Custodire Coltivare e - Home - Fraternità di Romena · Mi piace pensare che mi è chiesto di...

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1 Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XV n° 3/2011 1991- 2 0 ° 2011 Custodire e Coltivare

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1991-20° 2011

Custodiree Coltivare

SOMM

ARIO

Primapagina3

Semina la tua vita 4

L'esercizio di ogni giorno6

Il tempo della cura10

Quando in casa germoglia il futuro 8

Come dimorare nella vigna di Dio?14

L'uomo appartiene alla terra 12

Sulla soglia20

“In ogni germoglio vedo il soffio di Dio” 18

20 anni, diario di un giorno di festa 22

Nuova veglia26

Agenda 2012 28

Graffiti29

trimestrale Anno XV - Numero 3 - Ottobre 2011REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)tel. 0575/582060 - fax 0575/016165

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo OrlandiREDAZIONE e GRAFICA:Raffaele Quadri, Massimo Schiavo, Luca Buccheri,

FOTO:Massimo Schiavo, Piero Checcaglini, Giuditta Scola, Paolo Dalle Nogare, Baldassare Amodeo.

COPERTINA: Mario Spinaci

HANNO COLLABORATO:Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Luca Buccheri,Luigi Padovese, Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati, Stefania Ermini.

Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

www.romena.ite-mail: [email protected]

“Ricordati di quel giorno che hai seminato col tuo babbo”. Era primavera inoltrata. L'ultima. Spargemmo manciate di semi in un gesto che a lui veniva naturale e nel quale provavo a spec-chiarmi. Non c'era più il tempo di imparare nulla, potevo solo sentire addosso il valore di quel momento, e portarlo con me.

Di solito di un contadino si sottolinea la conoscenza, quasi istintiva, dei ritmi della natura, si apprezza la sua saggezza semplice, quella capacità di vivere senza mai pretendere. In realtà all'origine di tutti questi doni c'è una consapevolezza: che la terra non è il fine ma il luogo dove ricevere e donare, dove stringere alleanze. Dove incontrarsi.Con il suo gesto mio babbo mi diceva che più che seminare bene, era importante farlo in-sieme.

La Bibbia ci chiede di “custodire e coltivare il giardino”. Ma perché custodire un bene che dovremo abbandonare? Perché coltivare qualcosa se noi siamo comunque, inevitabilmente, di passaggio? Quando passeggio nella mia campagna, quando vedo alternarsi i campi coltivati e i pascoli, il bosco e le radure, sento vibrare spontaneamente la forza di un'alleanza non scritta tra la terra e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo: e questo accade perché quell'armonia non è figlia di un gesto individuale, ma corale. Se poi alzo lo sguardo verso le montagne dell'Appennino non posso non pensare a quando quella meravigliosa foresta era casa di tanti boscaioli che hanno condiviso la fatica e il pane di quel luogo, e poi l'hanno restituito intatto. Per custodire e coltivare, questo sento, bisogna volere e volersi bene.

In questi ultimi tempi ho ascoltato una serie di interviste rilasciate da Ermanno Olmi. È come se, compiuti gli ottant'anni, il grande regista avesse voluto guardarci tutti negli occhi, e lasciarci una piccola, grande eredità collettiva. Così, quando gli hanno chiesto del suo essere anziano e dell'avvicinarsi inevitabile della morte, ha risposto così: “Dobbiamo prepararci dicendo, come Giovanni delle Bande nere nel «Mestiere delle armi», poco prima di morire: «Vogliatemi bene, quando sarò morto». Se io guardo la morte con questa richiesta d'amore, significa che quest'amo-re è la mia garanzia di sopravvivenza. Se ho lasciato una buona memoria nelle persone a cui ho voluto bene, tutti costoro mi vorranno bene ed io avrò dato un significato alla mia vita».

Pochi giorni dopo la semina nell'orto, mio babbo non poté più uscire di casa. Ci chiese allora di tenere aperta la porta a tutti coloro che volessero salutarlo. Era come se volesse stringere forte il filo di una buona memoria. Di quella che nulla, nemmeno la morte, avrebbe potuto corrompere. Accolse tanti amici, con gioia, e congedò ciascuno con un grazie. Finché poté con la voce, poi con gli occhi.

Possiamo custodire e coltivare tutti i campi del mondo. Magari anche possederli. Ma ciò che conta è la condivisione che hanno generato, è il filo d'amore che è partito da ogni semina e che è arrivato sino al raccolto. Questo, e null'altro, come dice Olmi, “garantisce la sopravvivenza”. Questo, più di ogni altra cosa, dà significato alla nostra vita.

Massimo Orlandi

PRIMAPAGINA

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di Luigi VerdiSemina la tua vita

In questa lunga estate che pare senza fine, il sole senza la pioggia ha reso ari-di tanti giardini, ha rinsecchito i fichi, non da vita ai funghi, rimpicciolisce le castagne. Mi piace pensare che mi è chiesto di custodire e coltivare la vita, ma che mi è solo affidata, come la terra inte-ra il giorno della creazione. Il raccon-to della creazione fu scritto durante la deportazione del popolo d’Israele in Babilonia, e fu un invito esplicito a lodare e benedire, a rite-nere tutto “buono e bel-lo” in un tempo di crisi.E allora eccomi qua, anch’io a confidare nel-la bellezza del giardino della mia vita nonostan-te l’aridità di certi mo-menti, l’ansia di produr-re frutti sapendo di aver poca linfa. Coltivare e custodire la vita vuol dire anche non fermarsi, non ac-contentarsi di cose morte, non accetta-re la perdita della tenerezza. Ascolto le carezze fatte parole di Papa Giovanni: “Semina i tuoi desideri, la tua fiducia, la tua vita. Semina tutto ciò che c’è di bello in te, le più piccole cose, i nonnulla, semina e abbi fidu-cia.”È tempo di aratura, di terreni rivoltati e messi a riposo, indispensabile perché la semina entri fino al cuore della terra, e ciò deve avvenire qui ed ora perché il giardino non si accontenta di teorie, di ipotesi o di desideri: ha bisogno di cure quotidiane. Sono io che nei gesti della cura dò va-

lore al tempo presente, dò senso alle cose che faccio, introducendo bagliori di vita nell'apparente inutilità del gesto quotidiano. E questo quotidiano non è indefinito. È scandito benissimo dai ritmi della natura, dall'alternarsi del giorno e del-la notte, della luce e del buio. L'oggi è il limite delle nostre preoccupazioni, delle nostre pene e delle nostre azioni,

perché un'oggi è lungo abbastanza per trovare Dio e per perderlo. Per questo Dio ha cre-ato il giorno e la notte, affinché non vagassi-mo nell'illimitato, ma vedessimo già nel mat-tino la fine della sera. Essenziale nei tempi che viviamo è resiste-re: cioè vivere, star lì, essere presente.

Resistere per me non ha l'effetto di un temporale, ma di una pioggia leggera e costante, che penetra nel terreno e lo rende fertile. Questo è il tempo delle cose umili, ma preziose, è il momento di raccogliere i cocci sparsi, di ripensare tutti gli eventi e riscoprire le perle dentro quelli più disastrosi. È il momento della custodia e della difesa delle perle acquisite. È tempo di vegliare nella notte, di pre-parare i profumi, di essere attenti a ogni movimento e a ogni persona. È tempo di essere fedeli ai compiti che abbiamo: lavorare, dissodare, nutrire, potare, trasformare e rendere più abi-tabile e più umana la terra, renderla più bella. Un giardino.

La differenza

tra un deserto

e un giardino

non è l'acqua

ma l'uomoProverbio Tunisino

Non siamo solo partoriti, ogni gesto d'amore ci rimette al mondo.

Foto di Piero Checcaglini

Paola Nepi

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L'esercizio di ogni giorno di Pier Luigi Ricci

Nella vita capita di imbattersi in avvenimenti che ci lasciano delle tracce molto forti o di incontrare persone o messaggi che ci caricano di energia. Sia-mo tornati a casa e quell’energia l’abbiamo sentita addosso per un bel po’ di tempo. Ma con una ca-ratteristica: giorno per giorno quella forza tendeva a diminuire, fino a scomparire, talvolta. è un fe-nomeno che si chiama “forza d’inerzia”, l’abbia-mo studiato anche a scuola. Di fatto in quei giorni quella forza, quella spinta non era la nostra, appar-teneva ancora a quella persona o a quel fatto che ce l’aveva regalata. Ho osservato che alcune per-sone invece dopo qualche mese sono più cariche e migliori, hanno preso l’energia o l’esperienza da qualcun altro e l’hanno poi ampliata, approfondita, l’hanno fatta propria. Non vanno avanti per forza d’inerzia, ma grazie ad una personale e speciale energia che viene da dentro e non più dagli altri. Mi sono chiesto quale fosse la chiave che determi-nasse questa differenza e mi sono imbattuto in una regola di vita da cui non si può scappare: bisogna fare palestra. Non solo le componenti fisiche o intellettive della nostra persona hanno bisogno di essere esercitate, ma la stessa regola vale anche per quelle spirituali, per i valori, gli atteggiamenti.Nella vita non c'è niente di automatico o di fortui-to. Diventa tuo solo quello che coltivi e custodisci, quello che scegli e metti in gioco, provando e ri-provando. Con la stessa passione dell’atleta che perde e ritrova di continuo la propria condizione, con la stessa pazienza del contadino che sa di do-ver ripetere mille volte lo stesso gesto, prima di cominciare a vedere qualche frutto.La palestra rappresenta un’assunzione di responsa-bilità verso noi stessi: puoi trascorrere i tuoi giorni lamentandoti o puoi acquisire la proprietà di ciò che ti sembra bello e di ciò che ti appare vero. Ma che significa fare palestra? Per spiegarlo dico sem-pre che bisogna seguire, per analogia, l’immagine e l’idea della palestra vera e propria: c’è un luogo,

ci sono degli attrezzi, c’è una sequenza di gesti da compiere, aumentando giorno per giorno la quan-tità o l’intensità di ciò che facciamo. E ci sono i giorni neri, quelli in cui ci prende il fiatone e non si combina niente e ci assale la sensazione che stia-mo peggiorando. Chi va in palestra sa che succede anche questo e non se ne fa un problema.Se c’è una cosa nella vita che ti piace o in cui hai cominciato a credere, sappi che, esercitandola, quella cosa diventa parte di te. Ma c’è un altro aspetto su cui vorrei porre la tua attenzione: gli esseri umani diventano ciò che ri-petono più spesso. Quindi ti chiedo: tu cosa ripeti più spesso nelle tue giornate? Che cosa custodisci e coltivi nel tuo cuore? Sappi che cresce e si radica in te la cosa su cui fai palestra quotidiana.Puoi non esserne consapevole e in questo caso potresti davvero correre dei rischi. O sai cosa ti preme nella vita e lo eserciti tutti i giorni, oppure potresti stare a coltivare cose velenose per te, cose che potrebbero danneggiarti. Non è in gioco la domanda se fai palestra o no, perché qualcosa co-munque stai esercitando, è inevitabile. è in gioco la domanda che ti ho posto e che mi debbo porre; a che cosa dedichiamo più tempo, più attenzione, più pensiero?Il contadino nel campo vede crescere anche le er-bacce - ricordate la parabola? - sa che ci possono essere e non butta via tutto il campo per questo. Ma non le coltiva le erbacce e a tempo debito farà le sue scelte. Anche le cose negative possono aver valore e si-gnificato per noi. E possono anche farci crescere. Ma contengono un problema con cui bisogna fare i conti: hanno un’energia più forte delle altre, che a volte ci cattura, a volte perfino ci affascina. Se fai palestra su quelle, rischi davvero di addestrare ciò che temi e di potenziare ciò che ti distrugge.Osserva la cosa su cui ogni giorno fai palestra, chiediti se è quello che vuoi e se rappresenta per te ciò per cui vale la pena vivere.

Nella vita niente è automatico o fortuito. Diventa tuo davvero solo quello che scegli e metti in gioco, provando e riprovando ogni giorno. Proprio come in una palestra...

La resurrezione è un tempo lento. Dobbiamo cominciare a perdere tempo, non perché non sappiamo cosa fare, ma per raccogliere i dettagli della vita.

Antonietta Potente

Foto di Giuditta Scola

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Quando in casa germoglia il futurodi Luigi Padovese

Molti anni fa lessi un saggio sulla famiglia, di D. Meltzer e M. Harris, una coppia di psicoanalisti inglesi. Da allora non l’ho mai dimenticato. La funzione educativa della famiglia, il suo “custodire e coltivare” relazioni evolutive che permettono la crescita, si basa su quattro condizioni fondamentali. Generare amore: costruire relazioni buone, coltivare un clima di fiducia e di autenticità, aiutare, esprimere solidarietà reciproca, contrapposti a suscitare odio. Stimolare il pensiero: favorire, quindi, la crescita di un pensiero autonomo e non conformista, la progettualità e la visione del proprio futuro, contrapposti al creare confusione e al produrre “bugie familiari” che disorientano. Regolare l’ansia e la sofferenza della crescita, affinché i nostri figli possano apprendere dall’esperienza con la gradualità necessaria e con la personalizzazione appropriata rispetto alle caratteristiche individuali, invece di trasmettere ansia (basti pensare a tutti i problemi legati allo studio e alla scuola). Infine, infondere speranza, piuttosto che seminare pessimismo e disperazione, sostenere cioè atteggiamenti realistici di ottimismo, di costruttività e passione, “cuore” per camminare nella vita, guidati dal proprio sogno.Come genitori, cosa facciamo concretamente per custodire e coltivare queste quattro fondamentali responsabilità cui siamo chiamati? è importante dare una risposta convincente, con l’umiltà dell’apprendere e con la volontà del migliorare. Oggi viviamo tutti in una società più fredda, affrettata, povera di relazioni. Un’epoca che ha rubato il futuro dei giovani e che contemporaneamente ha tagliato le radici, la memoria, la forza degli antenati, favorendo lo sradicamento. è questa un’epoca della distrazione, piena di stimoli che rendono difficile praticare la necessaria attenzione alle persone, alle cose,

all’ambiente… Dunque, in un contesto sociale come questo, in che modo i valori praticati all’interno della famiglia possono diventare un “oltre”, possono prendere il largo e contaminare positivamente la società, il paese, la comunità, in cui la famiglia vive, in un rapporto di reciproco scambio e influenza? La via maestra lungo la quale tutto questo può esprimersi è rappresentata dalle relazioni, dai rapporti che si intrecciano e si sviluppano lungo tutto l’arco della vita, dentro e fuori la famiglia. Se noi e i nostri figli siamo coinvolti in relazioni evolutive, viviamo in un contesto che ci permette di esprimere le nostre potenzialità, di crescere, di progredire insieme; viceversa, se siamo immersi in relazioni involutive – basate sulla sfiducia, sulla mancanza di autenticità, sulla chiusura – veniamo sospinti inevitabilmente verso l’involuzione. C’è però una buona notizia di cui tenere conto. Con l’essere umano, per la prima volta sulla terra, la vita ha generato soggetti capaci di evolvere a livello individuale, relazionale, culturale, sociale. In questa prospettiva, ogni essere umano nasce con una scintilla virtuale di evoluzione infinita. Ogni essere umano che nasce è un potenziale costruttore di mondi nuovi. è un’immensa possibilità che ci offre la vita in termini di evoluzione, anche se, come già ricordato, nessuno può evitarci il rischio di involuzione. Come genitori abbiamo quindi la responsabilità e la possibilità, attraverso i nostri comportamenti, di essere la “condizione necessaria”, in famiglia e nella società, affinché prevalga un clima e una relazione evolutiva.Come genitori abbiamo questa grande opportunità e responsabilità di custodire e coltivare questa “scintilla di evoluzione infinita”, per noi stessi e per i nostri figli, sapendo creare quello spazio necessario affinché sappiano percorrere le loro strade e non le nostre.

La famiglia è la più importante incubatrice della vita. La vede nascere, crescere, evolversi. In che modo gli atteggiamenti dei genitori consentono di esprimere e non reprimere il segno di nuovo che c'è nei figli? Quali condizioni il padre o la madre devono rispettare per essere buoni custodi del futuro che gli abita in casa?

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I doni di Dio fanno impallidire i migliori sogni dell'uomo.

E. Barrett Browning

Foto di Giuditta Scola

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Il tempo della curadi Maria Teresa Abignente

Esiste un tempo, in quelle che chiamiamo “stagioni morte”, in cui tutto sembra tacito e quieto, tanto quieto da farci pensare al nulla ed alla morte. Guardate ad esempio gli alberi d’in-verno, nudi e scheletrici o il seme che abbiamo appena piantato, ingoiato dalla terra. Tutto ap-pare silenzioso e finito. Eppure, in qualche parte invisibile e nascosta, qualcosa freme e nell’inti-ma profondità della terra la vita si prepara. Che torto alla vita farebbe il contadino se, visto il suo albero senza più foglie, lo tagliasse ineso-rabilmente o se, impaziente, vangasse la terra con il suo seme. Probabilmente licenzie-remmo il nostro contadino ac-cusandolo di essere incapace ed incompetente e certamente non avremmo tutti i torti…Eppure troppo spesso nelle nostre relazioni noi facciamo come quel contadino dilettante e appena avvertiamo silenzio e aridità decretiamo implacabili la fine di quella relazione. Ci comportiamo cioè come chi non sa nulla dell’attesa e del-la promessa di vita che porta questo tempo. Il tempo della cura.Un tempo fatto soprattutto di gesti umili, come quelli della terra che culla il suo seme, scaldan-dolo e dandogli nutrimento, riparandolo dal gelo e dal becco avido degli uccelli; un tem-po fatto di minuzie che sembrano banali, ma che proteggono la vita; un tempo silenzioso, paziente, discreto come quello della linfa che lentamente sale verso i rami. Agli occhi di chi ha fretta, di chi non conosce la scarna sapienza del travaglio, questo può sem-brare un tempo senza senso, inutile come uno sterile accanirsi, eppure proprio allora e grazie a questa cura aiutiamo la vita a crescere. E la vita

nasce sempre da un gesto d’amore. “Custodire e coltivare” significa allora “pre-parare”, significa cioè fare in modo che qual-cosa avvenga e avvenga bene, come quando si prepara una bella tavola per un giorno di festa. Significa cioè dar luce e forma a qualcosa che ancora non ha luce e ancora non ha forma, ma che esiste; qualcosa che è nascosta, ma c’è. In questo, solo in questo, possiamo dirci davvero creatori. Creatori delle nostre relazioni, delle nostre decisioni, delle nostre scelte.

Come dice il Piccolo Principe della sua rosa: “Lei, lei sola, è la più importante di tutte, perché è lei che ho innaffiato. Perché è lei che ho messo sot-to la campana di vetro. Per-ché è lei che ho riparato col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi. Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa". è questa cura e questa atten-

zione che rendono unica una rosa come tante al-tre, che la rendono straordinaria e meravigliosa-mente bella. Non ci si può distrarre, non si può essere superficiali. Non si può essere frettolosi o impazienti: la vita ha bisogno di raccoglimen-to e di smisurata protezione. L’amore non è scontato e non è dato per sem-pre: dobbiamo proteggerlo dai venti gelati, dobbiamo nutrirlo e prepararlo ogni giorno. E attendere, nei tempi bui come in quelli di splen-dore, faticosamente, con fedeltà e speranza, con la trepida ostinazione di chi non cede allo smarrimento, di chi non si avvilisce davanti ai fallimenti, di chi continua con tenerezza infinita a partorire.

Il mondo vuole il sonno, il mondo non è che sonno. Ma l’amore vuole la veglia.

L’amore è la veglia ogni volta reinventata, ogni volta una prima volta.

Christian Bobin

Come si custodisce un amore? Come si fa a conservarlo e mantenerlo anche nei momenti di vuoto, di silenzio, di buio?

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Quando la mano della vita pesa

e la notte non canta,è il momento di amare

e confidare.K. Gibran

Foto di Baldassare Amodeo

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L'uomo appartiene alla terra

Come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Questa idea è strana per noi.Se non possediamo la freschezza dell'aria o lo scintillio dell'acqua: come potete comprarli da noi? Ogni parte di questa terra è sacra al mio popolo. Ogni scintillante ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni foschia nelle ombrose foreste, ogni luce ed ogni ronzante insetto è sacro nella memo-ria e nell'esperienza del mio popolo. La linfa che scorre negli alberi porta il ricordo del pellerossa. Noi siamo parte della terra e lei è parte di noi. I fiori profumati sono nostri fratelli; il cervo, il ca-vallo e l'aquila sono nostri fratelli. Le cime roccio-se, l'umidità dei prati, il calore del corpo dei pony e l'uomo, tutti appartengono alla stessa famiglia.

Perciò, quando il Grande Capo di Washington ci manda a dire che desidera comprare la nostra ter-ra, ci chiede molto. (...) Noi considereremo la sua offerta di comprare la nostra terra. Ma non sarà facile, perché per noi questa terra è sacra. L'acqua scintillante che scorre nei ruscelli e nei fiumi non è soltanto acqua, ma è il sangue dei nostri antenati. Se noi vi venderemo la terra, dovrete ricordare che è sacra e dovrete insegnare anche ai vostri figli che è sacra e che ogni riflesso nell'acqua limpida del lago richiama avvenimenti e ricordi della vita del mio popolo.

Il mormorio dell'acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli e saziano la no-stra sete. I fiumi sostengono le nostre canoe e nu-trono i nostri figli.Se vi vendiamo la nostra terra, dovrete ricordare e insegnare ai vostri figli che i fiumi sono nostri e vostri fratelli e dovrete quindi usare con i fiumi la gentilezza che riservate ad un fratello (...)Il vento, che ha dato ai nostri padri il primo respi-ro, riceve anche il loro ultimo respiro. E il vento deve dare anche ai vostri figli lo spirito della vita. E se vi venderemo la nostra terra, voi dovrete te-

nerla da parte e come sacra, come un luogo dove lo stesso uomo bianco potrà venire a gustare il vento addolcito dai fiori dei prati.

Perciò noi consideriamo la vostra offerta di com-prare la nostra terra. Ma se decideremo di accet-tarla, io porrò una condizione: che l'uomo bianco tratti gli animali di questa terra come suoi fratelli. Che cosa è l'uomo senza gli animali? Se non ci fossero più animali, l'uomo morirebbe in gran so-litudine di spirito, perché qualunque cosa capiterà agli animali, presto capiterà all'uomo.Tutte le cose sono collegate.

Dovete insegnare ai vostri figli che il terreno sotto i loro piedi è la cenere dei nostri padri. Cosicché rispettino la terra. Dite ai vostri figli che la terra è ricca delle vite della nostra razza. Insegnate ai vo-stri figli ciò che abbiamo insegnato ai nostri figli, cioè che la terra è nostra madre. Qualunque cosa capita alla terra, capiterà ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi.

Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all'uomo, ma l'uomo appartiene alla terra.Tutte le cose sono collegate, come il sangue che unisce i membri di una stessa famiglia. Tutte le cose sono collegate. Quel che avviene alla terra, avviene ai figli della terra. L’uomo non tesse la sua trama della vita, ne è semplicemente uno dei fili. Qualsiasi cosa fa alla tela, la fa a se stesso.

Se vi vendiamo la nostra terra, amatela come noi l’abbiamo amata. Curatela come noi l’abbiamo curata. Conservate nella mente il ricordo di questa terra, così com’è, quando la prenderete.E con tutta la votra forza, con tutta la vostra men-te, con tutto il vostro cuore, preservatela per i vostri bambini e amatela… come Dio ama noi. Una cosa sappiamo: il nostro Dio è lo stesso Dio. Questa terra Gli è preziosa.

Nel 1854 il presidente degli Stati Uniti si offrì di acquistare una parte del territorio indiano per istituirvi una "riserva". Gli rispose il capo indiano "Capo Seattle", con una lettera amata, mitizzata, la cui autenticità non è affatto certa, e che resta, comunque, una meravigliosa dichiarazione sul rapporto tra l'uomo e il giardino in cui vive. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

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Tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza

ed è l'odore dei limoni.Eugenio Montale

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Come dimorare nella vigna di Dio?di Angelo Casati

“Io sono la vite, voi siete i tralci. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me”. Don Angelo ci porta nel cuore di questo passo del vangelo di Giovanni per mostrarci qual è il posto che Dio ha pensato per l'uomo nel giardino fiorente della vita.

Vorrei subito dirvi la gioia che provo al pensare che la fede ci fa dimorare in una vigna, cioè in que-sto miracolo delle cose che nascono. E il pensiero mi attrae, mi seduce, mi porta anche a ricordare una parola bellissima, di Papa Giovanni. Sentitela: "Non siamo sulla terra a custodire un museo, ma a coltivare un giardino fiorente, destinato ad un avvenire glorioso". Dunque lo spazio cui ci chiama l'immagine della vigna non è quello dell'aria chiusa e ammuffita, bensì quello dell'aria aperta, della vi-gilia di nascita, delle vigne assolate ma rigogliose di Israele, nate, quasi d'incanto, per miracolo, in una terra arida. Ebbene Gesù con l'immagine della vigna si ricollega a un simbolo più volte evocato nell'Antico Testamento, dove il simbolismo della vigna viene con insistenza ripreso per raccontare il rapporto tra Dio e il suo popolo, un rapporto, sul versante di Dio, fatto di cure, di premure, di tenerezza per la sua vigna, un rapporto, sul nostro versante, fatto a volte, purtroppo, di indifferenza, di impermeabilità, di rifiuto.

Ma c'è di più. Nel Vangelo di Giovanni Gesù attri-buisce a se stesso l'immagine della vite. "Io sono la vite, voi i tralci". Forse potremmo anche dire che con il Battesimo è avvenuto un innesto: noi, rami per qualche misura selvatici, innestati alla vite che ha la pienezza del rigoglio. E dunque custodisci l'innesto, abbine cura, perché senza questa comu-nicazione con Gesù e il suo Vangelo, si interrompe il flusso della linfa, rinsecchiamo. Rami secchi! E questa del rinsecchirsi è, o dovrebbe essere, la cosa che ci preoccupa di più - più dell'invecchiare negli anni - l'invecchiare, l'inaridirsi, il rinsecchir-si, l'ammuffire nello Spirito. Qual è la condizione perché questo non avvenga? La condizione è ricor-data senz'ombra di equivoci da Gesù: "Rimanete in me". Custodite l'innesto. Se non vado errato, per sette volte in questi otto versetti di Vangelo ritorna il verbo "rimanere": "Se rimanete", "se non rima-

nete", "chi rimane", "chi non rimane"… e così via, sette volte. Il verbo "rimanere" è un verbo caro a Giovanni. Perché? Perché è un verbo che dice in-timità. Che cosa significhi che tu rimanga nell'al-tro e che l'altro rimanga in te, forse ce lo possono raccontare solo coloro che fanno un'esperienza di amore: "Ora te ne vai, ma tu rimani in me". Che cosa significa allora rimanere in Gesù, rimanere nella vite? Significa che il suo mondo, il mondo di Gesù, è diventato il mio mondo, è l'aria che mi fa respirare, è la linfa che pulsa e genera sussulti di nascita, anche in questo ramo apparentemente secco, rinsecchito, che sono io. (...) Questo vuol dire rimanere in Gesù, rimanere nella vite. Custo-dire questo innesto dovrebbe essere la nostra cura: il nostro innesto e quello degli altri. Questo è il compito che ci attende nella vigna.

A volte invece sembra che la massima cura, la pre-occupazione più forte nella Chiesa sia quella di tagliare i rami secchi e di bruciarli. Posso sbagliar-mi, ma penso che non ci voglia una grande arte né una grande intelligenza per tagliare e per bruciare i rami secchi. L'arte e l'intelligenza dello Spirito stanno invece nel creare un innesto o nel custodirlo, nel fasciare, come diceva Gesù, il punto debole del-la vite. Anche la Chiesa delle origini stentava a cre-dere negli innesti nuovi, stentava a credere che Dio avesse fatto giungere la linfa luminosa a Paolo di Tarso. Sembra di sentirli: "Ma scherzi! Proprio lui? Ma guarda al suo passato e non essere ingenuo". E non si accorgono che a rinsecchirsi sono loro. E ci volle Barnaba, ci volle tutta la forza del suo animo a convincerli che Dio ha strade infinite e che anche la strada di Damasco può essere strada di cambia-mento. E che la finissero di guardare indietro, che aprissero gli occhi a contemplare ciò che ora stava germogliando. Barnaba, uomo della vigna, uomo degli innesti. E noi, nella comunità, non a custodire un museo, ma a coltivare un giardino!

Il testo è una sintesi dell'intervento pubblicato su Adista notizie n°46

La bellezza della vita è nel suo essere fragile,

timida, passeggera, mortale.

Foto di Paolo Dalle Nogare

Christian Bobin

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Foto di Piero Checcaglini

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Attendere, attendere e lavorarenella grande veglia della vita, dilatare giorno dopo giorno gli occhi del cuore e con umiltà intuire la salvezza che arriva da ogni dove.

Angelo Casati

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“La mia più grande fortuna è di avere vissuto l'in-fanzia in un mondo che non c’è più, e che viveva di valori rispettosi della persona e della natura. Un mondo che durava da settemila anni”. Chi parla è Gino Girolomoni, “padre” del biologico italiano, fondatore della Cooperativa Alce Nero.“Avevo sentito il grido di dolore della natura dovuto all’ingrato comportamento che gli uomini avevano nei suoi confronti: coltivazioni intensive, prodotti chimici sempre più usati, non rispetto dei ritmi na-turali per perseguire logiche di mercato redditizio; un disastro”.

Sin dall'inizio degli anni Settanta Gino dona nuova vita al monastero di Montebello, nell'altopiano delle Cesane, tra Pesaro e Urbino, e insieme alla moglie Tullia lo ristruttura, porta al colle i suoi animali mos-so dal desiderio di imparare a fare il contadino. “Mi sono stati necessari dieci anni per imparare il mestiere”, racconta Gino, che a questa terra continua a donare il suo amore incondizionato: “Montebello è divenuto l’angolo di mondo in cui sono venuto a vivere e dove ho fatto mettere le radici a tutte le cose che ritenevo utili alla mia visione del mondo. Questa visione è diventata un programma condiviso dalla mia compagna Tullia, poi dagli amici, dai soci,

dai miei figli e prevedeva di ricostruire un antico monastero e vivere di agricoltura. Agricoltura buona però, quella che non inquina i suoli, i cibi, le acque, l’aria. Nel corso degli anni abbiamo dato a questa agricoltura il nome di biologica, quello che la riguarda è un mondo benemerito, fatto di gente che crede ancora negli ideali, nell’onestà, nella pulizia, nel futuro”. Nel tempo viene costruita una stalla, un mulino, un pastificio e per ultimo un magazzino in legno con le tecniche della bioedilizia. Si alleva bestiame, si coltivano cereali soprattutto da decorticare oppure da trasformare in farina o pasta.Gino si è fatto custode di questo pezzo di terra, della sua gente mossa da valori puri, semplici, fatti di gesti. “La Cooperativa Alce Nero voleva essere la risposta alle domande che l’esodo dalle campagne aveva suscitato: se i nostri padri sono vissuti nelle montagne e nelle colline e nei posti più sperduti, senza strade, senza acqua in casa, senza energia elettrica, senza telefono, senza soldi, ora che dispo-niamo di tutte queste cose, possibile che non siamo capaci di ricavare un’economia, che consenta di vivere anche in quei due terzi del territorio italiano, che la cultura dominante prende in considerazione solo per il tempo libero?”

È il fondatore di Alce nero, cooperativa faro dell'agricoltura biologica italiana. È un uomo che dedica la sua vita a ripristinare un rapporto corretto, equilibrato, giusto tra la natura e chi la coltiva. L'incontro con Gino Girolomoni, il suo stile di vita, il suo pensiero.

“In ogni germoglio vedo il soffio di Dio”di Stefania Ermini

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La cooperativa invita gli agricoltori a restare nelle loro terre, a vivere del loro lavoro, ad abitare di nuovo case abbandonate. Quella campagna torna dunque a vivere e richiama l'incontro tra la terra e l'uomo che va fecondato, ascoltato, respirato.

Dopo trent'anni una buona parte della superficie agricola di quei luoghi viene coltivata col metodo dell’agricoltura biologica. Questo tipo di agricol-tura parte dai presupposti della qualità del prodotto e della salute dell'uomo e dell'ambiente. Il suolo, anziché supporto da sfruttare, viene considerato organismo vivente con bisogni da rispettare. L'agri-coltura biologica non nasce dal nulla. L'uomo colti-va mescolandosi alla terra fino a trovarci un suono, una melodia. Dona uno sguardo contemplativo alla vita, che spinge dal basso, dalle radici. Gino custodisce e coltiva questa terra. La coltiva e poi la custodisce ancora. Veglia. Attende sulla so-glia. Non invade, non si impone. Attende. Osserva la preghiera della terra: “E Dio disse: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E così avvenne e Dio vide che era cosa buona (Genesi 1,11)”. Nella nascita delle piante – sottolinea Gino - vedo veramente il soffio di Dio. Che poi negli animali (pensate agli uccelli) si rafforza e nella vita umana raggiunge addirittura una perfezione sublime, il contenitore della gioia, della felicità, della sapienza, della speranza e anche del dolore purtroppo, che però è stata la nostra estrema libertà a inserire nella storia del mondo perché “i suoi occhi sono troppo puri per vedere il male”. La vita umana che racchiude l’anima , lo scrigno pieno di onde che ci può por-tare verso Dio”.

Mi piace pensare a Gino e ai contadini che atten-dono la pioggia per la loro terra, attendono il vento per far viaggiare i semi, attendono il sole per far respirare e crescere. Gino attende sulla soglia in pe-nombra e con una mano leggera protegge, rispetta, invita e accoglie ogni tempo come una benedizione:

la pioggia, il sole, il ghiaccio, la neve…tutto è benedetto dal tempo e tutto serve. E così, questo custode della terra, racconta il flusso delle stagioni: “In primavera le piante ed i fiori sono impazienti di sbocciare. I germogli sono già nati in autunno, anzi sono i germogli che fanno cadere le foglie e questa scoperta l’ho fatta a quarant’anni, sorprendendomi non poco. Anche il germoglio degli alberi che sbocceranno in primavera, se scavate un poco tra cielo e terra, vedreste che è già pronto come per esplodere di vita e di forza. Provo sempre meraviglia nell’abbassarmi fino a terra e vedere la forza che esprimono un fiore, un’erba o una pianta che stanno per nascere. E sono convinto che anche i vegetali abbiano un’intelligenza, che vibrino di gioia e di paura. Anche l’acqua possiede questa memoria primordiale. Anche i muri di una casa fatta di legno o di terra cotta o di pietra”.La terra ha un segreto. Custodisce la vita, i suoi

movimenti. Ogni movimento di una zolla è un movimento di vita. Nei silenzi dell'inver-no, mentre la terra culla i suoi semi, la vita segue il suo corso e ci trasforma dal di dentro. In fondo Gino, con la sua scelta di custodire e rispetta-re la terra, ci racconta che i piccoli movimenti della terra sono segno di fedeltà alla vita. E la vita parte dalle radici. Potremmo scavare, cercare, seminare un nuovo sentire insieme alla terra, come lui e

i suoi compagni di viaggio fanno a Montebello. “I luoghi dello spirito” racconta ancora, “sono difficili da coltivare, non si sa mai cosa piantarci, quali concimazioni, quali trattamenti. Piante, erbe, fiori, alberi ci difendono dalle conseguenze della nostra stoltezza che ha privato il corpo della propria pelle”. Accettare i frutti della terra, non sfruttarla: questo è amore.Ed è con amore che Gino con la Cooperativa Alce Nero e la sua scelta di custodire le terre di Montebello, ci sta invitando ad essere consapevoli che l’agricoltura biologica e biodinamica sono la cura per le profonde ferite della campagna, che coltivare la terra avvicina la vita e che custodirla con i gesti la rende abitata, fedele.

“La vera forza vitale genera le gemme e dalle gemme il frutto.

Anche dal legno secco germogliano di nuovo le gemme. Tutte le

creature hanno qualcosa di visibile e qualcosa di invisibile in loro. Ciò

che vediamo è solo una debole ombra; molto più potente e vitale è

ciò che non si vede”. Ildegarda di Bingen

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di Luca Buccheri

Dieci anni fa nasceva la Fraternità della Visita-zione. Tornando ad allora, cosa è scattato den-tro di voi, per spingervi a iniziare?La necessità di incarnare il Vangelo, far sì che la nostra vita avesse il sapore delle parole di Gesù, e questo in un'esperienza di vita quotidiana (cosa che già da qualche anno avevamo vissuto come volontarie, durante gli anni della nostra formazio-ne); la necessità di vivere la consacrazione come condivisione totale della nostra vita con gli altri, cosa che poi si è espressa nell'accoglienza dei po-veri, visto che decidi di tenere la porta aperta.

Qual è il vostro modo specifico di accogliere, specie i poveri?Il desiderio di accoglienza fa parte del Dna di ogni persona, è un bisogno primario quello di ac-cogliere e di essere accolti. Per noi significa ac-cogliere chiunque varchi la nostra soglia. Anche tu in questo momento sei una persona accolta e ci stai accogliendo. Il desiderio è che l'accoglien-za non sia un valore astratto, ma concreto, e che

ognuno sentendosi accolto possa dare ad un'altra persona quello di cui ha bisogno.

C'è un brano in particolare della Bibbia o del Vangelo che vi ha ispirato e segnato?Si, il brano della Visitazione di Maria ad Elisa-betta (Lc 1,39-45), in cui due donne incinte si in-contrano, Maria incinta di Gesù ed Elisabetta di Giovanni Battista; quando ci è stato “consegna-to” questo brano (dal vescovo Giovannetti, che ha fondato la nostra Fraternità) abbiamo capito che Maria non custodisce Gesù tenendolo per sé, ma lo dona agli altri e per questo parte in fretta. Ma c'è anche un altro brano che ci è caro, quello di Abramo e delle sue mogli Sara e Agar, da cui nascono Isacco e Ismaele, due fratelli da cui di-scenderanno i cristiani e gli islamici. Per noi que-sto è molto importante perché è fondante dell'ac-cogliere il fatto che siamo tutti fratelli, diversi ma provenienti da una stessa origine e fonte. Allora ci si può parlare, si può condividere, si può ricer-care la verità insieme. Infatti qui in questa casa

Sulla sogliaTre suore speciali, una por-ta aperta, un sogno. Nasce così nel 2001 la Fraternità della Visitazione di Piandi-scò, in Valdarno (Ar). Un luogo di accoglienza semplice, pensato soprat-tutto per tutte le mamme e i bambini che non hanno un tetto, che hanno biso-gno di "casa". Un piccolo grande esempio della bel-lezza di una parola oggi caduta in disuso: donare. Nei giorni della festa per il loro decennale siamo andati a trovarle.

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ci sono più religioni presenti, islamica, cristiana, ortodossa e in questo momento c'è una ragazza buddista. La ricerca del bene profondo Dio l'ha messa in ogni uomo al di là del suo credo.

La casa come funziona? La casa può accogliere 20-25 donne (al momen-to siamo in 20), sono mamme in difficoltà con bambini. è un'accoglienza a “bassa soglia”, cioè con parametri di ingresso molto bassi, dove non esiste una retta. A volte sono i servizi sociali del territorio che ci mandano le persone (e assicura-no il mantenimento), altre volte no, ma noi non chiediamo niente. L'80% delle nostre risorse vie-ne dai privati che ci aiutano, poi dal 5 x 1000 e dal territorio. Abbiamo 20-30 volontari che gira-no fedelmente. Non ci sono operato-ri pagati, tutto si regge sulla responsabilità di ciascuna mamma che gestisce il suo pezzo di casa [mentre parliamo si sente un tonfo e rumore di stoviglie rotte prove-niente dalla cucina... le nostre amiche sorridono sconsolate]. Evidente-mente anche la responsabilità ha un prezzo...! Ma anche se si fa più fatica a gestire dando libertà e responsabilità è più bello perché ciascuno può mettere il suo pezzo di storia, così se cucina la ragazza camerunese è probabile mangiare pro-dotti di lì.

Parliamo di voi. Siamo in tre, consacrate, che hanno scelto di fare un cammino di comunità in stile di libertà e responsabilità. In questa casa strana dalle por-te aperte vogliamo accogliere tutto dell'altro, e innanzitutto di noi stesse, i valori, ma anche le fragilità. Suor Lucia lavora in fabbrica, in calza-turificio. Per scelta non abbiamo niente di nostro, non possediamo niente, ci affidiamo alla Prov-videnza.

Quali sono le vostre parole-chiave, per descri-vere la vostra fraternità ad uno che non ne ha mai sentito parlare?

“Tavola”, “porta aperta”, “caos”, “ricerca”. Paro-la d'ordine: “Sedia”, perché quando uno viene la prima cosa che gli viene detto è “accomodati!”; ma soprattutto “soglia”, perché - come nell'episo-dio di Abramo (Gen 18) - esprime l'attesa dell'in-contro. Da noi non ci sono citofoni: chi arriva entra, ci trova e ci incontra.

Stavo per fare la domanda su quale fosse la “fi-losofia” di accoglienza, quando si presenta alla porta una donna albanese, a chiedere un aiuto per il marito disoccupato. Lo stile lo imparo in presa diretta da questo dialogo semplice e fami-liare tra loro, che si conclude con la donna che sorride e confida: “Mi hanno detto che qui dalle suore si va sul sicuro...”.

Passo alla domanda successiva. Quali sogni avanti a voi, cosa c'è in cantiere?Siamo molto sognatrici... Il sogno più grande è che l'accoglienza diventi uno stile e una scelta di vita delle persone. Che questo posto sia solo un punto di partenza. Accogliere non

toglie, ma arricchisce, dà un senso in più al tuo lavoro. è bello che ci siano degli avvocati (ma potremmo aggiungere dei dentisti, dei liberi pro-fessionisti, ecc.) che hanno tra i loro assistiti dei poveri, chi non può permettersi di pagarli. C'è poi il progetto “Casa Abner”, cioè un amplia-mento della nostra struttura che ci permetterà di svolgere attività di laboratori e di maggiore accoglienza.

A proposito, in realtà nella vostra comunità femminile c'è un uomo...Si, è Abner, un ragazzo ritardato nordamericano di origine indiana Cheyenne che una notte si è presentato fradicio e febbricitante da noi e che abbiamo accolto e ospitato in una roulotte. Ora è tornato a comunicare e fa anche dei bellissimi quadri, è il nostro Ligabue!

I miracoli dell'accoglienza...Già...

è sempre un po’ così ogni volta che mi avvi-cino, lentamente, alla Pieve.Arrivando dalla Consuma, è bello imboccare l’ultimo tratto di strada e scendendo lasciare che ogni curva apra piccoli squarci di terra, lasciando sempre nascosta la Pieve, lascian-dotela solo sospirare. Finalmente eccola, an-cora umilmente nascosta dagli alberi, quasi a ricordare che è un tutt’uno con essi, con la storia di questa terra di passaggio. C’è movimento in questo giorno di festa, ma la sensazione è sempre quella: sentirsi a casa. Guardo, sbircio, entro in pieve, i primi sa-luti e poi Gigi. Questo ‘bello scarabocchio’ d’uomo che ‘carica’ con le sue parole inci-tanti chiunque gli passi accanto. Ci regalia-mo qualche minuto, per richiamare il futuro e renderlo amico, e poi via, incontro a questa ‘giornata speciale’, a questi 20 anni, freschi come l’atmosfera che gira attorno!è nel pomeriggio che la festa raggiunge il

suo apice con l’arrivo di don Luigi Ciotti. Uno di quei preti che ha fatto dell’uomo fe-rito e debole la sua unica missione: già 45 anni fa crea il Gruppo Abele per il recupero dei tossicodipendenti e poi Libera, l’associa-zione ormai presente in tutta Europa che si prefigge di combattere il potere mafioso. Il prezzo che Luigi paga è di vivere anch’esso ‘imprigionato’, scortato dai suoi angeli pro-tettori ogni giorno, ogni notte.Massimo lo accoglie come l’amico atteso e desiderato, come il compagno di viaggio che fin dagli inizi di Romena ha preso tutti per mano indicando mete vere. è per questo che ‘l’amico vero’ è sempre stato presente agli appuntamenti che hanno scandito la crescita della fraternità: 5 anni fa quando indicando un ramo di mandorlo invitava a dedicarsi ai germogli di vita, non a quelli di morte, 10 anni fa quando spronava a guardare avanti chiedendo a Dio di darci le sue pedate per

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Ritornare a Romena, assaporarne il clima, sentire l'energia che sprigiona l'incontro con don Luigi Ciotti. Un amico della Fraternità racconta la festa dei 20 anni della nostra Fraternità lo scorso 31 luglio. Una testimonianza personale che prova a sintonizzarsi sui pensieri di chi c’era e di chi, con questo racconto, proverà a immaginarsi presente.

di Giorgio Bonati

20 anni, diario di un giorno di festa

farci sempre più autentici e 20 anni fa, quan-do, agli albori della fraternità regalò una provocazione efficace : “Sogno - disse - che venga abolito il volontariato: la solidarietà, infatti, deve essere un dovere di tutti”.

“Sono felice di spendere la mia vita a salda-re la terra con il cielo” abbozza oggi quasi timidamente, iniziando il suo intervento.“Se non ora quando”, il tema scelto da Ro-mena per quest’anno, fa da premessa al suo dialogo: quante volte sono le parole a fare la differenza!“Questo tempo è nostro, non mio o tuo, no-stro! E che ci piaccia o no è questo, è l’oggi. È solo insieme che possiamo abitarlo, l’uno vicino all’altro, ognuno con le proprie re-sponsabilità”.Sembra che il discorso prenda binari ampi, si apra sul mondo, ma ecco l’inatteso. L’ini-zio di tutto può essere solo uno: “Il vero cambiamento, non dimentichiamolo, parte sempre da noi stessi. Se vuoi un cambiamen-to, inizia tu ad essere autentico e vivi questa novità dentro di te”. Tutto il resto viene dopo, non perché siamo il centro dell’universo, ma perché oggi più che mai è solo da uomini nuovi e interior-mente rinati che può nascere la fiducia, il coraggio, la concretezza.

Entrando al cuore delle tematiche, Ciotti si scalda e incalza. Lascia la calma iniziale al suo tempo e con parole fluenti, cariche di storia, quella della sua vita, giunge sempre più ai cuori e da lì partono frequenti battiti

di mani che accondiscendono, confermano, esaltano.

Don Luigi si introduce nel primo tema, La Fiducia, facendoci attenti all’altro, a chi fa più fatica, invitandoci a non accontentarci mai di vivere accanto, ma a condividere ciò che siamo e con responsabilità. Citando sant’Agostino ricorda che la speranza ha due figli: la rabbia e il coraggio. Una rabbia sana che si arrabbia solo dove c’è sopraffazione e un ‘cuore grande’, sempre più grande, che ci faccia graffiare la realtà per essere auten-tici. Quest’ultima parola non è solo detta, l’autenticità abita la vita di quest’uomo che non si è mai tirato indietro e che in fondo ha solo cercato di appiccicare le sue intuizioni alla vita. Ci fa tornare al cuore del discorso quando ricorda che solo guardandoci den-tro possiamo chiedere conto di ciò che c’è fuori: “Il vero coraggio abita in chi sa at-taccare le parole alla vita. E la vita ci affida un impegno: liberare la nostra libertà per liberare chi libero non è, perché la libertà è la massima espressione della dignità umana che Dio stesso ha voluto per tutti”.

è introducendosi al tema della Concretezza che don Luigi si sente a casa: la concretezza è il pane quotidiano del quale si è nutrito e che

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come il suo Maestro ha saputo moltiplicare per ogni uomo che a lui si è accostato. “Con-cretezza è mettersi in gioco, insieme, giovani ed adulti. È solo dove si fanno cose concrete che si può cambiare qualcosa: è il bene che ci guida e che deve vincere. Noi dobbiamo essere questo cambiamento!” Scrosciano ap-plausi a quest’uomo che sta mostrando una strada che ben conosce perché l’ha percorsa ‘concretamente’ ogni giorno della sua vita, facendo del Vangelo prima e della Costitu-zione Italiana poi i due riferimenti dai quali non ha mai voluto slegarsi. è a questo punto che emerge umilmente l’uomo di Dio, il pre-te che incarna gli insegnamenti del Cristo, che cerca di stargli dietro, anche quando la strada si fa dura, per salire sul Monte: è fa-tica, è sudore, ma poi quando arrivi in cima guardi lontano l’orizzonte e nel silenzio puoi

guardarti dentro, scendendo dentro di te per incontrare Dio, prima di scendere dal monte e incontrarlo in ogni uomo.“Un cristiano - dice - non può pensare che solo in termini umani ci possano essere cam-biamenti, che tutto si basi sulle nostre forze. Noi dobbiamo fare una società con Dio, nel-la quale, ricordiamocelo sempre, la maggio-ranza la mette Lui. Dio non ha mai abban-donato i suoi amici e oggi ci dia una bella pedata a tutti per continuare a vivere”.

Il popolo della Pieve si alza in piedi, tutto, anche quello che dentro non c’è potuto stare e le mani si uniscono all’unisono per ester-nare quell’emozione che solo certe parole sanno dare.

Ma volete sapere qual è la frase che mi por-terò dentro da queste due ore piene di vita con don Luigi? Ecco le parole: “Voi me lo insegnate…”. è l’intercalare che spesso ha

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ripetuto, quasi a voler ricordare la cosa più preziosa, la più bella: la grandezza di un uomo si vede nel suo sapersi chinare dinnan-zi ad ogni altro uomo.

è l’ora della messa e ci si ricompone quel poco che si riesce, dando voce alle preghiere dolci come il miele di Gigi e all’omelia di Ciotti che invita a non aver paura, a fidarsi di Dio e di quel poco che siamo noi, pochi pani e pesci, ma proprio di questi ha bisogno Gesù per sfamare il mondo intero. Già, chi l’avrebbe mai detto che Dio abbia bisogno ancor oggi di un semplice piccolo gesto gra-tuito, il mio, il tuo, per sfamare l’umanità.Ecco il segreto: il tutto è solo questo: ogni giorno qualche piccolo gesto d’amore… per saldare, sempre più, la terra al cielo.

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Abbiamo accolto, perché avevamo vicino al cuore la stessa ferita di chi passava,e non abbiamo avuto paura della confusione dei loro occhi.

Ci siamo fermati nei tanti crocevia furiosi del mondo dove s'invola il gemito degli uomini, facendo circolare l'amore che apprezza e profuma.

Abbiamo visto che non è il dolore che annulla la speranza, non è il morire, ma l'essere senza conforto.

Per Caino e Abele Dio varcò le nubi, noi abbiamo varcato la soglia provando a far brillare i poveri occhi di chi non può vivere senza amore.

La nostra debolezza è stata la nostra forza e quando i nostri occhi si chiudevano da qualche parte dentro di noi il roveto ardeva.

É la fame negli occhi che ci ha spinto fino a qua a non offendere la vita piccola dei piccoli e coltivare la speranza di una umanità più umana.

Che il tuo vento o Dio continui a spingere la nostra barca, non ci importa nulla della rotta se continueremo a sentire su di noi il tuo vento di vita.

Luigi Verdi

Preghiera dei 20 anni

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endicanti di luceM

NUOVA VEGLIA

SAN BENEDETTO DEL TRONTO 25 ottobre 2011Chiesa SS. Annunziata - Porto d’Ascoli ore 21,00PESARO 26 ottobre 2011Parrocchia Santo Stefano - Candelara ore 21,00S. ANGELO IN VADO 27 ottobre 2011Monastero Serve di Maria ore 21,00

È dall'abbaglio della resurrezione che quest'anno ci lasceremo indicare la strada

per dare sapore al vivere di ogni giorno.

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BIELLA 7 novembre 2011Santuario Madonna della Brughiera - Trivero ore 21,00

ALBA 8 novembre 2011Parrocchia Santa Margherita - v. S. Margherita ore 21,00

GENOVA 9 novembre 2011Nostra Signora Assunta di Rivarolo ore 21,00

CHIAVARI 10 novembre 2011Parrocchia San Giacomo di Rupinaro ore 21,00

TRIESTE 21 novembre 2011Parrocchia San Luca - via Forlanini,26 ore 21,00UDINE 22 novembre 2011Parrocchia San Marco - Viale Volontari della Libertà ore 21,00

PORDENONE 23 novembre 2011Parrocchia San Lorenzo - Rorai Grande ore 21,00

PADOVA 24 novembre 2011Parrocchia SS. Trinità - via Bernardi ore 21,00

PRATO 6 dicembre 2011Parr. San Bartolomeo - P.zza Mercatale ore 21,00

VALDARNO 7 dicembre 2011Pieve di Cascia - REGGELLO ore 21,00

FIRENZE 14 dicembre 2011Parrocchia dei Salesiani - via Gioberti ore 21,00

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ccvvv Agenda 2012

"Con il cuore curioso"OGNI GIORNO 2012

"Se il Signor Iddio ci avesse fatti proprio allo scopo di vederci agire proprio come lui vuole, non ci sa-rebbe stato scopo alla creazione. Egli ci fece, eppoi stette a guardarci con curiosità e mai con ira".

Italo Svevo

Accompagnare i nostri giorni con leggerezza e stupore, regalare una perla di saggezza ogni giorno.è questo il compito della nostra agenda ma anche di farci vivere la profondità del Vangelo con le parole di Ermes Ronchi e Angelo Casati.

ISBN 978-88-89669-43-3 € 14,00

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In libreria

ogni giorno 2012 è in libreria al prezzo di € 14,00(distribuita da Messaggero distribuzione)

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hi non festeggia il compleanno proprio o di qualche persona cara? E chi non ricorda la data del primo incontro con il

compagno di una vita, del proprio matrimonio o di qualche lutto che ha scavato nel cuore solchi di nostalgia? Certo, ci sono le date importanti, quelle segnate in modo indelebile sul calendario della memoria.Ma, a ben guardare, ce ne sono tante altre che andrebbero custodite e rievocate: nessun giorno è uguale a un altro e, se si allena lo sguardo, ci si accorge che c’è una Sapienza che guida il quotidiano e non lo abbandona all’insignificanza della ripetitività.Occorre solo imparare a sostare; è questo “ri-posare nel ricordo” che ci rende consapevoli di essere oggetto dell’attenzione di Qualcuno, non semplice frutto di un intreccio casuale gettato nel vortice dell’esistenza. Il nostro è un tempo abi-tato. Anche quando non tutto ci è chiaro, quando sembra che la monotonia ci avvolga come neb-bia d’autunno o che un turbine di circostanze contrarie ci sconquassi come un terremoto. Cu-stodire e raccontare, entrare nel “segreto della propria stanza” è educazione alla profondità e all’interiorità, alla capacità di “serbare le cose nel cuore meditandole”, unica via di salvezza dal-la banalità di uno srotolarsi convulso e insensato di giorni che si accavallano gli uni sugli altri. È all’interno di questi frammenti di solitudine che spesso capita di sorprendersi ad osservare e a valutare la nostra storia, le situazioni, le perso-ne, da un altro punto di vista. Alla luce di questo sguardo acquista nuova forza la speranza che nulla è perso o dimenticato o trascurato, non c’è lacrima che non possa esse-re tramutata in sorriso, non c’è peccato che non trovi l’accoglienza di un abbraccio misericordio-

so, non c’è tormento che non possa trovare una parola di conforto. In questa “narrazione” si fanno strada, dalla nebbia dei ricordi, i volti di persone che hanno tracciato con noi le nostre strade, che ci hanno aiutato a individuarle e spronato a percorrerle, che ci hanno sostenuto nel dubbio e hanno sa-puto entusiasmarsi dei nostri successi.Facciamo nuovamente esperienza delle nostre zone d’ombra, ci incontriamo ancora una volta con le tappe dolorose del nostro cammino, pe-riodi bui che sembravano chiuderci ogni altro orizzonte, situazioni che ci hanno ostacolato e ferito. Ma anche queste tappe è necessario ripercorrere con la memoria perché, seppure qualche turbamento possano ancora suscitarlo, da lontano ci porgono lo sguardo rasserenato della consapevolezza che anche il dolore e la paura, l’incertezza e lo smarrimento sono mat-toni necessari per la nostra casa, non pietre get-tate dal caso sulle fragili fondamenta del nostro costruire.E a volte si rimane lì, come Giona nel ventre del-la balena, con i dubbi, i timori e le inquietudini di ogni uomo, ma con quel barlume di luminosi-tà capace di aprire uno squarcio di sereno, dal quale affacciarsi sull’infinito.E da lì possiamo ricominciare a costruire e a so-gnare, qualunque sia la nostra età e qualunque sia la nostra storia. Perché costruire e sogna-re non sono retaggio della sola giovinezza, ma sostanza e speranza della vita. Coltivare sogni non è rincorrere illusioni, ma impegno concreto di chiunque sa che è importante non far manca-re acqua al proprio pozzo, perché questa stessa vita sia novità e dono fino all’ultimo dei nostri giorni.

GRAF

FITI

C

Gloria Casati

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o arato a lungo, con fatica e sofferenza, la mia povera terra…Sono arrivata a Romena in cerca di rari

semi di speranza: ho trovato, sorpresa, granaio colmo d’ogni provvida semente… Semplici, in tanti, mi han versato in grembo col-me misure di vita. Tornata nella ‘città eterna’, metafora di un quo-tidiano frenetico, divorante, quasi senza tempo né fine, acque travolgenti vorrebbero inondare il mio campo, ma un Vento sicuro ne respinge l’im-peto e m’induce a deporre, con umile impegno, quei semi preziosi, ricevuti in dono, nei solchi del cuore in attesa, rinfrancato e pronto, a custo-dirli in purezza e libertà, a coltivarli con sollecita obbedienza e paziente carità, perché possano, nel silenzio, germinare e dare frutto ed altri rice-vano, al bisogno, rinnovata semente…Alzando, allora, con gratitudine, le mani al cielo, prego: che ogni istante la nostra terra sia madre e il seme diventi cibo e Romena, ogni giorno, spalanchi il suo granaio ad ogni viandante, il po-vero riceva pane e il cuore dell’umile sia sazio di gioia, lo Spirito torni ancora a rinnovare la città degli uomini sino a renderla luminosa scaturigi-ne di pace…Che ognuno sia astro palpitante d’infinita bellez-za, scia incandescente verso il Sole per il nau-frago e la rondine, faro nella notte per lo smarrito, l’incerto, il disperso… vaso d’accogliente bene-volenza, stilla di balsamo che risana, parola che consola, incanto di misericordia… Sosterà beatamente il ‘prossimo’ assetato d’As-soluto per condividere ciò che è e possiede…

H ustodire e coltivare". Queste due parole mi hanno subito emozionato… ho rivi-sto con gli occhi della bambina che ero

l’orto della nonna, così ben custodito e coltivato pur nella sua assoluta semplicità. Gli spazi divisi con semplicità da piccoli rami allineati, i fiori che si mescolavano colorati alle verdure, la grazia con cui l’insalata veniva bagnata con le mani per non essere rovinata e tagliata quasi foglia per fo-glia… Quanta pazienza, quanta attenzione per far crescere quello che la natura donava nelle giuste stagioni…Mi viene spontaneo allora pensare all’orto del-la mia vita, alle relazioni che ho e mi chiedo se gli assomiglia in qualche modo…Ho degli spazi ben delineati, ma che si possono facilmente at-traversare? So essere delicata e paziente? So accettare che in mezzo alle cose della mia vita a volte appaia come un fiore qualcosa che non ho seminato ma mi è stato donato da Dio?Non ho delle vere risposte a queste mie doman-de ma ho davanti agli occhi le persone che amo, la vita che mi è stata data da "custodire e colti-vare" e tanto basta!

oglio partire dal significato etimologi-co della parola Custodire: conservare con cura. Il Conservare con cura non

è una azione banale e si offre ad un ventaglio di possibilità. Si custodiscono beni materiali come qualcosa di più profondo, magari ottenuto con sacrificio e pazienza! Io mi sono resa conto di

C. F. Sinopoli

"C

Luisa

V

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PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Dicembre approfondirà il tema:

“La crisi è opportunità”.Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 30 novembre), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected]

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custodire un sacco di pensieri più che di cose, che proprio come oggetti preziosi fino adesso non ho mai granché elargito agli altri…ecco che l’esperienza di Romena, invece, ha trovato la chiave universale perché questi pensieri a volte ben troppo “custoditi” si rispolverino in un atto di confronto (…)Per custodire i miei pensieri devo condividerli, interagirci con il mondo, una sorta di “rodaggio” indispensabile perché non rimangano pensieri, ma si trasformino in azioni. Ed ecco che si arriva alla seconda parola della riflessione: coltivare! Mi viene in mente mio zio e mio nonno, conta-dini, con la pelle segnata dal sole e le spalle ri-curve, con l’odore di fieno e sudore sulla pelle. Coltivare è fatica… implica un’azione di volontà e una dinamicità essenziale, perché non vanno sprecate energie. Ma com’è che si coltiva un pensiero che si conserva con cura? Il nonno sarebbe stato bravo a raccontarmi di come si coltiva il granturco, ma... mi è utile ugualmente il suo operato: dedizione, costanza, passione, includendo in questo ultimo termine la duplicità della parola passione: passione come spinta di entusiasmo nel fare qualcosa e passione come sacrificio. Penso così ai pensieri che custodisco e coltivo: tanti semplici meccanismi in movimen-to. Tanto vento. Volano via gli atomi superflui e si svuotano le forme lasciando così vedere ciò che conta davvero. Si dilatano i colori ardenti e si placano le attese per ciò che dovrebbe essere nell’attesa di ciò che è già. Di tutte le spine su cui ancora inciampo e quando cerco risposte senza domande...Passioni, pensieri, parole per tutta la luce di un giorno, avverbi d'un quadro che sto già dise-gnando mentre scrivo qui.

uando sento la parola "coltivare", oltre che, ovviamente, all'orto, penso subi-to all'amicizia. Dalle mie parti si dice-

va, quando ancora usavano i proverbi, "perché l'amicizia tenga un panierino vada e uno venga", cioè in un incessante dare e ricevere. È la co-stanza e la reciprocità il segreto di un affetto che dura e si accresce nel tempo. In questo senso la cura è la stessa che richiede la terra: l'attenzione continua nel preparare l'ambiente, nel seminare al momento giusto e nella giusta quantità, nelle annaffiature adeguate, nel togliere le erbacce... Il cuore custodisce l'amore per l'altra persona

come la terra il seme, come si fa con tutto ciò che ha valore. Alimentare e veder crescere e trasformarsi quel seme dà il suo frutto nell'appa-gamento e nella gratitudine di aver condiviso, in un continuo scambio, un tratto più o meno lungo di vita.

Marina Pippi

Simonetta Simonetti

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Foto di Piero Checcaglini

I l desiderio è il primo impulso per conoscere e capire, è la radice di una pianta delicata, che se sai coltivare ti tiene in vita.

Giorgio Gaber