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5033 MAS/Linee Guida MINERVA ANESTESIOL 2006;72:000-000 Le cure di fine vita e l’Anestesista-Rianimatore: Raccomandazioni SIAARTI per l’approccio al malato morente SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA Introduzione V iviamo in una società dominata dal ‘fare’ sorretto dalla disponibilità tecnologica, in cui gli operatori sanitari vengono formati ad un agire ad oltranza; questa società tende a negare la morte, delegando alla medicina la gestione della fase finale della vita. Tutto ciò ha inevitabili ricadute sulla cura del malato morente*. La scelta di passare da un approccio mira- to alla guarigione di una malattia o alla riso- luzione di un evento acuto ad uno di tipo palliativo, tendente cioè al trattamento sin- tomatico e alla qualità della vita residua, rap- presenta una delle decisioni più complesse da assumere e condividere per qualsiasi medi- co 1, 2 . L’identificazione delle condizioni cliniche che possono comportare l’onere di una simi- le decisione è oggi sufficientemente accura- ta grazie a metodologie diagnostiche di sen- sibilità e specificità accettabili. Si tratta, in prevalenza, di insufficienze cro- nico-degenerative (neurologiche, cardio- respiratorie o metaboliche) spesso coesistenti, di malattie neoplastiche giunte allo stadio ultimo dopo decorsi prolungati, ma anche di condizioni conseguenti all’applicazione di trattamenti salvavita sproporzionati per ecces- so, specie se attuati in condizioni di irrecu- perabilità dello stato di coscienza per danni cerebrali irreversibili. Tutte queste condizioni spesso sfuggono al tradizionale paradigma malattia - diagnosi - terapia - stabilizzazione/guarigione per col- locarsi nell’ambito del processo biologico del morire. In questi casi, il curante non si trova più davanti a persone malate - concetto che sot- tende implicitamente la concreta probabilità di essere in grado di prolungare la vita con una qualità giudicata accettabile dal malato stesso - ma a persone morenti: ad esseri uma- ni che stanno concludendo in modo inelut- tabile il loro ciclo vitale, che meritano comun- que un’attenzione ai loro bisogni ed un’assi- stenza sanitaria mirata ad alleviare le soffe- renze, garantendo sino alla fine una digni- tosa qualità sia della vita residua sia della morte **. L’intervento dell’Anestesista-Rianimatore (AR) viene spesso richiesto al di fuori della terapia intensiva (TI) nei reparti di degenza ordinaria medica o chirurgica (RDO) o in Pronto Soccorso (PS) con la finalità di contri- buire alla decisione sul grado di intensità di cure più appropriato, sia nel caso di persone affette da stati avanzati di patologie cronico- degenerative o neoplastiche 3 , sia in presenza di patologie acute a prognosi infausta certa. Vol. 72, N. MINERVA ANESTESIOLOGICA 1 *) Per quanto attiene all’uso dei termini ‘malato moren- te’ o ‘al termine della vita’ vedi CRITICITA’ pag. 30. **) Morte dignitosa (con il minor grado di sofferenza ed in accordo con i desideri ultimi del malato). Raccoman- dazioni SIAARTI 9 .

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5033 MAS/Linee Guida MINERVA ANESTESIOL 2006;72:000-000

Le cure di fine vita e l’Anestesista-Rianimatore:Raccomandazioni SIAARTI

per l’approccio al malato morente

SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

Introduzione

Viviamo in una società dominata dal ‘fare’sorretto dalla disponibilità tecnologica, in

cui gli operatori sanitari vengono formati adun agire ad oltranza; questa società tende anegare la morte, delegando alla medicina lagestione della fase finale della vita.

Tutto ciò ha inevitabili ricadute sulla curadel malato morente*.

La scelta di passare da un approccio mira-to alla guarigione di una malattia o alla riso-luzione di un evento acuto ad uno di tipopalliativo, tendente cioè al trattamento sin-tomatico e alla qualità della vita residua, rap-presenta una delle decisioni più complesse daassumere e condividere per qualsiasi medi-co 1, 2.

L’identificazione delle condizioni clinicheche possono comportare l’onere di una simi-le decisione è oggi sufficientemente accura-ta grazie a metodologie diagnostiche di sen-sibilità e specificità accettabili.

Si tratta, in prevalenza, di insufficienze cro-nico-degenerative (neurologiche, cardio-respiratorie o metaboliche) spesso coesistenti,di malattie neoplastiche giunte allo stadioultimo dopo decorsi prolungati, ma anchedi condizioni conseguenti all’applicazione ditrattamenti salvavita sproporzionati per ecces-so, specie se attuati in condizioni di irrecu-

perabilità dello stato di coscienza per dannicerebrali irreversibili.

Tutte queste condizioni spesso sfuggono altradizionale paradigma malattia - diagnosi -terapia - stabilizzazione/guarigione per col-locarsi nell’ambito del processo biologico delmorire.

In questi casi, il curante non si trova piùdavanti a persone malate - concetto che sot-tende implicitamente la concreta probabilitàdi essere in grado di prolungare la vita conuna qualità giudicata accettabile dal malatostesso - ma a persone morenti: ad esseri uma-ni che stanno concludendo in modo inelut-tabile il loro ciclo vitale, che meritano comun-que un’attenzione ai loro bisogni ed un’assi-stenza sanitaria mirata ad alleviare le soffe-renze, garantendo sino alla fine una digni-tosa qualità sia della vita residua sia dellamorte **.

L’intervento dell’Anestesista-Rianimatore(AR) viene spesso richiesto al di fuori dellaterapia intensiva (TI) nei reparti di degenzaordinaria medica o chirurgica (RDO) o inPronto Soccorso (PS) con la finalità di contri-buire alla decisione sul grado di intensità dicure più appropriato, sia nel caso di personeaffette da stati avanzati di patologie cronico-degenerative o neoplastiche 3, sia in presenzadi patologie acute a prognosi infausta certa.

Vol. 72, N. MINERVA ANESTESIOLOGICA 1

*) Per quanto attiene all’uso dei termini ‘malato moren-te’ o ‘al termine della vita’ vedi CRITICITA’ pag. 30.

**) Morte dignitosa (con il minor grado di sofferenza edin accordo con i desideri ultimi del malato). Raccoman-dazioni SIAARTI 9.

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SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA

All’AR viene così demandata la difficileresponsabilità di riaffermare - in un conte-sto socio-culturale che tende a negarla - larealtà della morte come esperienza inelutta-bile e parte integrante della vita.

Per contro, la crescente disponibilità e l’a-dozione routinaria dei supporti vitali hannofatto sì che l’erogazione delle cure intensivesia attualmente interpretata da alcuni Colleghidi altre discipline come un’opzione terapeu-tica ‘automatica’, soprattutto in quei contestiove prevale una logica difensivistica che ritie-ne più tutelante per il medico agire comun-que, anche praticando un approccio chiara-mente sproporzionato, piuttosto che accettarel’ineluttabilità della morte.

Per molti medici la conseguenza di questoatteggiamento è stata la percezione, consoli-datasi nel tempo e nell’esperienza, che lamorte del malato non fosse tanto l’inevitabi-le conclusione di un percorso biologico,quanto un risultato strettamente dipendenteda una azione (sospensione di un trattamentovitale) o da una non-azione (non erogazionedi un trattamento vitale) e quindi un eventocorrelabile ad una responsabilità diretta, ren-dendo così l’AR riluttante all’ipotesi di limitarel’accesso alle cure intensive 4.

Altre ragioni, esposte di seguito, hannocontribuito a rinforzare questa situazione.

— L’impossibilità del malato ad esercitareil proprio diritto di rifiutare o accettare i trat-tamenti intensivi per compromissione dellacapacità di comprendere ed esprimere unparere ha indotto una ingiustificata sovrasti-ma del potere dei familiari † di prendere deci-sioni a suo nome 5.

— L’impreparazione dei medici a comuni-care adeguatamente con i malati e le famigliecirca le decisioni di fine vita 6.

— L’espansione dei mezzi terapeutici e disupporto disponibili, favorita anche da pres-sioni esercitate dall’industria farmaceutica emedicale.

— La forte attenzione della cultura preva-lente riguardo alla materialità della vita e laconseguente inaccettabilità della morte, chespesso innescano insanabili conflitti tra aspet-

tative del malato e della sua famiglia da unlato e reali possibilità di guarirlo dall’altro 7.

— La spettacolarizzazione mediatica dellamedicina critica che ha favorito la diffusionedi una cognizione non realistica riguardo agliesiti dei trattamenti 8.

— La spirale inarrestabile dei costi che gliospedali sono oggi tenuti a controllare stret-tamente, e la diretta responsabilizzazione deimedici nella gestione amministrativa deireparti, con il conseguente dubbio - peral-tro infondato - che la decisione di limitare lecure intensive possa essere influenzata daconvenienze economiche.

L’ipotesi di limitare le cure intensive in PSo nei RDO è resa ancora più complessarispetto a quanto accade in TI da una serie dicircostanze oggettive:

— contatto troppo breve con il malato econ i suoi familiari per creare la confidenzae la fiducia necessarie ad affrontare il temadella sopravvivenza e della morte;

— assenza di spazi protetti e dedicati;— presenza incostante di un medico di

riferimento con funzioni di supporto specifi-co e di raccordo;

— assenza di personale qualificato allagestione del lutto;

— difficoltà di approccio in équipe ai mala-ti e conseguente rara condivisione della deci-sione di limitare le cure intensive, propo-nendola in forma collegiale e ufficiale;

— prevalenza di valutazioni soggettive espesso contraddittorie in merito alla defini-zione di futilità ‡ dei trattamenti.

In questo senso, l’assunzione di respon-sabilità a limitare l’accesso ai trattamentiaggressivi ed invasivi nei confronti dei mala-ti in PS o degenti nei RDO e la conseguentegestione della fase finale della vita, della mor-te e del lutto, sono atti che ancora oggi soloAR esperti ed eticamente motivati possonoaffrontare in modo adeguato quando chia-mati a rivestire il ruolo di consulenti.

In un simile contesto operativo, assumerela decisione di limitare le cure intensive rima-

2 MINERVA ANESTESIOLOGICA Mese 2006

†) Per quanto attiene all’uso del termine ‘familiari’ vediCRITICITÀ pag. 30.

‡) Si considerano futili tutti i trattamenti che non pos-siedono la capacità di raggiungere l’obiettivo benefico percui vengono posti in essere 4.

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

ne appannaggio della valutazione di singolimedici.

È pertanto sempre più urgente, soprattut-to quando l’AR è coinvolto nella decisione dilimitare i trattamenti intensivi al di fuori del-la TI, poter disporre di modelli di riferimen-to culturali e strumenti operativi condivisiche ci permettano di riconoscere la peculia-re condizione della persona morente, di assu-mere in tale contesto una decisione ‘giusta’,valorizzando le istanze etiche in gioco e pra-ticando un approccio terapeutico orientatoal trattamento dei sintomi ed alla qualità del-la vita residua.

Le ragioni per una limitazione dei tratta-menti intensivi sono di tre ordini:

— impossibilità del trattamento a perse-guire l’obiettivo per cui è attuato;

— constatazione del fallimento di un trat-tamento dopo un periodo di prova per veri-ficarne l’efficacia;

— rifiuto da parte del malato cosciente diun determinato trattamento o rispetto didichiarazioni anticipate §.

Le ‘Raccomandazioni SIAARTI per l’am-missione e la dimissione dalla TI e per lalimitazione dei trattamenti in TI’ forniscono ilriferimento per orientare decisioni riguardo atale tematica 9.

Esse affermano che quando vi sia eviden-za che l’approccio intensivo non prolungala vita bensì procrastina un processo di mor-te ormai irreversibile, ad esso debba esserpreferito l’approccio palliativo.

Quest’ultimo, comunque sempre presentenella cura del malato, diventa preponderan-te nella fase di abbandono dell’invasività edell’intensività in quanto clinicamente ed eti-camente più appropriato 10.

I trattamenti palliativi non vanno intesiinfatti come alternativi ai trattamenti intensi-vi - dunque erogabili soltanto quando simatura il convincimento che il malato è altermine della vita - ma come presa in caricoglobale del malato critico che si sostanzia nelcontrollo del dolore e degli altri sintomi, del-l’attenzione agli aspetti umani, psicologici esociali della malattia, del rapporto con i fami-

liari, del supporto psicologico e spirituale,dell’eventuale successiva gestione del lutto.

Pertanto, nel percorso clinico-assistenzia-le in area critica (PS e TI), le cure palliativeiniziano fin dal primo approccio al malatocontestualmente alle cure intensive, per svi-lupparsi ed acquistare un peso sempre mag-giore rispetto a queste ultime a mano a manoche si constati il progressivo peggioramentodella qualità della vita prognosticata in fun-zione dell’irreversibilità e gravità della malat-tia.

Il processo evolutivo che sintetizza rap-porti temporali e modalità attuative dei duetipi di trattamento è schematizzato nellaFigura 1 11.

In questo ambito rientra anche il caso, sem-pre più frequente, di malati molto anziani lacui aspettativa di vita, già compromessa perla presenza di molteplici malattie coesisten-ti, è ulteriormente ridotta a causa di patolo-gie chirurgiche acute intercorrenti, per le qua-li vengono proposti interventi in urgenza adaltissimo rischio, che comportano un ulte-riore prevedibile peggioramento della qualitàdella vita residua.

In tali circostanze, l’incompleta informa-zione del malato sulla realtà delle sue con-dizioni, un approccio talora aprioristicamen-te interventista da parte del chirurgo e il timo-re di contenziosi legali, impediscono unaserena discussione collegiale del caso chepermetta di prendere in considerazioneopzioni terapeutiche di tipo palliativo orien-tando verso un eventuale approccio chirur-gico alla patologia emergente teso alla riso-luzione del sintomo piuttosto che alla guari-gione e favorendo una decisione unanimedell’équipe curante nell’interesse del mala-to, nel pieno rispetto dei differenti ruoli, del-le autonomie professionali, delle responsa-bilità correlate.

In conclusione, non si tratta di sospende-re la cura e di abbandonare il malato, ma diaccompagnare un morente garantendone finoall’ultimo la qualità della vita: il principio dialleviare le sofferenze deve prevalere su quel-lo di prolungare la sopravvivenza.

Appare quindi evidente che la limitazionedei trattamenti intensivi non si configura nécome atto eutanasico né come abbandono

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§) Per quanto attiene alle ‘dichiarazioni anticipate’ vediin CRITICITÀ pag. 30-31.

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SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA

del malato, bensì come appropriata espres-sione di una cura attenta ai suoi bisogni, ispi-rata ai principi bioetici di autonomia, bene-ficenza, non-maleficenza.

A tale proposito, le ‘RaccomandazioniSIAARTI per l’ammissione e la dimissionedalla TI e per la limitazione dei trattamenti inTI’ 9 affermano che la limitazione di provve-dimenti terapeutici che abbiano come unicaconseguenza il prolungamento della soprav-vivenza del malato giunto al termine dellavita è lecita e doverosa da un punto di vistasia etico sia deontologico.

Obiettivi del documento

Il primo obiettivo di questo documento,che trae fondamento concettuale dalle giàcitate Raccomandazioni SIAARTI 9, è quellodi fornire all’A.R. dei suggerimenti operativiin merito alla gestione di alcune problemati-che di riscontro frequente nel malato moren-

te, sia quando esse si presentino in TI siaquando egli venga coinvolto nella decisionein qualità di consulente (PS, RDO).

Il secondo obiettivo è quello di fornirealcune raccomandazioni conclusive per orien-tare i processi decisionali di fine vita, la cuiassunzione dovrà necessariamente tenereconto dei vincoli e delle opportunità presentinei singoli contesti professionali ed organiz-zativi.

Tuttavia, indipendentemente dalle carat-teristiche di ogni singola realtà operativa, sifarà qui riferimento ai seguenti possibili sce-nari:

1) Malato in TI che non risponde o peg-giora pur sottoposto a terapia massimale pro-lungata.

2) Malato acuto che giunge in PS o chepeggiora in RDO per il quale l’AR, chiamatoa consulto, matura il convincimento disospendere/non erogare le cure intensive.

3) Malato definito al termine della vita già

4 MINERVA ANESTESIOLOGICA Mese 2006

Cure intensive

Cure palliative

Diagnosi Pianificazionedell’asistenza al

termine della vita

Morte

Commiato

Rischio Malattia Irreversibilità Lutto

Malato

Familiari

Programmi di cura intensiva

Programmi di cura palliativa

Programmidi cura al

termine dellavita

Figura 1. — Le cure palliative attraverso il rischio, la malattia, il lutto.

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

dai Colleghi che lo hanno in cura, con fun-zioni vitali ancora autonome seppure preca-rie, per il quale l’AR è chiamato a consulto perdecidere un trattamento palliativo.

In questo modo il documento può risulta-re utile, indipendentemente dalle diversitàoperative di ogni singola realtà, per pianifi-care in anticipo l’approccio ed il tipo di curache l’équipe ritiene possa essere offerto ad unmalato al termine della vita, in modo dapoterlo poi proporre in modo chiaro, coe-rente e dettagliato al malato stesso e ai suoifamiliari.

Esso può inoltre rappresentare un momen-to di riflessione interna a ciascun ospedale(Comitato Etico, Comitato pazienti e familia-ri, Ufficio Qualità) per costruire un progettointerdisciplinare condiviso finalizzato allagestione del malato al termine della vita.

Metodologia

Numerose società scientifiche hanno pro-dotto raccomandazioni destinate a migliora-re i processi decisionali di fine vita in TI 12-15.

La peculiarità della materia in cui si intrec-ciano aspetti filosofici, deontologici, giuridi-ci, psicologici, clinici, fa sì che la forza delleraccomandazioni su questo tema possa esse-re sostenuta solo in minima parte da prove dievidenza scientifica scaturite da trials clinici,e che essa risulti soprattutto da un’accuratalettura dello sfondo di riferimento e da unacontestualizzazione nello scenario culturale escientifico di ciascun paese.

Le raccomandazioni conclusive del pre-sente documento rappresentano il minimocomune denominatore condiviso dal Gruppodi Lavoro che ha contribuito alla sua stesura.

La loro forza, che per i motivi sopra espo-sti non è possibile graduare sulla base dilivelli di prova, deriva dal metodo di lavoroseguito nella stesura del documento e delleraccomandazioni stesse.

Tale metodo è consistito in:1) Definizione degli scopi del lavoro ed

analisi della letteratura riportata in bibliogra-fia da parte di un Gruppo di Studio ad hoccomprendente quattro Anestesisti-Rianimatori,

un Filosofo Bioeticista e uno PsicologoClinico.

2) Invio di una bozza agli stessi trenta revi-sori delle ‘Raccomandazioni’ del 2003 9, cuisono stati aggiunti altri nove revisori, chenell’ultimo triennio sono entrati in contattocon la Commissione di Bioetica della SIAAR-TI.

3) Raccolta e discussione dei commentidei revisori ed inserimento dei loro contri-buti nel documento.

4) Organizzazione del documento in: par-te introduttiva, aspetti clinici, aspetti bioetici,raccomandazioni conclusive.

5) Reinvio del documento ai revisori pervalutazione finale.

6) Trasmissione del documento al ComitatoDirettivo della SIAARTI per approvazione epubblicazione sulla rivista della Società.

La composizione del gruppo dei revisori èstata contraddistinta sia da una multidiscipli-narietà professionale**, sia da una pluralità diriferimenti culturali e morali, ed è di granderilevanza che nel documento tali approcci sisiano temperati fino ad una piena condivi-sione sia dei criteri ispiratori, sia dei percor-si suggeriti.

Informazione e comunicazione

La qualità della relazione e della comuni-cazione è una componente essenziale dellacura.

Numerosi studi identificano nella cattivacomunicazione il principale motivo di insod-disfazione dei familiari dei ricoverati in TI 16-

19. Una comunicazione efficace, veicolando

le informazioni necessarie a rendere consa-pevole il malato dei benefici attesi di un trat-tamento, dei suoi rischi, delle opzioni alter-native e dei rischi connessi all’assenza di trat-tamento, ha lo scopo di favorire l’adattamentodel malato e della famiglia alla malattia e allecure.

Nel caso di malati incapaci di comprende-re e di esprimere un parere, la comunicazio-

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**) vedi composizione Gruppo dei Revisori in AppendiceII pag. 35.

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SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA

ne con i familiari non deve limitarsi ad infor-mare sugli aspetti sanitari, ma deve ancheottenere informazioni rispetto a come il mala-to percepisca la propria condizione, qualisiano le sue aspettative e le conseguenze perlui desiderabili/accettabili o inaccetabili/intol-lerabili rispetto all’esito della propria malat-tia.

È importante chiedere ai familiari se il mala-to non abbia mai espresso in precedenzaalcuna volontà in merito alla condizione in cuisi trova o al piano di cure proposto, in mododa garantire il rispetto della volontà dell’in-teressato e favorire così l’affermazione delprincipio di autonomia anche dopo la perditadella capacità.

Una buona comunicazione rappresentaanche un’efficace prevenzione dei conten-ziosi assicurativi e giuridici che spesso sor-gono dalla scarsa qualità della relazione edalla cattiva comprensione delle informazio-ni fornite.

I cardini di una buona comunicazionesono:

— Veridicità: nel descrivere ai familiari lacondizione di un malato con scarse proba-bilità di sopravvivenza, bisogna evitare diusare eufemismi o aggettivi che non tra-smettono la reale gravità della situazione (adesempio: "stabile" o "critico"); in questi casi,è più opportuno esprimere la propria preoc-cupazione per l’assenza di segni di migliora-mento, per una scarsa o assente risposta allecure, ammettendo che ci sono poche proba-bilità di salvare la vita, accettando che, conquesto messaggio, si attivi nei familiari ognipossibile reazione emotiva; tali emozioni van-no prese in carico nella relazione.

— Coerenza: è indispensabile concordareil tipo di assistenza migliore per il malatosuperando eventuali conflitti tra curanti;l’informazione fornita dai vari membri del-l’équipe curante deve essere sostanzialmen-te omogenea e coerente: la disomogeneitàdell’informazione è una frequente causa difraintendimenti e può alimentare conflitti.L’assegnazione ad un singolo medico delcompito di tenere i colloqui giornalieri con ifamiliari può ridurre questo rischio; vacomunque ricordato che il malato ed i fami-liari si relazionano con tutti i membri dell’é-

quipe che, pertanto, deve essere nella suainterezza a conoscenza delle finalità del pia-no di cure e del grado di consapevolezza delmalato e dei familiari riguardo ad esso.

— Gradualità: l’informazione non è un attopuntuale ma un processo che si realizza neltempo, seguendo l’evoluzione del quadroclinico, e che si concretizza nell’adattamen-to alla malattia, nel consenso alle cure e nel-la condivisione del programma prospettato inun contesto di fiducia; per questo è neces-sario gradualizzare le informazioni fornitedecodificando il bisogno di informazione delmalato e dei suoi familiari in quel determinatomomento, per affrontare quella determinatafase della malattia senza che questo com-porti la rinuncia al mandato fondamentaledel dire la verità.

— Dare informazioni: l’informazione ha loscopo di fornire in modo comprensibile lenotizie circa la malattia, le possibili opzioni dicura e condividere con il malato ed i suoifamiliari le finalità del piano di cure proposto.

— Ottenere informazioni: l’informazioneha anche lo scopo di raccogliere indicazionisu come il malato affronta il proprio stato,su quali siano le sue aspettative rispetto allamalattia e alle cure; a tal fine è utile il coin-volgimento dei familiari nel processo infor-mativo e decisionale, in misura variabile aseconda del grado di capacità del malato.

— Dimostrare partecipazione: è opportu-no fornire un’informazione che non sia néasettica (con totale esclusione dello scambioemotivo) né, al contrario, troppo condizionatadall’emotività; l’espressione di una parteci-pazione umana ed emozionale va modulatacaso per caso, ma è indispensabile per sta-bilire una relazione terapeutica efficace e for-nire supporto emotivo. I familiari vanno inco-raggiati ad esprimere le loro preoccupazionied aiutati, ove possibile, a risolvere problemipratici.

— Rendere possibile l’espressione dell’e-motività: il diritto del malato ad essere infor-mato va bilanciato con il rispetto della diffi-coltà di accettare informazioni dolorose; l’e-spressione dell’emotività conseguenteall’informazione fornita è un utile indicatoredella capacità del malato e dei familiari di

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gestire ciò che stanno affrontando o hannoappreso, sulla base del quale il medico gra-dualizzerà le informazioni ulteriori.

— Prevenire i conflitti: la mancata com-prensione di quanto comunicato può mina-re la condivisione del piano di cure propostoe generare conflitti fra équipe curante, mala-to e familiari; questi conflitti vanno preve-nuti attraverso la verifica costante del gradodi comprensione delle informazioni fornite,talvolta individuando il membro della fami-glia che possa aiutare gli altri familiari nellacomprensione, considerando sempre, concautela, l’opportunità del ricorso ad un faci-litatore esterno (medico di base, assistentespirituale, etc.) e ricercando la massima con-divisione specie nel caso di decisioni di tra-sferimento ad altri reparti o di limitazione dicure intensive.

— Ricorrere ad ausili alla comunicazione:il ricorso a strumenti come opuscoli e videoche illustrino le attività della TI e i principa-li problemi dei ricoverati può essere utile perfornire informazioni standardizzate sulla TI eper favorire domande. Tali strumenti però,non sostituiscono la relazione fra l’équipecurante, i malati e i familiari; essa si costrui-sce nel tempo e richiede una competenzacomunicativa che va sviluppata con percor-si formativi tesi ad acquisire la capacità diascoltare, di fare domande appropriate, diaccettare le risposte fornite, di interpretarecorrettamente e usare efficacemente la comu-nicazione non verbale, di sviluppare la capa-cità empatica.

La comunicazione è uno scambio che miraalla condivisione di contenuti cognitivi edemotivi, funzionale a realizzare l’accompa-gnamento del malato e dei familiari nellavicenda della malattia, operando le sceltemigliori nell’interesse del malato, nel rispet-to delle sue volontà e tenendo sempre pre-sente che la morte dipende solo da una malat-tia inguaribile, non dai desideri del medico edella famiglia.

Comunicare cattive notizie

L’ AR è spesso coinvolto nel trattamento dimalati con prognosi infausta.

Per questo motivo, la capacità di comuni-care notizie negative, inclusa la morte delmalato, costituisce per l’AR un importanterequisito professionale 20.

In particolare, qualora l’AR, consulente inPS o in RDO, preso atto delle condizioni delmalato, decida per la limitazione delle cureintensive, dovrà spiegare personalmente almalato e/o ai suoi familiari le motivazionidella sua scelta senza delegare ad altri talecompito.

Il seguente schema è un utile strumentoper comunicare in modo efficace le cattivenotizie al malato e/o ai suoi familiari in TI, inPS, nei RDO 21.

Esso consta dei seguenti punti:1) Preparare il dialogo.2) Verificare il grado di informazione del

malato e dei familiari.3) Verificare quanto e cosa vogliono sape-

re il malato e i familiari. 4) Fornire l’informazione, contenere e gesti-

re le emozioni.5) Pianificare le fasi successive.

Preparare il dialogo

— Accertare l’identità del malato ed indi-viduare le sue persone di riferimento;

— rileggere attentamente la documenta-zione clinica e prendere confidenza con glieventi e i dati principali della malattia (evo-luzione e momenti decisionali più impor-tanti);

— nel caso in cui alcune decisioni prece-denti non appaiano chiare e/o non sianodocumentate, prima del colloquio consulta-re chi può fornire utili informazioni;

— pianificare ciò che si intende comuni-care, specie nel caso di evento inatteso, inrelazione al grado di informazione già for-nito;

— in PS o nei RDO pianificare e concor-dare sempre con i Colleghi che hanno avu-to in carico il malato ciò che si intende comu-nicare;

— ipotizzare le probabili domande e pre-parare delle risposte adeguate;

— scegliere un ambiente riservato, confor-tevole e adatto al dialogo;

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SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA

— disporre affinché vengano evitate inter-ruzioni o interferenze esterne;

— predisporsi emotivamente all’ascolto;— in TI, se si ritiene che il colloquio sarà

particolarmente coinvolgente o impegnati-vo, valutare l’opportunità di farsi aiutare da unaltro membro dell’équipe;

— in PS o RDO la presenza al colloquio deiColleghi che hanno richiesto la consulenzadell’AR è da considerare irrinunciabile.

Verificare il grado di informazione del mala-to e dei familiari

Verificare se il malato desidera che al col-loquio assista un familiare ed esplicitare lefinalità dello stesso, annunciando che c’èqualcosa di importante da discutere.

Verificare cosa il malato e i familiari sannodella situazione attuale, della sua gravità edella probabile evoluzione; questo è parti-colarmente importante nel caso in cui l’A.R.sia al suo primo contatto.

Può essere utile iniziare ponendo doman-de del tipo:

— cosa sa/sapete della situazione attuale?— come la descriverebbe/descrivereste?— cosa le/vi è stato detto in precedenza

circa la prognosi e l’evoluzione della malat-tia?

— secondo la sua/vostra valutazione quan-to è rischiosa la situazione attuale?

Se il malato e/o i suoi familiari appaionoincerti o disorientati o se dimostrano di ave-re informazioni o opinioni scorrette, è oppor-tuno avviare la comunicazione da questi ulti-mi punti al fine di correggere le affermazio-ni non coerenti con la realtà, poi arrivare gra-dualmente al messaggio che si vuole dare;solo dopo aver fornito ogni necessaria spie-gazione al fine di far orientare verso unavalutazione realistica della situazione, saràpossibile procedere ad illustrare rischi ed esi-ti.

Verificare quanto e cosa vogliano sapere ilmalato ed i familiari

In generale è possibile affermare che leinformazioni con forte componente emozio-

nale vengono percepite ed organizzate inrapporto alla personalità, al grado di cultura,all’eventuale credo religioso, alle condizionisocio-economiche di chi le riceve.

È opportuno quindi verificare preventiva-mente il desiderio del malato di essere infor-mato e/o le modalità dell’interazione desi-derata.

A tal fine è possibile utilizzare frasi tipo: — le darò informazioni generali ma pre-

ferirei che fosse lei a farmi delle domande ea dirmi esattamente cosa vuole sapere;

— vuole conoscere la situazione in detta-glio o preferisce informazioni generali?

— vuole conoscere le informazioni diret-tamente da me o preferirebbe che ne par-lassi prima con qualcuno di sua fiducia?

— preferisce che io le parli in presenzadei suoi familiari o da solo?

L’eventuale volontà del malato di rifiutareun’informazione che considera spiacevole,delegando ufficialmente altri a riceverla insua vece, andrà rispettata.

Viceversa, i familiari potrebbero richiede-re di riservare esclusivamente ad essi l’infor-mazione, escludendo il malato.

In questo caso è consigliabile non assu-mere un atteggiamento che possa generareconflitti; sarà quindi necessario mediare tra lenecessità etiche e legali connesse al rispettodegli obblighi della professione, della volontàdel malato e la richiesta dei familiari, facen-do sempre loro presente come il diritto delmalato all’informazione ed all’autodetermi-nazione sia un punto fermo ed irrinunciabi-le.

È utile inoltre richiamare l’attenzione deifamiliari sul fatto che l’esperienza dimostraquanto un’informazione veritiera migliori l’a-dattamento e l’umore del malato, facilitandola sua relazione con i familiari stessi e l’é-quipe.

Se tale mediazione non dovesse dare risul-tati utili, il colloquio con il malato diverrànecessariamente l’unica alternativa.

Fornire l’informazione - gestire le emozioni

I malati e le famiglie rispondono alle noti-zie negative in modo molto diverso.

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

Sarà quindi necessario sapersi adeguaread ogni situazione non perdendone mai ilcontrollo, ricordando sempre che è il medi-co che deve dirigere il colloquio verso l’o-biettivo finale della comprensione e dellachiarezza riguardo a ciò che si deciderà difare.

È opportuno attenersi ai seguenti suggeri-menti:

— se esistono barriere alla comunicazione,ricorrere a un mediatore culturale senza ten-tare di farsi capire in modo approssimativo;

— non perdere mai di vista l’obiettivo del-la chiarezza e della comprensibilità;

— graduare l’informazione, specialmentenel caso di eventi improvvisi ed imprevedi-bili;

— evitare i monologhi, sollecitandodomande e facendo uso di pause frequentiper incoraggiare il dialogo (senza però per-derne la direzione);

— verificare costantemente l’adeguata com-prensione da parte degli ascoltatori;

— usare un linguaggio semplice, evitan-do il linguaggio tecnico e gli eufemismi;

— non minimizzare la severità della situa-zione;

— dare sempre la possibilità di esprimerele emozioni, utilizzando il silenzio, lasciandotutto il tempo necessario senza mostrare maidi avere fretta ed evitando di parlare percoprire il proprio disagio;

— in PS e in RDO dare sempre la possibi-lità agli altri Colleghi di intervenire nel dia-logo;

— essere empatici: esprimere il propriodispiacere per il loro dolore;

— riprendere il discorso quando la rea-zione emotiva si è attenuata;

— reazioni di rabbia e di negazione del-l’evento vanno tollerate e contenute con fer-mezza e delicatezza, mai forzate o respinte inmaniera controaggressiva; il tempo permet-terà di familiarizzare con la notizia e porteràad un maggiore adattamento;

— ricordare sempre l’importanza dellacomunicazione non verbale: lo sguardo, lamimica facciale e la gestualità hanno un pote-re comunicativo elevato;

— valutare l’opportunità di un contatto fisi-co: ricordando però che esiste una variabilitàindividuale molto elevata a questo proposi-to;

— essere in grado di provvedere a bisognipratici (acqua, tè, sedativi, fazzoletti, telefo-no, sedia ...);

— offrire aspettative realistiche: anchequando la guarigione non è possibile, dichia-rare ciò che è auspicabile (limitare le soffe-renze, migliorare la qualità della vita) e daresperanza ed incoraggiamento rispetto alleopportunità terapeutiche disponibili;

— indicare obiettivi a breve termine e sta-bilire una tempistica per condividere i risul-tati e prendere ulteriori decisioni;

— valutare i bisogni emotivi e spirituali edoffrire riferimenti per ottenere un supporto;

— incoraggiare ad esprimere richieste obisogni e offrire un aiuto realistico.

In tutte le fasi della comunicazione è altre-sì opportuno rassicurare gli interlocutori checon la sospensione/non erogazione dellecure rianimatorie il malato non sarà abban-donato ma sarà invece accompagnato anchenel tempo finale della sua vita e che la pal-liazione dei sintomi (in particolare dolore edispnea) è l’obiettivo primario dell’équipecurante.

Questa fase è la più delicata poiché essacostruisce, nel rapporto con il malato ed isuoi familiari, un clima di fiducia indispen-sabile per tutte le successive decisioni.

Pianificare e condividere le fasi successive

A questo punto è necessario giungere aduna decisione condivisa sul successivo per-corso assistenziale che va pianificato tenen-do presente la dignità della persona moren-te ed i bisogni dei familiari.

In questa fase spesso viene posta la richie-sta di esplicitare la prognosi anche in termi-ni temporali ("quanto tempo rimane?").

Alla base di questa domanda vi sono mol-te motivazioni, non ultima la necessità disistemare e preordinare situazioni affettive,economiche, lavorative; pertanto la rispostanon è mai da considerare priva di importan-za.

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SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA

Sarà necessario evitare risposte assoluteche, se disattese dai fatti, genererebbero sfi-ducia e frustrazione.

È opportuno invece esprimere la rispostain termini approssimativi ("ore o giorni" oppu-re "giorni o settimane"), enfatizzandone sem-pre i limiti, specificando che si tratta di pre-visioni basate sulla ragionevole probabilità.

Se il malato al momento della decisionenon è in grado di comprendere e di espri-mere un parere, è opportuno investire i fami-liari del ruolo di testimoni e/o interpreti delsuo punto di vista.

Ciò è di estrema importanza allorquandol’avvio di un trattamento può comportare unpeggioramento della qualità di vita del mala-to.

Va inoltre sottolineata l’importanza che ifamiliari comprendano che un’eventuale limi-tazione terapeutica viene effettuata non alloscopo di far morire il malato, ma solo qualeconseguenza della certezza dell’impossibi-lità che quel determinato trattamento possaconsentirne il recupero.

L’eventuale decesso, che peraltro dipen-de dalla patologia di base, può non essereuna conseguenza immediata di tale decisio-ne ma avvenire in un arco temporale varia-bile 22.

Se il colloquio avviene nell’imminenza deldecesso, è opportuno accertarsi se vi è larichiesta di sostegno spirituale da parte di unministro di culto ed essere pronti a fornireinformazioni circa la destinazione della salmae le pratiche funerarie.

A questo punto è possibile congedarsi,garantendo sempre la propria disponibilitàe la propria presenza in ogni momento sirendesse necessaria e fissando un appunta-mento a breve; in PS o RDO sarebbe auspi-cabile che, compatibilmente con gli altriimpegni di lavoro, l’AR si recasse ancora unavolta almeno dal malato al fine di verificarel’attuazione delle sue eventuali prescrizioni eper rendersi disponibile ad un ulteriore even-tuale colloquio.

Il contenuto del colloquio, il grado di con-sapevolezza acquisito sulla malattia e il gra-do di condivisione del piano di cure vannoriportati in cartella clinica.

Se il colloquio avviene in prossimità di un

cambio turno, non dimenticare mai di pre-sentare il collega del turno successivo aven-do cura di riferirgli puntualmente il conte-nuto del dialogo intercorso ed in ogni casosarà importante condividere con i membridell’équipe coinvolti i punti salienti dellacomunicazione.

Non sottovalutare i propri bisogni emotivie gli effetti che il colloquio lascia in chi loconduce: una discussione formale o infor-male (coinvolgendo anche altri colleghi neicasi più complessi) è utile a verificare pas-saggi, dubbi, comprendere eventuali errori,rassicurarci, permettere il necessario scaricodi emozioni, prepararci agli eventuali suc-cessivi contatti col malato e i familiari.

Dispnea al termine della vita

La dispnea è spesso presente nella faseterminale della vita e costituisce uno dei sin-tomi più frequentemente riscontrati tra ipazienti che accedono in area critica (PS,TI) 23.

In tre importanti studi di coorte prospetti-ci 24-26 la dispnea era rilevata nei malatimorenti per neoplasia polmonare, BPCO einsufficienza cardiaca con una incidenzarispettivamente del 32%, 56% e 61%.

In PS o nei RDO il problema consiste nelcomprendere se ci si trova di fronte ad unapersona morente per la cui patologia nonesiste alcun trattamento causale (futilità quan-titativa), o se invece vi è una condizionepotenzialmente trattabile sul piano clinico,nel qual caso va esclusa l’eventualità di untrattamento che può portare ad un esito con-siderato inaccettabile dal malato stesso (futi-lità qualitativa).

Un’adeguata anamnesi e un accurato esa-me clinico sono spesso sufficienti a fornire lamaggior parte delle indicazioni necessarieper dare una risposta a tali quesiti.

Se vi sono difficoltà di inquadramento del-le condizioni complessive del malato e/o nonsi è a conoscenza delle sue volontà, comespesso accade in PS o nei RDO, l’urgenzaimpone l’avvio di un trattamento invasivofarmacologico (farmaci cardio- e vasoattivi) edi supporto respiratorio.

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

Quest’ultimo si può oggi avvalere dellaventilazione non invasiva (NIV), che apparecome un ausilio maggiormente proporzio-nato rispetto alla ventilazione meccanica tra-mite intubazione tracheale in malati alla finedella vita in cui è clinicamente indicato testa-re la risposta ad un trattamento di supportorespiratorio.

Per questo, i farmaci e la NIV, laddove nericorrano le indicazioni cliniche, costituisco-no un’accettabile strategia per offrire ai medi-ci un margine di tempo utile all’inquadra-mento del caso.

Se da tutti i dati emersi si forma e si con-solida il ragionevole convincimento che lecure invasive sono inappropriate poiché ilmalato è in ogni caso destinato a morire, allo-ra il comfort del malato stesso diviene il pri-mo obiettivo.

Una volta pervenuti a tali conclusioni, èraccomandabile:

— sospendere ogni monitoraggio non indi-spensabile (mantenere eventualmente il soloECG);

— ridurre al massimo l’inquinamento acu-stico dell’ambiente;

— non richiedere esami ematochimici estrumentali;

— ridurre progressivamente fino ad inter-rompere i trattamenti farmacologici, ad ecce-zione delle terapie palliative;

— somministrare oppiacei in caso didispnea acuta severa e dolore;

— somministrare sedativi, ansiolitici o neu-rolettici in caso di ansia, agitazione psico-motoria e confusione mentale;

— nel malato non intubato continuare lasomministrazione di O2 solo se efficace nelridurre la fatica respiratoria;

— valutare la rimozione di ogni presidioormai ritenuto futile e che sia causa di inuti-le disagio (tubo tracheale, sonda nasogastri-ca, catetere arterioso, catetere vescicale, etc.);

— favorire l’accesso dei familiari e dellepersone care all’area di degenza ed il contattofisico con il malato.

È di fondamentale importanza chiarire aifamiliari che la somministrazione di oppiaceie sedativi, anche nei casi di drammatico deca-dimento dello stato di coscienza, costituisce

un atto terapeutico appropriato per il con-trollo del dolore, della dispnea e dell’agita-zione nonché eticamente e deontologica-mente dovuto anche se può comportare ilrischio di un’accelerazione del processo delmorire 27.

Ventilazione meccanica

Quando sia chiaramente evidente che ogniulteriore trattamento è incapace di raggiun-gere l’obiettivo desiderato per un malatomorente connesso al ventilatore (PS o TI), èappropriato discutere con tutta l’équipe l’e-ventuale sospensione della ventilazione mec-canica e l’accompagnamento del malato allamorte come un vero e proprio percorso cli-nico-assistenziale 28, 29.

Una volta verificata la presenza di un’atti-vità respiratoria spontanea, le opzioni per lasospensione della ventilazione sono:

— sospensione del supporto respiratoriocon mantenimento del tubo endotracheale;

— rimozione del tubo endotracheale.Il criterio del miglior comfort del malato,

tenuto conto del punto di vista infermieristi-co e della percezione dei familiari, permettedi scegliere tra le due opzioni.

La prima opzione prevede che il supportodel ventilatore venga progressivamente ridot-to fino alla totale sospensione in un arco ditempo definito; il tubo endotracheale puòessere lasciato in situ oppure essere rimossoin una fase successiva

La seconda opzione consiste invece nellarapida riduzione del supporto respiratoriosino alla sua sospensione accompagnata dal-la rimozione del tubo tracheale; quest’ultimadeve essere seguita dalla somministrazionedi O2 umidificato per prevenire il discomfortlegato alla secchezza delle vie respiratorie.

È importante che tutti (malato, familiari edoperatori) siano consapevoli dei problemiche l’estubazione terminale può comportare(tirage, difficoltà respiratoria, più difficilerimozione delle secrezioni) e della possibilenecessità di usare un dosaggio maggiore disedativi, oppioidi ed antisecretivi per garan-tire il comfort del malato stesso; questo anche

Vol. 72, N. MINERVA ANESTESIOLOGICA 11

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al fine di prevenire richieste incongrue direintubazione in fase terminale.

È doveroso avviare una sedazione imme-diata in caso di comparsa di agitazione e/otachipnea.

Inoltre, prima della sospensione della ven-tilazione, è opportuno adottare tutte le misu-re sopra elencate (vedi ‘dispnea al terminedella vita’).

Al momento del distacco dal ventilatore:— cogliere i segni di eventuale fatica respi-

ratoria e somministrare oppioidi e sedativise necessario;

— estubare previa accurata aspirazionedelle secrezioni in trachea e nel cavo orale;

— incoraggiare i familiari al contatto con illoro congiunto;

— essere presenti e disponibili per ogninecessità.

La sospensione della ventilazione mecca-nica e l’estubazione del malato morente rap-presentano un atto carico di emozioni per ifamiliari poiché essi sono stati avvertiti che,anche se l’intervallo di tempo è spesso impre-vedibile, questo precede la morte.

Una piena condivisione all’interno dell’é-quipe e con i familiari di questo percorso cli-nico-assistenziale è fondamentale affinchétutti gli operatori ne comprendano l’appro-priatezza etica e clinica e la famiglia siaconfortata nella certezza che ‘è stata fatta lacosa giusta’.

Tecniche di sostituzione renale

Come per ogni altra terapia, il trattamentoinvasivo di supporto renale (TISR) può esse-re limitato per valido rifiuto da parte del mala-to e/o per mancanza di indicazione clinicacorrelata all’irreversibilità della malattia extra-renale sottostante.

Quando la decisione viene presa in TI econcordata fra i curanti e il malato e/o i suoifamiliari, essa non differisce sostanzialmenteda quella di interrompere o non erogare altrisupporti vitali nel malato morente.

Diverso può essere il caso in cui l’AR è coin-volto nella sua qualità di consulente nellagestione di un malato che rifiuta di iniziare/con-

tinuare un trattamento dialitico indicato persostituire una funzione renale ormai assente,accettandone le prevedibili conseguenze.

È opportuno sottolineare che la mortalità,nella fase terminale dell’insufficienza renale(IR) senza dialisi o trapianto renale, raggiungeil 100% nell’arco di 60 giorni 30.

Con la dialisi la mortalità si riduce media-mente dal 100% al 15% all’anno e la soprav-vivenza si prolunga mediamente di 5 anni 31,con un peggioramento significativo della qua-lità di vita sia per le scale fisico-funzionaliche per quelle psicologico-emotive, soprat-tutto nei soggetti più giovani 32.

La dialisi è infatti un trattamento moltoimpegnativo, richiedendo 12-15 ore settima-nali, il trasporto del malato, una media di 10visite specialistiche e 8 giorni di ricoveroospedaliero all’anno, l’assunzione di numerosifarmaci, il rispetto di una dieta adeguata perapporto proteico, calorico e idrico-salino,oltre ad una limitazione dei ruoli sociale,lavorativo e familiare.

Per quanto ancora poco percepito in Italia,il rifiuto di iniziare la dialisi è fenomeno nonsconosciuto a livello internazionale, supe-rando in alcune realtà il 4% dei malati 33.

Ugualmente, in alcuni paesi europei l’ab-bandono della dialisi è la causa di circa il 20%della mortalità dei malati con IR cronica 34.

Si tratta quindi di una situazione non rara,che ogni AR deve ben conoscere ed essere ingrado di poter gestire.

In linea generale, va ribadito che è appro-priato sospendere o non erogare un TISR:

— nel malato cosciente che, compiuta-mente informato, volontariamente decide lalimitazione del TISR;

— nel malato non in grado di decidere mache ha previamente espresso il rifiuto delTISR in una dichiarazione anticipata scrittao orale ††;

— quando si è maturato il convincimentodella inutilità di iniziare o proseguire con itrattamenti invasivi nel loro complesso 12, 35;

— nel malato in cui l’insufficienza renale èparte di una multipla insufficienza acuta d’or-gano non rispondente a trattamenti;

12 MINERVA ANESTESIOLOGICA Mese 2006

††) Per quanto attiene alle ‘dichiarazioni anticipate’ vediin CRITICITÀ pag. 30-31.

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

— nei malati morenti per patologie croni-che o neoplastiche non renali o per i quali ladialisi è futile.

Nell’ambito del processo di comunicazio-ne con il malato o i suoi familiari è importantedire esplicitamente che la sospensione delTISR non impedisce il ricorso alla terapia condiuretici nel caso vi sia una diuresi residua oad una adeguata sedazione per far fronte alladispnea da sovraccarico idrico 36.

È doveroso sottolineare che la limitazionedel TISR deve accompagnarsi al trattamentoattento di tutti i sintomi presenti nella fasefinale della vita, compresi quelli comune-mente presenti nell’uremia grave.

Il trattamento dei sintomi associati alla limi-tazione del TISR è schematizzato nella TabellaI.

Sedazione ed analgesia

La sedazione al termine della vita o seda-zione palliativa (ST/SP) è una proceduracomune nella cura delle fasi finali dei mala-ti morenti, resa necessaria dalla progressivarefrattarietà dei sintomi.

La ST/SP è infatti definita 13 come ‘Uso disedativi per controllare le sofferenze intolle-rabili e refrattarie mediante la riduzione del-la coscienza negli ultimi giorni della vita’.

Quando, infatti, i sintomi non sono piùcontrollabili dai farmaci comunemente usatianche ai dosaggi massimali, si rende inevi-tabile porre in atto una progressiva abolizio-ne della coscienza allo scopo di proteggereil malato dalle intense sofferenze provocatedalla dispnea, dal delirium del morente (agi-tazione psicomotoria), da emorragie di grave

entità delle vie aeree o digestive, dalla sof-ferenza psichica.

In accordo con i documenti di consensorinvenibili nella letteratura internazionale 14, 37

la sedazione e l’analgesia in TI devono ispi-rarsi ai seguenti principi generali:

— il controllo del dolore e della sofferen-za costituiscono un elemento fondamentaledel trattamento di tutti i malati in condizionicritiche e non vanno applicati solo a quelli infase terminale;

— le cure palliative in TI differiscono daquelle praticate in altri settori perché il pro-cesso del morire tende ad essere più dram-matico ed il tempo intercorrente fra la limita-zione dei trattamenti e la morte è più breve;

— gli obiettivi delle cure palliative in TIsono:

1) il rispetto delle volontà attuali o pre-gresse del malato;

2) il controllo del dolore, della sofferen-za ‡‡ dell’ansia, dell’agitazione, del delirium edella dispnea;

3) il supporto psicologico e spirituale almalato e ai suoi congiunti;

Vol. 72, N. MINERVA ANESTESIOLOGICA 13

TABELLA I. — Trattamento del disagio associato alla sospensione della dialisi.

Problema Sintomo Trattamento

Acidosi Nessuno Non richiestoipercaliemia Letargia Non richiestoipervolemia Dispnea, Restrizione idrica, morfina, O2, vasodilatatori per os,

versamento pericardico diuretici, ultrafiltrazione isolataUremia Gastrite Antiacidi

Letargia Non richiestoConvulsioni Diazepam, propofol

Prurito Cura della cute, antiistaminici

‡‡) È opportuno distinguere il dolore dalla sofferenza:questa si riferisce non solo al dolore come esperienza sen-soriale sgradevole associata ad un danno fisico attuale,ma anche al coinvolgimento emozionale che accompa-gna ogni situazione che mette a rischio l’integrità dellapersona (ansia, angoscia, delirio, depressione) 38; nei mala-ti al termine della vita le due condizioni sono comune-mente riscontrabili. In essi la valutazione del dolore è resapoi più difficile dai problemi di comunicazione relativialla gravità delle condizioni cliniche, all’insufficienza cere-brale primitiva o secondaria alle terapie, alla difficoltà diinterpretare i segni clinici o alla loro scarsa affidabilità. Lasofferenza è ancora più difficoltosa da rilevare per le suecaratteristiche altamente individuali, pertanto la sua valu-tazione deve fare riferimento ai valori individuali attra-verso cui la sofferenza viene esperita.

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4) il comfort ambientale ottenuto modifi-cando il setting tecnologico per renderlo unluogo più tranquillo e confortevole;

— il controllo del dolore e della sofferen-za deve essere attuato sia mediante provve-dimenti non farmacologici che farmacologi-ci; i provvedimenti non farmacologici com-prendono:

1) la presenza dei familiari, delle personecare al malato e, se desiderato, del ministrodi culto o di un assistente spirituale;

2) la realizzazione di un ambiente confor-tevole e tranquillo;

3) l’adeguamento del piano terapeutico edassistenziale ai valori spirituali e culturali delmalato.

I provvedimenti farmacologici prevedonol’uso di sedativi, analgesici e altri farmaciadiuvanti (ad esempio antisecretivi); in gene-re la sedazione va effettuata in combinazio-ne alla analgesia.

— I farmaci sedativi più comunemente uti-lizzati sono il midazolam, il diazepam, il lora-zepam, l’aloperidolo ed il propofol.Quest’ultimo richiede un accesso venoso chegli altri non richiedono, potendo essere som-ministrati, in infusione continua o intermit-tente, per via sottocutanea. La somministra-zione per via sottocutanea va presa in con-siderazione al fine di ridurre l’invasività inmalati privi di capitale venoso o ricoverati inambiente non intensivo poiché è da questiben tollerata. L’aloperidolo, da solo o in asso-ciazione alle benzodiazepine, è particolar-mente indicato nel delirium terminale.

— Gli analgesici preferiti sono la morfina(s.c., e.v.) ed il fentanyl (e.v. o transdermico).Questi o altri oppiacei vanno sempre asso-ciati, titolandoli, ai sedativi per ottenere unefficace controllo della dispnea e del dolore.

— Il dosaggio dei farmaci sedativi ed anal-gesici è rigorosamente individualizzato sianella precedente fase di trattamento intensi-vo sia in quella attuale di trattamento pallia-tivo. Le dosi iniziali di sedativi ed analgesicinel trattamento palliativo dipendono da:dosaggi precedenti (tener conto del velocesviluppo di tolleranza), età, pregressa dipen-denza da farmaci o alcool, attuali condizionicliniche, attuale livello di coscienza e dolore,

desideri del malato in merito al dolore o allasedazione.

— Il dosaggio dei farmaci sedativi ed anal-gesici va tempestivamente incrementato inrapporto a: richieste del malato, segni di disa-gio respiratorio o dolore (lacrimazione, smor-fie, vocalizzazioni o movimenti reattivi spon-tanei o secondari a manovre di nursing, irre-quietezza) segni fisici non altrimenti motiva-ti (tachicardia, ipertensione arteriosa, sudo-razione). La scala di Ramsay può essere uti-le per valutare l’efficacia della sedazione.

— Il dosaggio dei farmaci sedativi ed anal-gesici può essere progressivamente incre-mentato fino ad ottenere il controllo del dolo-re e della sofferenza poiché non esiste undosaggio massimale di tali farmaci. L’obiettivodelle cure palliative è infatti quello di rag-giungere il controllo dei sintomi che va per-seguito seguendo i fabbisogni individuali delmalato, indipendentemente dal dosaggiorichiesto.

— I curari mascherano alcuni segni fisici didolore e sofferenza e, pertanto andrebberosospesi prima di iniziare la limitazione dellecure intensive; la loro sospensione permetteinfatti un più accurato monitoraggio del dolo-re e della sofferenza durante la sospensioneo la non applicazione di trattamenti intensi-vi.

Nella Tabella II sono riassunti i principalianalgesici e sedativi utilizzati per la ST/SP.

Sotto il profilo etico, la ST/SP risponde ‘intoto’ ai tre classici principi bioetici di auto-nomia, beneficialità, non maleficialità 38-40.

Infatti, la tutela dell’autonomia avvienerispettando, per quanto possibile nella con-tingenza clinica, il criterio del consenso infor-mato o delle direttive anticipate.

La beneficialità e la non maleficialità sonotutelate dal trattamento stesso di sintomi altri-menti refrattari che inducono gravi sofferen-ze psicofisiche negli ultimi giorni o ore divita e che compromettono la qualità di vitaresidua del malato.

In tale senso, la ST/SP rispetta anche il cri-terio di proporzionalità.

Al di fuori dell’ambito della TI (PS o RDO)la ST/SP viene impiegata in malati giunti allafase conclusiva della malattia tumorale o cro-

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

nico-degenerativa, quando l’attesa di vita (lasopravvivenza stimata) sia di ore o giorni 41.

Questo dato empirico conferisce alla ST/SPuna precisa collocazione temporale che nonva dimenticata ai fini di una corretta valuta-zione clinica ed etica.

Analoghe considerazioni devono esser fat-te sul rapporto temporale fra inizio della seda-zione e momento della morte.

Infatti, i principali studi condotti sullasopravvivenza dei pazienti sottoposti a ST/SPsmentiscono una anticipazione del decessorispetto a quelli non sottoposti a tale proce-dura e concordano nel registrare un notevo-le lasso di tempo (2-3 giorni in media neimalati tumorali) fra l’inizio della procedura edil momento del decesso 42-50.

Così, l’uso degli oppiacei al termine dellavita, reso peraltro necessario dall’obbligo dialleviare il dolore e la dispnea, è stato ogget-to di valutazione sia etica che legale.

In pieno accordo con quanto affermatonel documento dell’European Association ofPalliative Care (EAPC) 39, la ST/SP è chiara-mente differenziabile dall’eutanasia sia sottoil profilo dell’obiettivo (o intenzione) che sot-to quello delle procedure (farmaci e dosag-gi), oltre che del risultato della procedura.

La questione centrale consiste nello stabi-lire se le dosi di oppiacei utilizzate per sol-levare dalla sofferenza possono causaredepressione respiratoria come effetto colla-terale previsto ma non voluto e, pertanto,causare la morte del malato; il problema èparticolarmente pressante nel caso in cui si siagià sospesa o non sia in atto la ventilazione

meccanica ed il malato respiri spontanea-mente.

A questo proposito, il principio etico del‘duplice effetto’ stabilisce che se un’azioneè compiuta per ottenere un fine positivo pre-visto ed inteso ma causa anche un risultatonegativo per un suo effetto collaterale nondesiderato, previsto ma non inteso, l’attorenon è responsabile di quell’effetto collatera-le 51.

Pertanto, se un medico usa oppiacei inappropriate dosi al fine di sollevare dalla sof-ferenza un morente e non con l’intenzione dicausarne la morte, il medico stesso non puòessere ritenuto responsabile ove questa siverificasse per depressione respiratoria.

Tradizionalmente la teoria del ‘dupliceeffetto’ si ritiene soddisfatta se ricorrono cin-que requisiti 52:

1) L’atto in se stesso è raccomandabile ocomunque moralmente neutro (sommini-strare oppiacei).

2) Ci si propone soltanto il risultato posi-tivo (sollevare dalla sofferenza) e non quel-lo negativo (abbreviare la vita).

3) La finalità buona non viene perseguitaattraverso quella cattiva (non si riduce la sof-ferenza del malato accelerandone la morte).

4) Mancano alternative per il raggiungi-mento dell’effetto meritorio (sollievo dallasofferenza).

5) Esiste una ragione proporzionalmentevalida per correre il rischio del verificarsi del-l’effetto negativo.

È evidente che per poter attuare il tratta-

Vol. 72, N. MINERVA ANESTESIOLOGICA 15

TABELLA II. — Farmaci per la ST/SP.

FarmacoDose Dose Durata Dose

equianalgesica iniziale h inizialee.v. (boli e.v.) (inf. continua)

Analgesici oppioidiMorfina 1 2-10 mg 3-4 0.05-0.1 mg/kg/h Idromorfone 0.15 0.3-1.5 mg 3-4 —Fentanyl 0.01 50-100 µg 0.5-2.0 1 – 10 µg/kg/hMeperidina 10 25-100 mg 2-4 —

SedativiIorazepam — 1-3 mg 2-3 0.025-0.05 mg/kg/hMidazolam — 1 mg 1.5-2 1-5 mg/hAloperidolo — 0.5-20 mg 2-4 3-5 mg/hPropofol — 1 mg/kg 10-15 0.5-3 mg/kg/h

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mento analgesico e sedativo, il malato o unsuo rappresentante dovranno essere ade-guatamente informati circa i rischi che nepotrebbero derivare e prestare un valido con-senso al riguardo.

Rianimazione cardiopolmonare

L’effettuazione della rianimazione cardio-polmonare (RCP) presenta alcune peculia-rità che possono essere così sintetizzate:

— Fattore ‘tempo’, che non consente valu-tazioni approfondite o consultazione di ter-zi

— Incapacità da parte del malato di espri-mere un consenso alla RCP.

— Scarse informazioni cliniche disponibi-li al momento dell’evento acuto (in partico-lare circa patologie a prognosi infausta cheinducono a non avviare una RCP).

— Aspettative degli astanti, incrementatedalla spettacolarizzazione mediatica dellamedicina critica.

— Coinvolgimento di più figure profes-sionali che entrano in comunicazione con gliastanti, aumentando il rischio di fraintendi-menti.

— Presenza di protocolli definiti (lo sco-stamento dai quali va motivato).

— Incertezza della prognosi: centrale appa-re la questione della diagnosi differenzialefra ‘morte’ come evento previsto con cui giun-ge a completamento il processo del morire,in cui la RCP è inappropriata, e ‘arresto car-diocircolatorio’ (ACC), come cessazione tem-poranea, potenzialmente reversibile, dei pro-cessi vitali in cui la RCP è appropriata.

— Possibilità che la RCP esiti in uno statovegetativo permanente.

Tali peculiarità espongono in modo parti-colare la pratica della RCP alla violazione deiprincipi bioetici di autonomia, beneficenza-non maleficenza, giustizia.

L’applicazione della RCP deve tener contodei criteri generali contenuti nelle Linee-Guida internazionali 15, che sono il frutto delcompromesso fra realtà con organizzazionisanitarie e contesti socio-culturali differenti.

Essi affermano che tutti i pazienti in ACC

dovrebbero essere rianimati, con le unicheeccezioni di:

— malati con segni macroscopici di mor-te;

— malati al termine della vita per patolo-gie acute ad altissima mortalità (ad esempioshock settico o cardiogeno refrattari ai trat-tamenti), con terapie massimali in atto mainefficaci;

— malati che hanno precedentementeespresso la volontà di non essere sottopostia tentativo di rianimazione;

— neonati con età gestazionale < 23 setti-mane peso corporeo < 400 g, o anencefalici.

L’adozione di criteri così allargati compor-ta certamente il rischio di erogare terapiesproporzionate per eccesso ma è giustificatasulla base di 4 considerazioni:

— il personale presente nei mezzi di soc-corso può non essere personale medico equindi non essere abilitato ad effettuare unadiagnosi di morte sul posto;

— le patologie coesistenti ed il miglioreinteresse del paziente possono delinearsi inun secondo momento, sentito il parere deifamiliari ed acquisita la documentazione cli-nica;

— non vi sono criteri scientifici sufficien-temente accurati per predire l’insuccesso del-la RCP;

— nell’incertezza, l’avvio della RCP è dove-roso e la constatazione del suo insuccesso(assenza di ripresa di attività circolatoria spon-tanea) fornisce giustificazione etica e clinicaper la sua sospensione.

Quest’ultima possibilità rappresenta unabuona garanzia per prevenire l’erogazionedi un trattamento sproporzionato per ecces-so e può essere messa in atto nel pieno rispet-to dello scenario etico, deontologico e giuri-dico di riferimento nel nostro paese.

La decisione circa il prosieguo del tratta-mento del paziente sottoposto a RCP in cui visia stata ripresa della circolazione spontaneama non della coscienza, può tener conto deirisultati di 2 metanalisi 53, 54, i cui Autori indi-viduano i seguenti segni clinici associati adesito infausto:

— assenza di riflesso fotomotore dopo 24e 72 ore;

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

— assenza di riflesso corneale dopo 24ore;

— assenza di risposta motoria allo stimo-lo doloroso dopo 24 e 72 ore;

— assenza bilaterale della N20 corticalenel SEP del nervo mediano.

Secondo gli Autori, in tali condizioni unalimitazione terapeutica è eticamente giustifi-cata.

Criticità

Le raccomandazioni riportate nel presentedocumento costituiscono il contributo che ilGruppo di Lavoro sorto in seno alla Commis-sione Bioetica della SIAARTI intende fornireall’AR per affrontare i temi teorici e pratici cor-relati alla gestione del malato giunto al termi-ne della vita in area critica (TI e PS) e nei RDO.

Il Gruppo di Lavoro ha concordato di defi-nire il malato ‘morente’ o ‘giunto al terminedella vita’ come quel paziente che, accertatela gravità e l’irreversibilità della sua malattia,sta concludendo in modo ineluttabile il suociclo vitale e per il quale, allo stato attuale del-le conoscenze mediche e di tutte le valuta-zioni professionali effettuate, non si può pre-vedere in termini di ore o giorni alcuna capa-cità di arresto della progressione dello statoclinico verso l’exitus.

In ragione della complessità degli argo-menti trattati, il Gruppo di Lavoro dellaCommissione di Bioetica ha ritenuto neces-sario richiamare alcuni passaggi delle‘Raccomandazioni SIAARTI per l’ammissionee la dimissione dalla TI e per la limitazione deitrattamenti in TI’ riportate nell’Appen-dice I.

Nel presente documento il termine ‘fami-liari’ è usato per intendere la rete di prossimitàcosì come previsto dall’attuale ordinamentolegislativo italiano: in tal senso, l’utilizzo deltermine rappresentante può ingenerare ambi-guità dal punto di vista giuridico.

Allo stato attuale della nostra legislazione,il ruolo dei parenti, così come quello dellepersone eventualmente designate dal mala-to in un documento contenente dichiarazio-ni anticipate, non è quello giuridicamenteforte di rappresentante (che spetta solo alle

figure codificate del giudice tutelare o del-l’amministratore di sostegno) ma è quello ditestimone ed interprete della volontà delmalato (si parla di funzione attestativa delmiglior interesse di quel determinato malatoin quella determinata situazione).

Così, a tutt’ora, anche in questa ipotesi èbene sottolineare che la scelta finale di inter-rompere o non erogare le cure intensive -seppure ‘illuminata’ dalla persona vicina almalato - rimane propria del medico.

In tal senso, egli adempie al meglio al pro-prio obbligo di garanzia in quanto, di frontead una persona morente, si astiene dal pra-ticare trattamenti sproporzionati per ecces-so e interviene allo scopo di realizzarne ilmigliore interesse con le cure palliative.

Circa la condizione di ‘incapacità’ del mala-to al termine della vita, è importante sottoli-neare che dal 2004 l’ordinamento legislativoitaliano ne prevede la tutela attraverso la figu-ra dell’Amministratore di Sostegno.

Tale figura 55, nominata del Giudice, ha loscopo di aiutare chi convive con una disabi-lità psichica e/o fisica a vedere assicurata, inuna particolare congiuntura della sua vita, lapiena realizzazione di quei diritti di integra-zione sociale che la Costituzione garantisce adogni cittadino.

Essa è dunque pensata per aiutare anchecoloro i quali si trovino in temporanea difficoltàad esercitare i propri diritti: persone con distur-bi psichici, anziani della quarta età, handicap-pati sensoriali, alcolisti, tossicodipendenti, sog-getti colpiti da ictus, malati morenti.

Una questione attualmente dibattuta è sequesta nuova figura possa esprimere il con-senso agli atti sanitari al posto del malatoincapace.

Un orientamento favorevole in tal sensosi sta delineando sia in ambito medico-lega-le che giurisprudenziale 56, 57.

Circa le dichiarazioni anticipate §§ più vol-te citate, corre l’obbligo di specificare chenel presente documento si è preferita tale

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§§) Secondo il Comitato Nazionale per la Bioetica siintendono le dichiarazioni anticipate come uno "strumentoper soddisfare l’esigenza di espandere il principio di auto-determinazione nei confronti dei trattamenti sanitari anchealle situazioni in cui la persona interessata non fosse piùin grado di esprimere il proprio consenso o dissenso infor-mato, non fosse più competente".

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dizione poiché in linea con quella scelta dalComitato Nazionale per la Bioetica (CNB)nel documento editato ufficialmente neldicembre 2003 58; è infatti noto che, in atte-sa di una definitiva presa di posizione inmerito da parte del legislatore, sono attual-mente in uso vari sinonimi (‘direttive antici-pate’, ‘dichiarazioni anticipate’, ‘testamentobiologico’, ‘disposizioni anticipate’), tutti peròcon sfumature di significato differenti.

È, inoltre, noto che nel nostro ordinamen-to non vi sono norme giuridiche specificheche affermino la vincolatività delle dichiara-zioni anticipate.

Peraltro, il Codice di Deontologia Medicadel 1998 contiene all’art. 34*** una esorta-zione forte a prenderle in considerazione 59.

Inoltre, in base al testo della Convenzionedi Oviedo 60 (che al momento resta il testogiuridicamente più autorevole sul punto) ilmedico ha comunque il dovere di tenere con-to delle indicazioni precedentemente espres-se dal malato.

Per quanto riguarda la gestione pratica del-le dichiarazioni anticipate è quindi necessa-rio operare una distinzione tra due diversesituazioni:

— ove il malato abbia espresso la suavolontà nell’ambito di un programma di pia-nificazione sanitaria anticipata l’équipe medi-ca ha avuto la possibilità di indagare sullaeffettiva e consapevole volontà del malato:qui è eticamente e deontologicamente dove-roso rispettare la volontà del malato;

— ove invece si tratti di dichiarazioni anti-cipate che genericamente si esprimono nelmerito o che siano state definite in unmomento precedente all’insorgenza dellamalattia, è bene sottolineare come dal pun-to di vista giuridico si ponga il problema del-la attualità e consapevolezza della volontà; diconseguenza, la scelta del medico di rispet-tare o meno la dichiarazione è in questaseconda ipotesi più fortemente condizionatadal giudizio di appropriatezza della sospen-sione/non erogazione delle cure intensive.

Circa la decisione di non rianimare malati

giunti al termine della vita secondo il fonda-to e concorde parere dell’équipe curante,essa deve essere:

— riportata esplicitamente per iscritto nel-la cartella clinica come indicazione/decisio-ne di non tentare di rianimare recando la fir-ma del medico di guardia e del dirigente direparto se il malato è già ricoverato in TI odell’AR consulente in PS o nei RDO;

— corredata di un riassunto circa le tappesalienti del percorso clinico che hanno por-tato alla formazione del convincimento stes-so;

— comprendente un richiamo alla avve-nuta comunicazione ai familiari di tale deci-sione.

I processi decisionali di fine vita, specienel caso di decisioni riguardanti la limitazio-ne di trattamenti intensivi, talvolta compor-tano disaccordi o anche veri e propri con-flitti fra operatori e familiari o fra gli operatoristessi.

Se il disaccordo riguarda la certezza del-l’irreversibilità della prognosi a breve termi-ne, in genere esso può essere gestito curan-do l’informazione e la comunicazione riguar-dante i dati clinici: in tali casi è opportunocontinuare comunque i trattamenti intensivifinchè non si giunga ad una decisione con-divisa.

Nel caso in cui il conflitto non trovi ade-guata soluzione, può essere richiesto un pare-re al Comitato Etico aziendale, pur nella con-sapevolezza che esso non potrà essere vin-colante.

È auspicabile che i Comitati Etici per lapratica clinica possano rappresentare permalati, familiari ed operatori sanitari un rife-rimento multidisciplinare per supportare ledecisioni riguardanti problemi etici semprepiù complessi.

Il documento non affronta la particolarecondizione del malato morente di età pedia-trica per ragioni attinenti alla assoluta speci-ficità di questa condizione.

È infatti evidente che l’interazione genito-ri/malato pediatrico/operatori sanitari ponetematiche particolari sul piano operativo, giu-ridico ed umano, che non è apparso correttotrattare contestualmente a quelle degli adulti.

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***) "il medico, se il paziente non è in grado di esprimerela propria volontà in caso di grave pericolo di vita, non puònon tener conto di quanto manifestato dallo stesso".

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Per quanto attiene all’appropriatezza/inap-propriatezza del ricovero in TI sia in terminietici che operativi, si rimanda alle ‘Racco-mandazioni SIAARTI per l’ammissione e ladimissione dalla TI e per la limitazione deitrattamenti in TI’ 9 e all’Appendice I.

Sui "Criteri di accessibilità in TerapiaIntensiva", ricordiamo anche il parere delComitato Consultivo Regionale per la Bioeticadella Regione Veneto 61.

Raccomandazioni finali

— È doveroso non prolungare il processodel morire ed adoperarsi affinché nel corso diesso sia attuato un approccio palliativo.

— Ogni volontà del malato in merito allalimitazione dei trattamenti espressa per iscrit-to o verbalmente deve essere riportata in car-tella e tenuta nella massima considerazione.

— La decisione di limitare (non intrapren-dere o sospendere) un trattamento intensivoin un determinato malato e la relativa respon-sabilità degli atti che ne conseguono spetta-no al medico e vanno documentate e moti-vate in cartella clinica; il malato, quando pos-sibile, i familiari nonchè tutti gli operatorisanitari coinvolti nella cura devono essereinclusi nel processo decisionale.

— Nella decisione di limitare i trattamentiintensivi il medico deve svolgere un ruolodi sintesi acquisendo (direttamente di fronteal malato cosciente o indirettamente grazie aifamiliari di un malato incosciente o grazieall’Amministratore di Sostegno, figura orarivestita di potestà legale di rappresentare ilmalato) ogni possibile informazione sullevolontà del malato, le sue convinzioni reli-giose e culturali. Confrontando tali informa-zioni con la propria valutazione su quelloche può essere il migliore interesse per ilmalato alla luce delle prospettive terapeuti-che, egli adotterà la decisione che più possaavvicinarsi alla realizzazione della volontàdel malato stesso.

— L’applicazione dei trattamenti intensivideve essere accompagnata fin dall’inizio dal-lo sviluppo di un piano di cure palliative; nelcaso di una eventuale limitazione dei sup-

porti intensivi, la palliazione deve tenderead alleviare i sintomi del processo del mori-re e a garantire fino all’ultimo la migliorequalità di vita.

— Ogni U.O. di Anestesia e Rianimazionedeve intraprendere iniziative tese a migliorarela relazione con pazienti e familiari speciein relazione alla comunicazione dei proces-si decisionali di fine-vita.

— Nel malato al termine della vita la seda-zione e l’analgesia, ai dosaggi necessari ad eli-minare il dolore e la sofferenza, sono sempreclinicamente appropriate ed eticamente dove-rose.

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LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

Le ‘Raccomandazioni SIAARTI per l’am-missione e la dimissione dalla TI e per lalimitazione dei trattamenti in TI’, cui il pre-sente documento si ispira, rappresentano deisuggerimenti tesi a supportare gli operatorisanitari nei processi decisionali di fine vita;esse tengono conto della riflessione bioetica,delle norme deontologiche e dei riferimentigiuridici del nostro ordinamento, si ispiranoad analoghi documenti internazionali e sifondano sul consenso di un gruppo multidi-sciplinare di esperti 9.

Le ‘Raccomandazioni’ traggono fonda-mento dai quattro principi orientatori dellaBioetica: i principi di beneficienza/non male-ficienza, di giustizia e di autonomia.

Il primo afferma che l’obiettivo dell’attosanitario é fare il bene, producendo un van-taggio al soggetto destinatario, prevedendoperciò provvedimenti appropriati e rischi pro-porzionati.

Il principio di giustizia afferma l’egualevalore di ogni persona e la possibilità perognuno ad accedere al più alto standard dicure mediche, compatibilmente con le risor-se disponibili, senza alcuna discriminazione.

Il principio di autonomia della personamalata si esercita nella libertà di scelta fra leopzioni terapeutiche proposte, compresoanche il rifiuto delle stesse, nel rispetto delprincipio più generale dell’autodetermina-zione, del diritto cioè a compiere azioni invista della realizzazione del piano di vita checiascuno si è dato, ove non ne derivi un dan-no ad altri.

Le ‘Raccomandazioni’ inquadrano le TIcome il luogo in cui si attuano strategiemediche mirate a supportare le funzioni vita-li di un organismo gravemente malato; per-tanto ad esse si dovrà ricorrere nei casi in cuila patologia e lo stato di criticità siano poten-zialmente reversibili, i benefici attesi sianomaggiori dei rischi e dei disagi e gli esiti

siano accettabili dal punto di vista del mala-to.

Esse suggeriscono che l’ammissione in TIpuò essere guidata da una scala di prioritàche classifica i malati in base al potenzialebeneficio atteso dal trattamento intensivo; lascala ha un andamento decrescente, dalla‘Priorità 1’ (massimo beneficio atteso) alla‘Priorità 4’ (minimo o nessun beneficio atte-so).

In particolare, la ‘Priorità 3’ riguarda i mala-ti in condizioni critiche per una patologiaacuta in cui vi è incertezza sulla prognosi, enei quali la risposta ai trattamenti intensivirappresenta un utile criterio per continuarnel’applicazione o per desistere allorquando sirivelino di scarsissimo o nullo beneficio peril malato stesso.

Questa categoria comprende anche i mala-ti trattati in urgenza od emergenza con tera-pie intensive per i quali, una volta resa notauna eventuale volontà al riguardo, effettuatigli opportuni approfondimenti diagnosticie/o verificata la mancata risposta ai tratta-menti avviati, si può constatare l’impossibilitàa realizzare l’obiettivo terapeutico del per-corso intrapreso.

A tale proposito, le ‘Raccomandazioni’ riba-discono che la limitazione di provvedimentiterapeutici che abbiano come unica conse-guenza il prolungamento dell’agonia delmalato è lecita da un punto di vista etico edoverosa da un punto di vista deontologicoe che non esiste differenza dal punto di vistaetico fra decidere di non iniziare alcuni trat-tamenti e di sospenderli una volta accertatala loro inutilità

La limitazione di trattamenti intensivi nonva confusa con l’eutanasia, la quale consisteinvece, in accordo con tutta la più recenteriflessione bioetica, nella soppressione inten-zionale di una vita umana, su richiesta omeno da parte del malato stesso 62-64.

Vol. 72, N. MINERVA ANESTESIOLOGICA 21

APPENDICE ISintesi dei principi bioetici contenuti nelle ‘Raccomandazioni’ SIAARTI

Page 22: Cure Fine Vita approccio Morente - Timeoutintensiva · Appare quindi evidente che la limitazione dei trattamenti intensivi non si configura né come atto eutanasico né come abbandono

SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA

Coordinatori del Gruppo di Lavoro

G. R. GRISTINA: Anestesia e Rianimazione- Ospedale S.Camillo-Forlanini, Roma.

D. MAZZON: Anestesia e Rianimazione -Ospedale S.Martino, Belluno.

Gruppo di Lavoro

C. BARBISAN: Filosofo Bioeticista - ULSS 9,Treviso.

A. FELTRIN: Psicologia e Formazione -Centro Regionale Trapianti del Veneto.

L. ORSI: Cure Palliative - OspedaleMaggiore, Crema.

N. ZAMPERETTI: Anestesia e Rianimazione- Ospedale S.Bortolo, Vicenza.

Gruppo dei Revisori

M. ANTONELLI: Anestesia e Rianimazione- Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.

M. BARATTINI: Anestesia e Rianimazione- Ospedale Santa Maria Nuova, Firenze.

M. G. BARNESCHI: Anestesia e Rianima-zione - A.S.O. Universitaria Careggi, Firenze.

P. BELTRAMME: Anestesia e Rianimazione- Ospedale S.Camillo-Forlanini, Roma.

P. BENCIOLINI: Medicina Legale -Università Studi, Padova.

G.BERTOLINI: Epidemiologia Clinica -Istituto "Mario Negri", Ranica (BG).

F. BOBBIO PALLAVICINI: Anestesia eRianimazione - A.S.O. Universitaria SanMartino, Genova.

R. CECIONI: Medicina Legale USL 8, Arezzo- Consulta di Bioetica, Milano.

G. CONTI: Anestesia e Rianimazione -Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.

L. CORNALBA: Nefrologia e Dialisi -Azienda Ospedaliera di Melegnano (MI).

G. CORNARA: Anestesia e Rianimazione -A.S.O. S. Croce e Carle, Cuneo.

E. DE ROBERTIS: Anestesia e Rianimazione- Università Federico II, Napoli..

C. DEFANTI: Centro Alzheimer - Ospedale"Briolini", Gazzaniga (BG).

E. FACCO: Dip. di Farmacologia e Aneste-siologia - Universita’ Studi, Padova.

S. FUCCI: Magistrato, Consigliere pressola Corte di Appello, Milano.

A. GIANNINI: T.I. Pediatrica - I.R.C.C.S.Osp. Maggiore Policlinico Mangiagalli eRegina Elena, Milano.

F. GIUNTA: Anestesia e Rianimazione,Medicina del Dolore e Palliativa - UniversitàStudi, Pisa.

P. GRAMMATICO: Genetica medica,Comitato Etico - Ospedale S.Camillo-Forlanini, Roma.

A. GULLO: Anestesia e Rianimazione -Policlinico Universitario, Catania.

G. IAPICHINO: Anestesia e Rianimazione- Polo Universitario San Paolo, Milano.

S. LIVIGNI: Anestesia Rianimazione B-D.E.A. - Ospedale San Giovanni Bosco,Torino.

P. MALACARNE: Anestesia e Rianimazione,D.E.U. - Azienda Ospedaliera UniversitariaPisana, Pisa.

G. MARCHESI: Rianimazione - A.S.O.Bolognini, Seriate (BG).

M. MORI: Bioetica - Università Studi,Torino.

G. NARDI: Anestesia e Rianimazione -Ospedale S.Camillo-Forlanini, Roma.

D. NERI: Bioetica - Università Studi,Messina.

M. NOLLI: Anestesia e Rianimazione -Azienda Ospedaliera "Istituti Ospitalieri",Cremona.

E. PALERMO FABRIS: Dip. Diritto Pubblico,Internazionale, Comunitario - Università Studi,Padova.

F. PETRINI: Anestesia e Rianimazione -Università G.D’Annunzio, Chieti, Pescara.

M. PICCINNI: Dip. Diritto Comparato -Università Studi, Padova.

R. PROIETTI: Anestesia e Rianimazio-ne - Università Cattolica del Sacro Cuore,Roma.

M. RICCIO: Neuroanestesia e Rianima-zione, Cremona - Consulta di Bioetica, Mila-no.

22 MINERVA ANESTESIOLOGICA Mese 2006

APPENDICE IIFirmatari del documento

Page 23: Cure Fine Vita approccio Morente - Timeoutintensiva · Appare quindi evidente che la limitazione dei trattamenti intensivi non si configura né come atto eutanasico né come abbandono

LA CURA DI FINE VITA E L’ANESTESIA SIAARTI - COMMISSIONE DI BIOETICA

A. SANTOSUOSSO: Giudice Corte d’ap-pello, Milano - European Centre for LifeSciences Università Studi, Pavia.

G. SAVOIA: Anestesia e Rianimazione -Ospedale A.Cardarelli, Napoli..

M. SOLCA: Anestesia e Rianimazione -Ospedale A. Uboldo, Cernusco sul Naviglio(MI).

I. TESEI: Anestesia e Rianimazione -Ospedale S.Camillo-Forlanini, Roma.

P. TREVISAN: Anestesia e Rianimazione -Ospedale S.Martino, Belluno.

R. TUFANO: Anestesia e Rianimazione -Università Federico II, Napoli.

C. VIAFORA: Bioetica - Università Studi,Padova.

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