CULTURA SABATO 29 GENNAIO 2011 GIORNALE DI BRESCIA - … · pensione (Gigi Angelillo), che già...

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Col vescovo Ruppi alla riscoperta del «Santo del giorno» «Il vecchio e il cielo» sarà in scena al Teatro Grassi di Milano dal 3 al 9 maggio prossimi. Testo e regia Cesare Lievi, con Ludovica Modugno, Gigi Angelillo, la bresciana Giuseppina Turra, Paolo Fagiolo. Scene di Josef Frommwieser, luci di Gigi Saccomandi. È una coproduzione Css Teatro Stabile del Fvg col Teatro Nuovo Giovanni da Udine (info: www.piccoloteatro.org). Lo spettacolo ha debuttato con successo nel novembre scorso a Udine; dal 23 marzo sarà in tournée a Palermo, Trieste, Roma per arrivare a Milano a maggio. Racconta di un preside arrivato alla pensione (Gigi Angelillo), che già nelle prime ore di libertà vede sparire tutte le speranze di cambiamento e di riscatto che lui aveva proiettato su quel giorno fatidico. Decisivo è l’incontro imprevisto con un barbone - il «Cielo» del titolo della pièce - conosciuto in un bar vicino alla posta. Cesare Lievi, nativo di Villa di Gargnano, è autore di alcune raccolte di poesia. Ora invece sta lavorando ad un libro. «Sarà un testo a metà fra il letterario e il filosofico, una cosa nuova per me», spiega. Per l’ottobre del 2011 progetta «Il principe di Homburg». Arte, grazie ai cinesi le case d’aste fanno boom Superata la crisi del 2009 si torna ad acquistare: in prima fila i nuovi collezionisti d’oriente «S e respiriamo profon- damente e facciamo entrare il cielo in noi, anche noi diventia- mo belli. Belli dentro, intendo. Quieti. Sicuri», dice il clochard al- l’ex preside da poco entrato in quel- la fase della vita che porta a fare i conti con se stessi. Il cielo, spiega Cesare Lievi parlando della sua ulti- ma opera di drammaturgia messa in scena dal Teatro Stabile di inno- vazione del Friuli - Venezia Giulia, «è ciò che abbraccia la terra e che è una cosa sola con noi: noi finiamo, all’interno di una realtà eterna che trascende la nostra finitezza. Dob- biamo accettare il nostro essere parte di una realtà molto più vasta: allora tutto acquista un senso e questo ci conso- la. Con l’accettazione della nostra finitezza non siamo più ossessio- nati dal futuro: se abbia- mo il cielo dentro, vivia- mo in un eterno presen- te». La presentazione del li- bro «Il Vecchio e il Cielo» edito da Marsilio ha gre- mito ieri pomeriggio la sala dell’Associazione ar- tisti bresciani per iniziati- va della Cooperativa cattolico-de- mocratica di cultura, che per il 7 maggio invita ad assistere ad una replica a Milano della nuova propo- sta dell’ex direttore artistico del Ctb. «Un concittadino che da Bre- scia è arrivato nei più prestigiosi te- atri del mondo, con cui la nostra cit- tà ha un debito di gratitudine», ha detto in apertura dell’incontro il presidente della Ccdc Alberto Fran- chi accennando al «modo frettolo- so con cui una parte della città ha voluto separarsi da lui». Per il suo «ruolo di maestro», Cesare Lievi è tra gli ospiti preferiti della Coopera- tiva, ha aggiunto ricordando una sua frase del 1996, su nuovi modi con cui il fascismo si fa ancora pre- sente, seminando «cinismo, volga- rità, indifferenza». Intervistato da Lucia Mor, docente di Letteratura tedesca in Universi- tà Cattolica, Lievi ha parlato del- l’importanza della parola, in un contesto che nel corso del Nove- cento l’ha messa in crisi: «La crisi esiste, c’è un’inflazione di parole, che perdono il loro valore, ma io ho cercato di vincere questa impoten- za e in due ci siamo dati una mano - ha spiegato ricordando la collabo- razione con il fratello Daniele, sce- nografo autore dei disegni in mo- stra nella galleria di Vicolo delle Stelle -: nel teatro c’è la parola che viene detta e ascoltata; ci sono le lu- ci, i colori e i movimenti. Crea deter- minate situazioni che possono co- municare con autenticità. Sento il bisogno di comunicare con le paro- le, questo testo è molto dialogato». Un padre, una compa- gna, una figlia: queste le tre figure di una si- tuazione che all’inizio sembra del tutto abi- tuale. «Ho messo in at- to un inganno per il pubblico», spiega però l’autore. L’inizio da commedia realistica viene via via contrad- detto dagli sviluppi successivi, secondo «una tecnica di scrittura teatrale, che porta man mano lo spettatore a conoscere le cose». Sarà un barbone, con i suoi strani discorsi, a ribaltare la prospettiva per il preside neopensionato, «ex sessantottino mai cresciuto, che non ha visto chiaro in sé e ha cerca- to di essere altro. Credo che un pro- blema del nostro mondo sia quello di non saper guardare con lucidi- tà», commenta Lievi. Alter ego del vecchio preside, il clochard che si chiama Cielo lo aiuta a guardare in faccia la realtà, per aprirsi a una vi- ta nuova. La scenografia accompa- gna lo sviluppo della vicenda: in una stanza come tante si apre una fessura, la fessura si apre man ma- no fino a far sparire la stanza, che riprende alla fine il suo aspetto. Elisabetta Nicoli C ome è lontano il tempo (fine an- ni Quaranta del Novecento) nel quale ogni mattina, dopo le 7, sentivamo alla radio una sorta di «Buongiorno» con i santi di Piero Bargel- lini. Era un’Italia religiosa cattolicamente e laica, ma nella quale le radici non veniva- no messe in discussione o negate, per cui non sorprendeva che ci fosse una trasmis- sione di pochi minuti all’insegna del «San- to del giorno». Piero Bargellini era l’autore adatto: per fe- de, conoscenza, scrittura. Andò avanti a lungo con quella trasmissione, preceduta da un motivo musicale arioso. Poi quelle schede fecero volume fino ad arrivare a «Mille santi del giorno» (Vallecchi). C’era l’essenziale, esauriente ed esausti- vo, sui personaggi presentati, in quelle schede bargelliniane. Un esempio di pro- fonda conoscenza e di straordinaria capa- cità di sintesi, che ha fatto scuola. Infatti un vescovo, Cosmo Francesco Ruppi, in questi ultimi quattro anni ha ripreso, e se- guito, le orme di Bargellini, tracciando il profilo del «santo del giorno» in una quin- dicina di righe dattiloscritte, ma la rubrica va in onda molto prima dell’orario di quei tempi là; ogni mattina alle 5.30, dopo il pri- mo giornale radio Rai. E anche il vescovo Ruppi ha fatto una raccolta stampata, co- me già lo scrittore fiorentino fondatore e direttore del «Frontespizio». Ecco, dunque, «I santi del giorno» di Co- smo Francesco Ruppi in un elegante volu- metto pubblicato dalle Edizioni Messag- gero Padova (pagine 253, 13 euro), con presentazione di Filippo Anastasi, vicedi- rettore di «Giornale Radio 1», il quale si ri- fà a San Roberto Bellarmino e a San Carlo Borromeo, per via della efficacia delle pre- diche brevi (ma avrebbe potuto citare an- che don Giuseppe De Luca e addirittura Papa Benedetto XVI). A sottolineare come sia difficile, ma quanto mai opportuno, riuscire a sintetizzare! In questi 365 ritratti non potevano manca- re i grandi santi romagnoli riformatori: a incominciare da Pier Damiani (21 febbra- io), nato a Ravenna nel 1007, che aggiunse l’appellativo «Damiani» in segno di rico- noscenza al fratello maggiore, Damiano (appunto), che ne aveva curato l’educazio- ne. Legato al monastero camaldolese di Fonte Avellana, ma poi divenne predicato- re instancabile in giro per l’Italia, in obbe- dienza al Vescovo. Ancora: ecco San Romualdo, la cui festa ricorre il 19 giugno, fondatore del cenobio di Camaldoli, da cui prese il nome il nuo- vo ramo benedettino fondato dal santo eremita. E infine, Pietro Grisologo (30 luglio), vesco- vo ai tempi di Teodorico, dottore della Chiesa. Quel Pietro fu chiamato Grisolo- go, che vuole dire parola d’oro, «perché aveva il dono di farsi capire da tutti e di incantare tutti con la sua dottrina e il suo eloquio». Nel volumetto dei 365 santi dell’anno, c’è ovviamente la scelta compiuta dall’auto- re, dal momento che, come ben sappia- mo, ogni giorno viene ricordato più di un santo. Meraviglia però che al 23 luglio, mentre ci si aspetta di imbattersi in Apolli- nare, patrono di Ravenna, venga presenta- ta Brigida di Svezia. In compenso, l’autore non trascura i santi «moderni» e contemporanei, come Ma- dre Teresa di Calcutta, padre Pio da Pie- tralcina, e la senegalese suor Giuseppina Bakhita, per fare qualche esempio. Giovanni Lugaresi IN MAGGIO Lospettacolo saràinscena alTeatroGrassi Unvasocinese d’epocaMing venduto all’asta ILTEATRO «C’è un’inflazione di parole che perdono valore. Se la parola viene detta e ascoltata si può comunicare con autenticità» Cesare Lievi: «Io, cercatore di parole con lo sguardo aperto all’infinito» Nel libro «Il Vecchio e il Cielo» il drammaturgo affronta il tema della finitezza: «Siamo parte di una realtà molto più vasta, solo così tutto acquista un senso» Inalto:PaoloFagioloe(inprimopiano)GigiAngelillo.Sotto:CesareLievi MadreTeresa, una santacontemporanea B ene, benissimo. Anzi, mai anda- ta meglio di così. Il mercato del- l’arte è infatti tornato a crescere nel 2010 dopo la paura della grande crisi. I ricchi collezionisti, che pa- revano scappati, s’erano solo presi una pausa di riflessione. Morale: meglio inve- stire in Picasso e Giacometti che nel mat- tone - instabile - o nella finanza - un ri- schio. I conti parlano chiaro. Christie’s, prima casa d’aste mondiale per volumi, ha battuto opere per cinque miliardi di dollari, miglior risultato di sempre. «Nel 2009 il mercato dell’arte è andato vicino al fallimento» spiega Thierry Ehr- mann, amministratore delegato della so- cietà di raccolta dati Artprice. La ripresa, a quanto pare, era già iniziata a fine 2009. Poi, con il nuovo anno, una vera e propria esplosione - e non solo per Chri- stie’s. Anche il numero due, Sotheby’s, ha messo a segno una serie di successi. «È stato un anno straordinario - dichiara il direttore Bill Ruprecht - con la maggior crescita anno-su-anno nella storia delle case d’aste». Ovvero, scrive il Times, più di due miliardi di dollari rispetto al 2009, per un bilancio totale di 4,3 miliardi. Al terzo posto Bonhams, che non pubblica i risultati ma sostiene di aver avuto l’an- nata migliore dal 2000. Il nuovo boom è guidato dall’arte asiatica, nuova locomo- tiva del settore, terza categoria più im- portante nel portfolio di Christie’s con volumi pari a quasi 600 milioni di sterli- ne. I collezionisti cinesi sono affamati del loro patrimonio artistico, finito al- l’estero nel corso dei secoli. Ma i dragoni cinesi non disdegnano certo i «blockbu- ster» tradizionali come Impressionisti e Avanguardie. «I cinesi - ha spiegato Jussi Pylkkanen di Christie’s Europa - entrano nel mercato con gusti nuovi e tasche pie- ne: hanno già cambiato il mercato dei Pi- casso e dei Monet». 50 SABATO 29 GENNAIO 2011 GIORNALEDIBRESCIA CULTURA

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Col vescovo Ruppialla riscopertadel «Santodel giorno»

■ «Il vecchio e il cielo» sarà inscena al Teatro Grassi di Milano dal3 al 9 maggio prossimi. Testo eregia Cesare Lievi, con LudovicaModugno, Gigi Angelillo, labresciana Giuseppina Turra, PaoloFagiolo. Scene di JosefFrommwieser, luci di GigiSaccomandi. È una coproduzioneCss Teatro Stabile del Fvg colTeatro Nuovo Giovanni da Udine(info: www.piccoloteatro.org).

Lo spettacolo ha debuttato consuccesso nel novembre scorso aUdine; dal 23 marzo sarà intournée a Palermo, Trieste, Romaper arrivare a Milano a maggio.Racconta di un preside arrivato allapensione (Gigi Angelillo), che giànelle prime ore di libertà vedesparire tutte le speranze dicambiamento e di riscatto che luiaveva proiettato su quel giornofatidico. Decisivo è l’incontro

imprevisto con un barbone - il«Cielo» del titolo della pièce -conosciuto in un bar vicino allaposta. Cesare Lievi, nativo di Villadi Gargnano, è autore di alcuneraccolte di poesia.Ora invece sta lavorando ad unlibro. «Sarà un testo a metà fra illetterario e il filosofico, una cosanuova per me», spiega. Perl’ottobre del 2011 progetta «Ilprincipe di Homburg».

Arte, grazie ai cinesi le case d’aste fanno boomSuperata la crisi del 2009 si torna ad acquistare: in prima fila i nuovi collezionisti d’oriente

«Se respiriamo profon-damente e facciamoentrare il cielo in noi,anche noi diventia-

mo belli. Belli dentro, intendo.Quieti. Sicuri», dice il clochard al-l’expreside da poco entratoin quel-la fase della vita che porta a fare iconti con se stessi. Il cielo, spiegaCesareLievi parlandodella sua ulti-ma opera di drammaturgia messain scena dal Teatro Stabile di inno-vazione del Friuli - Venezia Giulia,«è ciò che abbraccia la terra e che èuna cosa sola con noi: noi finiamo,all’interno di una realtà eterna chetrascende la nostra finitezza. Dob-biamo accettare il nostro essereparte di una realtà molto più vasta:allora tutto acquista unsenso e questo ci conso-la. Con l’accettazionedella nostra finitezzanon siamo più ossessio-nati dal futuro: se abbia-mo il cielo dentro, vivia-mo in un eterno presen-te».La presentazione del li-bro «Il Vecchio e il Cielo»edito da Marsilio ha gre-mito ieri pomeriggio lasaladell’Associazionear-tistibrescianiper iniziati-va della Cooperativa cattolico-de-mocratica di cultura, che per il 7maggio invita ad assistere ad unareplicaaMilano della nuova propo-sta dell’ex direttore artistico delCtb. «Un concittadino che da Bre-scia è arrivato nei più prestigiosi te-atridelmondo, con cui lanostra cit-tà ha un debito di gratitudine», hadetto in apertura dell’incontro ilpresidentedellaCcdc Alberto Fran-chi accennando al «modo frettolo-so con cui una parte della città havoluto separarsi da lui». Per il suo«ruolo di maestro», Cesare Lievi ètragli ospiti preferiti della Coopera-tiva, ha aggiunto ricordando unasua frase del 1996, su nuovi modicon cui il fascismo si fa ancora pre-sente, seminando «cinismo, volga-rità, indifferenza».Intervistato da Lucia Mor, docente

di Letteratura tedesca in Universi-tà Cattolica, Lievi ha parlato del-l’importanza della parola, in uncontesto che nel corso del Nove-cento l’ha messa in crisi: «La crisiesiste, c’è un’inflazione di parole,che perdono il loro valore, ma io hocercato di vincere questa impoten-za e in due ci siamo dati una mano- ha spiegato ricordando la collabo-razione con il fratello Daniele, sce-nografo autore dei disegni in mo-stra nella galleria di Vicolo delleStelle -: nel teatro c’è la parola chevienedetta e ascoltata; cisono le lu-ci, icolorie imovimenti.Creadeter-minate situazioni che possono co-municare con autenticità. Sento ilbisognodi comunicare con leparo-

le, questo testo è moltodialogato».Un padre, una compa-gna, una figlia: questele tre figure di una si-tuazione che all’iniziosembra del tutto abi-tuale. «Ho messo in at-to un inganno per ilpubblico», spiega peròl’autore. L’inizio dacommedia realisticaviene via via contrad-detto dagli sviluppisuccessivi, secondo

«una tecnica di scrittura teatrale,che porta man mano lo spettatorea conoscere le cose».Sarà un barbone, con i suoi stranidiscorsi, a ribaltare la prospettivaper il preside neopensionato, «exsessantottino mai cresciuto, chenon ha visto chiaro in sé e ha cerca-to di essere altro. Credo che un pro-blema del nostro mondo sia quellodi non saper guardare con lucidi-tà», commenta Lievi. Alter ego delvecchio preside, il clochard che sichiama Cielo lo aiuta a guardare infaccia la realtà, per aprirsi a una vi-ta nuova. La scenografia accompa-gna lo sviluppo della vicenda: inuna stanza come tante si apre unafessura, la fessura si apre man ma-no fino a far sparire la stanza, cheriprende alla fine il suo aspetto.

Elisabetta Nicoli

Comeèlontanoiltempo(finean-niQuarantadelNovecento)nelquale ogni mattina, dopo le 7,sentivamo alla radio una sorta

di«Buongiorno»conisantidiPieroBargel-lini. Era un’Italia religiosa cattolicamenteelaica,manellaqualeleradicinonveniva-no messe in discussione o negate, per cuinonsorprendevachecifosseunatrasmis-sionedipochiminutiall’insegnadel«San-to del giorno».Piero Bargellini era l’autore adatto: per fe-de, conoscenza, scrittura. Andò avanti alungo con quella trasmissione, precedutada un motivo musicale arioso. Poi quelleschede fecero volume fino ad arrivare a«Mille santi del giorno» (Vallecchi).C’era l’essenziale, esauriente ed esausti-vo, sui personaggi presentati, in quelleschede bargelliniane. Un esempio di pro-fondaconoscenzaedistraordinariacapa-cità di sintesi, che ha fatto scuola. Infattiun vescovo, Cosmo Francesco Ruppi, inquesti ultimi quattro anni ha ripreso, e se-guito, le orme di Bargellini, tracciando ilprofilo del «santo del giorno» in una quin-dicina di righe dattiloscritte, ma la rubricava in onda molto prima dell’orario di queitempilà;ognimattinaalle5.30,dopoilpri-mo giornale radio Rai. E anche il vescovoRuppi ha fatto una raccolta stampata, co-me già lo scrittore fiorentino fondatore edirettore del «Frontespizio».Ecco, dunque, «I santi del giorno» di Co-smoFrancescoRuppiinunelegantevolu-metto pubblicato dalle Edizioni Messag-gero Padova (pagine 253, 13 euro), conpresentazione di Filippo Anastasi, vicedi-rettore di «Giornale Radio 1», il quale si ri-fà a San Roberto Bellarmino e a San CarloBorromeo,perviadellaefficaciadellepre-diche brevi (ma avrebbe potuto citare an-che don Giuseppe De Luca e addiritturaPapa Benedetto XVI).A sottolineare comesia difficile, ma quanto mai opportuno,riuscire a sintetizzare!Inquesti365ritrattinonpotevanomanca-re i grandi santi romagnoli riformatori: aincominciare da Pier Damiani (21 febbra-io),natoa Ravennanel 1007,che aggiunsel’appellativo «Damiani» in segno di rico-noscenza al fratello maggiore, Damiano(appunto),cheneavevacuratol’educazio-ne. Legato al monastero camaldolese diFonteAvellana,mapoidivennepredicato-re instancabile in giro per l’Italia, in obbe-dienza al Vescovo.Ancora: ecco San Romualdo, la cui festaricorre il19 giugno, fondatoredel cenobiodi Camaldoli, da cui prese il nome il nuo-vo ramo benedettino fondato dal santoeremita.Einfine,PietroGrisologo(30luglio),vesco-vo ai tempi di Teodorico, dottore dellaChiesa. Quel Pietro fu chiamato Grisolo-go, che vuole dire parola d’oro, «perchéaveva il dono di farsi capire da tutti e diincantare tutti con la sua dottrina e il suoeloquio».Nel volumetto dei 365 santi dell’anno, c’èovviamente la scelta compiuta dall’auto-re, dal momento che, come ben sappia-mo, ogni giorno viene ricordato più di unsanto. Meraviglia però che al 23 luglio,mentrecisiaspettadi imbattersiinApolli-nare,patronodiRavenna,vengapresenta-ta Brigida di Svezia.In compenso, l’autore non trascura i santi«moderni» e contemporanei, come Ma-dre Teresa di Calcutta, padre Pio da Pie-tralcina, e la senegalese suor GiuseppinaBakhita, per fare qualche esempio.

Giovanni Lugaresi

IN MAGGIO

Lo spettacolosarà in scenaal Teatro Grassi

Un vaso cinesed’epoca Mingvenduto all’asta

IL TEATRO«C’è un’inflazione

di parole cheperdono valore.

Se la parola vienedetta e ascoltata sipuò comunicarecon autenticità»

Cesare Lievi: «Io, cercatore di parolecon lo sguardo aperto all’infinito»Nel libro «Il Vecchio e il Cielo» il drammaturgo affronta il tema della finitezza:«Siamo parte di una realtà molto più vasta, solo così tutto acquista un senso»

In alto: Paolo Fagiolo e (in primo piano) Gigi Angelillo. Sotto: Cesare Lievi

Madre Teresa, una santa contemporanea

Bene, benissimo. Anzi, mai anda-ta meglio di così. Il mercato del-l’arte è infatti tornato a crescerenel 2010 dopo la paura della

grande crisi. I ricchi collezionisti, che pa-revano scappati, s’erano solo presi unapausadi riflessione. Morale:meglio inve-stire in Picasso e Giacometti che nel mat-tone - instabile - o nella finanza - un ri-schio. I conti parlano chiaro. Christie’s,prima casa d’aste mondiale per volumi,ha battuto opere per cinque miliardi didollari, miglior risultato di sempre.«Nel 2009 il mercato dell’arte è andatovicino al fallimento» spiega Thierry Ehr-

mann,amministratore delegato della so-cietà di raccolta dati Artprice. La ripresa,a quanto pare, era già iniziata a fine2009. Poi, con il nuovo anno, una vera epropria esplosione - e non solo per Chri-stie’s. Anche il numero due, Sotheby’s,ha messo a segno una serie di successi.«È stato un anno straordinario - dichiarail direttore Bill Ruprecht - con la maggiorcrescita anno-su-anno nella storia dellecase d’aste». Ovvero, scrive il Times, piùdi due miliardi di dollari rispetto al 2009,per un bilancio totale di 4,3 miliardi. Alterzo posto Bonhams, che non pubblicai risultati ma sostiene di aver avuto l’an-

nata migliore dal 2000. Il nuovo boom èguidatodall’arte asiatica,nuova locomo-tiva del settore, terza categoria più im-portante nel portfolio di Christie’s convolumi pari a quasi 600 milioni di sterli-ne. I collezionisti cinesi sono affamatidel loro patrimonio artistico, finito al-l’estero nel corso dei secoli. Ma i dragonicinesi non disdegnano certo i «blockbu-ster» tradizionali come Impressionisti eAvanguardie. «I cinesi - ha spiegato JussiPylkkanen di Christie’s Europa - entranonel mercato con gusti nuovi e tasche pie-ne: hanno già cambiato il mercato dei Pi-casso e dei Monet».

50 SABATO 29 GENNAIO 2011 GIORNALE DI BRESCIACULTURA