CULTURA E INFORMAZIONE SUL KARATE-DOSeishinkan Karate-Do M°Mauro Mancini CULTURA E INFORMAZIONE SUL...

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A cura di Alessandro Parodi Karate no shugyo waissho de aru - Il karate si pratica tutta la vita Karate no shugyo waissho de aru - Il karate si pratica tutta la vita Seishinkan Karate-Do M° Mauro Mancini CULTURA E INFORMAZIONE SUL KARATE-DO Il Maestro Kase in occasione dello stage tenutosi a Sappada nel mese di Settembre 2002 ha voluto lasciare una traccia del passato, raccontando alcuni aneddoti dei suoi maestri e della sua vita. “Siamo nel Febbraio del 1944, avevo ottenuto una lettera di presentazione dal maestro Hironishi e mi presentai allo Shoto dojo del Maestro Gichin Funakoshi (1868 – 1957). Praticavo da una settimana quando il Maestro Yoshitaka - chiamato anche Gikko (… - 1945), terzultimo figlio del Maestro Gichin Funakoshi che, nel 1934 aveva sostituito Takeshi Shimoda assistente del padre deceduto, mi si parò di fronte. Il Maestro Yoshitaka senza proferire una parola eseguì, dalla posizione heisokudachi (posizione in piedi) una prima volta al rallenti, maegeri frontale, richiamò la gamba mantenendo l’hikiashi (ginocchio sollevato al petto) e senza appoggiare estendeva la gamba lateralmente per fare yokogeri, poi dalla gamba stesa ruotava con il corpo per fare un calcio circolare (mawashigeri). Al ritorno del calcio, appoggiava la gamba al suolo, dimostrando una grande padronanza muscolare e un notevole controllo mentale del proprio corpo. Poi, improvvisamente, eseguiva le stesse tecniche con una velocità e un kime inimmaginabili. Io, a due metri di distanza, era come se fossi stato investito da un forte vento capace di spostarmi. Sono passati 57 anni eppure mi sembra ieri, e quella sensazione è ancora viva nella mia mente e nel mio cuore. Quella era l'immagine e il livello tecnico del vero karate-do e quell’immagine ancor oggi, a 73 anni, mi spinge a cercare e a migliorare la mia tecnica, con più velocità, più kime. Poi, dopo quest’incredibile kermesse, il Maestro Yoshitaka tornò a sorridere, rilassato, come se nulla fosse accaduto. Scioccato, avevo ammirato una tecnica bella, pulita, come qualche cosa di non umano. La “quarta dimensione”.” Come cercava più tardi di spiegarci il Maestro Kase, il karate non è solo forza fisica o eleganza, ma vi è in esso un mistero, qualche cosa di trascendente, un livello che il karateka cerca di cogliere e conseguire, ammesso che sia disposto a cercarlo. Lo Shoto Dojo era stato realizzato, nel 1937, grazie all’intervento dello stesso Yoshitaka, che aveva raccolto i fondi dagli allievi del padre Gichin, che nel 1922 aveva lasciato Okinawa per adempiere la sua missione di presentare il karate in Giappone. n. 15 - Gennaio 2009 "Quello che noi studenti abbiamo visto era solamente il bianco bagliore del karategi esplodere in tre direzioni. Non erano la gamba e il corpo che noi percepivamo muoversi. Dojo riprende a parlare di karate e di grandi maestri, quelli che ne hanno scolpito, con le loro gesta, la storia nel tempo. Si parlerà della pratica, di tutto ciò che può aiutarci a capire e a progredire. Si parlerà anche di voi, delle vostre storie, e dei vostri progressi nel do. Voglio ringraziare il Maestro Mauro non solo per avermi dato sin da subito, la sua fiducia per questo mio piccolo progetto, contribuendo egli stesso personalmente alla sua realizzazione, ma anche per avermi dimostrato in molte occasioni la sua stima per ciò che riesco a dare, anche se a volte faticosamente. Torna Dojo Intervista al Maestro

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A cura di Alessandro ParodiKarateno shugyo wa issho de aru - Il karatesi pratica tutta la vitaKarateno shugyo wa issho de aru - Il karatesi pratica tutta la vita

Seishinkan Karate-Do M°Mauro Mancini

CULTURA E INFORMAZIONE SUL KARATE-DO

Il Maestro Kase in occasione dello stage tenutosi a Sappada

nel mese di Settembre 2002 ha voluto lasciare una traccia del passato, raccontando alcuni aneddoti dei suoi maestri e della sua vita. “Siamo nel Febbraio del 1944, avevo ottenuto una lettera di presentazione dal maestro Hironishi

e mi presentai allo Shoto

dojo del Maestro

Gichin

Funakoshi

(1868 –

1957). Praticavo da una

settimana quando il Maestro Yoshitaka

-

chiamato anche Gikko

(…

-

1945), terzultimo figlio del Maestro Gichin

Funakoshi

che, nel 1934 aveva sostituito Takeshi

Shimoda

assistente del padre deceduto, mi si parò di fronte. “

Il Maestro Yoshitaka

senza proferire una parola eseguì, dalla posizione heisokudachi

(posizione in piedi) una prima volta al rallenti, maegeri

frontale, richiamò la gamba mantenendo l’hikiashi

(ginocchio sollevato al petto) e senza appoggiare estendeva la gamba lateralmente per fare yokogeri, poi dalla gamba stesa ruotava con il corpo per fare un calcio circolare (mawashigeri). Al ritorno del calcio, appoggiava la gamba al suolo, dimostrando una grande padronanza muscolare e un notevole controllo mentale del proprio corpo. Poi, improvvisamente,

eseguiva le stesse tecniche con una velocità

e un kime

inimmaginabili.

Io, a due metri di distanza, era come se fossi stato investito da un forte vento capace di spostarmi. Sono passati 57

anni eppure mi sembra ieri, e quella sensazione è

ancora viva nella mia mente e nel mio cuore. Quella era l'immagine e il livello tecnico del vero karate-do e

quell’immagine ancor oggi, a 73 anni, mi spinge a cercare e a

migliorare la mia tecnica, con più

velocità, più

kime. Poi, dopo quest’incredibile kermesse, il Maestro Yoshitaka

tornò a sorridere, rilassato, come se nulla fosse accaduto. Scioccato, avevo ammirato una tecnica bella, pulita, come qualche cosa di non umano. La “quarta dimensione”.”

Come cercava più

tardi di spiegarci il

Maestro Kase, il karate non è

solo forza fisica o eleganza, ma vi è

in esso un mistero, qualche cosa di trascendente, un livello che il

karateka cerca di cogliere e conseguire, ammesso che sia disposto a cercarlo.

Lo Shoto

Dojo era stato realizzato, nel 1937, grazie all’intervento dello stesso Yoshitaka, che aveva raccolto i fondi dagli allievi del padre Gichin, che nel 1922 aveva lasciato Okinawa per adempiere la sua missione di presentare il karate in Giappone.

n. 15 -

Gennaio 2009

"Quello che noi studenti abbiamo visto era solamente il bianco bagliore del karategi

esplodere in tre direzioni. Non erano la gamba e il corpo che noi percepivamo muoversi.

Dojo riprende a parlare di karate e di grandi maestri, quelli che ne hanno scolpito, con le loro gesta, la storia nel tempo. Si parlerà

della pratica, di tutto ciò che può aiutarci a capire e a progredire. Si parlerà

anche di voi, delle vostre storie, e dei vostri progressi nel do.Voglio ringraziare il Maestro Mauro non

solo per avermi dato sin da subito, la sua fiducia per questo mio piccolo progetto, contribuendo egli stesso personalmente alla sua realizzazione, ma anche per avermi dimostrato in molte occasioni la sua stima per ciò che riesco a dare, anche se a volte faticosamente.

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Intervista al Maestro

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“Ero incaricato, da vero deshi

(allievo), di andare a prendere e riaccompagnare Funakoshi

sensei, che era già

anziano. Da buon allievo lo salutavo sempre con “oss

sensei”

e gli portavo il suo keikogi

avvolto in uno scialle. Egli parlava molto sottovoce e io cercavo di capire

quello che mi diceva sui vari aspetti del karate.”"Funakoshi

sensei

vestiva in modo molto tradizionale con un kimono nero, hakama, un cappello nero e zori

(zoccoli) molto alti ad un dente solo, come si usava nei tempi passati! Asseriva: “Non metto gli zori

altissimi per aumentare la mia statura, ma per migliorare il senso d’equilibrio”. Non passava certo inosservato, visto

l'abbigliamento piuttosto compassato, in una società, quella giapponese del dopoguerra, che mirava

all’americanizzazione in tutti i sensi".

Quello era ieri. Oggi? Iniziai la pratica dello shotokan

in quel lontano giorno del 1944, sono passati 58 anni. Nel dopoguerra entrai nella J.K.A.

(Japan

Karate Association) fondata da Masatoshi

Nakayama

(1913-1993) nel 1949, e partii poi per la Francia, un po’

lamia

seconda patria. Il karate-do JKA era molto diverso da quello che avevo praticato con Yoshitaka. Mi ponevo delle domande: come mi dovevo allenare per

raggiungere quella esplosività, forma, velocità

e kime

che avevo sempre negli occhi da quel giorno del 1944, quando Yoshitaka

sensei

eseguì

quella sua kermesse di geri, che s’intravedeva anche nei kata. Poi finalmente ho capito: bisognava analizzare e comprendere la storia del karate.”

Stando alle sue stesse parole, Gichin

Funakoshi

aveva per compagno di scuola alle elementari, il figlio del maestro Azato. All'età

di 13 anni viene presentato al maestro Azato

che lo accetta come allievo. Il maestro Azato, proveniente da una famiglia di nobile rango, aveva avuto l'educazione di un samurai, sia culturale sia alla pratica delle arti marziali, ed era al servizio della famiglia reale al castello di Shuri. Fu, inoltre, uno dei primi nobili a liberarsi del ciuffo alla cinese. Alto, largo di spalle, era un perfetto studioso ed esperto di karate e kendo. Era un insegnante molto esigente e non si accontentava facilmente dei risultati del suo allievo. Spesso passavano anni prima che a Funakoshi

fosse permesso di imparare un nuovo kata. Un altro insegnante di Funakoshi, amico di Azato, è

stato Yasutsune

Itosu, importante funzionario del vecchio governo che, ritiratosi dal servizio nel 1885, insegnava karate a pochi studenti scelti,

a casa sua. Itosu

era di statura media, ma aveva un torace possente, un fisico di granito e una straordinaria forza nelle braccia. Itosu

poteva schiacciare una spessa canna di bambù

con la stretta della sua mano, simile ad una morsa. Sotto la guida di Itosu, Funakoshi

continuò ad approfondire lo studio e la conoscenza del karate. Proprio per la sua struttura corporea, il maestro Itosu

aveva tecniche piccole e molto potenti. A un certo punto Kase sensei

si domanda“Come mai Kenwa

Mabuni, fondatore dello Shito

Ryu, e il maestro Gichin

Funakoshi, entrambi allievi dello stesso Itosu, avevano uno stile di karate così

differente? Come si sa le posizioni dello shito

ryu

sono più

raccolte di quelle dello shotokan. Capì

allora che la differenza consisteva nel fatto che il vero maestro di Funakoshi

era il maestro Azato.

Una stima e una fiducia incondizionate, che in questi pochi anni che ho potuto allenarmi nel suo dojo, hanno rappresentato per me uno stimolo a continuare a praticare e mi hanno fatto capire molto, non solo come karateka ma come uomo. Il suo impegno costante a migliorarsi e la sua umiltà

mi sono state di esempio in molte occasioni e hanno rappresentato il fulcro di importanti cambiamenti nella mia vita. Principalmente riguardo al fatto di non mollare mai la presa, di dare sempre il massimo e cercare di migliorare sempre. Ho capito che bisogna stare sempre in guardia con la

nostra natura egoistica e non risparmiarsi mai. Ho capito che è’

dura fare il maestro perché

bisogna sempre avere il coraggio di mettersi in discussione e avere l’umiltà

di farlo. Grazie Maestro. Voglio ringraziare

anche il mio amico Leo, neo cintura nera, faticosamente guadagnata dopo anni di fatiche e sudore, per i suoi preziosi scambi di email

e i suoi consigli. Ora che sei cintura nera dagli giù!!!

Alessandro

“Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, 1945, lo Shoto

dojo viene incendiato da uno dei tanti disastrosi raid aerei. In

quel periodo ero ufficiale marina e mi ero sottoposto ad uno speciale allenamento per divenire un kamikaze. Sei mesi dopo, Yoshitaka

sensei

moriva.”

“Terminata la guerra (1946) alla "Sensho

University"

, famosa per l'economia,

sotto insegnamento di Hironishi

sensei, praticai karate dalle 8 della mattina sino alla sera, altro che studi! Il lunedì, al dojo

dell'università, insegnava

lo stesso Gichin

Funakoshi, accompagnato qualche

volta dal figlio maggiore.”

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“Raggiungere un livello così

alto è

possibile, ma occorre pensare e praticare la “Via”

del karate-

do, come budo, non come sport. Il Maestro Gichin

Funakoshi

e suo figlio Yoshitaka

hanno dato questa direzione, in particolare Yoshitaka

e i suoi più

stretti assistenti hanno parlato di “quarta dimensione”

e di Ki, energia, pochi principi, ma molto chiari.”

Dice il Maestro Kase: “Okuyama, assistente del Maestro Yoshitaka

Funakoshi, si muove in questa direzione e ha enormemente influenzato il mio karate. Quando mi allenavo con Yoshitaka

sensei

pensavo che l’Ô waza

fosse il punto d’arrivo per sviluppare la velocità, l’esplosività, il kime. Oggi sono convinto che se il Maestro Yoshitaka

fosse vivo avrebbe continuato la sua ricerca rivoluzionaria, andando oltre. Ô waza

per me è

solo l’inizio, una parte del percorso che deve abbracciare tutto. Tra tecnica grande (Ô Waza) e tecnica piccola (Ko Waza) dal punto di vista dell’energia non ci deve essere differenza. Ô waza

prepara, al limite, Ko waza

che meglio si adatta all’applicazione in combattimento, però attenzione, io credo che per cominciare a

studiare seriamente questi concetti, questo mio karate, occorre una base di 20 –

30 anni di lavoro tradizionale shotokan, senza la quale è

molto difficile aver costruito quell’energia necessaria per

esprimere tali livelli. Per esempio: Yoshitaka

sensei

quando mostrava il suo tsuki

aveva le mani aperte alla distanza utile per ko waza, ma quando arrivava ti bucava. Non spingeva il pugno come fanno molti, penetrava. Ve lo assicuro. Con un cambiamento indecifrabile trasformava Ko in Ô. Questa visione mi ha accompagnato per tutta

la vita. Anch'io non avevo capito a quel tempo. Oggi, 55 anni dopo, mi rendo conto che è

questa la “Via”

per acquisire qualche cosa in più, per andare più

in là. Okuyama

Tadao

A cura di Luciano Puricelli

Vorrei soffermarmi su un aspetto che, leggendo alcuni testi sulle arti marziali, ho riscontrato diverse volte e mi ha incuriosito per l’apparente contraddizione che suscita. Abbiamo visto che Sun

Tzu

afferma, riguardo al fatto di dominare il proprio avversario senza

combattere, che questo può essere considerato uno stato ultimo della strategia che si avvicina al bene.

A proposito di...

Yoshitaka

Funakoshi

Un esempio: il kata

Sochin

del maestro Sokon

Matsumura

era grande e ampio, diverso da quello trasmesso da Itosu. Difatti, dice il maestro Kase, a Okinawa si parlava di “Sochin

Matsumura”. Quindi la tecnica del maestro Gichin

Funakoshi, benché

sia stato anche allievo del maestro Anko

Itosu, si iscrive genealogicamente

e storicamente nella tradizione che procede da: Sokon

Matsumura, Azato, Gichin

Funakoshi

e da suo figlio Yoshitaka, e continuata oggi dal Maestro Taiji Kase. Quando il maestro Gichin

Funakoshi

si trasferisce da Shuri, Okinawa, in Giappone, ottiene sì

un grande successo personale, suscitando l'interesse di molti esperti di arti marziali, tra cui lo stesso Jgoro

Kano, ma ha inoltre la possibilità

di entrare in contatto con il budo

giapponese, e immediatamente si rende conto dell'altissimo livello che essi erano in grado di esprimere, specialmente nell’arte della spada. Capisce che bisogna elevare l’arte del karate al livello di quella del budo, ed è

qui che l’opera del figlio Yoshitaka

si rivela fondamentale.

Yoshitaka

opera quel cambiamento rivoluzionario, includendo nella tecnica, la ricerca della

“Quarta dimensione”

grazie alla quale, per esempio, un esperto di kendo poteva esprimere una tale

concentrazione d’energia, da permettergli di tagliare un elmo da guerra con un colpo di katana (dimostrazione effettivamente avvenuta davanti all’imperatore del Giappone).”

"Azato

era un nobile samurai esperto di kendo, della scuola Jigen

ryu

tramandata ad Okinawa dal clan Satsuma, esiliato nell'isola a seguito della sconfitta col clan Tokugawa.”

Lo jigen

ryu

si caratterizzava per l'impiego di tecniche molto grandi, incredibilmente potenti, veloci ed efficaci”, giustamente come dice il Maestro Kase, “Ô waza.“Inoltre, -

continua il Maestro Kase –

“Azato

era stato allievo del Maestro Sokon

Matsumura, responsabile militare presso la famiglia reale a Shuri, ed esperto di jgen

ryu.”

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Considerare il karate come un mero metodo di autodifesa forse diventa riduttivo. In una società

come la nostra dove i tempi si accorciano sempre di più, per lasciare posto ad obiettivi tutt’altro che altruisti il karate può svolgere un ruolo chiave per riappropriarci di dinamiche ormai scomparse dal nostro campo cognitivo ed esistenziale. Il karate, come qualsiasi altro

tipo di Do, di via, di metodo per conoscere la nostra vera natura, per studiare noi stessi e progredire allora.

Ma cosa intendiamo con questo concetto? Cosa vogliamo asserire quando parliamo di progredire nella via? Non è

anche un modo per sentirci più

vivi, più

presenti, più

concreti in un mondo sempre più

virtuale e sfuggevole? Non può essere che seguire il Do significa seguire un punto di riferimento, sempre più

raro da trovare in un mondo dettato da principi sempre più

utilitaristici?

Alla crisi dei valori dell’ultimo ventennio si affianca in questi ultimo periodo la crisi economica e il conseguente crollo di quello che più

o meno per tutti noi rappresenta un “dio”: il denaro. Per chi deve sbarcare il lunario, chi ha voglia di apparire con la borsa griffata o chi crede nel potere che da nel possederlo, il denaro serve a tutti. E non solo per campare ma per avere un’identità, per esistere e sentirlo veramente. Il Do rappresenta l’alternativa che per molti giovani può essere vitale. Le famiglie

si disgregano, la religione non riesce a creare aggregazione come un tempo, la natura è

distrutta e poco tutelata con la conseguente estinzione di molte specie animali. Le ideologie non esistono più

così

come non esistono più

i suoi ferventi sostenitori, quelli seri. Nell’era dei voltagabbana, dei politici imprenditori, dei grandi fratelli e isole dei famosi e fattorie varie conta molto l’apparire, l’esteriore, l’avere sempre più

degli altri.

A chi, qualche tempo fa aveva posto un interessante quesito ai karateka, a chi si allena duramente e suda in palestra, a chi accompagna e riporta facendosi ore di traffico, a chi spende soldi e fatica per seguire il maestro agli stage, su chi o cosa spinge a fare tutta

questa enorme fatica, si potrebbe rispondere tranquillamente che è

la voglia di contrastare tutto ciò che di sterile, insensato, disgregante, umiliante, abbruttente, alienante, c’è

nella società

che ci circonda. Il Do fortifica la forza di volontà

a non cedere al ricatto sociale di un sistema basato su principi egoistici e materialistici. Unisce, diverte perché

no, fa crescere e capire che bene e male si compensano e insieme creano armonia, che una vittoria esiste grazie alla sconfitta, che esiste ancora la speranza di cambiare le cose in meglio e che il mondo non è

un enorme cassonetto dove puoi buttare di tutto ma va rispettato così

come vanno rispettati gli altri esseri. Che il cambiamento deve

avvenire dentro l’essere umano prima di tutto. Chi studia il Do forse è

avvantaggiato in questo, capisce prima perché

ha costantemente di fronte la possibilità

di scontrarsi con i propri limiti e doverli trascendere con umiltà, per poter progredire. Forse, credo, anzi ne sono sicuro che, rispetto ai tempi del Maestro Funakoshi

non ci siano stati tanti cambiamenti nella concezione del karate come metodo di crescita spirituale e, diciamo pure, sociale. E’

conveniente parlare quindi di karate come “heiko”

metodo della pace per avere una piena comprensione delle sue potenzialità

più

che come semplice metodo per imparare l’arte dell’autodifesa.

In un altro testo su Miyamoto

Musashi, il più

famoso e imbattuto spadaccino di tutti i tempi, si narra che i suoi ultimi duelli si concludevano senza che lui avesse sfoderato la spada, ma inducendo il suo avversario ad abbandonare il proposito di combattere e a riflettere di più

sul senso della propria vita.

Lo stesso Egami, allievo di Funakoshi, nei suoi scritti, ci parla del concetto di Heiko

ovvero il metodo della via del karate concepito come “metodo della pace”. Riassumo brevemente ciò che intendeva.

“Quando ero giovane pensavo che il karate dovesse essere assolutamente efficace e ho praticato i combattimenti liberi e, per rinforzare lo tsuki, ho anche colpito un makiwara

particolarmente solido; invece di utilizzare un’asse flessibile, ho utilizzato un palo quadrato di 9 cm. Ho così

deviato dal vero karate...”

“C’è

un metodo che permetta di far progredire reciprocamente gli avversari e di vivere meglio, sia l’uno che l’altro? Si tratterebbe di un metodo che va al di là

del budo. Non è

forse necessario andare alla ricerca di questo metodo? La via del karate ci propone un tema di ricerca: come vivere la nostra vita, che è

solo un istante rispetto all’eternità. Ogni insignificante istante della nostra vita è

legato alla vita eterna mediante la via. La via del karate c’insegna la vita reale... L’heiko, metodo della pace, fa parte della tradizione giapponese.”

Ma che cosa s’intende per metodo della pace e soprattutto il karate può essere

considerato alla stregua di un’arte che, con tecniche mortali, può insegnare la pace e il rispetto verso gli altri? Lo stesso Funakoshi

vietò ai suoi allievi di praticare i combattimenti liberi e considerava il karate come un’arte, che non aveva come obiettivo quello di eliminare il proprio avversario.