyola. Ovviamente, il di-scernimento spirituale — nel sen-

so di «fare una scelta dopo aver valutato traforze, mozioni, desideri ed esprimere un giudi-zio sulla loro origine e il loro valore», come sot-tolinea il gesuita Maurice Giuliani S.J. nel suoGli esercizi nella vita quotidiana, Ed. Adp — nonè un’invenzione ignaziana, ma la sua pratica èantica quanto lo stesso cristianesimo. È suffi-ciente ricordare che già san Paolo parla esplici-tamente di «discernimento degli spiriti» (I Co-

rinzi 12, 10) e che la successiva tradizione, so-prattutto monastica, ha sempre raccomandato diprestare la massima attenzione, nella preghiera enel raccoglimento, a ciò che si agita nel più pro-fondo del cuore.

Ignazio, tuttavia, articolando la sua propostaa partire dall’esigenza di effettuare una scelta,impegnativa e vincolante, (l’“elezione” nella suaterminologia), pone il discernimento al centrodella sua riflessione spirituale e si concentra su

di esso in un modo che non ha precedenti, for-nendo criteri per scegliere conformemente allavolontà di Dio ed enunciando precise regole perdiscernere efficacemente.

Intere generazioni, non solo di cattolici, maanche di cristiani di differenti confessioni, dicredenti di altre religioni e perfino di non cre-denti, dopo Ignazio hanno praticato i suoi eser-cizi, traendone enormi benefici spirituali e an-che psicologici in termini di pacificazione inte-r i o re .

E le donne? Anch’esse, con il passare deltempo, si sono avvicinate sempre più numerosealla spiritualità ignaziana, integrandola nel pro-prio peculiare vissuto femminile a partire dauna fede che reca l’impronta di quello che le ca-ratterizza in quanto donne.

È vero che Ignazio non ha mai voluto fonda-re un ordine femminile, ma il suo epistolario re-ca traccia di una serrata corrispondenza anchecon donne che ha avuto l’opportunità di incon-trare e di conoscere da vicino.

Si può subito rilevare che l’importanza cheIgnazio riconosce a tutto quello che si agitanell’intimo della persona è in piena sintonia conla capacità femminile di raccoglimento che cercadi superare la dispersione che proviene dall’im-mersione in svariate occupazioni esteriori (cfr. aquesto riguardo l’ultimo libro di Luce IrigarayNascere. Genesi di un nuovo essere umano, BollatiBoringhieri, Torino 2019).

I criteri ignaziani per compiere una scelta ele sue regole del discernimento sono ben lonta-ni da una precettistica manualistica e la loro mi-nuziosità indica soltanto il desiderio di “a i u t a rele anime”, come Ignazio era solito ripetere spes-so, guidandole a saper distinguere quello cheproviene da Dio, da ciò che è frutto di tentazio-ne diabolica.

La sensibilità femminile può trovare nelle re-gole ignaziane del discernimento un valido sup-porto per quel lavoro di scavo che conduce auna sempre migliore conoscenza di se stessi e auna forma di preghiera radicata nell’interiorità enon frutto dell’emozione di un momento.

Due concetti sono cruciali nelle regole igna-ziane, ovvero quello della “consolazione “e quel-lo opposto della “desolazione”, con i quali vuo-le indicare la pace e la serenità che provengonodalle ispirazioni divine e, al contrario, l’aridità eil turbamento che derivano dal demonio e nonc’è dubbio che le donne siano particolarmenteallenate a riconoscere ciò che si agita in esse.

La pratica degli esercizi ignaziani, tuttavia,solleva una difficoltà che, se è reale per tutti,può, però, risultare insormontabile per l’o rg a -nizzazione concreta della vita delle donne.

Essi infatti, nella loro forma classica, preve-dono un mese (che in taluni casi può essere unasola settimana) di ritiro “chiuso”, allontanando-si, cioè, dai luoghi e dalle occupazioni consuetie dagli abituali rapporti interpersonali.

Come conciliare questo con il doppio, e an-che triplo, lavoro delle donne e con i loro impe-gni con la cura e con l’accudimento?

Si può inserire qui, come una risposta a taleinterrogativo, la proposta di cui parla MauriceGiuliani nel testo già citato, ovvero quella degliEsercizi nella vita ordinaria (Evo), nei quali ilprocesso del discernimento, le meditazioni e lapreghiera non sono più concentrati in un brevelasso di tempo, ma occupano un lungo periodo,senza comportare l’allontanamento dalla vitaabituale.

Certamente la dinamica di questi esercizi,pienamente conformi allo spirito ignaziano e al-la sua esplicitazione nelle note 19 e 20 contenu-te in premessa al testo, è molto diversa da quel-

di GIORGIA SA L AT I E L L O

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la che si realizza nel ritiro chiuso, ma l’obietti-vo, l’elezione e il discernimento per effettuarla,rimane lo stesso.

Ovviamente, gli Evo non sono stati pensatiper venire incontro alle esigenze delle donne,ma come una risorsa per tutti coloro che nonpossono allontanarsi dagli impegni quotidiani o

meditazioni, e la sua verifica è rimandata aquando, tornando alla vita ordinaria, l’e s e rc i t a n -te potrà valutare la bontà e la portata della scel-ta effettuata.

La situazione che si realizza negli Evo è r a d i-calmente diversa, nell’alternanza di preghiera eoccupazioni e rapporti quotidiani, e ogni mo-mento del giorno offre l’opportunità per valu-tare la validità del proprio percorso spiritualeche, senza alterare la dinamica degli eventi, mu-ta, però, profondamente lo spirito con cui essisono vissuti.

La volontà di Dio, cercata e trovata medianteil discernimento e il riconoscimento dell’originedelle mozioni interiori, diviene progressivamenteil criterio che informa ogni decisione e ogni pre-sa di personale posizione, colorando di una lucenuova il vissuto abituale.

D’altra parte, se il discernimento influisce sul-la vita, anche quest’ultima ha profonde ripercus-sioni sul cammino spirituale, evitando i rischiodi entusiasmi passeggeri e di decisioni astratte enon radicate nella concretezza dell’esistenza.

L’interiorità del discernimento e l’esterioritàquotidiana divengono i due poli attraverso iquali si dipana un cammino che porta la perso-na a una sempre migliore conoscenza di se stes-sa e della voce di Dio che parla pur nel frastuo-no delle attività di ogni giorno.

È evidente che questo tipo di esercizi richiedeuna forte motivazione e un elevato grado di ma-turità interiore per tenere fede a un impegnoche rischia continuamente di essere intralciatoda distrazioni che provengono dal mondo circo-stante, ma le donne potrebbero trovare in essiuna decisiva risorsa per la propria fede e per ilpersonale discernimento, senza dover rinunciarealle occupazioni quotidiane e, soprattutto, allerelazioni interpersonali.

Io vi mando comepecore in mezzo ai lupi;siate dunque prudenticome i serpentie semplicicome le colombe

Gesù di Nazareth

che, per una particolare sensibilità spirituale,non potrebbero trarre alcun giovamento dal riti-ro e dalla solitudine prolungata.

Nonostante, ciò, sembra di poter vedere inessi un valido aiuto per quelle donne che vo-gliono aprirsi alla spiritualità ignaziana, ma chenon possono concedersi un periodo di isola-mento e si tratta, quindi, di vedere, al di làdell’identità dell’obiettivo, le differenze essen-ziali, soprattutto riguardo al discernimento.

Nel ritiro chiuso il discernimento è al centrodel ritmo delle giornate, scandito da preghiera e

di ABRAHAM YE H O S H UA

La rivoluzione femministanon è terminata

DIALO GHI

La discriminazione della donna, il suo lungo matrimoniola questione di Gerusalemme e il ruolo etico della letteratura

Parla il grande scrittore israeliano

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rinnovando e non c’è da stupirsi che molte delle opere d’arte e lette-ratura israeliane degli ultimi cent’anni facciano riemergere la figura diGesù e degli altri discepoli. In Terra d’Israele, infatti, il Gesù cristia-no non è un nemico degli ebrei, come nella diaspora, bensì, come hospiegato, una parte dell’eredità che si va rinnovando nella lingua e nelterritorio.

A Gerusalemme, soprattutto nella città vecchia la cui grandezza èdi 1 km² in totale, ebrei, musulmani e cristiani vivono a stretto con-tatto. E in questo chilometro quadrato, più che in qualunque altroluogo al mondo, la maggior parte dei luoghi sacri di primaria impor-tanza per le tre religioni monoteiste si trovano uno affianco all’a l t ro .Oltre al fatto che, mentre la Cupola della Roccia, la Moschea di Al-Aqsa o il Santo Sepolcro sono siti belli e imponenti, il Muro delPianto, ovvero le rovine delle mura esterne che circondavano il Se-condo Tempio, è un sito a mio parere privo di profondità e bellezzareligiosa, il cui significato sta tutto nella memoria della distruzionedel santuario che non verrà mai ricostruito.

Israele detiene il controllo di Gerusalemme e i fanatici ebrei e mu-sulmani sono in perenne conflitto. Pertanto i cristiani, e non importase cattolici, maroniti, ortodossi o protestanti, devono unirsi per invi-tare le altre due religioni a un altro tipo di cooperazione, non su ba-se etnica, ma religiosa e spirituale, per cercare di liberare questo luo-go faticoso, nel quale sono presenti contraddizioni e conflitti chepossono ancora sfociare in grave violenza, sino a tradursi drammati-camente in una tragedia capace di coinvolgere tutta la regione.

Solo i cristiani, soprattutto i cattolici sotto la guida del Vaticano,quali partner non coinvolti nel cuore del conflitto etnico-religioso inmerito al Monte del Tempio e al Santuario distrutto, possono preten-dere e imporre una voce più autorevole con l’appoggio dei paesi cat-tolici forti d’Europa, Sud America e Asia. Theodor Herzel, padre delsionismo e fondatore del contratto dello stato ebraico, ha affermatogià alla fine del secolo XIX che Gerusalemme non appartiene a nessu-no poiché appartiene a tutti.

Gli Stati Uniti evangelici d’altra parte non sono d’aiuto, anzi tal-volta buttano ulteriore benzina sul fuoco, per una concezione distor-ta in base alla quale gli ebrei dovrebbero combattere l’Islam per ri-portare il messia cristiano, il quale non solo salverebbe il mondo in-tero dalle sofferenze, ma convertirebbe anche gli ebrei in cristiani cre-denti. Così che, allo stato politico attuale, negli Stati Uniti, i cristianievangelici, che hanno molta influenza nelle cerchie del governo re-

Il conflitto israelo-palestinese ultimamente risulta sem-pre più evidente se letto su un piano religioso. Si trattadi un conflitto che si va rafforzando tra Islam radicalee fanatismo religioso che va crescendo sempre più nellecerchie della società ebraica. In questa complessa co-stellazione si finisce per dimenticare i palestinesi di fe-de cristiana, sia all’interno dello stesso Israele che dellaWest Bank occupata da Israele.

I palestinesi cristiani appartengono a una stirpe presente in Terra-santa dall’antichità. Anche dopo che il cristiane-simo si è separato dalla nazione ebraica e il Van-gelo di Paolo ha spiegato le sue ali dalla Terrad’Israele per rivolgersi a tutta l’umanità, gli ebreiconvertitisi al cristianesimo sono rimasti fedelialla Terra d’Israele quale loro patria storica. Essihanno ricevuto uno status speciale che li vedenon solo custodi dei luoghi santi, Betlemme,Gerusalemme, Nazareth, ma che anche confermache il cristianesimo non viene a negare l’ebrai-smo bensì ad ampliarlo e ad arricchirlo di conte-nuti umani, importanti e innovativi che non so-no asserviti ai precetti stabiliti dalla Torah e dal-la Halacha (corpus di norme religiose ebraiche).

È vero che nel momento in cui tali ebrei si so-no convertiti al cristianesimo hanno cessato difare parte del popolo ebraico, ma, dal mio puntodi vista, i palestinesi cristiani rivestono grandeimportanza per la memoria storica degli israelia-ni rispetto alla Terra di Israele. Pochissimi sonoi siti archeologici ebraici, sia del periodo del Se-condo Santuario che dei secoli successivi, so-pravvissuti in Israele sino all’epoca contempora-nea. Al contrario, proprio i monasteri e le chiese,costruiti nel corso dei numerosi secoli nei quali lapresenza ebraica in Terra d’Israele era molto esi-gua, se non del tutto assente, insieme alla presen-za cristiana del periodo dei crociati, conferisconoagli israeliani, oggi intenti a forgiare la loro iden-tità attraverso la lingua ebraica e il territorio stes-so, una ricchezza e un ulteriore punto di forza.Pertanto i simboli cristiani in Terra d’Israele di-vengono parte di un’identità nazionale che si va

Temi universaliAbraham Yehoshua è uno degliscrittori israeliani viventi piùconosciuti al mondo: interrogatoper Donne Chiesa Mondo suGerusalemme, sulla questionefemminile e sull’attuale significatodella letteratura, ha condensato lesue risposte in tre testi cheesemplificano i temi e lo stilepropri dei suoi romanzi, dovecontenuti esperienziali narrati inmodo sommesso rimandano apotenti ed universali domande disenso.

Elena Buia Rutt,Francesca Bugliani Knox

I simbolicristiani interra d’I s ra e l edivengono partedi un’identitànazionale che siva rinnovandoe non c’è dastupirsi chemolte opered’arte e dil e t t e ra t u raisraeliane degliultimi cent’annifaccianoriemergere lafigura di Gesùe dei discepoli

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che riguarda l’esercito, l’industria, la medicina, il governo ecc., edall’altra l’attaccamento agli antichi miti biblici, da cui deriva la pro-secuzione dell’occupazione dei palestinesi nella West Bank, che creaa Israele problemi etici ed esistenziali gravi sia al suo interno che ol-tre i suoi confini.

Dal mio punto di vista, se ci separassimo dai miti che si trovanonei libri sacri per concentrarci su un’analisi nuova e creativa dellarealtà intorno a noi, potremmo trasformare la rivoluzione sionista, ilcui significato è ritorno alla “normalità nazionale”, in una corretta epiù giusta normalità per il mondo che va costantemente cambiandodinnanzi ai nostri occhi.

pubblicano, si trasformano in sostenitori dell’integralismo e della su-premazia ebraica su Gerusalemme.

Per molti anni i governi vaticani hanno rifiutato di riconoscere loStato di Israele e di intessere relazioni con esso. Ora che le relazionisono solide e produttive, il Vaticano ha pieno diritto di pretendereda Israele, che ha la supremazia su Gerusalemme, di tenere a bada ifondamentalisti etnico-religiosi e giungere a una convivenza rispetto-sa delle tre fedi. Tuttora la città vecchia di Gerusalemme, nella qualesi trovano tutti i luoghi sacri, ha insito in sé un potenziale distruttivofonte di conflitti sanguinosi e pertanto deve ricevere uno statuto dif-ferente, anche dopo che Trump l’ha riconosciuta, compresa la suaparte palestinese, quale capitale di Israele, e dal momento che è chia-ro a tutti che Gerusalemme stessa non verrà ulteriormente divisa eche non sarà possibile far passare una linea di confine internazionaleal suo interno. I cristiani del mondo, e soprattutto d’Europa, devonouscire dalla passività con la quale ultimamente si sono rapportati atale questione e farsi custodi della santità e del giusto equilibrio trale tre grandi religioni. Su questo argomento mi aspetterei che il Papanon fosse cauto, bensì che osasse e prendesse l’iniziativa, non solotramite dichiarazioni, ma avanzando richieste concrete e assertive neiconfronti dei governi israeliani.

Il popolo d’Israele (io preferisco questa denominazione originariaa quella di popolo ebraico) è un popolo di origini antiche che nonha vissuto nella propria terra nel corso dei millenni, e pertanto la suaidentità esiste grazie a miti religiosi e nazionali, soprattutto collegatiai libri, motivo per cui viene chiamato anche al suo interno “p op olodel libro”. Naturalmente è difficile mantenere un’identità nazionalesolo tramite i libri, e pertanto la maggior parte del popolo ha subitoun processo di assimilazione nel corso delle generazioni e, da 3 mi-lioni all’inizio del I secolo d.C., si è notevolmente ridotto di numero,finendo per contare, all’inizio del secolo 18º, solamente 1 milione dipersone. Il ritorno tardivo al rinnovamento e alla costruzionedell’identità nazionale anche tramite il territorio, ovvero il ritorno inTerra d’Israele, per lo più naturale per altri popoli, è invece rivolu-zionario e complesso per il popolo ebraico. Se i vecchi miti, in parti-colare attraverso la religione, continuano ancora a essere importantiper l’identità storica, oltre al fatto che metà del popolo ebraico viveancora nella diaspora, è pur vero d’altra parte che nel territorio anti-co-nuovo si sono aperti nuovi orizzonti storici. In tal modonell’Israele di oggi operano in parallelo due forze che talvolta siamalgamano meravigliosamente l’una con l’altra e altre si scontrano:da una parte una modernità fonte di grande ispirazione per tutto ciò

La rivoluzione femminista è la più importantedella seconda metà del secolo XX . Nonostante gli ostacoli

la consapevolezza della discriminazione della donnava permeando la coscienza pubblica

Dal mio punto di vista la “rivoluzione femmi-nista” è la rivoluzione più importante dellaseconda metà del secolo XX: non è termina-ta e ha dinanzi a sé ancora molti ostacoli,ma non c’è dubbio che il segnale di apertu-ra sia stato dato e la consapevolezza delladiscriminazione della donna nel corso deimillenni vada permeando la coscienza pub-

blica. Non c’è dubbio che il rallentamento dello sviluppo nella granparte del mondo musulmano, in particolare arabo, derivi dallo statusdi inferiorità di una donna ancora sottomessa all’uomo. Così comenon c’è dubbio, ad esempio, che l’incredibile progresso della Cinaderivi dalla liberazione della donna e dal miglioramento della suacondizione sociale.

Io personalmente ho vissuto con grande soddisfazione e pienezzaun matrimonio durato cinquantasei anni con mia moglie, che ora è

Il Vaticanoha diritto

di pretendere daIsraele, che

ha lasupremazia suGerusalemme,

di tenere a badai fondamentalismi

e t n i c o - re l i g i o s ie giungere a una

convivenzarispettosa

delle tre fedi.La città vecchia

deve ricevereuno statuto

d i f f e re n t e

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te formale, a scapito della natura, dei bisogni e delle particolari carat-teristiche di ogni sesso.

Nella società religiosa israeliana esiste ancora una evidente discri-minazione delle donne, che riceve la sua giustificazione da rabbinioscurantisti e integralisti. Pertanto la rivoluzione femminista non de-ve preoccuparsi solo delle donne presenti nei settori economici o ac-cademici, ma anche per prima cosa dell’incessante e audace lotta perla libertà e l’uguaglianza di quest’ultima nel mondo religioso ebraico.Purtroppo, a causa del perenne conflitto tra la destra e la sinistra,l’ambito religioso finisce per rivestire una valenza politica che neutra-lizza gli interessi nazionali generali.

morta. Penso che la chiave di tanta gioia e armonia sia consistita nelfatto che sin dall’inizio mi fosse stato chiaro il dover stabilire unapiena uguaglianza riguardo ai nostri reciproci diritti e doveri. Proprioperché a casa dei miei genitori ero stato testimone del fatto che miamadre, pur detenendo un forte potenziale intellettuale e pratico, erastata costretta a rinunciare alla propria realizzazione per fare unica-mente la casalinga, sono stato spinto, non solo a incoraggiare miamoglie a costruirsi una sua carriera, ma anche ad assumermi a pienotitolo e volontariamente il dovere di sostenere di fatto l’avanzamentodi tale carriera in collaborazione con lei, occupandomi cioè della cu-ra della casa e dei figli, talvolta anche a scapito del mio di lavoro.

La parola chiave è uguaglianza. Per ovvi motivi è molto facile vio-larla e altrettanto difficile risulta l’esserle fedeli. Pertanto, quando de-scrivo la vita coniugale nei miei racconti e romanzi, cerco, per quantopossibile, di mostrarne il potenziale positivo, nonostante le difficoltàe le liti. A differenza del rapporto con i propri figli o genitori, doveil legame poggia su una relazione biologica innegabile, la relazioneconiugale, per quanto duratura e felice, si può distruggere in un solocolpo. Naturalmente non accolgo la posizione della Chiesa cattolicache nega fermamente il divorzio, ma sono d’accordo nell’opporsi auna rottura facile e immediata di tale unione. Mia moglie Rivka, dibenedetta memoria, che era una psicologa clinica e psicoanalista, hasempre combattuto a fianco dei suoi pazienti per salvare i loro matri-moni nei momenti di crisi. È facile distruggere e difficile costruire.Oltre al fatto che in molti casi entrambe le parti, in seguito alla sepa-razione, riproducono in seguito lo stesso modello di relazione proble-matica.

Sul femminismo sono stati pubblicati numerosi studi e continua aessere un argomento caldo di pubblico interesse. Si oscilla tra due vi-sioni: una che vede la donna come completamente pari all’uomo, eperciò non ci si aspetta dalla sua condotta politica, sociale, manage-riale o accademica, niente che distingua in modo unico il suo opera-to e le sue abilità da quelle maschili, e un’altra visione in cui la don-na, in veste di guida politica, economica, o giuridica, riesce a trarredalla propria femminilità capacità diverse da quelle dell’uomo, river-sando e incanalando la natura femminile tradizionale all’interno deinuovi ruoli rivestiti. Naturalmente la rivoluzione non è terminata,non solo perché in molte culture la donna è ancora sottomessa sottovari aspetti, ma perché anche nei paesi in cui l’attesa uguaglianzaformale appare davvero raggiunta, bisogna tuttavia indagarne e ap-profondirne gli aspetti, affinché non venga percepita come unicamen-

Oggi è possibile “consumare maggiore cultura”.Ma la letteratura, il teatro e il cinema debbono ritornare

a esprimere, almeno in parte, la necessità di sollevaredilemmi etici nuovi e audaci, ponendoli in prima linea

Ultimamente mi sembra che la letteratura, ilcinema e il teatro abbiano perso parte delloro rilievo nel discorso pubblico; un’im-portanza considerata significativa in parti-colare nel XIX secolo e nella prima metàdel secolo XX . La produzione di letteratu-ra, romanzi e racconti, accanto al fiorirecrescente di film e serie televisive è diven-

tata più “facile” rispetto ai tempi passati. La tecnologia moderna hareso molto più economica la possibilità di creare libri e film. I canalidi comunicazione si sono notevolmente moltiplicati, il tempo liberodelle persone è aumentato, e pertanto esse possono “consumare mag-giore cultura”. Ciò nonostante, ma forse io guardo alla realtà dalpunto di vista di un uomo anziano che non comprende pienamente ilnuovo, mi sembra che tutta questa abbondanza di creatività e arte,nonostante le sofisticate pubbliche relazioni, non dia origine alla stes-sa carica emotiva, etica e politica emanata dalle opere eccellenti del

Ho vissutocon pienezza

un matrimoniodurato 56 annicon mia moglie,

che ora èmorta.

La chiavedell’armonia?

Fin dall’iniziomi è stato

chiaro il doverstabilire una

pienauguaglianzariguardo ai

nostri reciprocidiritti e doveri

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Giurisprudenzabasta una parola

di MA R TA CA R TA B I A *

Ognuna delle quattro virtù cardi-nali ha incorporato in sé valoriche stratificandosi nel tempo nehanno arricchito lo spessore se-mantico, grazie alla riflessione e

all’esperienza secolare degli uomini. Per Dante, ilcompimento delle virtù cardinali è realizzato inCatone, posto dalla Provvidenza divina a custo-dia del percorso di espiazione delle anime delPurgatorio. Sulla spiaggia del secondo regno,egli si presenta a Dante e Virgilio fregiato dallaluce delle «quattro stelle / non viste mai fuorch’a la prima gente», come a paradigma del gra-do di “p erfezione” raggiungibile con le sole forzeumane.

Nei rapporti giuridici brilla senz’altro l’a s t rodella giustizia a cui tende idealmente ogni azionedegli operatori del diritto. È tuttavia significativoche, in Italia, il percorso di studi proposto a chisi accinge a svolgere una professione giuridica siacontrassegnato dalla virtù della prudenza e nonda quello della giustizia: giurisprudenza è il titolocon cui nella nostra tradizione si designano le fa-coltà di diritto che, in altre esperienze sono de-

nominate School of Law, Faculté de Droit, Recht -

swissenschaft o Juristische Fakultät, D e re c h o .

Certamente, tutto il diritto nasce dall’esigenzadi regolare con giustizia le relazioni altrimenti cao-tiche, disordinate e potenzialmente violente degliuomini. È quell’esigenza che esplode in ogni don-na e in ogni uomo, persino in ogni bambino an-che di tenerissima età, di fronte alla prevaricazio-ne, alla prepotenza o, più semplicemente, di fron-te alle contraddizioni della vita. «Non è giusto!»:quante volte ricorre questa espressione nella dram-maticità delle giornate di tutti e di ciascuno. Ep-pure, è interessante notare che è piuttosto la pru-denza la virtù chiamata a governare l’universogiuridico, cioè quella galassia di leggi, diritti, giu-dici, avvocati, tribunali, corti, sanzioni, pene, car-ceri con cui l’uomo, sin dai tempi più remoti, hacercato di rispondere all’insopprimibile bisogno dirapporti giusti.

Giurisprudenza è il diritto come si presentanella sua applicazione pratica da parte dei giudici,nei casi concreti, nel contatto con la realtà dellavita delle persone e della società. Amministrare lagiustizia richiede una virtù “pratica”: non solo una

L’INTERVENTO GIURIDICO

secolo XIX, o dell’inizio del secolo XX . Non voglio, nell’ambito diun’intervista giornalistica, entrare in tutti i dettagli di tale questione,ma secondo me la letteratura, e in un certo senso anche il cinema e ilteatro, hanno rinunciato alla necessità di porre dilemmi etici di benee male al centro della scena, come si faceva ad esempio nelle opere diTolstoj o Dostoevskij, o nelle opere di Faulkner, Thomas Mann, Pi-randello e altri. La psicologia ha represso il giudizio etico, in base alpaziente principio del “comprendere significa scusare”. Il sistemagiuridico nel mondo moderno e democratico è divenuto l’autoritàetica che stabilisce che tutto ciò che è legale diventa automaticamen-te etico. La comunicazione, nella sua velocità, benché svolga un lavo-ro di verifica e talvolta istituisca tribunali giudicanti su ciò che èbuono o cattivo, non può sostituire la capacità dell’arte di dar vita aun laboratorio etico esperienziale nel quale il lettore o lo spettatore,tramite la loro capacità di profonda interiorizzazione e identificazio-ne, vaglino situazioni etiche, vecchie e anche completamente nuove,al fine di raffinare la propria percezione e comprensione. La lettera-tura ultimamente ha rinunciato sia alla centralità del dibattito eticonelle sue opere che alla presa di posizioni etiche definite, a causa delsospetto di disattendere, anche solo parzialmente le teorie post-mo-derne che negano l’autorità degli uomini di stabilire regole etiche“sup eriori”, o a fronte della concezione del politically correct che faemergere tutta una serie di nuove sensibilità che non si possono esa-minare all’interno di categorie etiche definite.

In conclusione, io credo che la letteratura, il teatro e il cinema,debbano ritornare ad esprimere, almeno in parte, la necessità di solle-vare dilemmi etici nuovi e audaci, ponendoli in prima linea. Quandoinsegnavo letteratura all’università ho selezionato ed esaminato diver-se opere solo dal punto di vista etico. Ciò significa che non mi sonooccupato di aspetti psicologici, storici, linguistici o biografici, ma misono riferito solo all’aspetto etico presente in esse. Ed ecco la rivela-zione dinnanzi ai miei studenti di nuovi e rivoluzionari risvolti chemai si sarebbero aspettati.

Propongo perciò ai lettori di questa intervista di esaminare perproprio conto la storia di Caino e Abele. La narrazione del primoomicidio nella Bibbia termina in un modo in cui non solo l’omicidanon viene punito, bensì al contrario la sua situazione personale vamigliorando. Qual è il significato di tutto ciò? Perché solo un esameetico e profondo è in grado di rivelare il grave problema teologicoche si nasconde dietro questa vicenda?

P ro p o n g oai lettori

di esaminare lastoria di Caino

e Abele, comeviene narrato ilprimo omicidio

nella Bibbia.Non solo

l’omicida nonviene punito,

al contrario lasua situazione

personale vam i g l i o ra n d o .

Qualeè il significato

di tutto ciò?

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razionalità astratta, ma una ragionevolezza in con-creto: «dal conoscere [per esperienza, mathein],viene prudenza nell’agire» (Edipo a Colono).

Giustizia e prudenza. C’è un legame tra questedue virtù e ogni operatore giuridico è chiamato acoltivarle entrambe. Ma ciascuna di loro richiamaa una diversa postura.

Mi piace ricordare la virtù della prudenza comeè raffigurata nell’arca di Sant’Agostino della Basi-lica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia: un uomocon tre volti, quello di un uomo anziano cheguarda indietro, al passato; quello di un uomo inetà matura che guarda davanti a sé; quello di ungiovane che guarda oltre, verso il futuro. L’icono -grafia della prudenza è dominata dagli sguardiche si intrecciano, dai fasci di luce che si interse-cano, dalle prospettive che svelano angolature di-verse della medesima realtà.

Per Aristotele, la prudenza (p h ro n e s i s ) consistenel retto discernimento che orienta l’agire: è unavirtù da ascrivere alla sfera della conoscenza, chespinge alla ricerca e alla riflessione per giungere auna buona deliberazione. La prudenza non è,dunque, la virtù di chi rifugge l’audacia, del timo-roso, dell’esitante, del dubbioso: essa nulla ha ache vedere con l’attitudine più cauta o più corag-giosa dell’a t t o re .

Prudente è il giudice che sa bene che la ricercadella giustizia è sempre aperta a un oltre, è uncompito inesauribile e inafferrabile da parte di unuomo solo. Prudente è una giustizia che apre pro-cessi e dialoghi e lascia sempre socchiusa una fes-sura per possibili sviluppi ulteriori.

È interessante notare la diversità che separal’iconografia della «giustizia» da quella della«prudenza», proprio in relazione al tema dellosguardo: la giustizia è normalmente rappresentatacome una donna bendata, a simboleggiare la suaimparzialità. Tradizionalmente, tra le virtù del giu-dicare si annoverano proprio l’imparzialità e l’indi -pendenza del giudice — come del resto richiede

giustamente anche la Costituzione italiana agliartt. 101 e 111 — o il suo equilibrio, come richiamala presenza di una bilancia nelle mani della deabendata. Più raramente si sottolinea la virtù dellaprudenza, qualità essenziale di chi amministra lagiustizia, come capacità di osservare, ascoltare, co-gliere, guardare in ogni direzione. La iustitia ri -chiede iuris prudentia.

Per questo, la giustizia amministrata nei tribu-nali e nel processo coinvolge una pluralità di atto-ri: nessuno può conoscere da solo, occorre unapluralità di sguardi per incrociare le prospettive eportare alla luce la porzione di vero che ognunop ossiede.

Se consideriamo il processo costituzionale — ilpiù familiare a chi scrive — l’intervento delle partisi svolge al cospetto di collegi giudicanti eccezio-nalmente ampi: sono ben quindici i giudici dellaCorte costituzionale italiana.

Per chi è chiamato al delicatissimo compito digiudicare, restano insuperate le parole che Emonerivolge al padre Creonte nell’An t i g o n e :

«Non chiuderti nella convinzione incondivisa, / che

sia giusto soltanto quello che dici tu, e nient’a l t ro .

/ Chi crede di essere l’unico ad avere saggezza […], /

una volta aperto, si scopre che è vuoto. / Un uomo, anche

se è saggio, / non deve vergognarsi di continuare a impa-

rare […]. / Piegati! Concediti di cambiare idea!».

La prudenza è la virtù che non ci fa esseretroppo sicuri di avere ragione, che genera unanuova consapevolezza di sé e degli altri e che famaturare una modestia e una compostezza chepermettono di accettare e di trasfigurare l’essenzadella nostra condizione umana che, come dicevaGuardini, è una vita di confine, come «uno iatoaperto in entrambe le direzioni», tra la miseria ela grandezza, il peccato e la speranza del compi-mento di sé.

* Vicepresidente della Corte costituzionale

ETICA E P R AT I C A

Pinocchio, Tommasoe la virtù della verità

Film e storie popolari ispiratialle Avventure di Pinocchio diCarlo Collodi ci raccontanoche a Pinocchio cresceva ilnaso perché diceva bugie.La storia originale è legger-mente diversa. La prima ve-ra bugia Pinocchio la rac-

conta quando lo interroga la Fata: a quel puntoil naso, che era già grosso, gli si allunga e lostesso gli succede ogniqualvolta mente sullequattro monetine d’oro che si tiene ben nascostein tasca. Poi, di fronte alla Fata che lo rimpro-vera, Pinocchio, pieno di vergogna, scoppia inun gran pianto tanto che lei, vinta dalla com-passione, gli riaggiusta il naso. Ma, si chiede Pi-nocchio, come faceva la Fata a sapere che lui,Pinocchio, aveva mentito? La risposta della Fatanon tarda ad arrivare: «Le bugie, ragazzo mio,si riconoscono facilmente perché o hanno legambe corte o hanno il naso lungo: la tua ha ilnaso lungo». Una breve scena dell’immaginarionarrativo di Collodi racchiude, svelandolo, uncaposaldo etico. Le bugie, cioè, sono un male inquanto fanno male a chi le dice: quelle che han-no le gambe corte vanno lente e sono sempreraggiunte e superate dalla verità e quelle che

hanno il naso lungo rendono ridicolo chi le rac-conta.

Mentire è dunque un vizio dal momento chereca danno alla persona che mente. Per conver-so, dire la verità è una virtù in quanto fa benealla persona che la dice. Considerazioni di que-sto tipo ci riconducono al pensiero di Tommasod’Aquino, un pensiero di particolare attualitàoggi di fronte al dilagare di fake news nella po-litica, nell’informazione e nella pubblicità com-merciale. Nel nostro clima di post-verità fannoriflettere le sue parole quando sostiene che direla verità ha un valore intrinseco: fa il benedell’individuo e fa progredire la società. Dire laverità, spiega il teologo domenicano, è atto vir-tuoso in quanto buono: è per l’appunto la virtùche ha il compito di «rendere buono chi la pos-siede e buona l’opera che viene compiuta». Direche la verità è una virtù significa allora che,quando si dice la verità, chi la dice è reso “buo-no” e “buona” diventa pure la sua azione.

La virtù della verità non solo perfeziona lapersona che dice il vero, ma ha anche chiari ri-svolti politici perché, secondo Tommaso, è “an-nessa”, come virtù satellite, alla giustizia. In al-tre parole, quando parliamo di verità o dell’im-

di FÁINCHE RYA N *

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portanza di dire la verità, ci ritroviamo imme-diatamente nel campo della giustizia e da que-sto deriva il suo valore e la rilevanza nella no-stra vita, in quanto sappiamo che la giustizia èprincipio e fondamento della prosperità socialee della buona politica. Occupandosi essenzial-mente dell’istituzione di giuste relazioni tra per-sone, la giustizia esige che si dia all’altro ciò chegli spetta, e io do all’altro ciò che gli spetta pro-prio anche dicendo la verità. La verità è dunqueuna cosa che ci dobbiamo vicendevolmente l’un

l’altro per il bene della società e per il bene del-la politica. Poterci fidare gli uni degli altri, è,insomma, indispensabile per la salvaguardia del-la società: «Essendo l’uomo per natura un ani-male sociale — spiega san Tommaso — per natu-ra un uomo deve all’altro ciò che è essenziale atutela della società. Ora, gli uomini non potreb-bero convivere senza credersi reciprocamente,senza credere nella sincerità vicendevole. Quin-di anche la virtù della verità a suo modo riguar-da una forma di debito».

La sincerità vicendevole è senza dubbio unaquestione di giustizia, ma v’è un’importante di-stinzione da fare qui, e san Tommaso non man-ca di sottolinearla. Mentre la virtù della giusti-zia estingue un debito a livello giuridico, la vir-tù della verità estingue un debito a livello di ho-

nestas. Questo concetto, traducibile con “one-stà”, è complesso ma lo si può ragionevolmenteinterpretare come “giusto rispetto”, laddove“giusto” si riferisce all’onestà e “risp etto”all’onore. Onestà riguarda quindi l’agire conrettitudine all’interno di una relazione, l’a g i reverso gli altri con giusta integrità. Ed è ex hone-

state, “per un’esigenza di onestà” che si deve di-re la verità.

A prescindere da ulteriori teorizzazioni, testi-moniare la verità nelle parole e nei fatti è virtùfondamentale per l’esistenza umana e la coesio-ne sociale. Non a caso “dire la verità” è una del-le prime cose che i genitori insegnano ai proprifigli: vogliono che diventino persone sincere,appunto nelle parole e nei fatti, e diano in talmodo un contributo positivo al mondo in cuivivono. Man mano che crescono però i figlis’accorgono che le dinamiche comunicative sonopiù complesse di come le lascino intendere i ge-nitori: mentre si aspettano che i figli dicanosempre la verità, loro, i genitori, non diconosempre tutta la verità ai figli; e questo per unamiriade di ragioni. Talvolta non è opportuno

farlo. Altre volte potrebbe esseremeglio aspettare che i figli cresca-no. Un esempio può essere il caso di unsuicidio in famiglia, che esige una verità cari-tatevole. Sull’altro fronte c’è invece il bisognostrategico di prendere una decisione coraggiosa.A questo proposito viene in mente Malala You-safzai e quella sua decisione di dire la verità ri-guardo all’educazione delle donne in Pakistan.

Come comportarsi dunque? Immanuel Kantpensava che si dovesse in ogni momento direla verità, tanto che non riteneva lecito mentireneppure per proteggere qualcuno. In pienaguerra mondiale, il teologo luterano DietrichBonhoeffer mostrava il suo dissenso. Nell’Eti-

ca scrisse: «Dal principio di verità, Kant traela grottesca conclusione che devo risponderecon un onesto sì persino alla domanda dell’as-sassino che irrompe nella mia casa e chiede se ilmio amico, che sta inseguendo, si è rifugiatoqui». Per Bonhoeffer si tratta di un atto di“arroganza della coscienza”. A parer suo, inquesto caso l’azione virtuosa consiste nelnon rivelare tutta la verità.

Proprio a questo punto entra in gioco la pru-denza perché la virtù della verità è complessa elegata alla decisionalità, all’arte cioè di prenderebuone decisioni nelle infinite circostanze dellavita quotidiana. Questo non significa, ovvia-mente, cedere alla menzogna. Come insegna lastoria di Pinocchio, mentire è un vizio. D’altraparte però le argomentazioni di Bonhoeffer evi-denziano che la virtù della verità è regolatadall’arte di decidere il giusto e il bene per sé,per le realtà che ci sono affidate e per la comu-nità: è regolata insomma dalla virtù che Tom-maso chiama prudentia. Senza tale prudenza,che consiste nell’abilità di prendere decisionibuone, non si ha né giustizia, né fortezza, nétemperanza. Per l’aquinate, il cardine della vitavirtuosa è dunque la virtù della prudentia, che le

regola tutte. Questo vale anche per la virtù del-la verità. La verità è cosa buona ma dire la veri-tà non sempre lo è. E soprattutto dobbiamo te-ner ben presente che, come ci ricorda il criticoletterario inglese Terry Eagleton, per l’aquinate— come d’altronde per tutti i credenti — «la ca-rità (caritas) è fonte di tutte le virtù. La carità èla massima forma di un realismo sobriamentedisincantato, ed è per questo che è gemella del-la verità».

* Direttore dell’Istituto Loyola, TrinityCollege di Dublino

Pinocchio in una illustrazione di Enrico Mazzanti(Firenze, 1883)

Guercino, «San Tommaso sorretto dagli angeli»(particolare, 1662)

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Arte della vitae coscienza di sé

di YVONNE DOHNA

L’invenzione dell’immagine dellaPrudenza nell’estetica di Cesa-re Ripa rappresenta una donnacon due volti nell’atto di spec-chiarsi. Uno dei due volti si ri-

flette nello specchio e la donna tiene una serpeavvolta intorno a un braccio. Nell’Iconologia delRipa questi simboli alludono ambiguamente al-la prudenza, che si rivela alla fine come sapien-za di vita.

La prudenza secondo Aristotele è un abitoche contribuisce a guidare l’uomo lungo la viadel bene e gli consente di perseguire il fine di

una vita felice, anche dopo il pellegrinaggio ter-reno. Nella Grande Etica il Filosofo riconoscela felicità come il fine ultimo dell’esistenza e ditutte le azioni umane. Così, nell’estetica del Ri-pa lo specchio è il simbolo di un attributo dellaprudenza, che impone la conoscenza di se stessicome condizione preliminare per regolare leproprie azioni e conoscere le proprie potenziali-tà e i propri limiti attraverso un discernimento.I simboli dell’iconografia di Ripa sono gli stessi“specchi visivi” in uso nelle immagini pubblici-tarie di oggi e che si ritrovano anche nella abi-tudine di giovani e meno giovani di tatuare par-ti del proprio corpo.

Il corpo diventa uno specchio in cui la perso-na riflette se stessa e nell’autoriflessione esprimenei simboli “inscritti” la propria interiorità e lapropria appartenenza a un gruppo sociale. Il ta-tuaggio è diventato un criterio di appartenenza

La necessità di amaretrova una stradaa dispetto di tutto

di CAROLA SUSANI

Apartire da una storia vera, Fuoco al

cielo di Viola Di Grado (La navedi Teseo) racconta la vita di Tama-ra, nata a Musljumovo, un villag-gio al confine della Siberia, poco

lontano da una città segreta. C’erano in Unionesovietica le città segrete, deputate alla produzio-ne di missili e bombe atomiche, dalle quali nes-suno poteva uscire, dove si viveva nel benessere,fra balli e buon cibo, e ottima istruzione per

bambini nel miglioredei casi dal sistemaimmunitario fragilissi-mo. Nel 1957 un inci-dente diffonde ra-dioattività in tuttal’area, ma già da pri-ma e senza interruzio-ne le scorie nuclearivengono smaltite nelfiume. Negli anni No-vanta, nel villaggiodesolato, svuotato

dalle morti, abbandonato dalle famiglie in fuga,Tamara, ex maestra elementare, vive una storiad’amore con Vladimir, infermiere di buona fa-miglia giunto da Mosca. Il paesaggio è uno deiprotagonisti della storia: contorto, polveroso.L’angoscia, attraverso le pagine di Viola DiGrado, si avverte con precisione: è l’aria stessache si respira a Musljumovo, nessuno però lanomina. La radioattività, la malattia fisica e psi-chica, sono state riassorbite nella normalità. Pertutti gli abitanti, non per Tamara, che non rie-sce a liberarsi di un tormentato, autentico, pro-fondo bisogno di amare. Tamara e Vladimir, nelloro amore autentico, tormentato e doloroso,concepiscono un figlio che, come tanti altribambini a Musljumovo, nasce e muore subito.La disperazione di Tamara è profonda, sembrasenza riscatto, ma un giorno succede qualcosa,una voce al telefono le dà un’indicazione; e leitrova un essere vivente dietro a un cespuglio. Adispetto di tutto, in lui, Tamara riconosce il fi-glio perduto. Scritto in una lingua ossessiva,frasi brevi che si susseguono e non danno tre-gua, un lessico immaginifico, assertivo, non ov-vio, spesso potente, Fuoco al cielo è un librosull’amore in territorio estremo. È un libro aper-to alla speranza: la necessità di amare iscrittanell’intimo, a dispetto di ogni circostanza, trovauna strada.

CU LT U R A

nel mondo profano e, anche in contesti diversidalla sfera profana, è segno di condivisione. Icristiani copti, ad esempio, sono orgogliosi diportare nel proprio corpo simboli e immaginidella propria appartenenza religiosa.

Ancora oggi i credenti vogliono esprimere lapropria fede attraverso i segni. La chiesa di SanPaolo nel porto di Amburgo regala ai fedeli un“tatuaggio di fede” lavabile: una croce, un cuoree un’ancora, simboli della fede, della carità edella speranza.

La virtù come approccio scientifico per di-scernere i problemi del mondo, come insegnanole parole di Papa Francesco, è un invito ad “ac-cogliere con prudenza”.>>

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Cesare Ripa, «Prudenza», in “Iconologia” (Roma, 1603) e, a destra, l’attrice Angelina Jolie

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RIFLESSIONE TEOLO GICA

Nella graduatoria delle parole do-tate di ambiguità, prudenza si-curamente è in alto, dal mo-mento che può indicare almenodue cose decisamente antiteti-

che. Frequentemente infatti è utilizzata, anchenelle comunità ecclesiali, nel suo significato co-mune e banale: è imprudente chi si espone, chiprende la parola su questioni in discussione, chisi oppone a comandi che ritiene ingiusti primache la storia li definisca tali. In questo senso, adesempio, imprudente Sophie Scholl della RosaBianca, imprudente e inopportuno Lorenzo Mi-lani: almeno finché la cronaca, sempre tardiva,non ne faccia post mortem i famosi profeti cuicostruire le tombe. A questa concezione ben siapplicano, a secoli di distanza, le parole con cuiManzoni descrive don Abbondio, che oltre ascansare i contrasti o casomai mettersi dalla par-te del più forte, così stigmatizzava chi si com-portava diversamente: «Era poi un rigido censo-re degli uomini che non si regolavano come lui,quando però la censura potesse esercitarsi senzaalcuno, anche lontano, pericolo. Il battuto eraalmeno un imprudente; l’ammazzato era semprestato un uomo torbido. A chi, messosi a soste-ner le sue ragioni contro un potente rimaneva

col capo rotto, don Abbondio sapeva trovarsempre qualche torto. Sopra tutto poi,declamava contro que’ suoi confratelli che, a lo-ro rischio, prendevan le parti d’un debole op-presso, contro un soverchiatore potente». Quan-to possa adattarsi tutto questo alla contempora-neità e anche alla stretta attualità, credo sia cosatanto evidente da non richiedere glossa.

Diversa tuttavia la forma classica della p h ro -

nesis, che è intelligenza pratica che scruta, va-glia, progetta. In questo modo è ripresa anchenella Scrittura: non a caso il testo evangelico(Ma t t e o 10,16) chiede di essere p h ro n i m o i , intelli-genti/prudenti come il serpente (anche ’arum diGenesi 3,1 è reso nel greco con lo stesso termine,anche se preferiamo tradurlo come astuto) oltreche semplici come le colombe. La prudenzaevangelica è dunque discernimento pacato efranchezza audace, con l’aggiunta di una doteparticolare e feriale che è il senso del limite, lacapacità del penultimo: prendere parola e assu-mere posizioni implica infatti l’uscita dall’asso-luto, perché non parla di essenze eteree, immu-tabili e impalpabili, ma di questioni storiche, dicorpi e di vite, di soluzioni da adottare e di vieda percorrere. Si potrebbe richiamare a questo

proposito la coppia urgenza/pazienza, che attra-versa i principali documenti dell’attuale pontifi-cato: in Laudato si’ si tratta di prendere provve-dimenti senza tardare ma nello stesso tempo diavere occhi per vedere anche la bellezza delleperiferie; in Gaudete et exsultate la santità dellaporta accanto con l’attenzione ai piccoli partico-lari e la forma esigente del martirio; in Evangelii

gaudium l’indicazione di attivare processi piùche di occupare spazi, senza accidia spirituale.

Non è immediato per la teologia, viziata dauno statuto che la pretendeva perenne, entrarein questa dinamica, mantenendo tuttavia il ser-vizio suo proprio, legato all’istanza critica e alpensiero. Una forma esemplare è stata raggiuntanella Facoltà teologica dell’Italia Meridionalecol convegno La Teologia dopo Veritatis Gaudium

nel contesto del Mediterraneo, cui non è mancataprofondità e franchezza, anche rispetto al ruolodei laici e fra questi delle donne. Così si èespressa, fra gli altri, la collega Anna Carfora:«Bisogna decostruire quelle narrazioni del fem-

minile che storicamente non hanno fatto bene anessuno. Esaltare la donna, magnificare le virtùdell’eterno femminino non è stato un buon ser-vizio reso nel tempo agli uomini così come alledonne. Non è questione di sapere chi esse sonoma ammettere e permettere che ci siano, nelmondo come nella Chiesa, riconoscendo il loroessere soggetti, persone. Il femminile, inoltre,non va declinato al singolare nemmeno in teolo-gia: non la donna, ma le donne concrete e leopportunità per loro e che vengono da loro. Lametafora del poliedro può essere applicata almondo femminile: è poliedrico, infatti, anchel’universo delle donne». Prudenza audace chemette in moto processi: le studentesse (12 donnee un ragazzo, per la precisione) hanno a propriavolta scritto una lettera al Papa su questi temi,intitolandola “prima che gridino le pietre”. Saràimportante diffonderla e leggerla.

*Docente di Antichità cristiane,presidente del coordinamento delle teologhe italiane

di CRISTINA SIMONELLI*

Se la teologiaè prudente

Sophie Scholl della Rosa Bianca

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L’A LT R A METÀ

Perché io, sacerdote,seguo il masterin “Donne e Chiesa”

di LUIS CARLOS AGUILAR BADILLA

Mi chiedono: perché un uomovuole un diploma di specia-lizzazione universitario su“Donne e Chiesa”? La rispo-sta è semplice: perché credo

che come Chiesa dobbiamo compiere un discer-nimento critico sul ruolo delle donne nel com-pimento della missione che Gesù Cristo ci haaffidato. Senza un riconoscimento effettivo dellaloro cittadinanza ecclesiale sarà difficile riflettereil progetto iniziale di Gesù: essere un corpo vi-vo dove tutte le membra hanno valore.

Sono sacerdote e vicario generale della picco-la diocesi di Puntarenas sul litorale pacifico diCosta Rica. Figlio di una sarta e di un operaio,grazie a uno stato solidale, come pochi in Ame-rica Latina e nei Caraibi, ho potuto ricevereun’ottima istruzione, dalla scuola, fino agli studiuniversitari.

Come sacerdote ho conseguito un dottoratoin Psicologia e un master in Dottrina Socialedella Chiesa presso l’università di Salamanca.Presto servizio come direttore di Caritas Pasto-rale Sociale nella mia diocesi e come referentedel gruppo di lavoro “Equidad entre Hombres yM u j e re s ” presso il Segretariato dell’America La-tina e dei Caraibi della Caritas (Selacc). Sonoinoltre membro del Forum Donna di Caritas In-ternationalis.

Il mio impegno, a partire dal Vangelo, con ledonne e le loro lotte nasce dalla realtà delle no-

INVITO ALLA LETTURA

IGNAZIO DI LOYOLA

E s e rc i z ispirituali

Città Nuova

ST E FA N O ZAMAGNI

P ru d e n z aIl Mulino

REMO BODEI

GIULIO GIORELLO

MICHELA MARZANO

Le virtù cardinaliLaterza

IVA N MAFFEIS

PIER CESARE RI V O LT E L L A

Fake newse giornalismo

di paceScholè

SINOD O DEI VESCOVI

Amazzonia:nuovi camminiper la Chiesa

e per unaecologia integrale

Lev

TOMMASO D’AQUINO

La virtùdella Prudenza

Esd

stre comunità: l’esclusione e la disuguaglianzain cui vivono sono sempre state motivo dipreoccupazione per l’Episcopato latinoame-ricano.

Già nella seconda Conferenza di Medellíndel 1968, si era riconosciuto che gli sforzi com-piuti fino ad allora non erano sufficienti e nongarantivano il rispetto e l’attuazione della giu-stizia in tutti i settori delle diverse comunità na-zionali.

Oggi Papa Francesco, nell’esortazione apo-stolica Evangelii gaudium, citando il Compendio

della Dottrina Sociale della Chiesa, ci dice che “ilgenio femminile è necessario in tutte le espres-sioni della vita sociale; per tale motivo si devegarantire la presenza delle donne anche nell’am-bito lavorativo”. Non possiamo disattenderequesta esortazione.

Di fronte a situazioni generate dalla disugua-glianza e dall’iniquità nei rapporti tra uomini edonne — la violenza domestica, la povertà e lamiseria in famiglie che, abbandonate dai padri,si ritrovano donne capofamiglia, la mancanza diaccesso alle politiche pubbliche riguardanti lasanità, l’educazione, la sicurezza sociale, la crea-zione di posti di lavoro e di reddito, l’assistenzasociale — la Caritas e le pastorali sociali latinoa-

mericane si sono attivate con diversi progettirivolti alle donne, posto che queste ultime costi-tuiscono una base importante nell’opera dievangelizzazione in America Latina e nei Ca-raibi

Ecco perché io, come essere umano, comeuomo di 52 anni con 27 di sacerdozio, per amo-re alla mia Chiesa locale, per solidarietà e affin-ché “le donne mostrino alla Chiesa la sua di-mensione femminile e l’aiutino a pensarsi in ter-mini di categorie femminili”, considero essenzia-le lo spazio di riflessione e di discussione offer-to a chi si diploma in “Donne e Chiesa”, corsopromosso dall’Istituto di studi superiori delladonna dell’Ateneo pontificio Regina Apostolo-rum, che inizia a settembre.

In America Latina e nei Caraibi oggi si odeforte la voce delle donne che, dalla loro condi-zione ingiusta di povertà e di esclusione, di mi-seria e di disgrazia, esortano profeticamente:“Spianate, spianate, preparate la via, rimuovetegli ostacoli sulla via del mio popolo” (Isaia 57,14).

Occorre aprire cammini per costruirequell’equità e quella giustizia che il nostro po-polo latinoamericano e caraibico invoca. Senzala presenza delle donne tale trasformazione nonsarà possibile. Abbiamo bisogno della loro osti-nata volontà di resistere e di costruire con spe-ranza, in modo creativo. Abbiamo bisogno dellaloro audacia e forza per portare avanti progetticapaci di far fronte agli ostacoli che si presente-ranno. Abbiamo bisogno di ascoltare attenta-mente le loro voci e di confidare nei loro criteridi valutazione al momento di prendere decisioniinsieme. Abbiamo bisogno della capacità orga-nizzativa delle donne, per pianificare progetti,amministrare risorse e risolvere conflitti. Abbia-mo bisogno delle loro conoscenze e iniziativeper trovare soluzioni valide.

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SIMBOLI NELLA BIBBIA

Donna Sapienzaun ritratto poetico

di KAT H A R I N E J. DELL

«I nfatti, chi trova me trova la vita, e ottiene favore dal Signore» (P ro -

verbi 8, 35). Queste parole sono pronunciate da Donna Sapienza inP ro v e r b i 1-9, dove troviamo tre illustrazioni di una figura femminiledi Sapienza (in ebraico hokma; in greco sophia), descritta attraversoun lungo ritratto poetico. È una delle immagini femminili più ricchenella Bibbia ebraica, non solo per quanto riguarda la letteratura sa-pienziale, ma anche nel canone più ampio della scrittura. Viene ri-presa nella riflessione successiva, e in particolare in Ben Sira e nellaSapienza di Salomone. L’aspetto femminile è centrale: da un lato laSapienza è una donna normale, una buona moglie, una valida consi-gliera; dall’altro, invece, è una rappresentante femminile del divinocon un ruolo nella creazione, in un mondo e una società ordinati, eun ponte tra Dio e l’umanità, comunicando buone relazioni e l’imp e-rativo morale.

L’idea di una figura femminile di Sapienza ci viene presentata perla prima volta in P ro v e r b i 1, 20-33, dove Sapienza grida per le stradee nelle piazze, all’ingresso delle porte della città, a tutti coloro chehanno bisogno di sentire il suo richiamo. Ciò viene spesso assimilatoa un ritratto profetico, in quanto è, per buona parte, un avvertimentoa quanti rifiutano la sua esortazione e non ascoltano. Ma «chi ascoltame vivrà tranquillo e sicuro dal timore del male» (P ro v e r b i 1, 32). Poi,in P ro v e r b i 3, 13-20 troviamo una descrizione in terza persona di que-sta donna elusiva. È preziosa, molto più dell’oro e dei gioielli; «Lun-ghi giorni sono nella sua destra e nella sua sinistra ricchezza e ono-re» (3, 16); le sue vie rappresentano la pace e tutti coloro che le per-

corrono possono scoprirla in serena contem-plazione; è un «albero di vita» (3, 18) per chisi attiene a lei. Diventa sempre più attraente:la via verso la ricchezza e l’onore, e ancora dipiù la via verso una lunga vita o magari altroancora, se l’immagine dell’«albero di vita»rappresenta l’eternità. In Genesi 3, 22 l’alb erodi vita rappresenta l’immortalità nel giardino dell’Eden ed è il secon-do albero proibito ad Adamo ed Eva. L’albero simboleggia anche laSapienza al centro della creazione, come esprime il momento culmi-nante del passo, secondo cui il «Signore ha fondato la terra con lasapienza» (P ro v e r b i 3, 19). Essa diventa parte dell’atto creativo diDio, il mezzo con cui è stata fatta la terra. Le qualità della compren-sione e della sapienza, di fatto, sono legate agli atti creativi che cono-sciamo da Genesi 1 (3, 20). Poi giunge il monito: non lasciatevelesfuggire! (3, 21). Attenetevi a queste qualità e «saranno vita per te egrazia per il tuo collo». È questa la via da seguire, la via sicura dellasapienza.

Nella prima parte di P ro v e r b i 8, la Sapienza è descritta come unadonna ideale; sta alle porte della città esortando: «Imparate, inesper-ti, la prudenza e voi, stolti, fatevi assennati» (8, 5). Deve essere ascol-tata; le sue sono parole di verità, e migliori di tutte le cose preziose.È il principio di verità per mezzo del quale regnano i re, e premiacon ricchezze e onori quanti la «amano». È dunque associata allagiustizia e alla verità, e alla ricchezza e all’abbondanza. È contrappo-sta a tutto ciò che è male. Nella seconda parte del capitolo, tuttavia,il ruolo sembra passare da quello di colei che esorta le persone a se-guire il suo cammino a quello svolto nella creazione, di cui abbiamoappreso in Proverbi 3, 19. Viene descritta come presente accanto a Dionella creazione del mondo, «dilettandomi sul globo terrestre, ponen-do le mie delizie tra i figli dell’uomo» (8, 31). Viene anche descrittacome creata da Dio in principio, prima dell’inizio del mondo creatocome noi lo conosciamo. È un cambiamento sorprendente ed è occa-sione per un inno agli atti creativi di Dio: vengono citati «profondi-tà» e «acqua», «montagne» e «colline», «terra» e «campi». La Sa-pienza osserva mentre Dio disegna un cerchio sul volto della profon-dità e divide il firmamento, delimita il mare e definisce la terra. Lasua reazione alla creazione e a Dio è di diletto, di meraviglia. Lei èSapienza, il principio di razionalità e di ordine nel mondo, come ri-velato dalla creazione stessa e come manifestato nell’attività e nellasocietà umana. È il principio di solido giudizio, rapporti sagaci, ri-

Andrea Scacchi«La divina Sapienza»

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so più noto in cui è descritta Donna Sapienza, viene tracciata una li-nea dall’ordine primevo fino alla rivelazione specifica di Yahweh aIsraele. Essa viene descritta come «uscita dalla bocca dell’Altissimo»(24, 3) e avente «ricoperto come nube la terra» (il che potrebbe allu-dere a Mosè nella nube in Esodo 34). Viene descritta come dimorantein luoghi alti e avente una colonna di nubi come trono (24, 4). Di leiviene detto che ha percorso il «giro del cielo» e passeggiato «nelleprofondità degli abissi» (24, 5), che ha preso dominio sul mondo in-tero: su mare e terra, «su ogni popolo e nazione» (24, 6). È dunquesu un piano cosmico più alto rispetto a quello descritto prima, asso-migliando più a un angelo del consiglio celeste che all’essere creatoin P ro v e r b i 8. La ricerca di una dimora, paradossalmente, porta la Sa-pienza a risiedere in Israele, nel tabernacolo all’interno del tempio aGerusalemme (24, 8-11). Il verso 22 lo dice in modo esplicito: «Tuttoquesto è il libro dell’alleanza del Dio altissimo, la legge che ci ha im-posto Mosè, l’eredità delle assemblee di Giacobbe». La Sapienza èdunque a disposizione d’Israele, tuttavia, anche se un tempo dimora-va in mezzo ad altre nazioni, ora essenzialmente è loro nascosta. SoloDio la conosce fino in fondo (cfr. S i ra c i d e 1, 1-10). Il dono è di naturapiù specifica, unendo però tutti i benefici del ritratto presentato neiP ro v e r b i , ovvero onore e ricchezze, conoscenza e così via. Vengonosottolineati anche la ricerca e il desiderio da parte umana, parago-nandola a un albero, a un cipresso, o un cedro, un platano, un tere-binto o una palma; una pianta di rose, un ulivo; una vite. Viene de-scritta in termini seducenti come dal profumo dolce e fecondo. C’èuna sorta di erotismo nella sua attrazione.

Ma in altri scritti il concetto diventa più profondo, sicché nella Sa-

pienza di Salomone, l’opera del primo secolo prima dell’era volgare,la Sapienza è vista come un vero e proprio attributo di Dio. Qui tro-viamo una progressione precisa nell’idea della Sapienza, probabil-mente influenzata dal pensiero greco e forse contrapposta a un cultodi Iside che all’epoca prevaleva ad Alessandria. In Sapienza 7, 25 leg-giamo: «È [la Sapienza] un’emanazione della potenza di Dio, un ef-fluvio genuino della gloria dell’Onnipotente». In questo testo DonnaSapienza viene ipostatizzata più che semplicemente personificata. È,qui, la manifestazione di Dio agli uomini, un’emanazione di attributidivini. In Sapienza 7, 21-23 leggiamo: «Mi ha istruito la sapienza, ar-tefice di tutte le cose. In essa c’è uno spirito intelligente, santo, uni-co, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inof-fensivo, amante del bene, acuto, libero …». È lei la governante el’artefice di tutte le cose (Sapienza 8, 1, 6). È maestra di virtù come

cerca di educazione e di conoscenza e per l’acquisizione del sapere. Èil cammino di verità e «vita» nel senso più pieno.

La Sapienza è al tempo stesso terrena e celeste, un momento ospi-te umana concreta, l’istante dopo vicina a Dio. Viene descritta comepresente «quando [Dio] disponeva le fondamenta della terra» (8,29), come una che esprime ogni giorno diletto per la presenza di Dioe che offre prudenza e comprensione a coloro che le passano accantolì dove sta, alle porte delle città. È dunque colei che «sulle soglie de-gli usci […] esclama» (8, 3), una figura talvolta enigmatica che cercadi influenzare coloro che stanno alle porte, coloro che prendono ledecisioni in città. «[Q]uelli che mi cercano mi troveranno» dice inP ro v e r b i 8, 17. La Sapienza si è posta «lungo la via, nei crocicchi dellestrade» (8, 2) dei numerosi cammini della vita. A sua volta ci offretanti sentieri da esplorare e molte visioni fugaci di altri viandanti.

Da dove deriva dunque l’idea per questa figura di Sapienza? È ilvestigio della figura di una dea? In Proverbi 3 viene descritta comeavente lunghi giorni nella mano destra e «ricchezza e onore» nella si-nistra, simile ad altre divinità antiche del Vicino oriente che reggono inmano oggetti simbolici, come la dea cananita Astarte. O è forse unprincipio astratto? Esiste un interessante parallelo nel principio egiziodi ordine e giustizia, che in seguito è stato raffigurato come una dea —Ma’at (che significa «verità») — che in una mano tiene uno scettro enell’altra mano l’ankh (il simbolo egizio che indica la vita eterna).Ma’at viene descritta come monile del grande dio, Re-Atum, propriocome Donna Sapienza è al fianco di Dio in P ro v e r b i 8, 30. Ma’at eraraffigurata sia sugli amuleti sia sulle collane poste attorno al collo deisommi giudici in Egitto; in modo analogo, la Sapienza viene descrittacome «monile» per il collo dei suoi seguaci (P ro v e r b i 1, 9; 6, 1). O, co-sa più probabile, forse si tratta di una metafora poetica usata dagliscribi che hanno scritto Proverbi 1-9, un’estensione dell’immagine diuna buona moglie, la cui antitesi è l’adultera che conduce i giovaniignari sulla via della distruzione. Ci sono due alternative: seguire l’in -segnamento della sapienza, ascoltarla e trovare la vita; ma guai se si fail contrario, poiché «quanti mi odiano amano la morte» (8, 36). Nonvi è alcun dubbio che tutti questi passi sono affollati di immagini talida ispirare la creazione artistica.

Nel pensiero ebraico più tardo, la Sapienza viene identificata conla legge (t o ra h ), sicché rispettare la legge ebraica è sinonimo di acqui-sire sapienza, collegando la Torah con la creazione di Dio. Con que-sta identificazione, la Torah era allora, come la Sapienza, preesisten-te, delizia di Dio, parola di Dio comunicata. Così in Siracide 24, pas-

L’autrice

Katherine Dellè docentedi Letteratura eTe o l o g i aNeotestamentariapresso la Facoltàdi Divinitàdell’universitàdi Cambridge e“Fe l l o w ” del StCatherine’s College.È esperta di letteraturasapienzialee ha scritto librisu P ro v e r b i , Giobbe

ed Ecclesiaste.Attualmentesta lavorandoa un commento aEcclesiaste.

Luca Giordano« Al l e g o r i a

della divina Sapienza»(particolare, 1685 - 1685)

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l’autocontrollo e la giustizia (8, 7) e dispensatrice di ogni insegna-mento (7, 17-22), comprese le informazioni relative agli ambiti dellescienze naturali. Il poema della Sapienza in 7, 22- 8, 2 inizia con unadescrizione cosmologica della relazione della Sapienza con Dio. Parladella sua azione nella creazione e della sua superiorità rispetto a tuttele cose create nel suo ruolo ordinante. La Sapienza esiste per inse-gnare a chi la segue a risponderle, ed è ciò che fa l’autore: «Questaho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza» (8, 2). Segue quindi,in 8, 3-16, una descrizione di ciò che la sapienza può dare a quanti lerispondono: conoscenza, ricchezza, intelligenza, giustizia, esperienza;nulla può superare i suoi benefici. Anche qui riscontriamo un lin-guaggio erotico in termini di amore e desiderio: «L’amai più della sa-lute e della bellezza» (7, 10); «ho cercato di prendermela come sposa,mi sono innamorato della sua bellezza», afferma il probabile autore,Salomone (8, 2). Ancora viene creato un collegamento con la Torah— «l’amore è osservanza delle sue leggi; il rispetto delle leggi è ga-ranzia di immortalità» (6, 18) — e viene compiuto anche un passo ul-teriore, un collegamento con l’immortalità. La Sapienza qui offre do-ni ancora più grandi, ma d’altra parte essa è un attributo dello stessoDio, il suo agente creativo, la sua parola di comando.

Donna Sapienza, dunque, è offerta a chiunque desideri seguire ilsuo cammino. È un dono per coloro che vogliono accettare l’offerta,e le sue parole sono vere. E tuttavia è legata anche all’opera creativadi Dio «all’inizio della sua attività» (P ro v e r b i 8, 22). È al tempo stes-so rappresentante del divino per gli uomini, pienamente accessibileagli uomini, e strumento per mezzo del quale Dio stesso realizza lacreazione, che di certo solo Dio può conoscere appieno. Gli uomini ele donne saggi cercano di acquisire conoscenza del mondo, le sue nu-merose meraviglie sono aperte alla ricerca scientifica e tuttavia la co-noscenza ultima risiede sempre solo in Dio, e ci sono segreti nascostiche non sono così facilmente accessibili, compreso come Dio non so-lo ha creato il mondo, ma lo sostiene anche e interagisce con esso.

Donna Sapienza rappresenta un ponte, un luogo d’incontro tra ildivino e l’umano. La Sapienza come donna si rallegra dinanzi a Dioe dinanzi agli esseri umani, dilettandosi nel mondo creato ed espri-mendo meraviglia davanti agli exploit dell’umanità. Ma la Sapienza èessenzialmente pratica, e quindi termina con una nota concreta, ovve-ro cercatemi, trovatemi, perseguite tutto ciò che è bene, amate la co-noscenza: «Accettate la mia istruzione e non l’argento, la scienza an-ziché l’oro fino, perché la scienza vale più delle perle e nessuna cosapreziosa l’uguaglia» (P ro v e r b i 8, 10-11).

Incipit del Libro dellaSapienza, codice Gigas

(secolo XIII)

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