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PARTE GENERALE e FLORA ALLOCTONA ATLANTE della FLORA VASCOLARE del LAZIO cartografia, ecologia e biogeografia FERNANDO LUCCHESE LIFE13 ENV/IT/842 Dipartimento di Scienze ERBARIUM (URT) 1

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PARTE GENERALE e FLORA ALLOCTONA

ATLANTEdella

FLORA VASCOLARE del LAZIOcartografia, ecologia e biogeografia

FERNANDO LUCCHESE

LIFE13 ENV/IT/842Dipartimento di ScienzeERBARIUM (URT)

1

ISBN: 9788895213088

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Il volume fa parte di un progetto ampio, iniziato fin dagli anni ’80 e proseguito finoad oggi con più di 2.000 escursioni svolte dall’Autore, che hanno permesso, insiemealla consultazione di dati di erbario e bibliografici ed al supporto di collaboratori(dott. M. Iocchi e dott.ssa S. Paglia), di redigere un elenco con le mappe distributive ditutte le specie laziali che ammontano finora a più di 3.499 entità. L’opera dal titolo“Cartografia della Flora Vascolare del Lazio” si sviluppa in più volumi. Il presentevolume contiene la parte generale, area di studio e metodi, e analizza nel dettagliola presenza e la distribuzione regionale della flora alloctona.

Il Lazio ospita 468 taxa alloctoni (pari al 13,4% di tutta la flora), di cui 285 rientranotra le specie aliene casuali che solo occasionalmente spontaneizzano nel territorio.Le specie naturalizzate assommano a 183 entità, di cui 139 non invasive e 44 specieinvasive i cui particolari adattamenti permettono loro di invadere velocementeampie superfici, creando forti alterazioni degli habitat. Di queste, solamente 7 entitàesercitano la loro azione invasiva in zone estremamente localizzate del Lazio(localmente invasive).

Il geodatabase della flora alloctona si compone di 4.907 dati bibliografici effettivicartografati (su 22.002 dati inseriti con ripetizioni), provenienti da 420 pubblicazioniconsultate, 16.811 dati di campo (circa 3,5 volte i dati bibliografici) e 1.317 datid’erbario.

Un capitolo originale curato da Lostia, Lucchese e Iocchi sviluppa su base statisticauna proposta di prioritizzazione delle aree e delle specie al fine di ottimizzare quegliinterventi attivi necessari a contenere l’introduzione e la diffusione delle alloctoneche minacciano la biodiversità della regione.

LA NATURA SEI TU.

LIFE13 ENV/IT/842

IL PROGETTO E I PARTNER CSMON-LIFE (Citizen Science MONitoring)

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"A Sandro Pignatti, senza il cui avvio e insegnamentola Cartografia della Flora del Lazio non sarebbe venuta alla luce"

LIFE13 ENV/IT/842Dipartimento di ScienzeERBARIUM (URT)

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VOLUME REALIZZATO NELL’AMBITO DEL PROGETTO CSMON-LIFE DALLA REGIONE LAZIO (PARTNER DI PROGETTO):Assessorato Rapporti con il Consiglio, Ambiente e Rifiuti: Assessore Mauro BuschiniDirezione Ambiente e Sistemi Naturali - Regione Lazio: Direttore Vito ConsoliArea Conservazione e Gestione del Patrimonio Naturale e Governance del Sistema e delle Aree Naturali Protette, Coordinatore CSMON-LIFE per Regione Lazio: Giuliano TalloneCoordinatore scientifico CSMON-LIFE per Regione Lazio: Stefano SarroccoArea Servizi Informativi Ambientali, Agenda Digitale, Open Government e Servizi Tecnici Generali: Roberto SinibaldiCoordinamento editoriale CSMON-LIFE Regione Lazio: Maricetta AgatiSupporto al coordinamento tecnico-amministrativo: Fulvio Cerfolli

Testi: Marco Iocchi, Bruno Lostia, Fernando Lucchese, Stefania PagliaFoto: Fernando LuccheseCollaboratori: Silvio Pietrosanti

Grafica, impaginazione e stampa: DigitaliaLab s.r.l. - Roma

RINGRAZIAMENTISi ringraziano tutti gli enti e persone che hanno contribuito a rendere possibile tale lavoro, migliorarlo e renderlo più utile.Per consulenza dei dati di erbario: prof.ssa G. Abbate, Herbarium Roma “La Sapienza” (RO); dott. Lorenzo Cecchi, Herbarium, Museo Na-zionale di Firenze (FI); dott. A. Mayer, Herbarium Univ. Roma Tre (URT).Per organizzazione del progetto: Università Roma Tre, Dipartimento di Scienze; Regione Lazio, Direzione Ambiente e Sistemi Naturali. Per revisione e identificazione di specie: dott. N. Ardenghi (Univ. Pavia), dott. E. Banfi (Museo Civico di Milano); dott. G. Galasso (MuseoCivico di Milano); dott. A. Guiggi (Giardino Hanbury); dott. F. Prosser (Museo Civico di Rovereto).Per consigli sulla Geologia e Paleogeografia: prof. M. Parotto (Univ. Roma Tre) e prof. A. Praturlon (Univ. Roma Tre).Si ringraziano inoltre tutti gli amici che hanno partecipato a escursioni, attività di campo e informazioni floristiche, tra cui si ricordano: I. Loreti, M. Fabrizio, S. Bersani, G. Venturini, F. Minutillo, G. Tondi, S. Sarrocco, E. Lattanzi, P. Ratini, V. Volpe, A. D’Orsi, U. e R. Corman, C. Mantoni, A. D’Elia; molti studenti dei corsi di Sistematica Vegetale, che hanno partecipato ad escursioni didattiche e raccolto campioniche arricchiscono ora l’Herbarium URT.Un particolare ringraziamento al dott. S. Pietrosanti per l’aiuto alla realizzazione della grafica delle figure.

Citazione bibliografica consigliata: Lucchese F., 2017. Atlante della Flora Alloctona del Lazio: Cartografia, Ecologia e Biogeografia. Vol. 1:Parte generale e Flora Alloctona. Regione Lazio, Direzione Ambiente e Sistemi Naturali, Roma, pp. 352.

ISBN: 9788895213088

IL PROGETTO E I PARTNER CSMON-LIFE (Citizen Science MONitoring)

LA NATURA SEI TU.

LIFE13 ENV/IT/842

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Fernando luCCheSe

atlantedella

Flora VaSColare del laziocartografia, ecologia e biogeografia

2017

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Indice

Presentazione .............................................................................................................................................................................................................9Prefazione ..................................................................................................................................................................................................................10

Parte generale

1 - la regione lazio e il Suo territorioConfini...........................................................................................................................................................................................................................13Geologia.......................................................................................................................................................................................................................14Elementi geomorfologici......................................................................................................................................................................................18

Il rilievo...................................................................................................................................................................................................................18Le coste ..................................................................................................................................................................................................................21Le isole....................................................................................................................................................................................................................22Idrografia (le zone umide) ...............................................................................................................................................................................22

I fiumi ........................................................................................................................................................................................................22I laghi.........................................................................................................................................................................................................24

Regioni naturali e suddivisione geo-agraria ................................................................................................................................................26Settori geografici del Lazio ..................................................................................................................................................................................28Lineamenti climatici e fitogeografici ...............................................................................................................................................................28

Piani altitudinali ..................................................................................................................................................................................................28Inquadramento climatico................................................................................................................................................................................30Classificazione e cartografia della vegetazione.......................................................................................................................................33

Le formazioni forestali.........................................................................................................................................................................34Le praterie................................................................................................................................................................................................42

Storia dell'esplorazione floristica nelle aree geografiche del Lazio ...................................................................................................45

2 - CartograFia FloriStiCa regionale: metodologia di CenSimento e arChiViazione dei datiIntroduzione ..............................................................................................................................................................................................................49Il censimento della flora vascolare del Lazio................................................................................................................................................49

Il reticolo CFCE....................................................................................................................................................................................................50Descrizione e definizione dei quadranti CFCE ...........................................................................................................................51La scheda di rilevamento...................................................................................................................................................................52Digitalizzazione dei dati di campo .................................................................................................................................................52Sforzo di campionamento e completezza dei dati...................................................................................................................52

Il geodatabase della flora vascolare del Lazio .............................................................................................................................................55La standardizzazione dei dati.........................................................................................................................................................................55 Struttura logica del geodatabase .................................................................................................................................................................55Il portale di visualizzazione.............................................................................................................................................................................56Database accessori.............................................................................................................................................................................................56Database delle segnalazioni floristiche......................................................................................................................................................57

Dati bibliografici....................................................................................................................................................................................57Dati d’erbario..........................................................................................................................................................................................60Dati di campo.........................................................................................................................................................................................61L’accuratezza spaziale dei dati .........................................................................................................................................................61

INDICE

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Indice

Flora alloCtona

3 - le inVaSioni di SPeCie alloCtoneIntroduzione ..............................................................................................................................................................................................................63Il concetto di "esoticità", vie d'introduzione, problematiche e approcci allo studio...................................................................66

Salto dello steccato............................................................................................................................................................................................68Invasibilità e invasività......................................................................................................................................................................................73

Progetti internazionali e nazionali sulle specie alloctone......................................................................................................................76

4 - aggiornamento e reViSione CritiCa della Flora VaSColare alloCtona del lazioIntroduzione ..............................................................................................................................................................................................................79Fase A: aggiornamento e validazione .............................................................................................................................................................79

Fase A1: revisione dello status di alloctonia/autoctonia......................................................................................................................81Fase A2: revisione critica dello status di spontaneizzazione ..............................................................................................................84Fase A3: validazione e revisione della presenza/assenza nel Lazio .................................................................................................85

Fase B: revisione critica delle caratteristiche legate al processo di invasione ...............................................................................93Fase B1: revisione dello status di alloctonia..............................................................................................................................................93Fase B2: revisione critica delll’età di introduzione..................................................................................................................................94Fase B3: revisione critica dello scopo di introduzione ..........................................................................................................................94

Fase C: revisione critica di alcune caratteristiche biogeografiche ed ecologiche ........................................................................97Fase C1: definizione dell’areale naturale di origine................................................................................................................................97Fase C2: definizione dell’uso del suolo e dell’habitat prevalente di invasione ............................................................................97Fase C3: definizione di alcuni parametri ecologici (valori di bioindicazione e functional traits)...........................................98

Identificazione e problematiche tassonomiche.......................................................................................................................................103

5 - biodiVerSitÀ, eCologia e biogeograFia della Flora alloCtonaRicchezza e composizione .................................................................................................................................................................................105Distribuzione spaziale .........................................................................................................................................................................................108Provenienza geografica ......................................................................................................................................................................................118Flora alloctona e clima ........................................................................................................................................................................................119Flora alloctona e uso del suolo ........................................................................................................................................................................125Flora alloctona e habitat ....................................................................................................................................................................................132Valori di bioindicazione ......................................................................................................................................................................................133Functional Traits.....................................................................................................................................................................................................136

Forme biologiche.............................................................................................................................................................................................136Tipo di impollinazione ...................................................................................................................................................................................144Tipo di dispersione ..........................................................................................................................................................................................148Fenologia ............................................................................................................................................................................................................153Distribuzione altitudinale .............................................................................................................................................................................154Tipo di fotosintesi ............................................................................................................................................................................................154

Analisi spaziale dei pattern di distribuzione .............................................................................................................................................155Rarità...........................................................................................................................................................................................................................161

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Indice

6 - ProPoSta di Prioritizzazione Per il Controllo ed eradiCazione delle SPeCie alloCtone nel lazioPremessa ...................................................................................................................................................................................................................164Prioritizzazione, definizione .............................................................................................................................................................................164Prioritizzare le specie ...........................................................................................................................................................................................165Prioritizzare le aree ...............................................................................................................................................................................................166Prioritizzare i pathways.......................................................................................................................................................................................167Prioritizzazione e controllo delle specie invasive in base agli interessi economici ..................................................................167Una nuova proposta di prioritizzazione delle specie e delle aree nel Lazio ................................................................................168Materiali e metodi .................................................................................................................................................................................................169Applicazione pratica ............................................................................................................................................................................................171Applicazione ai dati del Lazio ..........................................................................................................................................................................175

a. Raggruppamento – Specie alloctone totali .......................................................................................................................................175b. Raggruppamento – Specie alloctone invasive e localmente invasive.....................................................................................178c. Raggruppamento – Specie alloctone naturalizzate........................................................................................................................180d. Raggruppamento – Specie alloctone casuali ...................................................................................................................................182

Operatività e programmazione degli interventi di eradicazione sulla base della prioritizzazione...................................185Codice di comportamento per l’individuazione e il controllo delle specie alloctone .............................................................186

aPPendiCe aTabella dei Quadranti CFCE e località censite da Lucchese nel rilevamento ...............................................................................190

aPPendiCe bMappe di distribuzione delle specie alloctone del Lazio .....................................................................................................................220

aPPendiCe CMappe di distribuzione delle specie autoctone localmente introdotte ........................................................................................332

aPPendiCe dAddenda alle mappe di distribuzione delle specie alloctone ............................................................................................................338Addenda et inquirenda

bibliograFia(Prima parte) capitoli 1-2 ..................................................................................................................................................................................344(Seconda parte) capitoli 3-6..............................................................................................................................................................................347

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SummarY

Flora maPPing ProjeCt oF latium region

This volume illustrates part of the results of Prof. Lucchese's large project on vascular flora of Latium.

"Cartography of Vascular Flora of Latium" started in the 1980s, with the goal of obtaining distribution

maps of every species of the region (3,499 taxa in all), thanks to 2,000 field trips (5.5 man-years) carried

out by the author. Since the extreme species' richness of this area needs particular attention in

biogeography, ecology, diversity, conservation, species distribution and mapping, the results are divided

into three volumes and each one of them is focused on a particular issue.

At first, Latium is introduced as a territorial (17,227 km²) and administrative entity, depicting its geo-

morphology, geography, climate, habitat, vegetation. In this general part, it was necessary showing all

the methods applied for field survey, geodatabase recording, floristic map editing, qualitative and

quantitative analysis used to infer the various data.

Latium was divided into 554 quadrants (OGU) according to the mapping method of Central Europe MTB

floristic inventory. Every rectangular quadrant (5’long x 3’lat) has a territory of approximately 38 km²

(quadrants' description is in Appendix A) and, for each unit, data from literature and field survey were

recorded: 1) bibliographic data from flora, taxonomy and vegetation subjects (ca. 2,500 papers with

270,000 records); 2) field data from original survey (ca. 800,000 sightings and 350,000 database records);

3) herbarium data (URT; RO; FI) for an amount of 15,000 records, mostly used for critical taxa. From

assembling all the data together, distribution maps were generated and it was possible to make

ecological, floristic and biogeographic analyses. Mainly, the collaborators, dr. M. Iocchi and dr. S. Paglia

have contributed largely to achieve this result.

This first volume is about allochthonous (or alien) species and their relative problems of area invasibility

and invasivity.

the alloChthonouS (alien) SPeCieS

The allochthonous species' problem has been analysed methodologically, focusing on its definition, on

the introduction pathways, diffusion and invasivity, considering the potential risk of alien species for

biodiversity. The objective of this volume is to explain all these issues in the clearest/easiest/most

transparent and comprehensible approach, with the use of several graphs, tables and maps of the allo-

chthonous species' distribution patterns, related to biotic/abiotic factors.

Like all Latium's vascular flora, allochthonous species have been inserted into a geodatabase, populated

by 22,002 records: 4,907 from 420 publications, 16,811 field data and 1,317 herbarium data. Field data is

far more exhaustive than bibliographic data (e.g., for Papaver rhoeas, an archeophyte, 513 quadrants

result from field data compared to only 145 from bibliographic ones), due to the poor level of previous

floristic knowledge compared to current cartography. After reviewing the allochthony/autochthony

status and its real presence/absence in Latium, it can be stated that Latium's allochthonous flora

amounts to 468 taxa and 464 species. Among them, 42 do not have a reliable and accurate localization,

so they were impossibile to map. For each taxon, the following information is shown: 1) number of

quadrants occupied; 2) degree of prioritization; 3) distribution pattern; 4) EUNIS habitat; 5) altitude

range; 6) flower phenology; 7) life-form categories; 8) pollination; 9) diaspore dispersal; 10) sexuality;

11) photosynthesis type; 12) introduction purpose.

The volume's last chapter, by Lostia, Lucchese and Iocchi, presents an original and meaningful analysis

on prioritization of alien species' control, regarded in literature as a very controversial issue. The

proposed scenario is based upon the statistical assessment of prioritizing the efforts of species

eradication to minimize the intervention area and costs. Thanks to an intensive data collection and a

subsequent deep statistical analysis (grid occupancy and complementarity method), it is now possible

to evaluate a proposal of prioritization for the eradication programs. This opens up the opportunity to

cover different sets of the species and areas, spending less efforts and maximizing positive results.

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9Presentazione

PRESENTAZIONE

Quando si scrive una presentazione di un libro è normalefare i complimenti all’opera.Questa volta però è diverso. Questa volta gli elogi nondevono essere considerati dei complimenti scontati. Questa volta si ha davvero l’impressione di essere di frontea qualcosa di importante.È un’opera, questa (anzi l’inizio di un’opera, visto che sitratta del primo di una serie di volumi che tratteranno tuttala flora vascolare del Lazio) destinata a divenire un punto diriferimento per gli studi botanici sul territorio laziale,destinata ad essere citata innumerevoli volte, destinata aessere una base di conoscenza su cui fondare nuovi studi,monitoraggi, interventi di conservazione e gestione.Senza contare che importantissimo e di grande spessore èanche il lavoro di campo che ha portato alla realizzazionedel volume: anni e anni di rilievi, battendo a tappeto tuttoil territorio della regione.L’inizio di un’opera più vasta, si diceva.Si comincia con la flora alloctona, che dà un quadro di una

realtà complessa la quale accanto a una biodiversità autoctonaincredibile, comprendente migliaia di specie presenti inhabitat molto differenti, dal mare alle montagne appenniniche,include anche degli elementi alieni che testimoniano unaforte presenza antropica, attiva da millenni.Un tema quello delle specie alloctone, sempre più attualee che è ormai diventato un cavallo di battaglia dell’attivitàdei tecnici regionali e di numerosi progetti di monitoraggio,comunicazione e gestione che la Regione sta portandoavanti anche grazie a prestigiose collaborazioni, comequella con il professor Fernando Lucchese. A questo proposito risulta indispensabile menzionare unodei progetti europei in corso, CSMON-LIFE, il primo progettoitaliano di citizen science sulla biodiversità, con il cuicontributo è stata possibile la stampa di questo volume.

Vito ConsoliDirettore Direzione Ambiente e Sistemi Naturali

Regione Lazio

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10 Prefazione

Che cosa significa un Atlante? A questa domanda il dizionariodella lingua italiana ci spiega che un atlante può essereuna raccolta di carte geografiche (a. geografico) oppureuna raccolta di tavole figurate (a. anatomico, botanico,etc.). L’atlante floristico che qui presentiamo può condividereentrambi questi aspetti poiché, mentre la distribuzionedella flora si esprime in mappe di tipo geografico, le altreanalisi di tipo statistico condotte sulla flora in relazione afattori biologici e ambientali possono essere visualizzate,oltre che come mappe, anche come tavole tematiche ditipo logico che rappresentano la struttura dei dati (tavolerelazionali, tabelle di classificazione). Inoltre, aggiungiamosecondo noi che sotto il termine “Atlante” può riferirsi piut-tosto una idea metaforica per esprimere un lavoro imponentedi raccolta di dati (Big Data). Lo scopo di un tale atlante floristico è quello di offrire unaimmagine spaziale e statistica, ma anche strutturale, deifenomeni relativi alla distribuzione della flora. Per arrivarea questo scopo il percorso è stato lungo e difficile per varimotivi, tra cui quello principale riguarda l’ampiezza dellasuperficie regionale esplorata (il Lazio è tra le grandi regioniitaliane) e la corrispondente ricchezza floristica che superale 3.500 entità. Ciò ha richiesto l’applicazione di un metododi rilevamento condotto su un reticolo di unità geograficheomogenee per un tempo molto lungo, con un continuoaggiornamento sia di tipo quantitativo sia di tipo sistematicoe con l’aggiunta di nuovi taxa descritti o indicati per laprima volta. Tale approccio definito “regionalizzazione”mette in relazione (inferenza) la presenza e assenza di unevento (record o taxon) entro una determinata area geo-grafica. L’applicazione di questo metodo ha reso possibileottenere dati quantitativi di distribuzione che tramite l’ap-plicazione di analisi statistiche hanno prodotto un quadrobiogeografico che possiamo definire di tipo “biogeograficoquantitativo”. La biogeografia quantitativa è un campo svi-luppato con l’uso sempre più esteso dell’informatizzazionedei dati, la loro elaborazione con software applicati e geo-referenziazione (GIS); classificazione, ordinamento, test sta-tistici di significatività tra variabili dipendenti e indipendenti,applicazione di relazioni tra storia geografica e storiaevolutiva hanno avuto un notevole sviluppo e impiego intutta la letteratura biogeografica degli ultimi anni. Il lavoro che qui si presenta è il frutto di 35 anni dicensimento originale in campo, iniziato nel 1982 insiemea Sandro Pignatti, e può essere considerato un “open data”

in continuo aggiornamento e definizione, che potrà esserecontinuato in futuro se saranno rese disponibili le necessarierisorse, sperando anche in una sua estensione al di fuoridei confini regionali verso tutto l’Appennino. È importantesottolineare che questa tappa di arrivo potrà essere utile aindirizzare le ulteriori ricerche verso territori e taxa in cuiora si rivelano problematiche e lacune. Le risorse economicheche hanno reso possibile tale opera provengono dacontributi universitari di ricerca, progetti MIUR, risorse per-sonali (per la maggior parte); tenendo conto dell’ampiezzageografica, del tempo impiegato (raccolta e preparazionedi essiccati d’erbario) e del numero di missioni di camponecessarie, si può calcolare che tale progetto abbia superatoabbondantemente i fondi disponibili. Infine, grazie allaRegione Lazio (Direzione Ambiente e Sistemi Naturali eex-Agenzia Regionale Parchi) è stato possibile informatizzaree strutturare il database con appositi report e codifiche, dicui il dott. S. Sarrocco ha avuto una partecipazione di con-trollo scientifico e a cui hanno dedicato la loro professionalitàil dott. M. Iocchi e la dott.ssa S. Paglia. Infine, il progettoeuropeo CSMON-LIFE ha reso possibile economicamentela pubblicazione e la stampa. Anche se il tipo di rilevamento e acquisizione di dati avevacome obiettivo l’esaustività dei dati, è anche ovvio chenessun rilevamento territoriale può definirsi mai completo,ma anzi continuamente ne possono emergere i limiti edessere evidenziate le aree meno conosciute. Lo spirito cheha spinto fin dall’inizio un tale imponente lavoro è statoquello di conoscere il territorio non solo nelle sue zone più“attraenti”, quali parchi, riserve e siti della Rete Natura2000, che hanno sempre attratto i botanici con un effettodi grande “richiamo”, ma anche tutte le altre meno note,poco esplorate e in molti casi purtroppo degradate. Durantetutto questo arco di tempo si è potuto constatare i notevolicambiamenti del paesaggio, trasformazioni ambientali pro-fonde e scomparsa di biotopi dove erano state rinvenutespecie di grande interesse; quindi, oltre all’entusiasmo perl’interesse della flora e la bellezza del paesaggio, si sonoaggiunte durante questi percorsi molte altre emozioni,quali nostalgia di tempi passati, delusioni e impotenza difronte a cause devastanti più grandi (cave, distruzione disuolo irreversibile, inquinamento). In questo senso, i nostridati si devono considerare, in una visione diacronica, anchecome un “work in progress” poiché nel concetto stesso dibiodiversità è implicito un dinamismo continuo in relazione

PREFAZIONE

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11Prefazione

ai cambiamenti ambientali (antropici e naturali) e alle di-namiche di popolazione da cui proviene la necessità dieseguire sempre le seguenti operazioni: a) rilevare; b) mo-nitorare; c) confrontare. Il presente lavoro riguarda le specie alloctone del Lazio mai dati provengono dalla ricerca effettuata su tutta la floradel Lazio. In questo volume vengono trattate le sole speciealloctone, in quanto si è voluto dare uno spazio adeguatoalla trattazione di un tema molto attuale riguardo allaminaccia della biodiversità; arrivare ad un quadro conoscitivoadeguato sulla distribuzione delle alloctone ha quindirichiesto l’esplorazione di tutto il territorio con il censimentodi tutta la flora (autoctona e alloctona) delle specie identificatesul campo e in erbario. Dal dataset completo dei datifloristici sono stati estratti quindi i record riguardanti la di-stribuzione delle specie alloctone. L’importanza e i rilevantiproblemi che queste entità sollevano si possono valutarein base all’informazione che offrono come bioindicatoriprincipali nei processi, tra tutti, riguardanti il global change,

l’antropizzazione e il monitoraggio della biodiversità.Speriamo che questo sforzo sia un incentivo a continuarele ricerche nello spirito della ricerca biogeografica che cispinge come botanici a rispondere alle due domande fon-damentali: “Where” and “Why”, la cui risposta pensiamo diaverla prodotta nei modelli di distribuzione (“patterns”)che qui presentiamo.Tale lavoro, pur nel rigore scientifico, spera anche distimolare l’interesse di tutti i cittadini verso l’attenzione alpatrimonio di biodiversità del Lazio e in particolare al pro-blema delle specie alloctone; per questo le mappe di di-stribuzione costituiscono la parte più importante su cui ri-flettere, utile ad acquisire una coscienza di come la biodi-versità sia un fenomeno soprattutto spaziale, in cui ognicittadino del Lazio può mettersi a confronto nel luogostesso dove vive, offrendo il proprio contributo con l’os-servazione personale, approccio trasmesso proprio dalProgetto europeo di Citizen-Science CSMON-LIFE.

Fernando Lucchese

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13La Regione Lazio e il suo territorio

ConFini“Come la maggior parte delle nostre regioni, il Lazio ha confini imprecisi. Vari sono i paesaggi, diverse le condizioni di vita. A nord sembra confondersi con la Toscana e l’Umbria…” (Piovene, Viaggio in Italia, 1956).

Il Lazio si estende su una superficie di 17.227 km2 con lasuddivisione tra 5 province (Viterbo: 3.615,24 km2; Rieti:2.750,52 km2; Roma: 5.363,28 km2; Frosinone: 3.247,08 km2;Latina: 2.256,16 km2).Lungo la costa i limiti estremi del Lazio vanno dalla foce delChiarone a nord (42°22’40’’-11°26’59’’, punto assoluto più adW) alla foce del Garigliano a sud (41°13’21’’-13°45’43’’) condistanza in linea retta di 235 km; un’altra linea perpendicolare(distanza 130 km), con direzione SW-NE, può essere condottadalla foce del Tevere (41°44’24”-12°14’04”) al crinale dei Montidella Laga (Pizzo di Moscio, 13°23’53’’-42°38’48’’). Il bacinodel Tronto costituisce il suo versante più vicino al mareAdriatico, dove con i M.ti della Laga il Lazio raggiunge anchela massima altezza (M. Gorzano 2.458 m). Il suo principaleconfine naturale è la costa tirrenica, mentre al limite con laToscana segue il F. Chiarone dalla foce fino a Pescia Fiorentinae poi presso Vulci segue il F. Fiora e i M.ti Romani (M. Bellino).Da qui il confine raggiunge la Selva del Lamone, seguendo ilfosso La Nova per poi deviare verso nord fino a raggiungereil corso del F. Paglia presso il ponte di Rigo sulla via Cassia(punto di incontro tra i corsi del T. Senna, il Paglia, il T. Rigo eil T. Elvella). Seguendo il T. Elvella e lambendo il lago di S. Ca-sciano (punto più a N verso la Toscana, 42°50’18”-11°51’07”),il confine lascia la Toscana ed entra nell’Umbria sul versanteest di M. Rufeno (734 m) fino a raggiungere di nuovo il F.Paglia, piegando verso sud presso la cinta settentrionale deiM.ti Vulsini (lago di Bolsena) fino a Bolsena. Da qui verso estil confine raggiunge il bacino del F. Tevere presso Castiglionein Teverina e, piegando verso sud, sfiora il lago di Alviano eraggiunge prima Attigliano e poi Orte presso la confluenzacon il F. Nera fino a Rocchette (Magliano Sabina, presso cui èil punto più meridionale dell’Umbria), affiancando l’Autostradadel Sole; da qui prosegue verso est lungo la cresta dei M.tiSabini (tra M. Cosce e M. S. Pancrazio), toccando la cima dellaMontagnola (1060 m), fino al lago di Piediluco dove raggiungeanche il F. Velino. Seguendo la cresta dei M.ti Reatini, attornoalla conca di Leonessa, intercetta di nuovo le sorgenti del F.Velino tra M. Prato (1.813 m) e M. Pozzoni (1.904 m), raggiunge

il M. Utero (1.808 m) dopo il quale lascia l’Umbria ed entranelle Marche incontrando il F. Tronto sotto Accumoli. Dal F.Tronto (presso la via Salaria) il confine raggiunge i M.ti dellaLaga dove incontra, in prossimità della cima della Maceradella Morte (2.073 m), un punto di incrocio (42°41’38”-13°21’27”) tra Lazio, Marche e Abruzzo e più a sud il Pizzo diSevo (2.422 m). Il confine chiude la conca di Amatrice rag-giungendo il punto più ad NE verso l’Abruzzo (42°38’16”-13°24’34”) con le cime più alte della Laga (M. Gorzano,42°37’06”-13°23’43”), presso cui sono ubicate le sorgenti delF. Tronto, e ritorna verso ovest sullo spatiacque tra la valle delF. Velino e quella del F. Aterno (Passo di Montereale, 42°34’09”-13°17’33”, 1315 m) fino a Antrodoco e continua sulla crestatra M. Gabbia-M. Giano-M. Caola-M. Calvo fino alle gole diAntrodoco; dalla Sella di Corno arriva ai M.ti della Duchessa(M. Cava, 1.797 m e il Morrone, 2.266 m) dove incontra l’Au-tostrada Roma-L’Aquila. Avendo sulla destra orografica ilMassiccio del Velino, il confine piega bruscamente versoovest, abbassandosi di quota e tagliando l’Alta Valle delTurano, la Val di Varri e il F. Turano presso Turania; tra Riofreddoe Arsoli prosegue verso SE lungo la valle del Fosso Fioio, sieleva sulla cresta dei M.ti Simbruini, M.ti Cantari (M. Viglio,2156 m) e M.ti Ernici (M. Rotondo e Pizzodeta, 2.037 m) finoa tagliare la valle del Liri o val Roveto presso Sora. Da qui ilconfine risale sopra Pescosolido e Campoli Appennino finoal passo di Forca d’Acero (1.535 m) e lambisce il M. Petroso(2.247 m) in Abruzzo, raggiunge la Meta (2.241 m, 41°41’20”-13°56’53”) che segna il punto di incrocio tra Lazio, Abruzzo(poco più distante è il Molise). Dal vicino passo dei Monacientra nel Molise sulla cresta delle Mainarde, raggiungendo ilpunto assoluto più ad E sul T. Rava, (41°31’23”-14°01’41”),fino al confine con la Campania presso il M. Sambucaro (S.Vittore del Lazio), attraversando l’Autostrada del Sole eentrando in Campania; il F. Garigliano (confine tra Lazio eCampania) si dirige verso sud e presso Suio si fa strada in unastretta tra le pendici del Vulcano di Roccamonfina e i M.ti Au-runci per poi allargarsi fino alla foce presso Minturno. Riassumendo, i confini del Lazio continentale possono esseregeoreferiti in alcuni punti base: il punto più a S è il Promontoriodi Gaeta (41°12’14”-13°34’33”), quello più a W è la foce delChiarone (42°22’40’’-11°26’59’’), quello più a N è il lago di S.Casciano (42°50’18”-11°51’07”), entrambi verso la Toscana,quello più ad E è sul T. Rava (41°31’23”-14°01’41”) verso ilMolise; il punto più ad NE verso l’Abruzzo è sulla cresta dellaLaga tra Pizzo di Sevo e M. Gorzano (42°38’16”-13°24’34”).

1 - LA REGIONE LAZIO E IL SUO TERRITORIOdi Fernando Lucchese, Marco Iocchi

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14 Parte generale - Capitolo 1

geologiaIn un quadro molto generale possiamo distinguere nelLazio i seguenti settori geologici principali, a cui si possonofar corrispondere le relative litologie (Fig. 1.1); per ogni ul-teriore approfondimento e confronto si rimanda alla Guidageologica del Lazio, strumento utilissimo con cui è possibileosservare in campo gli eventi geologici che hanno interessatoil Lazio (Cosentino et al., 1993):A) Un Lazio vulcanico corrispondente ai vulcani della Tuscia acui si aggiungono a sud del Tevere i Colli Albani (Foto 1), leemissioni della valle del Sacco (vulcanismo “ernico” di Pofi,Giuliano di Roma, Patrica) e, proprio sul confine del Garigliano,quelle del vulcano di Roccamonfinainoltre, il centro di Cupaelloal margine della Conca di Rieti. Il vulcanismo del Lazio puòessere distinto in un vulcanismo acido, più antico (inizio circa2 Ma fa), e in un vulcanismo alkalino-potassico (inizio circa800.000 anni fa). Nel distretto Cimino si sono messi in postodomi di lave acide, accompagnati da fasi di violente esplosioni,e attività analoghe hanno avuto il distretto Tolfa-Ceriti-Manzianae quello delle Isole Ponziane settentrionali.Nei distretti vulsino, vicano, sabatino e dei Colli Albani si èavuta attività esplosiva di alta energia, con alternanza distrutture areali e centrali, in qualche caso con la costruzionedi un vulcano-strato (Vico). Del tutto subordinata è stata la

produzione di lave, e diffusa, nelle fasi finali, l’attività dacrateri eccentrici, in genere occupati oggi da laghi. Tuttihanno subìto fasi di collasso vulcano-tettonico, con for-mazione di ampie aree ribassate, alcune con bacini lacustri(L. di Bolsena, L. di Bracciano, L. di Vico).B) Un Lazio con i rilievi in facies di piattaforma carbonaticaLaziale-Abruzzese (Simbruini-Ernici, Mainarde-Meta, Lepi-ni-Ausoni-Aurunci); i rilievi del Lazio in facies di piattaformacarbonatica (successione Laziale-Abruzzese) formano due

Fig. 1.1 - litologie del lazio. Carta geologica informatizzata del Lazio (OpenData della Regione Lazio).

Foto 1 - Profilo del Vulcano Laziale visto da Palestrina; sulla sinistra la cre-sta del M. Artemisio (925 m slm). In primo piano la soglia spartiacque trala Campagna Romana e la Valle del Sacco.

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principali allineamenti; il primo verso est al confine conl’Abruzzo è costituito dalle dorsali dei M.ti Simbruini-Erni-ci-Mainarde, il secondo verso ovest dalla dorsale Volsca(Foto 2 e 3): M.ti Lepini-Ausoni-Aurunci. La sedimentazionecarbonatica inizia con il Trias e arriva fino al Cretacico (Foto4 e 5) per passare poi con evidente lacuna stratigrafica aicalcari a Briozoi e Litotamni del Miocene, che ritroviamocome materiale di cava in molti luoghi, ad es. CorenoAusonio e altri siti presso Frosinone.C) Un Lazio calcareo-silico-marnoso, in facies pelagica(Serie Umbro-Marchigiana), con la tipica successione dicalcare massiccio, rosso ammonitico, maiolica e scaglia,corrispondente ai M.ti Reatini (Terminillo), in continuitàcon la facies di transizione verso il dominio di piattaforma,diffusa nei M.ti Sabini dai M.ti Lucretili fino ai Tiburtini eCornicolani, compresi anche il M. Soratte e M. Circeo, i M.tiRuffi e in parte i M.ti Prenestini (Foto 6), il cui settore meri-dionale conserva un tratto dell’antica soglia della piattaformacarbonatica (scogliere di Rocca di Cave). La successione se-dimentaria “sabina” è più variegata di quella di piattaforma:

Foto 4 - La piattaforma laziale-abruzzese, intervallata da calcari e dolomie,ha avuto periodi di “continentalizzazione” con breve emersione e depositifossiliferi (presso Bassiano rinvenimento personale di resti vegetali di Bra-chyphyllum sp. ?).

Foto 5 - M.ti Aurunci, presso Costa Dritta (Esperia), loc. San Martino, la“passeggiata dei dinosauri”,; impronte risalenti a 140 milioni di anni fa.

Foto 2 - Vista da M. della Bufala (810 m slm, Bassiano, M. Lepini) con il cri-nale tra M. Capreo, M. Semprevisa (1.536 m slm) e M. Erdigheta; succes-sione in facies di piattaforma carbonatica laziale-abruzzese.

Foto 3 - Vista del M. Erdigheta salendo per l’eremo di S. Erasmo nei M.tiLepini occidentali. Potenti strati della piattaforma carbonatica con feno-meni carsici e rupi impostate su faglie normali dove il leccio trova rifugioal di sopra del suo limite altitudinale; in primo piano bosco a carpino nero(Ostrya carpinifolia).

Foto 6 - L’imponente Rupe di Guadagnolo (1218 m slm) dei M.ti Prenestinicon successione di calcareniti a briozoi e litotamni (Langhiano-Tortoniano)e netta linea di erosione sulle sottostanti unità marnose-argillose del-l’Aquitaniano-Burdigaliano (Formazione di Guadagnolo) esposte nei taglistradali.

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Foto 10 - Vista dall’Osteria del Tancia del crinale di M. Tancia (1.292 m slm)con le rupi di Passamonte con il leccio in posizione di rifugio. Tutto il cri-nale è costituito da Calcare massiccio ed è visibile sulla sinistra la nettarottura di pendio rappresentata dal sovrascorrimento sulla Scaglia varie-gata lungo il quale si sviluppa il bosco di carpino nero e roverella con qual-che rimboschimento a pino nero, mentre in primo piano, ricoperto da unfitto ginestreto a Spartium junceum, si osserva un affioramento della for-mazione del Bisciaro (Miocene inferiore) con strati calcareo-marnosi.

Foto 9 - Vista di Poggio Cesi (413 m slm) e Sant’Angelo Romano da Mon-tecelio, rilievi della cosiddetta Dorsale Tiberina a cui si ricollega il M. So-ratte; alla base, al di sopra degli oliveti, è visibile nella foto una trinceascavata nel Calcare massiccio ove affiora la linea di litodomi a 256 m slm,antica linea di costa Pliocenica. La vegetazione è costituita da un densoricoprimento di Ampelodesmos mauritanicus, accompagnato da arbustitermofili, Pistacia terebinthus, Paliurus spina-christi e soprattutto Styrax of-ficinalis.

16 Parte generale - Capitolo 1

inizia con evaporiti triassiche (dolomie di Antrodoco, Foto 7),segue con il “Calcare massiccio” (M. Terminillo, M. Soratte,M. Circeo, M.ti Sabini, M.ti Lucretili, Foto 8 e 9) e con itermini marnosi della scaglia, per passare poi ai terminimarnosi e marno-argillosi delle formazioni del Bisciaro(Foto 10) e delle Marne a Orbulina (Miocene). Le dorsaliformate dalle due successioni (di piattaforma e di transizioneal pelagico) sono attualmente separate dalla linea tettonicaorientata NNE-SSW “Antrodoco-Olevano” (Fig. 1.1 e Foto 7)che rappresenta il sovrascorrimento verso est delle unitàsabine (M. Sabini e M. Reatini) su quelle di piattaforma esui depositi arenacei del Flysch della Laga.D) Un Lazio arenaceo, con la presenza di depositi marini

arenacei, arenaceo-argillosi o arenaceo marnosi noti comeFlysch della Laga (Pizzo di Sevo) e rinvenibili in altri settorimontani (Cicolano, Frosinone, Valle Aniene, Foto11). Con ilprogressivo avanzamento della catena da ovest verso est,lunghe depressioni che si formavano lungo il suo fronte,chiamate “avanfosse”, sono state riempite dai depositi dismantellamento dei rilievi in sollevamento (depositi sinoro-genetici): in tempi diversi si depositano via via la Formazionemarnoso-arenacea che affiora nei M. Sabini, la Formazioneargilloso-arenacea che affiora nella Valle dell’Aniene pressoAgosta (Foto 12) e nella Valle Latina (“Flysch di Frosinone” e“Arenarie di Torrice”), nella Val Roveto e nei M.ti Carseolani,nel Cicolano (flysch arenaceo-argillosi, più giovani dei pre-

Foto 7 - Vista del Lago di Rascino (1.138 m slm), esempio di bacino carsicocon doline e rilievi a cupola (“dorsi di balena”), sovrastato da M. Vignolo(1.470 m slm). Sullo sfondo, a sinistra il gruppo del M. Terminillo e M. diCambio, a destra la cresta (calcari di piattaforma-Cretaceo medio) chesegna il confine tra Lazio e Abruzzo da M. Giano (1.820 m slm), M. Caola(1.778 m slm) fino al M. Calvo (1.895 m slm); alla base, dolomie del Lias-Cretaceo con evidenti solchi di erosione (Valle Lunga). La linea Olevano-Antrodoco separa i M. Reatini dall’Unità di M. Giano-M. Calvo.

Foto 8 - Vista dal bosco del Barco con il profilo dei M.ti Lucretili con M.Morra (1.036 m slm) e M. Gennaro (1.271 m slm) (Calcare massiccio, Liasinf. e Corniola, Lias sup.) sullo sfondo e ampia fascia di detriti di falda allabase (antica costa pliocenica con litodomi, 270 m slm, presso Marcellina);si notano i paesi di Palombara (317 m slm) e Castelchiodato (160 m slm).Più lontano sulla sinistra M. Pellecchia (1.368 m slm, Calcare maiolica) consuccessioni sovrastanti di Marne a Fucoidi.

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cedenti). Più a est e un po’ più tardi (Messiniano superiore) sisono accumulate le torbiditi nel profondo bacino della Laga(Formazione della Laga); quest’ultima aveva raggiunto unacoltre spessa 3.000 m che, una volta emersa, raggiunge orala massima altezza nei M.ti della Laga (M. Gorzano, 2.458 m).E) Un Lazio marnoso-argilloso-selcifero, dove affiora il flyschalloctono delle Unità Liguridi-Sicilidi, che costituisce partedel settore dei Monti della Tolfa (Foto 13), con successioni dimarne, calcari marnosi e selciferi (di età giurassico-cretacica)formatisi in aree marine più profonde delle precedenti e piùoccidentali; queste successioni sono state trascinate da fortimovimenti tettonici fino a ridosso delle successioni primadescritte, tipiche del Lazio, e per questo sono chiamatealloctone. Altre formazioni alloctone si osservano in altreparti, nella Valle del Sacco (“argille caotiche”), come nellazona di sovrascorrimento dei Lepini (M. Siserno e M. Caccume,Foto 14) e degli Aurunci (Maranola), dove sono sottostantialle rocce carbonatiche del Cretaceo, come anche presso S.Felice Circeo e nel bacino del F. Paglia nell’area di M. Rufeno.

F) basamento metamorfico del Fiume Fiora (M. Bellino e M.tiRomani, Foto 15); costituisce i termini più antichi del Lazio(Permiano superiore-Triassico medio) e affiora nella piccola

Foto 11 - Taglio stradale lungo la Valle dell’Aniene presso Agosta che evi-denzia un banco della Formazione torbiditica del flysch arenaceo-argillosomiocenico (Tortoniano superiore); tali strati tamponano la falda che ali-menta le sorgenti lineari lungo l’alveo del fiume.

Foto 14 - Il fronte di sovrascorrimento dei M.ti Lepini sulla Valle Latina.

Foto 15 - Panorama da Cencelle (M.ti della Tolfa) sulla pianura costiera diTarquinia, un tempo sommersa da paludi e ricoperta di boschi igrofili; nelMindel-Riss la linea di costa era posta a circa 40 m, mentre nel Tirreniano acirca 20 m con un mare basso ricco di scogli, gasteropodi e coralli. Si notanoalcune incisioni nelle argille azzurre plioceniche sui terrazzamenti marini.

Foto 12 - Arenarie (Formazione di Frosinone) lungo taglio stradale pressoFerentino.

Foto 13 - Panorama dalla frazione La Bianca (M. Tolfaccia, flysch mioce-nico) su tutta la costa tra Civitavecchia, Tarquinia e Tuscania con le pianuredei fiumi Marta, Arrone e Fiora (Maremma Laziale). Sullo sfondo il crinaledei M.ti Romani e il rilievo conico di M. Canino (successione dal calcareMassiccio al Rosso ammonitico, 434 m slm), alla cui base affiorano anchelivelli marnoso-calcarei (Diaspri, Malm).

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dorsale dei M.ti Romani (M. Bellino), coeva alle formazionisimili della Toscana, con rocce filladiche, scisti e quarziti ricchedi mineralizzazioni, con suoli bruno-acidi che si rinvengonofino alla destra orografica del F. Fiora; a questa formazionepuò essere riferita anche una parte dell’isola di Zannone. Dopo la messa in posto dei rilievi attraverso fasi di tipocompressivo, fasi successive distensive hanno portato allaformazione di depressioni tettoniche (strutture del tipo horste graben) con conseguente invasione marina da ovest nelPlio-Pleistocene, con la deposizione di argille azzurre e sabbiegialle marine lungo tutta la fascia costiera; nella fascia mon-tuosa si sono depositate le argille lacustri nel Bacino Tiberinoe in quello Lirino, mentre le conche intermontane (Bacinoreatino-cicolano-Valle del Salto, Piana di Leonessa, partidella Valle Latina, Conca di Sora) si sono colmate di sedimentiterrigeni (argille, limi, sabbie, travertini) in seguito a regressionemarina (Villafranchiano). Le pianure costiere sono colmatedai depositi alluvionali quaternari più recenti, come le sabbieeoliche presso Fossanova, le sabbie, limi e torbe nella PianuraPontina e le fasce di conglomerati alle pendici dei rilievi,come negli Aurunci (Gianola).

elementi geomorFologiCiil rilievoI confini amministrativi del Lazio ne ampliano la superficieal di sopra di ciò che potrebbe conformarsi come unaregione geograficamente omogenea; pertanto, ne risultaun mosaico di unità morfologiche molto eterogenee traloro che nel loro insieme sono responsabili di un paesaggiotra i più vari e belli d’Italia: mare, coste, isole e alte cime,separate da pianure costiere, conche interne e profondevalli occupate da fiumi e da laghi. Tale “geodiversità” è facilmente osservabile nella lista di ben793 “geositi” riportati e georeferenziati nei lavori di Fattori &Mancinella (2005, 2010). In un altro lavoro gli stessi autori(2011) classificano i geositi in tipologie: a) Geologia strutturale;b) Geomorfologia; c) Grotte e carsismo; d) Idrologia; e) Lito-stratigrafia; f ) Mineralogia; g) Paleontologia e sviluppano inuovi concetti di indice di diverisà litologica (DL), rarità lito-logica (RL) e frammentazione litologica (FL), dalle cui relazionicon pesi diversi deriva un indice più generale di GeodiversitàLitologica (IGL). I territori a maggiore IGL sono i M.ti Romani,i margini E e W dei M.ti Reatini, i M.ti Cornicolani, il margine

Foto 16 - Il Piano della Quartara presso Sezze con ampie doline di cui la più grande è larga 230 m e profonda 70 m.

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19La Regione Lazio e il suo territorio

SW del distretto vulcanico Sabatino, le isole di Ponza e Zan-none, mentre valori medio-alti si hanno nel distretto vulcanicoVulsino, i margini del distretto vulcanico Laziale, alcune areedei M.ti Lucretili, della Valle del Sacco e della dorsale del M.Cairo; i valori più bassi corrispondono alle pianure costiere(Maremma Laziale, Pianura Romana e Agro Pontino), allaValle del Fiume Tevere, ai M.ti della Laga, alle catene montuosecarbonatiche in facies di piattaforma.Il Lazio, come anche tutto l’Appennino, è geologicamenteuna terra emersa giovane e il suo modellamento è risultatodall’azione di varie cause, da quelle geologiche come mo-vimenti orogenetici ed eustatici, risalite magmatiche, tra-sgressioni e regressioni marine, alle variazioni climatiche enon ultima all’azione della vegetazione; questa età geologica“giovane” fa del Lazio un territorio che continua ad evolversisotto i nostri occhi verso un equilibrio, mostrando dissestie frane, alluvioni, terremoti e attività vulcaniche secondarie,problemi che spesso sono stati aggravati dalle attività an-tropiche. Questa “giovinezza” ha avuto una grande azionesull’evoluzione della flora e della vegetazione, a cui hannocontribuito in gran misura anche gli ultimi eventi glaciali.Endemiti, relitti glaciali insieme a relitti terziari, disgiunzioni,vicarianze edafiche, microspeciazione, estinzioni, migrazionisono i principali processi vegetali che hanno accompagnatola biogeografia e la storia geologica; lo studio della flora hacome scopo di ricercare questi contatti tra storia biogeograficae storia geologica, anche se prendere in esame una sola re-gione, per di più solo amministrativa, non potrebbe renderecompleto il risultato. Lo studio della flora alloctona puòrientrare in questo quadro generale di cambiamenti am-bientali che in questo caso sono di origine antropica.Dopo l’emersione miocenica, i rilievi del Lazio hanno subitouno spianamento per carsismo nel Pliocene superiore-Plei-stocene inferiore con una ulteriore fase di emersionetettonica e regressione marina (formazione di bacini interni),a cui sono seguiti sia una nuova fase di carsismo nell’inter-glaciale Riss-Wurm (130-80.000 anni fa) molto caldo e umidosia un nuovo innalzamento tettonico postglaciale che duratuttora con fasi di ringiovanimento fluviale. Si può affermareche il carsismo sia il fenomeno geomorfologico più rilevantee caratteristico della montagna laziale con influenza sullapermeabilità dei suoli e quindi con effetti molto importantisulla vegetazione (Foto 16).L’orografia mostra una regione prevalentemente montuo-so-collinare, che in base alle statistiche si può distinguerein: 26,1% montagne; 53,9% colline tra i 200 e i 600 m slm;20% pianure. I rilievi sono nel quadro generale disposti indirezione appenninica NW-SE (fanno eccezione quelli dispostiin direzione meridiana come i M.ti Lucretili, M.ti Sabini eM.ti Reatini), con versanti verso W ribassati da faglie distensive

e quindi più morbidi rispetto a quelli sovrascorsi verso Emolto più ripidi, interessati da faglie inverse, come si osservanella dorsale dei Volsci, nella catena Simbruini-Ernici eanche nei M.ti Sabini e M.ti Prenestini, oltre che in situazioniisolate e particolari come il M. Soratte. Rilievi più modestisono quelli degli apparati vulcanici con pendii in generemeno ripidi e suoli meno permeabili, su cui la vegetazioneforestale ha uno sviluppo imponente con ampie cerrete,sostituite da castagneti o noccioleti, talvolta anche conlembi limitati di faggeta su suoli andici (M.ti Cimini e VulcanoVicano, Oriolo Romano, etc.).Nella Tab. 1.1 si riportano 44 cime al di sopra dei 2.000 m cheinteressano il Lazio da solo o insieme alle regioni confinanti;17 cime al di sopra dei 2.000 m ricadono solo nel Lazio.Una differenza di forme erosive può essere vista tra i rilieviin facies sabina in genere più plastici e più soggetti agliagenti esogeni e quelli di piattaforma carbonatica, piùrigidi. Sui versanti NNE il pendio è reso ancora più scoscesodalle forme glaciali, che hanno lasciato un’ impronta neicirchi montani, nelle rocce verticali, in campi carsici (CampoCatino) e in valli profonde. Alla base dei rilievi è anche im-ponente la massa di detriti che si accumulano o che vengonoconvogliati nelle valli in grandi conoidi, ad es. M. Terminillo,M. Cambio e M. Prato (M.ti Reatini), M. Morrone (Duchessa),Pizzo Deta (M.ti Ernici), M. Redentore e M. Fammera (M.tiAurunci). Oltre alle brecce di erosione, si possono trovarebrecce di faglia disposte lungo linee evidenti; notevolidepositi dolomitici dovuti ad erosione accelerata si hannoad Antrodoco (Foto 7) e nella vicina cresta presso Antrodocotra M. Giano e M. Calvo (valle Lunga), come anche nei M.tiSimbruini presso Filettino e nei M.ti Bianchi presso Atina(Foto 17), dove le dolomie sono sottoposte ad erosione ac-celerata con evidenti solchi pseudocalanchivi, come anchepresso Vallepietra (Arenella dei Colli). Veri e propri calanchi

Foto 17 - I Monti Bianchi nella val Comino presso Atina con visibili feno-meni di erosione accelerata sulle dolomie su cui si insediano elementi me-diterranei, quali Erica multiflora e Rosmarinus officinalis.

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20 Parte generale - Capitolo 1

n. gruppo montuoso toponimo alt. (m) regione

1 Laga Monte Gorzano 2.458 Abruzzo - Lazio

2 Laga Cima Lepri 2.445 Abruzzo - Lazio

3 Laga Pizzo di Sevo 2.419 Lazio

4 Laga Pizzo di Moscio 2.411 Abruzzo - Lazio

5 Laga Cima della Laghetta, anticima nord 2.372 Abruzzo - Lazio

6 Laga Cima della Laghetta 2.369 Abruzzo - Lazio

7 Laga Monte Spaccato 2.283 Abruzzo - Lazio

8 Laga Cima della Laghetta, anticima sud 2.270 Abruzzo - Lazio

9 Laga Monte Pelone meridionale 2.259 Abruzzo - Lazio

10 Laga Monte Pizzitello 2.221 Abruzzo - Lazio

11 Laga Monte di Mezzo di Campotosto 2.155 Abruzzo - Lazio

12 Laga Monte le Vene 2.020 Lazio

13 PNALM la Meta 2.242 Abruzzo - Lazio

14 PNALM Monte a Mare 2.160 Lazio - Molise

15 PNALM Coste dell’Altare 2.075 Lazio - Molise

16 PNALM Monte Bellaveduta 2.061 Lazio

17 PNALM Monte Cavallo 2.039 Lazio

18 PNALM Monte Forcellone 2.030 Lazio

19 PNALM Monte Mare 2.020 Lazio - Molise

20 PNALM Rocca Altiera 2.018 Lazio

21 PNALM Cappello del Prete 2.013 Lazio - Molise

22 PNALM Cima di Serra Matarazzo 2.007 Lazio

23 PNALM Monte Ferruccia 2.005 Lazio - Molise

24 PNALM Monte Cornacchia 2.003 Abruzzo - Lazio

25 Reatini Monte Terminillo 2.216 Lazio

26 Reatini Vetta Sassetelli 2.139 Lazio

27 Reatini Monte Terminilletto 2.108 Lazio

28 Reatini Cima di Vall’Organo 2.090 Lazio

29 Reatini Monte di Cambio 2.081 Lazio

30 Reatini Monte Elefante 2.015 Lazio

31 Reatini Monte Valloni 2.004 Lazio

32 Simbruini Ernici Monte Viglio 2.156 Abruzzo - Lazio

33 Simbruini Ernici i Cantari 2.103 Abruzzo - Lazio

34 Simbruini Ernici Monte del Passeggio 2.064 Abruzzo - Lazio

35 Simbruini Ernici Pizzo Deta 2.041 Abruzzo - Lazio

36 Simbruini Ernici Monte Cotento 2.015 Lazio

37 Simbruini Ernici Monte Pratillo 2.007 Abruzzo - Lazio

38 Simbruini Ernici Monte Fragara 2.005 Lazio

39 Simbruini Ernici Monte Ginepro 2.004 Abruzzo - Lazio

40 Velino-Sirente Costone, vetta occidentale 2.239 Abruzzo - Lazio

41 Velino-Sirente Monte Murolungo 2.184 Abruzzo - Lazio

42 Velino-Sirente Monte Morrone 2.141 Lazio

43 Velino-Sirente Punta dell’Uccettù 2.006 Abruzzo - Lazio

44 Velino-Sirente Monte Cava 2.000 Abruzzo - Lazio

tab 1.1 - Le vette del Lazio

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21La Regione Lazio e il suo territorio

si ritrovano soprattutto lungo la valle del Tevere dove inte-ressano estesamente la coltre delle argille azzurre delPliocene inferiore (Foto 18) tra Orte, Bagnoregio e Castiglionein Teverina, in modo più limitato a Monte Riccio nella valledel F. Marta presso Tarquinia su argille grigio-azzurre delPliocene medio, nel Rio delle Sciaviche presso Ausonia suargille caotiche delle unità liguridi, come anche sopra Pale-strina a Monti Li Sicchi. I centri abitati di Orte e Civita di Ba-gnoregio, posti sui tufi vulsini, rappresentano un aspettosuggestivo del paesaggio dei calanchi.I rilievi vulcanici sono facilmente distinguibili da quelli dellaserie carbonatica perché in genere presentano ampie fiancatea lieve pendenza e molto regolari (complessi Vulsino e Sa-batino), ma talora si ergono a forma di punta (Tolfa, Tolfaccia,Sassoni) o di domo (M. Cimino) nel vulcanismo acido conmagmi viscosi e più leggeri, oppure si osservano pareti dicolate laviche. L’azione dell’acqua sulle superfici piroclasticheha prodotto un reticolo idrografico ampio e profondo in cuisi possono osservare valli ampie a pareti verticali o stretteforre profonde (Foto 19 e 20), geositi che sono stati oggettodi un attento rilevamento floristico in quanto, per il loro mi-croclima fresco e umido, sono località di rifugio per alcunespecie, soprattutto le pteridofite. Al contrario, le areevulcaniche per la loro recente formazione non sono importantiper l’accantonamento di endemismi, che invece troveremomeglio nel Lazio carbonatico, soprattutto sulle rupi, mentresui versanti a nord come attorno ai circhi glaciali troveremotestimonianze di relitti glaciali o elementi artico-alpini.

le costeIl litorale laziale è formato in grande prevalenza da spiaggesabbiose (circa 236 km) e solo in piccola parte da costerocciose (63 km), situate soprattutto nel Lazio meridionale(Circeo, Gaeta, Sperlonga) anche con alte falesie, mentre nelLazio settentrionale si ritrovano solo tra Civitavecchia e S.

Foto 18 - Presso Monterotondo, affioramenti di argille e sabbie plioceni-che nel bacino del Tevere con vegetazione degradata a Spartium junceum,Arundo donax, Cymbopogon hirtus; area interessata da estrazioni di mate-riale di cava.

Foto 19 - Profonda forra (-55 m) del Fosso di Ponte Terra incisa nelle vul-caniti nella Piana di S. Vittorino sotto Tivoli. Si nota un ambiente ombrosoe umido che favorisce lo sviluppo di diverse specie di felci (ad es., Polysti-chum setiferum, Athyrium filix-foemina) e soprattutto Pteris cretica, relittoterziario presente nel Lazio solo in quest’area.

Foto 20 - Vegetazione igro-sciafila a felci (Phyllitis scolopendrium, Polysti-chum setiferum, Asplenium trichomanes) con Carpinus betulus, Corylus avel-lana e, per inversione termica, altri elementi microtermi (Mercurialisperennis, Cardamine bulbifera, Primula vulgaris, Scilla bifolia, Galanthus ni-valis, etc.) sulle pareti di una forra incassata tra le vulcaniti sabatine.

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22 Parte generale - Capitolo 1

Marinella dove si trovano modeste pareti calcaree-arenaceedel flysch tolfetano, facilmente erodibili. La linea di costa èper lunghi tratti rettilinea e solo in corrispondenza di pro-montori e protuberanze diventa curvilinea e sinuosa con in-senature ampie e nei punti più rocciosi anche con piccoligolfi. Le sabbie del litorale possono essere distinte nei sedi-menti mobili della duna grigia olocenica attuale e in quellipleistocenici più antichi che costituiscono la “duna fossile”arretrata di qualche chilometro rispetto alla prima; solo inalcuni punti non interessati dall’antropizzazione è possibilericonoscere ancora questa antica linea che si prolunga ancheverso l’interno con i terrazzi (Foto 13) delle trasgressionimarine comprese tra l’interglaciale Mindel-Riss (linea dicosta a 40 m ca.) e il Tirreniano (linea di costa a 20 m), chetalvolta l’erosione riduce a rilievi isolati caratteristici (ad es.,loc. “Montirozzi”). Nelle vecchie carte spesso si ritrova ancheil toponimo “tumuleto o tumoleto” nel Lazio meridionalecon riferimento al cordone dunale, detto più spesso “tombolo”nel Lazio settentrionale e Toscana, laddove invece ormai èfisicamente scomparso per cause antropiche.I materiali sabbiosi attuali provengono dai fiumi che liscaricano a mare e quindi si differenziano in base all’area diprovenienza: a nord del Tevere provengono dai complessivulcanici del Viterbese oltre che da quello tolfetano-cerite; asud del Tevere provengono dal vulcano Albano e dai canaliche drenano la pianura pontina e quella di Fondi fino allafoce del Garigliano che apporta anche i prodotti vulcanici diRoccamonfina. La forte presenza di minerali vulcanici, qualipirosseni e magnetite, si osserva in molte spiagge comequelle “nere” di Ostia o alla foce del Garigliano, effetto di ac-cumulo per erosione, un tempo oggetto di estrazione. Sututti questi apporti predomina quello del Tevere come siosserva dal suo pennello alla foce trasportato dalle correntisoprattutto verso N fino a capo Linaro, sebbene la suacapacità di trasporto sia stata ormai ridotta per le dighe el’estrazione di inerti. L’erosione della costa, ormai ovunqueinnescata in ampi tratti, rappresenta la più grave minacciaalla perdita degli habitat sabbiosi e delle specie psammofile.La costruzione di barriere artificiali, come le scogliere fran-giflutti, ha prodotto effetti notevoli sulla vegetazionecostiera: l’allontanamento della linea di battigia ha favoritol’avanzamento della vegetazione arbustiva e l’eliminazionedelle specie dei Crithmo-Limonietea, come è avvenutopresso S. Marinella.

le isoleL’arcipelago delle isole Ponziane (o Pontine) al largo del Golfodi Gaeta consta di 6 isole con una superficie totale di 10,8km², quasi a metà via tra Roma e Napoli, distante dalla costada 30 a 50 km circa e costituito da due parti distanti 39 km,

tra cui spunta lo scoglio della Botte: verso NW il gruppo set-tentrionale di Ponza (7,3 km²), Gavi, Palmarola (1 km²),Zannone (0,9 km²), appartenenti al comune di Ponza, versoSE il gruppo meridionale formato da un’isola più grandeVentotene (1,3 km²) e una più piccola Santo Stefano (0,27km²), distanti tra loro solo 1.600 m e facenti parte del comunedi Ventotene. Si possono accennare ad alcune differenzemorfologiche: 1) Palmarola ha forma allungata N-S con unacosta molto frastagliata in falesie e scogli con altezza di 262m del M. Guarniere; 2) Zannone a forma pentagonale con 5km di costa e altezza di 184 m, la più vicina alla costa; 3) Ven-totene allungata NE-SO con 8 km di costa e altezza di 139 m;4) Santo Stefano a forma quasi circolare con 2 km di costa e68 m di altezza. Geologicamente fanno parte di un allineamentovulcanico lungo circa 100 km che arriva fino a Ischia e Procidae vi si possono distinguere rocce diverse: rocce basiche,andesiti e basalti per Ventotene e Santo Stefano (chimismoalkalino-potassico); rocce di tipo acido con rioliti e lipariti perle altre (M. Guardia formato da una colata lavica di andesiteaugitica); un lembo sedimentario di argille del Pliocene su-periore senza vulcaniti affiora a Palmarola nella punta Tra-montana, mentre a Zannone si riscontrano termini riferibilialla facies di piattaforma triassica e di “Scaglia”. Sulle coste diPonza si osservano i depositi tirreniani a 50 m e pleistocenicia 240 m. La flora presenta diversi endemiti e specie silicofile,mentre la vegetazione, oltre ad aree agricole in gran parteabbandonate, presenta aspetti forestali a Zannone con leccetae macchia, mentre nelle altre isole la macchia è prevalentecon gli elementi tipici sclerofilli.

idrografia (le zone umide)i FiumiNel Lazio, che comunque non costituisce una unità dalpunto di vista idrografico (Almagià, 1976), si possono rico-noscere sul versante tirrenico come bacini principali quellodel Tevere, del F. Velino con gli affluenti del F. Turano e del F.Salto, dell’Aniene, del Sacco-Liri (Valle Latina), mentre, comebacini più isolati quelli che drenano in senso radiale daicomplessi vulcanici verso la costa, sono il Fiora, Chiarone,Marta, Arrone, Mignone; sul versante adriatico, l’alto Trontonasce dalla Laga e riceve le acque dello Scandarello pressoAmatrice lungo la via Salaria (Foto21). In Fig. 1.2 vengono ri-portati i 26 principali corsi d’acqua che hanno maggiore im-portanza nel Lazio e di cui si illustra brevemente il percorso.A nord, al confine della Toscana, il F. Paglia attraversa il territoriodi M. Rufeno sotto Acquapendente, mentre, verso la costa,sempre al confine con la Toscana, troviamo corsi d’acqua piùbrevi, di cui il più lungo è il F. Fiora che, per alcuni tratti, ad es.presso il ponte dell’Abbadia a Vulci, segna il confine che poi sisposta verso Pescia Romana sul Chiarone; il F. Fiora riceve nel

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23La Regione Lazio e il suo territorio

Fig. 1.2 - i fiumi del lazio.

Lazio i corsi dell’Olpeta e del Timone che drenano dall’apparatoVulsino e sfocia al mare presso Montalto di Castro. A sud delFiora, troviamo l’Arrone che sfocia nell’odierna Riva dei Tarquinie il F. Marta, emissario del lago di Bolsena, che lambisceTarquinia. A sud di questa città, si incontra il F. Mignone (65km) che segna il confine tra la provincia di Viterbo e Roma; al-l’altezza della Farnesiana, il Mignone si allarga nella pianuracoltivata e spesso allagata, sfociando al mare.Il Tevere (405 km) dall’Umbria si avvicina al confine del Lazioverso Castiglione in Teverina, ne segna in alcuni tratti il confinetra Attigliano e Orte, entra nella regione percorrendo i restanti205 km fino al mare. Il percorso a monte presenta un regimetorrentizio influenzato dagli apporti notevoli del F. Nera e F.Velino, più a valle è caratterizzato da meandri nei tratti dipianura più ampi, mentre tra Torrita e Nazzano si restringe,sbarrato da una diga, nelle cui vicinanze riceve sulla sinistra ilF. Farfa dai M.ti Sabini ed entra nella Campagna Romana. Ilbacino si amplia in meandri che continuano fin dentro Roma,presso cui riceve l’Aniene, e ne esce verso la Magliana, dovericeve il F.so della Magliana e il F.so Galeria. Il delta del Tevereè fortemente antropizzato e conserva solo alcuni lembirelittuali dell’antica palude e della duna di sabbia.Nel bacino idrografico del Tevere da nord troviamo il F.Velino (90 km) che ha le sue origini alle pendici di M.

Foto 21 - Veduta del F. Tronto presso la confluenza del Torrente Neia (Ama-trice); evidente la grande energia delle acque con trasporto ed erosionedi grandi massi marnoso-arenacei appartenenti al Flysch della Laga. Lavegetazione è caratteristica per la presenza di Alnus glutinosa, Corylus avel-lana, Populus alba e vicinanza di Quercus cerris.

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24 Parte generale - Capitolo 1

Pizzuto presso Cittareale; il F. Salto nasce in Abruzzo, ricevele acque della catena del Nuria e della M.gna della Duchessae forma un bacino d’acqua artificiale; il F. Turano nasce inAbruzzo, riceve il fosso Fojo dai M. Simbruini e anch’esso,sbarrato da una diga, forma un bacino lacustre.L’Aniene (120 km, Foto 22) nasce nel Lazio dai M. Simbruininel M. Tarino, si unisce al Simbrivio che ha le sue sorgenti alM. Autore (Vallepietra). In una stretta valle presso Vicovaroriceve altri corsi d’acqua minori, a destra il Licenza provenientedai M. Lucretili, a sinistra l’Empiglione e il Fiumicino provenientidai M.ti Prenestini. Dopo il salto di Tivoli, confluisce infinenel Tevere presso il Ponte Salario sotto il monte Antenne.A sud del Tevere, i corsi che drenano le pendici dei ColliAlbani sono brevi (Rio Torto presso Pomezia, Fosso Grandepresso Ardea, Fosso del Diavolo presso Torre S. Lorenzo); piùimportante il torrente Astura (18 km), il cui bacino è stato inparte drenato con la bonifica nel canale delle Acque Alte. Incorrispondenza con i Lepini la bonifica ha effettuato un’operadi canali che convogliano gran parte delle acque nel F. Sisto;più importante è il Portatore con la foce a Porto Badino, cheriunisce insieme l’Ufente, proveniente da Sezze, la linea PioVI, parallela alla via Appia e l’Amaseno (44 km), quest’ultimomolto più importante da un punto di vista naturalistico.L’Amaseno è il fiume più importante dei M. Ausoni con ampiobacino che drena notevoli risorgive carsiche; nasce pressoCastro dei Volsci e nel suo percorso riceve dai Lepini sulladestra il fosso di Monteacuto, a sinistra i fossi che drenano le

acque dalla cresta del M. delle Fate e M. Calvo.Il bacino idrografico del Garigliano (158 km) è complesso ead esso partecipano tre fiumi, il Sacco, il Liri e il Gari. Il FiumeLiri dalla valle Roveto presso Sora riceve le acque del Fibrenoe si unisce al F. Sacco presso Ceprano dove riceve anche il F.Melfa proveniente da Picinisco; presso Pontecorvo riceve il F.Gari e presso S. Ambrogio il fiume segna il confine con laCampania, incuneandosi in una stretta tra M. Camino, lependici di Roccamonfina sulla sinistra e i rilievi più bassidegli Aurunci sulla destra. Dopo Suio si allarga in meandrinella pianura e riceve l’Ausente (la sua valle divide tettonica-mente gli Aurunci occidentali da quelli orientali), quasi pressola foce, punto più meridionale del Lazio continentale.

i laghiIl Lazio è ricco di ben 26 laghi naturali, oltre ad altri baciniartificiali anche importanti. In Fig. 1.3 si riportano i principalibacini lacustri, considerando anche il loro rapporto con ibacini fluviali.All’apparato Vulsinio è collegato il Lago di Bolsena, le cuisponde nei tratti più ampi e pianeggianti sono abbastanzaantropizzate da abitazioni e colture, mentre una zona bo-schiva di elevata biodiversità è quella estesa tra i Fossi diTurona e dell’Arlena; nelle vicinanze si trova il Lago di Mez-zano da cui origina il Fiume Olpeta; nel Lazio settentrionalericordiamo anche il piccolo Lago di Vulci, area di una riservanaturale, presso il F. Fiora. Più a nord, il Lago di San Casciano

Foto 22 - Il F. Aniene sotto Subiaco a 380 m slm con acque limpide e fresche.

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Fig. 1.3 - i laghi del lazio.

25La Regione Lazio e il suo territorio

appartiene al Lazio solo per la sua riva meridionale (puntopiù settentrionale del Lazio e della Provincia di Viterbo).A sud di Viterbo, segue il Lago di Vico, il cui emissario con-fluisce nel T. Treia; le sue sponde sono poco antropizzate emantengono zone paludose interessanti come le Pantanaccecon ricca flora ripariale.All’apparato Sabatino appartengono i laghi di Bracciano, diMartignano e di Monterosi, mentre altri due bacini, il Lagodi Baccano e il Lago Stracciacappe, sono attualmente pro-sciugati. Il Lago di Bracciano ha sponde molto antropizzate(attrezzature turistiche, coltivazioni e centri abitati), mentrearee umide abbastanza naturali si trovano solo presso Vica-rello, Riva di Polline, e nell’area protetta delle Pantane (zonaripariale) e Lagusiello (conca calderica limitrofa); il Lago diMartignano ha rive con vegetazione poco interessante. Unaltro piccolo lago è quello di Monterosi vicino alla via Cassia;collegata all’apparato Sabatino, ricordiamo la Caldara diManziana, ove è presente una polla d’acqua mineralizzatache allaga in parte l’area circostante.A sud di Roma, il Lago di Albano o di Castelgandolfo è ilpiù grande dell’apparato vulcanico Laziale, a cui seguequello di Nemi. Il Lago di Albano ha sponde molto ripidericoperte da una densa vegetazione forestale a carattere

montano, tra cui emergono formazioni rupicole più aridecon praterie termofile; le sue rive sono antropizzate. Ancheil Lago di Nemi ha sponde molto ripide e ricoperte di ve-getazione forestale densa, ma anche un ampio tratto piùpianeggiante molto antropizzato con case e colture.Altri specchi lacustri di origine vulcanica, ma ormai pro-sciugati, sono quelli del Lago di Prata Porci e del Lago diCastiglione presso la via Prenestina. Un cenno particolareva al Lago di Giulianello (Monumento Naturale), nella sellatra Velletri e Roccamassima. In relazione ai bacini carsici otettonici il Lazio è ricco di molti specchi lacustri, qualoranon siano stati prosciugati dalle bonifiche. La Conca diRieti conserva alcuni piccoli laghi, il Lago Lungo, il Lago diRipa Sottile e il Laghetto di Ventina, riserve naturali dipregio; anche un piccolo tratto della riva del Lago diPiediluco entra per poco nel Lazio (42°31’20”-12°46’14”,quadr. 134424). Nella zona reatina del F. Velino, attornoalla Piana di San Vittorino, ricordiamo il Laghetto di Paternoe quello di Canetra. Nell’area reatina il Piano di Rascino(Foto 7) sotto il M. Nuria è occupato da una superficieallagata che si estende attorno con una prateria ricca dispecie igrofile (altri bacini sono il Piano di Cornino, Piscignola,Aquilente); nella bassa Sabina, nei M.ti Lucretili, i due

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26 Parte generale - Capitolo 1

laghetti di Percile (Fraturno quello più grande, mentrequello più piccolo ha forma di pozzo con pareti rocciose)ospitano specie rare. Al confine con gli Ernici, pressoFiuggi, il Lago di Canterno occupa una conca tettonica, lecui acque attualmente presentano una elevata eutrofiz-zazione; le sue sponde fangose con terre rosse costituisconoun importante habitat. Nelle aree sabina e tiburtina si svi-luppano sprofondamenti particolari in relazione alla sub-sidenza e corrosione di rocce carbonatiche da parte diacque aggressive con formazione improvvisa di pozzi(“sinkholes”). Alcuni di questi pozzi sono diventati famosi,tra tutti il Pozzo del Merro, ma ricordiamo anche il LagoPuzzo presso Capena, il Laghetto di Vadimone presso Bas-sano in Teverina, altri laghetti si trovano nella PianuraPontina come i laghetti del Vescovo o dei Gricilli conacqua solfurea (Lago Verde, Lago Nero, Lago Bianco, Bagni,Lago Piccolo), il laghetto delle sorgenti di Ninfa, quellodella Doganella e Cotronia presso Cisterna, nella valle delLiri il Laghetto di S. Giorgio presso il paese omonimo.Unico laghetto glaciale del Lazio, vicino al confine conl’Abruzzo, è il Lago della Duchessa a 1.788 m slm sotto ilM. Morrone, dove si osservano anche lembi morenici.Lungo la costa della Pianura Pontina sono importanti ilaghi costieri formatisi dall’accumulo di depositi di barraparalleli alla costa, deposizione facilitata dalla vicinanzadel Promontorio del Circeo: 1) Lago di Fogliano; 2) Lagodei Monaci; 3) Lago di Caprolace; 4) a sud di Sabaudia, ilLago di Sabaudia o di Paola, alimentati da affluenti diacque dolci e in comunicazione con il mare, tutti compresinel Parco Nazionale del Circeo; mentre i primi tre laghihanno sponde naturali con zone palustri e rappresentanohabitat di notevole importanza, quello di Sabaudia ha unosfruttamento ittico con processi notevoli di eutrofizzazionee le sponde sono ricoperte di cemento con scarsa vegeta-zione naturale. A sud del Promontorio del Circeo, nellaPiana di Fondi si estende il Lago di Fondi, in comunicazionecon il mare; sebbene circondato ormai da abitazioni, serree coltivazioni, trova in alcuni punti delle zone naturalimolto importanti con canneti e specie igrofite rare. Più asud, presso Sperlonga, troviamo i due laghetti, Lago di S.Puoto (o San Potito) e Lago Lungo, quest’ultimo separatodal mare da un cordone dunale, mentre il primo è separatodalla strada litoranea; la diversa salinità, acqua dolce per ilprimo e salmastra per il secondo, insieme alla notevoleprofondità del Lago di S. Puoto (- 32 m), si spiega con unadifferente origine, lacustre-costiera per il Lago Lungo,carsica e tettonica per il Lago di S. Puoto. I laghi artificiali del Lazio provengono dallo sbarramentoartificiale di valli; tra questi il più grande è il Lago del Salto,a cui segue quello del Turano. Altri laghi artificiali minori

sono quello di San Giovanni Incarico sul F. Liri, quello delloScandarello presso Amatrice e ancora più piccolo quello diCardito (o della Selva) presso Vallerotonda (FR). Tra le zone umide ricordiamo anche la presenza di stagni epaludi che spesso sono residui di più ampi bacini ormai pro-sciugati, ma che rimangono come toponimi sulle carte: “pan-tano”, ad es. il Pantano di Roiate, “pantaniello”, “lacioni”, pozzetemporanee nella Selva del Lamone, come anche le “piscine”di Castelporziano e della Selva di Sabaudia; in queste aree sitrovano alcune delle specie igrofile più rare del Lazio.

regioni naturali e SuddiViSione geo-agrariaLa suddivisione geo-agraria rappresenta una storia im-portante nella statistica e programmazione economicadel Lazio, come delineata da Cola (1979) a cui ci siamo at-tenuti e confrontabile con quella precedentemente deli-neata da Almagià (1976), che per il Lazio considerava 15subregioni.Agli inizi del secolo scorso sorge la necessità di unastatistica agraria allo scopo di avere un quadro generale,anche se non del tutto preciso, della produttività reale epotenziale del territorio nazionale; tutto ciò attraverso unUfficio di Statistica Agraria e con l’istituzione di un CatastoAgrario (nel 1910) basato sull’unità di ripartizione del “co-mune”, separato dal Catasto Fondiario volto invece solo alcensimento delle proprietà; successivamente nel 1929venne effettuato un nuovo Catasto Agrario sulla base diuna suddivisione in “sezioni”, più rispondente alle caratte-ristiche topografiche del territorio (ISTAT, 1929). Dallesezioni si individuano le “zone agrarie” (aggruppamenti dipiù comuni con caratteri simili prevalenti) e da queste,raggruppandole in base a caratteri prevalenti, le “regioniagrarie” distinte in montagna, collina, pianura a secondadell’altitudine; in sintesi, una regione agraria, tenendoconto anche del clima e di altri fattori geo-pedologici,corrisponde a una zona in cui una coltivazione trova lesue condizioni di sviluppo più favorevoli, considerandoanche il concorso di fattori socio-economici. Dopo questaclassificazione registrata nel 1932, l’Istituto Centrale diStatistica ha apportato sostanziali modifiche: 1) come regioni agrarie vengono chiamate le ex zone agrarie; 2) come zone altimetriche vengono chiamate le ex regioni

agrarie: a) montagna al di sopra dei 700 m; b) collina, aldi sotto dei 700 m; c) pianura, tra 0 e 300 m. Tenendoconto del clima, le zone altimetriche si distinguono inmontagna interna e litoranea, collina interna e litoranea.

Regioni agrarie contigue vengono individuate come “settoristatistici” con il significato di unità socio-economiche simili,in pratica riunendo più comuni vicini tra loro, mentre al di

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27La Regione Lazio e il suo territorio

Provincia tipo n.° nome n.° nome

Viterbo Collina interna 1 Colline del Lago di Bolsena 2 Colline del Fiora e del Marta3 Colline di Viterbo 4 Colline del Cimino5 Colline di Orte e di Civitacastellana

Pianura 6 Pianura del Fiora e del MartaRieti Montagna interna 1 Alto Tronto, Velino e Corno 2 Montagna di Rieti

3 Montagna del Turano 4 Montagna del SaltoCollina interna 5 Colline della Sabina nordoccidentale 6 Colline del Farfa

Roma Montagna interna 1 Alto Aniene 2 Montagna nordoccidentale dei LepiniCollina interna 3 Colline dei Sabatini 4 Colline del basso Tevere

5 Colline della Sabina meridionale 6 Colline dei Tiburtini7 Colline di Palestrina 8 Colline dell’Alto Sacco

Collina litoranea 9 Colline litoranee della Tolfa 10 Colline litoranee dei Colli AlbaniPianura 11 Pianura dell’Arrone 12 Città di Roma

13 Pianura dell’Aniene 14 Porto e Maccarese15 Lido di Roma 16 Pianura di Anzio e Nettuno

Frosinone Montagna interna 1 Monti Ernici 2 Montagna tra il Liri e il Melfa3 Montagna orientale dei Lepini 4 Monte Cairo5 Montagna delle Mainarde - Monte Maio

Collina interna 6 Colline di Frosinone 7 Colline del Liri8 Colline settentrionali degli Ausoni 9 Colline del Rapido e del Liri inferiore

10 Colline degli AurunciLatina Montagna interna 1 Montagna sudoccidentale dei Lepini

Collina interna 2 Colline dei Lepini 3 Colline meridionali degli AusoniCollina litoranea 4 Colline litoranee di Gaeta 5 Isole PonzianePianura 6 Pianura di Latina 7 Pianura di Terracina e Fondi

Fig. 1.4 - regioni agrarie del lazio (Tratto da Cola, 1979).

tab. 1.2 - Denominazione delle Regioni Agrarie del Lazio secondo le Province come in Fig. 1.4 (Cola, 1979).

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28 Parte generale - Capitolo 1

sopra delle unità di Regione vengono denominate leRegioni statistiche: a) Toscana, Umbria, Alto Lazio con Viterbo e Rieti; b) Roma e provincia; c) Campania e Lazio meridionale con Latina e Frosinone. In totale si individuano 45 regioni su una base geomorfo-logica e territoriale omogenea (Fig. 1.4; Tab. 1.2). Tenendoconto della distinzione in settori di pianura, collina e mon-tagna si è proceduto a trovare nel Lazio settori geograficiche riportiamo di seguito, escludendo i confini amministrativiin province e comuni.

Settori geograFiCi del lazioData la sua particolare collocazione geografica, la sua ete-rogenea geomorfologia e la sua complessa origine geolito-logica, il territorio regionale comprende numerosi settorigeografici, i quali anche storicamente e culturalmentehanno acquisito un’identità propria che si è tramandata neltempo attraverso le cartografie geografiche e topografiche. Durante la lunga storia dell’esplorazione botanica del Lazio,i criteri di delimitazione delle aree censite, o quelli utilizzatiper descrivere nel dettaglio le distribuzioni dei taxa, si sonobasati nella maggior parte dei casi sulla delimitazione geo-grafica dei vari settori. Di conseguenza, in questo lavoro si èeseguita una classificazione geografica con lo scopo di man-tenere il più possibile i criteri che storicamente hanno carat-terizzato le scelte eseguite in passato dai botanici nelle loroflore. Tale classificazione del territorio è puramente descrittivaed è stata utilizzata come riferimento geografico ai dati bi-bliografici; non è servita invece al censimento floristico cheal contrario è basato su un reticolo floristico (vedi di seguito).I differenti settori geografici sono stati individuati e cartografatiutilizzando un sistema gerarchico di criteri di classificazionee cercando di definire con criteri più precisi (GIS) il quadroriportato precedentemente da Cola (l.c.). Ad un primo livellosono stati utilizzati dei criteri di classificazione geomorfologicie/o geolitologici, distinguendo le seguenti macrocategorie: 1) “pianure costiere”, ovvero le superfici subpianeggianti a

diretto contatto con la linea di costa, di varia natura lito-logica;

2) “sistemi collinari”, ovvero i rilievi ricadenti per la maggiorparte nel piano collinare (le cui cime solitamente nonsuperano i 1000 metri), aventi una litologia eterogeneao prevalentemente terrigeni, ad esclusione dei rilievi diorigine prevalentemente vulcanica;

3) “pianure interne”, ovvero le superfici subpianeggiantidelle zone interne per la maggior parte di origine allu-vionale, ad esclusione dei pianori inframontani pocoestesi che per semplicità sono stati inclusi all’interno deisistemi circostanti;

4) “distretti vulcanici”, ovvero i rilievi del piano collinare (lecui cime non superano i 1000 metri) di origine esclusi-vamente vulcanica e che sono storicamente ben identificatinella cultura geografica regionale;

5) “sistemi montuosi”, ovvero i rilievi ricadenti per la maggiorparte nel piano montano e/o nel piano subalpino (connumerose cime che superano i 1000 metri).

La delimitazione delle suddette categorie è stata eseguitaseguendo i prinicipali caratteri geomorfologici e geolitologici,ovvero i cambi di morfologia (come linee di contatto trasuperfici pianeggianti e versanti collinari o montani) e icontatti tra litologie differenti. A queste macro-categorie è stata poi aggiunta un’ulterioretipologia supplementare nominata “aree urbanizzate” eche comprende la zona metropolitana di Roma all’internodel Grande Raccordo Anulare, la quale prescinde daisuddetti criteri geomorfologici e geolitologici, ma che halo scopo di considerare separatamente un settore del ter-ritorio soggetto nel tempo a profonde trasformazioni d’usodel suolo e per il quale esistono numerosi contributibotanici che hanno simile valore biogeografico. Ad un secondo livello gerarchico, all’interno delle suddettemacro-categorie, sono stati delimitati differenti settori,seguendo principalmente delle delimitazioni di naturageografica (es. linee spartiacque, corsi d’acqua, linee difondovalle, etc.). Nel complesso sono stati classificati 80 settori geograficicome rappresentato nella Fig. 1.5 (vedi di seguito). La suddetta classificazione è stata utilizzata per semplificaree precisare la descrizione della distribuzione di quei taxaampiamente presenti all’interno del territorio regionale.

lineamenti ClimatiCi e FitogeograFiCiPiani altitudinaliLa regione Lazio si estende dal mare fino alle cime piùelevate dell’Appennino Centrale (Pizzo di Sevo 2.419 m, M.Terminillo 2.216 m, M. Meta 2.241 m) per cui possonoessere distinte 4 regioni fitogeografiche principali: a) Piano basale (dal litorale fino a circa 300 m); b) Piano collinare e submontano (300-1000 m); c) Piano montano, passaggio dal querceto misto alla cerreta

e alla faggeta da quella più termofila (Aquifolio-Fagetum)a quella microterma (Polysticho-Fagetum) (1000-1800 m);

d) Piano subalpino e alpino (>1800 m) con transizioneverso la vegetazione erbacea primaria o climacica (se-slerieto), attraverso la formazione ad arbusti prostrati(Juniperus alpina e Arctostaphylos uva-ursi) (Fig. 1.6- vedidi seguito).

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Fig. 1.5 - Carta dei settori geografici del lazio (originale).

Fig. 1.6 - zone altimetriche del lazio.

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30 Parte generale - Capitolo 1

inquadramento climaticoSeguendo la classificazione climatica delineata da Mori(1957) in base ai regimi termici e pluviometrici, il Laziorientra in due regioni : 1) Regione Tirrenica (regime pluviometrico sublitoraneo e

zona termica tirrenica), caratterizzata da correnti umidemeridionali da ottobre ad aprile con distinzione tra unclima marittimo della fascia costiera e un clima temperatoa inverno più marcato entro la valle del Tevere e nellecolline interne; rispetto al Tevere vengono distinte le se-guenti due parti: quella settentrionale è caratterizzatada venti asciutti da NE (bora) con piovosità a regimeprevalentemente autunnale e primaverile e temperaturemedie annue e invernali più basse, mentre quella meri-dionale è caratterizzata da venti dominanti piovosi pro-venienti da S e SW (molto intensi lungo la costa, come illibeccio) con piovosità a regime soprattutto invernaleprocedendo sulla costa verso sud (la piovosità invernaledi Roma è pari al 30%, quella a Gatea è del 38%);

2) Regione Appenninica (regime pluviometrico appenninicoe zona termica appenninica), rappresentata dal settoremontano al di sopra dei 700 m slm, con sensibile escur-sione termica tra estate e inverno, inverni freddi conneve, precipitazioni più abbondanti in autunno e sul

versante tirrenico rispetto a quello adriatico, più bassenelle zone più interne come le conche intramontane(Amatrice, Valle del Sacco-Liri). Tale classificazione è daconfrontare con quella riportata da Pinna (1978), basatasui criteri di Köppen, e riferibile secondo questi allaclasse C dei climi mesotermici umidi, in cui il Lazio com-prenderebbe un clima temperato mediterraneo ad estatetiepida (< 1000 m slm) con aridità estiva, distinto in duefasce climatiche rispettivamente temperato-calda e su-blitoranea, un clima di transizione da una fascia sub-continentale verso il clima temperato fresco (> 1000 mslm) e il clima temperato freddo d’altitudine (> 2000 mslm, Tmedia gennaio < -3°C). Al di là delle classificazioni,tenendo conto delle tecniche moderne di analisi spazialesecondo il metodo proposto da Attore et al. (2008), èstata effettuata un’analisi esplorativa originale dell’an-damento climatico del Lazio con i dati di temperatura eprecipitazione (Figg. 1.7, 1.8, 1.9 e 1.10). Dalle mappeclimatiche risulta che il gradiente termico è molto ac-centuato dal piano basale a quello altomontano, mentreè meno forte in senso latitudinale (Fig. 1.7). L’andamentodelle medie delle temperature minime del mese piùfreddo (TMmin) mostra (Fig. 1.8) che l’isoterma +6°Csepara molto bene la biocora mediterranea più termofila

Fig. 1.7 - temperature medie annue.

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31La Regione Lazio e il suo territorio

Fig. 1.8 - Temperature medie delle minime - TMmin (Gennaio).

Fig. 1.9 - Relazione tra la distribuzione di Clematis flammula e l’isoterma di 0°C della temperatura media delle minime di Gennaio. La specie arriva a con-tatto con le faggete, ma forma popolazioni scarsamente riproduttive e quindi prossime all’estinzione (“sink populations”).

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(Oleo-Ceratonion), area di maturazione dell’arancio !, evi-denziabile sul versante tirrenico del complesso Cerite-Tolfetano e sui pendii rocciosi posti tra il M. Circeo e ilgolfo di Gaeta, mentre l’isoterma 0°C separa la regionetemperata altomontana più fredda. Osservando la Fig.1.9, si evidenzia che le aree più piovose (PM > 1300mm/a) e più fredde rispetto all’isoterma della Tmin Gen< 0°C sono quelle appenniniche più interne dei M.tiReatini, M.ti Simbruini, M.ti Marsicani, Mainarde, etc.,dove si riscontra una barriera climatica che non permettel’ingresso di specie a carattere mediterraneo (es., Clematisflammula).

L’andamento della piovosità media annua (Pmm) mostra(Fig. 1.10) più elevate precipitazioni nelle aree dei MontiTerminillo, Simbruini-Ernici, Meta, mentre altri valori elevatisi hanno lungo l’allineamento della dorsale Lepini-Aurunciche intercetta le perturbazioni umide occidentali; sul ver-sante tirrenico dell’Alto Lazio le precipitazioni sonoalquanto inferiori per l’effetto di interposizione della Sar-degna (Almagià, 1976), ma la presenza di grandi laghivulcanici potrebbe contrastare questo effetto verso l’internodella Tuscia.Allo scopo di verificare quanto appena osservato mediante

l’uso dei dati di distribuzione di specie guida (bioindicatori),è stata eseguita un’analisi spaziale e comparativa tra la di-stribuzione regionale delle specie legnose (fanerofite) me-diterranee sempreverdi e quella delle specie legnose (fa-nerofite) temperate caducifoglie. Più specificatamente èstata confrontata, in ciascun quadrante CFCE, la frazionepercentuale delle presenze di questi raggruppamentirispetto al numero totale di specie. Dal confronto delle ri-spettive percentuali di presenza dei due gruppi in ciascunquadrante è stata creata una classificazione fitoclimaticadel territorio basandosi sui seguenti criteri:• REGIONE TEMPERATA: quadranti dove la % di caducifoglie

è > 66% e la % di sempreverdi è < del 33%;• REGIONE MEDITERRANEA: quadranti dove la % di sem-

preverdi è > 66% e la % di caducifoglie è < del 33%;• REGIONE DI TRANSIZIONE: tutti i restanti casi di sovrap-

posizione intermedi.Osservando il risultato di questa classificazione basata sucriteri di distribuzione delle specie guida opportunamenteselezionate, è possibile verificare che il pattern spazialedelle regioni fitoclimatiche risultante appare molto similea quanto precedentemente osservato su base esclusivamenteclimatica (Fig. 1.11).

Fig. 1.10 - Andamento della piovosità media annua - PM (scala 700,03-1594,57 mm/a). La linea bianca mostra l'andamento della isoterma di 0°C delleTMmin (gennaio).

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33La Regione Lazio e il suo territorio

Confrontando il risultato di quest’analisi fitogeografica conle classificazioni del clima viste sopra si può concludereche la distinzione nel Lazio in tre regioni può essere inaccordo sia con quella di Mori che con quella di Pinna se siconsidera che tra le due Regioni Appenninica e Tirrenicasia presente una regione di transizione. Per quanto riguardale caratteristiche fitoclimatiche in un maggiore dettagliosi rimanda alla classificazione di Blasi (1994), in cui sipossono distinguere le regioni mediterranea, mediterraneadi transizione, temperata di transizione e temperata, entrocui vengono distinti ombrotipi e termotipi per un totale di15 province fitoclimatiche.

Classificazione e cartografia della vegetazioneLa grande biodiversità ambientale del Lazio è alla base diuna ricchezza di specie elevatissima (3.499 taxa) e ciò de-termina anche una notevole complessità della sua vegeta-zione che non sempre è facile da classificare e identificare.La posizione del Lazio di transizione tra l’Appennino Centralee quello Meridionale rende possibile la presenza non solodi specie al limite settentrionale o meridionale del loroareale, ma anche di formazioni vegetali che si ritrovano in

altre aree lontane (ad es. nella Pianura Padana per gliaspetti planiziali umidi a farnia ed olmo) o sono più rap-presentate verso sud fino nell’Appennino Lucano, come iboschi a farnetto. Per il presente capitolo, che vuole rap-presentare solo una sintesi di tutta la diversità vegetazionalea livello regionale, consultare anche quanto già è statopubblicato precedentemente dall’autore (Lucchese &Pignatti, 1990; Lucchese, 2011).La classificazione della vegetazione più facilmente com-prensibile è quella basata sulla fisionomia del popolamentovegetale; in questa maniera distinguiamo subito le formazioniforestali e quelle erbacee, sottolinenado i processi catenalie seriali che legano questi due mondi. I processi catenalisono importanti nel quadro dell’elevata geodiversità delLazio, della geomorfologia e delle esposizioni che si osser-vano anche a poca distanza nella stessa area; nella seguentedescrizione procederemo dagli aspetti più montani a quellipiù mediterranei.Le unità di vegetazione vengono cartografate utilizzandola banca floristica del Lazio i cui dati sono stati personal-mente rilevati su 544 quadranti (cfr. capitolo sulla Cartografiadel Lazio).Per ogni unità vegetazionale sono state scelte le specie a

Fig. 1.11 - Classificazione fitoclimatica basata su dati di distribuzione di specie guida (fanerofite sempreverdi vs fanerofite caducifoglie).

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le faggete (Querco-Fagetea, Fagetalia sylvaticae)Le faggete possono essere distinte in due tipi principali chesi collocano anche in piani altitudinali diversi da quellomontano a quello altomontano: a) uno più termofilo susubstrato calcareo (Cephalanthero-Fagion con l’ass. Aquifo-lio-Fagetum=Lathryo veneti-Fagetum) caratterizzato da Ilexaquifolium, Daphne laureola, Doronicum columnae, Lathyrusvenetus, Cardamine bulbifera, C. enneaphyllos, Scilla bifolia ediffuso oltre che sulle catene appenniniche anche nei settoripiù elevati dei M.ti Lepini e M.ti Aurunci (Fig. 1.13). Un tipodi faggeta diverso è quello su suoli anche andici dellevulcaniti laziali (Tuscia, Tolfa, Colli Albani), talvolta in situazionimesoclimatiche depresse o sottoquota, spesso con Ilex aqui-folium, in cui specie più frequenti sono Pulmonaria apennina,Allium pendulinum, Corydalis cava, Narcissus poeticus, Galanthusnivalis, Anemone ranunculoides, Cardamine chelidonia; b)l’altro più microtermo su substrato calcareo (Geranio-Fagioncon l’ass. Polysticho-Fagetum=Cardamino kitaibelii-Fagetum),caratterizzato da Acer pseudoplatanus con Polystichum acu-leatum, Orthilia secunda, Cardamine kitaibelii, Prenanthes pur-

Fig. 1.12 - Formazioni ad arbusti prostrati a ginepro nano (aree verdi diconcentrazione: Laga, M.ti Reatini, M.ti Duchessa, M.ti Simbruini-Ernici,M.ti Mainarde).

Fig. 1.13 - Aquifolio-Fagetum (aree verdi di concentrazione: Laga, M.ti Rea-tini, M.ti Duchessa, M.ti Simbruini-Ernici, M.ti Mainarde, M.ti Sabini, M.tiLepini, M.ti Aurunci; varianti acidofile: M.ti Cimini, M.ti Tolfa, Colli Albani.

Fig. 1.14 - Polysticho-Fagetum (aree verdi di concentrazione: M.ti Reatini,M.ti Duchessa, M.ti Simbruini-Ernici, M.ti Mainarde; variante acidofila: M.tid. Laga).

più alta frequenza nei rilievi fitosociologici e questo pooldi specie è stato proiettato nel Lazio secondo le rispettivecoordinate geografiche mediante GIS (metodo interpo-lazione Kriging); in tal modo le cartine esprimono, nontanto la distribuzione dell’unità vegetazionale, ma piuttostola sua concentrazione floristica (densità di rappresentazione)che può essere considerata come un indice della sua po-tenzialità o meglio della sua suitability. Il risultato è unottimo modello di rappresentazione cartografica poichéè evidente la precisa congruenza con i caratteri geograficie climatici; risulta evidente anche come gli areali del-l’Oleo-Ceratonion, dell’Orno-Quercetum ilicis e dell’Aqui-folio-Fagetum qui rappresentati coincidano molto benerispettivamente con le regioni mediterranea, mediterraneadi transizione e temperata indicate in Blasi (1994); labontà di questa corrispondenza dipende dalla grandequantità di record inserita nella banca dati fin qui raccoltae dimostra l’utilità di avere a disposizione una distribuzionedettagliata di tutta la flora per comprendere meglio anchela vegetazione. In ogni cartina il colore verde rappresentail valore più elevato di presenza e il colore rosso quellopiù basso.

le Formazioni ForeStaliFormazione ad arbusti prostrati (Pino-Juniperetea)Nel piano altomontano appenninico è diffusa la formazionead arbusti prostrati (Fig. 1.12) con ginepro nano (Juniperusalpina) a cui si accompagnano altri arbusti quali Berberisvulgaris, Daphne mezereum, D. oleoides, Arctostaphylos uva-ursi, Vaccinium myrtillus, endemismi o specie rare (Campanulamicrantha, Orchis spitzelii) e soprattutto alcune specie delgenere Rosa (Rosa pendulina, R. pimpinellifolia, R. villosa).In tutto l’areale, come nella Laga, si osserva la sua riduzionea causa della pastorizia (incendi ripetuti), mentre la massimaconcentrazione si ha nel Terminillo, nei Simbruini e Ernici.

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purea, Adenostyles australis, Actaea spicata, tipico delle areepiù elevate (Fig. 1.14) dal Terminillo al Parco Nazionale(PNALM). Il Polysticho-Fagetum corrisponde bene all’ isotermaTM min. 0 °C (gennaio), mentre l’Aquifolio-Fagetum a quella+ 2 °C. Un tipo di faggeta su suoli marnoso-arenacei delflysch è quello che si rinviene nei M.ti della Laga (Veronico ur-ticifoliae - Fagetum) dai 1.400 ai 1.800 m in cui, oltre ad Acerpseudoplatanus e Sorbus aucuparia, nello strato erbaceo siincontrano specie spiccatamente acidofile, quali Pyrola minor,Veronica urticifolia, Viola canina, Gymnocarpium dryopteris,Polystichum lonchitis, Oxalis acetosella, Corallorhiza trifida.

i querceti misti e i boschi mesofili (Querco-Fagetea, Quercetalia pubescentis-petraeae) a) Boschi igrofili su suoli silicei Comprendono i boschi legati a condizioni di umidità emesofilia accentuate, spesso in contatto con l’acqua o inzone ombrose con ristagno di umidità, che mitiga l’ariditàestiva, come nelle forre. Le specie dominanti e caratterizzantisono Quercus cerris, Q. petraea, Carpinus betulus, Corylusavellana, Sorbus torminalis, Ulmus glabra, U. minor, Fraxinusoxycarpa, Alnus glutinosa, a cui si aggiungono specie piùlocalizzate quali Ilex aquifolium, Acer pseudoplatanus, Sta-phylea pinnata, Buxus sempervirens, nelle stazioni depresseanche Fagus sylvatica. Le associazioni che occupano stazioniumide, presso torrenti o spesso in forre profonde, sonomeno soggette all’aridità estiva con acqua perenne (so-prattutto zone vulcaniche) e appartengono al Lauro-Car-pinetum betuli (forre dal Fiora ai M.ti Aurunci), all’alleanzaOsmundo-Alnion con il Carpino-Coryletum (Tuscia tirrenica,Bracciano, Fig. 1.15), Alno-Fraxinetum (Castelporziano,litorale romano, Fossanova, Lago di Fondi), Carici remotae-Fraxinetum oxycarpae (Caldara di Manziana, anche conBetula pendula, bosco ripariale). È l’habitat preferenziale dianfibi quali Salamandrina perspicillata, Rana italica e di

molte specie a fioritura primaverile come Vinca minor, Ane-mone apennina, Cyclamen repandum, Primula vulgaris, Ga-lanthus nivalis.Altri boschi che si sviluppano su suoli silicei appartengonoall’Ilici-Quercetum petraeae (Tolfa, Allumiere, M. Sabatini) eallo Hieracio-Quercetum petraeae (Tuscia, Cimini, Tolfa, La-mone, Furbara, Colli Albani), in cui Quercus petraea è abba-stanza diffusa e localmente abbondante. Collegabili serialmente a questo tipo di boschi sono i ce-spuglieti a Rosa canina, Prunus spinosa (prugnolo selvatico)e Crataegus monogyna (biancospino) del Pruno-Crataegetum(Pruno-Rubion ulmifolii), le cui dense fioriture formano mac-chie bianche primaverili caratteristiche del mantello deiboschi, a cui si accompagnano Cornus sanguinea e Rubusulmifolius, che spesso diventa la specie dominante. Questiconsorzi svolgono un ruolo ecologico, trofico e riproduttivoimportante verso l’entomofauna e avifauna.b) Boschi termo-xerofili su suoli carbonatici o marnosi argillosiI querceti a Quercus pubescens e Q. virgiliana, che occupanofrequentemente i versanti meridionali ben esposti e i limitialtitudinali tra 500 e 1200 m, mostrando la penetrazionedi elementi termofili mediterranei (Rosa sempervirens,Smilax aspera, Phillyrea latifolia) in zone anche piuttostointerne (Sabina). L’associazione più diffusa nel Lazio (Fig.1.16) è il Cytiso sessilifolii-Quercetum pubescentis (= Rososempervirentis-Q. pubescentis) che offre un’ impronta ca-ratteristica al paesaggio appenninico; in contatto seriale sicollega frequentemente ai ginepreti a Juniperus communise J. oxycedrus in situazioni di degradazione (Cytisionsessilifolii). Questi boschi sono diffusi in tutta la Sabina, nelReatino e nel Lazio meridionale con Rosa sempervirens,Helleborus foetidus, Digitalis micrantha, Stachys officinalis;un bosco ben conservato a Quercus pubescens e Buxussempervirens (Buxo sempervirentis-Quercetum pubescentis)è stato rinvenuto nella valle del Rio Torto (Cicolano), mentre

Fig. 1.15 - Carpino-Coryletum (aree verdi di concentrazione: Selva del La-mone, bacino F. Fiora, Tuscia, Alta Valle del Velino-Tronto, Colli Albani, M.tiLepini, Valle del Sacco).

Fig. 1.16 - Cytiso sessilifolii-Quercetum pubescentis (aree verdi di concentra-zione: tutti i rilievi carbonatici su versanti aridi, max nell’Alta Sabina tra i M.tiPrenestini e i M.ti Reatini, Lazio Meridionale, 700-1000 m).

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altre formazioni simili ma più degradate si ritrovano attornoa Rieti.I boschi termofili comprendono anche i boschi a carpinonero (Ostrya carpinifolia), con Fraxinus ornus (orniello) eAcer obtusatum (acero d’Ungheria) ed occupano le esposizionipiù fredde e meno assolate, in cui si hanno contatti catenalicon la lecceta e la faggeta (Foto 23). Per il Lazio (Fig. 1.17) iboschi a carpino nero possono occupare ambienti umididi forra (anche flysch) dai Simbruini-Ernici, Valle Aniene,Valle del Salto e Velino (Seslerio-Aceretum obtusati = Sesle-rio-Ostryetum) o ambienti più aridi delle aree carbonatichedi M. Cairo, Lepini-Ausoni-Aurunci, con una forte presenzatermofila di Carpinus orientalis e specie sempreverdi (Scu-tellario-Ostryetum = Melittio-Ostryetum).Alla fascia dei boschi a roverella si collegano serialmente icespuglieti a Spartium junceum, la ginestra odorosa, checolorano ampie distese su tutti i versanti degradati e percorsidal fuoco della Sabina, Tiburtini e Prenestini fino al bassoLazio; una specie che si accompagna alla ginestra odorosaè Cytisus sessilifolius, la cui associazione anche con Juniperusoxycedrus segna il mantello dei boschi a roverella.

c) Le cerrete e i castagnetiLe cerrete rappresentano un tipo forestale molto importanteper i suoi aspetti ecologici e biogeografici, ma anche perl’interesse paesaggistico e la fruizione turistica favoritaspesso dalla riconversione ad alto fusto (es., cerreta di Man-ziana). Si sviluppano su versanti poco scoscesi e con suolopiù evoluto, vulcanico o flyschoide e acidificato (presenzadi Erica scoparia) soprattuto in alcune aree nell’Alta Tuscia(Lamone, Farnese), Tolfa, Cimini, Sabina, Valle del Velino, Ci-colano, Lucretili, Tiburtini, Valle del Sacco, penetrando finonella Valle del Velino. Anche se la loro classificazione risultacomplessa, le cerrete (Fig. 1.18) possono essere ricondotteal Rubio-Quercetum cerridis nella cui composizione, oltre aspecie di tipo mediterraneo, rientrano Coronilla emerus,Erica arborea, Cytisus scoparius, C. villosus, Ruscus aculeatus,Aristolochia lutea, Malus florentina, Silene viridiflora, Helleborusbocconei, Ornithogalum pyrenaicum, Carex digitata, Euphorbiadulcis, Solidago virga-aurea. Altre associazioni di tipo piùmesofilo possono essere riconosciute nello Hieracio-Quer-cetum petraeae, diffuso nella Tuscia, o nell’Asparago tenui-folii-Quercetum cerridis che si ritrova anche nel settore delM. Rufeno su marne e suoli flyschoidi (Selva di Meana) alconfine con l’Umbria. Nuclei a Quercus petraea sono presentinella Tuscia, Tolfa e Colli Albani su vulcaniti.Ad una simile composizione floristica delle cerrete sonoda ricondurre gli impianti di castagno (Fig. 1.19) che carat-terizzano il paesaggio dell’Alto Lazio attorno ai laghivulcanici della Tuscia, sui M.ti della Tolfa (tra Tolfa e Allumiere),su flysch nell’area tra Prenestini, M.ti Reatini, Cicolano e leValli del Velino e Tronto, mentre più a sud nei Colli Albani,Lepini (su terre rosse in cui si sono accumulati le piroclastitiprovenienti dalla Valle del Sacco), le aree flyschoidi dellaCiociaria (Sora) e infine anche su M. Cairo (Terelle). Biocli-maticamente l’area del castagno nel Lazio si pone entrouna piovosità compresa tra 900-1200 mm e una TMmin

Foto 23 - M. Caccume, versante sulla Valle Latina con bosco di frassino ecarpino nero.

Fig. 1.17 - Orno-Ostryon (aree verdi di concentrazione: Valle del F. Velino,M.ti Sabini, M.ti Lucretili, M.ti Simbruini-Ernici, Mainarde, Valle F. Aniene,M.ti Lepini-Ausoni-Aurunci).

Fig. 1.18 - Rubio-Quercetum cerridis (aree verdi di concentrazione: Alta Tu-scia, Tolfa, Valle Velino, Sabina, Cicolano, Valle del Salto, Colli Albani, M.ti Sim-bruini-Ernici, M.ti Lepini).

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(gennaio) tra +3/-1°C. Il castagneto rappresenta un’area dielevata biodiversità floristica favorita dal carattere temperatodel clima che accentua la mesofilia e dai suoli eterogeneiper apporto di vulcaniti, terre rosse e argille flyschoidi. Alle cerrete, ma anche alle faggete della fascia montana,sono da ricondurre in contatto seriale i ginestreti a ginestradei carbonai (Cytisus scoparius) del Cytisetum scoparii su suolivulcanici (Tuscia, Colli Albani), accompagnati talvolta da cisti(Cistus creticus, C. salviifolius), o su flysch arenaceo (Laga, Ci-colano), insieme ad Adenocarpus complicatus, un’altra ginestracaratteristica dei suoli silicei, con numerose specie silicofile;in questi contesti può prendere il sopravvento la felce aquilina(Pteridium aquilinum), infestante su ampie superfici. d) I boschi a cerro e farnetto (Quercion frainetto)I boschi a cerro e farnetto (Fig. 1.20) sono uno degli elementipiù caratterizzanti del paesaggio laziale su substrati vulcanicio arenacei, suoli più sabbiosi e pendii poco acclivi, spessopianeggianti a falda freatica poco profonda (presenza raraanche di Quercus robur). Oggi si riconosce nel Lazio l’asso-ciazione Echinopo-Quercetum frainetto (= Malo florentinae-

Quercetum frainetto), in cui le specie sempreverdi hannoun’elevata incidenza e la cui composizione floristica com-plessa determina facies locali, ad es. con presenza accentuatadi Carpinus orientalis, Quercus suber, Mespilus germanica(cfr. Mespilo germanicae-Quercetum frainetto). Le specie ar-boree caratterizzanti, Quercus frainetto e Q. cerris, hannoun baricentro Balcanico e in Italia hanno una distribuzioneappenninica centro-meridionale; le stazioni dell’Alto Laziorisultano le più settentrionali dell’areale che penetra anchein Toscana (Capalbio).

boschi ripariali, in golene e paludi (Alnetea, Populetea, Salicetea)Si tratta di boschi “azonali”, cioè non legati a una particolarefascia bioclimatica, le cui specie hanno un ampio areale didistribuzione in Europa. Questi boschi vengono raggruppatinelle classi Populetea e Salicetea; ad essi si collega la vegetazioneerbacea delle classi Phragmitetea (Phragmitetalia, Sparga-nio-Glycerion, Phragmitetum communis), Potametea e Juncetea. Lungo le zone umide con acque oligotrofe e più fredde,talvolta presso sorgive, si sviluppano le frassinete ad ontanodell’ Alno-Fraxinetum oxycarpae (Piana di Fondi a Settecan-nelle, Laghi del Vescovo, Lago Lungo, Circeo, F. Amaseno),a cui in alcuni casi si accompagnano la rara Osmundaregalis, come a Tor Caldara, Lago di Fondi, Tolfa, o Frangulaalnus, divenuta molto sporadica. In tutti questi consorzi ri-pariali (Fig. 1.21) è notevole la presenza frequente dellafarnia (Quercus robur) che, insieme a Fraxinus oxycarpa, èun buon indicatore di qualità ambientale e caratteristicadell’alleanza Alno-Ulmion, i cui residui si trovano a Castel-porziano presso le “piscine”.Lungo i tratti planiziali dei fiumi principali (Fiora, Chiarone,Marta, Sacco, Garigliano, Aniene), ma soprattutto nel Tevereda Orte alla foce, si sviluppano le pioppete ripariali indicatecome Populetum albae, ad elevata degradazione antropogena

Fig. 1.19 - Boschi con Castanea sativa (aree verdi di concentrazione: Selva delLamone, Alta Tuscia (Bolsena, M.ti Cimini, Lago di Vico), Alta Valle Velino-Tronto,Cicolano, M.ti Prenestini, Colli Albani, M.ti Lepini, M.ti Ernici (Fiuggi, Sora, etc.).

Fig. 1.20 - Echinopo-Quercetum frainetto (aree verdi di concentrazione: ValleF. Fiora-Canino, M.ti della Tolfa, Tuscia-Tarquinia-Tuscania, M. Soratte, Ma-gliano Sabina, litorale Romano, Pianura Pontina, Valle del Sacco-Liri, Anagni-Ceprano-San Vittore).

Fig. 1.21 - Boschi igrofili-ripariali (aree verdi di concentrazione: Valle F. Fiora,Lamone, Valle del F. Tevere (Orte-Nazzano), Alta valle F. Velino-Tronto, Sabina,Litorale Romano, Pianura Pontina, Lazio meridionale, Valle F. Sacco-Liri).

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con frequenti specie alloctone (Platanus hyspanica, Lonicerajaponica, Ligustrum lucidum, Phytolacca americana, Amorphafruticosa, etc.). Negli alvei fluviali si sviluppano i consorzi pionieri a saliciche fanno capo al Saponario officinalis-Salicetum purpureae,a cui spesso si accompagna anche Salix eleagnos (Leonessa,F.Velino-Salto, T. Cosa, Melfa, Valle di Settefrati-Foto 24) susubstrato ciottoloso e argilloso, soggetto ad alluvioni esommersioni periodiche nei tratti montani. Lungo le rive,soprattutto nei tratti più freschi, si osservano folti consorzicon Petasites hybridus, Calystegia sepium, Rubus caesius,mentre nei tratti più antropizzati l’Urtico-Sambucetum ebuli,frequentissimo nell’area romana e lungo i canali pontinipiù degradati ad elevata eutrofizzazione. Un aspetto parti-colare si osserva nell’area tolfetana (Fosso Paradiso, RioFiume, Furbara) dove sono presenti alcune specie tipichedei tamariceti delle fiumare meridionali quali Tamarixafricana, T. gallica, insieme anche a Vitex agnus-castus. Un cenno meritano le comunità igrofile ed elofitiche sopraaccennate, tra cui emerge l’importanza dei canneti a can-nuccia di palude (Phragmites australis) che, sebbene dalpunto di vista della biodiversità floristica presentino aspettinegativi per l’invasività della specie con esclusione di specieigrofile di pregio, rivestono notevole importanza per l’avi-fauna come habitat preferenziale. Aspetti di questo tipo

sono stati osservati a Torre Flavia, attorno ai laghi costieri ebacini lacustri del Tevere, alla foce dei principali corsid’acqua (Marta, Arrone, Tevere). Le comunità elofite diacque più o meno eutrofiche sono rappresentate da speciesommerse e semisommerse e possono essere incluse nellaclasse Magnocaricetea, in cui si distinguono specie digrande taglia, quali Carex pendula, C. riparia, C. pseudocyperus,C. paniculata, Scirpus lacustris, S. tabernaemontani, Sparganiumerectum, Typha latifolia e Iris pseudacorus. Come specie ac-quatiche si rilevano Apium nodiflorum e Nasturtium officinale,frequenti nei tratti fluviali, oltre a varie specie sommersedi Callitriche (C. stagnalis, C. hamulata, etc.), Myriophyllume Ceratophyllum, oltre a Potamogeton (P. crispus, P. natans,P. nodiflorus, etc.).

la foresta sempreverde mediterranea (Quercion ilicis)La vegetazione legnosa termofila costituita da sclerofille ètradizionalmente compresa nella classe Quercetea ilicis chesi presenta sotto forma di bosco e macchia, mentre gliaspetti a gariga si inquadrano nei Cisto-Lavanduletea, concui i Quercetea ilicis hanno stretti contatti sia seriali che ca-tenali. A seconda dei casi si hanno aspetti di vegetazioneprimaria, ma anche secondari legati alla degradazione e alfuoco, che implicano modifiche soprattutto nella strutturae non solo nella composizione floristica.

Foto 24 - Il Torrente Mollarino a S. Lucia presso Atina.

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Le leccete laziali si differenziano in due associazioni Vibur-no-Quercetum ilicis (Fig. 1.22) e Fraxino orni-Quercetum ilicis(Fig. 1.23) principalmente per un carattere più termofilodella prima e per l’incidenza più frequente di specie cadu-cifoglie (Sorbus domestica, Fraxinus ornus, Quercus pubescens)nella seconda, oltre alla composizione dello strato erbaceo.Il Viburno tini-Quercetum ilicis (= Cyclamino repandi-Quercetumilicis) è la formazione climatogena costiera (Fiora, Tuscania,M. Ceriti-Tolfetani, Lazio meridionale costiero, Circeo, Formia)e nelle isole Ponziane (Zannone), in cui è notevole lapresenza di elementi termofili sempreverdi quali Pistacialentiscus, Myrtus communis, Phillyrea latifolia, Rhamnus ala-ternus, Erica arborea, Arbutus unedo, che offrono una fisio-nomia di un denso bosco con frequenti liane (Smilax aspera,Lonicera implexa, Rubia peregrina, Clematis flammula), mentrepiù all’interno occupa esposizioni caldo-aride in aspettisecondari. Nel Lazio vulcanico tale formazione si sviluppain maniera caratteristica sulle testate tufacee che formanoquasi delle isole circondate da formazioni più mesofile acerro o roverella, arrivando anche dentro la città di Roma(elementi residuali al Campidoglio, Celio, San Paolo).Il Fraxino orni-Quercetum ilicis (Orno-Quercetum ilicis) è lalecceta (Fig. 1.23) distribuita in contatto con i Quercetaliapubescentis, dove occupa le aree più favorevoli e con cuiha in comune diverse specie, tra cui non solo Fraxinusornus, ma anche Ostrya carpinifolia, Pistacia terebinthus,Phillyrea latifolia, Crataegus monogyna. Nella dorsale Lepi-ni-Aurunci si può spingere fino a 800-1000 m (M. Caccu-me-Foto 22, M. delle Fate) occupando substrati rocciosi ecarsificati, dove le caducifoglie sono svantaggiate. In Sabinala lecceta presenta una particolare abbondanza di Arbutusunedo ed Erica arborea, in relazione a substrati più acidi edè in contatto frequente con consorzi ad Erica multifloranelle esposizioni più calde (enclavi mediterranee plioceniche),come in Umbria (Calvi, Amelia).

Alle leccete, ma anche alle cerrete, vengono collegate lesugherete che nel Lazio hanno una distribuzione costieradal Fiora al Garigliano, con penetrazione entro la Valle delTevere fino a Roma e Tivoli, dove la sughereta di M. Catillooffre aspetti veramente particolari sia per la quota e ilsuolo che per la posizione geografica (relitto Pliocenico);la sughereta della Valle di S. Vito alla base dei M.ti Ausonicon predominanza di Erica arborea ha un carattere mesofilo,mentre alla base dei M.ti Aurunci e prossima alla costa lasughereta (Foto 25) nella Riserva naturale di Torre Gianolaha caratteristiche più xerofile. Le sugherete si sviluppanosu suoli sciolti ricchi della silice di origine vulcanica o pro-veniente dalle dune fossili eoliche (Fossanova); vengonoattribuite al Cytiso villosi-Quercetum suberis (Fig. 1.24), ca-ratterizzato da specie acidofile quali Erica arborea, E. scoparia,Phillyrea angustifolia, Cistus monspeliensis, Pulicaria odorae soprattutto elementi ginestroidi di impronta atlantica,quali Teline monspessulana, Cytisus villosus e C. scoparius,più montana ma molto diffusa fino entro la foresta di Ca-

Fig. 1.22 - Viburno-Quercetum ilicis (aree verdi di concentrazione: Valle F.Fiora, Tuscia costiera (Tuscania-Tarquinia-Montalto di Castro), M.ti della Tolfa-Ceriti, Litorale Romano, M.ti Lepini-Ausoni-Aurunci, M. Circeo).

Fig. 1.24 - Cytiso-Quercetum suberis (aree verdi di concentrazione: Valle F.Fiora, Tuscania, Tarquinia, M.ti Tolfa-Ceriti, Litorale Romano, Pianura Pontina,M. Circeo, M.ti Ausoni a Fossanova, Monte S. Biagio, Gaeta e Formia).

Fig. 1.23 - Orno-Quercetum ilicis (aree verdi di concentrazione: Valle F. Fiora,M.ti Canino-Tolfa, Tuscia (tra Tarquinia, Sutri, Bassiano e Orte), M. Soratte,M.ti Sabini-Lucretili-Tiburtini-Prenestini-Ruffi, M.ti Lepini-Ausoni-Aurunci,Lazio Meridionale).

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stelporziano (qui è presente anche il raro Ulex europaeus);abbondante è il corteggio degli arbusti mediterranei (Myrtuscommunis, Pistacia lentiscus, Phillyrea latifolia). Le sughereteassumono un aspetto termofilo oceanico nell’ambito del-l’Oleo-Ceratonion come si osserva dal percorso dell’isotermaTM min 3°C e dalla sua distribuzione costiera tirrenica nellaPenisola.

la macchia mediterraneaVi sono compresi i consorzi sempreverdi caratterizzati fi-sionomicamente da aspetti arbustivi in relazione sia con isubstrati rocciosi e l’esposizone calda sia con i ripetutiincendi. Costituiscono la macchia primaria che si sviluppasopratutto sui versanti rocciosi del Lazio meridionale (dalCirceo a Formia) e nelle isole Ponziane, ma anche susubstrati tufacei assolati, dove si rinvengono specie tipichequali Anagyris foetida, Teucrium fruticans, Calicotome villosa,Lavandula stoechas, Artemisia arborescens, Euphorbia den-droides, Prasium majus. Nel Lazio questi consorzi sono at-tribuiti all’Oleo-Ceratonion (Fig. 1.25) con alcune associazionicostiere, quali Juniperetum macrocarpae-phoeniceae sulledune, l’Oleo-Lentiscetum su versanti scoscesi costieri dell’areaTolfetana-Cerite distinto floristicamente per l’assenza diEuphorbia dendroides e Chamaerops humilis, presenti invece

nell’Oleo-Euphorbietum dendroidis visibile sulle rupi sovra-stanti il porto del Circeo; sui rilievi costieri (Macchiagrandea Ponte Galeria, Gianola, Terracina, Sperlonga, Formia) ilCalicotomo-Myrtetum è un consorzio secondario soggettoa ripetuti incendi, in cui oltre a Myrtus communis, Calicotomevillosa, Pistacia lentiscus, si aggiunge Ampelodesmos mau-ritanicus, graminacea (Foto 26) dai grossi cespi molto resi-stente al fuoco, aspetto floristicamente ricco di terofite(pratelli dei Tuberarietea guttatae).

Foto 25 - Il Promontorio di Torre Gianola con macchia mediterranea e sughereta su terre rosse.

Fig. 1.25 - Oleo-Ceratonion (aree verdi di concentrazione: litorale Lazio set-tentrionale (Pescia-Tarquinia), M.ti Ceriti, Litorale Romano, M. Circeo, PianuraPontina, M. Ausoni-Aurunci).

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le garighe a Cisti (Cisto-Lavanduletea)Tale classe ragguppa le garighe acidofile (Fig. 1.26) che nelLazio sono limitate solo ad alcuni settori vulcanici (Tuscia,area Tolfetana-Cerite), nelle isole Ponziane e sulle sabbieeoliche silicee deposte presso Fossanova, nella Macchia-grande di Maccarese, in collegameno seriale con la sughereta,in cui specie caratteristiche acidofile, quali Lavandulastoechas, Lupinus luteus, Thymus capitatus (su dolomiepresso Sperlonga) risultano molto rare. Specie guida diquesti consorzi sono i cisti (Cistus monspeliensis, C. salviifolius,C. creticus), le eriche (Erica scoparia, E. multiflora), Rosmarinusofficinalis, Phillyrea angustifolia, Simethis mattiazzi, collegatiserialmente con i pratelli a Tuberaria guttata (Tuberarietea)su sabbie e detriti silicei attribuibili al Moenchio-Tuberarietum.Nelle isole Ponziane la gariga è dominata dall’endemicaGenista tyrrhena, che assume uno sviluppo invasivo suicampi terrazzati abbandonati, insieme anche a Lavandulastoechas, Helichrysum italicum, Cistus creticus, C. salviifolius,Thymelaea hirsuta, Simethis mattiazzi.

rimboschimentiTerminiamo questo veloce sguardo sulla vegetazione fo-restale del Lazio con un breve commento sulla distribuzionedelle pinete da rimboschimento. Queste sono rappresentate

sulla costa da Pinus pinea che raggiunge in alcuni casiestensioni notevoli (Castelporziano, Torre Astura, Tarquinia)dove è stato piantato per vari scopi da quello dellaresinazione alla raccolta di pinoli e difesa dai venti; solosporadicamente si ritrova sulle dune P. pinaster con esemplaripoco sviluppati, segno della scarsa attitudine di questaspecie ad acclimatarsi. Anche P. halepensis è poco diffusonel Lazio, essendo presente con un popolamento spontaneosolo presso Sperlonga (Costamezza).

Fig. 1.26 - Cisto-Lavanduletea (aree verdi di concentrazione: Valle del Fiora,M.ti della Tolfa-Ceriti, Litorale Romano, Pianura Pontina, M. Ausoni-Fossa-nova-Priverno).

Foto 26 - Ampelodesmeto presso Sezze, M.ti Lepini.

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Più diffusi sono i rimboschimenti nella fascia montana a P.nigra che dimostrano una forte vitalità e capacità di auto-disseminarsi. Una caratteristica di tutti i rimoschimenti apino è quella di un forte impatto sulla vegetazione naturale,con distruzione del sottobosco naturale che per acidificazionedel suolo scompare e viene sostituito da poche specie. Infine, un cenno anche ai rimboschimenti ad eucalipti, so-prattutto Eucalyptus camaldulensis, che sono diffusi nellapiana attorno Latina in seguito alle bonifiche e che attual-mente vengono apprezzati dagli apicoltori come piantemellifere di pregio. In un contesto di particolare degradoambientale, quale si ha attorno Latina, l’eucalipteto rap-presenta paradossalmente una riserva di biodiversità siaper le piante che per gli animali (Foto 27).

le Prateriela vegetazione erbacea psammofila e igro-alofila costieraLe dune costiere mostrano una vegetazione alofila e psammofila(Fig. 1.27) la cui efficacia nel trattenere la sabbia dipende dadue graminacee principali, Agropyron junceum e Ammophilaarenaria, a cui corrispondono le due associazioni dell’Agropy-retum juncei più avanzato verso il mare e Ammophiletum are-

nariae in posizione più arretrata, a cui segue l’associazione aCrucianella maritima nel retroduna dove le piante sono capacidi resistere all’azione di seppellimento della sabbia. Nelretroduna si formano le pozze salmastre attorno alle quali sisviluppa un’altra grande graminacea, Tripidium ravennae(=Erianthus ravennae) i cui consorzi più rappresentativi possonoessere osservati nella costa di Castelporziano o Focene.

Fig. 1.27 - Vegetazione erbacea psammofila e igro-alofila costiera (areeverdi di concentrazione: costa Lazio settentrionale dal F. Chiarone a Civita-vecchia, tra S. Marinella e foce F. Tevere, litorale Castelporziano-Capocotta,Pianura Pontina tra Anzio e Gaeta).

Foto 27 - Eucalyptus camaldulensis, rimboschimento “seminaturalizzato”presso Latina che ha facilitato l’ingresso di specie rare.

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Altre formazioni erbacee igro-alofile sono costituite nonsolo da graminacee ma soprattutto da ciperacee, quali Ho-loschoenus australis, Schoenus nigricans, Scirpus maritimus,Cladium mariscus e giunchi, come Juncus maritimus e J.acutus. La vegetazione erbacea a carattere alofilo più spintoè quella dei salicornieti a salicornie annuali (ad es., Salicorniapatula) e perenni (Arthrocnemum perenne, A. glaucum),anche con Inula crithmoides, il cui sviluppo fenologicocompleto viene raggiunto verso l’autunno. In tale manieratutta la costa si arricchisce di un mosaico di associazionierbacee che occupano nicchie ecologiche diversificate siaper l’apporto idrico e salino che per la morfologia costiera;tutta la vegetazione, pur non caratterizzata da grande bio-diversità, raggiunge però elevati livelli di produttività e ciòcostituisce un fattore molto importante in relazione allapresenza dell’avifauna. Tale vegetazione è purtroppo ormaimolto ridotta, ma è ancora ben conservata attorno adalcune aree, come Pescia Romana, Montalto, Tarquinia,Macchiatonda, Maccarese, Focene, Castelporziano fino ailaghi costieri del Circeo e al lago di Fondi, che rappresentanoi suoi serbatoi più ampi.

le praterie a graminacee xerotermiche (pseudosteppe mediterranee)Nei rilievi carbonatici o calcareo-marnosi dalla Sabina alLazio meridionale su versanti assolati, evitando le areetufacee vulcaniche, si diffonde una prateria steppica (Fig.1.28) che per la dominanza di Ampelodesmos mauritanicus,un’alta graminacea dai grossi cespi, localmente chiamataanche “stramma”, può essere definita come “ampelodesmeto”,frequentemente soggetta al fuoco da cui però riesce a ri-formare sempre nuovi getti. Si riconoscono aspetti con frequenza variabile di altre speciearbustive che indicano il grado di maturità; negli aspettipiù termofili ritroviamo arbusti mediterranei, quali Pistacia

lentiscus, Phillyrea latifolia o Calicotome villosa, mentre nellafascia collinare ritroviamo soprattutto Spartium junceum.La collocazione sintassonomica è stata inquadrata nel-l’Oleo-Ceratonion, un inquadramento che può essere giu-stificato solo per la parte più termoflia costiera (Ausoni, Au-runci), mentre più attinente è l’inquadramento nei Lygeo-Stipetea che raccoglie le formazioni erbacee perenni xero-terme mediterranee, a cui si ricollegano i seguenti altriconsorzi. In situazioni ancora più aride dell’ampelodesmeto,ritroviamo i consorzi a graminacee sudaniane con Hyparrheniahirta, a cui si accompagnano anche Bothriochloa ischaemume Andropogon distachyos su versanti scoscesi con roccia af-fiorante. Ai Lygeo-Stipetea possono essere ricondotti lecotiche erbose a Brachypodium phoenicoides su suoli ghiaiosialluvionali del Lazio costiero settentrionale (Valli del F. Martae del F. Mignone presso Tarquinia) e quelle a Brachypodiumramosum dei versanti aridi degli Ausoni e Aurunci in contattoseriale con le garighe e la macchia mediterranea.

le praterie xeriche montane appenniniche Le praterie appenniniche possono essere distinte secondoil piano altitudinale occupato (montano o altomontano) osecondo il carattere successionale, potendosi distinguerepraterie primarie e secondarie. Le praterie secondarie (Fig.1.29), che occupano soprattutto il piano montano, sonoinquadrate nei Festuco-Brometea, in cui oltre ad alcunespecie del gen. Festuca (soprattutto Festuca circummedi-terrana) si accompagnano altre graminacee, come Bromuserectus, Phleum ambiguum, Sesleria nitida, Avenula praetu-tiama, Koeleria splendens. La classe Festuco-Brometea vienedistinta in due ordini, Brometalia erecti, a distribuzione eu-ropea occidentale e Scorzonero-Chrysopogonetalia a di-stribuzione orientale e meridionale, mentre a livello di al-leanze si distinguono, a seconda degli aspetti più o menoxerofili, i Phleo ambigui-Bromion erecti, Xerobromion, Bromion

Fig. 1.28 - Praterie pseudosteppicche ad Ampelodesmos mauritanicus (areeverdi di concentrazione: Valle del Fiora, M.ti Sabini-Lucretili-Tiburtini-Prene-stini, Lazio meridionale).

Fig. 1.29 - Festuco-Brometea, praterie xeriche appenniniche (aree verdi diconcentrazione: M.ti Reatini, M.ti Cicolano, M.ti Sabini, M.ti Simbruini-Ernici,M.ti Mainarde, M.ti Lepini-Ausoni-Aurunci).

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erecti. In questa fascia, la cotica erbosa può assumere fisio-nomie arbustive per la presenza di camefite e piccoli arbusti(Foto 28), potendosi così differenziare diverse associazionia seconda anche dell’ecologia del substrato.Camefite e suffrutici più frequenti sono Satureja montana,Artemisia alba, Euphorbia spinosa, Salvia officinalis, Helichrysumitalicum, Onosma echioides, Chamaecytisus spinescens, Rham-nus saxatilis, Daphne oleoides; le specie erbacee più caratte-ristiche che spesso caratterizzano associazioni sono Centaureaambigua, Carex macrolepis, Polygala major, Crepis lacera, Tri-folium montanum, Globularia meridionalis, G. punctata,Stachys recta, Astragalus sempervirens, Asperula purpurea. Nelle parti più elevate dell’Appennino laziale (soprattuttoTerminillo, Laga) su terre brune più decalcificate si estendonole praterie secondarie (Fig. 1.30) a Brachypodium genuense(falasco o pelone), graminacea endemica appenninica(Lucchese 1988) come anche Potentilla rigoana, a cui lo-calmente sono attribuiti alcuni toponimi (Falascosa, LaPelosa, M. Pelone, etc.) e che denotano la degradazionedel fuoco e pascolo.Nelle vallette nivali o in condizioni di suoli umidi si sviluppauna cotica erbosa a Nardus stricta (“nardeti”, Fig. 1.31), unagraminacea cespitosa con foglie molto rigide e pocoappetite dal pascolo, insieme a Poa violacea (classe Nardeteastrictae). Ai nardeti, caratteristici di suoli acidi, possonoessere avvicinate le formazioni a Festuca paniculata, che sisviluppano su suoli più profondi soprattutto nel settoredella Laga, ma anche nel Terminillo, insieme a specieacidofile, quali Avenella flexuosa. Come aspetti più mesofili

Fig. 1.30 - Praterie acidofile a Brachypodium genuense (aree verdi di con-centrazione: fascia altomontana > 1500 m da Laga, M.ti Reatini, Cicolano,M.ti della Duchessa, M.ti Simbruini-Ernici, Mainarde).

Fig. 1.31 - Praterie acidofile a Nardus stricta (aree verdi di concentrazione:fascia altomontana > 1500 m, M.ti della Laga, M.ti Reatini, Cicolano, M.tidella Duchessa, M.ti Simbruini-Ernici, Mainarde).

Foto 28 - Gariga submediterranea a Helichrysum italicum e Euphorbia spinosa presso Castrocielo-Colle S. Magno.

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sempre legati a suoli acidi, in contatto catenale con lefaggete o nei piani carsici montani in cui il suolo è più pro-fondo e umido, si ritrovano pascoli (“cinosureti”) a Cynosuruscristatus, Anthoxanthum odoratum, Arrhenatherum elatius,Tragopogon pratensis e Trifolium pratense.Aspetti particolarmente continentali e aridi (Fig. 1.32) sonoquelli rappresentati da Stipa appeninicola, una graminaceacaratteristica per le lunghe reste piumose che si ritrova in-sieme ad altre specie xerofile, come Achillea tomentosa,Centaurea rupestris; altri stipeti sono invece quelli a Stipacapillata che nel Lazio sono prevalenti al territorio dellaDuchessa su depositi ghiaiosi. Nella fascia altomontana al di sopra dei 1.800 m ritroviamo(Fig. 1.33) i seslerieti a Sesleria apennina (Elyno-Seslerietea),praterie primarie da densi ciuffi su versanti ad elevata pie-trosità e sulle creste più ventose. Queste cotiche erbosecomprendono molte specie artico-alpine, quali Carex ki-taibeliana, Helianthemum canum, H. italicum, Androsacevillosa e belle fioriture quali Iberis saxatilis, Edraianthus gra-minifolius, Gentiana dinarica, Globularia meridionalis.

Storia della eSPlorazione FloriStiCa nelle aree geograFiChe del lazioL’esplorazione floristica del Lazio ha le sue radici fin dal Ri-nascimento e ha testimonianze più precise nel XVII secolosoprattutto con lo sviluppo dell’Accademia dei Lincei edei primi Lincei; l’istituzione di un orto botanico con l’uni-versità medica pontificia ha favorito la raccolta di piantein alcune aree della regione, ad es. il M. Circeo per la suafama di ricchezza in piante medicinali. È proprio da un cu-ratore di questo orto botanico tra la fine del XVII e i primidel XIX sec., il Maratti, che nel 1822 esce la “Flora Romana”,postuma per le difficili vicende del Maratti, ma in realtàcompilata precedentemente al “Prodromo della Flora Ro-mana” di Sebastiani e Mauri, pubblicato nel 1818. A questosegue il “Prodromo” di Sanguinetti del 1837, replicato poinel 1864, tutte nell’ambito di opere che si rifanno nontanto ai confini del Lazio, ma a quello che era lo StatoPontificio inteso nell’ambito di una regione di Flora Romana(quindi Umbria, Marche e Lazio, limitato ai confini dell’epoca,

Fig. 1.32 - Praterie appeniniche a Stipa spp. (aree verdi di concentrazione:Alta Valle Velino-Tronto, M.ti Reatini, Cicolano, M.ti della Duchessa, M.ti Sim-bruini-Ernici, M.ti della Meta).

Fig. 1.33 - Praterie altomontane appenniniche a Sesleria tenuifolia (areeverdi di concentrazione: Alta Valle Velino-Tronto, M.ti Reatini, Cicolano, M.tidella Duchessa, M.ti Simbruini-Ernici, M.ti della Meta-Mainarde).

Foto 29 - Un antico cippo di confine tra Stato Pontificio e Regno Borbo-nico presso Colle Le Coste (Castelliri), 41°40’01”-13°31’53”.

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46 Parte generale - Capitolo 1

Foto 29). L’esplorazione floristica nel Lazio è stata condottasecondo l’individuazione di territori geografici più o menoampi che attiravano l’attenzione personale dei floristispesso in modo casuale e comunque non organizzato daun progetto preciso, quindi un processo di conoscenzamolto più saltuario e meno moderno, a differenza diquanto era avvenuto invece per la “Flora Napolitana” diTenore (1811), concepita come progetto vero e proprio,ampio e ben organizzato (collaborazione di “corrispondenti”).Si avvicina a un progetto invece l’attività di Terracciano(1872, 1873, 1874, 1878, 1890) che tra il 1870 e il 1890compie un’esplorazione dettagliata della Terra di Lavoronella provincia di Lavoro, che sarebbe stata divisa traAbruzzo (Molise), Campania e Lazio. Inoltre, fanno eccezionealcuni lavori più recenti, come la flora di Cavara e Grande(1914) sul M. Terminillo, di Béguinot (1934, 1935, 1936)per le Paludi Pontine dettata dalle esigenze di conoscereun territorio prima della sua definitiva scomparsa per laBonifica che in realtà era stata preceduta da un’inizialeesplorazione nel 1897 e dello stesso autore la flora delleisole ponziane e napoletane. Ricordiamo anche le ampieraccolte di Pappi. Quasi contemporanea alla flora dellePaludi Pontine di Béguinot è la flora di Cufodontis dei M.Simbruini (1939), che insieme rappresentano le flore prin-cipali di quel periodo. Negli anni ’50 Lusina, Anzalone eMontelucci sono i principali punti di riferimento per tutti ifloristi del Lazio e grazie al loro contributo le conoscenzevanno ampliandosi sempre di più sia in senso territorialesia in senso di accuratezza delle conoscenze tassonomiche;oltre ai territori naturali, cominciano ad avere interesse

anche aree urbane, soprattutto quella di Roma, e il gruppodelle specie esotiche che prendono sempre più piedenella regione grazie ai trasporti.Con l’uscita della Flora d’Italia di Pignatti (1982) l’interesseper la flora aumenta rapidamente in tutte le regioni come siosserva dall’aumento delle notule floristiche delle nuove se-gnalazioni di specie non riportate dal Pignatti stesso; l’usodella Flora d’Italia facilita anche il riconoscimento delle speciee ciò risulta molto utile nella diffusione delle conoscenze. Inquesto periodo nasce anche in Italia, dopo il suo inizio inGermania, il progetto di esplorazione floristica sulla basedella griglia dell’Europa Centrale che usa come unità di rile-vamento l’area di base e il quadrante, che si sviluppa primanel nord Italia e viene poi diffuso al centro-sud (Lucchese,1995; Lucchese e Lattanzi 2000) e nel Lazio da Pignatti stesso.L’evoluzione in termini temporali della produzione bibliograficabotanica del Lazio è riassunta nella Fig. 1.34, la quale mostracome negli ultimi decenni si concentra la maggior partedelle pubblicazioni scientifiche. Di fronte a questo trendtemporale si percepisce bene quanto ad oggi sia importantel’aggiornamento delle consocenze a livello regionale.In base alle ricerche floristiche effettuate sono state individuatedelle aree geografiche più esplorate (Anzalone et al., 2005);le delimitazioni delle differenti aree corrispondono alla car-tografia proposta in Anzalone et al. (2010) che suddividonoil Lazio in 26 settori, non seguendo una vera suddivisionegeografica, ma tenendo conto solo di una bibliografiafloristica eterogenea che, insieme a settori molto ampi,comprende anche aree più o meno piccole, come ad es. Vi-carello, Barbarano, Valle del Treia, Civitavecchia, Castelporziano,

Fig. 1.34 - Andamento temporale della produzione della bibliografia botanica del Lazio.

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47La Regione Lazio e il suo territorio

Picinisco. Osservando questa carta (Fig. 1.35) si possono di-stinguere sinteticamente le aree più studiate da quellemeno conosciute; trattandosi però di superfici fortementedisomogenee non è possibile quantificare la reale distribu-zione dello sforzo di campionamento botanico eseguitonel tempo. Inoltre, in alcuni lavori che si riferiscono a settorigeografici anche molto ampi (es. Castelli Romani, M.ti Lepini,Lago di Bolsena, etc.) mancano quasi completamente le in-dicazioni delle località di ritrovamento e pertanto le seppurricche liste floristiche risultano poco utilizzabili ai fini dellacartografia floristica e dell’aggiornamento delle conoscenzedistributive della flora regionale. Per tali zone, quindi, l’esplo-razione floristica definita secondo i criteri di Anzalone et al.(2005) risulta essere sopravvalutata, generando in parteconfusione su dove sia in realtà necessario compiere ulteriorisforzi di campionamento nell’ambito di future azioni dicompletamento delle consocenze.Sulla base dei dati distributivi utilizzati nel presente progetto,che come si vedrà più in avanti provengono sia da esplo-

razioni di campo, sia da fonti bibliografiche e d’erbario, èstato eseguito un conteggio delle segnalazioni floristichebibliografiche all’interno dei settori geografici definiti pre-cedentemente nella Fig. 1.5; in questo conteggio sonostate prese in considerazione solo quelle segnalazioni utilialla cartografia floristica, ovvero quei dati che vengono ri-portati alla fonte con un accuratezza spaziale accettabile(vedi di seguito). Da questa semplice analisi è possibilequindi distinguere quei settori geografici più esplorati dalpunto di vista botanico da quelli, al contrario, dove non sihanno dati pubblicati (Fig. 1.36).Anche questo approccio risente del fatto che i settorigeografici più grandi hanno una maggiore possibilità dicontenere un numero relativamente maggiore di segna-lazioni floristiche, rispetto a quelli più piccoli. Prendendoin considerazione solo i lavori pubblicati, risultano ancorascarse conoscenze bibliografiche nei settori montuosi delM.te S. Pancrazio e del M.te Cosce, le falde meridionalidella Valle del Velino, i M.ti Bianchi, il gruppo montuoso

Fig. 1.35 - Carta delle conoscenze botaniche del Lazio (tratto da Anzalone et al., 2005).

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Fig. 1.36 - Nuova carta delle conoscenze bibliografiche e d’erbario della flora vascolare del Lazio.

48 Parte generale - Capitolo 1

del M.te Giano e i versanti laziali del M.te Utero. Tra lezone collinari si evidenzia la scarsa presenza di segnalazioniper le colline nei dintorni di M.te Canino, Cervaro, SanVittore, Ferentino, Montalto di Castro, San Donato Val diComino, Arpino, M.te Bellino, Tarquinia, Monte Romano eper la Marcigliana. Tra i sistemi planiziali, invece, risultanoancora non indagate la piana di Torano, la Conca di ValComino, la piana di Leonessa e la piana del Fiora, mentretra i distretti vulcanici, seppur tutti possano dirsi ben co-nosciuti, si sottolinea la relativa carenza di segnalazioniutili alla cartografia floristica (scarsa accuratezza spazialedelle segnalazioni) che si osserva per il distretto dei CastelliRomani e per quello del Lago di Vico. Il rilevamento carto-grafico che è stato fin qui condotto da Lucchese, superandoi confini dei settori geografici, ha permesso di colmare talimancanze e raggiungere una conoscenza floristica che ri-

teniamo uniforme su tutti i settori, compresi quelli so-praindicati come “poco esplorati” da altri floristi; talerisultato è stato raggiunto grazie al gran numero diescursioni effettuate e dati di campo raccolti, come è evi-denziato dalle mappe di ricchezza floristica riportate inquesto lavoro. Pertanto, solo l’approccio più corretto edesaustivo della cartografia floristica per quadranti conaree uniformi è quello che ha permesso di dare le infor-mazioni più certe per quanto riguarda lo stato di comple-tamento del rilevamento di tutte le specie, non essendocistati settori del Lazio trascurati rispetto ad altri; da questosforzo risulta che la differenza di ricchezza di specie inquesto caso è dovuta solo a fattori biogeografici, ambientalie antropizzazione e non alla incompletezza del rilevamento,in quanto tutti i quadranti sono stati esplorati con lostesso livello di accuratezza e completezza.

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49Cartografia floristica regionale: metodologia di censimento e archiviazione dei dati

INTRODUZIONELo scopo principale della cartografia floristica è quello diprodurre cartografie della distribuzione delle specie orga-nizzate su un reticolo floristico di riferimento per un datoterritorio. I principali prodotti dei progetti di cartografiafloristica sono la Banca Dati Geografica (anche detta Geo-database) e l’Atlante corologico della flora; la presenza ol’assenza dei singoli taxa all’interno di ciascuna unità di cen-simento sono il risultato di una lunga procedura di acquisizionee revisione dei dati. L’acquisizione dei dati è stata condottaprincipalmente attraverso rilevamenti di campo originali diLucchese (dati di campo) che hanno richiesto un numeroelevato di escursioni impegnative e costose. Secondariamente,sono stati acquisiti i dati disponibili dalla letteratura scientifica(dati bibliografici) e soprattutto, per le specie meno frequentie/o critiche dal punto di vista sistematico, sono stati ancheconsiderati i dati distributivi desumibili dai reperti depositatipresso alcuni erbari regionali (dati d’erbario). Data l’enormemole di dati, è stato predisposto un apposito geodatabasemultirelazionale in modo da archiviare tutti i dati in manierarazionale e permettere una facile e veloce interrogazioneed estrazione dei dati (vedi di seguito). La revisione dei datiacquisiti sulle specie più critiche dal punto di vista sistematicoè stata eseguita principalmente sulla base dell’analisi deicaratteri diagnostici degli exsiccata raccolti durante le esplo-razioni di campo o di quelli depositati presso i principalierbari regionali; secondariamente, sono state utilizzate leinformazioni delle principali revisioni sistematiche pubblicatenegli ultimi anni. Per la revisione della presenza/assenzadelle specie più rare, o di cui non si dispongono segnalazionicerte, o recenti, sono state predisposte delle escursioni dicampo ad hoc, in modo da sciogliere i numerosi dubbiesistenti sull’effettiva presenza di specie all’interno delterritorio regionale. Allo scopo di garantire il maggior gradodi completezza e aggiornamento della situazione regionale,particolare attenzione è stata data a quelle pubblicazioniscientifiche che hanno avuto come oggetto la segnalazionedi nuove specie alloctone per il Lazio (es. la rubrica “Notulaealla checklist della Flora Esotica Italiana”). Dal punto di vistatassonomico è stato eseguito anche un accurato aggiorna-mento della nomenclatura sulla base delle recenti conoscenzesia a livello di famiglie (APG III, 2009, Peruzzi, 2011), sia a

livello di genere, specie e sottospecie (Conti et al., 2005,2007, AA.VV., 2011 - IPFI). Nel loro complesso, sia il geodatabasesia l’atlante corologico costituiscono un importantissimopasso in avanti in termini di aggiornamento e revisionedelle conoscenze scientifiche sulla distribuzione delle specieall’interno della Regione Lazio.

IL CENSIMENTO DELLA FLORA VASCOLARE DEL LAZIOIl metodo di campionamento è stato organizzato all’internodi un reticolo floristico, denominato reticolo MTB (Messti-schblatt = tavoletta 1:25.000 della Carta Topografica dellaGermania), seguendo i principi e gli standard della CartografiaFloristica Centro Europea (CFCE) secondo Ehrendorfer & Ha-mann, 1965; Ehrendorfer, 1967, 1973; Nikfield, 1971; Pignatti,1975, 1978. Il territorio regionale è stato suddiviso in unreticolo di campionamento formato da singole unità di cam-pionamento (Operational Geographic Units, sensu Crovello,1981). I risultati delle singole esplorazioni floristiche sonostati annotati in specifiche schede di rilevamento e poi suc-cessivamente archiviati all’interno del database relazionaledelle segnalazioni floristiche di campo. Il censimento floristicoè stato eseguito all’interno di tutta la superficie del quadrante,esplorando il territorio anche in tempi differenti e in stagionidifferenti in modo da raggiungere un elevato grado di com-pletezza dei dati (vedi Appendice A). Per i quadranti che ri-cadono a cavallo del confine regionale, che comprendonoquindi sia porzioni di territorio laziale sia porzioni di territorioappartenenti a regioni limitrofe, il censimento è stato eseguitocomunque su tutta la superficie del quadrante, includendopertanto anche porzioni di territorio al di fuori del territorioregionale. In questo modo i dati dei quadranti “trans-regionali”possono essere facilmente confrontati con quelli che ricadonototalmente all’interno del territorio regionale. Per le speciepiù critiche dal punto di vista sistematico e/o di difficile in-dividuazione sul campo, sono stati raccolti dei saggid’erbario che successivamente sono stati sottoposti adesami specifici dei caratteri diagnostici per il riconoscimento.I reperti d’erbario raccolti sono depositati presso l’Erbariodell’Università di Roma Tre (URT). I dati di campo, relativialle specie più rare o critiche, riportati nelle mappe, sonosempre collegati a reperti di erbario depositati (URT).

2 - CARTOGRAFIA FLORISTICA REGIONALE: METODOLOGIA DI CENSIMENTO E ARCHIVIAZIONE DEI DATIFernando Lucchese, Marco Iocchi, Stefania Paglia

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50 Flora alloctona - Capitolo 2

Il reticolo CFCEIl reticolo CFCE si basa sul sistema di riferimento medioeuropeo UTM-EuropeanDatum1950. Secondo questo me-todo di campionamento il territorio regionale viene sud-diviso in «Aree di Base» aventi una superficie di circa 148km² (corrispondente, alla latitudine del Lazio, ad un’ampiezzalongitudinale di 10’ geografici e un’ampiezza latitudinaledi 6’ geografici). Ciascun’area di base (Fig. 2.1) vienesuddivisa a sua volta in 4 «Quadranti» di circa 38 km² (cia-scuno corrispondente a un’ampiezza longitudinale di 5’geografici e un’ampiezza latitudinale di 3’ geografici, circa7 km x 5.5 km in media nel Lazio); la forma del quadrantecorrisponde a un quadrato solo alle latitudini dell’EuropaCentrale, mentre verso sud diventa un rettangolo piùlargo a causa del fatto che, mentre il grado di meridianomantiene una lunghezza costante, la lunghezza del gradodi parallelo varia a seconda della latitudine, aumentandoverso sud, da cui risulta che i quadranti del Lazio sonopiuttosto “rettangoli” o più esattamente “trapezi”. Da ciòrisulta che i quadranti del reticolo hanno aree leggermentediverse da nord verso sud, sebbene nel Lazio possiamoassumere che tutti i quadranti siano equivalenti tra loro.Un vantaggio importante del reticolo MTB è che, essendocalibrato su un datum geografico, compensa la rotonditàdella superficie terrestre in maniera uniforme generandouna griglia continua, mentre nei sistemi che seguono undatum chilometrico, come ad esempio nel sistema UTM,le “sottozone” che si trovano lungo la zona di sovrapposizionedei fusi (in Italia fuso 32 e 33) non combaciano tra loro,

generando dei trapezi di superficie molto differente rispettoa quelli al di fuori della zona di sovrapposizione. General-mente si può risolvere il problema estendendo sui fusiadiacenti il reticolo impostato su un fuso centrale di riferi-mento; ma ciò crea sensibili problemi di precisione (diequidistanza, isogonia ed equivalenza). La zona di so-vrapposizione tra i fusi 32 e 33 si estende dal Trentino alLazio e pertanto per queste regioni la scelta del reticoloMTB sembra più opportuna. Dal punto di vista operativole Aree di Base CFCE corrispondono a un quarto dellacarta IGM 1:50.000, che suddivise a loro volta in quattrodanno origine a sedici Quadranti; le Carte Tecniche Regionali1:10.000 corrispondono esattamente a un Quadrante. Il sistema di codifica dei quadranti viene definito sullabase di una numerazione progressiva che identifica leAree di Base e i Quadranti stessi secondo lo standarddefinito dal sistema CFCE. In particolare, le Aree di Basevengono definite da un codice a cinque cifre che risultadall’accostamento tra le coordinate verticali latitudinali(prime tre cifre) e quelle orizzontali longitudinali (ultimedue cifre), ad esempio il Promontorio del Circeo è intera-mente incluso nell’area di base 147-44 (vedi Fig. 2.2). Insenso latitudinale il territorio regionale è compreso tra ivalori di coordinate 131 che inzia a 42°53’ N e 152 che ter-mina a 40°42’ N (al contrario dei normali sistemi di riferi-mento i valori di latitudine nel sistema CFCE crescono danord verso sud), mentre in senso longitudinale il Lazio ècompreso tra i valori 34 che inizia a 11°20’ E e 50 chetermina a 14°10’ E. Considerando che all’interno di ciascu-n’area di base possono essere distinti quattro quadranti,la codifica dei quadranti è definita nel complesso da 6cifre, di cui le prime cinque corrispondono all’area di basedi appartenenza, mentre solo l’ultima cifra distingue ilquadrante all’interno dell’area di base secondo il seguenteordine da sinistra verso destra: codice 1 per i quadrantiche all’interno dell’area di base si trovano nella posizionerelativa “in alto a sinistra” (NW), codice 2 per i quadranti“in alto a destra” (NE), codice 3 per quelli “in basso asinistra” (SW) e codice 4 per quelli “in basso a destra” (SE).Quindi, ad esempio, il Promontorio di Gaeta è totalmenteincluso all’interno del quadrante 14747-3 (vedi Fig. 2.2). Ilprimo esempio di applicazione del metodo cartograficoCFCE nel Lazio è stato la pubblicazione dell’atlante dellaflora dei M.ti Ausoni (Lucchese & Lattanzi, 2000) che hainteressato 24 quadranti con un totale di 1.513 taxa.Come unità geografica operativa di censimento (OGU,sensu Crovello, 1981) è stato scelto il Quadrante e pertantoil territorio regionale è stato suddiviso inizialmente in 544Quadranti (Fig. 2.2).

Fig. 2.1 - Suddivisione del reticolo MTB in Aree di Base e Quadranti e lorocorrispondenze cartografiche.

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51Cartografia floristica regionale: metodologia di censimento e archiviazione dei dati

DESCRIZIONE E DEFINIZIONE DEI QUADRANTI CFCE Allo scopo di eseguire un censimento completo ed omogeneosu tutto il territorio regionale sono stati inizialmente definiti eanalizzati i 544 Quadranti CFCE del Lazio. Per ciascun quadrantesono stati individuati i caratteri descrittivi principali (CodiceCFCE; Regione/i, Provincia/e e Comune/i di pertinenza; De-scrizione degli elementi geografici principali; Area di territorioregionale; Altitudine min, max, range e media). A secondadella localizzazione relativa di ciascun quadrante rispetto alterritorio regionale sono state distinte tre differenti tipologie: Tipo 1) Quadrante ricadente interamente all’interno delterritorio regionale; Tipo 2) Quadrante ricadente in parte nel territorio regionalee in parte all’interno di regioni limitrofe; come sottotipo èstato individuato il caso di quadranti la cui area laziale è <50 ha rispetto a quelli in cui questa area è > 50 ha; Tipo 3) Quadrante ricadente in parte nel territorio regionalee in parte sul mare; come sottotipo è stato individuato ilcaso di quadranti la cui area di terraferma è > 50 ha daquello in cui tale area è < 50 ha.

Questa classificazione si rende necessaria per poter consi-derare e distinguere quei quadranti che possono essereutilizzati in analisi area dipendenti con area > 50 ha, daquelli che, invece, possono essere utilizzati solo per analisinon area dipendenti (< 50 ha). Tutti i quadranti confinanti,a prescindere dalla loro estensione laziale, sono stati censitifloristicamente in maniera completa per tutte le specie eper tutta la loro estensione e in tal modo la distribuzionedelle specie viene rappresentata indipendentemente dal-l’appartenenza regionale; fanno eccezione quelle specieche, risultando esclusive di una regione confinante e nonfacenti parte della flora laziale, non vengono rappresentatenelle mappe di distribuzione.L’elenco specifico di tutti i quadranti CFCE del Lazio com-prensivo di tutte le suddette caratteristiche è fornito nel-l’Appendice A. Oltre al censimento floristico di campo, il quadrante CFCEè stato anche utilizzato come unità operativa per il calcolodelle principali variabili (climatiche, geografiche, ambientali,etc.) utilizzate per le analisi spaziali.

Fig. 2.2 - Il Reticolo Floristico CFCE del Lazio suddiviso in 544 Quadranti (ciascuno ca. 38 km²) ed esempio di suddivisione e denominazione dell’areadi base in quadranti.

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52 Flora alloctona - Capitolo 2

LA SCHEDA DI RILEVAMENTOTutti i dati floristici raccolti sul campo sono stati annotati suuna specifica scheda (Fig. 2.3), preparata per il rilevamentofloristico da Pignatti (cfr. Pignatti S. & E., 1990), dove sonostati anche riportati i seguenti dati fondamentali del rileva-mento: 1) Area di Base CFCE; 2) Quadrante CFCE; 3) Data delrilevamento; 4) Nomi delle località di censimento; 5) Habitatdi censimento; 6) Elenco floristico; 7) Eventuali note (vedianche Fig. 2.2). Per ciascuna singola esplorazione sul campoè stata redatta una corrispondente scheda di rilevamento,pertanto a ciascun quadrante CFCE corrispondono piùschede di rilevamento. In caso di ritrovamento di speciemolto rare, di particolare interesse biogeografico e/o con-servazionistico, sono state annotate delle importanti osser-vazioni supplementari che riguardano lo status di conser-vazione delle popolazioni, le caratteristiche principalidell’habitat e la loro esatta collocazione geografica. Difatti,a partire dal 1995, grazie alla disponibilità delle prime tec-nologie GPS portatili, in questi ultimi casi è stato possibileanche rilevare e annotare sulle schede le coordinate geo-grafiche delle stazioni di censimento.

Digitalizzazione dei dati di campoCome già accennato, i dati di distribuzione annotati nelleschede di rilevamento sono stati poi inseriti all’interno deldatabase delle segnalazioni floristiche dei dati di campo. In

particolare sono state digitalizzate le seguenti informazionifondamentali: 1) nome della specie; 2) quadrante CFCE incui è avvenuto il ritrovamento; 3) nome del rilevatore; 4)data dei rilevamenti. Considerando l’enorme mole di datidisponibili, la digitalizzazione di tutti gli altri dati supplementariannotati all’interno delle schede è stata evitata in modo daottimizzare i tempi d’inserimento. Solo per alcune specied’interesse conservazionistico e/o che costituiscono unnuovo ritrovamento inedito per il territorio regionale, sonostate inserite delle informazioni supplementari che riguardanol’esatta collocazione spaziale (coordinate geografiche, olocalità di ritrovamento), l’habitat di ritrovamento, l’altitudine,o altri dati stazionali utili alla definizione dello status diconservazione della popolazione.

SFORZO DI CAMPIONAMENTO E COMPLETEZZA DEI DATIIl censimento floristico del Lazio è stato avviato nel 1982 efino ad oggi (2016) sono state effettuate circa 2.000 escursioni(5,5 anni/uomo), con una media di 3 escursioni per quadrante,che hanno permesso di riportare su scheda circa 800.000annotazioni di specie osservate, assicurando uno sforzo dicampionamento che risulta adeguato in relazione all’ampiezzadella superficie totale (17.227 km²). Per ciascun quadrantesono state eseguite più escursioni di rilevamento distribuitenelle differenti stagioni dell’anno allo scopo di ottenere uncensimento completo della flora vascolare. Il rilevamentodi campo su scheda è stato eseguito sempre ed esclusiva-mente dal Prof. Fernando Lucchese, evitando così una di-somogeneità nella determinazione delle entità.A differenza dei dati desumibili dalla bibliografia e/o daireperti di erbario, dai quali è possibile ricavare solamentela presenza delle specie, quelli raccolti durante il censimentodal punto di vista metodologico sono, invece, da trattarecome dati di presenza/assenza, ovvero dati di cui si èaccertata per ogni quadrante sia la presenza che l’assenza.Considerando che la singola unità di censimento raggiungenella maggior parte dei casi una superficie di circa 38 km² eche sul territorio regionale sono presenti quadranti tra loromolto differenti, passando da quadranti ad elevata etereo-geneità ambientale a quadranti che al contrario presentanoun elevato grado di omogeneità ambientale, appare evidenteche la completezza dei dati in senso assoluto non puòessere raggiunta nella realtà pratica. Anche ipotizzandol’impiego di uno sforzo di campionamento estremamenteelevato e dispendioso, non si potrebbe comunque avere lacertezza di aver raggiunto un livello di completezza assoluto.A questo riguardo, è stata eseguita un’attenta valutazionedei costi e dei benefici derivanti dai possibili protocolli, de-finendo così le strategie di campionamento più opportuneFig. 2.3 - Scheda-esempio di rilevamento di campo del quadrante MTB.

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53Cartografia floristica regionale: metodologia di censimento e archiviazione dei dati

al fine di ottimizzare al massimo le risorse disponibili e rag-giungere un livello di completezza accettabile. Ad esempio,soprattutto nei casi di quadranti molto etereogenei e ricchidi habitat, il campionamento sul campo si è basato su unprincipio di prioritizzazione rivolto in primo luogo al censi-mento di tutti gli habitat presenti all’interno del quadrante.Pertanto si è preferito dare la precedenza al censimento ditutti gli habitat presenti in un quadrante, piuttosto cheeseguire tanti rilievi ripetuti all’interno di uno stesso habitatmolto esteso e/o che ricorre molte volte all’interno dellostesso quadrante. Un secondo criterio di prioritizzazione èstato scelto con lo scopo di verificare la presenza o l’assenzadi specie che mostrano fenologie particolari (a ciclo breve,o sfasato nel tempo rispetto alla maggior parte della floralocale). Di conseguenza è stata data particolare attenzionealla stagionalità dei rilevamenti, replicando i campionamentiin momenti differenti dell’anno soprattutto all’interno deglihabitat dove ricorrono maggiormente i casi di specie a fe-nologia particolare (orchidee, terofite, etc.). Per una veloce valutazione del grado di completezza raggiuntodai dati di campo sono stati quantificati due parametriopposti: 1) false assenze di campo (Fig. 2.4): ovvero i casi incui le assenze rilevate dai dati di campo sono state corrette

da presenze risultanti dai dati bibliografici o d’erbario; 2)false assenze bibliografiche (Fig. 2.5): ovvero i casi in cui leassenze rilevate dai dati bibliografici sono state corrette dapresenze risultanti dai dati di campo. Nel primo caso vi sonocirca 30.000 segnalazioni floristiche provenienti da dati bi-bliografici e/o d’erbario che non sono state ritrovate durantei censimenti di campo (false assenze di campo). Tale valorecorrisponde a circa il 10% del totale delle segnalazioni flori-stiche utilizzabili per la cartografia (circa 300.000 presenze alivello di quadrante CFCE). Nel secondo caso vi sono, invececirca 205.000 segnalazioni provenienti dai dati di campoche non risultano dalla bibliografia (false assenze bibliogra-fiche); tale valore corrisponde a circa il 68% del totale dellesegnalazioni floristiche utili alla cartografia e ciò dimostrache il rilevamento di campo risulta il reale completamentodella conoscenza floristica del Lazio in quanto i dati bibliograficinon sono stati rilevati uniformemente. Tali parametri possonoessere, quindi, utilizzati come riferimento e confronto delgrado di completezza dei censimenti di campo dai quali ri-sultano la gran parte dei dati distributivi. Poiché il censimento di campo è stato condotto per quantopossibile distribuendo lo sforzo di campionamento in manieraomogenea su tutto il territorio regionale, il grado di accuratezza

Fig. 2.4 - Distribuzione spaziale e concentrazione delle false assenze di campo.

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54 Flora alloctona - Capitolo 2

di questo censimento può essere dipeso sia dalla maggiorecomplessità ambientale di alcuni quadranti (che richiedonoun maggior sforzo di campionamento rispetto ad altri) siadalla difficoltà oggettiva di esplorare per intero tutti gli habitatdi ciascun quadrante. Mentre i dati di presenza sono più omeno facili da acquisire, i dati di falsa assenza risultano moltopiù difficili da evitare (soprattutto in censimenti che prevedonounità di censimento così vaste) ed esiste sempre la possibilitàteorica di trovare nuove specie in un quadrante. Rispetto aidati di campo, i dati bibliografici e d’erbario che provengonoda censimenti su piccole aree di studio, nonostante non sianostati prodotti secondo uno schema standardizzato ed omo-geneo, hanno il pregio di riuscire a compensare la presenzadi alcune lacune nei dati di assenza registrati durante icensimenti di campo. D’altro canto però, l’assunto che tutti idati derivanti dai reperti d’erbario e dalle segnalazioni biblio-grafiche siano corretti, a volte può non essere valido. Soprattuttonei lavori rivolti a grandi aree di studio, i dati spesso vengonoriportati con descrizioni sommarie della località di ritrovamentoche non sempre possono essere attribuite con certezza a unsingolo quadrante del reticolo. Gli autori di alcune flore riferitea territori relativamente ampi utilizzano spesso classificazionie terminologie troppo generiche e poco realistiche per indicarela diffusione delle specie all’interno dell’area di studio (ad

esempio i termini “comunissima”, “molto diffusa”, etc.). Spessovengono indicate come “molto diffuse” le specie più appariscentie/o che si ritrovano comunemente ai bordi delle strade (comead esempio Papaver rhoaes, Daucus carota, Arundo donax,etc.). Pertanto, è possibile incorrere in errori di localizzazionespaziale delle segnalazioni, che in ultima analisi generanodelle false presenze ed una sovrastima della distribuzione dialcuni taxa. Si può precisare che i lavori bibliografici di tipofloristico hanno un’ottima accuratezza di tipo sistematico(esatto riconoscimento del taxon), ma una bassa precisionegeografica (spesso non si citano le località neppure per taxaindicati anche come molto rari), al contrario di molti lavori diambito fitosociologico che hanno una bassa accuratezza si-stematica (ad es., approssimazione del livello tassonomico ospecie misidentificate), ma una precisione geografica idoneaad essere georeferenziata, anche in maniera puntiforme. Laconcentrazione delle false assenze di campo (vedi Fig. 2.4) inquadranti adiacenti tra loro (ad esempio la zona urbanizzatadi Roma e i dintorni della Valle dell’Aniene) ci fa pensare che sitratti di un sovradimensionamento delle presenze derivantida bibliografia o da erbario, piuttosto che a una reale sottostimadelle assenze derivanti dai censimenti di campo, la cui com-pletezza generale assicura una validazione soddisfacente ditutte le conoscenze fin qui pubblicate.

Fig. 2.5 - Distribuzione spaziale e concentrazione delle false assenze bibliografiche.

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55Cartografia floristica regionale: metodologia di censimento e archiviazione dei dati

IL GEODATABASE DELLA FLORA VASCOLARE DEL LAZIOIl geodatabase della flora vascolare del Lazio è una bancadati di tipo multirelazionale, ossia in grado di mettere inrelazione referenziale differenti sub-dataset, rendendo cosìmeno complesse le operazioni di inserimento, controllo eaggiornamento del sistema. Grazie all’interfacciamentocon i sistemi informativi geografici (GIS), la banca dati èanche in grado di produrre mappe di distribuzione dellespecie ed eseguire analisi spaziali derivate. Esso rappresentaquindi uno strumento indispensabile per il monitoraggionel tempo della flora vascolare del Lazio.La grande mole di dati è stata organizzata seguendo un si-stema logico che permette un veloce funzionamento efacilita le procedure di interrogazione ed estrazione deidati. Allo scopo di ottimizzare e rendere pienamente fun-zionale l’archivio, i dati, che per loro natura sono disponibiliin forme molto eterogenee, sono stati opportunamentetrattati da apposite procedure di standardizzazione.

La standardizzazione dei datiLa standardizzazione è un processo logico di gestione deidati, indispensabile al fine di uniformare informazioni pro-venienti da fonti diverse. All’interno delle procedure di in-serimento dei dati sono stati utilizzati degli appositistrumenti di inserimento che garantiscono l’univocità con-cettuale degli elementi considerati. Tale approccio è statoimplementato soprattutto nelle procedure di inserimentodei binomi scientifici (nomenclatura floristica), dei dati di-stributivi (località georeferenziate) e delle fonti dei dati bi-bliografici. Ciò ha permesso di ridurre la ridondanza o dieliminare l’inconsistenza dei dati, mantenendone però l’in-tegrità e la tracciabilità della forma originaria.Per quanto riguarda la nomenclatura delle specie, questavaria in funzione dell’età dei ritrovamenti e/o della loro pub-blicazione e pertanto i dati originali pubblicati possono ge-nerare problemi di attribuzione a sinonimi, a binomi nonpiù validi o combinazioni a diverso grado tassonomico. Perevitare possibili confusioni è stata quindi implementata unaprocedura di inserimento dati che permette di inserire ilnome del taxon così come viene espresso dalla fonte originale,ma che all’interno del sistema viene poi riferito automatica-mente al binomio accettato a seconda di un criterio sistematicodi attribuzione già definito (basato sulle conoscenze pregressee sui recenti aggiornamenti a carattere sistematico).Un altro importante approccio di standardizzazione è statoimplementato nelle procedure di inserimento delle localitàdi ritrovamento. Anche in questo caso le forme in cuivengono espresse le località di ritrovamento dalle differentifonti possono essere molto eterogenee e pertanto si corre il

rischio che gli operatori possano incorrere in errori e/odebbano impiegare tempi molto lunghi per la georeferen-ziazione dei dati spaziali. A questo proposito è stata utilizzatauna procedura di inserimento che, utilizzando un appositosub-dataset contenente i toponimi regionali già georeferiti,permette di collegare velocemente la località di ritrovamentoriportata dalla fonte ad un toponimo che essendo già geo-referito contiene al suo interno l’informazione spaziale. Neicasi più complessi dove le località di ritrovamento sonoespresse in forme particolari, il criterio di base utilizzato èstato quello di attribuire il toponimo georeferito più prossimoalla località descritta. Nei casi in cui le località di ritrovamentosono espresse in forme troppo generiche dal punto di vistaspaziale (come ad esempio “Monti del Lazio”, oppure “Provinciadi Roma”) le segnalazioni sono state attribuite comunque atoponimi rappresentativi dell’area descritta, ma tali attribuzioninon verranno poi utilizzate per la cartografia in quanto l’in-dicazione originale non ha un’informazione spaziale utilizzabile(vedi di seguito il paragrafo sull’accuratezza spaziale).Per quanto riguarda l’inserimento delle fonti bibliografiche,nelle operazioni di inserimento è stata implementata unaprocedura che utilizza un apposito sub-dataset dei riferimentibibliografici che permette quindi una veloce attribuzionedella fonte bibliografica e di tutti i dati accessori che ri-guardano la pubblicazione scientifica stessa (ad es. l’annodi pubblicazione, il tipo di pubblicazione, l’elenco degliautori, etc.). Anche in questo caso l’utilizzo di un sub-dataset predefinito minimizza le possibilità di errore e per-mette l’ottimizzazione dei tempi di inserimento (per ulterioridettagli si veda di seguito la descrizione dell’apposito da-tabase accessorio).

Struttura logica del geodatabaseLa struttura logica è stata creata partendo da un concettobasilare: una cartografia floristica dettagliata per ciascunasingola segnalazione floristica deve contenere almenocinque informazioni fondamentali:1) nome dell’entità (secondo la nomenclatura scientifica);2) collocazione geografica del ritrovamento (toponimo, lo-

calità, quadrante CFCE, etc.);3) fonte (tipologia della fonte, nome del raccoglitore, autori

della pubblicazione, etc.);4) collocazione temporale (anno o data del ritrovamento o

della sua pubblicazione);5) accuratezza spaziale della segnalazione. La struttura del geodatabase della flora vascolare del Laziocomprende (Fig. 2.6):> un portale di visualizzazione> tre database accessori> tre database delle segnalazioni floristiche

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Il portale di visualizzazioneIl portale di visualizzazione è una semplice schermata di vi-sualizzazione in cui vengono riassunti in un unico schema idati principali sulla distribuzione delle specie provenientidai tre database delle segnalazioni floristiche (dati di campo,dati bibliografici e dati d’erbario). All’interno del portaleciascun record corrisponde ad un’entità e pertanto è possibileinterrogare il portale per ricercare tutte le segnalazioni flo-ristiche disponibili per ciascun taxon considerato. Dal portaledi visualizzazione è anche possibile estrarre e trasferire inmaniera automatica i dati geografici contenuti nel geoda-tabase all’interno di progetti GIS, in modo da produrre lecarte di distribuzione, le analisi spaziali e le varie elaborazionidei dati floristici utili allo studio del territorio regionale e/oaltre cartografie tematiche derivate.

Database accessoriI database accessori costituiscono gli archivi dove risiedonole informazioni di base e supplementari; queste si riferisconoad alcune delle unità fondamentali che costituiscono unasingola segnalazione floristica (binomi scientifici, toponimigeoreferiti e fonti bibliografiche). Nel database accessorio della nomenclatura sono archiviatitutti i binomi scientifici (sia nomi accettati sia sinonimi) dispecie vegetali di cui si hanno segnalazioni per il Lazio. L’unità

fondamentale di questo database è costituito dal binomioscientifico, quindi dall’associazione del nome del genere equello della specie e dell’eventuale sottospecie. Nel complessosono state inserite oltre 6.700 combinazioni di nomi, circa4.000 nomi accettati e circa 2.700 sinonimi. L’elevato numerodi binomi disponibili è il fattore di forza su cui si basa ilprocesso di standardizzazione, in quanto si tratta in ogni casodi binomi ai quali è stata già eseguita un’attribuzione dellanomenclatura accettata e pertanto la grande mole di binomidisponibili rende tutto il sistema estremamente completo edefficiente. L’attribuzione dei binomi accettati e la rispettivacorrispondenza dei sinonimi si basa sulle principali revisionisistematiche ufficiali sia a livello di genere, specie e sottospecie(Conti et al., 2005, 2007; AA.VV., 2011 - IPFI), sia a livello difamiglie (APG III, 2009; Peruzzi, 2011). La flessibilità della struttura multirelazionale permette unsicuro e veloce inserimento dei dati relativi alla nomenclaturadelle specie, permettendo altresì l’aggiornamento in modoautomatico e senza possibilità di errori dei criteri di asso-ciazione dei binomi accettati ai vari sinonimi corrispondenti. Nel database accessorio sulla nomenclatura sono presentianche un gran numero di informazioni supplementari chefanno riferimento ai singoli taxa. Per ciascuno di essi èinfatti possibile visualizzare ed estrarre, oltre al nome e al-l’eventuale sinonimo, una serie di informazioni come ad

Fig. 2.6 - Struttura logica del Geodatabase della Flora Vascolare del Lazio.

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esempio i ranghi sistematici superiori (Famiglia, Ordine,Classe), la forma biologica, il corotipo, i valori di bioindicazione(Pignatti, 2005), lo status di endemicità (Peruzzi et al., 2014)e altri parametri specifici che riguardano gruppi di specieche interessano singoli temi, come la biologia delle invasionidelle specie alloctone e lo status delle specie di interesseconservazionistico.Nel database accessorio delle località sono archiviati ed or-ganizzati i dati geografici relativi ai toponimi regionali (to-ponimi IGM, quadranti CFCE, reticolo chilometrico MGRS ecirca 500 toponimi inediti georeferiti). Considerando checiascuna segnalazione floristica (soprattutto da bibliografiae da reperto d’erbario) contiene sempre un’informazionegeografica riguardante l’indicazione più o meno accuratadella località di ritrovamento della specie, è stato realizzatoun apposito database dei toponimi della Regione Lazio.L’unità fondamentale di questo database è quindi il toponimoche viene identificato da un nome descrittivo e da unacoppia di coordinate geografiche che lo collocano all’internodel territorio regionale. Il database comprende circa 56.800records di toponimi georeferiti, distribuiti in tutti i settoridel Lazio; tali records si riferiscono principalmente ai toponimidella cartografia 1:25.000 dell’Istituto Geografico Militare(IGM), ma contengono anche alcuni toponimi della CartografiaTecnica Regionale 1:10.000 (CTR) e alcuni inediti che sonostati creati ex novo (ad es. per quelle raccolte di campo i cuidati geografici sono stati rilevati tramite l’uso di GPS). Grazie a questo database accessorio l’inserimento delle lo-calità di ritrovamento delle specie viene ottimizzato sia intermini di tempi di lavorazione sia in termini di eliminazionedegli errori di inserimento, permettendo l’associazione aun preciso toponimo georeferito. L’elevato numero di to-ponimi disponibili è il fattore di forza su cui si basa ilprocesso di standardizzazione, in quanto si tratta in ognicaso di toponimi dei quali sono già state definite e inseritele coordinate geografiche e pertanto la grande mole di to-ponimi disponibili rende tutto il sistema estremamentecompleto ed efficiente.Per ciascun toponimo sono disponibili un gran numero diinformazioni geografiche supplementari, quali ad esempiol’identificazione amministrativa (Comune e Provincia),l’eventuale appartenenza ad Aree Protette (Parchi Nazionali,Parchi o Riserve Regionali, SIC, ZPS, etc.), il settore geograficodi riferimento (Fig. 1.5), il settore biogeografico (Anzaloneet al., 2010), l’area di base e il quadrante CFCE (si veda ilparagrafo sul metodo di censimento), il quadrante chilo-metrico del sistema MGRS ed altri parametri geograficispecifici per alcuni gruppi di toponimi che identificanocasi particolari, quali ad esempio sorgenti, cime di montagne,centri abitati, etc.

Il database accessorio della bibliografia floristica rappresental’archivio in cui sono contenuti ed organizzati i dati relativiai riferimenti bibliografici da cui sono state desunte le se-gnalazioni floristiche. L’unità fondamentale del database ècostituita quindi dai singoli riferimenti bibliografici. Nelcomplesso il database è composto da circa 2.500 riferimentibibliografici, che includono anche lavori generali, monografietematiche e testi didattici e/o di divulgazione che noncontengono segnalazioni floristiche, ma che sono stati co-munque utilizzati come fonti dei dati accessori e supple-mentari, o che sono stati semplicemente utilizzati comemateriale di consultazione. La realizzazione di questo da-tabase ha richiesto due fasi di lavoro: i) nella prima fasesono state inserite le citazioni desunte dai principali lavoridedicati alla bibliografia floristica del Lazio (Lusina, 1956;Anzalone & Lusina, 1966; Anzalone, 1981, 1994; Scoppola& Magrini, 2005); ii) nella seconda fase, le informazioniprecedenti sono state revisionate e integrate con riferimentirelativi a lavori più recenti (fino al 2015) appositamente se-lezionati e reperiti.

Database delle segnalazioni floristicheI database delle segnalazioni floristiche sono preposti acontenere le segnalazioni floristiche provenienti da: • dati bibliografici; • dati d’erbario;• dati di campo.

DATI BIBLIOGRAFICII dati bibliografici sono quelli derivati da segnalazioni flo-ristiche citate in letteratura. La realizzazione del databasedei dati bibliografici è avvenuta in diverse fasi di lavoro. Inuna prima fase, sono state reperite e acquisite le pubblicazioniscientifiche contenenti segnalazioni floristiche (libri, estratti,riviste, singoli articoli scientifici, etc., sia in formato cartaceo,sia in formato digitale), per un totale di oltre 2.500 titoli; inFig. 2.7 si osserva l’incidenza di titoli prevalenti nella floradel Lazio con i corrispondenti records di segnalazioniestratte da pubblicazioni riferibili alle varie riviste scientifiche,quali Informatore Botanico Italiano, Annali di Botanica(Roma), Webbia, Quaderni dell’Accademia Naz. dei Lincei,Notiziario di Fitosociologia.I titoli bibliografici possono essere anche raggruppati in ti-pologie secondo il campo della ricerca e diversi ambiti diinteresse; in Fig. 2.8 si osserva la prevalenza di pubblicazionia carattere floristico, conservazionistico, biogeografico, ve-getazionale e fitosociologico.Per ogni segnalazione sono state inserite le seguenti infor-mazioni fondamentali: il nome dell’entità (specie o sotto-specie), il nome della località di ritrovamento, il grado di

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accuratezza spaziale (vedi di seguito) e il riferimento bi-bliografico. Inoltre, è stato creato un campo specifico de-nominato “status di originalità del dato” che indica se la ci-tazione bibliografica è originale o meno, ossia se il ritrova-mento della specie è stato effettuato dall’autore/i del lavoro

oppure se nel testo è stata citata una segnalazione effettuataprecedentemente da altro autore/i. In particolare, i datioriginali sono stati distinti dai dati non originali provenientida riferimenti bibliografici e dai dati non originali provenientida reperti d’erbario. Particolare attenzione è stata rivolta

Fig. 2.7 - Suddivisione delle pubblicazioni (con relativo numero di segnalazioni, indicato tra parentesi) inserite nel database dei dati bibliografici della Floravascolare del Lazio, in base alle tipologie dei riferimenti editoriali (non sono stati inclusi i riferimenti editoriali con un numero di pubblicazioni inferiore a 5).

Fig. 2.8 - Suddivisione in base alle categorie dei riferimenti bibliografici delle pubblicazioni (con relativo numero di segnalazioni, indicato tra parentesi)inserite nel database dei dati bibliografici della Flora Vascolare del Lazio. Si nota la prevalenza di pubblicazioni a carattere floristico, vegetazionale, fito-sociologico e conservazionistico.

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anche all’età della segnalazione; nel caso di dati originalil’età del ritrovamento viene assegnata mediante l’anno dipubblicazione del lavoro, mentre nel caso di dati nonoriginali l’età della segnalazione viene individuata mediantel’anno di pubblicazione del lavoro originale da cui è trattala segnalazione, oppure dall’anno del ritrovamento indicatonel cartellino d’erbario del reperto.In questo modo possono distinguersi dati recenti (successivial 1950) e dati antichi (antecedenti al 1950). In Fig. 2.9 siosserva dal grafico che l’aumento delle pubblicazioniscientifiche è stato notevole negli ultimi decenni, iniziandotra il 1980 e il 1990, periodo che corrisponde alla pubbli-cazione della Flora d’Italia (Pignatti, 1982), e proseguendofino ad oggi.Anche il numero degli autori delle pubblicazioni può essereinteressante (Fig. 2.10) poiché dal grafico si evidenzia unaconcentrazione dei lavori in un numero relativamenteridotto di botanici floristi (circa venti).Altri campi opzionali che sono stati inseriti sono: inqua-dramento fitosociologico, habitat di ritrovamento, altitudine,eventuali note supplementari di vario genere dell’autoreed eventuali note e/o precisazioni dell’operatore.È stato poi prodotto un attento processo di valutazionedei riferimenti acquisiti, sulla base di una serie di criteri diimportanza e qualità delle segnalazioni contenute, in mododa definire nell’insieme una prioritizzazione dei lavori dainserire. Sulla base di questo processo sono state via viainserite le segnalazioni floristiche dei riferimenti secondol’ordine di prioritizzazione selezionato. Nel complesso sonostati acquisiti oltre 2.000 riferimenti; di questi 257 sono

Fig. 2.9 - Grafico dell'andamento temporale (decadi: <1880-2016) del n° delle pubblicazioni scientifiche selezionate per ogni decade da cui sono statiinseriti records nel database bibliografico della Flora del Lazio (per confronto vedi Fig. 1.32, Cap. 1).

Fig. 2.10 - Grafico dei principali Autori delle pubblicazioni scientifiche se-lezionate per la realizzazione del database dei dati bibliografici della Floralaziale (non sono inclusi gli Autori con un numero di pubblicazioni infe-riore a 5).

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stati visionati ma non inseriti per mancanza di segnalazionicartografabili o perché valutati come non prioritari, mentre848 sono stati invece analizzati e inseriti (Fig. 2.11). Nelloro complesso questi riferimenti hanno prodotto circa270.000 records. A differenza dei dati di campo, i dati bibliografici soffrononotevolmente del problema della ridondanza spaziale, do-vuta al fatto che il ritrovamento di alcune specie in specifichelocalità, oltre ad essere citato più volte in differenti pubbli-cazioni dello stesso autore, può anche essere citato piùvolte da autori differenti che hanno eseguito rilevamenti adistanza di tempo nella stessa stazione. Inoltre, i dati bi-bliografici risentono anche dell’enorme asimmetria e diso-mogeneità spaziale, dovuta al fatto che esistono zone delterritorio regionale che per loro natura (presenza di risorsenaturali più appetibili) risultano più studiate e zone delterritorio regionale che al contrario risultano totalmenteinesplorate dai botanici. Per questo motivo i dati bibliografici,anche se costituiscono un’importante fonte per la conoscenzafloristica del territorio regionale, non possono essere maiconsiderati da soli come una fonte esaustiva delle conoscenzedistributive delle specie; da qui emerge l’importanza di unprogetto predefinito di cartografia floristica.

DATI D’ERBARIOI dati d’erbario sono stati archiviati in base alle informazionipresenti nei cartellini di exsiccata di alcune specie selezionateo per il loro particolare interesse conservazionistico operché critiche dal punto di vista sistematico. Tali informazioni

sono state reperite mediante attività di revisione dei reperti,eseguita soprattutto presso l’Erbario dell’Università diRoma Tre e il Museo Erbario di Roma “La Sapienza”, ai qualisi ritiene di dover esprimere dei sentiti ringraziamenti perla professionalità e la disponibilità dimostrata durantequesta delicata fase di lavoro. Nel database delle segnalazionid’erbario sono state confluite anche le numerose citazionibibliografiche che riportano nel dettaglio i dati del cartellinod’erbario e alcune scansioni di reperti disponibili su internetall’interno di erbari virtuali. Pertanto nel database possonoessere distinti i reperti esaminati direttamente (speciminavisa) dai reperti i cui dati sono semplicemente stati desuntidalla bibliografia o da erbari virtuali online.Per ciascun reperto sono state inserite le seguenti infor-mazioni fondamentali: nome dell’entità, nome della localitàdi ritrovamento, grado di accuratezza spaziale (vedi di se-guito), nome del raccoglitore (legit), nome dell’autore del-l’identificazione (determinavit), nome dell’eventuale revisore(revisionavit), data di raccolta, denominazione e sigla del-l’erbario ed eventualmente della collezione. Altri campiopzionali che sono stati inseriti sono: l’habitat, l’altitudine,eventuali note supplementari riportate sul cartellino edeventuali note e/o precisazioni dell’operatore.Il numero totale dei dati d’erbario ammonta a circa 15.000records, di cui il numero più consistente, circa 12.000 reperti,proviene dall’Herbarium dell’Università di Roma Tre (URT),circa 1.350 dal Museo Erbario di Roma “La Sapienza” (RO) ecirca 540 dall’Erbario Centrale Italiano (FI). Il restante numerodi reperti deriva da erbari situati in varie regioni italiane

Fig. 2.11 - Numero di riferimenti bibliografici campionati per la realizzazione del database dei dati bibliografici della Flora Vascolare del Lazio.

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(APP, AQUI, BOLO, CA, CAME, UTV, etc.), da Erbari esteri (W,G, etc.) e da varie collezioni private.Quanto già precisato sulla ridondanza e sull’asimmetria edisomogeneità dei dati bibliografici risulta ancora più evi-dente per i dati d’erbario, che, oltre a soffrire per loronatura di queste problematiche, in questo caso risentonoanche del fatto che i dati inseriti sono stati soggettivamenteselezionati sulla base di criteri funzionali alla precisazionesistematica e/o geografica di alcuni gruppi di taxa critici odi particolare interesse e non con il fine di completare inmaniera esaustiva le conoscenze distributive dell’interaflora regionale (le raccolte d’erbario più spesso sono rivolteverso specie rare o di qualche interesse sistematico, menorappresentate sono le specie comuni). Da un punto divista dell’analisi spaziale sia i dati bibliografici che quelli dierbario possono definirsi come dati di sola “presenza” in-tendendo con questo termine il fatto che l’assenza di datiper altre località non significa una vera assenza, ma solo lanon verifica del dato ovvero la non completezza del rileva-mento. Questa critica vale anche per quei lavori in cui èstato utilizzato, senza aver fatto alcun rilevamento di campo,un reticolo floristico per rappresentare la distribuzione didati ricavati da campionamenti random e/o da dati ripresidella bibliografia pregressa o dei dati d’erbario. Questi casinon rappresentano dei veri lavori di cartografia floristicain quanto derivano da censimenti che, non essendo basatisu unità di campionamento discreto (quadranti), non ri-portano la reale distribuzione delle specie nel territorio(dati di presenza/assenza). Nel presente lavoro, si riferirannoal contrario come dati di “presenza/assenza” solo i dati delrilevamento di campo, in cui l’assenza della specie è dovutaad un suo mancato ritrovamento, presupponendo un rile-vamento esaustivo del territorio.

DATI DI CAMPOLa componente principale del geodatabase della flora va-scolare del Lazio è rappresentata dai dati distributivi dipresenza/assenza delle specie raccolti durante le esplorazionidi campo. Questa banca dati, essendo il risultato di un me-todo di censimento standardizzato messo in opera indecenni di esplorazioni del territorio regionale, rappresentail centro del progetto di cartografia floristica. Le informazionifondamentali che sono state inserite in questo databasesono: nome dell’entità, nome della località di ritrovamento,quadrante CFCE di riferimento (vedi di seguito), grado diaccuratezza spaziale (vedi di seguito), nome del rilevatoresul campo e data del rilevamento. In alcuni casi specifici,all’interno di questo database sono state archiviate anchele seguenti informazioni supplementari: caratteristiche del-l’habitat censito, altitudine o range altitudinale della

superficie rilevata, eventuali note supplementari del rile-vatore, eventuali note e/o precisazioni dell’operatore.Il numero totale dei dati di campo ammonta ad oltre350.000 records rappresentati effettivamente nelle mappedi distribuzione, tenendo conto però che, sommando idati in tutte le schede di censimento, il numero di segnala-zioni arriva circa a 800.000; questa enorme mole di dati è ilrisultato dei censimenti di campo condotti da Lucchesedal 1982. A differenza dei dati bibliografici quelli di camposono dei dati originali di elevata qualità, perché costituisconoil risultato principale di un censimento specifico mirato al-l’aggiornamento della distribuzione delle specie sul territorio.Mentre i dati bibliografici e d’erbario possono essere esclu-sivamente considerati dei dati di presenza che come giàaccennato soffrono notevolmente del problema della ri-dondanza e dell’asimmetria e disomogeneità spaziale, idati di campo sono, invece, dei dati di presenza/assenza“puliti” non ridondanti e uniformemente distribuiti sul ter-ritorio regionale.

L’ACCURATEZZA SPAZIALE DEI DATIIl problema dell’accuratezza spaziale delle località di ritro-vamento è un argomento chiave all’interno dei progetti dicartografia floristica. La necessità di fondo è quella diriferire nello spazio una descrizione della località in cui èstata ritrovata una determinata specie. La forma in cuiviene descritta una località può essere per sua naturamolto differente e pertanto come già accennato si è resanecessaria la definizione di un processo di standardizzazione.La scelta eseguita per ottimizzare i tempi di inserimento eminimizzare la possibilità di errori da parte degli operatoriè stata quella di avvalersi di un apposito database accessoriodei toponimi. L’attribuzione dei toponimi è ovviamentebasata sull’associazione tra il nome e/o della descrizionedella località citata dalla fonte e l’identità dei toponimigeoreferiti disponibili; nella maggior parte dei casi l’attri-buzione è facilitata dal fatto che le località di ritrovamentospesso coincidono con i toponimi riportati nelle carte geo-grafiche. Le descrizioni delle località di ritrovamento peròpossono essere più o meno dettagliate dal punto di vistadell’accuratezza spaziale, ovvero possono riferirsi ad ambitiestremamente circoscritti, quali ad es. “Pozzo del Merro, aSant’Angelo Romano”, oppure ad aree molto estese, comead es. “Monti della Tolfa” o “Valle Latina”. Nei casi più precisi(ma rari) vengono riportate direttamente le coordinategeografiche del rilevamento, permettendo quindi una lo-calizzazione spaziale molto precisa del ritrovamento. Alcontrario, esistono casi in cui viene segnalata genericamentela presenza di una specie per il Lazio, o per settori indefiniticome i “Monti laziali”, senza specificare alcuna località, non

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permettendo quindi nessun tipo di collocazione spaziale;nei casi più paradossali alcuni autori non riportano lelocalità di ritrovamento di specie da loro indicate comerare o rarissime (ad es., cfr. Monti Lepini, Castelli Romani,Simbruini, Ernici, Parco di Vejo, etc.).Considerando che lo scopo finale della cartografia floristicaè quello di descrivere la distribuzione dell’areale di unaspecie utilizzando un reticolo floristico opportunamentepredisposto in funzione della scala di dettaglio che sivuole produrre, è stata definita una scala del grado di ac-curatezza che permette di distinguere i numerosi casi esi-stenti e classificarli all’interno di cinque classi (da 1 a 5) in-cludendo: segnalazioni nelle quali vengono riportate cor-rettamente le coordinate geografiche della stazione di ri-trovamento (classe 1); segnalazioni in cui il nome e/o ladescrizione della località di ritrovamento può essere as-sociata a un toponimo che identifica una porzione di ter-ritorio abbastanza circoscritta avente un raggio non su-periore ai 1-2 Km (classe 2); segnalazioni floristiche in cuiil nome e/o la descrizione della località di ritrovamentopuò essere associata ad un toponimo che identifica unaporzione di territorio poco circoscritta, ma che comunquepuò essere riferita con buona approssimazione a un singoloquadrante CFCE (classe 3); segnalazioni generiche (settorigeografici, amministrativi, etc.) che non possono essere

associate a un toponimo che identifica una porzione diterritorio circoscritta e che quindi servono solo come in-dicazione generale, ma non sono utilizzabili per la cartografiafloristica (classe 4); segnalazioni molto generiche che noncontengono neanche un’informazione di tipo geografico,quali ad esempio “Litorale laziale” o “Monti del Lazio”(classe 5). Tali segnalazioni sono state archiviate solo percompletezza dell’informazione, ma ai fini della cartografiafloristica non hanno nessun valore. La valutazione del grado di accuratezza spaziale di unalocalità di ritrovamento è quindi una stima del raggio diapprossimazione spaziale del toponimo selezionato e per-tanto si presume che possa dare un’indicazione immediatadell’approssimazione spaziale entro la quale la specie èpresente sul territorio. La scelta di questa scala a cinquevalori è il frutto di un lungo percorso di valutazione di otti-mizzazione dei tempi di lavorazione per l’inserimento deidati. Una scala con troppi valori complicherebbe di moltola valutazione aumentando così i tempi di inserimento,mentre al contrario una scala con meno valori non per-metterebbe poi di distinguere casi molto differenti tra loro.Ai fini della cartografia floristica, quindi, sono state consideratisolamente le segnalazioni aventi accuratezza 1, 2 e 3,mentre quelle con accuratezza 4 e 5 sono state scartate acausa della loro bassa identità geografica.

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63Le invasioni di specie alloctone

INTRODUZIONELe piante terrestri non hanno molte possibilità di spostarsi,quelle acquatiche lo possono fare molto più facilmente ein effetti le piante legate all’ambiente acquatico occupanoampi areali (la cannuccia d’acqua, Phragmites australis, hail primato tra tutte, trovandosi in tutti i continenti, trannel’Antartide, e in condizioni ambientali più disparate) espesso sono considerate come azonali, cioè prive di unaappartenenza ad un fascia bioclimatica o altitudinale. Altrepiante terrestri che hanno ampi areali di diffusione sono,ad es., molte felci che con le loro spore possono diffondersicon il vento per migliaia di chilometri (esempio di questoprimato è la felce aquilina, Pteridium aquilinum, specie perquesto definita cosmopolita). L’opposto di questa ampiapossibilità di diffusione è il fenomeno dell’endemismo chele specie presentano quando il loro areale è molto ristrettoo localizzato ad un particolare habitat.

Le unità di dispersione delle piante, quali spore, frutti e semiinsieme a organi vegetativi, quali rizomi, stoloni o organi diriserva, offrono la possibilità di dispersione e di occupareuno spazio più ampio possibile, dove le condizioni sianoquelle ottimali per il successo della specie. È evidente che visono barriere geografiche, quali montagne, fiumi, estensionimarine, o ecologiche, quali clima, suolo, temperatura eumidità, che ostacolano questo movimento insieme a barriereche possiamo definire biologiche, in quanto dovute all’azionedi competizione e di predazione da parte di altri organismi.Possiamo quindi definire la dispersione come un meccanismonaturale con cui le specie animali e vegetali si possonospostare sulla superficie terrestre; l’ampliamento dell’arealepotenziale attraverso il successo riproduttivo delle popolazioniè uno dei principi fondamentali dell’evoluzione.Oltre al trasporto dell’acqua e del vento, visti sopra, teniamoconto che le piante hanno sfruttato la capacità di dispersioneda parte di animali (zoocoria, Foto 30; Foto 31). La capacità diuna pianta di sfruttare un’altra pianta per la dispersione nonè ancora sufficientemente nota, ma un fenomeno vicino è ilmimetismo sviluppato da specie parassite (ad es. Cuscuta)con semi simili a quelli delle loro specie parassitate comeanche il fatto che molte specie infestanti le colture sonoarrivate talvolta in compagnia delle specie coltivate quasi mi-metizzandosi con i loro semi. L’evoluzione ha sviluppato

3 - LE INVASIONI DI SPECIE ALLOCTONEFernando Lucchese, Marco Iocchi, Stefania Paglia

Foto 30 - Xanthium orientale subsp. italicum, gruppo di frutti con aculei(epizoocoria); i frutti possono aggregarsi in pallottole.

Foto 31 - Olea oleaster, la diffusione attraverso uccelli.

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64 Flora alloctona - Capitolo 3

organi come spine e uncini o esche alimentari, come arilli oeleasomi dei semi, che permettono alle piante di essere tra-sportate da animali; gli animali, ad es. quelli migratori, sono ipiù adatti a diffondere le piante e potremo dire che probabil-mente l’areale di qualsiasi pianta è in un certo modo collegatoa questo trasporto, anche laddove non esiste una specializza-zione evolutiva evidente. A questo proposito citiamo un es-perimento fatto da Darwin: ….I do not believe that botanistsare aware how charged the mud of ponds is with seeds. I havetried several little experiments but will here give only the moststriking case. I took in February three table spoonfuls of mudfrom three different points beneath water on the edge of a littlepond this mud when dry weighed only 6.75 ounces. I kept itcovered up in my study for six months pulling up and countingeach plant as it grew the plants were of many kinds and were al-together 537 in number and yet the viscid mud was all containedin a breakfast cup. Considering these facts, I think it would be aninexplicable circumstance if water birds did not transport theseeds of fresh water plants to vast distances and if consequentlythe range of these plants was not very great. The same agencymay have come into play with the eggs of some of the smallerfresh water animals (Charles Darwin, On the Origin of Species).Un esempio attuale di un probabile trasporto di semi alunga distanza sulle zampe di uccelli frequentatori diambienti fangosi può essere quello di Lindernia dubia (Foto32, Foto 33) che è stata rinvenuta in alcune località lungole sponde fangose del Tevere a nord di Roma.L’areale occupato da una pianta mediante le sue capacità didispersione biotiche (animali) o abiotiche (acqua, vento,gravità) e rispetto alla quantità dei suoi propaguli si puòdefinire come areale naturale, ovvero lo spazio geografico incui la specie svolge le sue interazioni con l’ambiente in manierastabile in relazione a fattori biotici e abiotici; in questo caso laspecie può essere definita autoctona, come anche nativa oindigena. Nel caso però in cui sia l’uomo a trasportare lapianta o una sua diaspora dal suo areale originario in manieraintenzionale (per vari scopi) o in maniera fortuita (accidentale),la specie diventa per quella località esotica (aliena o alloctona).Dal momento del suo arrivo in genere la specie deve peròandare incontro a una fase di adattamento (fase “lag”), superatala quale può diffondersi nel nuovo ambiente. In genere, lamaggior parte delle piante introdotte dall’uomo non riesconopoi a diffondersi nella nuova area geografica per effetto dellevarie barriere (biotiche e abiotiche) presenti nel territorio, chene limitano significativamente i processi di germinazione,sviluppo, riproduzione e/o dispersione.Introduzioni intenzionali si sono avute soprattutto in agricoltura,nella riforestazione (ad es. uso di conifere e Robinia), nellepiante ornamentali (Foto 34) e giardinaggio (in questo casosono favorite famiglie come Lamiaceae, Asteraceae, Aizoaceae,

Liliaceae, etc.). Non intenzionali sono, invece, le introduzioniavvenute attraverso il trasporto di vari materiali, come legnamiesotici, marmi, lana, animali vivi come ovini e bovini oppureattraverso il turismo (Foto 35). L’introduzione di specie coltivateha segnato un innegabile progresso nel benessere umano

Foto 32 - Lindernia dubia, si trova sui margini sabbiosi delle rive del Tevere.

Foto 34 - Hemerocallis fulva, è una specie ornamentale apprezzata nei giardinidove tende a diventare infestante per cui viene diradata e spesso gettata via.

Foto 33 - Lindernia dubia, particolare della pianta.

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65Le invasioni di specie alloctone

(pensiamo alla patata, al pomodoro e al mais), ma la coltivazionedi queste piante è stata accompagnata da infestanti specia-lizzate che possono minacciare gli ecosistemi naturali. Con la loro invasività, condizione che per fortuna costituiscel’eccezione, le specie alloctone stanno ormai provocandoin diversi casi un notevole danno economico e socialedifficile da controllare e ciò è avvenuto soprattutto neglialtri continenti con l’introduzione delle nostre specie me-diterranee (Nord America e Australia); la minaccia più ge-nerale è quella sulle zone umide e acque interne, in cui lainvasività è più facile e gli effetti negativi sono più diretti(Foto 36). Un particolare aspetto della invasività riguardale isole, in cui molte ricerche hanno visto una maggioreesposizione alla invasibilità (vedi il progetto Epidemie,Brundu et al., 2003; Lloret et al., 2005); questo aspettoriguarda bene anche il Lazio con le piccole isole delle Pon-ziane (Foto 37; Foto 38; Foto 39) su cui abbiamo dedicatouna nostra particolare attenzione. Danni indiretti e meno

Foto 35 - Cotula asutralis,terofita la cui introduzione si può considerarenon intenzionale (trasporto per turismo) attraverso camper.

Foto 37 - Agave americana e Carpobrotus acinaciformis invasive in habitatseminaturali all’isola di Ponza.

Foto 38 - Opuntia ficus-indica, una falesia sul mare di Ponza invasa da mi-gliaia di piante.

Foto 39 - Opuntia ficus indica, particolare della pianta con fiori a Ponza.Foto 36 - Eichornia crassipes, canale Ufente, esempio di quanto i canalidella Pianura Pontina siano ridotti a discariche.

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66 Flora alloctona - Capitolo 3

evidenti, ma non meno importanti, riguardano l’alterazionedel paesaggio che si è avuta con la diffusione degli eucaliptiaustraliani (Foto 27), delle conifere nord-americane, delleacacie australiane resistenti alla siccità, a parte il loroimpatto sull’alterazione del suolo e degli ecosistemi in cuisono stati introdotti; per altre piante, anch’esse di anticaintroduzione, abbiamo ormai fatto un’abitudine visiva eaddirittura sono diventate quasi simbolo del nostro pae-saggio mediterraneo: esempi sono il pino domestico, il ci-presso (elemento tipico del paesaggio toscano), le palme,ma anche piante molto più recenti, come le agavi e i fichid’India, già presenti nei ritratti dei pittori del Gran Tour. Mentre per le specie trasportate dall’uomo da regioni moltolontane come America, Sud Africa e Australia verso l’Europale relative introduzioni sono ben documentate, per le specieche hanno avuto il loro centro di diffusione in Asia e inAfrica le prove sono in molti casi meno convincenti edesatte, in quanto gli scambi tra queste regioni e l’area medi-terranea sono molto antichi e risalgono allo sviluppo delleprime civiltà nate lungo i grandi fiumi del Nilo, dell’Eufrate,dell’Indo e del Fiume Giallo, soprattutto attraverso lo scambiodi piante coltivate (cereali e piante da frutto). Ovviamente,questi scambi si sono avuti anche dall’Europa verso gli altricontinenti molto spesso con conseguenze anche più dannoserispetto a quanto avvenuto in Europa. Attualmente, gliscambi tra tutti i continenti hanno raggiunto un tale livellodi velocità e frequenza che si può parlare di vera e propriaglobalizzazione della flora e fauna, le cui conseguenze sifanno sentire a livello ecologico ed economico; sotto questopunto di vista non si può trascurare la ricaduta anche sullasalute delle popolazioni umane, attraverso l’alterazione degliequilibri negli ecosistemi (espansione di parassiti, cambiamentinel suolo e nell’acqua, competizione in agricoltura). Problemi simili a quelli riscontrabili nel campo vegetale siosservano anche nel campo animale, per il quale la regioneLazio (ex Agenzia Regionale per i Parchi - ARP) ha sviluppatoun progetto denominato PASAL (“Progetto Atlante SpecieAlloctone del Lazio”) e pubblicato un volume (Monaco, 2014)che illustra in dettaglio attraverso schede e cartografie te-matiche la situazione di molti gruppi animali alloctoni presentinella regione, a cui si rimanda per ulteriori confronti.Per tale livello di globalizzazione, oggi si può parlare ormai,oltre dei biomi naturali, di “Biomi Antropogenici” o “Antromi”che si stanno espandendo con la crescita demografica e conl’intenso sfruttamento delle risorse; tali trasformazioni hannoportato alla coscienza che dopo l’attuale Olocene sia iniziatauna nuova epoca geologica, che alcuni riportano come An-tropocene altri come Homogeocene, effetto della globaliz-zazione che sta portando alla omogenizzazione o annullamentodella biodiversità tra le aree del pianeta (planet of weeds).

IL CONCETTO DI “ESOTICITÀ”, VIE D’INTRODUZIONE, PROBLEMATICHE E APPROCCI ALLO STUDIOUn termine molto antico per indicare l’esoticità è quello diPlinio il Vecchio che nella Naturalis Historia si riferisce ad“arbores peregrinae” per indicare gli alberi esotici per distinguerlida quelli selvatici; in questo termine non c’è però un concettoesplicito sulla invasibilità della pianta alloctona, ma piuttostoquello della loro estraneità legata ai posti lontani di rinveni-mento, in quanto egli si limita solo a descrivere piante chevivono al di fuori dell’Italia. I romani, comunque, eranointeressati all’acclimatazione delle piante e avevano le loroserre nei giardini (Marziale si lamenta di essere stato ospitatoin una stanza buia e fredda in confronto alle piante pomarietenute al caldo sotto i vetri, Epigramm. viii, 14: pallida neCilicum timeant pomaria brumam mordeat…Hibernis obiectanotis specularia puros admittunt soles … Arboris ergo tuaetutior hospes ero); nei trionfi, gli imperatori mostravano alpopolo non solo animali eccezionali, ma anche piante deipopoli vinti (trionfo di Vespasiano sugli Ebrei). Sembra quindiovvio che i romani coltivassero piante “straniere” e una piantache i romani consideravano molto importante era la palmada datteri di cui Plinio riporta notizie sulla sua acclimatazionee fruttificazione dall’Italia alla Spagna. L’epoca delle grandiesplorazioni allarga i confini della conoscenza botanica e sicoltivano piante negli orti botanici per studiarle nei loro usipratici e medici e per acclimatarle. In questo contesto l’operadi Clusio del 1605 (Exoticorum libri decem, una raccolta dispecie vegetali e animali alloctone) ha una importanza fon-damentale e risale a lui per primo l’uso del termine “exoticus”oltre a quello di “peregrinus” ripreso da Plinio, sempre riferitia piante di altri continenti. Dobbiamo arrivare allo sviluppodel concetto di biogeografia, cioè della relazione spazialeche le piante hanno con il clima e il suolo, per trovare un rife-rimento al processo di inselvatichimento di una piantacoltivata, quasi un addomesticamento al contrario, concettoche si ritrova in Willdenow (1792) e soprattutto in De Candolle(1855): “Une espéce qui habitait quelque pays laintain, transportéepar une cause connue ou unconnue, se montre comme plantespontanée et se multiplie dans un pays où elle n’existait pas au-paravant”. Si può affermare che questo autore pone le basiallo studio del processo di dispersione delle piante e dellaloro naturalizzazione con la trattazione di problematicheancora attuali; vengono fatti molto esempi di piante alloctone,sulla loro introduzione e addomesticamento, con considerazionisulla distinzione terminologica tra piante suddivise in cinquecategorie: coltivate, avventizie (o “passagères”), naturalizzate(recenti o antiche), primitive o aborigene. Le piante esotichecon cui prima si intendevano soprattutto le specie tropicali

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67Le invasioni di specie alloctone

diventano le specie che si adattano all’ambiente dove sonostate introdotte e nasce quindi il concetto di specie estraneaalla flora locale e di invasività. Il termine inglese “alien” èquello che attualmente si usa maggiormente in ambito an-glosassone perché è quello che rende meglio l’idea di unapianta estranea, anche se in italiano il termine può avere unsignificato deviante. Il termine “esotico o alloctono” ci definiscemeglio l’origine esterna, mentre il termine “alieno” spiegameglio il carattere di specie estranea alla flora indigena;anche se sembra un termine inglese, “alien” deriva dal latino“alienus”, ovvero estraneo o straniero, per cui il suo impiegoè pienamente giustificato anche nella nostra lingua (si trattadi una riacquisizione di un suo significato obsoleto). In questolavoro, comunque, preferiamo usare il termine “speciealloctona” in quanto è possibile usare in opposizione iltermine di “specie autoctona” e parlare quindi di alloctonia eautoctonia come rispettivi fenomeni biogeografici opposti.Il termine alloctono è anche diventato di uso corrente inambito zoologico (Monaco, 2014).L’interesse allo studio delle invasioni di specie alloctone si èsviluppato attraverso, come abbiamo visto, le basi dellabiogeografia a cui è seguita più recentemente la scienzadella ecologia urbana (Sukopp & Kowarik, 1988) in cui èevidenziato e studiato il processo di sinantropizzazione;ancora più recentemente il pericolo delle specie alloctonenei riguardi delle interazioni con le specie autoctone haportato ad osservare problemi di riduzione della biodiversità,venendo ad interessare il campo della conservazione equello della biologia delle popolazioni. Come definito giàda Di Castri (1990), la nozione di una pianta invasiva riguarda

la sovrapposizione di diverse competenze che necesariamentedevono integrarsi: quella del biogeografo, del biologo dellepopolazioni, dell’ecologo ed infine anche delle associazionie enti, oltre che del personale tecnico-pratico che si dovrannooccupare di vari problemi dalla legislazione, al controllodell’introduzioni e infine al controllo e all’eradicazione doveè necessaria. Un esempio virtuoso nel Lazio, per interventodel dott. Giardini, condotto dalle autorità competenti èquello relativo all’eradicazione della Salvinia molesta dalPozzo del Merro. Recentemente è stato effettuato un inter-vento di eradicazione di Carpobrotus acinaciformis (Foto40, Foto 41) sulla spiaggia alla foce del Fosso Tre Denaripresso Fregene, promossa dall’Agenzia ARP del Lazio (dott.

Foto 40 - Carpobrotus acinaciformis, particolare dei fiori che attraggono per la loro vistosità.

Foto 41 - Attività di rimozione di Carpobrotus acinaciformis da parte di vo-lontari organizzata nell’ambito CSMON-LIFE sulla spiaggia della RiservaNatura Statale Litorale Romano. Si osserva il notevole sforzo per il grandesviluppo della pianta nell’area.

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S. Sarrocco) e nell’ambito di una manifestazione pubblicaCISMON-Bioblitz con l’intervento di molti volontari.Su questa linea il nostro studio ha affrontato l’ipotesi dipoter sviluppare un piano di prioritizzazione di interventiuna volta individuate le aree e le relative specie ivi comprese(è scontato che le specie invasive siano quelle più urgentima anche quelle più difficili da eliminare, per cui occorrevalutare altre opzioni). Prioritizzare le specie e le aree sucui concentrare le risorse fa parte di programmi sviluppatiin alcuni paesi, tra cui ricordiamo il Sud Africa (Nel et al.,2004; Olckers, 2004) e l’Australia (Thorp & Lynch, 2000) incui l’invasività delle specie alloctone rappresenta unproblema ecologico sentito. Per classificare le speciealloctone in categorie riguardo alla loro maggiore o minorepericolosità sono stati adottati vari criteri, tra cui soprattuttoinvasività, impatti ambientali, potenzialità di dispersione,ricadute socio-economiche; tale procedimento sembrafacile in teoria, ma è difficile in pratica.

Salto dello steccatoUna specie per naturalizzarsi e diventare invasiva deve su-perare differenti tipi di barriera (Richardson et al., 2000). Laprima è la barriera geografica; essa viene superata grazieall’intervento umano che introduce la specie vegetale inun territorio diverso dal suo areale d’origine. Questo processo,come già abbiamo visto, può avvenire in modo volontario,nel caso di specie coltivate, oppure per motivi accidentali. Dopo aver superato la barriera geografica, le specie devonoadattarsi al nuovo ambiente, superando la barriera am-bientale; se ciò accade, si possono verificare 2 casi: 1) nel primo caso, le specie sopravvivono nel nuovo am-

biente, ma non riescono a costituire delle popolazionistabili nel tempo, riproducendosi spontaneamente solocon individui a vita effimera (cosiddette AVVENTIzIE) perchénon riescono a mantenersi senza l’intervento dell’uomooppure non riescono ad arrivare a maturità sessuale(cosiddette CASUALI); in questa fase è molto importantequella che si definisce “pressione dei propaguli”, ovverola quantità dell’apporto di nuove piante da zone coltivate,come giardini e campi.

2) nel secondo caso, si parla di specie NATURALIzzATE (o stabili)per quelle che riescono a superare la barriera riproduttiva,quindi con possibilità di diffondere la specie instaurandodelle popolazioni stabili nel tempo.

Questi concetti possono essere rappresentati in uno schemalogico (Fig. 3.1) che riprende quello di Richardson et al.(2000) con alcune modifiche (ad es., la relazione della faci-litazione delle interazioni biotiche e abiotiche con il supe-ramento delle barriere ambientali e la corrispondenza trabarriere, habitat e spazio occupato) e correzioni (ad es., il

passaggio concettuale da naturalizzate a invasive nonavviene sempre secondo la successione da ambienti an-tropizzati disturbati ad ambienti naturali o semi-naturali).Come ulteriore semplificazione e schematizzazione riportiamoun secondo schema logico in cui vengono messi in relazionei concetti di invasione di habitat, barriere, facilitazione delleinterazioni biotiche e abiotiche e spazio occupato (Fig. 3.2).Come si può osservare in Fig. 3.1 e in Fig. 3.2 una volta che

Fig. 3.1 - Schema logico rappresentante i vari stadi del processo di inva-sione biologica ripreso da Richardson et al. (2000), modificato e ampliato.

Fig. 3.2 - Schema originale logico rappresentante i vari stadi del processodi invasione biologica in cui vengono messi in relazione i concetti di in-vasione di habitat, barriere, facilitazione delle interazioni biotiche e abio-tiche e spazio occupato.

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69Le invasioni di specie alloctone

una specie alloctona abbia superato la barriera geografica(volontariamente o accidentalmente) esiste una soglia po-tenziale entro la quale la specie introdotta non ha completatoil processo di spontaneizzazione in quanto la sua persistenzapuò rimanere circoscritta entro ambiti artificiali dove la fa-cilitazione derivante dalle cure dell’uomo (es. irrigazione,concimazione, etc.) è determinante. Una fonte di diffusionedi specie alloctone è l’abitudine riscontrata frequentementedi gettare scarti di potature per pulizia dai giardini indisparati ambienti (scarpate stradali, cave, campi incolti,spiagge, boschi, etc.), ciò che favorisce la diffusione dispecie che altrimenti rimarrebbero circoscritte alla zona dicoltivazione (Foto 42; Foto 43).Tra le specie naturalizzate alcune hanno avuto la possibilitàdi diffondersi in tempi brevi: queste prendono il nome diINVASIVE e riescono a superare la barriera di dispersione;alcune di queste invasive restano limitate agli ambienti an-tropizzati, altre invece riescono a penetrare anche in ambientinaturali e seminaturali, diffondendosi su scala regionale.Uno dei punti chiave del processo di introduzione è il supe-

ramento della prima barriera ambientale. Le specie alloctonedifatti nella maggior parte dei casi, quando arrivano nell’areadi introduzione, non riescono a spontaneizzare, ovvero nonriescono ad emanciparsi dalle cure dell’uomo per svolgerein maniera autonoma le proprie capacità di germinazione,sviluppo, riproduzione e dispersione. La capacità dei botanicidi valutare per una pianta alloctona il grado di autonomiadalle cure dell’uomo non sempre si è dimostrata all’altezzadel rigore scientifico che meriterebbe. Pertanto in passato sisono verificate delle confusioni sul concetto di spontaneiz-zazione, generando anche un proliferare di terminologiecome ad esempio “inselvatichita”, “avventizia”, “sfuggita acoltura”, etc., alle quali non sempre è stato dato un significatopreciso. Come vedremo meglio più avanti, alla base delprocesso di spontaneizzazione vi deve essere una completaautonomia della pianta dalle cure dell’uomo (irrigazione,concimanzione, uso di diserbanti, uso di pesticidi, etc.), laquale per essere valutata con rigore ha bisogno necessaria-mente di un’osservazione prolungata nel tempo in modo daaccertare le reali condizioni alle quali il sito e la pianta sonosottoposti (Foto 44). In Fig. 3.3 viene rappresentato unesempio schematico dove si distingue una pianta casuale“dipendente dalla coltivazione” da una pianta naturalizzata.L’area a sinistra del tratteggio rosso è un sistema agricolocomplesso sottoposto a continue cure da parte dell’uomo,mentre le aree a destra del tratteggio giallo sono incolti ab-bandonati. La specie A è coltivata ma può ritrovarsi anchenell’incolto adiacente dove però persiste solo ed esclusivamentegrazie ai continui apporti di propaguli (freccia continua) cheprovengono da individui coltivati. La specie B è anch’essacoltivata ma si riproduce autonomamente anche negli incoltiadiacenti formando nuove generazioni che si propaganonell’area, indipendentemente dagli apporti di propaguli(freccia tratteggiata). La specie A può essere consideratacome casuale “dipendente dalla coltivazione”, mentre la

Foto 43 - Esempio di materiale di Yucca gloriosa abbandonato e bruciato;si osserva la sopravvivenza della pianta.

Foto 44 - Yucca aloifolia, la pianta è stata gettata come rifiuto e ancoranon si può parlare di spontaneizzazione.

Foto 42 - Rifiuti provenienti da scarti e potature di giardini, causa fre-quente di dispersione di nuove alloctone.

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70 Flora alloctona - Capitolo 3

specie B essendo capace di riprodursi e disperdersi autono-mamente può essere considerata come naturalizzata.In relazione alla Fig. 3.3 possiamo avere che in alcune areegià coltivate e poi abbandonate possono rimanere antichiresti di coltivazione (in genere piante da frutto o ornamentali)oppure queste stesse aree possono essere facilmente sog-gette all’introduzione di nuove specie alloctone, come si èriscontrato in alcuni casi (Foto 45).Nel nostro studio le specie invasive sono state classificatecome quelle ad areale più ampio e tra queste si è consideratoil loro grado di “aggressività” nell’habitat nei riguardi dialtre piante, che ad es. possono essere sommerse da ram-picanti a forte sviluppo, come Fallopia aubertii, Partheno-cyssus quinquefolia (Foto 46), Lonicera japonica (Foto 47),

Fig. 3.3 - Esempio realistico di alcuni stadi che determinano il processo di spontaneizzazione. A e B: specie coltivate; A1: popolazione casuale dipendentedalla coltivazione; B1, B2 e B3: individui naturalizzati.

Foto 45 - Frutteto abbandonato, ambiente molto adatto alla introduzionedi specie alloctone.

Foto 46 - Parthenosyssus quinquefolia presso Anzio.

Foto 47 - Loncera japonica, specie ornamentale usata come rampicante.

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Vitis riparia o a grande effetto di massa, ad es. Opuntia fi-cus-indica e Agave americana (Foto 48), etc.; sono stateconsiderate le caratteristiche di dispersione, impollinazione,taglia, caratteri funzionali come la fotosintesi, grado diigrofilia e xerofilia e vari altri che costituiscono i “planttraits” delle alloctone del Lazio. Rispetto a queste caratte-ristiche morfo-funzionali delle specie, l’invasività è statastudiata anche da un punto di vista di pattern spaziale,osservando la loro incidenza nei quadranti; da queste os-servazioni si può ammettere che le specie con più ampiadiffusione siano quelle a carattere igrofilo (foglie larghe,maggiore sviluppo sia laterale che in altezza) che corrispondequindi all’occupazione di habitat più umidi come zone ri-pariali (di per sé soggette a disturbo antropico), canali didrenaggio, scarpate e banchine stradali. Una specie checaratterizza molto bene questa situazione è Robinia pseu-doacacia (Foto 49) che si sviluppa proprio in questi habitat,insieme ad un ampio corteggio di altre specie come Phy-tolacca americana, Fallopia aubertii, Vitis riparia, Bidensfrondosa, etc. Al contrario, in ambienti molto aridi e caldi,quali nel Lazio le isole Ponziane, sono soprattutto le specietermo-xerofile (soprattutto Cactaceae o Aizoaceae) ainvadere le zone dove anche le piante autoctone fannofatica (ad es., in questi casi abbiamo competizione tra Eu-phorbia dendroides e Opuntia ficus-indica).Un semplice strumento utile al controllo delle specie al-loctone è quello di ridurre l’impiego di piante non nativesoprattutto nel campo del giardinaggio e delle piante or-namentali, che oggi ammonta a un grande giro di affari(Heywood & Brunel, 2008); nello studio citato si discute suun codice di comportamento verso le alloctone, cercandodi sviluppare la coscienza di utilizzare piante autoctonenon solo nel giardinaggio, ma soprattutto nella progettazionedi impianti di parchi, nel restauro del paesaggio e nell’urbangreening. Diversi convegni (Orti Botanici e Banche del ger-

moplasma) sono stati svolti per discutere questa esigenza,sentita in uno spirito sincero di educazione ambientale edi basso impatto ambientale; lo scopo di impiegare specieautoctone in Italia in realtà scopre un più grande problemadi quello causato dalle specie alloctone stesse, ovvero un“inquinamento” biogeografico e genetico negli habitat na-turali da parte di specie autoctone italiane, ma non autoctonea livello locale (fenomeni simili sono avvenuti anche incampo animale). Un esempio riguarda il progetto Life“Island Conservation in Tuscany, Restoring Habitat not Onlyfor Birds” (LIFE13NAT/IT/000471) in cui per un “uso del giar-dinaggio consapevole” nell’isola di Giannutri si escludonogiustamente le specie esotiche invasive e si applica ilcriterio di utilizzare specie esotiche con scarse capacità dipropagazione e inoltre di utilizzare specie autoctone, qualioleandro (Nerium oleander), cappero (Capparis spinosa),rosmarino nella varietà prostrata (Rosmarinus officinalis“Prostratus”), agnocasto (Vitex agnus-castus). In realtà, lespecie suddette non sono per niente autoctone per l’isolae quindi potrebbero diventare delle esotiche locali o peggioinquinare geneticamente le popolazioni locali di rosmarinoe delle altre specie qualora non sia usato materiale prove-niente dall’arcipelago. In questi ultimi tempi abbiamo osservato nel Lazio l’intro-duzione di specie autoctone provenienti da altre partid’Italia, un caso emblematico è quello del ritrovamentorecente (anche in Umbria) dell’endemita Allium siculumsfuggito a coltura (venduto nei vivai) e probabile nuovoospite indesiderato della flora laziale. Finora, questo feno-meno non è stato considerato nell’ambito delle invasionidi alloctone essendo queste specie considerate autoctonea livello nazionale nei progetti fin qui svolti; tale esclusione,in base a quanto risulta dalla letteratura, non dipende daragioni di tipo biogeografico, ma piuttosto dalla mancanzadi dati sicuri sulla distribuzione di specie a livello locale.

Foto 48 - Opuntia ficus-indica e Agave americana entrambe invasive in am-bienti naturali a Ventotene.

Foto 49 - Robinia pseudoacacia, bosco ripariale dominato dalla speciepresso Fabrica di Roma (VT).

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72 Flora alloctona - Capitolo 3

Nel Lazio, al contrario, i nostri dati ci permettono diosservare pattern di distribuzione per le specie autoctoneche possono rivelare punti locali di diffusione di specie(in pratica si tratta di disgiunzioni), ad es. per trasporto in-tenzionale dell’uomo, come nel caso del cappero (Capparisspinosa) o dell’alisso marittimo (Lobularia maritima, Foto50), ritrovate in aree a loro non pertinenti; questi casi

sono stati codificati sotto lo status di “autoctone con al-loctonia locale”. Un altro esempio eclatante è quello diCercis siliquastrum, utilizzato in città e nelle alberaturestradali, senza alcuna identificazione certa della sua pro-venienza; piantato intensamente nelle aiuole lungo l’au-tostrada A1 da Roma fino a Orte, C. siliquastrum (Foto 51)sta arrivando diffusamente in Umbria, dove era già segnalatocome alloctono solo per piccole stazioni; il suo impiego inPiemonte e Liguria, dove è assente, andrebbe sicuramentesconsigliato, mentre non andrebbero rafforzate le popo-lazioni non autoctone della Sicilia, Sardegna, Puglia eFriuli V.G., dove è già segnalato come alloctono. La presenzadi popolazioni naturali vicine a popolazioni provenientida spontaneizzazione di specie introdotte è un fenomenoancora poco studiato che andrebbe preso in considerazionein vista di un processo quasi inevitabile di ibridazione emodificazione genetica; si riporta un esempio relativo aPyracantha coccinea (Foto 52) che viene utilizzato ormaiin molte siepi stradali, la cui diffusione si sovrappone allepopolazione autoctone (per la copresenza di popolazioniautoctone e alloctone la specie non è stata però inseritanella lista delle alloctone locali).

Foto 51 - Cercis siliquastrum (M. Cifalco, Cassino), specie caratteristica dei boschi termofili a carpino orientale.

Foto 50 - Lobularia maritima nel suo habitat naturale sulle spiagge sab-biose del litorale romano.

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73Le invasioni di specie alloctone

Invasibilità e invasivitàPer le specie alloctone il successo della loro introduzione ela loro naturalizzazione sono in relazione non solo al trasportoaccidentale o intenzionale dell’uomo, ma sono fenomeniche devono essere visti anche in relazione al tipo di ambiente.Molte ricerche hanno affrontato questo problema definendola invasibilità come la predisposizione di un habitat ad essereinvaso e cercando di trovare modelli generali predittivi sullainvasibilità relativa al tipo di habitat con conclusioni contrastanti(Rejmánek, 1989; Burke & Grime, 1996; Lonsdale, 1999; Davis,2000). Da una parte sono stati considerati più sensibili gliambienti già degradati e impoveriti floristicamente in quanto

specie alloctone diverse già diffuse potrebbero agevolarel’introduzione di altre nuove specie alloctone con un effettodi “facilitazione” a cascata, come ad ad es. nella copresenzadi due specie diverse di Oxalis (Foto 53), soprattutto nelcaso in cui le specie siano in grado di modificare le caratteri-stiche dell’habitat (specie “transformers”) a vantaggio deinuovi inquilini, secondo l’ipotesi (Invasional meltdown) for-mulata per prima da Simberloff & Von Holle (1999), senzaescludere che queste stesse modificazioni ambientali possanofavorire anche la diffusione di specie autoctone o che lespecie alloctone siano a loro volta attaccate da parassiti giàpresenti (ad es. Oxalis articulata, Foto 54). Si è rilevato (Novel

Foto 52 - Pyracantha coccinea, siepe lungo l’autostrada presso la via Palombarese in cui la pianta è ormai spontaneizzata fino a diffondersi nelle aree circostanti.

Foto 53 - Oxalis pes-caprae e O. articulata invasive entro la macchia medi-terranea (S. Severa).

Foto 54 - Oxalis articulata, eliminazione da attacco di ruggine.

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weapon Hypothesis) che alcune specie alloctone con elevatainvasività posseggono capacità allelopatiche contro pianteautoctone o sostanze chimiche che dissuadono i consumatori(Callaway & Ridenour, 2004), ma altre prove contrastanoquesta ipotesi (Lind & Parker, 2010); per il Lazio citiamocome esempi di piante tossiche invasive Ailanthus altissima(con effetti allelopatici), Rhus coriaria (Foto 55), Senecio inae-quidens che vengono rifiutate dagli erbivori. Secondo altre motivazioni e osservazioni le regioni piùricche floristicamente sono state indicate come quelle meno“ospitali” a nuove introduzioni, così l’elevata biodiversità delBacino Mediterraneo potrebbe giustificare l’ostacolo all’in-troduzione di nuove specie non adatatte (Biotic ResistanceHypothesis, cfr. Elton, 1958; Diversity-stability Hypothesis, cfr.Ives & Carpenter, 2007), in quanto le più strette e prolungateinterazioni mutualistiche (coevoluzione) dovrebbero renderepiù difficile la penetrazione di specie alloctone ovverocomunità più ricche di specie sono più efficienti ad usarecompletamente le risorse disponibili (l’ipotesi che gli ecosistemipiù ricchi di specie rispetto a quelli con più bassa biodiversitàsiano più resistenti alle invasioni biologiche trova ormaiperò meno credito da un punto di vista sperimentale). Unprolungato disturbo antropico, come si è avuto in Italia per

la flora mediterranea, potrebbe avere determinato una mag-giore resistenza degli habitat mediterranei all’invasività dispecie alloctone. Per quanto riguarda la relazione tra speciealloctone e autoctone rispetto all’eterogenità ambientalericordiamo lo studio condotto in Germania (Deutschewiz etal., 2003) utilizzando la griglia di quadranti MTB, la stessautilizzata nel presente lavoro; nel distretto di Dessau vengonoconsiderati 125 quadranti con circa 1700 specie autoctonee 300 alloctone, le cui analisi mirano a rilevare e mappare lerelazioni tra ricchezza relativa autoctone/alloctone ed ete-rogenità spaziale (habitat, frammentazione, uso del suolo),evidenziando una concentrazione in aree urbane sia delleautoctone che di quelle alloctone. Un lavoro simile che con-sidera tutta la Germania è quello di Kühn et al. (2004) cheprendono in considerazione la spontaneizzazione di speciealloctone in habitat (semi-)naturali, utilizzando il databaseFLORKART (griglia MTB) e dati di vegetazione derivanti dalLand Cover Corine. Risultato interessante in questo studio èche l’invasione di specie alloctone è più diffusa in habitatseminaturali piuttosto che in habitat urbani, ciò che è ab-bastanza lontano da quanto in genere si immagina; nelLazio un esempio in tal senso può essere rappresentato dal-l’espansione di Hemerocallis fulva (Foto 56) e Pittosporum

Foto 55 - Rhus coriaria in estese chiazze di colore rosso presso Salisano (Sabina) in autunno.

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tobira (Foto 57) in ambienti forestali. Tale argomento èdiscusso anche da molti altri autori (Alpert et al., 2000; Miltbauet al., 2009; Richardson et al., 2007; Chytry et al., 2008;Stohlgren et al., 2003), a cui si rimanda per ulteriori appro-fondimenti. Possiamo solo riassumere in modo generale chela invasibilità, intesa come capacità di ospitare e sostenere ladiffusione di specie alloctone, dipende soprattutto da moltifattori quali il disturbo (fuoco, pascolo, consumo del territorio,urbanizzazione), aumento delle risorse trofiche (quantità dinutrienti, disponibilità di acqua), presenza di strade e corpiidrici, frammentazione di habitat con sviluppo di marginiecotonali, diminuzione della competizione interspecifica (ades. assenza di parassiti o predatori, cfr. Enemy Release Hypothesisin Keane & Crawley, 2002). In genere, il disturbo antropico èil fattore che viene generalmente enfatizzato in relazionealla invasibilità, ma al contrario anche la mancanza sia di unaprolungata storia di disturbo sia di compresenza antropicain un contesto di “preadattamento” ha facilitato la penetrazionedi specie alloctone (ad es., maggiore invasività delle speciedal Vecchio Mondo al Nuovo Mondo e non viceversa). NelLazio le zone più antropizzate sono quelle con rete stradalediffusa e con tessuto urbanizzato cementificato, visto comeconsumo di territorio, presenza di zone pianeggianti dovel’agricoltura è più redditizia e intensiva (Bonifica Pontina),ma anche dove le industrie hanno un forte sviluppo, entrambefavorite dalla disponibilità idrica di una falda freatica ricca e

Foto 57 - Pittosporum tobira, utilizzato dovunque sulla costa, è riuscito adoccupare la lecceta al Circeo e Gianola.

Foto 56 - Hemerocallis fulva, popolazione spontaneizzata sotto la scarpata stradale da materiale gettato (M. S. Giovanni Campano).

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di una estesa pianura fluviale come quella del Tevere; inqueste aree si rileva una maggiore concentrazione di speciealloctone, che diminuisce al contrario andando soprattuttoverso le aree montane più naturali. L’Alto Lazio mostra areemeno ricche di alloctone, non per una più elevata naturalità,ma al contrario per la presenza di noccioleti così diffusi e in-tensivamente coltivati da diventare talmente paucispecificida essere inospitali anche per le alloctone a differenza dellecolture irrigue o sarchiate di altre zone come la pianuraPontina. Ovviamente, facendo confronti tra nord e sud del Lazio, traaree pianeggianti e aree montane, entra in gioco un effettodi relazione con il clima. Questo aspetto è stato oggetto dimolti studi in diversi paesi, soprattutto in confronto ai cam-biamenti climatici. In Spagna, ad es., risulta che le alloctonesono molto numerose nelle aree costiere con clima medi-terraneo, mentre sono molto poche nelle aree centrali con-tinentali (Gassó et al., 2010); stessa situazione si può dire peril Lazio, dove il freddo invernale delle aree montane costituisceuna barriera per specie provenienti da aree tropicali e sub-tropicali, mentre una maggiore concentrazione di alloctonesi trova nelle zone pianeggianti costiere, più calde, più an-tropizzate e con agricoltura intensiva a forte impatto. Ciòcontrasta, comunque, con il fatto che la Lombardia ha unnumero molto elevato di alloctone (Banfi & Galasso, 2010) epiù in generale con la più ampia invasività nelle regionieuropee più settentrionali, anche là dove il freddo invernalepotrebbe impedire il completamento del ciclo biologicodella specie; risulta anche evidente però che molte dellespecie alloctone lombarde sono legate alle aree golenali eripariali del bacino del Po, Ticino e Adda e alla regione deilaghi insubrici, dove il clima è più mite (ad es. invasività diTrachycarpus fortunei, Galasso in verbis). L’analisi effettuatain questo volume della relazione tra dati climatici e numerodi alloctone ha dimostrato che nelle aree con temperaturamedia minima di gennaio < 0°C resiste solo il 38% dellespecie in totale. Anche la piovosità è stata considerata inalcuni studi (Ashbacher & Cleland, 2015) senza trovare cor-relazioni evidenti e anche nel Lazio questo fattore nonsembra influenzare al di sopra di livelli elevati la distribuzionedelle alloctone. Considerando che le aree più ricche dialloctone sono la valle del Tevere e la pianura Pontina, en-trambe a clima mediterraneo con presenza di aree umide, sipuò ammettere che calore e disponibilità idrica influenzinopositivamente l’invasività di specie alloctone, soprattuttoquelle a sviluppo primaverile e autunnale. Un altro aspettoè l’influenza del cambiamento climatico sulla diffusionedelle specie alloctone e una sua relazione con l’aumentodell’invasività (Bellard et al., 2012), soprattutto considerandol’aumento degli eventi estremi (fuoco, alluvioni); anche qui i

risultati sono contrastanti prevedendo, comunque, unaespansione delle alloctone nelle aree settentrionali del globo(nord Europa e nord America) e una loro riduzione allebasse latitudini, comportando anche la possibilità che intalune aree (Australia, etc.) ci sia una loro riduzione e quindiuna più facile eradicazione. Nel Lazio, pur non avendo effet-tuato un’analisi di modello previsionale di questo tipo (SDM),possiamo prevedere, in base ai risultati sopra indicati, unadiminuzione delle alloctone nelle zone più calde (areecostiere) e un loro spostamento verso l’interno (ovviamentele specie alloctone più termo-xerofile si concentrerannoladdove trovano rifugio); in tale trend, possiamo immaginareche lo spostamento avverrà preferenzialmente lungo corridoipiù facilmente percorribili come la valle del Tevere versol’Umbria e la valle del Sacco verso le zone appenniniche. Peruna revisione critica delle problematiche più importanti ri-guardanti le invasioni biologiche rimandiamo al lavoro moltoarticolato di Rai (2015) in cui si evidenzia una complessità dicause che per essere compresa necessita di una visione si-nottica di tutti i processi.La valutazione potenziale di invasibilità di un ecosistema sipuò basare sull’uso di indicatori (specie come bioindicatori,ad es. ailanto), su misure di invasività (numero percentualedi specie alloctone rispetto alle native; numero di specie“transformers”, specie che modificano l’habitat e quindi piùpericolose); in questo lavoro introduciamo una misura di“rarità pesata” (RWR-Rarity-Weighted Richness), in modo daconfrontare le unità di rilevamento (quadranti) sulla basedella presenza di specie alloctone rispetto alla loro frequenzagenerale su tutto il territorio laziale. Maggiore è l’indice,maggiore è la presenza di specie alloctone rare (in genereanche meno invasive o ai primi stadi di introduzione),situazione migliore dal punto di vista dell’impatto ambientale,ma più preoccupante per il grado elevato di facilità con cuisono entrate specie anche per la prima volta a livello regionale.

PROGETTI INTERNAZIONALI E NA-ZIONALI SULLE SPECIE ALLOCTONEL’attenzione ai problemi delle specie alloctone ha sviluppatouna serie di iniziative con l’organizzazione di comitati eprogetti di sorveglianza sulle introduzioni sia a livelloeuropeo che a livello globale e tutto il materiale viene resoaccessibile via web per consultazione.Il progetto più ampio a livello globale è quello GISP (GlobalInvasive Species Database) che ha lo scopo di raccogliere ilmaggior numero possibile di informazioni sulle specie al-loctone e stabilire protocolli standardizzati di controllo ederadicazione, tenendo conto che se una specie da pocointrodotta è difficile da scoprire è anche quella più facileda eliminare a differenza di quelle ormai invasive su cui è

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difficile se non impossibile l’eradicazione, nel qual caso èda scegliere solo il controllo o l’eradicazione in siti particolari,come le isole.Negli Stati Uniti ricordiamo il progetto EDD MapS (EarlyDetection & Distribution Mapping System) che si riferisce,oltre a vari altri organismi, a circa 1000 piante alloctonenegli USA con mappe di distribuzione sia a livello di contea

che puntiformi. Lo scopo principale è quindi quello di rac-cogliere il maggior numero possibile di dati geolocalizzati.In Sud Africa, uno dei paesi più minacciati dall’invasione dispecie alloctone, ricordiamo il progetto SAPIA che ha loscopo di raccogliere un database completo sulle introduzionidi nuove specie sulla base di una cartografia floristica perunità di griglia.Per l’Europa il progetto più ampio è stato quello denominatoDAISIE (www.europe-aliens.org) fondato dalla ComunitàEuropea il cui web-site permette di scaricare per ognispecie del database una scheda completa con informazionibiologiche e la mappa di distribuzione. Come curiosità, ilprogetto ha creato una lista delle 100 specie alloctonepeggiori (100 of the Worst) tra i vari gruppi di organismi;per le piante si registrano 20 specie in tutto, di cui ben 11si trovano nel Lazio: Acacia dealbata, Ailanthus altissima,Ambrosia artemisifolia, Carpobrotus edulis, Cortaderia selloana,Elodea canadensis, Opuntia ficus-indica, Paspalum distichum(Foto 58), Robinia pseudoacacia, Impatiens glandulifera,Oxalis pes-caprae (Foto 59).Attualmente operano diversi altri gruppi, quali l’European

Weed Research Society (EWRS) rivolto all’interesse sulle

Foto 59 - Oxalis pes-caprae.

Foto 58 - Paspalum distichum, graminacea ormai presente nei più svariatiambienti umidi.

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specie invasive; l’Assessing Large Riscks for biodiversity withnested Methods (ALARM) rivolto alle problematiche deirischi e delle previsioni generali riguardanti le specie alloc-tone; l’European Group on Biological Invasions (NEOBIOTA)che fornisce la possibilità di scambio di informazioni attra-verso attività di forum, convegni e pubblicazioni sulle te-matiche delle invasioni biologiche.Una rete europea importante, ma che si limita solo ai paesidel nord-centro Europa, è quella creata da NOBANIS (NorthEuropean and Baltic Network on Invasive Alien Species,www.nobanis.org) rivolta al monitoraggio di tutte le speciealloctone di qualsiasi taxon vegetale e animale.Infine, la Commissione Europea ha emanato un organismoapposito con misure e progetti per la regolamentazionesulle specie invasive che prevede la prevenzione, l’indivi-duazione iniziale e la rapida eradicazione e controllo; vieneredatta una lista delle specie invasive sulla base dell’interventodi un comitato di esperti di tutti i rappresentanti dell’Unionee di lavori di gruppo (WGIAS). La Commissione fornisce in-formazioni sulle specie alloctone attraverso un rete apposita(EASIN) e finanzia progetti, quali LIFE, Horizon 2020, RuralDevelopment 2014-2020, progetti interregionali (INVEXOper Olanda e Fiandre).Un aspetto generale che accomuna tutti questi progetti èquello di avere informazioni più complete possibili sulladistribuzione delle specie alloctone e pertanto la cartografiaè considerata uno dei mezzi più idonei al controllo e allaloro eradicazione.

In Italia, l’organismo di controllo sulla introduzione dellespecie alloctone è il Ministero dell’Ambiente (www.mini-ambiente.it) in cui si possono avere informazioni sulle attivitàsvolte che per lo più rimandano a iniziative di carattere eu-ropeo; il suo contributo alla checklist della flora alloctonaitaliana (Celesti et al., 2009), che ha visto la partecipazione diesperti regionali, ha avuto un carattere soprattutto editorialesenza il supporto di un vera e propria attività di ricercaoriginale di campo dei dati distributivi. A livello regionale,iniziative locali sono ormai avviate soprattutto in alcuneregioni, dove si sviluppano anche progetti più avanzati sulladistribuzione delle alloctone, come Lombardia, Emilia-Ro-magna, Toscana, Sardegna, Lazio, Abruzzo, piccole isole; inalcuni casi, si tratta comunque di progetti mirati a casi parti-colari. Si dovrebbe auspicare una maggiore estensione diuna rete di controllo sulla introduzione e sull’identificazioneprecoce di nuove specie introdotte e la loro immediata eli-minazione, appena vengano segnalate (si potrebbe auspicareuna legge apposita). Finora le regioni che hanno sviluppatouna maggiore conoscenza floristica riguardanti le specie al-loctone risultano il Trentino (Prosser & Bertolli, 2015), laLombardia (Banfi & Galasso, 2010), la Toscana (Arrigoni &Viegi, 2011), la Sardegna (Camarda et al., 2016), la Campania(Stinca, 2013); con questo nostro contributo il Lazio risultatra le regioni meglio esplorate e conosciute soprattutto at-traverso una rappresentazione cartografica georeferenziatadella distribuzione di tutte le specie, accuratezza che non èstata finora raggiunta su una scala così ampia.

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79Aggiornamento e revisione critica della flora vascolare alloctona del Lazio

INTRODUZIONEIl lavoro di aggiornamento e revisione critica della floraalloctona regionale è stato suddiviso in differenti fasi dilavoro:FASE A) aggiornamento/validazione: in questa fase tutte lespecie precedentemente citate come alloctone, o comedubitativamente alloctone per il territorio regionale all’internodi lavori scientifici, sono state criticamente valutate e revi-sionate sia in termini di aggiornamento della loro effettivacapacità di spontaneizzazione e presenza all’interno dellaregione Lazio, sia in termini di provenienza e origine. FASE B) revisione critica delle caratteristiche legate al processodi invasione: in questa fase, seguendo gli standard nomenclaturalie concettuali fissati a livello internazionale, sono state classificatetutte le specie che nella precedente fase sono state riconosciutecome alloctone presenti a livello regionale. FASE C) revisione critica di alcune caratteristiche biogeograficheed ecologiche: sulla base della bibliografia internazionale enazionale e in funzione delle conoscenze di campo acquisitenel tempo, in quest’ultima fase, per le specie alloctone rico-nosciute come presenti a livello regionale sono state attribuitee archiviate alcune caratteristiche biogeografiche, come ladeterminazione dell’areale di introduzione e dell’areale naturale

di origine ed alcune caratteristiche ecologiche, come la defi-nizione dell’habitat prevalente di introduzione e/o di invasionee la definizione di alcuni parametri ecologici (tipo di fotosintesi,fenologia, tipo di dispersione, tipo di impollinazione, etc.).

FASE A: aggiornamento/validazioneÈ stato inizialmente selezionato un primo elenco delle speciepotenzialmente alloctone da sottoporre alla fase di aggior-namento e validazione. In particolare, sono stati utilizzaticome testi principali di riferimento alcuni recenti lavori di re-visione che riportano importanti informazioni sullo status dialloctonia del Lazio, delle regioni limitrofe e a livello nazionale(Anzalone et al., 2010; Arrigoni & Viegi, 2011; Celesti et al.,2010a, 2010b; Viegi et al., 2004a, 2004b). In totale, sono statiindividuati a livello regionale 599 taxa variamente citati inbibliografia come alloctoni o come dubitativamente alloctoni;tali entità hanno formato il “pool” iniziale di specie provenienteda 22.002 dati bibliografici riportati in 420 pubblicazioni,16.811 dati di campo e 1.317 dati di erbario e che è stato sot-toposto a varie fasi di aggiornamento e validazione criticache sono riassunte nel quadro di Fig. 4.4. I dati bibliografici, effettivamente cartografati, assommanoa 4.907 in quanto i dati inseriti (22.002) presentano una so-

4 - AGGIORNAMENTO E REVISIONE CRITICA DELLAFLORA VASCOLARE ALLOCTONA DEL LAZIOMarco Iocchi, Stefania Paglia, Fernando Lucchese

Fig. 4.1 - Grafico dell' andamento temporale delle pubblicazioni scientifiche selezionate per la realizzazione del database dei dati bibliografici dellaFlora Alloctona del Lazio.

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80 Flora alloctona - Capitolo 4

vrabbondanza di ripetizioni (circa 4,5 volte); al confronto, idati di campo (16.811) risultano circa 3,5 volte più numerosidi quelli bibliografici. Esempi della maggiore conoscenzaacquisita dei dati di campo (d.c.) rispetto ai dati bibliografici(d.b.) sono mostrati da alcune specie molto diffuse riportatenelle mappe: 1) Arundo donax, 436 d.c./110 d.b.; Papaverrhoeas, 513 d.c/145 d.b.; 3) Robinia pseudoacacia, 482d.c./104 d.b; Xanthium orientale, 289 d.c./105 d.b. Questidati possono anche indicare un livello più basso di cono-scenza floristica laziale rispetto alla cartografia attuale.L’interesse verso la flora alloctona è dimostrato dal grafico(Fig. 4.1) in cui si osserva l’aumento progressivo (in decadi

di anni) delle pubblicazioni scientifiche e che trova unpicco all’incirca tra il 1990 e il 1999.La suddivisione in tipologie editoriali secondo le rivistescientifiche o pubblicazioni affini (Fig. 4.2) mostra una pre-valenza di dati provenienti dall’Informatore Botanico Italianoe dagli Annali di Botanica (Roma).Le categorie editoriali suddivise per argomento, da cuisono stati estratti i dati bilbiografici, sono evidenziati inFig. 4.3, dove si osserva l’importanza dei lavori floristici(9.876 recors) e di quelli di conservazione e di fitosociologia;solo 50 lavori con 658 records estratti sono quelli dedicatiesclusivamente alla flora alloctona.

Fig. 4.2 - Suddivisione delle pubblicazioni (con relativo numero di segnalazioni, indicato tra parentesi) inserite nel database dei dati bibliografici della Floraesotica del Lazio, in base alle tipologie di riferimenti editoriali (non sono stati inclusi i riferimenti editoriali con un numero di pubblicazioni inferiore a 5).

Fig. 4.3 - Suddivisione delle pubblicazioni (con relativo numero di segnalazioni, indicato tra parentesi) inserite nel database dei dati bibliografici della Floraesotica del Lazio, in base alle categorie dei riferimenti bibliografici (non sono stati inclusi le categorie con un numero di pubblicazioni inferiore a 5).

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81Aggiornamento e revisione critica della flora vascolare alloctona del Lazio

FASE A1: revisione dello status di alloctonia/autoctoniaInizialmente è stato valutato criticamente l’effettivo statusdi alloctonia/autoctonia di ciascuna specie (Fig. 4.4). Perflora indigena o autoctona si intende l’insieme di tutte lespecie spontanee “NATIVE”, presenti in un dato territorio dicui si sia accertato il loro carattere autoctono (operazionenon sempre semplice e scontata). A queste si contrappon-gono concettualmente le specie spontanee “ALIENE”, ovveroquelle entità presenti in un dato territorio a causa di unaloro introduzione artificiale (volontaria o involontaria) daparte dell’uomo. La distinzione tra native e aliene non èsempre sicura e precisa; spesso dipende dall’esperienzadell’esperto e lascia un margine di discrezionalità, per cuisi osserva che tra gli autori citati nei lavori sulle specie al-loctone a livello regionale non esiste sempre un accordocompleto. A questo scopo è stato eseguito un appropriatolavoro di revisione critica, basandosi su alcuni criteri che,pur potendo non essere condivisi, comunque sono da at-tribuire in alcuni casi alla personale conoscenza del ricercatore(expert knowledge): 1) testimonianze storiche letterarie; 2)continuità dell’areale di una specie e della sua relazionecon altre specie sicuramente autoctone; 3) conoscenzadettagliata della consistenza delle popolazioni; 4) attenzionee considerazione del fenomeno dell’apofitismo e del feno-meno del segetalismo. Ad es., le piante segetali, attualmente

presenti solo nelle colture di frumento e non in altri consorzie che sono state trasportate insieme alle colture cerealicoledal medio oriente attraverso il passaggio sulle coste sud-mediterranee, sono da ritenersi alloctone archeofite. Perquanto riguarda l’apofitismo, prendendo l’esempio di Smyr-nium olusatrum, specie molto presente in ambito urbanoe rurale e un tempo utilizzata per vari scopi (Quis udo/de-properare apio coronas/curatve myrto ?, Horat., Odi II, 7: 23-25), si ritiene che la sua frequente diffusione attuale corri-sponda a una sua originaria predisposizione ad occupareambiti naturali, da dove successivamente è scomparsa inseguito ad addomesticamento, che è dimostrato in molticasi poter portare all’estinzione delle popolazioni naturalio alla loro diminuita competizione nell’habitat naturale. Alcontrario, un’altra specie Artemisia absinthium (Foto 60)con vari usi da quello vermifugo a quelli ginecologico e li-quoristico, anch’essa presente in ambiti simili (centri urbanie rurali), ma non in habitat naturali, ha una diffusionemolto più limitata e localizzata; evidentemente, laddove èstata utilizzata per molto tempo, la sua presenza si èrarefatta poiché attualmente ne è diminuita l’utilizzazionerispetto al passato. Attualmente, questa specie è ritenutaalloctona archeofita probabilmente di origine sud-est eu-ropea di ambiente steppico.Le specie che sono state precedentemente valutate comealiene regionali da alcuni autori, o la cui autoctonia è stata

Fig. 4.4 - Schema logico delle fasi di aggiornamento e validazione.

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messa in dubbio nella regione, di cui, però, si hannosufficienti prove per riconoscerle come autoctone per ilLazio, sono state riunite nella categoria “NATIVE”, in mododa promuovere la loro esclusione dalla flora alloctona re-gionale. Tutte le specie non native a cui è stato invece rico-nosciuto l’effettivo status di introduzione nel territorio re-gionale sono state riunite all’interno della categoria “ALIENE”,confermando il loro status di alloctonia a livello regionale.Un esempio è dato da Platanus orientalis di cui abbiamonotizie letterarie dagli autori latini che ne enfatizzano unuso ornamentale eccessivo, facendo pensare ad una suarecente acquisizione e utilizzazione (et platanis creber paritersurgentibus ordo,.. Prop. Eleg. II, 32: 13; platanusque caelebs/ evincet ulmos Horat, Od., II, 15, 3). Per la Sicilia Plinio nonriporta se il platano orientale era già stato introdotto daiGreci oppure fosse spontaneo; in ogni caso, niente giustificauna sua attribuzione spontanea nel Lazio, in quanto per lepopolazioni laziali è possibile assegnarle solo a P. hyspanica. Nonostante i concetti sembrino apparentemente ben se-parati, molto spesso rimangono moltissime specie “CRIPTO-GENICHE” di cui è difficile stabilire lo status, quali ad esempioil castagno (Castanea sativa), il bagolaro (Celtis australis,Foto 61) e molte altre. La difficoltà di una loro classificazionedipende dal fatto che si tratta spesso di specie di anticacoltura di cui si è persa ormai una memoria storica (ad es.Vitis vinifera subsp. vinifera). Come ulteriore categoria di classificazione dello status dialloctonia/autoctonia, si è scelto di comprendere nel lavorodi revisione critica la casistica rappresentata da quellepiante che, autoctone in alcune aree del Lazio (ad es.

Capparis spinosa nelle zone costiere), si ritrovano anche adessere introdotte in altre zone del Lazio (ad es. Capparisspinosa in contesti urbani e nelle aree interne del Viterbese,Foto 62). Tali casi riguardano, quindi, località dove sonostate chiaramente coltivate delle specie autoctone e quindidevono risultare a tutti gli effetti come delle introduzionidi entità alloctone a livello locale (Foto 63). Queste speciesono state considerate come “LOCALMENTE INTRODOTTE”, unacategoria ancora poco utilizzata in bibliografia a causadella incompletezza delle conoscenze distributive, maestremamente importante in termini di gestione e conser-vazione della flora. A questo scopo le mappe di distribuzionedi questi taxa sono state riunite a parte, dove per ciascunaentità è possibile osservare e distinguere le zone del Lazioin cui la specie è naturale, da quelle dove, invece, è statalocalmente introdotta (Foto 64, Foto 65). Tra le specie alloctone classificate come “ALIENE”, sono stateincluse anche quelle specie coltivate e/o piantate, untempo presenti allo stato spontaneo nella regione medi-terranea, ad es. Asparagus officinalis, Calendula officinalis(Foto 66), Avena sativa, etc., che successivamente hannospontaneizzato introducendo nuovi pool genetici tra lepopolazioni naturali (“inquinamento genetico”). Le speciecoltivate e/o piantate, infatti, subiscono nella maggiorparte dei casi un’alterazione del loro pool genetico epertanto possono accumulare con il tempo una serie dimutazioni che le differenziano dalle popolazioni naturalioriginarie. Quando tali specie spontaneizzano negli ambientinaturali e semi-naturali, queste possono essere quindi con-siderate a tutti gli effetti delle specie alloctone.

Foto 61 - Celtis australis, si trova sporadicamente in boschi termofili e am-bienti rocciosi.

Foto 60 - Artemisia absinthium, sporadica attorno ai paesi e in ambientirurali abbandonati.

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Foto 63 - Lobularia maritima, pianta venduta nei vivai e molto utilizzatanei giardini.

Foto 65 - Salvia officinalis, pochi individui rinvenuti ai margini della stradamolto distanti dai luoghi naturali.

Foto 64 - Rosmarinus officinalis, sfuggito a coltura e spontaneizzato surupe (Ferentino).

Foto 66 - Calendula officinalis (Casperia), specie ornamentale rustica, quisi ritrova nei pressi di giardini di provenienza.

Foto 62 - Capparis spinosa, tipica pianta che abbellisce le mura antiche diRoma.

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In riferimento allo status di alloctonia sono state valutatee distinte le seguenti tipologie:- Native “A- (Nat)”: taxa il cui areale naturale ricade nelLazio, o che lo era in passato per le specie autoctoneormai scomparse.

- Localmente introdotte “A loc”: taxa autoctoni (quindisottogruppo della tipologia precedente) che sono statilocalmente introdotti dall’uomo in settori geografici delLazio che si trovano al di fuori del loro naturale ambito didistribuzione.Esempio: Lobularia maritima, presente come naturalenelle dune e nelle zone costiere (Foto 63); nelle zone piùinterne viene coltivata e può sfuggire alla coltura.

- Criptogeniche “A?”: taxa per i quali non è possibile rico-struire con certezza l’origine geografica.Esempio: per Anemone coronaria (Foto 67) già Montelucciaveva ipotizzato una sua coltura antica di epoca etruscaper il carattere ornamentale del fiore, con una sua eventualeintroduzione dall’Asia; attualmente è ben diffusa nellaSabina dove può sembrare autoctona, ma la si ritrovasporadica anche in altri settori dove però potrebbe pro-venire da colture.

- Aliene “A”: taxa il cui areale naturale non ricade nel Lazio.

FASE A2: revisione critica dello status di spontaneizzazioneUn secondo criterio di validazione ha riguardato la loro ef-fettiva capacità di riprodursi in natura, distinguendo quellespecie effettivamente “SPONTANEIZZATE”, da quelle specie col-tivate e/o piantate dall’uomo che, al contrario, risultano anostro parere “DUBITATIVAMENTE SPONTANEIZZATE”, in contrastocon quanto suggerito da altri autori all’interno della bi-bliografia selezionata. Il processo di spontaneizzazione,però, non è sempre facile da valutare, in quanto possonoverificarsi molte casistiche intermedie. Ad esempio, vi sonomolti casi di specie coltivate (per scopi ornamentali o perscopi agricoli) che generano spontaneizzazioni effimere lacui permanenza negli ambienti circostanti è intimamentelegata al continuo apporto di propaguli dalla coltivazione.Questo grado di spontaneizzazione “dipendente dalla col-tivazione” non sempre è stato considerato come un vero eproprio processo di spontaneizzazione dai vari autori epertanto le segnalazioni pregresse non sono conformi. Anostro parere questi casi devono essere uniformati atten-tamente senza riportare acriticamente quanto stabilito inprecedenza, definendo ogni volta i casi che potenzialmentepossono generare fenomeni di introduzione veri e propri

Foto 67 - Anemone coronaria, si trova su suoli arenacei o argillosi, molto frequente in Sabina (Salisano).

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(avventiziato, fuga da coltura, etc.). Il processo di sponta-neizzazione per definizione è un processo naturale chenon avviene per opera dell’uomo. Pertanto un principioalla base di questo processo è l’assenza di cure da partedell’uomo (concimazione, irrigazione, uso di pesticidi e/odiserbanti, etc.) nel luogo dove la specie viene ritrovata.Ma le casistiche possibili a partire da questo concetto sem-plificato sono innumerevoli; ad es., si notano numerosicasi di avventiziati effimeri derivanti dalla irragionevoleabitudine di alcuni cittadini di buttare la terra dei vasi al-l’interno di aree abbandonate o ancor peggio di piantarepiccoli alberi o arbusti in zone incolte marginali. Gli individuigenerati da porzioni di piante gettate o piantate direttamentedall’uomo non possono essere considerati come sponta-neizzati, ma se nel tempo da questi riescono poi a propagarsio a diffondersi autonomamente, altri individui fertili o concapacità di riproduzione vegetativa, senza l’aiuto dellesuddette cure umane, allora si può registrare un vero eproprio processo di spontaneizzazione. Il criterio da noiadottato per verificare l’effettiva capacità di spontaneizza-zione dei taxa è stato abbastanza restrittivo, al fine diescludere tutta una serie di taxa “innocui” la cui sponta-neizzazione risulta a nostro parere dubbia (segnalazionicarenti che non riportano informazioni sufficienti sullareale emancipazione della specie dalle cure dell’uomo,scarsa conoscenza della/e popolazione/i e delle sue capacitàeffettive di dispersione, etc. e che quindi rientrano in unacasistica di scarso interesse ai fini della conservazione. Piùin particolare, sono stati considerati come dubitativamentespontaneizzati quei casi “dipendenti dalle coltivazioni”dispersi in prossimità dei siti di coltura che, nel tempo,non generano diaspore o che danno vita solo a plantulee/o individui isolati (vedi Fig. 3.3). Potenziali introduzionicasuali di cui non è certo il completamento del processodi spontaneizzazione meriterebbero ulteriori studi e pertantovengono qui segnalate anche al fine di promuoverne unfuturo monitoraggio del processo di invasione.

In riferimento al processo di spontaneizzazione sono statevalutate e distinte le seguenti tipologie (solo per i taxa pre-cedentemente valutati come alloctoni per il Lazio):- Dubitativamente spontaneizzate“A- (Colt?)”: taxa alloctoniper i quali esistono sia segnalazioni che li indicano allostato coltivato, sia segnalazioni che li indicano allo statospontaneizzato, ma dei quali viene messo in dubbio ilcompletamento del processo di spontaneizzazione. Sitratta quindi di casi in cui, sulla base delle conoscenzepersonali dei revisori maturate durante le osservazioni dicampo, viene messa in dubbio l’effettiva efficacia del pro-cesso di spontaneizzazione.

Esempio: Syringa vulgaris, il noto lillà è ampiamentecoltivato e talvolta permane nelle siepi di vecchi giardinio di casali abbandonati, per cui a volte può sorgere ildubbio che si tratti di piante spontaneizzate, quandoinvece più verosimilmente sono solamente residui dipiante coltivate.

- Spontaneizzate “A (Spont)”: taxa alloctoni per i quali esi-stono casi accertati di completamento del processo dispontaneizzazione.

FASE A3: validazione e revisione della presenza/assenza nel LazioCome ultimo livello di revisione e aggiornamento della floraalloctona è stato valutato lo status di presenza/assenza al-l’interno del territorio regionale. Grazie alla raccolta dei nu-merosi dati di campo e all’enorme mole di dati bibliograficie d’erbario archiviati nel geodatabase, è stato possibileeseguire una validazione complessiva di ciascun taxavalidando di volta in volta, sulla base delle conoscenzeacquisite durante le esplorazioni di campo, i vari dati di pre-senza disponibili. I taxa per i quali sono disponibili dati dipresenza validati sono stati considerati come “CONFERMATI”,mentre i restanti taxa per i quali non sono presenti dati di-stributivi validati sono stati inclusi nel pool delle specie “EX-CLUDENDA”. Quest’ultimo raggruppamento include due principalitipi di casi. Sulla base di revisioni dei reperti d’erbariocompiute anche da altri autori e pubblicate in bibliografia, èstato possibile individuare alcuni errori di identificazione ditaxa che quindi devono essere esclusi dalla flora alloctonalaziale; questi casi sono stati riuniti all’interno della categoria“ERRONEAMENTE SEGNALATE”. Le specie alloctone per le quali esi-stono segnalazioni pregresse, in molti casi non comprovateda reperti d’erbario, ma non ritrovate durante le esplorazionidi campo, sono state riunite all’interno della categoria “CERCATEE NON TROVATE”. In questo raggruppamento ricadono tutte lespecie che in passato sono state definite come “dubbie”,oppure “non trovate in tempi recenti” dagli autori precedenti(Anzalone et al., 2010) e per le quali non sono state pubblicatisuccessivi ritrovamenti e non sono state confermate durantei censimenti di campo. Si tratta quindi di un raggruppamentoeterogeneo nel quale si riuniscono sia specie che certamenteerano presenti nel territorio regionale (quando esistonoreperti d’erbario validati), ma che sono presumibilmentescomparse, sia specie la cui presenza nel Lazio, non essendocomprovata da reperti d’erbario, potrebbe non essere effet-tivamente una reale scomparsa dal territorio regionale, maderivante da un errore di identificazione.

In riferimento alla revisione della presenza/assenza nelLazio sono state valutate e distinte le seguenti tipologie

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(solo per i taxa alieni precedentemente valutati come spon-taneizzati per il Lazio):- Erroneamente segnalate“A- (Err)”: taxa per il quale esistonosolamente segnalazioni errate che sono state accertatetramite verifica e revisione del reperto d’erbario.

- Cercate e non trovate“A- (CNT)”: taxa per il quale esistonosegnalazioni non validate per il Lazio. È il caso, ad esempio,di segnalazioni antiche (ritrovamenti avvenuti prima del1950) che non sono state più confermate e/o di segnalazionidi cui in seguito è stata accertata una scomparsa in locotramite verifiche di campo.

- Confermate “A”: taxa per il quale esistono segnalazionivalidate per il Lazio. Ai fini della cartografia floristica, all’interno di quest’ultimopool di specie si possono distinguere due sottogruppi infunzione della presenza o meno di informazioni dettagliatesulla distribuzione dei taxa all’interno del territorio regionale:a) Confermate ma con distribuzione da precisare“A (DD)”:taxa per il quale esitono una o più segnalazioni certe,anche comprovate da reperti d’erbario, ma per il qualele descrizioni delle località di ritrovamento risultanoessere troppo generiche e non riferibili a toponimiprecisi. Si tratta di casi in cui non è possibile nessuntipo di verifica di campo in quanto manca l’informazionegeografica necessaria, come, ad es., per l’inventariodelle specie alloctone della flora italiana (Celesti-Grapowet al., 2009) nel quale viene riportata la distribuzioneregionale di ciascuna pianta alloctona a livello nazionale.Per alcune delle specie, ivi citate come presenti nelLazio, non è stato possibile ritrovare il relativo repertod’erbario a conferma del ritrovamento e non sono stateritrovate ulteriori segnalazioni bibliografiche in cui vengadettagliata la località di ritrovamento. Si tratta di taxache non sono stati confermati dalle esplorazioni dicampo e per i quali non è quindi possibile ricostruireuna distribuzione specifica all’interno del Lazio.

b) Confermate con distribuzione conosciuta “A”: taxa per iquali esistono una o più segnalazioni validate in cui le de-scrizioni delle località di ritrovamento sono sufficientementedettagliate da permettere verifiche di campo utili all’ag-giornamento nel tempo delle conoscenze distributive.

Elenco dei 26 taxa considerati autoctoni, ma che vengonoriportati da altri autori come criptogenici o alloctoni peril Lazio o per le regioni amminitrative limitrofe.Antirrhinum majus L. subsp. tortuosum (Bosc) RouyAtriplex tatarica L.Ceratocephala falcata (L.) Pers. (*non più ritrovata nel Lazio)Cichorium endivia L. subsp. pumilum (Jacq.) Cout.Convolvulus pentapetaloides L.

Crepis sancta (L.) Babc. subsp. sancta Fimbristylis bisumbellata (Forssk.) Bubani(* non più ritrovata nel Lazio)Fumaria barnolae Sennen & PauGalega officinalis L.Glebionis coronaria (L.) SpachKosteletzkya pentacarpos (L.) Ledeb. (* non più ritrovata nel Lazio)Mantisalca salmantica (L.) Briq. & Cavill. (* non più ritrovata nel Lazio)Matricaria chamomilla L.Melilotus siculus (Turra) Steud.Mespilus germanica L.Muscari neglectum Guss. ex Ten.Myosurus minimus L. (* non presente nel Lazio, ma citata erroneamente come alloctona per alcune regioni limitrofe)Nepeta cataria L.Onobrychis viciifolia Scop.Portulaca oleracea L. subsp. oleracea Ruta graveolens L.Silene gallinyi Rchb.Sixalix atropurpurea (L.) Greuter & Burdet subsp.atropurpurea Spartina versicolor FabreTanacetum parthenium (L.) Sch. Bip.Tanacetum vulgare L.

Elenco dei 16 taxa autoctoni per i quali si riscontra un’in-troduzione locale da parte dell’uomo in settori geograficidel Lazio che si trovano al di fuori del loro range naturale.Alnus cordata (Loisel.) DubyArtemisia arborescens L.Buxus sempervirens L.Capparis spinosa L.Chamaerops humilis L.Charybdis pancration (Steinh.) SpetaGenista tyrrhena Valsecchi subsp.pontiana Brullo & De MarcoHedera helix L. subsp. helixJacobaea maritima (L.) Pelser & Meijden subsp.maritima Laurus nobilis L.Lobularia maritima (L.) Desv.Medicago arborea L.Pinus halepensis Mill.Rosmarinus officinalis L.Ruscus hypoglossum L.Salvia officinalis L.

Elenco dei 23 taxa considerati criptogenici, ovvero di cuinon è possibile ricostruire con certezza l’origine.Anemone coronaria L.Brassica nigra (L.) W.D.J. Koch

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Brassica rapa L. subsp. campestris (L.) ClaphamCamelina sativa (L.) CrantzCastanea sativa Mill.Celtis australis L.Ceratonia siliqua L.Cichorium endivia L. subsp. endivia Cyperus rotundus L.Eragrostis pilosa (L.) Beauv.Eruca sativa Mill.Euphorbia lathyris L.Fumaria muralis Sonder ex Koch (* non presente nel Lazio,ma citata come alloctona per alcune regioni limitrofe)Inula helenium L.Lycium europaeum L.Pisum sativum L. subsp. biflorum (Raf.) SoldanoPlumbago europaea L.Salix alba L. subsp. vitellina (L.) Arcang.Salvia viridis L.Styrax officinalis L.Trachelium caeruleum L. subsp. caeruleum Vitis vinifera L. subsp. sylvestris (Gmelin) HegiVitis vinifera L. subsp. vinifera

Elenco dei 32 taxa alloctoni presenti nel Lazio, ma la cuispontaneizzazione nel territorio è dubbia “A- (Colt?)”Aloe vera (L.) Burm. f.Amaryllis belladonna L.Ambrosia trifida L.Cedrus deodara (D. Don) D. DonChenopodium giganteum D. DonCommelina virginica L.Cucurbita pepo L.Cupressus arizonica GreeneDiospyros kaki L. fil.Forsythia viridissima Lindl.Genista aetnensis (Biv.) DC.Ipomoea tricolor Cav.Juniperus virginiana L.Lactuca sativa L.Lavandula angustifolia Mill. subsp. angustifoliaLavandula latifolia Medik.Musa basjoo Siebold & Zucc. ex IinumaMyrtus communis L. subsp. tarentina (L.) NymanNarcissus jonquilla L.Narcissus odorus L.Olea europaea L. subsp. europaea Parkinsonia aculeata L.Picea excelsa (L.) H. Karst.Pinus radiata D. DonPseudotsuga menziesii (Mirbel) Franco

Ribes rubrum L.Rosa multiflora Thunb.Ruscus hypophyllum L.Senecio petasitis (Sims) DC.Syringa vulgaris L.Triticum monococcum L.Ulmus procera Salisb.

TAXA EXCLUDENDAElenco dei 4 taxa alloctoni erroneamente segnalati per ilLazio “A- (Err)”Amaranthus polygonoides L.Citata come presente per il Lazio nella Checklist (Conti etal., 2005), ma probabilmente come già verificato da Iamonico(2008) non esistono segnalazioni per il Lazio e pertantoquesta specie è da escludere dalla flora del Lazio.Amaranthus tricolor L.In Iamonico (2008) e Iamonico et al. (2012) questa entitàviene esclusa dalla flora alloctona del Lazio in seguito allarevisione del campione d’erbario conservato in RO e pro-veniente dal Lago dei Monaci (legit B. Anzalone, ottobre1990), che in realtà non può essere attribuito a tale entità. Eragrostis frankii C.A. Meyer ex SteudelErroneamente segnalata per Piazzale Clodio a Roma daAnzalone (2005) e successivamente corretta da Verlooveet al. (2014) che revisionando il reperto d’erbario hanno at-tribuito il ritrovamento a Eragrostis pilosa (autoctona). Platanus orientalis L.In Celesti et al. (2010) questa entità non viene riportata trale alloctone presenti nel Lazio, in quanto si tratta di specieautoctona a livello nazionale. Secondo IPFI si tratterebbedi specie autoctona (riferendosi all’Italia), mentre secondoArrigoni & Viegi (2011) in Toscana esiste solo allo stato col-tivato e non spontaneizzato. Secondo Anzalone et al. (2010)si tratta di specie naturalizzata nel Lazio. Per quanto riguardala distinzione tra P. hispanica e P. orientalis si è tenuto contodi quanto riportato da Banfi & Galasso (2010) e da Arrigoni& Viegi (2011), per cui concordiamo nel ritenere che leuniche piante spontaneizzate provengono da alberaturedi P. hispanica e presentino caratteri di introgressione eche le citazioni pregresse di P. orientalis siano dovute aconfusioni con quest’ultime.

Elenco dei 30 taxa alloctoni cercati ma non trovatiAcorus calamus L.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata comedubbia “?” Il dato originale è di Béguinot (1897) che lariporta per Terracina, dove è stata ampiamente ricercata.Forse in RO c’è il reperto d’erbario, da verificare!

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Aldrovanda vesiculosa L.In Anzalone et al. (2010) l’unica segnalazione è basata suun ritrovamento antico di Béguinot (1897) per i LaghiLattanzi al Lago di Canterno per il quale esiste il repertod’erbario in RO.Amaranthus crispus (Lesp. & Thev.) N. Terracc.Le segnalazioni di Amaranthus crispus per Roma (Cinecittà,legit Cacciato, 1963 - RO; Quadraro, in Via Marco ValerioCorvo, legit Cacciato, 1968 - RO) sono state ricercate sulcampo ma non confermate, probabilmente si trattava dispontaneizzazioni casuali che in seguito sono scomparse.Anche la segnalazione di Terracciano (1821 - FI) per FontanaLiri è stata ricercata, ma non confermata.Anethum graveolens L.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, sulla base di un ri-trovamento di Rolli (1866) a Tarquinia comprovato da unreperto d’erbario depositato in RO. Esiste anche unacitazione bibliografica di Anzalone & Bazzichelli (1959) peril PN d’Abruzzo, Lazio e Molise, ma probabilmente si trattadi ritrovamenti non ricadenti nel Lazio.Anthriscus cerefolium (L.) Hoffm.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, riportando comelocalità riferite al secolo scorso M. Aquilone (Sabatini) e Alatri.In Parlatore (1824, vol.8, p. 387) viene indicata come presentenel Lazio: “...cresce a Roma fuori di Porta S. Paolo (Bert.), lungole strade e alle siepi, è spesso coltivato negli orti (Sang.)...” Atriplex hortensis L.La segnalazione di Petriglia (2004) per Guarcino non ècomprovata da reperto d’erbario, di conseguenza è da ri-tenersi dubbia. Pertanto la presenza di questa specie nelLazio rimane NT, sulla base del ritrovamento di Cacciatodel 1946 a Piazza delle Crociate a Roma, comprovato dareperto d’erbario depositato in RO. Secondo Anzalone etal. (2010) ci sono anche segnalazioni riferite al secoloscorso per l’Orto Botanico di Roma, Paliano e Montecassino,ma non vengono citate le fonti originarie.Boerhavia repens L. subsp. diandra (L.) Maire & WellerIl ritrovamento di Cacciato a Roma in Via Labico all’angolocon Via Policastro (1959 - RO) non è stato confermato da so-pralluoghi di campo, quindi si tratta probabilmente di unaspontaneizzazione casuale presumibilmente scomparsa.Campanula medium L.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, sulla base di un ri-trovamento di Sanguinetti (1830) per Fiumicino, comprovatoda un reperto d’erbario depositato in RO. Centaurea benedicta (L.) L.Ritrovata anticamente ai Castelli Romani sulla base di un

reperto d’erbario del 1842, s.c. (FI). In Anzalone et al. (2010)questa entità viene riportata come “NT”, cioè non piùraccolta dopo il 1920.Cephalaria syriaca (L.) Roem. & Schult.Entità non riportata in Anzalone et al. (2010). lI ritrovamentodi Cacciato (1955) allo scalo ferroviario Ostiense non ècomprovato da reperto d’erbario e non è stato confermatodai rilevamenti di campo. Considerando anche che la zonadello scalo ferroviario Ostiense è stata nel tempo riqualificatavarie volte (attualmente comprende oltre al Piazzale deiPartigiani, l’ex Air Terminal, gli annessi parcheggi e varicomplessi abitativi di nuova costruzione) si presume chetale entità sia probabilmente da escludere dalla floraalloctona del Lazio.Cneorum tricoccon L.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, sulla base di un ri-trovamento di Sanguinetti del 1839 a Villa Pamphili (Roma),comprovato da un reperto d’erbario depositato in RO.Cyperus serotinus Rottb.Segnalato per la Riserva Naturale di Tevere Farfa (Spada &Casella, 2006), dove però non è stato ritrovato durante leverifiche di campo e pertanto, non esistendo reperti d’erbarioche ne confermino la presenza, è possibile si tratti in realtàdi un errore di identificazione. Raccolto anche da Cacciato(1968, RO) a Ponte Badino, dove a seguito di ripetute verifichedi campo se ne riporta la scomparsa. Dipsacus laciniatus L.Non riportata né in Anzalone et al. (2010) né come alloctonanel Lazio in Celesti et al. (2010). L’unica segnalazionepregressa è quella di Maratti (1822) per Civitavecchia, cheperò non viene confermata in Fiori (1923-29).Ehrharta erecta Lam.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, sulla base di un ri-trovamento di Cuboni del 1876 alla Caffarella (Roma), com-provato da un reperto d’erbario depositato in RO. Il datoriportato in Buccomino & Stanisci (2001) non dovrebbeessere un dato originale degli autori, ma bensì una ripetizionedel ritrovamento antico di G. Cuboni (1876, RO).Fritillaria persica L.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, indicando varielocalità quali Isola Farnese (Béguinot), Carpineto Romano(Rolli) e Roma a Villa Pamphili (senza indicazione dellafonte originaria). Pignatti (1982) la riporta come coltivata einselvatichita nel Lazio, senza specificare nessuna località.Glinus lotoides L.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, riportando come

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località di ritrovamento Castelfusano e Paludi Pontine, masenza indicare le fonti originali. Helianthus pauciflorusNutt. subsp. pauciflorusRiportata genericamente come presente nel Lazio da Contiet al. (2005), ma senza indicazioni precise circa la località diritrovamento o del reperto d’erbario che ne possa com-provare la presenza nel Lazio. Non confermata in Anzaloneet al. (2010) e non riportata per il Lazio neanche in Celestiet al. (2010).Heliotropium amplexicaule ValhNon riportata in Anzalone et al. (2010). Segnalata anticamenteper Roma sulla base di un reperto d’erbario del 1928 (s.c.,RO). Non più ritrovata secondo Cecchi & Selvi (2014).Hyacinthoides hispanica (Mill.) Rothm.Segnalata anticamente per Roma (Palazzo Salviati e VillaBorghese) sulla base di reperti d’erbario antichi depositatiin RO (legit Salomonsohn, 1900 e legit De Notaris, 1875).Lathyrus odoratus L.Il reperto d’erbario (RO-HA) raccolto all’Appia Antica (Roma)nel 1972 da Anzalone ne comprova il ritrovamento, ma lostesso raccoglitore scrive (Anzalone et al., 2010) di nonaver più ritrovato la popolazione e pertanto si presumel’estinzione di questa entità nel Lazio.Najas graminea DelileRiportata da Anzalone et al. (2010) come “NT” sulla base direperti d’erbario antichi per il Lago di Albano (legit E. Rolli,1861) e per Nemi (legit E. Chiovenda, 1931) depositati in RO.Osteospermum ecklonis (DC.) Norl.Non riportata in Anzalone et al. (2010). Non riportata comealloctona nel Lazio in Celesti et al. (2010). L’unica segnalazionepregressa deriva da un reperto d’erbario (legit M. Iocchi,2014 - URT) raccolto a Roma in un terrapieno del parcheggiodi Via Malfante, dove però a seguito di un recente interventodi ripristino del decoro urbano è stata totalmente eradicata.Oxalis debilis Kunth subsp. corymbosa (DC.) O. Bolos & VigoNon riportata in Anzalone et al. (2010) né riportata comealloctona per il Lazio in Celesti et al. (2010). Segnalata daBlasi & Di Pietro (1998), ma senza indicazione del repertod’erbario.Phyla nodiflora (L.) GreeneIn Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata comedubbia “?” Le segnalazioni di Cacciato (1951) e Montelucci(1949), rispettivamente per Ostia nei pressi dell’Idroscalo eper Roma all’Acqua Acetosa, sono tutti ritrovamenti ante-cedenti al 1950 non confermati successivamente. Esisteanche una citazione antica per il Monte Terminillo (Cavara& Grande, 1914) per la quale non è stato ritrovato il repertod’erbario che ne comproverebbe il ritrovamento e per laquale si presume possa essere il risultato di un errore diidentificazione.

Rosa foetida J. HermannIn Anzalone et al. (2010) viene messa in dubbio l’antica se-gnalazione di questa entità per il Lazio (Fiori, 1923-29), ilquale a sua volta molto probabilmente riprende una se-gnalazione precedente di Macchiati (1888). In Iamonico etal. (2012) questa entità è considerata dubbia (A?) a causadella mancanza di reperti d’erbario a conferma dellasuddetta antica segnalazione bibliografica.Salvinia molesta D.S. Mitch.Grazie a successivi interventi di eradicazione dal 2012, effettuatisu richiesta del prof. Marco Giardini, non si hanno più tracce diSalvinia molesta al Pozzo del Merro (Sant’Angelo Romano) e siconferma che finora non è più presente (M. Giardini, in verbis).Tulipa agenensis DC.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, sulla base di unasegnalazione di Sanguinetti (1864) per Villa Pamphili aRoma, non comprovata da reperto d’erbario.Tulipa clusiana DC.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata generi-camente per i Monti Ernici senza indicazioni di località precisee dell’eventuale fonte originaria e senza comprova del repertod’erbario. Si riporta anche una segnalazione riferita al secoloscorso per Villa Pamphili a Roma, anch’essa senza indicazionedella fonte originaria e senza comprova del reperto d’erbario.La conoscenza distributiva di questa entità è quindi da con-siderarsi dubbia in mancanza di prove certe validate.Tulipa raddii ReboulIn Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata come“NT”, cioè non più raccolta dopo il 1920, sulla base di un ritro-vamento di Cortesi (1896 RO-HR) raccolto a viale Parioli (Roma).Ziziphora capitata L.In Anzalone et al. (2010) questa entità viene riportata comedubbia “?”. Si riportano due segnalazioni, una per l’Isola Ti-berina (Béguinot, 1897) e l’altra per Montecelio (Montelucci,1978). Non essendo disponibili reperti d’erbario o confermedi campo che ne comprovano la presenza, questa specie èda considerarsi dubbia per il Lazio.

TAXA CONFERMATIIl numero di taxa per i quali si conferma la presenza nellaRegione Lazio ammonta quindi a 468, di questi però ve nesono 42 di cui non si hanno dati distributivi utilizzabili aifini della cartografia floristica.

Elenco dei 42 taxa alloctoni la cui presenza nel Lazio vieneconfermata, ma la cui distribuzione è ancora da precisareAcacia melanoxylon R. Br.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.

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Acca sellowiana (O. Berg) BurretSegnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.Albizia julibrissin Durazz.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Aloysia citrodora P. PalauRiportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. Le segnalazioniper il Lazio meridionale di Moraldo et al. (1990) probabilmentesi riferiscono a individui coltivati e non spontaneizzati.Amaranthus caudatus L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Callitropsis arizonica (Greene) D.P. LittleSegnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrova-mento.Capsicum annuum L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Casuarina equisetifolia L.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrova-mento.Celosia argentea L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Danaë racemosa (L.) MoenchSegnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrova-mento.Eragrostis pectinacea (Michx.) NeesSegnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrova-mento.Euonymus japonicus L. f.Segnalato genericamente per Roma da Anzalone et al.(2010), ma senza precisazioni circa le località di ritrova-mento.

Euphorbia marginata PurshRiportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. In RO è presenteun reperto d’erbario (legitAnzalone, 1977) raccolto al Fossodell’Acquatraversa che viene indicato però come piantacoltivata, quindi non spontaneizzata.Glandularia tenera (Spreng.) CabreraRiportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Gomphrena globosa L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Hedera algeriensis HibberdRiportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Jasminum nudiflorum Lindl.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Lagerstroemia indica L.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.Lepidium sativum L. subsp. sativumSegnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.Già segnalata anticamente per Torre Paola al Circeo (legitA. Terracciano, 1888 - RO) e per l’Isola di S. Stefano (Béguinot,1905), dove però non è stata ritrovata in tempi recenti.Ligustrum ovalifolium Hassk.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.Lupinus polyphyllus Lindl.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. Le segnalazioniper la Piana di Fondi di Moraldo et al. (1990) probabilmentesi riferiscono a individui coltivati e non spontaneizzati.Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.

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91Aggiornamento e revisione critica della flora vascolare alloctona del Lazio

Melia azedarach L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. Segnalata ancheda diversi altri autori per alcune località laziali, comeGuidonia (Montelucci, 1941), Isola di S. Stefano (Anzalone& Caputo, 1976), Valle della Caffarella (Buccomino & Stanisci,2001) dove si è vista di persona la presenza solo di grandiesemplari piantati, Laghi Gricilli (AA.VV., 2004) e Bosco diFoglino (Lattanzi et al., 2005), dove però sono presenti so-lamente alberi piantati che non mostrano una vera epropria spontaneizzazione, ma che rappresentano piuttostoun abbandono di remote colture (non si vedono maiindividui giovanili e pertanto non c’è spontaneizzazione).Nonea obtusifolia (Willd.) DC.Riportata genericamente come presente nell’Agro Pontinoin Anzalone et al. (2010) sulla base di un reperto d’erbario(legit P. Bassani, 1983 - Herb. Bassani), ma senza ulteriori in-dicazioni precise circa la località di ritrovamento.Ocimum basilicum L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. Segnalata generi-camente per i Monti Ernici come “coltivato e a volte insel-vatichito” (Petriglia, 2004), ma anche qui senza indicazionipiù precise circa la località di ritrovamento.Oxalis purpurata Jacq.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Paulownia tomentosa (Thunb.) Steud.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. La segnalazionedi Bonaventura & Cacciato (1961) per Roma a via XXI Aprilesi riferiva ad un individuo “arboricolo” spontaneizzato ca-sualmente su un albero ornamentale di Phoenix canariensis,che molto probabilmente è poi scomparso.Petunia hybrida Vilm.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.Phyllostachys edulis (Carrière) Houz.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. Le segnalazioni

per il Lazio meridionale di Moraldo et al. (1990) probabilmentesi riferiscono a individui coltivati e non spontaneizzati.Prunus armeniaca L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Rhus typhina L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Salix babylonica L.Riportato genericamente come presente in varie localitàdella regione da Anzalone et al. (2010), ma senza precisazionedelle località di ritrovamento.Solanum aviculare G. Forst.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Spiraea japonica L. f.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrova-mento.Styphnolobium japonicum (L.) SchottRiportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. Le segnalazioniper il Lazio meridionale di Moraldo et al. (1990) probabilmentesi riferiscono a individui coltivati e non spontaneizzati.Tagetes erecta L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Tagetes patula L.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrovamento.Tilia americana L.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.Tillaea campestris (Eckl. & Zeyh.) Brullo, Giusso & SiracusaRiportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.

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92 Flora alloctona - Capitolo 4

Tradescantia virginiana L.Segnalata genericamente per Roma (Celesti Grapow et al.,2013), ma senza precisazioni circa le località di ritrova-mento.Vitis rupestris ScheeleSegnalata genericamente per le coste sabbiose del Lazioin Acosta et al. (2007), ma senza indicare località precise.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio. Riportata comepresente nel Lazio in Ardenghi et al. (2014), ma anche quisenza precisazioni circa le località di ritrovamento.Zinnia violacea Cav.Riportata genericamente come “casuale” per il Lazio daCelesti et al. (2010), ma senza indicazioni precise circa lalocalità di ritrovamento o del reperto d’erbario che nepossa comprovare la presenza nel Lazio.

Taxa alloctoni che vengono qui segnalati per la primavolta per il Lazio1) Acanthus spinosus L.2) Aeonium arboreum (L.) Webb & Berthel.3) Agave attenuata Salm-Dick4) Allium siculum Ucria5) Aloe arborescens Mill.6) Aloe virens Haw.7) Ambrosia tenuifolia Spreng.

8) Amsinckia lycopsoides Lehm.9) Asparagus setaceus (Kunth) Jessop

10) Bidens aureus (Aiton) Sherff11) Cenchrus purpurascens Thunb.12) Cenchrus setaceus (Forssk.) Morrone13) Cotula australis (Sieber ex Spreng.) Hook. f.14) Cyrtomium falcatum (L. f.) C. Presl (Foto 68)15) Digitalis purpurea L.16) Dolichandra unguis-cati (L.) L.G. Lohmann17) Drosanthemum floribundum (Haw.) Schwantes18) Elytrigia elongata (Host) Nevski19) Eragrostis mexicana (Hornem.) Link subsp. virescens

(J. Presl) S.D. Koch & Sánchez Vega20) Eucalyptus leucoxylon F. Muell.21) Gamochaeta pensylvanica (Willd.) Cabrera (Foto 69)22) Lampranthus deltoides Glen ex Wijnands23) Lycianthes rantonnetii (Carrière) Bitter24) Momordica charantia L.25) Opuntia elatior Mill.26) Opuntia monacantha Haw.27) Opuntia microdasys (Lehm.) Pfeiff.28) Opuntia phaeacantha Engelm.29) Opuntia robusta J.C. Wendl.30) Persicaria capitata (Buch.-Ham. ex D. Don) H. Gross31) Symphyotrichum novae-angliae (L.) G.L. Nesom32) Trachycarpus fortunei (Hook.) H. Wendl.33) Tradescantia pallida (Rose) D.R.Hunt34) Zoysia japonica Steudel

Foto 68 - Cyrtonium falcatum, felce ornamentale trovata presso la digadel Mazzocchio (Latina).

Foto 69 -Gamochaeta pensylvanica (Gaeta), forse introdotta nel porto dascambi con il Nordamerica.

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93Aggiornamento e revisione critica della flora vascolare alloctona del Lazio

FASE B: revisione critica delle caratteristiche legate al processo di invasioneI taxa alloctoni la cui presenza all’interno del Lazio è con-fermata assommano a 468 entità, a cui devono esseretolte 42 entità di cui non si hanno località precise; per le426 entità rimanenti si è proceduto ad una loro revisione eclassificazione secondo alcune caratteristiche legate al pro-cesso di invasione. A questo scopo sono stati utilizzati alcuni standard europeidi categorizzazione ampiamente collaudati da vari autorinegli ultimi decenni, evitando di creare nuove categorie,tranne alcuni casi particolari resi necessari dalla specificastoria biogeografica della regione Lazio.

FASE B1: revisione dello status di alloctoniaUn primo criterio di classificazione legato alle invasionibiologiche è il cosiddetto “status di alloctonia”, per il qualesi è fatto riferimento ai concetti e alla nomenclatura utilizzatanei lavori di Pyšek et al. (2004), Richardson et al. (2000) ePyšek & Richardson (2006). A questi hanno fatto riferimentoanche i recenti lavori a scala nazionale (Celesti-Grapow etal., 2009; 2010a; 2010b; Conti et al., 2005; 2007) e a scalaregionale (Anzalone et al., 2010; Arrigoni & Viegi, 2011;Banfi & Galasso, 2010). In base allo status di alloctonia le

specie alloctone possono suddividersi in “NATURALIZZATE”,quando riescono a riprodursi e diffondersi autonomamentee stabilmente nel territorio e in “CASUALI”quando non sonostabili, ma sono effimere e quindi non formano popolazionipermanenti. All’interno delle specie alloctone naturalizzate,possono ulteriormente distinguersi le specie “INVASIVE”. Conquesto termine si può definire una specie che “invade” unhabitat sostituendo le specie autoctone, quindi diventandoun “INVADER” a differenza di altre che tale capacità nonhanno, ma solo possono insediarsi da colonizzatrici (“CO-LONIZERS”). Il termine invasive è stato usato infine per indicarela velocità di invasione sia nel tempo (< 50 anni per propa-gazione di semi; < 3 anni per propagazione clonale) chenello spazio (distanza: > 100 m per propagazione di semi;> 6 m per propagazione clonale), mentre dalla IUCN lostesso termine serve per definire specie alloctone conimpatto generale negativo. Nel presente progetto si con-siderano invasive le specie con elevata capacità di propa-gazione e nello stesso tempo con effetti negativi di variotipo. Le invasive, inoltre, possono essere diffuse sia su ampiterritori, sia su una ristretta area che riescono a riempirecompletamente, come nel caso di piccoli laghi, ad es. inva-sione di Azolla (Foto 70), Salvinia, Nelumbo in alcuni laghiregionali. Alle specie che rientrano in quest’ultima casisticaè stato attribuito, invece, lo status di “LOCALMENTE INVASIVE”.

Foto 70 - Azolla filiculoides, felce acquatica galleggiante, con aspetto particolare della colorazione rossastra per antocianine

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94 Flora alloctona - Capitolo 4

Le specie alloctone per le quali è stata precedentementeconfermata la presenza nel Lazio sono state, quindi, ul-teriormente classificate secondo i seguenti status di al-loctonia (Fig. 4.5):• invasive• localmente invasive• naturalizzate• casuali

FASE B2: revisione critica dell’età di introduzioneUn’ulteriore revisione critica ha riguardato l’età di intro-duzione, secondo la quale le specie alloctone confermateper la regione Lazio sono state distinte in “NEOFITE”, ovverointrodotte dopo la scoperta dell’America, e “ARCHEOFITE”,cioè introdotte prima della scoperta dell’America (Fig. 4.6).Un esempio che dimostra il problema che abbiamo cercatodi affrontare è quello relativo alle specie del genere Setariache da vari autori vengono in parte o del tutto consideratepiù o meno autoctone o alloctone; citando il lavoro sullaFlora Pompeiana (Ciarallo, 2007) si osserva che semi diSetaria italica per uso cosmetico sono stati trovati in unrecipiente di una villa romana, per cui la specie può consi-

derarsi archeofita, ammettendo una sua introduzione se-condaria dall’Africa; l’appartenenza del genere Setaria allePanicoideae fa ritenere una probabile origine primitivadal SE-Asia (Kim et al., 2015).La distinzione di tali categorie è particolarmente importanteai fini della conservazione, in quanto permette di distinguerel’estensione geografica dell’introduzione e quindi è possibileindirizzare le politiche di conservazione verso quelle specieche costituiscono dei focolai geografici di introduzione alivello nazionale e regionale.

FASE B3: revisione critica dello scopo di introduzioneUn’ulteriore revisione critica ha riguardato lo scopo di in-troduzione, distinguendo di volta in volta per ciascun taxail motivo originario che ne ha determinato l’introduzione(Fig. 4.7). Considerando le difficoltà oggettive nel ricostruiregli effettivi motivi che hanno determinato l’introduzionedei vari taxa e le difficoltà derivanti dalla grande eterogeneitàdei casi possibili, si è voluto semplificare questo processodi revisione definendo delle macro-categorie tra loro ge-rarchicamente correlate, dove riunire i casi che hanno incomune le principali motivazioni che possono essere allabase del processo di invasione. Un’altra difficoltà oggettivariscontrata in questa fase è data dal fatto che in alcuni casile specie introdotte per un primo motivo originario si sianopoi diffuse a causa di un loro differente utilizzo. In questicasi si è preferito mantenere un certo grado di uniformitànel classificare i vari taxa definendo solo e comunque ilmotivo di introduzione originario, senza tener conto delmotivo che poi ha determinato la diffusione della specieuna volta introdotta. Ad es., alcune piante introdotte origi-nariamente come specie di interesse commerciale sonostate successivamente utilizzate soprattutto per scopi or-namentali, come nel caso della Broussonetia papyrifera(Foto 71) la quale fu importata e coltivata in Italia alla finedel XVII secolo per scopi commerciali (industria cartiera),ma che poi si è diffusa principalmente grazie al suo largoutilizzo come albero ornamentale.Ad un primo livello gerarchico (Fig. 4.7) sono state distintequelle specie introdotte involontariamente dall’uomo, lequali sono state definite come “ACCIDENTALI”, da quelle specieche, al contrario, sono state introdotte dall’uomo per unloro utilizzo ben preciso, le quali sono state riunite nellacategorie “VOLONTARIE”. Un esempio classico di speciealloctona introdotta accidentalmente è quello di Panicumdichotomiflorum che probabilmente fu portato in Europainvolontariamente a seguito dell’importazione dall’Americadi sementi di mais, riso, o con materie prime di origine ve-getale come la lana; più recente abbiamo il caso di Gamo-

Fig. 4.5 - Classificazione delle specie alloctone in base allo status di alloctonia.

Fig. 4.6 - Classificazione delle specie alloctone in base all'età di introduzione.

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95Aggiornamento e revisione critica della flora vascolare alloctona del Lazio

chaeta pensylvanica (Foto 69), specie nordamericana, rin-venuta presso il porto di Gaeta dove è presente una basemilitare USA. Un secondo livello gerarchico di classificazioneha riguardato solamente le specie introdotte volontariamentedall’uomo, le quali sono state distinte in funzione delmotivo che ne ha determinato l’introduzione. All’internodella categoria “VOLONTARIE ORNAMENTALI” sono state riunitetutte quelle specie introdotte per scopi selvicolturali, flori-

colturali, etc. Un esempio che ben rappresenta questa ti-pologia è quello di Acer negundo, albero ornamentale in-trodotto in Italia più o meno alla fine del Settecento. Nellacategoria “VOLONTARIE COMMERCIALI”sono state riunite, invece,quelle specie introdotte per la produzione di manufatti, omateriali direttamente o indirettamente utilizzati per attivitàcommerciali (ad es., piante tintorie, piante tessili, etc.). Unesempio di pianta introdotta per le sue qualità tintorie è

Fig. 4.7 - Classificazione delle specie alloctone in base allo scopo di introduzione.

Foto 71 - Broussonetia papyrifera, particolare aspetto "mimetico" di una foglia.

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Phytolacca americana (Foto 72) di cui si ha conoscenza delsuo uso in Italia sin dal Seicento. Le specie introdotte perun loro utilizzo officinale (ad es., piante medicinali, piantearomatiche, etc.) sono state riunite, invece, all’interno dellacategoria “VOLONTARIE OFFICINALI”. Come esempio di pianta in-trodotta per le sue proprietà officinali si ricorda Artemisiaannua (Foto 73) che fu importata dalla Cina nel Settecentomolto probabilmente per le sue proprietà antimalariche.Un’ultima categoria utilizzata è quella delle “VOLONTARIE AGRI-COLTURALI” dove sono state riunite tutte le specie introdotteper scopi alimentari (piante orticole, foraggere, etc.). Unesempio di pianta foraggera è quello di Ceratochloa cathartica(Foto 74) che fu importata in Italia nell’Ottocento per speri-mentarne le proprietà e le qualità foraggere.

Foto 72 - Phytolacca americana, particolari della pianta a maturazione autunnale

Foto 73 - Artemisia annua, invasiva nei greti fluviali sabbiosi e incolti.

Foto 74 - Ceratochloa cathartica, buona foraggera divenuta frequentenegli incolti, aiuole anche in aree urbane.

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97Aggiornamento e revisione critica della flora vascolare alloctona del Lazio

FASE C: revisione critica di alcune caratteristichebiogeografiche ed ecologicheDurante questa fase di lavoro, per ciascuna delle specie al-loctone confermate per la regione Lazio, è stata eseguital’attribuzione e l’archiviazione di alcune caratteristiche bio-geografiche ed ecologiche. A tale scopo sono state consultatele monografie e la bibliografia specifica di riferimento e cisi è basati anche sulle esperienze di campo acquisite inanni di censimenti ed esplorazioni botaniche all’internodel territorio regionale.

FASE C1: definizione dell’areale naturale di origineUna prima classificazione ha riguardato l’individuazionedell’areale naturale di origine della specie alloctona. Datoche l’estensione dell’areale può variare molto da caso acaso, per la descrizione del range naturale di distribuzionesono state di volta in volta elencate le principali zone geo-grafiche di origine (piuttosto che utilizzare dei corotipi didifficile standardizzazione a scala globale). Inoltre, per sem-plificare la classificazione, le varie descrizioni sono state aloro volta riunite in macro-categorie più o meno corri-spondenti ai continenti geografici più facilmente interpre-tabili (vedi Fig. 4.8).

FASE C2: definizione dell’uso del suolo e dell’habitat prevalente di invasioneUn altro aspetto fondamentale ai fini della conservazionedella biodiversità e della gestione del problema delleinvasioni biologiche è la definizione degli habitat prevalentidi invasione.Un primo approccio è stato quello di individuare per ciascunaspecie alloctona l’uso del suolo (secondo la codifica CorineLand Cover: CLC) in cui si osservano più frequentemente icasi di introduzione e invasione. Pertanto per ciascuna speciealloctona l’habitat di invasione prevalente è stato classificatodeterminando la sua corrispondenza all’interno del suddettostandard CLC. In particolare sono state revisionate le attribuzioniproposte da Celesti et al. (2010) a livello nazionale, integrandolecon nuove attribuzioni per quelle specie che nel suddettolavoro non erano state incluse (alloctone a livello regionale,che non lo sono a livello nazionale e specie alloctone direcente ritrovamento) e modificando alcuni casi in modo daadattare la classificazione alla realtà laziale. Per ciascunaspecie alloctona sono state quindi definite una o più tipologiedi uso del suolo prevalenti in funzione della frequenza e delgrado di invasione che queste mostrano all’interno delterritorio regionale. La revisione critica di queste attribuzioniè stata quindi basata per gran parte sull’esperienza di campomaturata durante i rilevamenti di campo.

Fig. 4.8 - Schema della suddivisione biogeografica utilizzata per definire l'areale naturale di origine delle specie alloctone.

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98 Flora alloctona - Capitolo 4

Un secondo approccio di lavoro è stato quello di attribuirea ciascuna specie alloctona una o più tipologie di habitatin cui la specie può essere ritrovata più frequentementeall’interno del territorio regionale. A questo scopo, comestandard utilizzato per la classificazione e la nomenclaturadegli habitat è stato scelto il sistema di codifica EUNIS(European Nature Information System, http://eunis.eea.eu-ropa.eu). La classificazione EUNIS degli habitat è già im-piegata in analisi di rischio di invasività negli habitat,come in Spagna (Andreu & Vilà, 2009) e ha il vantaggiodi coprire sia habitat naturali che artificiali, per cui taleclassificazione è impiegata anche in analisi di conserva-zione di biodiversità. L’elenco degli habitat prevalenti diintroduzione viene fornito in maniera sintetica sottoformadi codici EUNIS all’interno della legenda delle singolemappe di distribuzione; in questo modo si possonomettere facilmente a confronto i dati del Lazio con quellidi altre regioni.

FASE C3: definizione di alcuni parametriecologici (valori di bioindicazione e functional traits)Un ultimo aspetto fondamentale ai fini della conservazionedella biodiversità e della gestione del problema delleinvasioni biologiche è la definizione dei parametri ecologiciche caratterizzano i singoli taxa. La definizione di tali para-metri permette di definire alcune caratteristiche di basedell’ecologia delle specie alloctone in modo da costituirela base di dati dalla quale possono essere analizzate e pro-dotte alcune informazioni derivate di notevole importanzaper la comprensione del fenomeno delle invasioni a scalaregionale. Più in particolare sono state definite due tipologieprincipali di parametri ecologici: 1) valori di bioindicazione, desunti dalla banca dati prodotta

da Pignatti (2005), che però in alcuni casi, non essendostata successivamente aggiornata, non include tutti itaxa alloctoni attualmente presenti nel Lazio;

La legenda di decodifica dei codici CLC considerati è presentata nella tab. 4.1:

CLC_1 Artificial surfaces Superfici artificiali antropizzate

CLC_11 Urban fabric Manufatti urbani

CLC_12 Industrial, commercial and transport units Aree industriali, commerciali e vie di comunicazione

CLC_13 Mine, dump and construction sites Aree minerarie, estrative, cave e cantieri

CLC_14 Artificial, non-agricultural vegetated areas Aree verdi artificiali e incolti urbani

CLC_15 Culturally important sites Aree archeologiche, ville storiche, etc.

CLC_2 Agricultural areas Superfici artificiali agricole

CLC_21 Arable land Campi arati

CLC_22 Permanent crops Colture permanenti

CLC_23 Pastures Pascoli

CLC_24 Heterogeneous agricultural areas Aree agricole eterogenee

CLC_3 Natural and seminatural areas Aree naturali o semi-naturali

CLC_31 Forests Foreste

CLC_32 Shrub and/or herbaceous vegetation associations Boscaglie aperte, cespuglieti e praterie

CLC_33 Open spaces with little or no vegetation Superfici aperte con vegetazione sparsa

CLC_4 Wetlands Zone umide (paludi, acquitrini, etc.)

CLC_41 Inland wetlands Zone umide interne

CLC_42 Maritime wetlands Zone umide costiere

CLC_5 Water bodies Corpi idrici (fiumi, laghi e fondali marini)

CLC_51 Inland waters Fiumi e laghi interni

CLC_52 Marine waters Fondali marini

Tab. 4.1 - Legenda dei codici CLC considerati.

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2) functional traits, valutati in maniera originale sulla basedelle conoscenze desunte sia dall’esperienza di campo(expert knowledge) sia dai numerosi studi (monografie,singoli articoli scientifici, revisioni specifiche, etc.) di-sponibili in letteratura.

Per la definizione dei valori di bioindicazione si rimandaalla specifica pubblicazione della banca dati (Pignatti, 2005). Per quanto riguarda, invece, la definizione dei functionaltraits considerati si riportano qui di seguito i criteri e le de-finizioni utilizzate:- Forme biologiche: seguendo lo schema proposto daRaunkiaer (1934) i taxa sono stati classificati nelle seguenticategorie: Fanerofite (P) piante perenni e legnose, congemme svernanti poste ad un’altezza dal suolo maggioredi 2 metri; Nanofanerofite (NP) piante legnose con gemmesvernanti poste tra i 30 cm e i 2 metri dal suolo; Camefite(Ch) piante perenni e legnose alla base, con gemme sver-nanti poste ad un’altezza dal suolo tra i 2 ed i 30 cm; Emi-criptofite (H) piante erbacee, bienni o perenni, con gemmesvernanti al livello del suolo, protette dalle proprie fogliesecche degli anni precedenti, dalla lettiera o dalla neve;Terofite (T) piante erbacee annuali che compiono il ciclovegetativo e riproduttivo in un anno (rilascio di seminella stagione avversa,); Geofite (G) piante perenni erbacee

che durante la stagione avversa di solito non presentanoorgani aerei vitali e le cui gemme si trovano in organi sot-terranei come bulbi, tuberi e rizomi (Foto 75); Idrofite (I)piante acquatiche perenni munite di gemme sommerseo natanti; Elofite (E) piante semi-acquatiche munite digemme basali perennanti sommerse.

- Tipo di impollinazione: in funzione del mezzo con ilquale viene trasportato il polline, sono state distinte leseguenti tipologie: anemogame, per le specie il cui pollineviene trasportato principalmente dal vento; entomogame,per quelle il cui polline viene, invece, trasportato princi-palmente da insetti; autogame, per quelle che presentanoprevalentemente casi di autoimpollinazione.

- Tipo di unità di dispersione: distinguendo per ciascunaspecie alloctona quelle che sviluppano unità di dispersione(frutti e/o diaspore) secche, da quelle che, invece, sonomunite di unità di dispersione carnose.

- Tipo di dispersione delle diaspore: in funzione del mezzodi trasporto utilizzato dalle diaspore, sono state distintele seguenti categorie: autocore, le cui diaspore vengonodisperse per mezzo di meccanismi propri della pianta;anemocore, quando le diaspore sono trasportate dalvento; zoocore, ovvero quelle le cui diaspore vengonotrasportate principalmente da animali. Le piante alloctone

Foto 75 - Sorghum halepense, infestante e diffusissimo lungo strade e incolti

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zoocore a loro volta sono state distinte in epizoocore(Foto 76) ed endozoocore in funzione del meccanismodi trasporto esercitato da parte dell’animale. Le piante al-loctone le cui diaspore sono trasportate principalmenteda formiche sono state, invece, classificate in una categoriaa parte come mirmecore.

- Tipo di fotosintesi: in funzione del tipo di fotosintesiadottato prevalentemente dalle specie sono state classi-ficate le piante C4 (Foto 77), C3 e CAM (Foto 78).

- Altezza media degli individui: in funzione della tagliamedia degli individui sono state evidenziate le piante dipiccola taglia (ovvero con altezza inferiore ai 30 cm), di-

Foto 76 - Bidens subalternus, frutti uncinati.

Foto 77 - Eleusine indica, frequente in aree urbane, nelle strade e marciapiedi, ha fotosintesi C4.

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Foto 79 - Senecio angulatus, apprezzata come pianta rampicante a fiori-tura autunnale.

Foto 78 - Yucca gloriosa, spontaneizzata con altre specie in una area dismessa (Ventotene), ha fotosintesi CAM.

Foto 80 - Broussonetia papyrifera con amenti maschili in specie dioica.

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stinguendole da tutte le altre piante per le quali siosservano individui mediamente più alti di 30 cm.

- Fenologia: in funzione del periodo medio di antesi di cia-scuna pianta (ovviamente per le sole Angiosperme) sonostati distinti i mesi dell’anno in cui mediamente la piantaè in fioritura, da quelli in cui mediamente non si ha la fio-ritura (Foto 79).

- Piano altitudinale: in funzione del range altitudinaleosservato sul campo per ciascuna specie sono state attribuitele presenze e le assenze all’interno dei seguenti piani altit-tudinali: planiziale (per quote comprese tra 0 e 300 m slm),collinaree submontano (tra i 300 e i 1000 m slm), montano(tra i 1000 e i 1800 m slm) e subalpino (sopra i 1800 m slm).- Sessualità: in funzione della presenza o meno di fiori ma-schili e femminili sulla stessa pianta sono state distinte leseguenti tipologie: piante monoiche, quando i fiorimaschili e femminili sono presenti nello stesso individuo(Foto 80); piante dioiche, quando i fiori maschili e femminilisono presenti su individui differenti; piante asessuate,ovvero piante che generalmente non producono fiori o

se li producono sono sterili, per cui la riproduzione è pos-sibile solo per via clonale (Foto 81, Foto 82).

- Crassulenza: sono state classifficate come crassulente(Foto 83) quelle piante che mostrano la presenza di mec-canismi e strutture specializzate che permettono l’otti-mizzazione ed il risparmio delle riserve d’acqua.

- Disponibilità idrica nel suolo: in funzione della presenzao meno di strutture specializzate che permettono allapianta di colonizzare in maniera efficiente luoghi dovepermangono condizioni più o meno adatte di disponibilitàidrica nel suolo, sono state distinte le specie xerofiledalle specie mesofile e igrofile (Foto 84). Per tutti queicasi in cui non esistono particolari adattamenti alle sud-dette condizioni estreme non è stata assegnata nessunacategoria.

- Sempreverdi/caducifoglie: per le sole specie alloctonelegnose è stata effettuata una classificazione basata sullafacoltà o meno della pianta di mantenere le foglie suirami durante la stagione invernale (sempreverdi) rispettoa quelle che le perdono (caducifoglie).

Foto 81 -Alternanthera philoxeroides (Rio Martino), infiorescenza con fiori sterili. Foto 83 -Kalanchoe daigremontiana, esempio di crassulenza e pianta CAM.

Foto 82 - Kalanchoe daigremontiana, gemme fogliari. Foto 84 - Cotula coronopifolia, specie igro-alofila sudafricana, invasiva lo-calmente nel lago dei Monaci (Circeo), minaccia di un habitat protetto.

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103Aggiornamento e revisione critica della flora vascolare alloctona del Lazio

IDENTIFICAZIONE EPROBLEMATICHE TASSONOMICHEL’identificazione delle specie alloctone non sempre è facileed anzi spesso risulta difficile per la mancanza di dati nelleflore regionali e di chiavi dicotomiche che è necessariotrovare anche in flore straniere; attualmente, in Italia, ilcompito è stato reso più proficuo da alcuni studi specialisticipiù recenti riguardanti alcuni generi, ad es. Opuntia (Guiggi,2008), Vitis (Ardenghi et al., 2014), Amaranthus (Iamonico,2015), Oenothera (Soldano, 1993), Digitaria (Verloove, 2008;Wihalm, 2009), molti generi tra cui soprattutto Poaceae(Banfi & Galasso, 2010). La possibilità di accedere via Web a forum (Acta Plantarum),banche dati nazionale e internazionali e a pubblicazioniaggiornate ha facilitato l’ampliamento delle conoscenzesulle specie alloctone e sulla loro identificazione, facendocorreggere molti errori precedenti. Le problematiche tas-sonomiche riguardano la nomenclatura (sinonimie e priorità,applicazione dei nomi), la posizione delle specie nell’ambitodelle famiglie e dei generi, il loro rango tassonomico(varietà e sottospecie), mentre le moderne metodiche mor-fometriche, genetiche e citologico-molecolari hanno evi-denziato le affinità filogenetiche comportando in alcunicasi profondi cambiamenti tassonomici, anche a livello diranghi superiori (classificazione APG).Oltre alle difficoltà sopra riportate, facciamo presente chele specie alloctone una volta introdotte possono subireuna loro modificazione rispetto ai ceppi di origine. Comeesempi riportiamo Oxalis pes-caprae, presente nel Medi-terraneo con un ceppo pentaploide sterile, originario delSud-Africa, dove però sono presenti anche quelli diploidee tetraploide; successive introduzioni di questi ceppi conpossibili reincroci complicano il quadro citogenetico dellepopolazioni mediterranee. Nel genere Amaranthus (Iamonico,2015) sono stati riportati casi di reincroci tra entità alloctonediverse; in generale, per tutte le specie alloctone si puòammettere in teoria un loro possibile incrocio con popola-zioni di specie affini con conseguente inquinamentogenetico e messa in pericolo della fitness delle specie au-toctone (pericolo di estinzione). Tali ibridazioni con conse-guenti processi di introgressione complicano il quadrodelle popolazioni delle alloctone, che per di più spessoprovengono da regioni molto vaste (Nord America, SudAfrica, etc.) dove già presentano ecotipi e variazioni geo-grafiche di difficile riconoscimento tassonomico. Ciò che arriva in Italia e nel Lazio è in generale per lealloctone solo una parte di una più ampia variabilità cheviene incontro a ulteriori processi di selezione con modifi-cazioni dei caratteri morfologici. Infine, nei vivai avviene laselezione e propagazione di nuove cultivars anche attraverso

incroci tra specie affini anche di continenti diversi ma traloro interfecondi, per cui quello che troviamo nei posti piùdisparati non sempre è di facile identificazione. Una relazionetra modificazioni genetiche e l’invasività delle speciealloctone è discussa da Prentis et al. (2008) che spiegano ilrapido adattamento al nuovo ambiente occupato tramitesia arrangiamenti allelici, polimorfismo e mutazioni siatramite modifiche feno-genotipiche derivanti da altriprocessi, quali il “collo di bottiglia” in popolazioni numeri-camente ridotte, ibridazione (ricombinazione, eterozigosi),allopoliploidia in vantaggio rispetto alla diploidia, modifi-cazioni epigenetiche indotte da stress biotico e abiotico.Possiamo dare un rapido panorama a queste problematichefacendo cenno agli esempi più importanti, riprendendoanche le note esposte in Banfi & Galasso (2010), a cui ri-mandiamo per la bibliografia e per maggiori dettagli:Amaranthus - 1) A. albus, 2) A. blitoides, 3) A. blitum subsp.emarginatus, 4) A. caudatus, 5) A. crispus, 6) A. cruentus, 7)A. deflexus, 8) A. graecizans, 9) A. hybridus, 10) A. hypochon-driacus, 11) A. polygonoides, 12) A. powellii subsp. bouchonii,13) A. powellii subsp. powellii, 14) A. retroflexus, 15) A.spinosus, 16) A. tricolor, 17) A. viridis. È il genere con piùentità di tutta la flora alloctona, provenienti dal Nord eSud America. Il genere è complicato e critico per “variabilitàfenotipica e disordine nomenclaturale nell’applicazionedei nomi” (Iamonico, 2015), per cui si rimanda a questoautore per la revisione delle entità in Italia. Caratteri criticisono il numero dei tepali (2,3, >3), deiscenza del frutto, ca-ratteri fogliari, habitus, tipo di infiorescenza. L’entità piùcomplessa è quella di A. hybridus che, seguendo Iamonico(l.c.), comprende nel Lazio taxa molto affini, provenientida forme di addomesticamento per coltura (farina di gra-nella), ibridazione e introgressione (A. hybridus s.s., A.cruentus, A. hypochondriacus, A. powelli, A. bouchonii). Perulteriori considerazioni confrontare quanto riportato daBanfi & Galasso (2010).Azolla - si riconosce la presenza di una sola specie, A. filicu-loides Lam.Chamaesyce - vi appartengono diverse specie reptantitipiche di suoli calpestati o greti fluviali, molto simili tra diloro, ma che si distinguono per la pelosità della capsula eper la presenza di strie nel seme.Commelina - attenzione alla distinzione di C. communis L.da C. virginica L.Cuscuta - nel Lazio sono state finora segnalate C. campestrisYuncker e C. scandens Brot. subsp. cesattiana (Bertol.)Greuter & Burdet, due entità di difficile distinzione e permolto tempo confuse; in realtà secondo le recenti revisioni(Banfi & Galasso, 2010) i ritrovamenti nel Lazio si dovrebberoriferire solo al binomio C. campestris, per cui tutte le se-

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104 Flora alloctona - Capitolo 4

gnalazioni bibliografiche e d’erbario dovrebbero essereriviste con un lavoro dedicato.Diplachne - per D. uninervia (J. Presl) Parodi distinzione alivello subspecifico da D. fusca (L.) P. Beauv.Eragrostis - notevole difficoltà si incontrano nel distingueredifferenze tra i caratteri morfologici poco evidenti di E.pilosa (L.) P. Beauv. autoctona, di E. pectinacea (Michx.)Nees e di E. frankii C.A. Mey. ex Steud.Gamochaeta - genere con specie diffuse dal Nord al SudAmerica, molto simili tra loro e separabili da caratteri chesi riferiscono alla pelosità della foglia (colorazione da verdea grigiastra e tomentosa) e del fusto, forma fogliare, al por-tamento e alla forma dell’involucro e dei fillari. La sistematicaè resa complicata dall’esistenza di forme intermedie.Oenothera - fino a diverso tempo fa tutti i reperti diOenothera venivano fatti riferire a O. biennis L. Più recente-mente le ricerche di Soldano hanno messo in evidenza lanatura ibridogena di molte popolazioni che sono state ri-conosciute come nuove specie; caratteri distintivi importantisono le macchie rossastre sul culmo e sui sepali, la lunghezzadello stigma, l’habitus della pianta. Secondo Banfi & Galasso(2010) queste specie sarebbero da considerare “indigenedi origine alloctona” o meglio ancora potremo definirle“endemiche di origine alloctona” ! Per la storia della biologiail genere Oenothera è stato il materiale prescelto da DeVries su cui ha coniato il termine mutazione (in realtà lerapide e improvvise variazioni riscontrate nei suoi esperimentierano dovute a fenomeni di poliploidia e ricombinazioni).Opuntia - in Anzalone et al. (2010) si riconoscono solo duespecie O. amyclaea e O. ficus-indica, la specie più comunee facilmente riconoscibile, coltivata e naturalizzata invasivain molte parti. Più recentemente sono state segnalate altrespecie: O. elatior, O. humifusa, O. microdasys, O. stricta, O.monacantha, O. dillenii, oltre ad Austrocylindropuntia subulata,precedentemente inclusa in Opuntia. Le specie si distinguonoin base al colore dei fiori, dei caratteri delle spine e dei glo-chidi, dalla loro distribuzione, dalla forma delle palee edall’habitus; tali caratteri non sono facili da distinguere espesso hanno dato luogo a misidentificazioni. Grazie allerevisioni di Guiggi (2008, 2010, 2014) il quadro italianodella loro distribuzione è molto più chiaro e preciso.Oxalis - il genere è ricco di specie coltivate provenientiprevalentemente dal Cile e dal Sudafrica. Nel Lazio si rico-noscono le specie a fiore rosa-violaceo: O. latifolia Kunth,O. articulata Savigny, O. debilis Kunth e quelle a fiore giallo:O. stricta (= O. dilleni) e O. pes-caprae. Nelle specie delprimo gruppo si riconoscono con una certa difficoltà comecaratteri diagnostici il colore da rosa intenso a rosa pallido,

la forma dei petali e dei segmenti fogliari che possonoessere triangolari o più o meno cuoriformi; tale difficoltàha contribuito a segnalare erroneamente la presenza dialtre specie. Per O. stricta vale la differenza con O. corniculataper il colore evidente delle foglie (verdi nella prima e viola-bruno nella seconda). O. pes-caprae è facilmente riconoscibileper le diffuse fioriture soprattutto nelle zone litorali.Parthenocissus - perP. quinquefolia (L.) Planch. esiste l’even-tuale distinzione da P. inserta (A. Kern.) Fritsch.Panicum - P. capillare L. può essere confuso con P. dichoto-miflorumMichx., anche per la variabilità intrinseca di que-st’ultimo.Platanus - P. hispanica Mill. ex Münchh., ibrido, è la formaferale dei platani coltivati morfologicamente simili a P.orientalis s.l.Populus - possiamo far rientrare tra le specie alloctone P. xcanadensisMoench, impiegato in pioppicoltura, ibrido traP. nigra L., autoctono, e P. deltoides degli Stati Uniti. Èprobabile che le popolazioni naturali di P. nigra possanopresentare fenonemi di ibridazione e introgressione conconseguente confusione nei caratteri.Robinia - presente sempre R. pseudoacacia L., anche sesono coltivate alcune specie a fiori rosa che però non sfug-gono a coltura. Nell’ambito di R. pseudoacacia, invece, c’èda segnalare che sono utilizzate alcune varietà, tra cui nelLazio abbiamo osservato la var. “unifoliola” con segmentipiù ovali e meno numerosi (2-(4)-5), legume più largo eportamento più robusto, fioritura più densa. Non è daescludere la sua presenza anche in altri siti di invasione diR. pseudoacacia.Thuja - cambiamento di T. orientalis L. a Platycladus orientalis(L.) Franco.Tradescantia - per T. fluminensis Vell. confusione con altreentità specifiche e varietali affini.Ulmus - alcune specie coltivate possono propagarsi e con-fondersi con le popolazioni locali di U. minor L., autoctono;l’osservazione di caratteri fogliari e della samara porta alriconoscimento di alcune specie quali U. laevis Pall., U.pumila L. con cui sarebbe possibile l’ibridazione che ren-derebbe ancora più complicato il riconoscimento.Vitis - fino a pochi anni fa le piante selvatiche di vite coltivatavenivano attribuite a forme ferali della V. vinifera L. In seguitoa varie revisioni (cfr. Ardenghi N. et al., 2014) sono stati rico-nosciuti varie specie e ibridi, provenienti da portainnestiamericani riconducibili principalmente a V. ripariaMichx., V.berlanderi Planch. e V. rupestris Scheele. Il riconoscimento diqueste entità comporta difficoltà per la presenza di micro-caratteri diagnostici non sempre facili a distinguersi.

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105Biodiversità, ecologia e biogeografia della flora vascolare alloctona

RICCHEZZA E COMPOSIZIONEDal primo elenco di 599 taxa, che sono stati sottoposti allevarie fasi di aggiornamento, validazione e revisione critica,sono stati individuati ed esclusi 26 taxa indigeni classificaticome “NATIvI”, 16 taxa indigeni per i quali si osservano in-troduzioni locali in settori del Lazio al di fuori del lororange naturale che sono stati, invece, classificati come “LO-CALmeNTe INTRODOTTI” e 23 taxa di dubbia orgine biogeograficaattribuite alla categoria “CRIPTOGeNICI”. Tra i rimanenti 534taxa alloctoni sono stati successivamente selezionati edesclusi 32 taxa classificati come “DuBITATIvAmeNTe SPONTANeIzzATI”,30 taxa di cui non si conferma la presenza riportati come“CeRCATI e NON TROvATI” e 4 taxa “eRRONeAmeNTe SeGNALATI”. Oltrealle specie escluse, si registrano al contrario 34 “NuOve

eNTITà” rinvenute per la prima volta nel Lazio (Foto 85). Per-tanto il numero finale di specie alloctone effettivamentespontaneizzate e confermate per il Lazio ammonta a 468entità (Tab. 5.1); tra queste si distinguono ulteriormente426 taxa per i quali si dispone di uno o più dati distributivicartografabili e 42 taxa per i quali, invece, mancano datidistributivi (geo-data deficient).In Fig. 5.1 è riportato il grafico della frequenza della ricchezzadei generi in specie, da cui si deduce che ben il 48% di tuttii generi della flora alloctona è rappresentata solo da unasingola specie e che circa l’8% dei generi comprende solodue specie; l’andamento corrisponde a quanto riportato inaltri contesti biogeografici e floristici (predominanza digeneri paucispifici), ma nel caso delle specie alloctonequesto andamento asimmetrico può essere dovuto all’etàdi introduzione (generi paucispecifici o monospecifici perle neofite casuali, generi più ricchi per le archeofite natura-lizzate). I generi più ricchi risultano Amaranthus (14), Solanum(11), Prunus (8), Vitis (7), Oxalis (6), Papaver (6), Opuntia (5),Lepidium (5) le cui specie spesso risultano anche invasive.

Categoria Totali alloctone % rispetto all’interaflora del Lazio

Taxa 468 13.4

Specie 464 14.1

Genere 297 31.4

Famiglia 95 59.7

Considerando che il numero totale di taxa che compongonola flora regionale ammonta a 3.499 entità (dato ricavatodal geodatabase della flora vascolare del Lazio aggiornatoa Ottobre 2016), si può dire che la flora alloctona regionalecostituisce circa il 13.4 % della flora vascolare complessiva(Tab. 5.1). Tale valore va ad aggiornare quanto riportato inprecedenti studi che consideravano la flora alloctona delLazio pari al 9.6% (Celesti et al., 2010) o al 9.38% (Anzaloneet al., 2010). Al confronto con alcuni dati aggiornati disponibiliper altre regioni d’Italia, il Lazio mostra una percentualeinferiore di taxa alloctoni rispetto solo alla Lombardia ealla Sardegna, dove si raggiungono rispettivamente circail 20% (Banfi & Galasso, 2010) e il 18% (Bacchetta et al.,2009) della rispettiva flora regionale. Rispetto ad altreregioni quali il Piemonte, dove sono stati osservati il 12 %di taxa alloctoni (Selvaggi, 2015) e la Campania dove invecela flora alloctona raggiunge circa il 7.2 % (Stinca, 2013), lafrazione censita per il Lazio risulta, invece, maggiore.

5 - BIODIVERSITÀ, ECOLOGIA E BIOGEOGRAFIADELLA FLORA VASCOLARE ALLOCTONAFernando Lucchese, Marco Iocchi

Tab. 5.1 - Diversità sistematica della flora alloctona.

Foto 85 - Digitalis purpurea, poco utilizzata come specie ornamentale peril pericolo della sua tossicità; la sua spontaneizzazione è da considerarsiun caso eccezionale.

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106 Flora alloctona - Capitolo 5

Fig. 5.1 - Grafico della relazione tra n° di specie e n° di generi.

Fig. 5.2 - Pattern spaziale della percentuale di taxa alloctoni sulla flora totale. Per migliorare la leggibilità della mappa i valori del rapporto sono stati interpolatispazialmente (kriging) a partire dai dati per quadrante.

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107Biodiversità, ecologia e biogeografia della flora vascolare alloctona

La frazione percentuale di taxa alloctoni rispetto alla floratotale ovviamente non è distribuita omogeneamente al-l’interno del territorio regionale, ma si possono distingueresettori dove le invasioni di specie alloctone sono più con-centrate (area urbanizzata di Roma, settori costieri, valledel Tevere, Pianura Pontina e valle del Sacco-Liri) e settoriche, al contrario, sono relativamente più poveri di taxa al-loctoni (Alta Sabina, Cicolano, m.ti Simbruini, mainarde,etc., vedi Fig. 5.2).Il range dei valori percentuali che compongono il patternmostrato in Fig. 5.2 è mediamente composto da percentualiche risultano per gran parte più basse rispetto alla percentualecalcolata complessivamente sull’intera flora alloctona re-gionale (13,4%); tale scostamento dipende dal fatto che lapercentuale complessiva calcolata a livello regionale includenel conteggio le 42 specie di cui non si hanno dati distributivi(geo-data deficient), mentre nella spazializzazione dei datimostrata in Fig. 5.2 tali specie non possono essere incluse.Per i ranghi sistematici superiori la flora alloctona regionaleè suddivisa in 464 specie, 297 generi e 95 famiglie. Ilrapporto tra specie e generi è di 1.55, mentre il rapportotra generi e famiglie è di 3.1.Le famiglie con il maggior numero di taxa alloctoni sono:Asteraceae (50), Poaceae (42), Fabaceae (29), Solanaceae(26) e Amaranthaceae (25).A seguito della revisione critica dello status di alloctonia,le specie alloctone laziali sono state suddivise in 285“CASuALI” e 183 “NATuRALIzzATe”; queste ultime sono state ul-teriormente distinte in 139 “NATuRALIzzATe NON INvASIve”, 37 “INvASIve” e 7 “ LOCALmeNTe INvASIve” (Fig. 5.3). In queste ultimecategorie sono incluse alcune specie che sono causa diprofonde alterazioni dell’ambiente (“transformers” sensuRichardson et al., 2000 e Pyšek et al., 2004), quali ad es.:Carpobrotus acinaciformis e C. edulis, colonizzatrici delle

spiagge e delle dune; Robinia pseudoacacia albero colo-nizzatore di superfici marginali disturbate e produttore dielevate quantità di azoto, massa legnosa e lettiera; Ailanthusaltissima albero colonizzatore di superfici urbanizzate, dovein pochi anni può formare densi popolamenti; Alternantheraphiloxeroides, Elodea canadensis, Eichornia crassipes e Lemnaminuta capaci, invece, di generare veloci e profonde alte-razioni funzionali (anche chimiche) nei corpi idrici.In riferimento all’età di introduzione si osserva (Tab. 5.2)che ben 105 entità sono presumibilmente state introdottein periodi antecedenti alla scoperta dell’America (Archeofite),mentre le specie alloctone che sono state presumibilmenteintrodotte successivamente alla scoperta dell’America (Neo-fite) risultano essere 351; rimane da definire l’età di intro-duzione di 12 taxa per i quali non si dispongono di fonticerte sull’età del loro arrivo in Italia e/o in europa. Osservando la Tab 5.2 si può notare come per le archeofitela ripartizione tra casuali (51) e naturalizzate (54) sia ben bi-lanciata, mentre per le neofite si nota una netta preponderanzadelle causali (223) rispetto alle naturalizzate (128). Talidifferenze derivano dal fatto che, nella maggior parte deicasi, le casuali nel tempo sono destinate a scomparire o cheriescono a persistere nelle aree di introduzione solo grazie acontinue nuove introduzioni. Si nota, inoltre, come la grandemaggioranza delle specie invasive siano state introdotte intempi recenti (neofite), a riprova del fatto che l’aumentatoflusso di scambi tra il vecchio ed il Nuovo mondo abbia ge-nerato un inevitabile impatto negativo sulla flora regionale,favorendo l’arrivo di specie alloctone dannose.

Fig. 5.3 - Ripartizione delle specie alloctone in funzione dello status di al-loctonia.

Categorie Totali e subtotali

Archeofite 105

Casuali 51

Naturalizzate non invasive 51

Invasive 3

Neofite 351

Casuali 223

Naturalizzate non invasive 87

Invasive 34

Localmente Invasive 7

Età di introduzione incerta 12

Casuali 11

Naturalizzate non invasive 1

Totale 468

Tab. 5.2 - Ripartizione delle specie alloctone in base all'età di introduzione(Archeofite/Neofite) ed allo status di alloctonia.

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108 Flora alloctona - Capitolo 5

Tra le specie alloctone archeofite sono incluse sia specieintrodotte accidentalmente come le infestanti dei sistemiagricoli (es. Abutilon theophrasti, Conringia orientalis, Del-phinium consolida subsp. consolida, etc.), sia specie introdottevolontariamente come piante di uso agricolo (es. Brassicaoleracea, Cyperus esculentus, Prunus persica, Spinacia oleracea,etc.) o come piante officinali (Artemisia absinthium, Calendulaofficinalis, Tanacetum balsamita, Melissa officinalis subsp.officinalis, etc.).Tra le specie alloctone neofite, invece, la maggior partesono state introdotte volontariamente per scopi forestalio ornamentali (es. Pinus sp. pl., Acacia sp. pl., Opuntia sp.pl., Oxalis sp. pl., Carpobrotus sp. pl., etc.).

Considerando, invece, lo scopo di introduzione, si osserva(Tab. 5.3) che i taxa introdotti accidentalmente ammontanoa 96, mentre quelli per i quali è stato riconosciuto unoscopo ben documentato sono 349; rimane da definire ilmotivo dell’introduzione di 23 taxa per i quali non si di-spongono di fonti certe sullo scopo e/o sull’utilizzo da cuiè scaturito il loro arrivo in Italia e/o in europa.Tra i taxa alloctoni introdotti volontariamente dall’uomola maggior parte (234) sono arrivati per motivi ornamentali(floricoltura, utilizzo forestale, etc.), mentre 71 sono quelliintrodotti per il loro impiego nell’agricoltura, 34 quelliarrivati come piante officinali e 10 quelli introdotti perscopi commerciali, che in totale (115) rivestono solo il32.9% dei taxa introdotti volontariamente.Osservando la Tab. 5.3 si può notare come tra i taxa introdottiaccidentalmente buona parte sia rappresentata da taxa di-venuti invasivi e largamente diffusi nel territorio regionale(21 taxa, pari 21.9%), mentre tra quelli introdotti volonta-riamente solo una minima parte è divenuta invasiva e lar-gamente diffusa (16 taxa, pari al 4.6% ). È da notare peròche tutti e 7 i taxa valutati come localmente invasivi risultanoessere stati introdotti volontriamente (6 come piante orna-mentali e 1 per il suo utilizzo in agricoltura).Tra i taxa introdotti accidentalmente che sono poi divenutiinvasivi si nota un buon numero di specie del genere Ama-ranthus (ad es., A. albus, A. blitoides, A. deflexus, A. graecizans,etc.), molte Asteraceae (ad es., Erigeron bonariensis, E. su-matrensis, Senecio inaequidens, Symphyotrichum squamatum,etc.) e alcune Poaceae (Eleusine indica subsp. indica, Paspalumdistichum e Sorghum halepense). In termini generali ciò cheaccomuna questo gruppo di specie sembra essere la capacitàdi produrre un gran numero di propaguli, l’elevata efficienzadei meccanismi di dispersione delle diaspore, che possonoraggiungere luoghi molto distanti dalla pianta madre euna larga ampiezza ecologica (specie generaliste).

DISTRIBUZIONE SPAZIALEPer le sole specie alloctone la cui presenza nel Lazio èstata confermata, i dati distributivi raccolti durante i censi-menti di campo ammontano ad circa 16.750 record; lagran parte di questi provengono da raccolte eseguite dal1982 dal Prof. F. Lucchese, i cui reperti sono depositatipresso uRT. La bibliografia selezionata e dalla quale sonostate tratte le segnalazioni floristiche ammonta a 420 testicomplessivi, tra cui sono stati considerati sia articoli scientificisu riviste nazionali e internazionali, sia monografie e librispecializzati. Nel complesso il numero di segnalazioni bi-bliografiche informatizzate all’interno del database ammontaa circa 22.002 record. A questi si aggiungono 1.317 recordprovenienti da reperti d’erbario. Nel complesso il geodatabase

Categorie Totali e subtotali

Accidentale 96

Casuali 31

Naturalizzate non invasive 44

Invasive 21

Volontaria (Ornamentale) 234

Casuali 161

Naturalizzate non invasive 57

Invasive 10

Localmente Invasive 6

Volontaria (Agricoltura) 71

Casuali 49

Naturalizzate non invasive 19

Invasive 2

Localmente Invasive 1

Volontaria (Commerciale) 10

Casuali 6

Naturalizzate non invasive 3

Invasive 1

Volontaria (Officinale) 34

Casuali 23

Naturalizzate non invasive 8

Invasive 3

Non conosciuto 23

Casuali 15

Naturalizzate non invasive 8

Totale 468

Tab. 5.3 - Ripartizione delle specie alloctone in base allo scopo di intro-duzione ed allo status di alloctonia.

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109Biodiversità, ecologia e biogeografia della flora vascolare alloctona

della flora alloctona del Lazio è composto da 33.750 record,di cui 16.811 dati di campo.Grazie a questa enorme mole di dati distributivi è statopossibile eseguire un conteggio della diversità all’internodel reticolo CFCe in modo da evidenziare la distribuzionespaziale della ricchezza della flora alloctona (Fig. 5.4).Osservando la distribuzione regionale dei taxa alloctoniconfermati per i quali si dispone di dati distributivi carto-grafabili (426 taxa dei 468 totali), si può notare la presenzadi settori dove esiste una maggiore concentrazione dispecie alloctone (Fig. 5.4). In particolare, si evidenzia l’elevataincidenza della flora alloctona in alcuni settori come lacittà di Roma, il Litorale Romano, il Litorale Pontino, ilLitorale Aurunco, la valle Tiberina, la valle dell’Aniene, ilsettore occidentale dei Colli Albani e la val Comino.A livello di “Specie” il pattern di diversità è ovviamentemolto simile a quello osservato a livello di taxa infraspecificie non si apprezzano differenze significative (Fig. 5.5).Anche a livello di “Genere” il pattern di diversità segue piùo meno lo stesso andamento mostrato nei ranghi sistematiciinferiori, anche se si notano lievi differenze dovute però ingran parte alla differente categorizzazione delle classi digrandezza dei simboli utilizzati (Fig. 5.6).Anche a livello di “Famiglia” il pattern di diversità è piena-

mente confermato seguendo lo stesso andamento osservatoper i ranghi sistematici inferiori (Fig. 5.7).Osservando il pattern spaziale del rapporto specie/generenei soli quadranti dove il censimento è stato condotto suuna superficie di uguale estensione (quelli interamentecompresi entro i confini del Lazio), si nota (Fig. 5.8) come ivalori più elevati siano concentrati prevalentemente neidintorni di Roma e più in generale nelle zone di bassaquota. Tale risultato deriva in gran parte dal fatto che igeneri più ricchi di specie (Amaranthus, Solanum, Opuntia,Prunus, Vitis, Papaver, Oxalis, Erigeron, etc.) sono più frequentie abbondanti nelle zone urbanizzate di bassa quota dovele specie relative sono spesso favorite dalla presenza di unmaggiore disturbo antropico.Come ampiamente riportato in letteratura esiste una relazionetra la presenza di specie alloctone e la presenza di specieautoctone; soprattutto a scala regionale è stata riscontratauna più o meno forte correlazione positiva tra queste duevariabili, arrivando ad enunciare la famosa nozione “the richget richer” (Stohlgren et al., 1999; Stohlgren et al., 2003). Talecorrelazione positiva sembra essere determinata principal-mente dall’eterogeneità ambientale e/o dal grado di disturboantropico che, covariando a scala regionale con la ricchezzafloristica, influenza allo stesso modo sia la ricchezza di au-

Fig. 5.4 - Distribuzione spaziale della ricchezza dei taxa alloctoni.

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110 Flora alloctona - Capitolo 5

Fig. 5.6 - Distribuzione spaziale della ricchezza dei generi alloctoni.

Fig. 5.5 - Distribuzione spaziale della ricchezza delle specie alloctone.

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111Biodiversità, ecologia e biogeografia della flora vascolare alloctona

Fig. 5.8 - Distribuzione spaziale del rapporto specie/generi della flora alloctona.

Fig. 5.7 - Distribuzione spaziale della ricchezza delle famiglie alloctone.

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112 Flora alloctona - Capitolo 5

toctone sia quella delle alloctone (Deutschewitz et al., 2003;Rodgers & Parker, 2003; Davies et al., 2005).Se si mette a confronto diretto l’incidenza delle specie al-loctone con quella delle specie autoctone, calcolando ilrapporto diretto alloctone/autoctone per ciascun quadrante,si osserva il pattern in Fig 5.9.Il pattern ottenuto mostra una concentrazione accentuatarispetto alle autoctone nell’area di Roma e nella zonacostiera di Anzio e Nettuno.Osservando i risultati della regressione lineare per testarel’eventuale esistenza di una correlazione tra la ricchezzadelle alloctone e quella delle autoctone, si evince che,considerando l’intero dataset dei quadranti regionali, larelazione diretta tra le due variabili spiega solo una minimaparte della varianza (R2 = 0.09; Pvalue < 0.001). Si nota co-munque che per valori bassi di biodiversità i residui sonopiù prossimi alla retta di regressione, mentre per valorielevati di ricchezza di autoctone i residui sono relativamentemolto più dispersi (Fig. 5.10).Questa asimmetria può essere spiegata con il differentegrado di disturbo antropico (considerato come presenzadi superfici artificiali antropizzate e/o di vie di comunicazioniquali strade, autostrade e ferrovie) che si stabilisce nei vari

settori del Lazio: laddove si osserva un maggiore disturboantropico si assiste mediamente a un decremento dellespecie autoctone e a un incremento delle specie alloctone,mentre laddove si osserva, invece, un minore disturbo an-tropico si assiste mediamente a un incremento delle specieautoctone e a un decremento delle specie alloctone. Alloscopo di testare questi assunti il territorio regionale è statosudddiviso in due settori distinti, sulla base dei seguenticriteri: i) la presenza più o meno estesa di superfici artificialiantropizzate; ii) la presenza più o meno estesa di vie di co-municazioni principali. Sono stati, quindi, considerati duesubdataset di quadranti separati: a) un primo caratterizzatoda un elevato disturbo antropico che include quadranti incui la superficie antropizzata supera il 15% o in cui lapresenza di vie di comunicazione principali supera i 60 kmdi lunghezza; b) un secondo subdataset caratterizzato daun disturbo antropico inferiore che include quadranti incui la superficie antropizzata è inferiore al 15% o in cui lapresenza di vie di comunicazione principali non raggiungei 60 km di lunghezza. Come valori soglia per la suddettaclassificazione sono stati utilizzati quelli ottenuti applicandoil metodo di ottimizzazione Jenks (Natural Breaks, cherende minima la varianza dei valori interni a ciascuna classe

Fig. 5.9 - Rapporto tra il numero di entità alloctone e il numero di entità autoctone in ciascun quadrante. Per migliorare la leggibilità della mappa i valori delrapporto sono stati interpolati spazialmente (kriging) a partire dai dati per quadrante.

105-163_Capitolo 5_Layout 1 02/10/17 15:46 Pagina 112

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113Biodiversità, ecologia e biogeografia della flora vascolare alloctona

e massima quella tra le classi) all’intero dataset regionaledei valori delle rispettive variabili (percentuale di superficieantropizzata per quadrante e lunghezza totale dei tratti distrade, autostrade e ferrovie per quadrante). Calcolandoseparatamente i parametri della retta di regressione tra laricchezza di specie alloctone e la ricchezza di specie au-toctone nei due suddetti subdataset, è possibile osservare

e confermare come la relazione esistente tra le due variabilidipenda in maniera significativa dal differente grado di di-sturbo antropico. Osservando, infatti, la regressione relativaal subdataset di quadranti caratterizzati da un elevato di-sturbo antropico (Fig. 5.11), la dipendenza tra le duevariabili risulta essere relativamente maggiore (R2 = 0.4415;Pvalue < 0.001), rispetto a quanto calcolato nel subdataset

Fig. 5.10 - Grafico della regressione lineare tra ricchezza di taxa alloctoni e ricchezza di taxa autoctoni. In corrispondenza dei valori inferiori di ricchezza di autoctonela varianza registrata dai valori di ricchezza di alloctone attorno alla retta di regressione è nettamente inferiore rispetto a quella che si osserva per valori di autoctonepiù elevati (eteroschedasticità).

Fig. 5.11 - Grafico della regressione lineare tra ricchezza di taxa alloctoni e ricchezza di taxa autoctoni relativo al subdataset di quadranti in cui si stabilisce unelevato grado di disturbo antropico.

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114 Flora alloctona - Capitolo 5

Fig. 5.13 - Distribuzione spaziale dei taxa alloctoni casuali.

Fig. 5.12 - Grafico della regressione lineare tra ricchezza di taxa alloctoni e ricchezza di taxa autoctoni relativo al subdataset di quadranti in cui si stabilisce unminor grado di disturbo antropico.

di quadranti caratterizzati da un minor grado di disturboantropico (Fig. 5.12; R2 = 0.0654; Pvalue < 0.001).L’esistenza di una correlazione positiva più forte tra ricchezzadi alloctone e ricchezza di autoctone nei quadranti dove si

riscontra un maggiore disturbo antropico può essere anchespiegata con il fatto che di solito tali ambiti corrispondonoa quelli con maggiore variabilità ambientale (ad es., diversitàdi habitat). Difatti i principali effetti che derivano dal

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115Biodiversità, ecologia e biogeografia della flora vascolare alloctona

disturbo antropico sono la comparsa di nuovi habitat el’aumento del livello di frammentazione e di alterazionedegli habitat preesistenti, che a questa scala possonofavorire allo stesso modo l’incremento delle specie alloctonee autoctone (Deutschewitz et al., 2003). Osservando il pattern di distribuzione dei soli taxa alloctonicasuali, si nota chiaramente come questi siano concentratiprincipalmente nell’area di Roma, nel settore litoraleAurunco e nelle isole Ponziane occidentali (Fig. 5.13).Il pattern di distribuzione delle specie alloctone naturalizzate(non invasive) mostra un andamento parzialmente similea quello delle casuali, in quanto in questo caso si nota unamaggiore incidenza di taxa nel Litorale Pontino, nella valledell’Aniene e nella conca della val Comino (Fig. 5.14).Il pattern di distribuzione delle specie alloctone invasivemostra anch’esso un andamento parzialmente simile aquelli precedenti, ma in questo caso si nota una maggioreincidenza di taxa nella valle Tiberina, nella valle dell’Anienee nella maremma Laziale (Fig. 5.15).Considerando i soli quadranti la cui superficie ricade inte-ramente nel Lazio ed escludendo, quindi, quelli che includonoporzioni di territorio afferenti a regioni limitrofe o che inparte ricadono sul mare, si ottiene un subdataset di 375quadranti aventi un’area pressoché uguale. Considerando

il rispettivo numero di specie alloctone presenti in ciascunodi questi quadranti, è stato possibile ricostruire la curva dirarefazione delle specie alloctone laziali in cui viene stimatol’andamento cumulativo della relazione specie-area (Fig.5.16), seguendo il metodo proposto da Colwell (2013). Dalla curva di rarefazione ottenuta è possibile stimare ilnumero di specie alloctone in funzione del numero di quadranticonsiderati. Ad esempio, il numero stimato di specie alloctoneche si presume possa essere presente in 10 quadranti (circa384 km2) è pari a 113 taxa, mentre quello stimato per 100quadranti (circa 3.840 km2) è pari a circa 265 taxa. utilizzando i suddetti valori stimati di ricchezza di speciealloctone e di superficie (1 quadrante ≈ 38,4 km2) è stataanche calcolata l’equazione di Arrhenius: S = C ∙ Az (Arrhenius,1921; Preston, 1962; Rosenzweig, 1995), dove: S è il numerodi taxa; A è l’area considerata; C è una costante che dipendedal taxon considerato e dalle caratteristiche ambientalidella regione considerata (dal livello locale a quello bio-geografico) e riflette la densità delle specie; z è un coefficenteche dipende dai vari parametri biotici e abiotici che carat-terizzano la regione considerata (es. eterogeneità ambientale,competizione, isolamento, regime climatico, etc.) e che sitraduce nella velocità con cui aumentano le specie in fun-zione dell’incremento dell’area (corrisponde infatti alla

Fig. 5.14 - Distribuzione spaziale dei taxa alloctoni naturalizzati non invasivi.

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116 Flora alloctona - Capitolo 5

pendenza della retta di regressione quando S ed A sonoconsiderate in scala logaritmica). Osservando il grafico inFig 5.17, si nota come l’andamento della relazione specie-area in scala logaritmica subisce una linearizzazione e per-tanto è possibile stimare i parametri dell’equazione di Ar-rhenius mediante una regressione lineare.

Dall’equazione della retta di regressione è possibile quindiricavare i parametri C e z che caratterizzano la relazionespecie-area dei taxa alloctoni del Lazio. La costante Crisulta pari a 7,038, mentre z corrisponde a 0,34, l’equazionedella relazione specie-area che ne deriva è:

S = 7,038 ∙ A0,34

Fig. 5.16 - Curva di rarefazione calcolata secondo il metodo proposto da Colwell (2013). La curva rappresentata in nero si riferisce ai valori attesi, mentre quelle inrosso circoscrivono l’intervallo di confidenza del 95%.

Fig. 5.15 - Distribuzione spaziale dei taxa alloctoni invasivi.