Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

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Ricerca di Elisabetta Rattalino per Master dei Talenti della Società Civile 2013, Fondazione Goria e Fondazione CRT.

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MASTER DEI TALENTI DELLA SOCIETA’ CIVILE 2013

Fondazione Giovanni Goria e Fondazione CRT

Titolo del progetto:

Crossing Pathways. Methods all’Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Area Disciplinare:

Arte e Spettacolo

RELAZIONE DI FINE ATTIVITA’

Borsista:

ELISABETTA RATTALINO

MARZO 2015

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INDICE

Introduzione p. 4

Arte e cambiamento sociale: individuo al centro p. 13

Arte e cambiamento sociale: verso una co-creazione nel contesto p. 23

L’artista: l’approccio multidisciplinare p. 39

L’uso di una metodologia p. 56

Tempo dell’azione - Tempo del cambiamento p. 63

Il rapporto con la committenza p. 70

Riferimenti bibliografici p. 88

APPENDICE p. 93

Sintesi dei contenuti del workshop Methods - Processes of Change con schede dei partecipanti e sintesi degli interventi

p. 94

Glossario p. 125

Soggiorno all’estero p. 128

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INTRODUZIONE

Crossing Pathways. Methods all’intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale è un progetto

di ricerca che si inserisce nell’ambito del decennale interesse rivolto da Love Difference al

rapporto tra Arte e Società.

Dal 2004, Love Difference ha sviluppato Methods, un percorso di ricerca che ha l’obiettivo di

investigare le forme possibili di relazione tra arte, società e trasformazione sociale. A questo

scopo sono stati sviluppati un serie di workshop (nel 2004 e 2010 a Cittadellarte, a Biella; nel

2006 ad ArteFiera a Bologna) e una ricerca dal titolo Metodi - Processi di cambiamento.

Nuvole di cambiamento nell’atmosfera creativa piemontese sviluppata da Giuseppe Fiore nel

2010.

Mentre nel 2004 e nel 2006, l’indagine si è focalizzata su progetti artistici e architettonici

partecipativi, con l’edizione del 2010 Methods ha assunto una prospettiva interdisciplinare,

grazie alla collaborazione del collettivo artway of thinking e coerentemente alla poetica di

Michelangelo Pistoletto (Progetto Arte, 1994).

È a questa edizione del workshop che Crossing Pathways. Methods all’intersezione tra Arte e

Cambiamento Sociale guarda con maggior interesse. La ricerca di Giuseppe Fiore, sviluppata

con il sostegno della borsa Master dei Talenti Civili 2010, ne aveva già elaborato i contenuti

per ottenere dei filtri teorici attraverso cui interrogare la realtà territoriale del Piemonte e

arricchire la ricerca di nuove esperienze di trasformazione che ponessero al centro la relazione

tra umano e naturale. Crossing Pathways, invece, si propone di rispondere ad un’esigenza

diversa, di sintesi di metodologie, indici, strumenti e prassi emersi durante il workshop, e di

inserimento dei contenuti elaborati nel corso di tale edizione nel dibattito critico sul tema

della relazione tra arte e cambiamento sociale, assecondando una volontà di divulgazione

degli stessi.

Quando Love Difference (LD nel testo) e artway of thinking (AWT, nel testo) decidono di

collaborare all’organizzazione di una nuova edizione di Methods, l’intenzione e la finalità di

questo evento sono chiare. Dopo anni di attività e studio dedicati alla sperimentazione,

attivazione e gestione d’interventi e azioni indirizzati al cambiamento nella sfera pubblica,

entrambe le organizzazioni sentivano l’esigenza di condividere il proprio approccio con altri

artisti e professionalità e organizzare un momento di confronto tra pratiche metodologiche e

dialogo sul tema del cambiamento sociale. Nasce allora Methods - Processes of Change, ���4

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International Residential Workshop a Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella, 20-24

Maggio 2010. 1

Entrambe le organizzazioni adottano le teorie delle scienze naturali e delle scienze della

complessità per guardare alla società e comprenderne dinamiche ed implicazioni. 2

Avvalendosi delle teorie del caos e dell’indeterminatezza, tali scienze si occupano della

comprensione dei sistemi complessi, cioè di sistemi che consistono di componenti multiple, e

ne osservano le interazioni reciproche e con l’ambiente, non lineari e non prevedibili. Esse 3

superano l’ambiguità insita nella definizione di cambiamento sociale che informa gli studi

delle scienze sociali, fondate dall’individualismo analitico predominante nella società

contemporanea, e secondo cui il cambiamento sociale può essere inteso sia come un moto

perpetuo della vita, che come il risultato delle azioni umane. L’interesse rivolto a queste 4

teorie si coniuga, per i due collettivi, con un’apertura ad altre discipline che si occupano

dell’individuo e della società, come è evidente dal programma del workshop Methods-

Processes of Change. Tuttavia, AWT e LD non sono i primi collettivi artistici ad occuparsi e a

voler intervenire per il cambiamento della società: per più di un secolo gli artisti hanno

cercato di definire il proprio ruolo in merito a questo tema.

Il workshop Methods - Processes of Change è stato realizzato grazie al finanziamento LLP Grundtvig workshop programme 1

dell' Unione Europea. Nell’appendice a questo testo vengono sintetizzati gli interventi e le pratiche artistiche dei partecipanti. Inoltre, attraverso l’attivazione di un canale dedicato sul sito web Vimeo, sono messi a disposizione le presentazioni le attività esperienziali proposte nel corso del workshop.

Ne da dimostrazione nella sua presentazione a Methods Luigi Zanzi, professore in Filosofia dell’Università di Pavia. 2

L’approccio di AWT e LD a questo fenomeno si arricchito dalla lettura dei risultati delle scienze biologiche, e nello specifico delle ricerche del prof. Kaufmann, citato dal professor Zanzi nel corso della sua presentazione a Methods e riportata in questo studio.

“The interactions between the elements of the system are non-linear; that is to say the result of any action depends on the 3

state of the elements at the time as well as the size of the input. Small inputs may have large effects and vice versa; The interactions generate new properties, called ‘emergent behaviours’ of the system, which cannot be explained through studying the elements of the system, however much detail is known; In complex systems such emergent behaviour cannot be predicted; Complex systems are open systems: when observed, the observer becomes part of the system”. Cox, Geinsen, Green, Qualitative Research and Social Change. Houndmills, 2008, p. 20.

Pat Cox, Thomas Geisen e Roger Green, Qualitative Research and Social Change. European Contexts. Houndmills: 4

Palgrave Macmillan, 2008, pp. 33-35. Questa ambiguità si riflette in parte nell’uso del termine “rivoluzione”. Il dizionario etimologico della lingua italiana (pp, 1402-1403) riporta: “Il termine rivoluzione nell’antichità classica si riferiva ai mutamenti delle anime e del tempo; nel Medioevo è soprattutto termine di astrologia e astronomia (De Revolutionibus Orbium Celestium, 1543). In Italia, già nel XIV secolo si usa nel senso politico di rivolta. In Europa le rivoluzioni inglesi del XVII secolo ed infine la rivoluzione per eccellenza, quella del 1989, pongono il significato politico in primo piano.”Ancora oggi questo termine viene utilizzato ad indicare sia un cambiamento - seppur radicale- (non solo in ambito politico, ma anche culturale, psicologico, antropologico, sociale) conseguenza di decisioni e azioni di singoli e collettività, che il movimento di un corpo celeste intorno ad un corpo di massa (ad esempio, la Terra intorno al Sole, la Luna intorno alla Terra).

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Questo testo si propone di rintracciare le radici storiche della relazione tra pratiche artistiche e

cambiamento sociale, con la finalità di individuare approcci, snodi critici e consonanze tra la

pratica di AWT e LD e altri artisti, allo scopo di proiettare le premesse teoriche del workshop e

le sue elaborazioni contenutistiche in un contesto storico-artistico più ampio ed articolato.

Questo lavoro affronta poi l’aspetto multidisciplinare e interdisciplinare che caratterizza

questa edizione di Methods, nonché la pratica artistica dei due collettivi. Indaga inoltre un

aspetto sostanziale delle pratiche artistiche “socially engaged”: la relazione con il pubblico.

Love Difference - Movimento Artistico per una politica InterMediterranea nasce nel 2001

come filiazione di Cittadellarte, l’organizzazione no-profit istituita da Michelangelo Pistoletto

nel 1998 per attuare il suo Progetto Arte (1994). Dal 2004, Emanuela Baldi e Filippo 5

Fabbrica ne coordinano i progetti, sviluppando azioni di ricerca e diffusione di metodologie

che valorizzano la creatività del singolo nel collettivo e fondano processi di crescita culturale.

LD opera principalmente attraverso pratiche di co-creazione (workshop, laboratori),

coinvolgendo gruppi in percorsi che agevolano l’espressione e fanno emergere punti di vista

alternativi e, dal 2010, utilizza la metodologia di co-creazione di AWT.

L’attività di AWT inizia invece nella prima metà degli anni ’90. E’ il 1993, quando Federica

Thiene e Stefania Mantovani decidono di formalizzare la loro collaborazione e presentarsi

come artway of thinking. Attraverso il lavoro con questo collettivo interdisciplinare, a cui

negli anni si sono uniti temporaneamente professionisti di varia formazione, hanno voluto

confrontarsi con i contemporanei sviluppi statunitensi delle pratiche di arte pubblica, nella

categoria definita community based, e cimentarsi in nuove esperienze interdisciplinari con lo

scopo di sviluppare interventi in armonia con la complessità del contesto in, con e per cui

venivano concepiti. I primi dieci anni circa di lavoro sono stati intensissimi, all’insegna del 6

“fare” in prima linea, per AWT, senza troppo interesse per le questioni più strettamente legate

ai dibattiti sviluppatisi nel sistema dell’arte, considerato limitante e limitato. Tuttavia è negli 7

stessi anni ’90 che si intensifica il dibattito critico sulle esperienze di Arte Pubblica in cui le

pratiche di entrambi i collettivi si inseriscono.

Nel testo programmatico, l’artista affermava il ruolo centrale da lui attribuito all’arte come elemento trasformatore della 5

società, se e quando integrata nei diversi ambiti dell’agire umano. http://www.pistoletto.it/it/testi/progetto_arte.pdf, consultato il 7 Gennaio 2015.

Per una narrazione dei primissimi lavori di artway, si veda: Mary Jane Jacob, ed. Conversation at the Castle. Chicago: 6

Chicago University Press, 1998, p.110.

Conversazione con Stefania Mantovani (artway of thinking) e Filippo Fabbrica (Love Difference) il 6 Gennaio 2015.7

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Dalla seconda metà degli anni ’90, critici e curatori iniziano a far luce su diverse esperienze

artistiche emerse in tutto il mondo, ipotizzando categorie, rintracciando precedenti storico-8

artistici, facendo emergere criticità e possibilità di queste pratiche. Tra 1997 e 1998 vengono 9

pubblicati una serie di testi oggi considerati come fondamentali tentativi di elaborazione di

modelli interpretativi: Conversation at the Castle (1998), curato da May Jane Jacob, Artist as

ethnographer (1996) di Hal Foster, Working on the community. Models of Participatory

practice (1998) di Christian Kravagna e Estetica Relazionale (1998) di Nicholas Bourriaud.

Mentre questi testi tentano di riconnettere e giustificare la dimensione estetica di opere che

fanno di attenzione alla relazione, partecipazione e dialogo il loro carattere distintivo, si

sviluppa una letteratura anglosassone, nell’ambito delle scienze umane ed economiche,

finalizzata alla valutazione della ricaduta economica e sociale di quelle esperienze artistiche,

svolte nell’ambito della sfera sociale, riconoscendo delle potenzialità trasformative misurabili

all’arte. Sto parlando di: The Economic Importance of the Arts (1988), How the Arts Measure

Up: Australian Research into Social Impact di Williams (1997), Use or Ornament? The

Social Impact of Participation in the arts di Francois Marasso (1998), Paola Merli e

Evaluating the Social Impact of Participation in Arts Activities (2002). 10

Tuttavia, ben prima che venissero svolti questi studi in ambito economico e sociologico,

alcuni artisti si sono confrontati sul tema del cambiamento e hanno operato nella prospettiva

del cambiamento della società. Nell’antologia “Art and social change: a critical reader”

pubblicata da Tate Modern nel 2007, Will Bradley e Charles Esche distinguono nella storia

dell’arte diverse linee genealogiche, le quali riflettono altrettante posizioni di artisti nei

confronti del cambiamento sociale. Tra queste, due -sulle quali il testo citato si concentra-

prevedono un impegno attivo dell’artista. Da un lato vengono accostati artisti che si

propongono di sovvertire i paradigmi dominanti ed istituzionalizzati di arte e società

attraverso uno scontro diretto e provocatorio; dall’altra, e secondo un atteggiamento più

Sono i critici stessi a riconoscere la dimensione globalizzata di queste pratiche artistiche, nonostante le specificità locali 8

delle stesse. Lo dimostrano le diverse nazionalità dei case studies da essi affrontati.

La varietà di queste pratiche è tale che esse sfuggono alle categorizzazioni di volta in volta proposte: socially engaged art, 9

community-based art, arte partecipata/partecipativa, dialogical art, relational art, arte liminale.

Non a caso, partecipano all’edizione di Methods del 2010 due studiosi che si occupano di economia dell’arte: Denise 10

Rocca (University of Art - London) e Guido Ferilli (IULM), e un community developer Chris Naylor (Candem Town e Primerose Hill).

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“costruttivo”, gli studiosi associano esempi di professionisti che hanno tentato di inserirsi nei

meccanismi (spesso produttivi) della società in cui si trovano a vivere. 11

Nel rintracciare tra la pratica degli organizzatori di Methods e i loro predecessori storico-

artistici ci muoveremo sulla direttrice individuata nello studio di Bradley ed Esche come “la

più costruttiva”, facendo riferimento allo studio di Bourriaud, molto discusso ma allo stesso

tempo fondamentale per aver aperto l’intenso dibattito internazionale, per riallacciare 12

l’interesse e l’agenda nell’ambito del sociale di AWT e LD con i precedenti storici. Nel suo

testo, Bourriaud proponeva un paradigma per la lettura di opere e progetti artistici, nel

tentativo di superare le chiavi critiche elaborate sulle esperienze artistiche concettuali degli

anni ‘60 e ‘70. Egli delineava un sistema estetico fondato sull’idea forma artistica 13

interstiziale, considerando la variegata serie di opere e artisti come una risposta a quel preciso

momento storico e al contesto sociale, economico e culturale globale e globalizzato in cui

erano stati realizzati. Riferendosi al pensiero di Marx e al concetto di “comunità di scambio” 14

(cioè a quelle reti di relazioni economiche che sfuggono al quadro dell’economia capitalista),

il critico francese individuava una dimensione spazio-temporale per le pratiche artistiche da

lui considerate, cioè quei vuoti lasciati dai contemporanei sistemi di relazione e dai rapporti

istituzionalizzati, posizionandole ai margini dell’operare del sistema dell’arte. Inoltre,

Bourriaud riallacciava queste esperienze all’avanguardia artistica storica e alle

sperimentazioni degli anni ’60-’70, sottolineando però come ne avessero superato le visioni

utopiche, ideologiche e teleologiche. Scriveva: “L’arte doveva preparare o annunciare un

mondo futuro; oggi elabora modelli di universi possibili.” In altre parole, non troppo distanti 15

Riconoscono capostipite del primo gruppo il pittore francese Gustave Courbet (1819-1877); del secondo, il promotore del 11

movimento di “Arts and Crafts”, l’inglese William Morris (1834-1896). Will Bradley e Charles Esche, eds. Art and social change: a critical reader. London : Tate Publishing : In association with Afterall, 2007.

Come riferisce Marco Vaglieri, già il critico italiano Roberto Pinto si era occupato di pratiche basate sul rapporto con gli 12

altri quale strumento di creazione artistica nella mostra del 1993 Forme di Relazione, purtroppo con scarsa eco internazionale. Marco Vaglieri, Qualche equivoco sull’arte relazionale, in Progetto Oreste O, “Come spiegare a mia madre che quello che faccio serve a qualcosa”, Milano: Charta, 1998 pp. 52-58.

Utilizza il concetto di “Società dello Spettacolo”, teorizzata dall’intellettuale situazionista Guy Debord e pubblicata nel 13

1967, per delineare una crisi delle relazioni -interpersonali e con il mondo- conseguenti ai nuovi mezzi di comunicazione, al sistema economico, alle forme dell’urbanizzazione. Si vedano l’introduzione al testo e il primo capitolo.

Nicholas, Bourriaud, Estetica relazionale [1998]. Milano: Postmedia Books, 2010, p. 15.14

Bourriaud. Estetica relazionale, 2010, p.12.15

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dalla rilettura della teoria dell’avanguardia di Hal Foster, intravedeva un passaggio di

consegne tra le esperienze dell’avanguardia e le pratiche d’arte pubblica degli anni ‘90. 16

Altri testi critici si sono più recentemente confrontati con le radici storiche di queste pratiche.

Nel testo Artificial Hells. Participatory Art and the Politics of Spectatorship (2012), Claire

Bishop sostiene la tesi di un ritorno al sociale (piuttosto che di un social turn, come aveva

scritto nel 2006), riferendosi, ed analizzando il ruolo attivo attribuito allo spettatore in diverse

esperienze del Novecento, a partire del teatro futurista e Dada, e nelle esperienze di teatro

collettivo seguite alla rivoluzione Bolscevica. La studiosa statunitense rivolge il suo interesse

principalmente alle pratiche performative, in ragione del fatto che “participatory engagement

tends to be expressed most forcefully in the live encounter between embodied actors in

particular contexts.” Tuttavia, la sua lettura riflette un atteggiamento tutt’altro che risolto nei 17

confronti delle esperienze contemporanee. Come nota Shannon Jackson nel suo Social works.

performing art, supporting publics (2011) in riferimento a dei testi precedenti dell’autrice, 18

nel suo lavoro sono presenti delle tensioni che emergono tra termini chiave come qualità ed

egualità, autorialità individuale e collettiva, e nella difficoltà continua nel trovare

un’equivalente artistico a posizioni politiche. La sua ricerca tende a far emergere casi in cui le

opere d’arte (e gli artisti) hanno dimostrato rottura e critica con il contesto sociale e politico in

cui venivano sviluppate, rispecchiando “la tendenza a non approvare quelle pratiche che sono

facilmente accessibili e consumabili, con obiettivi sociali che aspirano a un cambiamento

effettivo, investendo su un’idea cristiana di sacrificio di sé e rinuncia della presenza autoriale

di fronte agli ideali di una comunità.” Altro esempio di analisi storica è dell’artista svedese 19

Gustaf Almenberg, con tutto un altro spessore d’indagine. Nel 2010, egli pubblica Notes on

participatory art: toward a manifesto differentiating it from open work, interactive art and

relational art, proponendo una sorta di manifesto per la participatory art, rintracciando le

Hal Foster, Il ritorno al reale. L’avanguardia alla fine del Novecento [1996]. traduzione di Emanuela de Cecco. Milano: 16

Postmedia books, 2006, pp. 19-50.

“La partecipazione tende ad espressa più energicamente nell’incontro da vivo tra gli attori in specifici contesti.” Traduzione 17

di chi scrive. Claire Bishop, Artificial Hells. Participatory Art and the Politics of Spectatorship. Londra: Verso, 2012, p. 3.

Shannon Jackson fa riferimento allo scambio critico fra Claire Bishop e Liam Gillick, tra 2004 e 2006: Bishop, Antagonism 18

and Relational Aesthetics (October 110, Fall 2004); Liam Gillick, Contingent Factors: A response to Claire Bishop (October 115, Winter 2006); Clair Bishop, The Social Turn: Collaboration and its discontents (Artforum, February 2006). Shannon Jackson, Social Works. Performing art, supporting publics. New York and London: Routledge, 2011, p. 253.

Ibid, p. 48.19

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radici storiche della partecipazione del pubblico. Almenberg traccia una traiettoria che, 20

partendo da Marcel Duchamp e dal Dadaismo, unisce Costruttivismo, l’Arte Cinetica e Ottica

promossa da Denise Renè a Parigi negli anni ’50, il lavoro di Lygia Clark, con le esperienze

dell’arte relazionale degli anni ’90.

Con Crossing Pathways ci inseriremo in questo filone di ricerca, iniziando la nostra analisi

delle peculiarità dell’approccio di AWT e LD espresso in Methods - Processes of Change a

partire dall’avanguardia storica. Tuttavia, lo scopo della ricerca non sarà quella di sviluppare

un’indagine storico-artistica in senso stretto, né quello di costruire una sorta di “albero

genealogico” o una storia di influenze reciproche, quanto quello di far emergere nodi tematici

su cui artisti del passato e i due collettivi si sono confrontati, al fine di far emergere nel

confronto le peculiarità di questi ultimi.

L’elaborazione di questo progetto di ricerca si è sviluppata in fasi successive.

Nella prima fase, sono state sintetizzate le specificità di Methods - Processes of Change. A tal

scopo sono stati consultati, analizzati e sintetizzati i materiali elaborati dall’Unità Editoriale

(un gruppo costituito da professionisti nel campo dell’editoria, comunicazione, fotografia,

video making: Herman Bashinor Mendolicchio, Chiara Cardinali, Lydie Claitte, Pietro

Corraini, Alma Kasawanih, Timoty Ghicherd, Margarita Vazquez Ponte, Diego Segatto,

Amina Zoubir) contestualmente a Methods - Processes of Change. Si è trattato quindi di

visionare video, fotografie e testi elaborati come documentazione delle attività sviluppate nel

corso del workshop, in parte disponibili online e in parte conservati presso l’archivio

dell’organizzazione committente del lavoro. Ci si è inoltre confrontati ripetutamente sui temi

affrontati nel corso dell’evento con i membri di artway of thinking e Love Difference con

l’organizzazione di focus group, con la finalità di approfondire le intenzioni e l’approccio che

avevano sotteso l’organizzazione dell’intera esperienza.

Per comprendere il contesto storico-critico ed artistico più ampio in cui Methods - Processes

of Change si è inserito, ci si è avvalsi dello studio della letteratura nazionale ed internazionale

sui temi in analisi. A questo scopo, è stata fondamentale l’esperienza di studio all’estero, sia

Gustaf Almenberg, Notes on participatory art: toward a manifesto differentiating it from open work, interactive art and 20

relational art. Milton Keynes: AuthorHouse, c2010.���10

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perché si è avuta la possibilità di accedere a materiali altrimenti difficilmente reperibili, che

per le opportunità di confronto con professionisti e studiosi nell’ambito delle pratiche così

dette “socially engaged”.

Durante il soggiorno semestrale in Scozia (Regno Unito), il progetto è stato arricchito dal

confronto con Deveron Arts e SSW- Scottish Sculpture Workshop (entrambe aventi sedi in

Aberdeenshire). Tali organizzazioni, e i rispettivi direttori, sono coinvolti nel dibattito

internazionale relativo ai processi che si avvalgono dell’arte e della creatività per investigare e

far fronte a problemi sociali attraverso modelli partecipativi e sostenibili. Questo momento di

confronto, di cui si riportano alcune conversazioni in appendice, è stato fondamentale per

individuare i nodi critici su cui era necessario che questa ricerca si confrontasse per presentare

la specificità dell’approccio di Methods - Processes of change.

Nella terza fase, di rielaborazione e di sintesi finale, ci si è nuovamente confrontati con Love

Difference e artway of thinking. In un’ulteriore fase di ricerca si è quindi giunti

all’elaborazione di questo testo, come uno strumento per la diffusione delle visioni presentate

in Methods.

Crossing Pathways. Methods all’intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale si articola in

sei capitoli.

Nel primo capitolo si guarda all’avanguardia artistica storica, e in special modo a Wassily

Kandinsky, e all’esperienza dell’artista Joseph Beuys, come a due precedenti appartenenti alla

storia dell’arte che si sono confrontati con il cambiamento della società in senso di

acquisizione di consapevolezza da parte dei singoli, e si è mostrata la peculiarità

dell’approccio di artway of thinking rispetto a questi temi, e come esso trovi espressione nel

workshop Methods. Nel secondo capitolo ci si è affrontato il tema spinoso della

partecipazione del fruitore, dimostrando come per gli organizzatori del workshop (ma anche

per alcuni collettivi presenti allo stesso) concepiscano questo aspetto come fondamentale e si

traduca nel processo di creazione condivisa con i portatori di interesse.

I capitoli tre, quattro e cinque delineano il modus operandi di organizzatori e alcuni

partecipanti al workshop: l’approccio multidisciplinare, l’utilizzo di una metodologia, la

dimensione temporale dei progetti come risorsa imprescindibile per la progettazione stessa,

nella finalità del cambiamento sociale. L’ultimo capitolo studia invece la tematica del

rapporto con la committenza e cerca di dimostrare come questo ruolo nel processo di

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produzione artistica venga messo in discussione (e sia addirittura riconfigurato) nella pratica

di artway of thinking.

In Appendice sono raccolte le relazioni sintetiche delle presentazioni dei vari professionisti

intervenuti a Methods, i link per accedere al canale Vimeo dedicato e visionare le sezioni

esperienziali del workshop, e le schede relative agli artisti partecipanti al workshop. Inoltre, si

propone un “Glossario” dei termini specifici utilizzati nel testo, la cui problematicità ha reso

necessario un chiarimento fin dai primi passi della ricerca. Infine, sono delineate le attività

svolte nel corso della fase di studio all’estero, di cui sono riportate alcune delle conversazioni

sviluppate nel corso di tale esperienza.

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Arte e cambiamento sociale: l’individuo al centro

L’avanguardia artistica storica si fa portatrice di istanze di rinnovamento del linguaggio dell’arte,

intrecciandosi con vicende storiche segnate da profondi cambiamenti sociali, politici e storici. Tra la

fine degli anni ’10 e i primi anni ’30 del ‘Novecento, tali istanze trovarono espressione attraverso

forme estetiche e atteggiamenti diversi, oscillanti tra l’aperta critica istituzionale (cioè rivolta alle

istituzioni dell’arte) e la collaborazione con le istituzioni politiche. Se il teatro futurista e surrealista e

le dissacranti esperienze dadaiste rientrano nella prima linea di ricerca e azione proponendosi come

“istigatori” del pubblico e sovvertitori dei valori delle istituzioni artistiche, contemporaneamente si

svilupparono invece due tra i più importanti e noti tentativi modernisti di ripensare le pratiche

artistiche in termini collaborativi con le istituzioni: il Costruttivismo e l’esperienza della Bauhaus.

Costruttivismo è la denominazione con cui si indicano esperienze artistiche est-europee eterogenee ma

con la finalità comune di sperimentare un nuovo linguaggio artistico, strumentale alle novità politiche

e sociali della Rivoluzione Bolscevica e aggiornato alle più nuove tecnologie industriali, sulla scia del

Futurismo. Il movimento vide tra i suoi capofila, nelle varie fasi della sua parabola, Vladimir Tatlin, 21

Alexander Rodchenko, Varvava Stepanova, Alexander Vesnin, Lyubov Popova, Konstantin

Medunetskii. Le vicende di questo movimento sperimentale emersero e si intrecciarono con i diversi

momenti della Rivoluzione Russa, terminando (almeno nella sua veste ufficiale) con l’emblematica

censura di Stalin nel 1932, attraverso cui si dichiarava il Socialismo Realista l’arte ufficiale del

regime.

La Bauhaus, scuola e laboratorio sperimentale, è invece fondata da Walter Gropius nel 1919,

inizialmente finanziata e appoggiata del governo liberale e democratico della Repubblica di Weimar

(1919-1933). Bauhaus unì numerosi artisti in qualità di docenti (tra cui Johannes Ittens, Paul Klee,

Josef Albers, Làszlò Moholy Nagy, Wassily Kandinsky) nella sperimentazione di nuovi modi con cui

le pratiche artistiche avrebbero potuto contribuire alla creazione di una nuova società. Questa

esperienza terminerà (in Europa) nel 1933, con l’ascesa del regime nazista e la fine della Repubblica.

Gli ideali promossi dalla Bauhaus spaziavano dall’estetizzazione del quotidiano a un funzionalismo

industriale del prodotto artistico, tradotti in programmi educativi basati sulla dimensione artigianale

del progetto artistico.

Come suggerito nell’accenno di Bourriaud per le opere di arte relazionale, alcuni caratteri di questi

due gruppi trovano un’eco nelle pratiche qui discusse, interessate al cambiamento nel sociale.

In questo rovesciando l’idea dell’Arts & Crafts di William Morris (1834–1896), ancora fortemente improntata alla 21

dimensione dell’artigianale e in dichiarata opposizione ai limiti dell’omologazione industriale e delle sue ripercussioni sociali.

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Dal 1922, la Bauhaus, in cui entra a far parte Wassily Kandinsky, abbraccia una visione orientata alla

funzionalità dell’arte, su ispirazione del Costruttivismo russo e del De Stijl di Piet Mondrian. Tale 22

funzionalismo era informato da una matrice fortemente ideologica: la volontà era quella di rinnegare

un’idea di arte legata a una dimensione contemplativa dell’oggetto artistico, la quale, sviluppatasi a

partire dal Settecento (“L’arte per l’arte”), veniva identificata come borghese. Per gli intellettuali-23

artisti della Bauhaus, l’innovazione delle forme del linguaggio dell’arte si faceva carico del

rinnovamento sul piano estetico ed etico del settore “arte” e della società in generale, riflettendo

istanze politiche e storiche di matrice socialista. Esso si realizzava in un’idea di arte totale, che

avrebbe, a sua volta, dovuto abbattere le gerarchie tra le arti stesse e, di conseguenza, tra coloro che si

occupavano di arte: “Forniamo dunque una nuova comunità di artefici senza distinzione di classe che

alza un’arrogante barriera tra architettura e artigianato. Insieme concepiamo e creiamo il nuovo

edificio del futuro” recita infatti il manifesto. Parallelamente, questa istanza si era accompagnata alla 24

necessità di riconfigurare l’attività dell’artista in modo coerente rispetto alle nuove dinamiche

economico produttive in cui si trovava ad operare. Come sosteneva il fondatore della scuola, la

Bauhaus non era stata istituita per la diffusione di uno stile nuovo, ma per formare ed inserire

nuovamente l’artista in una dimensione lavorativa quotidiana. 25

Queste sono visioni sul ruolo dell’arte lasciate come eredità fondamentale dalla scuola tedesca, la cui

teorizzazione pare trovare una eco nelle pratiche degli artisti che intervengono a Methods e di AWT,

per i quali la finalità della creazione artistica (cioè l’intervento in un contesto sociale per apportare un

cambiamento nel tessuto sociale) diventa movente per sperimentazioni e ragione prima e informante

dell’operare artistico.

Tuttavia, a differenza dei professionisti della visione multidisciplinare che sottende il workshop

Methods e i suoi ideatori (tema su cui si tornerà nel terzo capitolo), gli artisti che avevano preso parte

alla Bauhaus si proponevano di operare nella specificità visiva dei propri strumenti e delle tecniche di

loro competenza, all’interno di quello che, a partire dagli anni ’50, verrà delineato come il canone

modernista da Clement Greenberg. È in questo che si riconosce una degli aspetti dello scarto 26

generazionali: si è sviluppato un diverso rapporto con i media artistici, a partire dall’avanguardia

Barry Bergdoll e Leah Dickerman. Bauhaus 1919-1933 : workshops for modernity. Catalogo della Mostra. New York: 22

Museum of Modern Art, c2009, p. 18.

Bradley, Esche, eds. Art and social change. London, 2007 p. 14.23

Riportato in Denys Riout. L’arte del ventesimo Secolo. Protagonisti, temi, correnti. Torino: Einaudi, 2000. p. 51.24

Bauhaus 1919-1933. Exhibition catalogue. New York, 2009c, p.32.25

Bauhaus 1919-1933. Catalogo della Mostra. New York, 2009c, p. 32-34. In realtà, Itten prima (“sensory training”) e 26

Moholy Nagy (nel suo trattato The new vision, il tatto è il fondamento della percezione) daranno spazio alla dimensione tattile nelle proprie pratiche didattiche, soprattutto in relazione ad un’attenzione dei materiali dell’arte.

���14

Page 15: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

storica alle esperienze in ambito di cambiamento sociale negli anni ’90, passando per le esperienze

artistiche degli anni ’50, ’60 e ’70.

Inoltre, un dato relativo ai primissimi anni del gruppo della Bauhaus trova consonanza nella visione e

nella pratica di AWT. Inizialmente, la scuola era permeata da interessi rivolti alla dimensione mistica,

come dimostrano gli esercizi spirituali praticati da Johannes Itten all’inizio delle sue lezioni e

l’interesse di Wasilly Kandinsky nel misticismo.

Itten guidava i suoi studenti in un sensory training finalizzato all’allineamento tra mente e corpo

necessario per la pratica artistica. L’importanza svolta dalla dimensione spirituale ha un ruolo 27

decisivo nelle pratiche di un artista chiamato ad insegnare a Weimar nel 1922, Wassily Kandisky. Egli

esplora le potenzialità degli elementi fondamentali della pittura (forme geometriche elementari e

colori) in relazione ad una svolta spirituale dell’umanità, che

l’artista considerava alle soglie di un’epoca di consapevolezza

e svolta spirituale, coerentemente al credo della dottrina

teosofica. La liberazione del colore e delle forme dalla 28

rappresentazione naturalistica per un’espressione della loro

intrinseca valenza spirituale lo spingono verso forme di pittura

astratta (Impressioni, Improvvisazioni, Composizioni), in una

tendenza che porta all’adozione di una rigorosa

composizione basata su formulazioni matematiche, che

l’artista considera come la piùalta espressione del cosmo e della sua bellezza. Questa rinnovamento 29

nelle forme non aveva però lo scopo esclusivo di riflettere la svolta spirituale della sua epoca, ma

voleva essere “una stimolante ed intrinseca forza poetica” che, come scienza e religione per la

teosofia, aveva come obiettivo la realizzazione di un cambiamento fondamentale nella sua epoca. 30

L’arte per Kandinsky, e secondo l’idealismo romantico e la visione di Göthe mutata dal teosofo

Steiner, è un elemento fondamentale della vita spirituale, che può portare, nelle sue forme più

autentiche, al nutrimento dello spirito dello spettatore. Parlando dell’esperienza editoriale de Il

Cavaliere Azzurro e de Lo spirituale nell’arte, l’artista russo dichiarerà: “L’arte risveglia la capacità,

Bauhaus 1919-1933. Catalogo della Mostra. New York, 2009c, p.19.27

Ringbom fa riferimento anche alla teosofia, alle religioni orientali e al misticismo come contributo alla visione della 28

spiritualità che sottende i lavori di Kaninsky. Per le connessioni tra il pittore russo e la teosofia, si veda: Ringbom, Sixten, Art in 'The Epoch of the Great Spiritual': Occult Elements in the Early Theory of AbstractPainting, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”,Vol. 29 (1966), pp. 386-418.

Kandinsky, Wassily. Lo spirituale nell’arte [1912]. Milano: Se Srl, 1989, p.37.29

Kandinsky, Lo spirituale nell’arte, p. 20.30

���15

Kandinsky, Primo Acquerello Astratto, 1910

Page 16: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

indispensabile in futuro di cogliere nelle cose materiali e nelle cose astratte l’aspetto spirituale, che

rende possibile infinite esperienze.” 31

Kandinsky propose di rifondare la sua pratica a sostegno di un avanzamento spirituale dell’umanità,

come gli altri artisti Bauhaus senza mai abbandonare la pittura, considerato come elemento

caratterizzante la sua stessa professionalità di artista. Nella sua poetica, si può riconoscere una

consonanza, un secolo dopo, con un aspetto della pratica di AWT: l’esperienza artistica (individuale e

collettiva) come atto creativo consapevole.

Per Kandinsky, tale cambiamento può avvenire attraverso l’esperienza della pittura astratta, che è la

forma materiale e contingente attraverso cui l’artista si esprime. AWT può essere avvicinata alle

suggestioni fornite dall’artista russo, nel ruolo accordato alla dimensione spirituale del singolo nel

cambiamento della società.

Nella visione di AWT e LD proposta nel corso di Methods, l’individuo è il motore primo del

cambiamento della società. L’elemento spirituale ha rilevanza fondamentale all’interno di questo

processo, ma in rapporto alle altre tre componenti che -sinteticamente- lo costituiscono

indissolubilmente, così come articolate dallo psicologo statunitense Robert Hoffman e presentate

durante la prima giornata di workshop Methods da Daniela Uslenghi (Hoffman Institute): intelletto

razionale, parte emozionale, dimensione spirituale e corpo cinetico. Fondandosi su questa visione 32

quadripartita ma pur sempre unitaria dell’uomo, gli interventi di AWT diretti al cambiamento sociale

operano su questi quattro livelli, sia sull’individuo sia sul contesto collettivo. Parte integrante della

pratica, sono le esperienze percettive e di osservazione di Sé e dell’ambiente circostante, ispirate alla

visione sull’essere umano del filosofo George Ivanovich Gurdjieff (1866-1949), volte a “risvegliare” il

Sé autentico e creativo, superando la conservativa meccanicità dell’ego, come avvenne anche 33

nell’ambito dello stesso workshop Methods, con lo scopo di creare un dialogo aperto, scevro da

preconcetti, e un vissuto comune (un sentimento comune), che facilitino il lavoro di gruppo e la

produzione di innovazione. Quest’aspetto dell’esperienza di co-creazione è considerato da AWT

“maieutico” e fondante nell’ambito di gruppi creativi con alta variabile di multidisciplinarietà, poiché

costituiscono momenti di presa di consapevolezza della propria azione individuale nel collettivo.

Nelle attività proposte a Methods e riflettendo la visione quadripartita dell’individuo, trovano

espressione anche le altre tre dimensioni dell’individuo: quella intellettuale, nelle presentazioni e nelle

discussioni fra i partecipanti; quella emozionale, nei momenti condivisi nel corso del workshop

residenziale; quella del corpo cinestetico, con diverse declinazioni: nella volontà (che prende forma

Riportato in Elena Pontiggia, Postfazione, in Kandinsky, “Lo Spirituale nell’arte” [1912]. Milano: Se Srl, 1989, p.116. 31

Si veda: Istituto Hoffman (a cura di), Un sentiero verso la libertà personale e l’amore. Milano, 2002 [ebook].32

Bruno Martin, Le pratiche di Gurdjieff. Eserciz, rituali e danze sacre per sviluppare la consapevolezza (2011). Traduzione 33

di Vera Belli. Roma: Edizioni Mediterranee, 2011���16

Page 17: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

nel programma del workshop) di far presentare ai partecipanti delle micro-esperienze con cui

raccontare la propria pratica, secondo modalità non più informative e intellettuali (con proiettore e

schermo, come nel corso delle presentazioni), ma con attività performative, partecipative e inclusive;

nella presenza tra i partecipanti di professionisti “del corpo” come la danzatrice Cristina Medina o il

dott. Max Rapkin, chiropratico. 34

Il corpo e le percezioni dell’individuo sono considerate il punto d’accesso per il cambiamento

dell’individuo, e della società in conseguenza, già tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60, quando

alcuni artisti iniziarono ad introdurre l’interazione fisica e le percezioni visive dello spettatore come

parte integrante della loro opera, sia per rovesciare le forme tradizionali dell’arte, sia al tempo stesso -

per alcuni di questi artisti- per offrire al pubblico un’esperienza capace di acuire le proprie percezioni

del mondo. Fioriscono infatti in Italia, come nel resto del mondo (faccio riferimento, come già la 35

Bishop, all’esperienza di GRAV - Groupe per la Rescherce de l’Art Visual) , molteplici esperienze 36

legate all’arte cinetica, ottica e programmata che fanno del lavoro collettivo e condiviso la modalità

attraverso cui operare al di fuori della propria individualità e soggettività. Esse elaborano un nuovo

linguaggio legato alla dimensione dell’urbano e dell’industria, che proprio dalla seconda metà degli

anni ’50 vede in Italia una crescita esponenziale e senza precedenti, tentando il superamento

dell’estetica e dell’etica della pittura informale. Faccio riferimento in

particolare al Gruppo T (Davide Boriani, Gabriele De Vecchi, Giovanni

Anceschi, Gianni Colombo e Grazia Varisco) a Milano, al Gruppo N

(Alberto Biasi, Edoardo Landi, Toni Costa, Ennio Chiggio, Manfredo

Massironi) a Padova e, in minor misura, al Gruppo 1 (Nicola Carrino,

Giuseppe Unicini, Pasquale Santoro, Nato Frascà) a Roma. Queste

esperienze, caratterizzate da dichiarazioni programmatiche ambiziose,

trovano analogie in tutta Europa, il cui fulcro internazionale - come ben

fa notare Almenberg - era la galleria Denis René di Parigi. Seppur

molto diverse tra loro, in Italia esse sono accomunate dalla creazione di

oggetti che richiedono essi stessi l’intervento attivo dello spettatore

attraverso una manipolazione diretta (Scultura da perdere a calci,

Sferisterio, Grande Oggetto Pneumatico), o attraverso un semplice

spostamento che cambiava la percezione della superficie plastica

Si vedano i contenuti delle presentazioni e le attività proposte in appendice a questo testo. 34

Si veda il catalogo della mostra: Marco Menguzzo (a cura di). Arte programmata e cinetica in Italia: 1958-1968. Catalogo 35

della Mostra. Parma : Galleria Niccoli, 2000.

Bishop, Artificial Hells. New York: Verso, 2012, p.87-93.36

���17

Gabriele De Vecchi, Scultura da Prendere a calci, 1959

Page 18: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

(Oggetto Ottico Dinamico, Bispazio Instabile). Accanto alla volontà di innovare il linguaggio dell’arte

e all’annullamento della propria autorialità, questi artisti si propongono di offrire al fruitore delle loro

opere nuove sollecitazioni percettive, per fare in modo che si sviluppi una maggior sensibilità visiva,

indispensabile - nella loro prospettiva - in una società che era considerata oberata dalle immagini. In

queste esperienze, il corpo e i sensi dello spettatore erano chiamati a partecipare all’opera e alla sua

stessa realizzazione, secondo le teorizzazioni del già citato John Dewey, ma anche di Umberto Eco ne

L’Opera Aperta (1955), ma anche fondando i principi alla base delle proprie sperimentazioni sulle

teorie della psicologia della visione e del comportamento. In questo senso, queste esperienze

costituiscono un precedente, al ruolo attribuito alle percezioni e alla dimensione fisica-cinetica del

cambiamento nella visione che sottende Methods.

In modo diverso invece, artista tedesco Joseph Beuys (1921-1986), punto di riferimento riconosciuto

per le pratiche partecipative, relazionali e dialogiche in generale, e dichiarato da AWT nello specifico,

accoglie le istanze di spiritualità dell’arte di Kandinsky. Beuys opera in un momento storico critico,

quello della fine degli anni ’60 e gli anni ’70, caratterizzato da forti istanze di rinnovamento sociale e

istituzionale in senso partecipativo e democratico emerse a livello internazionale: le proteste

studentesche, gli scioperi operai, il femminismo, la nascita del movimento ecologista. Molti artisti in

tutto il mondo operano a cavallo tra attivismo e arte per sostenere questi movimenti, auspicando e

lottando per un cambiamento della società.

Il misticismo e l’anti-materialismo dell’artista si uniscono a una posizione politica legata a una contro-

cultura di matrice socialista libertaria, connessa all’emergente movimento ecologista. La visione di 37

Beuys della trasformazione della società in senso pienamente democratico si raffigura in quella che

l’artista definisce “scultura sociale”, ovvero una democrazia autentica, partecipata da cittadini

consapevoli. Per Beuys, come abbiamo visto per AWT, il cambiamento della dimensione collettiva, 38

sociale e politica, avviene in prima istanza nel singolo individuo, dalla propria presa di coscienza

individuale e civica. In questo senso, egli attribuisce all’arte e all’artista un ruolo fondamentale.

L’artista tedesco riconosce, infatti, un ruolo intrinseco all’arte e un ruolo educativo connesso

all’impegno dell’artista stesso nell’attuazione di un processo dialogico con il suo pubblico (sia esso

studente o visitatore di una delle sue opere-azioni). Beuys attribuisce alle opere d’arte potenzialità

intrinseche di educazione al sentimento e alla sensibilità, entrambi aspetti dell’identità individuale che

l’artista considerava sottovalutati (o addirittura rinnegati in favore dell’intelletto razionalizzante) dalla

società a lui contemporanea, caratterizzata dall’avvento del capitalismo e dal predominio della scienza

Jonathan Harris. The utopian globalists: artists of worldwide revolution, 1919-2009. Chichester, West Sussex : Wiley-37

Blackwell, 2013, p.36.

Ibid, p. 905.38

���18

Page 19: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

sulle altre forme di sapere. In questo aspetto, si possono rintracciare consonanze con il lavoro del 39

filosofo e pedagogista John Dewey (1859-1952), soprattutto in relazione al legame tra democrazia ed

esperienza dell’arte. Il suo Art as experience, nonostante l’infausta fortuna critica in ambito filosofico,

ha recentemente ricevuto attenzione dagli storici dell’arte: è stato associato rispettivamente, da

Jaqueline Bass, alle pratiche del gruppo Fluxus, con cui Beuys aveva avuto contatti discontinui e, da 40

Mary Jane Jacob, alle più recenti pratiche di arte pubblica e temi museologici. Dato alle stampe nel 41

1934 a Chicago, Art as experience, eleggendo l’arte visiva come la disciplina che ha saputo catturare

la natura più profonda dello spirito umano, riposiziona l’essenza più vera dell’opera d’arte al di fuori

dell’oggetto artistico materiale ovvero (con assonanze alla fenomenologia di Merleau-Ponty, e

parzialmente con l’idealismo crociano) nell’esperienza visiva del fruitore. Inoltre, egli considera l’arte

come una modalità universale di linguaggio e di comunicazione (poiché, a differenza del linguaggio

verbale, è meno soggetta ai cambiamenti nel tempo) e, in quanto tale, come fondamento di tutte le

attività che uniscono gli esseri umane. Ne consegue che, per Dewey, l’arte (indipendentemente dalle

sue categorizzazioni) può essere l’elemento fondante di una comunità, in quanto esercizio di empatia

(comprensione dell’altro al di là del linguaggio), come l’amicizia. In questo senso, Dewey associa

l’arte alla dimensione socio-politica dell’individuo e l’educazione all’arte all’educare a vivere nella

società, in una visione che fa dell’esperienza estetica un momento d’incontro con l’altro, con il diverso

da Sé.

Dewey intende l’educazione all’arte e del vivere partecipato in una società democratica come

educazione all’osservazione, mentre Beuys -come accennato- fa uno scarto rispetto a questa visione:

pur riconoscendo all’opera d’arte il valore fondamentale di educazione al sentimento, considera tale

aspetto non sufficiente ai fini della realizzazione del suo progetto politico-sociale. Ecco allora la

motivazione alla base dei suoi progetti di valenza educativa e attuati attraverso il dialogo. Dai

primissimi anni ’70, Beuys infatti attua una serie di operazioni artistiche e politiche, parallelamente

alla sua attività plastica (multipli, sculture) e performativa, che possono essere sintetizzate in due

progetti riprodotti in diverse sedi: l’Ufficio per la democrazia diretta per Referendum (presentato per

la prima volta in occasione della grande mostra di DOCUMENTA a Kassel nel 1972) e la Free

Joseph Beuys, Not Just a Few Are Called, But Everyone, in Charles Harrison and Paul Wood, eds. “Art in Theory. 39

1900-2000. An anthology of changing ideas”, Malden - Oxford - Victoria: Blackwell, 2003, p. 904.

Jaqueline Baas, ed. Fluxus and the essential question of life. exhibition catalogue. Hanover, N.H. : Hood Museum of Art, 40

Dartmouth College ; Chicago : In association with the University of Chicago Press, 2011, p. 2-6. Contemporaneamente, una riflessione sul lavoro di Dewey in relazione alle arti visive veniva svolta in due testi editi da Mary Jane Jacob (curatrice partecipante a Methods). Mary Jane Jacob e Jaqueline Baas, eds. Chicago Makes Modern: How creative minds changed society. Chicago: Chicago University Press, 2012; Jaquellyn Baas e Mary Jane Jacob, eds. Buddha Mind in Contemporary Arts. Berkeley – Los Angeles – London: University of California Press, 2004.

Intervento di Mary Jane Jacob a Methods sul progetto: Buddha Mind in Contemporary Art, pubblicato nel 2004. Il testo di 41

Dewey è centrale negli studi della studiosa americana, come è evidente nelle sue pubblicazioni citate nella nota precedente.���19

Page 20: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Independent University (dal 1974). Secondo i paradigmi dell’arte concettuale, tali operazioni 42

potevano essere considerate come progetti artistici, in quanto presentate in occasioni di grandi eventi

d’arte e nate in seno alle sue attività di docente all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf. Entrambe,

Ufficio per la democrazia diretta per Referendum e Free Independent University, furono anzitutto

operazioni a carattere educativo. Come sostiene Claudia Mesh, indipendentemente dall’appartenenza

di questi progetti all’ambito dell’arte o meno, esse non si proponevano di rivoluzionare il sistema

dell’arte o della politica, ma di promuovere una modalità di esperienza consapevole delle stesse,

attraverso lo sviluppo della consapevolezza individuale.

In altre parole, l’obiettivo di Beuys era di offrire delle esperienze tali da consentire agli individui

partecipanti di divenire consapevoli delle proprie

potenzialità di individui e cittadini e, di

conseguenza, di agire attivamente il sistema

democratico in cui vivevano, collaborando alla

realizzazione di una democrazia autentica e

partecipata (alla “scultura sociale”). Tali

operazioni consistettero nella creazione di

situazioni capaci di offrire momenti di

conversazione tra il pubblico intervenuto alle

manifestazioni, l’artista e i suoi allievi, finalizzate

a stimolare una riflessione critica su fondamentali temi sociali e politici contemporanei (riforma

dell’educazione, cristianità, energia atomica, relazioni razziali, diritti delle donne, problemi finanziari,

terrorismo e violenza contro lo stato).

Con l’obiettivo di indurre il visitatore a un processo di auto-riflessione attraverso il dialogo, l’ideale di

educazione di Beuys presenta delle consonanze nel processo maieutico socratico, con il quale l’artista

-dalla sua posizione illuminata e consapevole, “shamanica”- attraverso il dialogo diretto, guida il

fruitore all’espressione e alla scoperta dei propri valori politici e sociali.

Su un altro aspetto, Joseph Beuys è un interessante punto di riferimento per AWT e le pratiche

partecipative relative al cambiamento sociale : il riconoscimento del potenziale creativo insito in ogni 43

individuo, espresso nel suo celebre motto “Ognuno è un artista”. Tuttavia, riconoscendo in ciascuno un

artista, Beuys non vuole minare il suo ruolo di artista (come invece Fluxus), che considera in una

condizione di superiore consapevolezza: essendo l’arte riconosciuta come la disciplina creativa per

Claudia Mesh, Institutionalizing social sculpture. Beuys’ Office for Direct Democracy through Referendum Installation 42

(1972), in Claudia Mesch, and Viola Michely, eds., “Joseph Beuys. The reader.” London: I.B.Tauris & Co Ltd, 2007, pp. 198-217.

Nel testo: Notes on participatory art: toward a manifesto differentiating it from open work, interactive art and relational 43

art (Milton Keynes : AuthorHouse, c2010), l’artista nordeuropeo Gustaf Almenberg sottolinea l’importanza riservata alla creatività individuale all’interno delle pratiche artistiche partecipative. Per AWT: Creativity is energy available to every individual (secondo principio che determina l’approccio filosofico di AWT).

���20

Joseph Beuys, Free International University Meeting, 1976

Page 21: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

eccellenza, egli definisce ogni individuo come artista allo scopo di esplicitare il potenziale di

“creazione attraverso la consapevolezza” di ogni individuo, intesa come capacità di

autodeterminazione consapevole attraverso scelte e azioni. Questa visione assume una dimensione

politica e sociale in relazione alla sua idea di scultura sociale, intesa come forma della società che

risulta dall’esercizio della creatività da parte dei singoli.

La funzione educativa attribuita all’arte, seppur assumendo connotazioni differenti rispetto a quanto

proposto da Beuys, trova un terreno fertile nelle pratiche “socially engaged”, così come nei discorsi in

ambito critico artistico che le riguardano. E’ infatti l’artista Pablo Helguera, dal 2007 direttore del

Department of Education del MoMA di New York per gli Adults and Academic Programs, a

sottolineare non tanto il valore e l’impatto pedagogico delle Socially Engaged Art Practices, poiché

evidenza il fatto che queste pratiche artistiche seguono processi paralleli alle discipline

dell’educazione. Nel suo testo, discute strumenti utili all’artista “socially engaged” per perseguire gli

obiettivi pedagogici impliciti o espliciti dei loro progetti. 44

Tuttavia, non bisogna ridurre il ruolo e la valutazione delle pratiche che operano nella dimensione del

sociale alla funzione educativa, come del resto sottolinea Anthony Schrag in una conversazione con

chi scrive, rischiando di diminuirne la portata conoscitiva e la profondità della ricerca. In altre 45

parole: seppur queste pratiche abbiano una potenzialità educativa e di crescita dell’individuo, in

quanto facilitano la riflessione su temi sociali spesso urgenti attraverso prassi non convenzionali,

questo non è -quanto meno non sempre- il loro scopo, e quando lo è, esso è esplicitato.

Per Maria Rosa Jijon, artista e antropologa partecipante a Methods, questo è il caso. Maria Rosa, in

collaborazione con il collettivo di cui è membro CETOJ - FLACSO Quito, ha realizzato nel 2007 un

progetto nel quartiere Turubamba di Quito in Ecuador, che ha come priorità la sensibilizzazione della

società e soprattutto il sostegno a un piccolo gruppo di giovani emarginati tra i 17 e i 26 anni.

L’obiettivo è utilizzare la fotografia e il video-making per lavorare sull’immagine di sé e sulla

consapevolezza individuale e di gruppo di questi ragazzi. In questo caso, un media artistico viene

utilizzato per finalità esplicitamente educative. Per AWT e LD, invece, il processo di consapevolezza

dell’individuo, attuata nell’ambito dei suoi progetti, non è la finalità ultima, non è la ragione prima del

suo operare, ma è un elemento sostanziale e funzionale al raggiungimento del suo scopo, ovvero la

realizzazione di processi armonici per il cambiamento sociale.

Come abbiamo visto nei casi di Kandinsky, dell’arte ottica e cinetica e di Beuys, le opere d’arte e le

azioni sono considerate, insieme alla loro portata estetica, vettori di elevazione spirituale, per

Si veda: Pablo Helguera, Education for Socially Engaged Art. A Materials and Techniques Handbook. New York: Jorge 44

Pinto Books, 2011.

Si veda l’appendice al testo. 45

���21

Page 22: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

l’affinamento delle capacità percettive, per il raggiungimento di consapevolezza dell’individuo. Questa

direzione della ricerca artista fa dell’opera d’arte uno strumento di crescita dell’individuo e quindi di

cambiamento della società. Pare ritrovarsi proprio in questa spinta ideale, in questa tensione ispirata ed

educata al “miglioramento” dell’individuo, una - la fondamentale, a mio avviso - eredità lasciata da

questi artisti alle generazioni successive di artisti (come AWT) che dagli anni ’90 fanno della loro

pratica lo strumento per cambiare la società.

Tuttavia, non si può non prendere atto dello scarto fondamentale avvenuto grazie ad altre direzioni di

ricerca dell’arte - approfondite nei capitoli successivi- che hanno creato le premesse per le pratiche

eterogenee degli anni ’90; né ritornare all’affermazione di Bourriaud (“L’arte doveva preparare o

annunciare un mondo futuro; oggi elabora modelli di universi possibili.”) prima di occuparci della

modalità attraverso cui AWT, LD e altri collettivi intervenuti a Methods operano: a partire dagli anni

’60, alcuni tra gli artisti più sperimentali hanno voluto contribuire al cambiamento della società

lavorando e performando al di fuori del sistema dell’arte, con nuove competenze e a contatto diretto

con il proprio pubblico.

La spinta utopica e/o ideologica che permea e guida le esperienze degli artisti dell’avanguardia storica,

e che permane in alcune esperienze della neoavanguardia, viene in qualche modo decantandosi nella

pratica, fino all’emergere non solo di una nuova figura dell’artista, ma anche di un modo diverso di

contribuire al cambiamento della società, fatto di azioni concrete, nel quotidiano, agite in prima

persona.

Pur non negando la portata pedagogica degli stessi, è in questo che si riconoscono i progetti di AWT,

LD e degli altri collettivi che hanno partecipato a Methods (nelle sue diverse edizioni) e, in generale,

nelle pratiche artistiche che operano nel sociale.

���22

Page 23: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Arte e cambiamento sociale: verso una co-creazione nel contesto

Come si è visto nel capitolo precedente, le azioni e progetti di AWT e LD sono finalizzate

all’attivazione del cambiamento sociale, e il workshop Methods - Processes of Change si caratterizza

per essere un momento di riflessione e indagine su questo tema. Secondo la visione di AWT proposta

nel workshop, l’individuo è il nucleo primo ed essenziale per il cambiamento della società, e la pratica

artistica di AWT e LD si fondano su questo presupposto. Non solo: essi concepiscono i propri

interventi e le proprie attività, collaterali ma complementari alla progettazione dell’azione in senso

stretto, per offrire un’esperienza di crescita, formativa, ai portatori d’interesse del progetto. Per far

questo, considerano l’individuo nella complessità della sua storia personale e nella molteplicità delle

quattro dimensioni (intellettuali, emotiva, spirituale, fisico-cinetica) che costituiscono la sua identità

individuale. Tuttavia, è necessario fare un passo indietro per comprendere lo scarto che è avvenuto

nell’evoluzione delle pratiche artistiche dalla fine degli anni ’50 ad oggi, poiché porre “l’uomo” al

centro della propria progettazione artistica (e architettonica) non implica necessariamente attribuire un

ruolo attivo al fruitore del proprio lavoro artistico.

L’uomo è stato il centro intorno al quale si sono sviluppate teorie e prassi architettoniche e artistiche in

altri periodi della storia, come dimostrano il Modulor di Le Corbusier (1942-1955) e L’Uomo

Vitruviano di Leonardo da Vinci (1490-1492 ca). In questo capitolo, questi due canoni e la concezione

dell’uomo che essi sottendono forniscono lo spunto per un ulteriore chiarimento sulla visione

dell’individuo proposta in Methods, ma sopratutto per analizzare, affrontando questioni già emerse

negli anni ’60 e in relazione alle metodologie presentate dai partecipanti al workshop, come questa

visione venga declinata nella prassi e nel ruolo attribuito al fruitore-destinatario dei progetti di AWT.

Presentiamo brevemente, contestualizzandole, le tre visioni a cui si accennato poc’anzi:

1. Iniziamo quindi da Le Corbusier. Tra l’esperienza di Vichy e i primi anni del secondo dopo guerra (1942-1955), Le Corbusier (1887-1965) sviluppa il Modulor, una scala di proporzioni antropometriche, l’ultimo tentativo di formulare un canone architettonico universalmente valido. Collaborando con architetti dell’ASCORAL (Assemblée des constructeurs pour une rénovation architecturale) e matematici, l’architetto franco-svizzero ha tentato di

���23

Le Corbusier, Modulor

Page 24: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

coniugare le dimensioni fisiche del corpo umano con la geometria euclidea, al fine di

reintegrare sul piano spaziale l’uomo e l’architettura, ottenendo così forme

potenzialmente “belle” (in quanto basate sulla Sezione Aurea) e rispondenti ai bisogni

umani. Ma quali bisogni esattamente? In un saggio pubblicato nel 2003, Simon Richards fornisce una rilettura dell’intera produzione architettonica e teorica di Le Corbusier per investigare la visione

dell’individuo che la sottende, offrendo così una nuova lente attraverso cui comprendere

la sua progettazione architettonica e urbanistica, nonché lo stesso canone del Modulor. 46

Secondo l’interpretazione dello studioso britannico, le motivazioni che avevano spinto all’elaborazione di tale canone erano state di due ordini: pragmatico e dettato dalla contingenza del momento storico; teoretico e legato ad una concezione del rapporto tra

individuo e società radicata in una precisa tradizione filosofica e architettonico-

urbanistica.

Da un lato, il Modulor è stato elaborato per far fronte a un’urgente questione emersa

all’intersezione dell’ambito architettonico e quello dell’industria delle costruzioni nel

periodo bellico e post-bellico: la mancanza di standardizzazione delle unità di misura.

Tale eterogeneità era affiancata dalla disanima filosofica tra i sostenitori del sistema

metrico e quelli a sostegno del sistema foot-and-inch, che a loro volta riflettevano due posizioni antitetiche rispetto al rapporto tra corpo umano e misurazione dello spazio (architettonico). Le Corbusier stesso considerava il sistema metrico come pura astrazione, mentre il secondo, che appoggiava seppur non fosse completamente efficace, lo interpretava come l’ultimo baluardo dell’esperienza empirica e incarnata (embodied)

dello spazio - poiché fondato sulla relazione con le misure del corpo umano. 47

D’altro lato, la progettazione dell’architetto - che solo in parte aveva seguito il paradigma

del Modulor - era informata da un’idea di identità individuale e di socialità radicata in

una tradizione filosofico-urbanistica che il Professor Richards fa risalire a Platone e che, insieme a Sant’Agostino, Leon Battista Alberti, Rousseau e Pascal, definisce “Antisocial

Urbanism”. Secondo questa tradizione, la piena e assoluta realizzazione dell’individuo è 48

raggiungibile solo nell’isolamento, nell’incorruttibilità morale che si realizza al di fuori

della dimensione sociale e che trova la massima possibilità di espressione nell’ambiente

urbano. 49

Simon Richards, Le Corbusier and the concept of self. New Haven, Conn. ; London : Yale University Press, 2003.46

Richards, Le Corbusier and the concept of self. New Haven, Conn. ; London, 2003, pp. 100-102.47

Simon Richards, The Antisocial Urbanism of Le Corbusier, in “Common Knowledge”, Volume 13, Issue 1, Winter 2007, p. 48

58-64.

Richards, The Antisocial Urbanism of Le Corbusier, in “Common Knowledge”, 2007. p.5949

���24

Page 25: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

2. Universalmente noto è anche l’Uomo Vitruviano di

Leonardo (fig.1), comunemente assunto a simbolo del Rinascimento italiano. Pensatore ed artista di estrema

modernità ed eccezionale per il suo tempo, Leonardo si 50

occupa estensivamente dello studio dell’uomo, della sua anatomia, comportamenti e movimenti, come testimoniano i suoi disegni, testi e l’estensiva bibliografia dedicata a comprendere la sua attività. La sua scienza (intesa come corpo di conoscenze basato su principi razionali e verificabili) e la sua produzione artistica (o inventione, intesa come “la creazione di

qualcosa di nuovo purché plausibile”) si sostanziano 51

reciprocamente, e hanno nella vista lo strumento fondamentale e il punto di 52

convergenza. Come già secondo la filosofia classica, l’occhio è considerato il senso

principale, e il “vedere come analisi” delle cose e dei fenomeni reali (in parte frutto della

sua formazione nell’ambito della tradizione artistica fiorentina) è l’unica fonte di

conoscenza pienamente valida per Leonardo. Inoltre, il corpo umano è considerato 53

come un microcosmo che rispecchia nel suo insieme il mondo superiore nei suoi principi di organizzazione, secondo una concezione che l’artista fa risalire a Tolomeo. Tornando all’Uomo Vitruviano, la questione relativa a quale fosse la destinazione del noto

disegno (un disegno a penna e inchiostro, con tocchi di acquerello, riportato a spolvero) è

ancora aperta: recentemente è stata avanzata l’ipotesi che si trattasse di una delle

illustrazioni di un incompleto trattato sulla scultura (il De Statua), basato sulle istruzioni fornite da Leon Battista Alberti nel suo trattato sullo stesso tema. Tuttavia, lasciando in 54

secondo piano questa disanima, è interessante notare un passo dal suo Trattato sulla

Pittura, ipotizzando di porlo in relazione alle sue investigazioni sulla natura dell’uomo: “la pittura over le figure dipinte debbono essere fatte in modo tale che li riguardatori

Andrè Chastel, Leonardo o La Scienza della Pittura. Milano: Abscondita, 2008. 50

Martin Kemp, Leonardo: nella mente del genio. Traduzione di Davide Tarizzo. Torino: Einaudi, 2006, p.32.51

Addirittura, Chastel scrive: “Leonardo si avvale della scienza per valorizzare l’attività artistica e per conferirle uno statuto 52

realmente elevato”. Chastel, Leonardo o La Scienza della Pittura. Milano, 2008, p. 64.

Kemp, Leonardo: nella mente del genio. Torino, 2006, p.30-31.53

Pietro Marani, Leonardo, The Vitruvian Man and the De Statue Treatise, in Gary M., ed. “Leonardo da Vinci and the art of 54

sculpture”. Atlanta: High Museum of Art ; Los Angeles: J. Paul Getty Museum ; New Haven: Yale University Press, 2009, pp. 83-98.

���25

Leonardo, Uomo Vitruviano

Page 26: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

d’esse possano con facilità conosciere mediante le loro attitudini il concetto dell’animo

loro”, essendo l’osservatore come “un muto” che si trova di fronte a “a due parlatori, e

benchè esso sia privato dell’audito, niente di meno mediante gli effetti e li atti d’essi

parlatori li comprende il tema della loro disputa.” Relativamente a questo passo, 55

Salvatore Settis sottolinea l’importanza della dispositio come competenza dell’artifex nella distribuzione delle fasi creative di una commissione artistica. Se la relazione proposta tra studio dell’uomo (e di conseguenza del cosmo) e comunicazione muta al

pubblico può essere plausibile, allora il lavoro pittorico di Leonardo come medium di per

un efficace comunicazione dei contenuti dell’opera. In questo modo, Leonardo dimostra

di sfruttare inconsapevolmente la “simulazione mimentica” nell’osservatore, fenomeno

psichico che il neuroscienziato Vittorio Gallese ipotizza (per il teatro) basato su meccanismi di simulazione incarnata (motoria e non) non diversi da quelli dei neuroni specchio, facendo dei suoi studi anatomici uno strumento non solo scientifico ma di efficace comunicazione visiva per il suo pubblico. 56

3. Come si è accennato in apertura di capitolo, anche nel workshop Methods, l’individuo,

nelle sue diverse ma dialoganti quattro dimensioni è il punto di partenza per la

declinazione dei contenuti delle varie giornate, e alla base delle pratiche degli organizzatori. Giuseppe Fiore, nella ricerca Nuvole di cambiamento, delinea con estrema

chiarezza il concetto del Sé e di “sistema sociale” proposto ed emerso dalle giornate di

workshop, riconnettendolo agli studi delle discipline di cui si sostanzia. Essi si fondano 57

su ricerche di psicologia, neuro-scienze e antropologia; per proporre una lettura delle

dinamiche sociali si è fatto riferimento alla biologia e alle teorie dei sistemi complessi e

del caos. 58

Secondo la visione espressa in Methods, sono caratteri naturali e specifici dell’uomo:

- la tensione al cambiamento. Gli individui scelgono e agiscono, dimostrando di oscillare

tra una tendenza alla conservazione e una necessità di cambiamento. Tale cambiamento

è suscitato da stimoli esterni, ma fondamentalmente nasce da un bisogno, dalla

necessità del singolo. E’ favorito dall’acquisizione di una nuova prospettiva sulla

realtà, la quale consente il potenziale sviluppo di una relazione inedita con il contesto,

sia ambientale che sociale. Inoltre, il cambiamento avviene con maggior facilità se

Salvatore Settis, Artisti e committenti fra Quattrocento e Cinquecento. Torino: Einaudi, 2010, p. 35.55

Vittorio Gallese, Corpo e azione nell’esperienza estetica. Una prospettiva neuroscientifica, postfazione in Ugo Morelli, 56

“Mente e Bellezza. Arte, creatività e innovazione”. Torino - Londra - Venezia - New York: Umberto Allemandi & C., 2010, pp. 268-269.

Giuseppe Fiore, Nuvole di Cambiamento all’interno dell’atmosfera creativa piemontese. Ricerca inedita. 2010.57

Si veda la ricerca di Fiore, specialmente il capitolo 3 (Giuseppe Fiore, Nuvole di Cambiamento all’interno dell’atmosfera 58

creativa piemontese. Ricerca inedita. 2010, pp. 23-34). ���26

Page 27: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

attivato all’interno di una situazione collettiva, inclusiva e collaborativa. In un simile contesto, dialogo e comunicazione sono fondamentali per la collaborazione fra le parti, soprattutto nelle dinamiche dei gruppi creativi, che - come in occasione del workshop

Methods - si propongono la finalità della creazione di nuovi concetti.

- la creatività. Intesa come attitudine ad attuare nuovi scenari possibili e, di conseguenza,

enzima di cambiamento. Essa può essere attivata attraverso forme di espressione

artistica. Le immagini, quali prima forma di espressione e narrazione, sono considerate come il principale veicolo di creatività.

- Dimensione relazionale del Sé. Il Sé è considerato da AWT come il primo gruppo con il

quale ogni individuo è chiamato a confrontarsi; l’identità del singolo è definita dalle

relazioni interne (tra sé e sé) e questa relazione (più o meno armonica) influisce sulla

relazione tra il Sé e il fuori da sé. Di rilevanza fondamentale è il contesto in cui il

singolo agisce, che è inteso sia come ambiente di relazioni sociali (la società stessa è

intesa come un sistema regolato da dinamiche non lineari e prevedibili), sia come

ambiente-struttura. Questa idea del Sé si radica nelle teorizzazioni di John Locke, come

risposta critica al Discorso sul Metodo di Cartesio, ed è oggi supportata dalle teorie 59

neuro-scientifiche e dalle scienze della psiche, ma anche da studi antropologici e

sociologici. Quanto maggiore è il grado di diversità all’interno del gruppo, tanto più

intensa è la comunicazione e l’insieme delle relazioni che devono essere attivate a tutti

i livelli, affinché venga elaborato un linguaggio condiviso e, a seguire, una nuova

conoscenza.

Messe a confronto, queste tre modalità di concepire l’uomo (e il Sé) di Le Corbusier, Leonardo e

Methods riflettono il carattere e le forme del sapere del tempo in cui si sono sviluppate, gli equilibri di

potere che esse sottintendono, oltre che diversi modi di concepire il ruolo dell’arte e dell’architettura

nella società. Seppur con approcci diametralmente opposti, i primi due esempi dalla storia dell’arte e

dell’architettura pongono al centro l’uomo nella sua dimensione fisico corporea, e ne propongono un

paradigma ideale (se non assoluto) sulla base del quale realizzare i propri lavori. Come più volte

sottolineato, in Methods si considera invece l’individuo nelle sue diverse dimensioni, delle quali quella

fisica corporea è una.

Una delle differenze fondamentali emerse tra le due precedenti e il discorso intorno all’essere umano

in Methods sta nella declinazione che queste diverse visioni acquisiscono nel processo creativo di

produzione dell’opera, e -questo si cercherà di dimostrare e delineare in questo capitolo- consiste nel

tentativo di attribuire un diverso ruolo al fruitore/destinatario dell’operazione artistica.

Richards, The Antisocial Urbanism of Le Corbusier, in “Common Knowledge”, 2007. 53-54.59

���27

Page 28: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Le Corbusier e, in parte, gli studi di Leonardo implicano in diversa misura la realizzazione di

architetture, oggetti, sculture e dipinti per il pubblico, e nello specifico “a misura d’uomo”, nel

rapporto 1:1 tra essi e l’individuo (pur non escludendo la possibilità di collaborazione con i

committenti dell’opera per l’elaborazione del lavoro finale o con altri colleghi). Nella pratica di AWT,

LD e di alcuni dei partecipanti al workshop, invece, l’outcome e l’output del progetto artistico non

sono elaborati senza la collaborazione attiva della comunità e delle istituzioni committenti, ma

vengono negoziati con queste figure.

Uno sguardo alle radici storiche dello spostamento del “pubblico” dalla fruizione alla dimensione

creativa dell’opera, non può fare a meno di confrontarsi con le pratiche artistiche contemporanee

raccolte nella categoria della participatory art, socially engaged art, o community-based public art,

dimostrandosi utile per comprendere il cambiamento nelle motivazioni e nelle intenzioni che

sottendono il nuovo ruolo attribuito al fruitore nel tempo, quale fertile scenario in cui si inseriscono le

pratiche artistiche presentate a Methods.

Guardando alle questioni discusse nell’ambito di Methods in relazione alla creazione collaborativa (o

co-creazione) e alla posizione peculiare assunta da AWT e LD, e da alcuni artisti (o collettivi artistici)

partecipanti al workshop, lo sviluppo del tema del “co-” (chiarito nella ricerca di Fiore), si integra e si

sostanzia nella visione dell’uomo enucleata in apertura di questo capitolo e nel precedente, e trova

nelle indagini di artisti (e non soltanto) dei passati decenni un interessante punto di partenza per

ulteriori chiarificazioni.

I casi studio affrontati nel capitolo precedente attribuiscono all’oggetto-opera d’arte un ruolo

fondamentale come vettore di cambiamento. A partire dagli anni ’60, e con le sperimentazioni

nell’ambito delle arti performative, in alcuni casi è l’artista in prima persona a interagire con il

pubblico “per indurlo” a un processo di maggior consapevolezza della sua posizione di spettatore

prima e di cittadino della società.

Se Beuys, come abbiamo visto nel capitolo

precedente, attribuisce una esplicita finalità educativa

ai suoi progetti, diverse sono le direzioni in cui

lavorano Michelangelo Pistoletto e la formazione

intersoggettiva di cui è capofila (lo Zoo, o quelli che

stanno al di là delle sbarre) alla fine degli anni ’60, e

’70, parallelamente alla quale e in qualche modo

complementare rispetto al temi della partecipazione,

si sviluppano le esperienze operate da Piero Gilardi.

���28

Mostra Arte Abitabile, Galleria Sperone, 1966

Page 29: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Entrambi gli artisti, nell’estate 1966, inaugurano la mostra Arte Abitabile, che vede esposti i loro

lavori con le realizzazioni di Gianni Piacentino. Nel contesto del cambiamento sociale e politico di

quegli anni, per questi artisti era importante ripensare la funzione dell’arte e le dinamiche del suo

sistema. I fondamentali punti di riferimento teorici erano rappresentati dal testo del marxista Herbert

Marcuse, L’uomo a una dimensione (pubblicato per la prima volta nel 1964 dalla casa editrice

Einaudi) e dal già citato Art as Experience (Firenze: La Nuova Italia, 1951) di John Dewey. Dopo la 60

consacrazione con una mostra personale presso la galleria Sonnabend a Parigi nel 1967, Gilardi lascia

la sua attività artistica in senso stretto (non produrrà più i suoi Tappeti Natura fino agli anni ’80,

quando gli saranno commissionati per finanziare altri suoi progetti), e metterà a disposizione le sue

competenze artistico-artigianali per i lavoratori in sciopero e a sostegno delle proteste che dilagano,

proprio da Torino nel resto d’Italia, nel biennio 1968-1969. La sua pratica, nella volontà di abbattere la

distanza tra arte e vita, si indirizza verso l’attivismo, sorretto da una forte motivazione ideologica. Si

fa portatrice di istanze politiche e sociali centrali per una specifica categoria sociale (il proletariato),

diventandone voce - anzi, megafono - per immagini, secondo una modalità non troppo distante dagli

esempi di attivismo politico dell’atelier populaire, operante a Parigi a sostegno delle proteste del

Maggio 1968.

L’anno successivo ad Arte Abitabile, invece, Michelangelo Pistoletto affianca alla sua attività artistica

individuale le sperimentazioni con Lo Zoo, che vuol dire quelli al di qua delle sbarre. Lo Zoo è una

formazione intersoggettiva le cui sperimentazioni si sviluppano prevalentemente nell’ambito delle arti

performative (sono utilizzate altre forme linguistiche: letteratura, musica, suono, corpo) sia per la

presenza dell’attore Carlo Colnaghi all’interno del gruppo, che coerentemente ad alcuni sviluppi

dell’arte internazionale verso la performance artistica. Tali esperienze si sviluppano fuori dalle 61

gallerie d’arte e nello spazio pubblico delle piazze e strade. “Il mio lavoro non è basato

sull’espressione individuale [come nella performance] ma sull’idea di incontri, di dialoghi creativi con

altri artefici, in luoghi che non sono specificamente deputati all’arte” dichiara Pistoletto nel 1994. Il 62

gruppo partecipa ad eventi di portata internazionale sia in Italia (tra cui la celeberrima Arte Povera

+Azioni Povere di Amalfi, nell’autunno 1968) che all’estero (festival Fluxys di Rotterdam e

Heldenberg). Sono fondamentali, da un punto di vista formativo e sperimentale per l’intera esperienza,

Andrea Bellini e Charles Esche, eds. Piero Gilardi, effetti collaborativi 1963-1985. Exhibition catalogue. Zurich: JRP 60

Ringier, 2011, pp. 8-10.

Per una panoramica delle attività svolte dallo Zoo, si veda il catalogo della mostra: Marco Farano, Roberto, Maria Teresa, e 61

Cristina Mundici, eds. Michelangelo Pistoletto: Il varco dello specchio: azioni e collaborazioni 1967-2004. Torino: Fondazione Torino Musei, 2005.

Michelangelo Pistoletto, in Matten Bouisset, Mirror effects in “Art Press”, Parigi, marzo 1994, p. 37.62

���29

Page 30: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

i quattro mesi trascorsi a Corniglia, un

villaggio della costa della Liguria di

ponente, a partire dalla fine del maggio

1969.

Nei mesi di soggiorno in Liguria,

proseguono le evoluzioni individuali ma

soprattutto ci si impegna nella pratica

collaborativa, che, da una serie di esercizi

preparatori all’attività teatrale vera e

propria e ideati da Pistoletto stesso,

diventa una vera e propria creatività

continua corale (L’Uomo Nero) , che 63

porta sia all’elaborazione di nuovi

materiali artistici, ma soprattutto diventa momento di auto-riflessione e di crescita per i membri del

gruppo. A queste attività, gli abitanti del piccolo paese non solo assistono, ma - con il passare del

tempo - partecipano integrandosi con gli artisti, mentre la ricerca del gruppo si muove verso forme di

linguaggio che vanno oltre gli intellettualismi e hanno un modo diretto di comunicare.

Nell’ambito di questi due differenti modus operandi, individuiamo due istanze di ricerca, sollevate

dagli artisti: da un lato l’esperienza di Gilardi, il porsi “al servizio” dell’attivismo politico e sociale, fa

del proprio pubblico potenziale il protagonista e il “committente” della sua stessa pratica, cambiando

sì la compagine sociale e gli interessi rappresentati, ma non le dinamiche verticali tra artista e suo

committente, anche qualora il porsi al servizio degli attivisti costituisse una scelta volontaria e dettata

da convinzioni politiche dell’artista stesso. Non a caso questa esperienza non durerà molto, e solo fino

al momento in cui l’artista stesso poté valutare positivo il suo intervento. 64

L’esperienza di Pistoletto invece, riferimento fondamentale di LD di cui è uno dei fondatori, è invece

cruciale non tanto per il rapporto instaurato con il pubblico, ma per l’investigazione delle potenzialità

del lavoro condiviso. Se da un lato, nello Zoo, l’intensità dell’esperienza viene raggiunta attraverso la

condivisione di spaccati di vita tra artisti di diverse discipline, la dimensione performativa e teatrale

“Un uomo vestito di nero entra in scena. Con gesso in mano disegna un grande cerchio per terra. Gli altri entrano in scena, 63

si dispongono lungo il raggio del cerchio in posizione di partenza, poi tracciano ognuno un proprio cerchio all’interno del cerchio più grande… Ma cercano, ognuno, di arrivare prima degli altri a chiudere il cerchio… Il primo che arriva ha vinto. Tutti gli altri gli volano addosso, lo picchiano forte, grande baruffa. Poi tutti vanno a dormire e il vincitore rimane sul posto disteso a terra…, si alza e si produce in una sua azione individuale. finché gli altri si alzano e … iniziano un’azione collettiva totalmente diversa, finché uno rimane disteso a terra”. Michelangelo Pistoletto, L’uomo nero. Salerno: Rumma Editore, 1970, pp. 21-22.

Nell’esperienza di Gilardi si scontra l’utopia marxista con le reali esigenze del ceto sottoproletariato. 64

���30

Lo Zoo, L’uomo nero

Page 31: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

svolgono un ruolo fondamentale. La presenza consapevole dell’artista nell’azione teatrale, che in

questo caso si sviluppa al margine tra arte e vita delle performances dell’Uomo Nero, diventa un

momento significante di crescita e cambiamento per il gruppo dei partecipanti.

Seppur Pistoletto neghi l’associazione tra le sperimentazioni del suo collettivo e le contemporanee

esperienze artistiche statunitensi, il tema della presenza consapevole nell’atto performativo trova

spazio, all’intersezione tra arti visive e performative, nella complessa questione del ruolo e della

partecipazione del pubblico affrontata dall’artista Allan Kaprow (1927-2006), nella New York di fine

anni ‘50 - inizio anni ‘60, e successivamente al suo coinvolgimento nelle sperimentazioni di John

Cage e del Black Mountain college. Kaprow riflette in termini molto attuali sul tema della

partecipazione effettiva del pubblico, che se da un lato rappresenta un superamento delle esperienze 65

cinetiche, ottiche e programmate mirate ad attivare il corpo e i sensi dello spettatore, dall’altro anticipa

temi che emergono nelle pratiche presenti a Methods, e nello specifico di AWT, già riscontrato nel

capitolo precedente in relazione a Joseph Beuys.

La perplessità dell’artista statunitense nasceva dalla limitata quanto automatica varietà di

comportamenti del pubblico in risposta alle interazioni attivate dal performer (ad esempio, parla del

lancio di una mela) che, in ogni caso, non prevedevano una partecipata consapevolezza all’azione. Nel

suo tentativo di eliminare questa forma inattiva di spettatorialità (consistente in uno spettatore in attesa

di ricevere un messaggio), cambiò la struttura dei suoi Happenings, coinvolgendo direttamente il

pubblico-fruitore fin dalle operazioni preliminari all’evento, introducendolo cioè al dietro le quinte

dell’evento. Secondo questa nuova modalità operativa, il fruitore cambiava di status, partecipando in

prima persona come interprete non professionista dell’azione performativa, e venendo coinvolto

direttamente nell'azione.

Nonostante le assonanze nel modus operandi che si possono riscontrare - in riferimento al

coinvolgimento di attori non professionisti - tra questa pratica e il cinema a partire dagli anni ‘50, c’è

una differenza fondamentale: nell’Happening, Kaprow considera la preparazione al momento

performativo in presenza di terzi (diciamo degli spettatori veri e propri accorsi per presenziare

all’azione) come fondamentale per la partecipazione, realizzazione e fruizione dell’opera stessa,

accomunandolo, nella sua fluidità, alla ritualità di determinati eventi della quotidianità (“come una

partita di pallone, un matrimonio o un servizio religioso”).

Tale momento si costruiva attraverso la presa di coscienza del proprio ruolo nelle dinamiche

dell’evento (presa di coscienza della finalità e della struttura della performance stessa) e attraverso il

dialogo, lo scambio con l’artista e gli altri partecipanti nel corso delle prove: in questo modo le

Allan Kaprow, Notes on the Elimination of the Audience, in Claire Bishop, eds. “Participation”. London: Whitechapel; 65

Cambridge, MA: MIT Press, 2006, pp. 102-104.���31

Page 32: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

persone che prendono parte all’evento acquisiscono consapevolezza del loro agire e della loro

posizione individuale nel contesto performativo. In questo, possiamo individuare una corrispondenza

con la pratica di AWT, che riconosce la potenzialità di consapevolezza che si acquisisce nella

partecipazione al processo creativo (dietro le quinte) di un evento indirizzato a terzi. 66

Il valore dell’esperienza di Kaprow rispetto ai temi della

partecipazione e – soprattutto - della creazione

collaborativa è rafforzato, se letto attraverso la lente

fornita dal testo del sociologo ed etnografo americano

Richard Sennett. Nel suo Together. The rituals, 67

pleasures & politics of cooperation (2012), saggio facente

parte di una trilogia che attende la pubblicazione

dell’ultimo volume sul tema della città, l’autore fa

riferimento al valore della prova (“reharsal”) condivisa. 68

In essa infatti si attua uno dei due elementi fondamentali

della cooperazione: il confronto dialogico, diverso ma

potenzialmente complementare al secondo, il confronto

dialettico. La differenza fondamentale tra questi due

termini di spessore filosofico risiede nel rapporto che essi

intrattengono con il raggiungimento di un accordo finale

tra le parti: se, nel confronto dialettico, le parti antitetiche trovano una posizione comune e condivisa

nella sintesi finali, in quello dialogico l’obiettivo (quanto la possibilità stessa) non è necessariamente

quello di trovare una soluzione condivisa fra le

par t i , ma l ’acquis iz ione d i un’u l te r iore

consapevolezza di sé da parte dei partecipanti. 69

Il dialogo (in senso dialogico) tra l’artista e il

pubblico e tra l’artista e gli altri fruitori svolge un

ruolo centrale per Joseph Beuys, come abbiamo

visto nel capitolo precedente, nell’Ufficio per la

democrazia diretta per Referendum e nel Free

Independent University. A sua volta, l’aspetto

dialogico è considerato l’elemento caratterizzante di

Conversazione con Stefania Mantovani (AWT) e Filippo Fabbrica (LD), 6 Gennaio 2015. 66

Richard Sennet, Together. The rituals, pleasures & politics of cooperation. London: Penguin, 2012. 67

Ibid, pp. 18-22.68

Ibid, pp. 14-18.69

���32

Allan Kaprow, 18 Happenings Cast of Participants, Allan Kaprow Papers, © Research Library, Getty Research Institute, Los Angeles.

Membri dell’Artist Placement Group, Kassel, 1977

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alcune pratiche artistiche degli anni ‘90, che - seppur riconducibili alla teorizzazione dell’estetica

relazionale di Bourriaud - sono inquadrate da Grant Kester sotto l’egida dell’Estetica Dialogica

(Dialogic Aesthetic). Nella prospettiva di Kester, le pratiche artistiche definite come dialogiche

costruiscono - virtualmente (ma talvolta anche fisicamente) - delle piattaforme o delle situazioni

inedite che consentono la creazione di una dimensione relazionale inedita, al di là degli specialismi

disciplinari e degli interessi conflittuali dei singoli individui. Egli porta come esempi il lavoro

dell’Artist Placement Group, di Wochenklausur, degli Harrison, Adrian Piper, e molti altri. Lo

studioso americano sostiene che, in questi lavori, la dimensione relazionale e dialogica tra l’artista e il

suo pubblico attraverso l’opera d’arte non si realizza a posteriori, in conseguenza all’esposizione del

lavoro in una galleria o un museo, bensì diventa l’opera d’arte stessa. 70

I momenti dialogici nei workshop e nelle pratiche artistiche di AWT si accompagnano a momenti

esperienziali e performativi, strutturati per i portatori d’interesse e con lo scopo di far esperire la

dimensione creativa, sia individuale sia collettiva, prendendo consapevolezza e mettendo in gioco le

molteplici parti dell’identità (dimensione intellettuale, emozionale, fisica-cinestetica ed energetica-

spirituale), che intervengono nel nostro processo decisionale e nel nostro essere, nell’essere in

relazione con l’altro e il contesto. Secondo questa modalità, AWT predispone delle “situazioni” che

richiedono al fruitore una volontà di partecipazione, una consapevolezza della propria presenza che va

al di là della propria risposta intellettuale o pratica, mettendo in gioco intenzioni più profonde ed

intime. La dimensione dialogica di AWT però, a differenza delle pratiche relazionali e dialogiche in

senso stretto, si sviluppa su livelli differenti dell’individualità del singolo e soprattutto non costituisce

la finalità ultima del lavoro di AWT. Questo aspetto, complementare a quanto già affrontato nel primo

capitolo, consente di ribadire che queste attività, di valenza “educativa” in senso lato, sono -come la

metodologia di co-creazione che sottende la loro pratica- strumentali al perseguimento delle finalità

del collettivo, cioè il cambiamento sociale.

Se i casi storici fino ad ora analizzati si inseriscono nelle dinamiche che vedono il fruitore dell’opera

come oggetto della “azione consapevolizzatrice” attraverso la fruizione dell’opera, della cui piena

realizzazione diventa parte integrante, lo scarto sostanziale di AWT, e di alcune pratiche intervenute a

Methods, sta nella finalità del proprio intervento. Esse, infatti, non si limitano ad esperienze educative

(o maieutiche, come loro le definiscono) su vari livelli, ma perseguono interventi e azioni concrete nel

contesto socio-culturale ed ambientale in cui operano, fungendo da mediatori delle istanze dello

stesso. In questa prospettiva il pubblico diventa protagonista del cambiamento a vari livelli, vedendo le

Grant H. Kester, Conversation Pieces. Community+Communication in Modern Art. Berkeley, Los Angeles, London: 70

University of California Press, 2004, specialmente il Capitolo Due (Duration, Performativity, and Critique).���33

Page 34: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

proprie istanze espresse nell’intervento co-ideato. Questi caratteri trovano un precedente nel ruolo

teorizzato per l’artista (o meglio per l’operatore estetico) da parte del critico e storico dell’arte Enrico

Crispolti negli anni’70.

Nel sottolineare l’eccezionalità del momento storico in termini di partecipazione della massa nelle

istituzioni della contemporaneità (scuola, fabbrica, università), Crispolti solleva la necessità che si

attivino processi partecipativi nell’ambito della produzione culturale a livello istituzionale, e

attribuisce all’artista e al critico un ruolo chiave. Egli conferisce all’artista la competenza di 71

“solleticatore, un provocatore, di partecipazione come momento di crescita auto-conoscitiva”, ovvero

di installatore di nuova auto-consapevolezza culturae. L’operatore estetico è così investito del ruolo di

mediatore tra la “cultura alta” e popolare-vernacolare, con il compito di trovare un linguaggio - anche

segnico - affinché essa si esprima e viene assunto come chiave di volta per il processo finalizzato non

ad eliminare, ma a “rovesciar i modi di gestione verticali delle istituzioni della cultura, per rifondarle

sul metro della realtà partecipativa”. 72

Se l’artista è chiamato a svolgere questo nuovo ruolo, anche il fruitore assume un ruolo differente

nell’elaborazione della nuova offerta culturale e artistica. Portatore di cultura autentica - di profondità

antropologica - in cui il critico vuole trovare possibilità di espressione all’interno della cultura

“ufficiale”, esso è chiamato a co-operare con l’artista nella produzione culturale. Nonostante la

componente ideologica marxista, sostenuta e permeata dal crescente interesse nella dimensione

antropologica che si diffonde negli anni ’70, in questa prospettica il pubblico diventa co-protagonista

sia nell’elaborazione di un linguaggio pittorico (anche segnico), che nella creazione di contenuti per

una programmazione culturale istituzionale, all’interno di una forma di governo democratica. Tutto ciò

nel contesto di una democratizzazione non solo dei contenuti culturali, ma anche della partecipazione

alle proposte culturali. Non si può ignorare come questo ponga delle questioni relative alla

rappresentatività strettamente connesse alla dimensione politica.

Tale questione si connette, nella prospettiva di analisi delle pratiche intervenute a Methods, con quello

della lettura delle esigenze di un determinato territorio, e alla progettazione partecipata, che emerge in

relazione a problematiche legate alla pianificazione dello spazio urbano, avanzata negli anni ‘70

dall’architetto Giancarlo De Carlo (1919-2005). Nel suo intervento al ‘Royal Australian Institute of

Architects’ di Melbourne nel 1971, De Carlo parla dell’esigenza di riformulare i processi di

In generale, il ruolo degli intellettuali è quello di operare per una sollecitazione di partecipazione democratica, cioè di 71

crescita politica e culturale entro le strutture ed entro le istituzioni che praticano. Enrico Crispolti, Arti visive e partecipazione sociale. Da “Volterra 73” alla Biennale 1976. Bari: De Donato, 1977, p. 24.

Crispolti, Arti visive e partecipazione sociale. Bari, 1977, pp. 14-15.72

���34

Page 35: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

progettazione architettonica nell’ottica di una società rinnovata in senso democratico. L’architetto

confronta la progettazione architettonica “autoritaria” con quella partecipata. Se la prima può essere

divisa in tre fasi in successione lineare (definizione di un problema, elaborazione della soluzione,

valutazione) in cui la seconda è considerata (e quindi condotta) come la più importante, nella

progettazione partecipata invece ogni fase del processo diventa fondamentale per il progetto, “l’uso”

da parte dell’utente diventa momento di progettazione stessa (adozione dei sistemi aperti) e le fasi

sfumano l’una nell’altra. Raccontando la sua esperienza di pianificazione del centro di Rimini (poi 73

non realizzata per via di un cambio politico dell’amministrazione pubblica), riferisce della difficoltà

riscontrata nel corso della stessa per l’attuazione di un processo partecipativo. Nello specifico,

riferisce della difficoltà iniziale nel sondare la volontà effettiva degli abitanti per l’utilizzo degli spazi

della città, dovute all’impossibilità di ottenere risposte che vadano oltre ai luoghi comuni e che

esprimano l’effettivo bisogno d’uso degli spazi pubblici, quando intervistati direttamente. Per questa

ragione, De Carlo riferisce dell’adozione di nuovi spazi per il dialogo sul territorio (meno formalmente

associati alla cultura “alta”), e di nuove modalità di dialogo con la popolazione, supportate da una più

complessa analisi di tipo storico-antropologico del territorio.

Le prassi di osservazione, analisi e lettura di un territorio svolgono un ruolo fondamentale nelle

metodologie presentate a Methods. Esse tendono a far emergere la complessità del sistema territoriale

oggetto dell’intervento nelle sue diverse componenti sociali, economiche, culturali, geografiche,

politiche. Per far ciò, affiancano strumenti afferenti a diverse discipline per la raccolta dei dati

coerentemente con il contesto di intervento: dalla SWOT analisi al rilievo geo-morfologico,

dall’indagine sociologica ai metodi etnografici, dalle osservazioni percettive allo studio urbanistico-

naturalistico.

A Methods, l’antropologo Fabio Pettirino spiega l’applicazione del metodo etnografico, nelle due

diverse varianti, narrando l’esperienza di Intrecci, un progetto sviluppato con un gruppo di migranti

nel territorio. Individuando ed esplorando aspetti basilari degli individui frequentanti il museo, il

progetto ne rintracciava le radici culturali e i loro significati per dare nuove narrazioni e prospettive sul

museo stesso, per trasformarne il ruolo all’interno del tessuto culturale biellese. Marco Lampugnani

presenta l’esperienza di snark, che, in quanto gruppo interdisciplinare, adotta e sintetizza metodologie

provenienti da diverse discipline: etno-semiografia, geografia, scienze economiche, architettura e

urbanistica. Nel progetto presentato a Methods, egli presenta l’utilizzo dell’etnografia digitale come

metodologia che consente di mappare comportamenti, legati all’uso di determinati strumenti

Giancarlo De Carlo (Sara Marini, ed). L’architettura della partecipazione. Macerata: Quolibet, 2013, pp. 69-70. 73

���35

Page 36: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

tecnologici. Molto più articolata è la prassi di analisi del territorio condotto da AWT, denominata dalle

artiste come Osservazione Sistemica, anche in relazione alla maggior portata e complessità di alcuni

progetti sviluppati (per esempio nei Colli Berici, a Panama, a Mestre, a Montevarchi). Essa utilizza i

più tecnici strumenti d’indagine per la progettazione (non dimentichiamoci sia la formazione dei

membri del collettivo, architettura e management, né il loro approccio multidisciplinare) e pratiche di

osservazione collettiva, che coinvolgono diversi portatori di interesse e punti di vista verso il

progetto. 74

Una delle pratiche più utilizzate è intitolata Prestami i Tuoi Occhi. In tale pratica, le artiste si fanno

accompagnare e illustrare il territorio da abitanti locali di differente estrazione sociale e professione,

ma anche da esperti (non locali ma interessati al progetto) in discipline la cui prospettiva potrebbe

portare un utile contributo alla lettura del contesto, nella funzione di osservatore esterno. Questa 75

figura è fondamentale e ricorrente nei progetti di AWT, ed è concepita sulla base di una visione

filosofica radicata nella pratiche iniziatiche sufi, secondo le quali l’unico modo per cambiare se stessi è

tendere ad uscire dalla propria meccanica percettiva ed essere osservatori esterni di sé, e nella

psicologia occidentale, che fa della narrazione del sé una modalità terapeutica per distanziarsi e

intervenire nella propria vita. Nell’esperienza di progettazione per Panama ad esempio, AWT ha 76

incontrato, dialogato, camminato, “condiviso lo sguardo sul territorio” con oltre 150 persone. Durante

il progetto OLTRE/Leader II per i Colli Berici, le due artiste assieme ad abitanti ed esperti hanno

svolto ogni domenica per un intero anno passeggiate di osservazione nella valle dei Colli Berici. Di

minor durata ma di alta intensità è stata l’azione h24, ideata in occasione del progetto MS3 nella

“Terraferma” veneziana. L’osservazione sistemica attuata da AWT ha la finalità di esplicitare tutti i 77

possibili punti di vista sul territorio, per averne una visione tanto più completa quanto complessa,

restituita in forma di mappe, relazioni potenziali, interviste, documentazione fotografica e video.

Questa lettura delle diverse componenti del contesto è un’operazione complessa, che richiede tempo e

risorse. Dai risultati di tali osservazioni seguono e emergono gli interventi o le azioni. Nello specifico,

Viene utilizzata la parola “portatori di interesse” per indicare tutte le persone fisiche o giuridiche in qualsiasi modo e a 74

qualsiasi livello interessate nel progetto. Questo apre una questione fondamentale relativa alle pratiche partecipative. Comunità locale, ma anche la comunità di esperti che hanno curiosità e competenze e passione per un progetto. esiste ancora un pubblico terzo, quello che legge la documentazione. Potremmo definirlo virtuale, nel suo significato primo ”in potenza”, ma anche in relazione al web, visto che questo nuovo strumento di rete e comunicazione ha allargato il bacino di utenti di informazioni relative a progetti. ed è quello a cui si è sempre rivolta l’avanguardia artistica. Questo tema è stato suggerito in una conversazione con Emily Gray, project manager di SSW, in Scozia.

In secondo questa prospettiva, si legittima il valore di presenze di artisti sul territorio di breve periodo, in qualità di 75

osservatore esterno privilegiato - pratica questa che tende ad essere dibattuta accesamente nell’ambito delle pratiche relazionali. Tuttavia, questo sguardo esterno deve essere inserito nella osservazione sistemica del contesto e in un più ampio sistema di progettazione. Non può essere fine a se stesso.

Conversazione con Stefania Mantovani (AWT), 6 gennaio 2015. 76

http://www.artway.info/ms3/77

���36

Page 37: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

per AWT è dall’Osservazione Sistemica che emergono quelle che sono le potenzialità e gli aspetti

dormienti di un determinato territorio, sul quale, in collaborazione con i portatori d’interesse, è

possibile intervenire. Seppure la lettura di un determinato contesto comporti un certo grado di 78

deformazione da parte di chi svolge l’operazione di analisi, l’avvalersi di vari e diversificati strumenti

di indagine svolge la funzione, per AWT, di considerare un’ampia varietà di punti di vista, nel tentativo

di ampliare e armonizzare lo spettro di interessi rappresentati e il dialogo sull’azione da produrre.

In questo sforzo a non ridurre la complessità delle esigenze emerse dal contesto d’azione, la

metodologia di AWT può essere avvicinata alle metodologie di gestione creativa dei conflitti

(interpretando come conflittuali gli interessi divergenti), di cui la metodologia del Confronto Creativo,

teorizzato da Marianella Sclavi e Lawrence Susskind, è una delle declinazioni sul piano delle decisioni

collettive. 79

Sul piano delle decisioni politico-amministrative, il testo A più voci da Luigi Bobbio propone

soluzioni ad una fondamentale questione emersa in relazione ai processi decisionali inclusivi (ideali)

delle amministrazioni pubbliche. Luigi Bobbio riscontra infatti la tendenza ad assumere gli interessi 80

della maggioranza come gli unici degni di considerazione per le decisioni collettive, a cui consegue

l’ignoranza e la mancanza di considerazione degli interessi delle minoranze, i quali possono essere

invece preziosi nella progettazione finalizzata a delineare soluzioni per questioni problematiche. In 81

altre parole, la questione della rappresentatività (cioè di mantenere l’appoggio della più ampia

maggioranza dell’opinione pubblica) da parte delle amministrazioni pubbliche diventa una priorità,

rispetto alla volontà di trovare soluzioni complesse che tengano conto dei bisogni delle minoranze o/e

degli interessi non espressi in forme riconosciute istituzionalmente - “proprio coloro che avrebbero

maggior bisogno di essere inclusi”. 82

Nei processi curati da AWT, la complessità sociale, culturale, politica ed economica risulta non solo

chiamata ad esprimere la propria prospettiva sulla questione oggetto del progetto, ma anche a prendere

parte proattivamente nella messa in atto della vision, emersa dal processo stesso di osservazione. In

ragione di questo atteggiamento che accoglie la complessità del reale, AWT definisce come suo

Interessante notare come nel caso dell’esperienza sviluppata da AWT con l’azienda LAGO Spa, l’osservazione stessa fosse 78

stata un processo scardinante, in grado di mettere in modo cambiamenti all’interno della compagnia stessa.

Nell’introduzione al testo, gli studiosi delineano una genealogia per la metodologia da loro proposta radicata negli studi 79

statunitensi degli anni ’80. Marianna Sclavi, Lawrence Susskind, Confronto creativo. Dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati. Milano: Et Al, 2011, p. 21.

Luigi Bobbio, ed. A più voci. Amministrazioni pubbliche, imprese,associazioni e cittadini nei processi decisionali inclusivi. 80

Napoli - Roma: Edizioni scientifiche Italiane 2004.

Ibid, p. 40-53.81

Ibid, p. 49.82

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Page 38: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

obiettivo quello di creare processi armonici, intendendo con questo aggettivo non un canone estetico o

etico, ma la ricomposizione di interessi distinti, conflittuali e complessi del contesto in cui agiscono.

Le metodologie e approcci di Bobbio e della Sclavi differiscono dalla metodologia di AWT su una

questione fondamentale: entrambi si riferiscono al raggiungimento di una decisione condivisa,

“fermandosi” al piano – comunque fondamentale - della progettazione. La metodologia di co-

creazione di AWT va oltre il piano progettuale e decisionale della partecipazione, attuando le visioni e

gli interessi collettivi dei portatori di interesse nell’attuazione e realizzazione al progetto.

Questo non significa che all’interno delle dinamiche di creazione condivisa attivate da AWT tutti i

portatori di interesse partecipano secondo le stesse modalità. Così come punti di vista diversi sono

armonizzati nell’azione risultante dall’analisi, la collaborazione prevede diversi gradi di partecipazione

che si basano su capacità, potenzialità, interessi ed intenzioni degli individui che decidono di prendere

parte al processo. Ognuno è chiamato a collaborare, mettendo in comune quanto è disponibile a

portare al tavolo progettuale. Se il processo di lettura di un territorio è il più inclusivo possibile, le

azioni intraprese sono partecipative, nel senso etimologico della parola. Partecipare deriva infatti da

“participo”, che in latino significa “mettere in comune”. 83

In latino: Participo (I declinazione): 1. far partecipe uno di qualcosa; mettere in comune una cosa con qualcuno, dividere, 83

comunicare; 2. aver parte, prendere parte. ���38

Page 39: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

L’artista: l’approccio multidisciplinare

Non tutti sono chiamati ad essere artisti nel senso specifico del termine. Secondo l'espressione della Genesi, tuttavia,

ad ogni uomo è affidato il compito di essere artefice della propria vita: in un certo senso,

egli deve farne un'opera d'arte, un capolavoro.Lettera di Giovanni Paolo II

Nei due capitoli precedenti, son state affrontate questioni importanti relative alla relazione tra pratiche

artistiche, cambiamento sociale e partecipazione del pubblico, delineando la visione e le posizioni

espresse in Methods. Operare negli scenari e secondo le visioni delineati nei capitoli precedenti

comporta uno cambiamento fondamentale rispetto alle competenze e ruolo dell’artista tradizionale e

concepito dall’opinione pubblica. In questo capitolo si delineeranno i caratteri delle professionalità

artistiche che hanno preso parte e organizzato Methods, facendo emergere lo scarto avvenuto rispetto

alla concezione più tradizionale dell’artista.

Le definizioni di “artista” offerte, rispettivamente, dal vocabolario online Treccani e da Wikipedia, due

fonti del sapere (e dell’immaginario) comune, forniscono un interessante punto di partenza per 84

affrontare il tema del ruolo dell’artista -della sua specificità professionale, del suo ruolo socio-politico

e della sua responsabilità- quale emerge dall’analisi dei progetti presentati dai partecipanti e dagli

organizzatori di Methods.

Treccani riferisce:

1. Chi esercita una delle belle arti (spec. le arti figurative, o anche la musica e la poesia): gli a. del Rinascimento; gli a. della scuola romana. Come termine di classificazione professionale e dell’uso com., anche chi svolge attività nel campo dello spettacolo (teatro, cinema, ecc.): a. lirico; a. di varietà; gli a. della radio, della televisione; i camerini degli a.; ingresso riservato agli artisti. Il termine implica spesso un giudizio di valore ed è allora attribuito a chi nell’arte professata ha raggiunto l’eccellenza: è un vero a., un grande a., un a. di genio. Con riferimento alla poesia, è talora contrapposto a poeta, considerando come qualità proprie di questo la forza dell’ispirazione e del sentimento, l’altezza della fantasia, e attribuendo all’artista soprattutto virtuosismo e abilità tecnica. 2. estens. Chi ha fine senso dell’arte ed è aperto al sentimento del bello: ha un’anima d’a.; parla,

Ci si riferisce a una fonte autorevole di informazioni, l’Enciclopedia Treccani, e Wikipedia in quanto le due fonti più 84

consultate online per la definizione di questo termine. ���39

Page 40: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

scrive, suona da a.; o chi eccelle nella propria professione, attività o mestiere: quel chirurgo è un a.; ho trovato un falegname che è un vero a.; questo giovane calciatore è un a. del pallone. 3. ant. Artigiano: la cittadinanza, ch’è or mista Di Campi, di Certaldo e di Fegghine, Pura vediesi ne l’ultimo artista (Dante). ◆ Spreg. artistùcolo; rari l’accr. artistóne e il pegg. artistàccio (tutti con il rispettivo femm. -a).85

In Wikipedia, troviamo:

Nel senso più ampio, l'artista è una persona che esprime la sua personalità attraverso un mezzo che può essere un’arte figurativa o performativa. La parola viene usata anche come sinonimo di creativo.

In un senso più stretto si definisce artista un creatore di opere dotate di valore estetico nei campi della cosiddetta cultura alta, come la pittura, la musica, l’architettura, il disegno, la scrittura, la scultura, la danza, la regia (cinematografica, teatrale e televisiva), la fotografia, la recitazione.86

Seppur Wikipedia appaia più aggiornata, entrambe le fonti forniscono una definizione di artista fondata

su un ideale romantico di esperienza estetica, artista ed opera d’arte. Seppur lo spettro disciplinare

incluso in tali definizioni non risparmi la presenza di cinema, fotografia e televisione, compare ancora

la triade delle belle arti (pittura, scultura, architettura) e l’associazione dell’artista con espressioni di

cultura alta. E’ inoltre legato a un’idea di opera d’arte come capolavoro (pezzo di eccellenza) e,

soprattutto, all’idea di opera d’arte come espressione della individualità e dell’autorialità ispirata.

Prima d’inoltrarsi nell’analisi della specificità emerse in occasione di Methods, saranno analizzati gli

elementi che forniscono lo spessore semantico del termine “artista” comunemente inteso, proponendo

sia una rilettura della professionalità dell’artista Rinascimentale (generalmente considerato

paradigmatico, come può dedursi dalla definizione su Treccani) basata sulla letteratura, sia facendo

riferimento alla transizione che, a partire dal XVIII secolo, ha condotto all’emergere del moderno

sistema dell’arte (e già parzialmente superato) e della relativa idea di arte e artista.

Seppur si tenda ad associare il termine di artista al periodo storico del Rinascimento, l’uso di tale

termine in quel contesto non è filologicamente corretto. André Chastel, studioso del Rinascimento e, 87

http://www.treccani.it/vocabolario/artista/, consultato il 14 Ottobre 2014. Il corsivo è di chi scrive. Da notare che la 85

definizione offerta invece dall’Enciclopedia online Treccani è differente - molto generica, ma tendenzialmente più aggiornata: “Dal 20° sec. la definizione generica e comprensiva di a. è utilizzata nelle arti visive, accanto alle specifiche qualificazioni disciplinari (pittore, scultore, incisore) in relazione a un operare artistico che supera la tradizionale suddivisione tra le arti e vede il moltiplicarsi dei propri mezzi espressivi” in http://www.treccani.it/enciclopedia/artista/, consultato il 10 Febbraio 2015.

http://it.wikipedia.org/wiki/Artista, consultato 10 Febbraio 2015.86

André Chastel, L’artista, in Eugenio Garin (ed), “L’uomo del Rinascimento”(1988). Bari: Laterza, 2007, pp. 239-269.87

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Page 41: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

nello specifico, di Leonardo, sottolinea come fosse invece comune il termine Artifex (letteralmente

“artefice”). Tale sostantivo poneva l’accento su una dimensione del “fare” manuale (-fex, da facere –

che spesso compare nelle firme stesse degli artisti, “fecit”, che, dal latino, significa fare appunto “ha

fatto”), caratterizzata da abilità tecniche e un’intelligenza pratica (arti- come in greco per la parola

τέχνη, veniva infatti utilizzata per descrivere una particolare capacità intellettiva-manuale, non

riducibile alle sole Belle Arti). Non a caso, nel trattato dell’umanista e architetto Leon Battista 88

Alberti, De Pictura (scritto nel 1435 in due edizioni, una latina e una in italiano volgare), l’autore -

intellettuale, religioso, e architetto egli stesso- faceva riferimento al doctus artifex, indicando -accanto

all’imprescindibile dimensione del fare nutrita di matematica e geometria- la lettura della poesia tra le

discipline che sarebbero dovute essere affiancate alle conoscenze pragmatiche caratterizzanti la pratica

di questi professionisti. In questo testo, l’Alberti non stava infatti fornendo che un’ideale della 89

professione e della formazione del pittore, a cui pochi artisti (forse solo Piero della Francesca e

Mantegna, a detta di Elisabetta Di Stefano ) in realtà corrispondevano. Per questa ragione, egli 90

introduce l’uso dell’aggettivo ductus per indicare una nuova, quanto inusuale, dimensione teoretica

non contemplata dal termine artifex con cui tali professionisti venivano solitamente denominati. 91

D’altra parte, il ruolo dell’artifex nel processo creativo di un’opera artistica era limitato, e connesso

soprattutto alla ricerca di uno stile visuale, alla organizzazione fisica e costruzione dello spazio

figurativo, finalizzato all’espressione in termini visivi del messaggio elaborato nelle precedenti fasi

creative. E’ questo che emerge dalla raccolta di saggi dal titolo Artisti e committenti tra Quattrocento e

Cinquecento di Salvatore Settis. Lo studioso divide il processo creativo di un’opera in tre fasi, e ad 92

ognuna di essere associa uno o più protagonisti, con il fine di proporre uno schema tipologico

attraverso cui leggere le relazioni potenziali tra committenti, umanisti ed artisti tra Quattrocento e

Il filosofo e storico dell’estetica Larry Shiner scrive in riguardo all’inesistenza del termine artista, nella Grecia classica, in 88

Larry Shiner, L’invenzione dell’arte. Una storia culturale (2001). Torino: Einaudi, 2010, pp.34-36.

Leon Battista Alberti, De Pictura, III, 53, edizione a cura di c. Grayson. Roma-Bari: Laterza, 1980.89

Elisabetta Di Stefano, Leon Battista Alberti e il Ductus Artifex, in Luisa Secchi Tarugi, “Mecenati, Artisti e Pubblico del 90

Rinascimento”, Atti del XXI Convegno Internazionale [Pienza-Chianciano Terme 20-23 Luglio 2009]. Firenze: Franco Cesati Editore, 2011, pp 321-330.

A complicare ulteriormente la questione, o forse a semplificarla, è l’intervento di Elisabetta Di Stefano pubblicato nel 2011 91

in Mecenati, Artisti e Pubblico del Rinascimento. La storica inserisce l’Alberti nella rete sociale e culturale delle corti in cui vive: la conclusione della studiosa è che l’Alberti, parlando di doctus artifex si riferisse ai gentiluomini (Francesco Gonzaga, Federico Da Montefeltro, Andrea di Bussi) appartenenti al circolo culturale formatisi intorno all’intellettuale padovano Vittorino da Feltre, di cui lui stesso faceva parte e i cui membri intervenivano nelle questioni architettoniche e pittoriche della loro corte. Se questa ipotesi venisse accertata cambierebbe non solo la parziale interpretazione del lavoro dell’Alberti, ma anche nel ruolo svolto dal committente nella creazione artistica. (Elisabetta Di Stefano, Leon Battista Alberti e il Ductus Artifex, in Luisa Secchi Tarugi, “Mecenati, Artisti e Pubblico del Rinascimento”, Atti del XXI Convegno Internazionale [Pienza-Chianciano Terme 20-23 Luglio 2009]. Firenze: Franco Cesati Editore, 2011).

Salvatore Settis, Artisti e committenti tra Quattrocento e Cinquecento, Torino: Einaudi, 2010. 92

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Page 42: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Cinquecento. Tale modello, basato su una semplificazione del modello retorico classico che proprio

nel Quattrocento si era andato riscoprendo, riduce tale processo a tre fasi: l’inventio, la dispositio, la

compositio. Il termine compositio si riferisce, come per l’arte retorica elocutio-memoria-93

pronuntiatio, all’esecuzione, ed è in quest’ultimo ambito che l’artista, almeno fino alla fine del

Rinascimento e con le dovute eccezioni, esercitava la propria discrezionalità.

Tuttavia, il concetto di arte e artista cambiano a partire dal XVIII secolo, ed è uno studioso americano,

Larry Shiner, a darcene una convincente spiegazione nel suo L’invenzione dell’arte. Una storia

culturale. Nel suo saggio, infatti, egli dimostra come il sistema moderno dell’arte - entrato 94

velatamente in crisi già dall'inizio del Novecento, ma che ancora pare persistere nell’opinione

pubblica- sia stato il risultato di una costruzione culturale, e non invece “un elemento naturale né

l’emanazione di un destino immutabile.” Esso emerge dalla creazione di un sistema di nuovi 95

concetti, comportamenti e istituzioni, e si lega strettamente alle relazioni di genere e di potere.

Da un lato, Shiner sottolinea come proprio a partire dal Settecento si attuino -per poi consolidarsi nell’

Ottocento - la spaccatura tra Belle Arti e artigianato, la distinzione tra la figura dell’artigiano e quella

dell’artista, la differenziazione tra piacere estetico e piaceri e utilità più ordinarie. Dall’altro, chiarisce

come la creazione di questo nuovo sistema di concetti sia strettamente intrecciato alle nuove

condizioni di produzione di oggetti artistici (da quella su committenza, sostituita per lungo tempo e per

la maggior parte, dal mercato dell’arte), all’essere funzionale al consolidamento di relazioni di potere

(rinforzando pregiudizi etnici, di genere, di classe sociale) ed accompagnato 96

dall’istituzionalizzazione di comportamenti e prassi attraverso la creazione delle istituzioni museali

(strettamente nel campo delle arti visive).

Nel sistema emerso nel corso dell’Ottocento, l’Arte (denominazione che il termine belle arti e

comprende ora poesia, pittura, scultura, architettura, musica) assume “un ruolo spirituale, e

trascendente, come la rivelazione di verità superiori o di confronto con l’anima”, e l’opera d’arte 97

diventa una seconda natura (o creazione) , oggetto di un piacere raffinato (l'esperienza estetica), 98

Pinelli ripensa invece questo paradigma utilizzando dei termini dedotti da documenti rinascimentali: intenzione, invenzione 93

e artifizio. Pinelli, Postfazione, in Settis, “Artisti e Committenti”. Torino: Einaudi 2010, pp. 222-225.

Larry Shiner, L’invenzione dell’arte. Una storia culturale [2001]. Torino: Einaudi, 2010. 94

Ibid, p. 3. 95

Ibid, pp. 186-188.96

Ibid, p. 7.97

Ibid, p.166.98

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Page 43: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

inteso come atteggiamento contemplativo al di fuori dal contesto dell’ordinario teorizzato dai filosofi

dell’Illuminismo. 99

Per questo motivo, soprattutto dall’Ottocento, e forte di questi sistemi concettuali, sociali e

istituzionali, la figura dell’artista assume una nuova connotazione: “L’artista è il sacerdote di questa

religione eterna [l’arte]”, scrive da Shiner citando Paul Bénishou. Essere artista diventa una 100

vocazione, per cui sacrificare tutto. Egli (spesso infatti si trattava di uomini) è un modello spirituale,

un genio dell’immaginazione creativa (considerato tale non soltanto nella poetica romantica, ma anche

nei manuali di psicologia, quale ad esempio Principi di psicologia di Herbert Spencer del 1872, nel

quale la stessa capacità veniva attribuita anche ai migliori scienziati) , associato al mito della libertà 101

dalla creazione artistica. 102

Ecco quindi emergere i vari elementi che costituiscono il campo semantico dell’uso odierno del

termine artista, a cui si è accennato in apertura del capitolo. Nell’ambiguità che ancora oggi si

percepisce nell’uso comune dello stesso, giacciono conflittualità irrisolte, che creano, a mio avviso,

pregiudizi e resistenze nei confronti di artisti contemporanei dediti a determinate tipologie di

produzione artistica. D’altro canto, proprio in questa complessità irrisolta si annida il potenziale

innovativo per l’emergere di un nuovo sistema dell’arte. Il testo di Shiner termina con l’analisi di

alcune esperienze dell’arte degli anni ’60. In questo capitolo invece, guarderemo a quanto emerge in

alcune pratiche condotte a partire dalla seconda metà degli anni ’90, attraverso la rilettura delle tre

edizioni di Methods al fine di delineare visioni e atteggiamenti, pratiche e competenze che proiettano il

ruolo della categoria professionale dell’artista verso una prospettiva, dotata di nuove e inedite

connotazioni. 103

Soffermiamoci anzitutto su quelle che sono le prassi effettive e gli obiettivi degli artisti presenti nelle

tre edizioni di Methods.

Ibid, p. 180-201.99

Ibid, p. 266.100

Ibid, p. 269. 101

Ibid, p. 266-286.102

Questo testo si concentra sulla edizione di Methods del 2010. Tuttavia, su questo preciso argomento, importanti riflessione 103

derivano dall’analisi di progetti partecipanti alle precedenti edizioni della ricerca. ���43

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Nel edizione del 2004 curata da Love Difference e Cittadellarte, hanno partecipato a Methods

professionisti di provenienza internazionale che “utilizzano la creatività come strumenti per affrontare

problemi sociali e politici, attraverso moduli sostenibili e partecipativi”. Al workshop, tenutosi a 104

Cittadellarte (Biella), sono presenti artisti, operatori culturali, architetti, cioè professionisti afferenti a

campi di indagine associati con la creatività, nonostante la finalità di utilità sociale che attribuiscono (e

conferiscono) alle loro pratiche. Si registra infatti la partecipazione di Bureau De Compentence et

Desir, Calc (Spagna), Isola art Centre (Italia), Significans (Germania); Stalker – Osservatorio Nomade

(Italia), Katja Lindqvist e Petra Revenille (Svezia). Lo scopo di questo primo workshop era stato

quello di creare una piattaforma per discutere e confrontare le esperienze dei partecipanti nell’ambito

dell’intervento nel sociale, per sviluppare un linguaggio condiviso e per iniziare un’auto-riflessione sul

proprio lavoro attraverso momenti di discussione aperti all’intero gruppo. Le conversazioni avvenute

nel contesto del workshop, e il modo in cui i partecipanti presentano se stessi, fanno emergere progetti

molto eterogenei per visioni, pratiche e soprattutto obiettivi, rivolgendo particolare attenzione sui

problemi comuni, che risultavano essere la necessità di creare un linguaggio condiviso, network e

legittimazione pubblica.105

La seconda edizione è organizzata a Bologna, in occasione di ArteFiera (2006). Vi prendono parte i

rappresentanti del Malopolski Institut Kultury (Polonia), dell’associazione La source du Lion

(Marocco); dell’Associazione Culturale Africa e Mediterraneo (Italia), di Asiles NGO (Palestina), del

collettivo DMedia (Romania); della formazione intersoggettiva Performing Art Centre Multimedia

(Macedonia). Così come diverso è il contesto in cui si svolge il workshop, lo sono anche la struttura e

i contenuti. Vengono presentati e discussi sei progetti multidisciplinari provenienti dall’Europa e

dall’area Mediterranea in cui l’arte e la creatività hanno svolto un ruolo di mediazione culturale con

successo, per far fronte a complesse situazioni sociali. L’attenzione era mirata al singolo progetto e

alle sue implicazioni, alla narrazione delle varie fasi, ai soggetti coinvolti, ai risultati raggiunti.

Se le edizioni precedenti curate da Love Difference in collaborazione con l’Ufficio Arte di Cittadellarte

avevano mantenuto un focus sulle strategie artistiche di pratica nel sociale, nell’edizione che nasce

dalla feconda collaborazione tra LD e AWT, Methods – Processes of Changes (2010), la novità non è

soltanto rappresentata dal focus del workshop -l’aspetto metodologico delle pratiche- ma soprattutto

Materiale inedito. Archivio Love Difference/Cittadellarte, np.104

Materiale inedito. Archivio Love Difference/Cittadellarte, np.105

���44

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l’apertura dello stesso a professionalità diverse da quelle artistiche, afferenti a discipline che operano o

teorizzano (o sono più semplicemente interessati a) interventi nel processo di cambiamento nella

società, in modo consapevole e finalizzato al bene comune.

All’edizione del 2010, i rappresentanti della categoria artistica presenti sono: Aliaa El Gready di

Gudran for Art and Development (Egitto), Claudia Elpendauer di WochenKlausur (Egitto), Enrico

Fantin (Italia, artista indipendente), Mary Jane Jacob (USA, curatore indipendente e direttore di The

Art Institute di Chicago), Maria Rosa Jijoin di Cetoj-Flaco, Marco Lampugnani di snark - space

making (Italia), Christina Medina (@tendance project), Maria Zanchi di Publink (Italia), Stefano

Collizzolli di ZaLab (Italia).

Le metodologie e le prassi presentate da questi artisti vengono presentate e condivise con quelle di

altre discipline che si occupano di cambiamento sociale. Si possono dividere i rappresentanti delle

discipline non artistiche in circa dodici macro-aree di interesse:106

- AntropologiaFabio Pettirino (Museo del Territorio Biellese)

- Benessere e SaluteMax Rapkin (Somatesting); Eliana Brizio (Zooma)

- CucinaMaurizio e Grazia Rossi (Osteria la villetta); Erick Vedel; Rosanna D'Ambrosio

- EducazioneAnne Bramford

- IndustriaStefano Schiavo (consulente in organizzazione aziendale)

- Psciologia Michael Wenger; Daniela Uslenghi (Hoffmann Institute); Thomas Legl (Euro TC)

- Scienze economiche Guido Ferilli (IULM), Denise Rocca (London Universityy of Art);

- PoliticaChris Naylor (Engage)

- ComunicazioneEmanuele Quintarelli (Open Knowledge); Alessandro Sciurpa (WWAMBIENT).

Secondo il programma del workshop, ognuno degli esperti intervenuti era invitato a fare una

presentazione frontale (speech) e inoltre esprimere il proprio approccio attraverso una breve

esperienza pratica che coinvolgesse gli altri partecipanti, al fine di favorire l’apprendimento (non solo

intellettuale), sperimentare gli strumenti e le prassi presentate, e potenziare il confronto.

Si veda la scheda che sintetizza peculiarità e aperture interdisciplinari dei vari esperti invitati al workshop, ma anche la 106

sinossi dei contenuti in appendice, accessibile online sul canale Vimeo di Love Difference.���45

Page 46: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Le pratiche artistiche dei partecipanti all’edizione del 2010 sono eterogenee quanto quelle delle

edizioni precedenti. Ovviamente si deve tenere in conto le specificità del modus operandi,

dell’evoluzione avvenuta nel corso della carriera, e della fase del percorso artistico durante la quale gli

artisti hanno partecipato al workshop. Tuttavia, sintetizzando e tentando di non cadere in eccessiva

semplificazione, evidenziando le giuste eccezioni, non si può non notare l’impossibilità di far rientrare

le pratiche artistiche, presentate nelle varie edizioni, nelle tradizionali categorie di belle arti e come,

superando le tradizionali distinzioni delle categorie associate alla cultura alta, il loro operare si svolga

negli spazi fisici (urbani e territoriali) e virtuali della società contemporanea, intervenendo, e

investendo risorse, nella dimensione delle relazioni umane. Tuttavia, nell’edizione del 2010 si

riscontra una forte differenza rispetto alle precedenti: questi professionisti non solo operano al di fuori

delle categorie delle belle arti, ma tendono (o sono interessati) a lavorare al di fuori delle discipline

strettamente legate ad esse, sviluppando progetti che si avvalgono di conoscenze, competenze e

strumenti relativi ad ambiti non esplicitamente connessi (o non riconosciuti come tali) alle discipline

dell’arte e della cultura.

In altre parole accolgono l’interdisciplinarità, alla base della metodologia progettuale di AWT per

oltre quindici anni, proposta dal workshop, ed elemento fondamentale delle pratiche artistiche di

alcuni partecipanti. Portiamo alcuni esempi.

Claudia Elpendauer rappresenta i WochenKlausur. Formatosi a Vienna nel 1993, il collettivo è 107

composto da un nucleo di otto artisti che, di commissione in commissione, si affiancano a vari

professionisti e artisti per affrontare e intervenire concretamente nello specifico contesto in cui sono

chiamati ad operare. Il loro lavoro è stato oggetto d’intensa attenzione critica volta a discutere

scottanti temi connessi alle pratiche così dette dialogiche, socially engaged o community based, a

seconda della categoria privilegiata dallo studioso interessato. Il loro lavoro si articola in Interventi 108

(così li definiscono, tant’è vero che i loro lavori sono così titolati) commissionati da istituzioni

culturali e non, e di cui loro stessi, a seguito di un’approfondita analisi del contesto, elaborano il tema

e gli obiettivi, realizzabili entro un intervallo temporale definito (solitamente otto settimane) e basati

sull’attivazione di collaborazioni per l’attuazione di progetti di difficile realizzazione all’interno di

meccanismi istituzionali operativi. Il prodotto dei loro progetti varia da strutture mobili per

Sul collettivo artistico si veda: http://www.wochenklausur.at/index1.php?lang=en, accessed on 5 December 2014.107

Grant Kester ne fa uno dei suoi case studies privilegiati, nel suo: Conversation Pieces. Community+Communication in 108

Modern Art. Berkeley, Los Angeles, London: University of California Press, 2004.���46

Page 47: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

l’assistenza sanitaria dei senzatetto in Vienna (1992), alla creazione di una scuola di lingua in

Macedonia per i rifugiati albanesi dalla guerra in Kosovo (con il contributo per il Padiglione Austriaco

alla Biennale di Venezia nel 1999), ad un network di problem-solving in Alaska (2012).

Di più recente formazione è il collettivo snark - place making: formatosi nel 2008, questo gruppo 109

multidisciplinare (composto da un architetto, un etno-semiologo, geografi, giornalisti, economisti della

cultura) lavora nell’ambito del design relazionale, a sostegno di processi decisionali e di creazione

partecipata. Egli presenta una serie di tecniche e tecnologie utilizzate per la mappatura del territorio

(etnografia digitale, geo-positioning) da snark, e racconta del servizio di Chair Sharing. Un servizio

pubblico di panchine mobili WIFI, sviluppato tra il 2008 e il 2011 per il comune di Modena.110

Affine per finalità (intervento nello spazio pubblico) al progetto presentato da snark a Methods è

Rifiuto con Affetto, presentato da Maria Zanchi ma realizzato da Publink (Roberta Bruzzechese,

Maddalena Vantaggi e Maria Zanchi). Anch’esso si occupa di design urbano relazionale ed il 111

collettivo affronta il tema dei rifiuti a Venezia, creando dei contenitori mobili che, lasciando visibile il

contenuto all’interno, diventano una sorta di armadio pubblico. Essi favoriscono sia una maggior

consapevolezza su quanto gettato, sia la possibilità, per chi interessato, di raccogliere gli oggetti in

esso contenuti per dar loro una nuova vita.

Gudran Association for Art and Development è invece un’organizzazione con sede ad Alessandria

d’Egitto che organizza e gestisce eventi culturali e laboratori artigianali. Aliaa el Gready sottolinea 112

la natura culturale delle proposte che l’organizzazione sviluppa nel contesto in cui opera, e ne parla

come attività progettate sulla base di una profonda conoscenza della cultura locale, ma nutrita di una

certa distanza critica. L’elemento relazionale delle loro attività è legato alla dimensione della creazione

artistica. Nello specifico, un progetto di cui si sono occupati è stata la riqualificazione del borgo di

pescatori El-Max (2000-2008). 113

http://snarkive.eu, consultato il 15 Gennaio 2015. 109

https://dl.dropboxusercontent.com/u/4421639/com_120222_prtfl%20snark_s.pdf, consultato il 15 Gennaio 2015.110

http://www.rifiutoconaffetto.it/index.php?option=com_content&view=frontpage&Itemid=1&lang=en, Consultato il 20 111

Gennaio 2015.

http://gudran.com, consultato il 15 Gennaio 2015.112

http://gudran.com/main/?page_id=127, consultato il 15 Gennaio 2015.113

���47

Page 48: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Più complessi sono i processi attivati dal collettivo AWT -cui si è fatto cenno nel capitolo precedente e

di cui si scriverà in seguito- che unisce alle competenze architettoniche sviluppate dalle artiste in

ambito universitario, con competenze e conoscenze scientifiche e filosofiche. Inoltre, artway si apre a

collaborazioni con professionisti di varie discipline (come evidente dall’organizzazione del workshop

stesso), secondo le esigenze dei singoli progetti.

Il collettivo si propone di sondare le potenzialità dormienti di un determinato contesto, per attivare

processi che sappiano far di queste possibilità inespresse degli enzimi per la trasformazione, attraverso

la creazione e lo sviluppo condiviso di azioni e attività con i portatori di interesse. Tra i risultati

quantificabili e tangibili alla cui realizzazione hanno dato il via e partecipato, citiamo: la fondazione

dell’associazione Stella Maris’ Friends (tra i fondatori l’Autorità Portuale e il Comune di Venezia) e il

suo braccio operativo: la Cooperativa Sociale Pass-Port, primo centro laico al mondo di accoglienza ai

lavoratori marittimi, con base a Venezia; Leader II per i Colli Berici, progetto di valorizzazione del

territorio collinare di Vicenza; la creazione del centro Ginestra Fabbrica della Conoscenza a

Montevarchi, a fronte di un più ampio processo di dialogo e collaborazione con la comunità locale,

con professionisti interessati al progetto, con le autorità locali. 114

L’interdisciplinarietà, carattere fondamentale dell’edizione 2010 di Methods è una conseguenza

imprescindibile dall’obiettivo di queste pratiche (il cambiamento sociale) e dal ruolo che l’artista

svolge in questo senso.

A partire dall’avanguardia storica, ma soprattutto a partire dagli gli anni ’60, gli artisti si erano

interessati alla sperimentazioni di nuovi materiali e processi, talvolta associando a tali sperimentazioni

una forte valenza critica verso le istituzioni e la società. Un esempio in ambito italiano che ci

riconduce a LD e ad uno dei suoi fondatori, Michelangelo Pistoletto, è l’Arte Povera. Nonostante

l’aperto dibattito critico sulla valenza politica di questo gruppo di artisti lanciato sul panorama

internazionale da Germano Celant, è fuori discussione l’apertura a nuovi materiali, tecniche, modi 115

di operare che questo ed altre esperienze internazionali del secondo dopoguerra lasciano in eredità alle

successive generazioni di artisti.116

http://artway.info/aot/, consultato il 15 Gennaio 2015.114

Dibattito aperto dalla mostra tenutasi alla Tate Modern di Londra (e successivamente al Walker Art Centre di Minneapolis) 115

nel 2001. Si veda: Flood, Richard and Morris, Frances (eds.). Zero to infinity : arte povera, 1962-1972. Exhibition catalogue [London, 2001; Minneapolis, 2001-2002]. Minneapolis, Minn. : Walker Art Center ; London : Tate Modern, c2001.

Sui materiali (in senso lato) utilizzati dall’arte a partire dagli anni ’60, si veda: Angela Vertesse, Si fa con tutto. Il 116

linguaggio dell’arte contemporanea. Bari: Laterza, 2012. ���48

Page 49: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

In Italia, in quegli stessi anni, intellettuali e artisti si confrontano sul tema della città e delle sue forme.

Il boom economico tra il 1958 e il 1963 (è nell’estate di quell’anno che gli indici di crescita hanno il

primo arresto) che aveva caratterizzato alcune aree della Penisola, soprattutto il Nord e le periferie

delle grandi città industriali come Milano e Torino, si era accompagnato ad intense migrazioni interne

e al conseguente ampliamento sregolato dei centri metropolitani in periferie-dormitorio dalle difficili

condizioni di vivibilità. In risposta a questi fenomeni, a cui ancora oggi si cerca di far fronte, a 117

partire dagli anni ‘60 si svilupparono operazioni indipendenti negli spazi pubblici della città e dagli

anni ’70 in partecipazione con gli abitanti stessi. Per poter rispondere alle proprie esigenze di

intervento nella sfera pubblica, gli artisti avvertono la necessità di avvalersi di nuove competenze e

collaborazioni, come emerge nelle pratiche di Arte Pubblica sviluppatesi negli ’90.118

L’esigenza di questo confronto disciplinare trova legittimazione in una contemporanea riformulazione

dell’idea stessa di arte. Come abbiamo visto, nell’Ottocento si era andata affermando un’idea di arte

come libera espressione che trascende le necessità e le contingenze della quotidianità per rivolgersi

alla contemplazione dell’assoluto. Questa idea assumerà nuove declinazioni -come abbiamo visto e

vedremo in altri capitoli di questo testo- partendo dall’inizio del Novecento, fino ad arrivare a quella

che sottintende alcune pratiche degli anni ’90.

Mentre in Francia il curatore Nicholas Bourriaud dava alle stampe il suo Estetica Relazionale,

proponendo un’idea di arte che “interviene” negli interstizi, ovvero negli spazi vuoti lasciati dal

sistema dei comportamenti istituzionalizzati e delle istituzioni stesse, in Come spiegare a mia madre

che quello che faccio serve a qualcosa (atti del convegno di Oreste, tenutosi a Link -Bologna - nel

Novembre 1997), l’artista Cesare Pietroiusti colloca l’azione artistica tra un’ideale che ancora 119

sottintende presupposti dettati in epoca romantica e la posizione del critico francese. Nella sua

prospettiva, condivisa da altri partecipanti al gruppo interrogativo di Oreste (di cui AWT è membro),

“la comunicazione artistica, nell’accezione che qui viene proposta, ha una caratteristica essenziale:

Diverso il discorso relativo a Roma, che pur aveva visto una sregolata urbanizzazione proprio a partire da quegli anni: la 117

capitale era calamita per le possibilità offerte nel settore dell’amministrativo. Sulla questione relativa alle periferie romani e sulle politiche attuatevi si veda: Francesco Bartolini, Roma, anni Settanta. Vedute di fine secolo, in Daniela Lancioni, ed. “Anni 70. Arte a Roma”. Catalogo della Mostra. Rome, Palazzo delle Esposizioni, 17.XII. 2013 - 2.III.2014. Roma: Iacobelli editore, 2013, pp. 23-30.

Il tema dell’eterogeneità di piccole comunità e delle loro potenzialità creative è stato affrontato in occasioni Methods 118

2010, come riporta Giuseppe Fiore nella sua ricerca: Fiore, Giuseppe. Metodi – Nuvole di Cambiamento (materiale non pubblicato del progetto realizzato nell’ambito del Mater dei Talenti della Societa’ Civile 2010, finanziato dalla CRT – Cassa di Risparmio di Torino, in collaborazione con la Fondazione Giovanni Goria. Scritto inedito, 2010, pp. 12.

Si coglie una leggera paradossale ironia, nella posizione dell’artista che raccoglie i suoi lavori sotto il titolo di pensieri non 119

funzionali. Si veda il sito web dell’artista (http://www.pensierinonfunzionali.net). ���49

Page 50: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

l’autonomia (ovvero la libertà) dai sistemi di attese condivisi.” Emerge quello che lo studioso 120

americano Kester definisce l’arte “a privileged realm of free expression [which] provides a quasi-

protected opening onto a broader cultural and political arena within which these various forms of

aesthetic knowledge can be mobilized”. 121

In questo reame privilegiato di “libertà di espressione”, è attribuita all’arte la possibilità di mettere in

relazione saperi che solitamente operano all’interno dei limiti della specificità disciplinare e

nell’urgenza della progettazione a breve termine, componendo una visione eco-sistemica,

fondamentale per prendere delle decisioni consapevoli, e con uno sguardo al lungo periodo. Seppur

l’arte non sia ovviamente l’unica disciplina che può potenzialmente contribuire a una visione olistica

del reale, l’artista, anche grazie allo status ambiguo garantitogli dalla permanenza di paradigmi di

matrice idealista, non soltanto partecipa al dialogo interdisciplinare, ma se ne fa orchestratore e

promotore (come avviene nel caso di Methods, ma anche di progetti sviluppati da ATW,

WochenKlausur, o dagli artisti statunitensi Harrisons, o ancora da progetti recentemente sviluppati da

SSW e da DA in Scozia) , mettendo a confronto e sintetizzando interessi ed esigenze differenti, con il 122

fine di raggiungere il suo scopo: il cambiamento sociale responsabile.

Questo nuovo ruolo, si associa ad attitudini che tali professionisti devono possedere o già possiedono.

Per i professionisti impegnati in queste pratiche, non ha senso parlare di umori saturnini o

comportamenti eccentrici e discontinui. In generale però, la psicologia riconosce agli artisti il carattere

specifico dei creativi: la capacità di sostenere l’incertezza e l’ambiguità della mancanza di senso

ordinatore e di normalità; di vivere ed esplorare incertezza e ambiguità fino alla ricomposizione di un

nuovo ordine. Questa attitudine si fa più chiara se letta alla luce di quanto suggerito da Ugo Morelli,

psicologo della creatività e dell’innovazione, sulla base dei presupposti espressi dal professor Luigi

Pagliarani: “In primo luogo la capacità di contenere le differenze che gli altri ci propongono ha a che

fare con la nostra educazione sentimentale, con la disposizione a riconoscere la nostra plasticità

relazionale e il nostro essere e divenire nelle relazioni con gli altri. Ciò impone la necessità di

Progetto Oreste O, Come spiegare a mia madre che quello che faccio serve a qualcosa, Milano: Charta, 1998, p. 13.120

“Un reame privilegiato di libertà d’espressione [che] provvede un’apertura quasi protetta su un’arena politica e culturale più 121

ampia, entro cui queste varie forme di conoscenza estetica possono essere mobilitate.” Traduzione di chi scrive. Kester. Conversation pieces. Berkeley, Los Angeles, London:, 2004, p. 69

Sotto la direzione di Nuno Sacramento, lo SSW si apre a progetti interdisciplinari. In occasione della mia permanenza di 122

ricerca in quella sede, Emily Gray mi ha introdotto al progetto Natural Bennachie, sviluppato tra l’aprile 2013 e l’aprile 2014, con i fondi di Creative Scotland e Scottish Natural Heritage.

���50

Page 51: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

contenere l’incertezza e di elaborarla, non negarla.” Quest’attitudine diventa fondamentale per 123

un’arte che si propone come piattaforma per la condivisione e il dialogo tra saperi e interessi diversi. A

questa, si affianca la capacità di ascolto. In relazione a questo, le sette regole dell’ascolto attivo

proposte da Marianella Sclavi nel 2003 costituiscono una sintesi esaustiva dell’attitudine necessaria

degli artisti impegnati in queste pratiche.

1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.

2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.

3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.

4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. Il loro codice è relazionale e analogico.

5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze.

6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione interpersonale. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.

7. Per divenire esperto nell'arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l'umorismo viene da sé.124

Dopo queste osservazioni, torniamo al tema dell’interdisciplina, ma con una domanda: perché questa

apertura ad altre discipline?

La risposta è individuata nella maggior importanza attribuita ai propri fini (cambiamento nella

dimensione del sociale) rispetto alla specificità dei propri mezzi espressivi, in questo imparentandosi

con l’arte concettuale, per la quale la pratica serviva l’idea artista e non il contrario. Essa si 125

riconnette come riconosce Pablo Helguera al fatto che le pratiche “Socially Engaged”, come già l’arte

concettuale, pongono la forma del progetto artistico al servizio delle proprie idee, e aggiungerei:

Ugo Morelli, Mente e Bellezza. Torino: Umberto Allemandi & C, 2010, p. 246. 123

In workshop tenuto a Cittadellarte nel 2012, di cui ero a coordinatrice, la curatrice Lisa Parola, membro del collettivo 124

a.titolo, indicò ai giovani artisti partecipanti queste sette regole come fondamentali nella loro analisi del territorio/contesto in cui devono operare. Non a caso si possono trovare assonanze tra gli obiettivi delle pratiche di Marianella Sclavi e i processi co-creativi di AWT.

Pablo Helguera, Education for Socially Engaged Art. A Materials and Techniques Handbook. New York: Jorge Pinto 125

Books, 2011, p. 84.���51

Page 52: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

“We imagine an artist who operates, together with other professionals, in the development of

contemporary society” dichiara appunto AWT in un’intervista con Mary Jane Jacob, la quale associa,

durante quella stessa intervista, l’affermazione di Laszlo Moholy-Nagy (artista della seconda

generazione della Bauhaus emigrato negli States negli anni 30 e promotore della Nuova Bauhaus a

Chicago) “The artist is the integrator for society.” Questa dichiarazione di poetica per AWT, è poi 126

articolata in maniera più complessa dalle artiste stesse nell’introduzione al Syllabus per un workshop

tenutosi a The Art Institute of Chicago (2008). In esso il collettivo esplicita la simpatia con la

posizione dell’artista Michelangelo Pistoletto, su cui si è costruita nel tempo la relazione collaborativa

con LD:

We imagined an artist who operates together with other professionals in the development of the contemporary society, a professional whose “value-added” dimension is in bringing creative thought to planning, who has the courage to imagine in non-conformist ways, and brings innovation to production. We felt in sympathy with Italian artist Michelangelo Pistoletto when he says:"The artist must be everywhere, not only in galleries and museums; h/she e must participate in every possible activity. The artist must be the sponsor of thought in different human enterprises, on all levels, from execution to decision-making.127

Queste parole trovano risonanza in altri statement artistici dei partecipanti a Methods. Tra i

partecipanti del 2010: gli interventi dei WochenKlausur contraddicono l’affermazione leibniziana

secondo cui quello in cui viviamo è “il migliore dei mondi possibili”. Quello che si propongono è di

rovesciare questa proposizione dimostrando come comportamenti sociali ed istituzionali inveterati

possano essere ripensati e mutati per raggiungere soluzioni più conformi al presente e alla soluzione di

precise quanto urgenti questioni sociali; Mary Jane Jacob, in quanto direttrice di The Art Institute of 128

Chicago, si inserisce con il suo lavoro e la sua riflessione critica, nel solco tracciato dal suo

predecessore alla direzione, Carol Beker (al tempo, direttrice della Columbia School of Art di New

York) che nel suo The Artist in Society: Rights, Roles & Responsibility (1995) suggeriva che fosse

messa da parte una educazione artistica a nutrimento del culto del genio e dell’arte per sé, per

Mary Jane Jacob e Jaquellyn Baas, eds. Chicago Makes Modern: How creative mind change society. Chicago: Chicago 126

University Press, 2012, p.434.

“Abbiamo immaginato un artista che opera insieme ad altri professionisti nello sviluppo della società contemporanea, un 127

professionista il cui valore aggiunto sta nel portare un pensiero creativo alla progettazione, che ha il coraggio di immaginare in maniera non conformista, e porta innovazione alla produzione. Ci siamo sentite in sintonia con quanto ha detto l’artista italiano Michelangelo Pistoletto che l’artista deve essere ovunque, nono solo nelle gallerie e nei musei. Deve partecipare in ogni possibile attività. L’artista deve essere sponsor di pensiero in vari campi dell’umano, dall’esecuzione al processo decisionale.” Traduzione di chi scrive.” http://artway.info/pdf/003-THE-ROLE-OF-THE-ARTIST-IN-SOCIETY.pdf, consultato il 15 Novembre 2014.

http://www.wochenklausur.at/methode.php?lang=en, Consultato il 14 Febbraio 2015128

���52

Page 53: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

prendersi invece la responsabilità di un ruolo attivo, proattivo nel suo presente. Gudran cerca invece 129

nuove relazioni con la società egiziana, per portare un cambiamento sociale attraverso l’arte e la

cultura.

Le edizioni precedenti di Methods offrono tuttavia altre interessanti quanto controverse prospettive sul

ruolo dell’artista nel sociale. Bureau De Competence et Desir (un collettivo di critici, economisti,

filosofi e artisti) assume il ruolo di mediatore tra la sfera dell’arte e il contesto sociale in cui si rende

necessario l’intervento di una professionalità legata al mondo dell’arte; altri propongono l’artista 130

come portatore di idee innovative in qualità di sguardo esterno a un determinato ambiente, ma gli si

attribuisce anche un ruolo di problem-solver all’interno dello stesso. 131

E’ proprio in relazione a questo ruolo variegato di cui l’artista si fa carico e di cui viene investito

all’interno dei processi di cambiamento della società che emerge un tema fondamentale: quello della

responsabilità dell’artista rispetto ai propri interventi e agli obiettivi che essi si pongono.

Nella pratica di AWT, che si confronta su questi temi da tempo, la responsabilità dell’artista si lega alla

consapevolezza dell’atto creativo nello specifico contesto d’azione, alla capacità di leggere e

intervenire nella sua complessità; e questo riconduce al carattere multidisciplinare delle proprie

pratiche.

Durante una conversazione con Stefania Mantovani (AWT), si è toccato questo tema, già emerso

nell’edizione del 2004 di Methods. Se in quell’occasione si era sottolineato la necessità di una

presenza a lungo termine da parte dell’artista in collaborazione con il territorio di riferimento per poter

essere pienamente responsabili del proprio operato, la posizione di AWT su questi temi è diversa.

La responsabilità, per AWT, non sta nella permanenza di lungo periodo, ma nella consapevolezza con

cui intervengono in un contesto, nella validità e nella sistematicità dell’osservazione sistemica

preliminare all’intervento, e nella progettazione di strumenti e di premesse concrete che consentano il

passaggio di testimone ai portatori di interesse sul territorio, ovvero di integrazione di quanto è stato

realizzato in presenza delle artiste nel tessuto politico, economico, sociale e culturale in modo che

possa proseguire anche a fase di avvio terminata. Questo si connette ad un aspetto fondamentale:

dov’è trova spazio l’autorialità delle artiste? AWT non rivendica la propria autorialità nell’azione e

nell’intervento in sé (il centro culturale, il centro di accoglienza per i marittimi, il network per i Colli

Berici) poiché queste sono realizzate, condivise e create con i portatori di interesse sul territorio, ma

Carol Beker, The Artist in Society: Rights, Roles & Responsibility, Chicago: New Art Examiner, 1995.129

In Francia la figura del Mediatore nel senso descritto dal Bureau De Compentence et Desir, viene formata attraverso un 130

corso di formazione statale a partire dal 1992.

Da: “Methods - research projects on art society relations”, Materiali per progetto editoriale. (non pubblicato)131

���53

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nei modi (partecipativi ed armonici) in cui l’intero processo creativo è stato condotto e coordinato e

nell’idea prima su cui si è sviluppata l’azione, come risultato della lettura sintetica del territorio. Il

legame tra responsabilità dell’artista e durata di un progetto non sono quantitativi, ma qualitativi nella

misura in cui la durata di un progetto sia stimata commisurata agli obiettivi, e allo svolgimento

dell’intero processo di creazione condivisa.

La relazione tra responsabilità e multidisciplina è quindi strumentale: le competenze in diverse

discipline (o l’avvalersi di collaborazione con altri professionisti) sono strumenti per il perseguimento

di un’azione consapevole e integrata nel contesto.

L’approccio multidisciplinare di AWT è strumento di lavoro e di partecipazione (usando questo

termine in senso esteso, e non solo in relazione al coinvolgimento fisico e diretto con il fruitore), e

sulla base del quale si delineano interventi che tendono alla realizzazione di un bene comune, al di là

degli interessi di gruppi circoscritti (non in senso numerico, ma in senso qualitativo), tema su cui si

faranno dei chiarimenti nel capitolo successivo.

Questa considerazione è rafforzata dall’analisi dell’application form, elaborata da AWT e LD per la

partecipazione al workshop Methods. In esso infatti, la multidisciplinarietà è associata alla portata

partecipativa della metodologia. Al punto 8 è infatti richiesto: “What is the participatory and

interdisciplinary approach of the methodology?”. E’ interessante notare come, proprio in questo punto,

si rifletta il legame fondamentale tra il proprio modus operandi e la dimensione sociale e politica

dell’operare di ATW e LD rispetto alla multidisciplinarietà: “L’approccio multidisciplinare è

fondamentale perché non si possono dare risposte alla complessità guardandola da un solo punto di

vista. […] Pertanto l’approccio multidisciplinare, è la capacità di metter insieme più pensieri e

pratiche. Una ricchezza che noi mettiamo a sistema attraverso il processo creativo, dove ogni singolo

individuo con i suoi talenti e competenze è chiamato ad agire. L’obiettivo è che l’orchestra suoni una

sinfonia armonica.”132

L’approccio multidisciplinare dell’artista è strumentale a leggere e comprendere un determinato

contesto, tendendo quanto più possibile ad una visione olistica (o “integrata”, secondo l’approccio

proposto a Methods dal professor Wenger), ma è anche strumentale ad intervenire e sostenere

l’integrazione nel contesto dell’azione artistica stessa. Questo carattere ha profonde, essenziali,

connessioni con la democrazia (e con la dimensione sociale e politica dell’individuo) nella società, e

con le potenzialità di creazione di nuovi saperi.

Intervista a Federica Thine e Stefania Mantovani (rilasciata in occasione del Premio “Cerec” –European Committee for 132

Business , Art and Culture – Financial Times Award 2000, per il contributo dello sviluppo socioculturale dell’area dei Colli Berici.

���54

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Proponendo una piattaforma interdisciplinare, Methods fornisce agli artisti partecipanti al workshop

strumenti pragmatici e coerenti agli obiettivi che si propongono, nonché la possibilità di ripensare le

proprie pratiche secondo paradigmi che trascendono quelli delle pratiche artistiche. Al tempo stesso,

per gli altri professionisti è stato un momento di confronto che ha aperto nuove prospettive sugli

interrogativi che l’arte oggi si pone.

L’artista, nella caratterizzazione emersa da Methods, risponde così alla funzione di attivatore e

integratore di cambiamento sociale.

���55

Page 56: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

L’uso di una Metodologia

“Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo: in questo modo si fa solo della confusione e si illudono i giovani a sentirsi artisti liberi.

La serie di operazioni del metodo progettuale è fatta di valori oggettivi che diventano strumenti operativi nelle mani dei creativi.”

Munari, Da cosa nasce cosa, 1981

Artway of thinking, descrivendo la sua pratica nel 2000, parla di “sogni”:

“Per raccontare il fare di artway vogliamo iniziare parlando dei sogni e del loro straordinario potere sulla realtà; della capacità di sognare veramente possibile solo nell’assenza di pregiudizi e paure; vogliamo parlare dell’immaginazione come supplemento alla percezione della realtà. Ne parliamo da artiste che operano nel sociale, con il ruolo di traduttori e mediatori, tra possibile e stato di fatto, tra sogni e bisogni. Il nostro operare si traduce in: Ampliare le percezioni, Mostrare altre possibilità.” 133

Sogno non inteso in senso psicanalitico o surrealista, ma come bisogni non esplicitati, ma comuni ad una collettività che vive e agisce in un territorio. Nella distanza che c’è tra il sogno (e bisogno) e 134

l’utopia, pare annidarsi la distanza tra le precedenti esperienze dell’avanguardia sociale e l’attività di AWT. Il collettivo si propone in primis di intervenire attualizzando un cambiamento virtuoso in un determinato contesto culturale, sociale e territoriale, non con l’ambizione di una palingenesi spirituale dell’intera società o alla costruzione di una società nuova in toto. Come abbiamo già parzialmente visto nei capitoli precedenti, la tensione al cambiamento sociale si traduce in due momenti complementari e indivisibili nelle pratiche di AWT: in esperienze studiate per favorire la consapevolezza nell’agire e di conseguenza l’autodeterminazione dei partecipanti, da un lato; dall’altro nell’elaborazione condivisa di interventi concreti in contesti sociali, politici e culturali, situati nel tempo e nello spazio.

I sogni, nel momento in cui vogliono essere tradotti in realtà, cambiano status: diventano obiettivi da raggiungere attraverso un piano d’azione. Dal 2000, dopo sei anni di gestazione durante la quale AWT vede emergere la necessità di strutturare il processo dei loro interventi, viene delineata una metodologia, cioè “una serie di operazioni necessarie, disposte in un ordine logico dettato

Estratto dall’intervento dal titolo Il coraggio del Sognatore, in occasione della Conferenza “Cultura e territorio: un futuro 133

creativo” (la Spezia, 15 luglio 2000).

Sul tema del sogno come esperienza collettiva, interviene a Methods l’artista Emilio Fantin, che sostenne la natura sociale 134

dei sogni. ���56

Page 57: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

dell’esperienza” con lo scopo “di raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo” , 135

sintetizzata nel diagramma di co-creazione. 136

Questo modus operandi è quello che accomuna alcune delle pratiche artistiche selezionate per la partecipazione a Methods - Processes of change. Di seguito analizzeremo quali sono le necessità e le ragioni, i vantaggi e le possibilità che emergono nella formalizzazione della propria prassi operativa in metodo, prima di riflettere su aspetti comuni che emergono dall’analisi delle pratiche presentate.

Se in ambito architettonico si è più familiari con tale modalità operativa, è solo a partire dagli anni ’70 che emerge, nell’ambito delle professioni artistiche, la necessità di strutturare la propria modalità operativa in modo da renderla una attività razionale e scientifica: è il critico e storico dell’arte Enrico Crispolti (Roma, 1935) a scrivere, nel suo Arti visive e Partecipazione Sociale (Bari: De Donato, 1977), della necessità di procedimenti strutturati per gli artisti operanti nella dimensione del sociale. Crispolti aveva avanzato la necessità di una metodologia di lavoro per quegli artisti, da lui definiti “operatori estetici”, impegnati a lavorare nella società, anche come scelta di responsabilità nei confronti della società stessa. Crispolti, nella sua introduzione al testo, fa corrispondere al nuovo ruolo attribuito all’artista (modernissimo se letto attraverso gli sviluppi dell’arte contemporanea) la necessità di ripensamento della propria pratica nel sociale. Suggerisce l’acquisizione di una metodologia operativa, poiché, accomunando l’artista all’operatore sociale, richiedeva per la stessa credibilità del lavoro rigore e scientificità. Alla metodologia egli, inoltre, riconosce il valore di strumento per i propri fini e non di finalità dell’operazione stessa. 137

Se l’esortazione del critico romano non aveva trovato un riscontro preciso negli anni ’70, trent’anni dopo AWT e altri collettivi e curatori -

più o meno consapevoli delle sue parole, vista l’infausta fortuna critica

di questo testo in ambito nazionale ed internazionale- la accolgono. Non

a caso infatti, il focus di Methods nel 2010 è stato sul confronto tra

metodologie di artisti ed altre professionalità che si occupano di

cambiamento sociale.

Prima di fare delle considerazioni sulle pratiche presentate a Methods, pare quindi utile investigare le ragioni che possono aver spinto degli artisti in tale direzione. Bruno Munari, con un celeberrimo paragone tra una ricetta per il risotto agli spinaci e la metodologia di progettazione, sistematizza il processo di ideazione e realizzazione di un prodotto di

design per delineare una modalità di lavoro etica ed efficace nel suo

Bruno Murari, Da cosa nasce cosa [1981]. Bari: Laterza, 2011, p. 16.135

E’ fondamentale distinguere il diagramma di co-creazione come strumento operativo dal diagramma di co-creazione come 136

sintesi di una visione seppur connessi, perché influenzano in maniera differente la sostanza del workshop e della sua stessa analisi. In questa sezione si fa riferimento ad esso come ad uno strumento operativo.

Crispolti. Arti visive e partecipazione sociale. Da “Volterra '73” alla Biennale 1976. Bari, 1977, p.34.137

���57

Bruno Munari, Metodo, 1981

Page 58: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

fondamentale testo Da cosa nasce cosa. “Progettare un risotto verde o una pentola per cuocere lo 138

stesso riso, richiede l’uso di un metodo che aiuterà a risolvere il problema. L’importante è, nei due casi

accennati, che le operazioni necessarie siano fatte seguendo l’ordine dettato dall’esperienza.” 139

Munari basa la sua posizione sul criterio dell’efficienza, e al tempo stesso fa del metodo uno strumento modificabile per rispondere alle esigenze della creatività.

Queste ragioni sembrano aver guidato la presa di coscienza di AWT nell’elaborazione metodologica,

ma anche altre, considerando che la loro attività non è finalizzata al design di oggetti, ma alla gestione

di processi creativi e collaborativi in un determinato contesto. Per investigarle, utilizzeremo un parallelismo tra l’esperienza di AWT e Deveron Arts [DA nel testo].

DA è un art organisation che opera ad Huntly, un paese di 5000 abitanti nel sud-est della Scozia, 140

dalla fine degli anni ’90. Nel 2010, pubblica la propria metodologia curatoriale - ARTocracy. A curatorial handbook for collaborative practice , come risultato della collaborazione tra la curatrice 141

dell’organizzazione, Claudia Zeiske, e Nuno Sacramento (direttore artistico dell’ SSW-Scottish

Sculpture workshop). Nonostante il contesto, le finalità e l’agenda delle pratiche di AWT e DA siano

molto diverse, emergono infatti delle consonanze e dissonanze fertili di considerazioni nelle scelte che hanno sotteso l’esplicitazione e il perfezionamento di una metodologia di lavoro, e del ruolo svolto dalla metodologia stessa nell’agenda delle loro operazioni artistiche.

Sia DA che AWT non approdano immediatamente all’utilizzo di una metodologia.

Prima di approdare all’elaborazione e all’impiego di una

metodologia nel 2000, AWT si è cimentato in un numero di

progetti internazionali (tra cui: “Zona-Riuso” in collaborazione

con il Castello di Rivoli, Museo dell’arte contemporanea di Rivoli (1994) e Box-Culture con Viafarini di Milano (1995-99); Lebens-mittel-Approvigionamenti in Durmont in Germania (1993-94) e il piano per l’area dei Colli Berici (1997-2000). L’elaborazione metodologica, rappresentata visivamente dal diagramma di co-

Munari, Da cosa nasce cosa. Bari, 2011138

Ibid., p.16.139

Deveron Arts non è un collettivo artistico, ma un’organizzazione che si occupa di arte community -based in un comune 140

rurale -Huntly- di circa 5000 abitanti in Aberdeenshire. Dal 1997, si è occupata di programmi di residenza per artisti, curatori e professionisti di diverse discipline, invitati a sviluppare un progetto su un tema elaborato con la direttrice artistica (residente e cittadina attiva di Huntly). Nonostante decine e decine di artisti si siano avvicendati nel paese, Deveron Arts è pensato come un progetto artistico-curatoriale in sé stesso e con una propria coerenza.

Se questa modalità di analisi (dal confronto) può sembrare ancorata a modelli idealisti, che in qualche modo erano gli 141

stessi utilizzati nella Bauhaus per esempio, dall’altra parte fanno emergere delle congruenze e delle fertili incongruenze che possono aiutare a una più approfondita comprensione.

���58

Page 59: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

creazione, è nata dall’esigenza interna al gruppo di sistematizzare la propria pratica. Tuttavia esso è, al

tempo stesso, la sintesi della visione olistica che sottende le azioni di AWT, rappresentando l’interconnessione armonica tra individuo e ambiente. A differenza di DA, al centro del diagramma di

AWT trova infatti posto il Sé e non l’Arte, a riflettere un diverso orientamento delle proprie pratiche.

Al contrario, la metodologia di DA non è un’esigenza interna a

guidare verso l’elaborazione della sua metodologia. E’ dalla

collaborazione con Nuno Sacramento, in residenza per la prima volta ad Huntly per il progetto Exposure nel 2007, che nasce l’idea di esplicitare la metodologia che sottende il proprio lavoro. Come Claudia Zeiske stessa ricorda, Nuno aveva letto una coerenza nel modo con cui venivano sviluppati i progetti di DA. Tramite un 142

processo dialogico, basato sulla metodologia dello Shadow Curator elaborata da Nuno, emerge -con un notevole sforzo di 143

autoriflessione e di critica- la metodologia di DA che è riassunta

nel suo slogan the town is the venue.

Ma torniamo alla domanda da cui siamo partiti: quali sono le

necessità che spingono AWT e DA ad adottare una metodologia?

All’esigenza di scientificità per i progetti artisti nel sociale, proposta da Crispolti, se ne affiancano

altre, comuni ad entrambe.

Similmente a quanto afferma lo stesso Bruno Munari, AWT elabora una metodologia per avere delle 144

linee guida, sulla base delle quali orientarsi nello sviluppo e nella gestione di processi complessi,

coinvolgenti una varietà di portatori di interesse molto differenti. Nonostante possa essere interpretata

come un vincolo al processo creativo, l’esplicitazione di una metodologia è invece uno strumento di

lavoro, e per AWT una delle massime applicazioni della creatività. A differenza del procedimento lineare di Munari, AWT elabora un modello circolare. Questo avviene perchè, a differenza di un

progetto di design secondo cui un progetto è finito (almeno potenzialmente) una volta prodotto e

consegnato al mercato, il processo di co-reazione opera nelle dinamiche sociali: se un cambiamento si conclude con la sua metabolizzazione, che si manifesta con l’emergere di nuove esigenze e quindi con l’attivazione di nuovi processi.

Conversazione con Claudia Zeiske (DA), 21 luglio 2014.142

Sulla metodologia dello “Shadow Curator” si veda: Sacramento, Zeiske. Artocracy, 2010, pp. 130-139.143

Munari, Da cosa nasce cosa, 2011, p. 17144

���59

Diagramma della metodologia di Deveron Arts

Page 60: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Essa è infatti una mappa con la quale guidare (e non costringere) la propria pratica in tutte le sue fasi:

dall’analisi del contesto, all’azione in senso stretto, dal coordinamento delle proprie operazione e alla valutazione dei interventi. In un’intervista a Mary Jane Jacob, AWT dichiara infatti:

“Il diagramma serve come una mappa o un punto di riferimento per il processo creativo collettivo. E’ una

checklist, un sistema di valutazione. Seguendo il diagramma, il processo può essere aperto, consentendo

al processo di funzionare come un incubatore per la crescita personale e collettiva e, in definitiva, come

generatore d’innovazione che sia sostenibile e integrato nell’ambiente (che è la totalità del sistema

individuo, società ed ecosistema).” 145

Significativamente, anche Claudia Zeiske riconosce la metodologia di DA come una bussola per

orientarsi nella sua attività curatoriale: “Non necessariamente, ma posso dire che questo testo

[ARTocracy] diventa un utile manuale per me stessa quando mi trovo in difficoltà nel dare il giusto

equilibrio ai progetti che stiamo sviluppando. La metodologia che abbiamo elaborato diventa una sorta

di parametro su cui valutare la qualità di un progetto, il suo equilibrio.” 146

La metodologia è quindi garante di coerenza e armonia per i singoli progetti e per le attività delle due

organizzazioni: al di là della discrezionalità operative e contingenti di ciascuna operazione.

Quest’ultimo elemento, in congiunzione con l’esplicitazione del proprio metodo di lavoro si dimostra anche uno strumento di comunicazione per la condivisione del proprio operato, soprattutto nel

confronto con altre realtà o discipline. Avere una pratica sintetizza in un processo finalizzato alla

gestione, decifrato e decifrabile, consente il confronto su problematiche specifiche e connesse con elementi, dimensioni, fasi, approcci, strumenti della prassi, attraverso una chiave di lettura condivisa e condivisibile sia tra i partecipanti allo stesso sia tra professionisti di altri settori che desiderano

comprenderlo, e ne consente anche l’implementazione. Per AWT, questo è appunto evidente nelle

finalità e nelle premesse della ricerca Methods, sviluppato e condiviso con LD.

Inoltre, per DA, l’esplicitazione di una metodologia risponde a un’esigenza e volontà di esportazione

del proprio modello (una sezione di Artocracy è dedicato a questo). In numerose occasioni, infatti, la

curatrice Claudia Zeiske è stata chiamata a presentare il lavoro di DA sia all’estero che a delegati in

visita ad Huntly. Durante questi momenti, la metodologia è diventata il biglietto da visita con cui

presentare la propria attività, la logica e la visione che la presiedono. In conclusione, la metodologia è considerata come una serie di passi orientati per gestire la complessità delle azioni, ma al tempo stesso, in quanto leggibile da altri operatori, è uno strumento per lo scambio interdisciplinare, per l’approvazione di rettificazioni quando necessarie, e per le possibilità di applicazione in contesti diversificati.

Jacob e Baas, eds. Chicago Makes Modern: How creative minds changed society. Chicago, 2012.145

Conversazione con Claudia Zeiske (DA), 21 luglio 2014. 146

���60

Page 61: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Se coerenza, comunicazione, implementazione, esportazione sono le ragioni che sottendono l’adozione di metodo di lavoro, vediamo ora alcuni dei caratteri comuni delle metodologie degli artisti intervenuti a Methods, nel 2010. Anzitutto si nota come il processo creativo venga spesso scomposto in varie fasi, tra loro connesse: analisi del contesto, ideazione, azione, e , talvolta, valutazione. Per AWT, la metodologia è articolata in quattro fasi: Osservazione, Co-generazione, Azione,

Integrazione, in cui si notano assonanze con elementi del business planning. Il business plan è la

dichiarazione formale con cui un’azienda rende espliciti i propri obiettivi e pianifica le azioni per

raggiungerle, programmando le attività a breve, medio e lungo termine. Il documento del business plan

si articola in: descrizione del business; analisi del contesto e dei portatori d’interessi (business environment analysis, SWOT analysis, industry background, competitor analysis, market analysis); la pianificazione finanziaria, delle operazioni e del marketing; misure di controllo (milestones). Questa 147

similarità sono forse associabili alle modalità con cui le varie organizzazioni accedono a fondi tramite

bando di concorso (questo discorso si connette al tema della committenza affrontato nel capitolo

IV) , ma anche perché tale modello di matrice manageriale organizzativa fornisce un modello 148

efficace (e facilmente condivisibile con altri specialisti) per l’organizzazione della propria pratica. Questa somiglianza trova riscontro nelle presentazioni svoltesi a Methods di Maria Zanchi e Marco Lampugnani, le quali narrano il progetto seguendo la linea processuale: Osservazione del contesto - Azione - Integrazione.

Cruciale importanza in tutte le metodologie presentate è attribuita alla prima fase del processo,

l’analisi del contesto, soprattutto da collettivi come snark, Wochenklausur, Publink, e AWT stessa. L’osservazione e comprensione delle componenti culturali, sociali, ambientali ed economiche del territorio sono momenti fondamentali, fondanti e informanti le successive fasi di elaborazione e azione

all’interno del contesto dell’intervento, come si vedrà nel secondo capitolo di questo testo. Basti qui

accennare, che, a fianco dei convenzionali strumenti di analisi utilizzati nell’ambito del business planning (interviste, questionari, statistiche), la fondamentale differenza sta negli strumenti adottati.

Sono spesso adottate modalità e approcci interdisciplinari, che consentono una comprensione

sistemica dell’ambiente, e sono finalizzati a una più ricca partecipazione di tutti portatori di interessi al

risultato finale.

Inoltre, elemento comune è l’attenzione e la cura alla dimensione relazionale in ogni fase dei progetti,

sia essa reale (fisica) o virtuale (attraverso le nuove forme di comunicazione). La pratica di AWT, LD, Wochenklausur, Gudran for Art and Development, snark, e Publink s’inseriscono nel sistema di

relazioni delle comunità in cui sono chiamati a lavorare. Questi atteggiamenti sono talvolta interpretati

come una tendenza a creare situazioni che fanno venir meno la distanza critica tipica dell’arte

d’avanguardia (e di conseguenza la sua capacità di fornire uno strumento di ripensamento della

Si veda : John McCormac. The Straightforward Business Plan. Straightforward Publishing, 2007. Materiale fornito come 147

dispensa delle lezioni del prof. Marco Mongiello, in occasione del Master in Management del Paesaggio, Arte e Cultura (tsm-Trentino School of Management, 2010/2011).

Non a caso, sia Federica Thiene che Claudia Zeiske, hanno delle competenze in campo di Management.148

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società), in ragione del coinvolgimento diretto nel contesto; tale lettura però non tiene in considerazione la matrice innovativa e profondamente critica dei patterns di comportamento interpersonale e professionali, alternativi a quelli consolidati. Questo per due ordini di ragioni: la

prima legata ad un’idea di arte come di un sapere intra-disciplinare; la seconda legata alla finalità dei

processi attivati, che è il tendere al raggiungimento di un bene comune e condiviso in un determinato

contesto -e quindi superando gli interessi di determinate compagini sociali. Questi aspetti, che in letteratura trovano ampio spazio nel discorso relativo all’estetica relazionale, delle Socially Engaged Art e nelle pratiche “community based”, di cui abbiamo trattato nel secondo capitolo.

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Page 63: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Tempo dell’azione, tempo del cambiamento

Un tema fondamentale all’intersezione tra ruolo e responsabilità dell’artista, partecipazione reale del

fruitore e uso di una metodologia è la dimensione temporale del progetto artistico. Questo è un tema

che è affrontato, più o meno direttamente, nelle diverse edizioni di Methods (e non soltanto in quella

del 2010, che è il focus di quest’analisi) e nella letteratura. 149

La durata di un progetto artistico non è una variabile considerata discriminante, seppur diventi una

delle ragioni per cui alcune esperienze tra la fine degli anni ‘60 e il primo lustro degli anni ‘70 possano

essere lette come “immature” nel rapporto tra strategie messe in atto nello spazio urbano e obiettivi

(attivazione di nuove modalità di partecipazione degli abitanti della città). L’attività svolta fuori dallo

studio, spesso all’insegna delle arti performative, e nello spazio della città, si accompagna alle prime

sperimentazioni d’interazione con gli abitanti del luogo di intervento. Non a caso la Biennale di

Venezia, curata da Celant, sarà dedicata ad “Arte e Ambiente” (come sociale), portando alla luce la

traiettoria dell’arte visiva, tesa alla sperimentazione al di fuori del confine della superficie

bidimensionale della tela. La prima esperienza curata da Luciano Caramel a Bergamo, Campo Urbano

(21 Settembre 1969), è pioniera quanto immatura in alcune delle sue premesse socio-politiche, rispetto

alle conoscenze in ambito di teoria della percezione, della psicologia e sociologia del cambiamento,

quali acquisite negli ultimi decenni. Gli obiettivi che gli artisti si proponevano, ovvero di intrecciare

inediti modi di relazione con il pubblico, volevano essere raggiunti nel corso di un evento di durata

giornaliera. Più complesse e sviluppate nel tempo sono state le esperienze curate dallo storico 150

dell’arte e critico (chiamato a soprintendere il Padiglione Italia nel 1976) Enrico Crispolti, le quali

segnano i primi passi verso la percezione di un impegno più consistente da parte dell’artista con il suo

pubblico-collaboratore. 151

Negli anni ’90, come accennato precedentemente in relazione al tema delle pratiche dialogiche,

cambiano sia la durata che il momento dell’esperienza estetica. Spieghiamoci meglio:

tradizionalmente l’artista produce (con o senza la collaborazione di allievi, colleghi, intellettuali)

un’opera, che è considerata degna di essere esposta ed essere oggetto di dimensione estetica. Ad opera

In un intervento presso Marco Scotini accenna alla dimensione temporale dei progetti artistici sviluppati nella 149

contemporaneità. Nella letteratura, la riflessione più sostanziosa sulla tema della durata in relazione all’arte partecipativa (o dialogica) è quella di Grant Kester, in Grant H. Kester, Conversation Pieces. Berkeley, Los Angeles, London:, 2004, specialmente il capitolo due (Duration, Performativity, and Critique). Anche Shannon Jackson dedicata un capitolo sul tema “Quality time” in Jackson, Social Works. New York London, 2011, pp.43-74. E’ questo un tema spinoso e già discusso, ma emerso ripetutamente nelle conversazioni e interviste sulle pratiche partecipative svolte nel corso di questa ricerca.

Su Campo Urbano, si veda: Adachiara Zevi, Peripezie del dopoguerra nell’arte Italiana, Torino: Einaudi,2006, pp. 439-441.150

Crispolti, Arte e partecipazione sociale, 1977.151

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finita (salvo rari casi), il pubblico accorre nella galleria (o nello spazio designato) ed ha esperienza

della stessa. L’esperienza dell’opera è da considerarsi come una dimensione dialogica virtuale tra

l’artista assente ma presente nell’opera (secondo una visione permeata di idealismo) e lo spettatore.

Nelle opere cosiddette dialogiche, la creazione di un dialogo (che, comunque, non è un semplice

scambio di informazioni, ma coinvolge la dimensione corporea, emozionale ed energetica di un

individuo) non è demandata dall’artista ad un’opera d’arte (media fisico), bensì diventa essa stessa

l’opera-esperienza proposta dall’artista. La presenza dell’artista e la partecipazione (anche, e non

necessariamente solo) ad un dialogo prima della produzione di una eventuale restituzione di questa

esperienza di dialogo in forma oggettuale, spinge alle estreme conseguenze le teorie di Dewey sull’arte

come esperienza e sovverte parzialmente i tempi cronologici dell’opera d’arte.

Questo modello di estetica dialogica può essere applicato a quelle pratiche che si propongono, come

accade in Methods, di apportare un cambiamento sociale in un determinato contesto. Rispetto a queste

pratiche, si apre la questione fondamentale della durata dei progetti artistici.

Nell’edizione del 2004 (Biella, 2-3 Ottobre), la questione emerge dalle conversazioni tra i sei collettivi

intervenuti (Boureau de Competénces et Désirs; Calc; Isola Art Centre; Stalker -Laboratorio

Nomande; Katja Lindquist e Petra Revenle), accomunati dal fatto di affrontare una specifica situazione

sociale (problematica) e di intervenire in essa attraverso un’azione artistica. La presenza in loco a 152

lungo termine (particolarmente nelle pratiche di Calc e di Isola Art Centre) si era dimostrata

fondamentale per la pratica perseguita da questi collettivi, che sottolineavano i vantaggi di una

presenza continuativa nella comunità di riferimento. Nell’edizione successiva di Methods (Bologna,

26-28 gennaio 2006), si era invece insistito sulla necessità di un “coinvolgimento costante, immediato

e attivo nella comunità in cui si svolge il progetto”, e un “tempo di condivisione per attivare un

dialogo”, senza tuttavia sottolineare la necessità della presenza degli artisti per un periodo di tempo

lungo. In una recente conversazione con Aastha Chauhan, artista in residenza presso Cittadellarte 153

nel 2011, che da oltre dieci anni lavora nel quartiere Kirkhee di Nuova Delhi (India), ella ha

dichiarato: “Il mio lavoro di artista nel quartiere è sul lungo periodo, poiché i cambiamenti si vedono

sul lungo periodo. Una delle bambine con cui ho lavorato dieci anni fa, ora non può più partecipare ai

laboratori e alle attività che propongo nel quartiere per ragioni di distinzione tra generi. L’ultima volta

che l’ho incontrata mi ha detto: “Io non posso, ma quando avrò delle figlie, lo permetterò loro”. Per 154

Aastha, la sua pratica e il cambiamento necessitano di tempi generazionali. Il collettivo

“Methods - research projects on art society relations”, Materiali per progetto editoriale. (non pubblicato)152

“Methods - research projects on art society relations”, Materiali per progetto editoriale. (non pubblicato)153

Conversazione con l’artista a St Andrews (Scozia), il 21 Novembre 2014. 154

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WochenKlausur fa invece della durata il suo asset: i progetti che propongono - dopo la prima fase di

analisi del contesto - vengono concepiti sulla base del tempo a loro disposizione, stabilito a

discrezione del committente e in relazione alle risorse stanziate per il progetto stesso. 155

Anche su questo tema, AWT e LD forniscono una risposta articolata, che consente di districare la

spinosa questione relativa alla durata dei progetti artistici che rientrano nella categoria dell’Arte

Pubblica fino a qui discussa. “Di quale tempo stiamo parlando?”, ha chiesto Stefania Mantovani in una

conversazione con chi scrive. Anzitutto, AWT e LD suggeriscono di tenere in considerazione una 156

distinzione tra tempo cronologico e tempo kairologico, cioè tra un tempo logico, sequenziale e

quantificabile e un tempo qualitativo, incommensurabile e che riguarda la realizzazione del sé. Ci sono

un tempo dell’artista e quello del pubblico: percorsi di vita con ritmi differenti che si incontrano e

condividono il tempo e lo spazio, il qui e ora, la situazione e l’esperienza del progetto. Questo

circoscritto è il tempo della creazione condivisa che porta però con sé il vissuto e le visioni del futuro,

e che comporta la conciliazione e la armonizzazione di ritmi e percorsi diversi. E’ questo il tempo

della presenza dell’artista nel contesto, e determinato dal contratto del committente. Come per i

WochenKlausur (il cui nome stesso significa appunto “settimana di clausura”, intendendo l’intensiva

esperienza di realizzazione dei loro progetti in una breve cornice temporale), anche per AWT il tempo a

disposizione per un progetto entra nella progettazione come una tra le risorse disponibili da mettere in

relazione con gli obiettivi del progetto, per valutare le azioni e gli interventi dello stesso.

AWT differenzia il tempo/durata della co-creazione artistica e il tempo del cambiamento del contesto.

In altre parole, la presenza dell’artista in un contesto non coincide con il tempo necessario al

cambiamento di un contesto. Come emerso in Methods, un processo di cambiamento è in atto fino a

che non è metabolizzato, e cioè fino a che la nuova realtà creata non diventa normalità per il contesto,

e nasce l’urgenza di un nuovo cambiamento.

Il cambiamento che avviene senza la presenza delle artiste (che comunque rimangono a disposizione

per consulenze anche a posteriori) è connesso “all’eredità” lasciata dagli artisti nel contesto di

riferimento. Per AWT, fornire al contesto gli strumenti per continuare ad elaborare e modificare il

progetto è parte integrante del metodo di progettazione stesso. Questo approccio è condiviso da snark,

che fornisce strumenti di facile gestione da lasciare all’utilizzo e alla gestione di chi fruisce il progetto.

Ma qual’è il tempo necessario per il cambiamento, com’è quantificabile? Il tempo del cambiamento e

della sua metabolizzazione ha però una particolare connotazione nella pratica di AWT. Stefania

Mantovani rammenta di avere avuto una conversazione con Michael Wenger dell’Istituto Hoffman che

Intervento di WochenKlausur a Methods 2010.155

Conversazione con Stefania Mantovani (AWT) e Filippo Fabbrica (LD), 6 gennaio 2015.156

���65

Page 66: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

ha cambiato completamente il modo di affrontare questo tema. Infatti, esprimendo la convinzione della

necessità di tempi lunghi per il cambiamento di un contesto, Wenger aveva sollevato il dubbio del

ruolo che svolgono i nostri schemi mentali nel determinare il tempo necessario al cambiamento,

riflettendo un concetto del sé e della mente significati dalla fisica quantistica. In altre parole: la 157

nostra personale convinzione nella necessità di tempi lunghi per il cambiamento, condiziona il tempo

potenzialmente necessario per un cambiamento. In ogni caso, i progetti del collettivo hanno avuto

durata variabile (e commisurata ad obiettivi e risorse): da h24, un’azione di osservazione della città di

Mestre e Marghera durata 24 ore (parte del più ampio intervento MS3 ), a processi co-creativi della 158

durata di 3-4 anni, come Leader II (nei Colli Berici) o Cantieri la Ginestra (a Montevarchi). 159

Ancora una volta, l’esperienza di Deveron Arts offre ulteriori elementi di valutazione su un aspetto

relativo al tempo dei progetti, che, alla luce delle considerazioni fatte da AWT, trovano chiarimento. Il

programma di residenza per artisti in cui è articolata la più importante parte dell’attività di DA dura tre

mesi. Il tempo di permanenza degli artisti è quindi una variabile fissa e fuori discussione per la

curatrice (solo in occasione del progetto Room to Roam, destinato a riconfigurare il brand di Huntly, la

residenza è stata prolungata a sei mesi). La curatrice Claudia Zeiske sottolinea come tre mesi siano il

tempo necessario e sufficiente per la realizzazione di un progetto di qualità, in cui si mantenga alto di

ritmo di lavoro e il livello della collaborazione tra ospite e organizzazione. D’altra parte, i 160

partecipanti ai progetti (o artisti stessi, parte della comunità locale) hanno considerato criticamente la

breve e temporanea permanenza degli artisti, che dopo il loro periodo di residenza sono catapultati in

un differente contesto. Questa è una questione complessa, e irrisolta, ma che può essere riformulata

considerando sia il ruolo svolto da DA con il suo intenso programma di attività, sia il progetto spesso

discusso sul tema delle aspettative non realizzate: The Town is the Menu, curato da Simon Preston,

food consultant e ideatore e organizzatore del Festival EAT! Newcastlegatehead a Newcastle. 161

Andiamo ora ad analizzare The Town is the Menu. Durante il periodo di residenza, il progetto si era

articolato in una fase di raccolta dei dati sulle abitudini alimentari del paese (muovendosi in punti

strategici della città con torte e biscotti, offriva una piattaforma di dialogo sul tema del gusto, delle

What the Bleep do We Know? film documentario su fisica quantistica, mente e spiritualità (https://www.youtube.com/157

watch?v=ioONhpIJ-NY, accessed on 20 November 2014, anche: http://www.whatthebleep.com/bleep/).

http://www.artway.info/ms3/, accessed on 20 gennaio 2015.158

Conversazione con Stefania Mantovani (AWT) e Filippo Fabbrica (LD), 6 gennaio 2015. 159

Conversazione con Claudia Zeiske (DA), 21 luglio 2014.160

su Simon Presto: http://graceonline.co.uk, accessed on 10 Febbraio 2015; sul progetto di residenza presso DA: http://161

www.deveron-arts.com/simon-preston/, accessed on 15 Aprile 2015. ���66

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abitudini alimentari, dell’associazione cibo-memoria attraverso domande legate al vissuto personale);

nell’esplorazione delle risorse del territorio in termini paesaggistici, gastronomici, storico-culturali;

nella creazione di un network di chef nei servizi di ristorazione locali; nella collaborazione tra Preston,

uno chef locale e uno chef stellato Michelin (Richard, per l’elaborazione delle informazioni raccolte e

l’ideazione di un menù di sedici piatti ispirati alla città); nel lancio del menù stesso. Successivamente

alla partenza di Preston, Deveron Arts ha tentato una serie di azioni per fare in modo che il menù

venisse conosciuto e continuasse ad essere servito nei ristoranti locali: il pane ideato nel progetto viene

prodotto una volta al mese da un forno locale e venduto da DA al mercato dei contadini locale; DA ha

organizzato una serie di dimostrazioni di cucina nelle ore di economia domestica presso la scuola

locale (Gordon School), tenute dalla chef locale che aveva lavorato al progetto; ha tentato

l’organizzazione di un corso di cucina per mantenere vivo l’interesse e la passione di voler continuare

a creare della cucina coinvolta. Allo stato attuale, a più di un anno dal termine del progetto, DA e il

personale dell’organizzazione sono tra i pochi che continuano a proporre piatti dal Menu, mentre

Simon Preston ha sviluppato un intero programma radiofonico su Radio4 (UK) basato sull’idea

iniziale di The town is the Menu. 162

Da un lato abbiamo il tempo dell’azione (i tre mesi di residenza), dall'altra il tempo della

metabolizzazione (il periodo successivo al termine del progetto, che in Hunlty ha lasciato qualche

traccia, mentre ha segnato una svolta mediatica nella carriera di Simon). Quest’ultimo ha visto

emergere una serie di leggere polemiche relative al fatto che il Menu non abbia avuto continuità dopo

la partenza dell’artista: da un lato si è criticata DA per non aver fatto abbastanza sforzi nel tenere viva

l’eredità di quest’esperienza; dall’altra si è pensato che l’artista stesso avrebbe dovuto garantire una

continuità alla stessa, o ancora che la residenza di Preston avrebbe dovuto durare più a lungo. Queste

polemiche rivelano due diverse questioni, che si ricollegano ai temi fin qui trattati: la questione del

rapporto tra tempi e obiettivi, che devono essere condivisi; il ruolo svolto da DA. Inizialmente DA

aveva creduto di poter ottenere un piatto a simbolo della città; al tempo stesso, alcuni abitanti (non

coinvolti) pensavano che questo progetto potesse cambiare il volto gastronomico della città con il

progetto di Preston (queste erano le aspettative); Preston, dal canto suo, si proponeva l’elaborazione di

un Menù creativo e ispirato alla città durante il tempo di residenza stabilito. Il professionista nel food,

commisurando tempi e obiettivi, ha raggiunto il suo scopo. Questa incongruenza tra gli obiettivi dei

portatori di interessi e i tempi previsti per il progetto, hanno portato a una diversa percezione dello

stesso. D’altra parte, il fatto che a DA fosse imputata la continuazione del progetto, da un lato ha

messo in evidenza alcune criticità del progetto stesso (la comunicazione del progetto e dei suoi

obiettivi non era stata chiara a sufficienza; non si era fatto fronte alle resistenze della comunità della

Si veda l’intervista con Simon Preston in Appendice, e http://graceonline.co.uk/the-town-is-the-menu-radio-4-series/.162

���67

Page 68: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

piccola località), dall’altro, per alcuni abitanti del territorio (ma non per gli artisti), non si consideratoa

sufficienza il ruolo che DA svolge nella comunità locale come punto di riferimento presente

sulterritorio e sul lungo periodo, al di là delle residenze temporanee per gli artisti. 163

Fino ad ora abbiamo parlato dello scarto temporale che esiste tra la pratica artistica e il processo di

cambiamento innescato in un determinato contesto territoriale. Esiste tuttavia un diverso tempo e

spazio che è necessario tenere in considerazione: la questione del pubblico potenziale di queste

pratiche, emerso dalle conversazioni con Emily Gray (SSW) e Claudia Zeiske (DA). 164

Un’opera esposta in un museo, un libro tascabile: due estremi di accesso ai contenuti, prima delle

svolte dei mezzi di comunicazione del XIX secolo. Il primo richiede il massimo della mobilità da parte

del destinatario, che deve accedere al luogo in cui i contenuti si trovano; il secondo, invece diventa

vettore nello spazio e nel tempo di pensieri, informazioni, dibattiti, emozioni, suggestioni, immagini.

Non c’è nulla di nuovo nel dire che, negli ultimi 20 anni, internet e l’emergere della società delle reti

hanno creato una possibilità di condivisione ed accesso alle informazioni senza precedenti, in tempo

reale e realizzando la dimensione globale come una panacea mediatica. Questo ha delle conseguenze

innegabili nell’ambito della ricaduta di contenuti in generale, che non sufficientemente considerate

nell’ambito di queste pratiche, forse in ragione della loro odierna imprevedibilità (rispetto ai pattern

non completamente noti di diffusione virale di informazioni), per la impossibilità di quantificarle e

qualificarle con certezza e per lo scarso interesse degli enti finanziatori sulle ricadute reali (ovvero non

solo a livelli di immagine) in contesti estranei a quelli di loro interesse.

Una volta affidato al web un progetto in un piccolo comune della Scozia potrà sollevare l’interesse in

un’altro luogo e diventarne ispirazione per l’attivazione di esperienze simili, potenzialmente ripensate

coerentemente al contesto (come nel caso di DA e Atlas, piccola organizzazione con sede sull’Isola di

Skye, in Scozia). Non solo: entrando a far parte di un discorso globale, potrà diventare oggetto di

attenzione critica e influenzare cambiamenti nel dibattito teorico, con potenziali ricadute sulle pratiche

stesse.

Questo tema apre una serie di questioni importanti, che non sono oggetto di questo testo. Tuttavia,

prima di concludere, dobbiamo sottolineare il nesso che lega la questione degli effetti di un progetto al

tema della documentazione di questi progetti. Nel testo di Pablo Helguera sulle Socially Engaged

Il valore, per l’operare di un artista, ma anche nel senso della tutela di una comunità locale viene, della presenza di 163

un’istituzione sul territorio che cura le relazioni con la comunità locale è sottolineata da Anthony Schrag (artista e PhD candidate at Newcastle University), nella sua intervista per questa ricerca. Tuttavia, la criticità riscontrata dalla comunità rispetto alla presenza non continuativa da parte degli artisti è stata recentemente affrontata grazie alla presenza a lungo di un artista che opera tra DA e la comunità. Faccio riferimento alla giovane Cathrin Jeans, in conversazione con chi scrive in appendice al testo.

Conversazione con Emily Gray (SSW) e Claudia Zeiske (DA), luglio 2014.164

���68

Page 69: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Arts, si individua questo nodo problematico nell’unilateralità dei materiali testimonianza del 165

progetto, prodotti dall’artista e in qualche modo viziati dalla sua visione e dalla finalità espositiva, e la

totale assenza della voce dei partecipanti, che l’autore invita ad essere espressa come parte della

documentazione.

Methods 2010 offre un’alternativa a questa proposta: introduce infatti un’osservatore esterno e utilizza

diversi media per la documentazione dell’intero processo e la sua contemporanea condivisone in rete

attraverso un blog. Infatti, un’unità editoriale è stata affiancata al workshop, per seguire, osservare, 166

registrare e mettere in rete ogni fase del processo di condivisione ed elaborazione dei contenuti. In

questa posizione di osservatore esterno, informata sui fatti, ma non partecipante attivamente ai suoi

svolgimenti, ha fornito una documentazione in diversi media (mappe mentali, fotografie, video, blog,

un canale youtube) attraverso i quali è tutt'oggi possibile ricostruire, rileggere e divulgare i contenuti

elaborati e le modalità di elaborazione degli stessi. Per AWT e LD, l’osservatore esterno è una

posizione specifica e privilegiata rispetto alle dinamiche di un processo in atto e lo ritroviamo in ogni

progetto, in fasi diverse del processo co-creativo. 167

Pablo Heguera, Education for Socially Engaged Art. A materials and Techniques Handbook. New York: Jorge Pinto 165

books, 2011, pp. 73-76.

DA attua qualcosa di simile, ma non sostenuto teoricamente, invitando fotografi esterni al processo a documentare gli 166

eventi. In ogni caso, la questione della documentazione di questi processi è ancora questione irrisolta, che verrà ulteriormente investigata in futuro.

Per questo tema si rimanda al capitolo 3, sulla figura dell’artista.167

���69

Page 70: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Il Rapporto con la Committenza

Nei capitoli precedenti sono stati analizzati finalità, approcci, modalità e tempi così come concepiti da

AWT e dai collettivi partecipanti a Methods - Processes of change (2010), confrontandoli con

esperienze artistiche di un passato più o meno recente. Tuttavia, per comprendere fino in fondo la

modalità con cui questi, e in special modo AWT, riconfigurino le relazioni tra artista, opera d’arte e

fruitore tradizionali, non possiamo escludere un altro elemento fondamentale: il committente. Questo

capitolo vuole, infatti, far emergere la radicalità con cui sono concepiti e gestiti i rapporti con la

committenza da parte di alcuni dei collettivi partecipanti a Methods e da AWT.

L’uso del termine committente indica un ruolo chiaro, preciso, ovvero quello di “chi ordina una merce,

un prodotto, l’esecuzione di un lavoro.” Nel suo senso letterale, sintetizza una relazione gerarchica 168

fra chi decide e chi realizza un lavoro, nella quale chi ha in mano le decisioni ultime tende ad essere in

una posizione privilegiata. Nella storia dell’arte, tale relazione è stata costantemente oggetto e spazio

di negoziazione, dal punto di vista del riconoscimento sociale (fin dal Rinascimento), del prestigio

economico (con la nascita del mercato dell’arte) e dell’impegno politico (dalla fine degli anni ’60).

Confrontandoci soprattutto su quest’ultimo aspetto, in questo testo cercheremo quindi di dimostrare

come, in alcuni progetti di Wochenklausur ma soprattutto di AWT, si giunga a ripensare e a scardinare

tali meccanismi, proprio in ragione delle finalità che sono perseguite nella loro pratica.

Prima di entrare nel merito di questo tema, è a mio avviso necessario rispondere a una domanda solo

in apparenza banale: chi è il committente? Qual’è un valido criterio per distinguere tra diverse

tipologie di committenza? Il committente può essere una persona fisica o giuridica, individuale o

collettiva. Facendo una carrellata tra passato e presente, diamo alcuni esempi concreti. Committenti

sono stati papi, duchi, mercanti, liberi Comuni, confraternite religiose, ma anche enti pubblici locali,

gallerie e musei d’arte contemporanea, fondazioni private, comunità territoriali, gruppi non

formalizzati istituzionalmente.

Salvatore Settis, definisce il committente nel Rinascimento colui a cui spetta “l’invenzione”, “ a chi

debba, al suo posto o per suo incarico, elaborarla, si sforzerà di procedere secondo le sue intenzioni, e

dunque modellandola sul suo pubblico”. 169

Dizionario Etimologico, pp. 335-336. Non facciamo riferimento alla figura del “mecenate” così come tradizionalmente 168

inteso, ovvero come chi si dedica al sostegno di artisti e letterate per amore delle stesse e gratuitamente. Non possiamo tuttavia escludere che un committente non sia a sua volta un mecenate, né che un mecenate non sia interessato a richiedere al suo protegeé un opera per un’occasione determinata. Nella contemporaneità i due termini vengono spesso utilizzati come sinonimi, privilegiando l’uso del secondo nel caso in cui un committente si dimostri particolarmente prodigo e generoso nel tempo verso il settore delle arti.

Settis, Artisti e Committenti. Torino, 2010, p. 31.169

���70

Page 71: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

Analizzando la relazione tra gli sguardi delle figure nello spazio figurativo de Las Meninas di

Velazquez (1656, attualmente al Museo Nacional del Prado) nel suo Le parole e Le cose, il filosofo

Michael Foucault, qualifica come ancora più sottile e impalpabile l’impronta dei committenti sulla

rappresentazione a partire dall’analisi della relazione e dei rimandi degli sguardi:

“Di tutti i questi personaggi rappresentati essi sono inoltre i più trascurati, poiché nessuno presta attenzione al riflesso che s’insinua dietro tutti e si introduce silenziosamente attraverso uno spazio insospettato [sta facendo riferimento all’immagine di Filippo IV e Marianna di Spagna riflessa nello specchio sullo sfondo dell’immagine]; nel momento in cui sono visibili sono la forma più fragile e più lontana da ogni realtà. Inversamente, nella misura in cui, situandosi all’estremo del quadro, sono ritirati in una invisibilità essenziale, essi ordinano intono a sé tutta la rappresentazione; è ad essi che si sta di fronte, è verso di essi che ci si volta, è ai loro occhi che viene rappresentata la principessa nel suo vestito di festa; dal rovescio della tela all’infanta e da questa al nano che gioca all’estrema destra, una curva si disegna per ordinare al loro sguardo tutta la disposizione del quadro e fare apparire in tal modo il vero centro della composizione cui sono sottomessi in ultima analisi lo sguardo dell’infanta e l’immagine dello specchio.” 170

Riformulando queste definizioni, potremmo dire che il committente (e il potere che rappresenta) -

virtualmente presenti nello spazio reale- non solo “ordina” il lavoro o l’esecuzione, come da

definizione del termine stesso, ma decide dello spazio della rappresentazione, e lo informa pur non

essendone protagonista. Seppur questa definizione faccia riferimento a particolari momenti della storia

della produzione artistica, possiamo assumerla come uno dei punti di partenza per affrontare il nostro

tema.

Delineare il ruolo del committente non è tuttavia sufficiente per distinguere le varie tipologie di

committenza e di relazione che esso implica. Del resto, all’inizio degli anni’80, lamentando

l’insufficiente attenzione dedicata a tale tema in ambito storico artistico, è Salvatore Settis a delineare

gli elementi fondamentali intorno a cui costruire una categorizzazione strutturata delle diverse

tipologie di committenza, seppur in riferimento al Rinascimento. La figura sociale del committente (si

trattasse di un nobile patrizio, una confraternita religiosa o laica, le autorità comunali, ecc.) è soltanto

uno degli elementi che influenzano la tipologia e le dinamiche relazionali tra chi commissiona un

lavoro e chi lo realizza. Fondamentali sono le motivazioni e la destinazione d’uso, nonché la tipologia

di opera commissionata (tavola, ciclo di affreschi, miniature, ecc.), ma anche il luogo per cui l’opera

Michel Foucault, Le Parole e le Cose. Un’archeologia delle scienze umane [1966]. traduzione di Emilio Panaitescu. 170

Milano: BUR Rizzoli, 2013, p. 28���71

Page 72: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

era ordinata, le risorse economiche e i tempi messi a disposizione, la modalità di selezione dell’artista,

il tipo e le dinamiche di stipulazione del contratto. 171

Queste distinzioni tipologiche sembrano essere valide anche nell’ambito dell’arte contemporanea. In

questa analisi, prediligeremo però, in relazione a quanto affrontato nei capitoli precedenti e alle

pratiche dei partecipanti alle varie edizioni di Methods, le commissioni pubbliche.

Secondo la studiosa Angela Vettese infatti, Public Art e arte partecipativa

“sono sempre state presenti nella storia dell’arte. Oggi chiamiamo public art o arte partecipativa quella che una volta era La stanza della Segnatura di Raffaello. [..] il territorio europeo è costellato di edifici che prevedevano intrinsecamente l’azione del potere e dello scultore ed erano luoghi nati per stimolare la partecipazione. All’apice di questo processo erano le chiese dove l’opera serviva a stimolare la devozione. Lo erano ancora di più le chiese barocche la dove, dopo il concilio di Trento, si disse che l’opera d’arte doveva suscitare meraviglia, stupore e ammirazione per questa entità superiore. Quindi, la public art, l’arte relazionale, non sono fenomeni recenti. Non lasciamoci abbagliare, l’arte partecipativa è sempre esistita o meglio l’arte è sempre stata partecipativa.” 172

Seppur questa posizione sia discutibile (tiene in considerazione il significato letterale della

denominazione della categoria e non le implicazioni delle stesse, come discusse parzialmente nei

capitoli precedenti) e forse anche provocatoria, essa permette di far emergere una fondamentale

distinzione, ancora oggetto di discussione, tra le pratiche dell’arte del passato e quelle contemporanee,

oggetto di questo studio. Intendo la distinzione tra pratiche che intervengono nello spazio pubblico e le

pratiche che operano per o con il pubblico, inteso come collettività. Tale distinzione non è netta, al

contrario, molto spesso l’una implica l’altra.

Come sottolinea Angela Vettese, opere nello spazio pubblico e per la collettività accomunano l’arte

moderna con le pratiche contemporanee. Questo è evidente se consideriamo gli apparati architettonici

e decorativi delle chiese medievali, romaniche e gotiche. Come sostiene Gombrich, essi s’inserivano

come uniche strutture in muratura in un dissestato e effeminato tessuto urbano, come punto di

riferimento per l’intera comunità, favorendo con gli apparati architettonici e decorativi (di cui

Settis, Artisti e committenti, Torino, 2010, pp. 56-88.171

Intervista nell’ambito del Festival dell’arte contemporanea di Faenza (20-22 maggio 2011), a cura di Luciano Marucci 172

(http://www.lucianomarucci.it/cms/documenti/pdf2/ApprodiSegno2011SaccoVettese.pdf, consultato il 26 Febbraio 2015).���72

Page 73: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

raramente ci è pervenuto il nome dell’artefice) l’insegnamento della dottrina religiosa ai fedeli. Ma 173

non solo: nella loro effettiva funzione politica e sociale, tali costruzioni erano un vero e proprio

simbolo del potere politico e religioso, che rafforzava le stesse gerarchie sociali. Questa prassi

continua nel Rinascimento e oltre, con le commissioni di Palazzi signorili e cicli decorativi, cappelle e

interventi urbanistici, ri-decorazioni delle chiese di fondazioni precedenti.

In queste opere, il committente corrisponde a chi detiene il potere politico, religioso, economico. Sia

esso un individuo o un ordine collegiale (come nei casi delle confraternite laiche o religiose), egli

detiene l’inventio, cioè “l’idea di fondo”, mentre l’umanista di cui si avvale, e che risponde alle sue

esigenze, “sceglie e ordina i temi delle singole pitture in cui articolarla, curandone la sequenza, le

scritte, i nessi.” Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, salvo eccezioni all’artifex non restava 174

che la realizzazione materiale dell’opera, sulla base di una struttura e dei contenuti già preparata da

altri, mentre il pubblico non aveva alcun ruolo nel processo creativo dell’opera, se non passivamente,

per rendere efficace la comunicazione degli ideali e dei valori dettati in ultima istanza dal committente.

Il rischio, nel caso ci si fosse discostati dalla volontà del committente, era che il lavoro venisse tolto

dalla destinazione d’uso, sostituito e talvolta non pagato.

Tuttavia, questa relazione verticale nel processo creativo di un’opera cambia nel tempo. Come già

affrontato nei capitoli precedenti, concorrono a tale cambiamento sia la svolta fondamentale nello

status dell’artista (già iniziata nel periodo rinascimentale, ma consolidatasi a partire dal XVIII secolo)

che l’allargamento della fascia di pubblico aperto alla fruizione di opere, ma anche il diverso ruolo che

il fruitore dell’opera veniva ad assumere nel processo creativo dell’opera stessa, già in alcune

esperienze dell’avanguardia storica. In che direzione avviene tale cambiamento?

Dalla fine degli anni ’60, esso pare configurarsi come un’adesione e una volontà da parte degli artisti

stessi (come abbiamo visto il caso di Piero Gilardi, ma anche in Francia, il caso dell’Atelier Populaire

parigino), di esprimere le istanze culturali di nuove sezioni della società (il proletariato), che non siano

quella della classe dominante (che detiene il potere economico o/e politico) e al di fuori (se non in

contrasto) con le istituzioni ufficiali. Tale tensione al cambiamento era sostenuta da una critica

marxista della società e soprattutto delle istituzioni che si occupavano di produzione culturale (musei,

ma anche scuole e università), e si era sviluppato parallelamente ad un più generalizzato processo di

democratizzazione della cultura, iniziato in Italia almeno fin dal secondo dopo guerra. Alla fine degli

anni ’60 e sull’onda delle proteste operaie e studentesche, sono messe in discussione non soltanto le

forme dell’arte e il pubblico che ne fruisce (di cui si è parlato nei capitoli precedenti) ma, mettendo in

Ernst H. Gombrich, La storia dell’arte [1950]. Traduzione di Maria Luisa Spaziani. Londra - New York: Phaidon, 2006, 173

pp. 129-153.

Settis, Artisti e committenti, Torino, 2010, p. 12.174

���73

Page 74: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

discussione le istituzioni (e la classe sociale) a cui più spesso si devono le committenze, anche

l’autorità stessa del sistema della committenza.

Questa critica trova espressione nelle polemiche di alcuni giovani critici militanti rivolte

all’organizzazione di numerosi eventi di arte contemporanea (festival) organizzati in località extra-

metropolitane e diffuse sul territorio, come espressione del rafforzamento delle politiche culturali, a

partire dall’istituzione delle regioni nel 1970. Negli anni ’70, gli assessorati alla cultura delle città, tra

cui Pesaro, San Benedetto del Tronto, Piombino, infatti, organizzarono rassegne di scultura

contemporanea nello spazio urbano. Come scrive Alessandra Pioselli, questi interventi non sempre

sono stati accolti positivamente perché, nonostante offrissero una maggior visibilità -alle esperienze

artistiche di quegli anni, allargandone potenzialmente la fruizione e contribuendo a loro volta ad

allargare la notorietà di località turistiche- rimanevano estranee all’azione politica. Germano Celant 175

criticava la scarsa incidenza -culturale, politica e sociale- che tali eventi riuscivano ad ottenere. Se 176

l’arte militante si proponeva di educare la sensibilità percettiva del pubblico attraverso esperienze fuori

dall’ordinario, il fatto che tali manifestazioni fossero svolte in luoghi di svago riconduceva tali

sperimentazioni artistiche alla dimensione ludica e dell’intrattenimento (a cui veniva data una visione

non positiva), neutralizzando le sue potenzialità educative. D’altra parte, le posizioni degli artisti

italiani trovano scarsa eco a livello istituzionale e di programmazione culturale. E’ la stessa Pioselli a

notarlo, ricordando che gli anni ‘Settanta fossero caratterizzati sia da una difficoltà di dialogo tra

operatori culturali e amministrazione

pubblica che da un regime di

emergenza rispetto ai temi della

conservazione del patr imonio

storico-artistico del paese. 177

Analoghe critiche furono avanzate da

Luciano Caramel all’esperienza da

lui stesso curata con Ugo Mulas e

Bruno Munari a Como, il 21

Settembre 1969. L’evento, cui

Si veda: Alessandra Pioselli, Arte e Scena Urbana. Modelli di intervento e politiche culturali pubbliche in Italia tra 1968 e 1981, 175

in Birozzi e Marina Pugliese, ed., “Arte Pubblica nello Spazio Urbano”. Milano: Bruno Mondadori, 2007, soprattutto pp. 20-33.

Ibid, p. 25.176

Queste questioni risultano essere ancora molto attuali: sia nel modo in cui “produzione culturale”, intrattenimento e turismo 177

tendono ad essere confusi, nonostante le valide potenzialità intrinseca alla contaminazione tra questi tre diversi campi, che nello stato non ottimale in cui viene mantenuto il patrimonio storico-artistico nazionale di competenza pubblica (mi pare che non sia un caso, l’ Association for Research into Crimes Against Art abbia deciso di svolgere la propria summer school in Italia, pure avendo sede in Nuova Zelanda).

���74

Campo Urbano, 1969 (fotografia di Ugo Mulas)

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parteciparono tra gli altri Enrico Baj, rappresentanti del Gruppo T (Boriani, Colombo, Varisco, De

Vecchi), Fabro e Paolini, Dadamaino, Munari, Chiari e Scheggi, coinvolgendo artisti da tutta Italia. Il

comunicato stampa prodotto in occasione dell’evento parla chiaro rispetto agli intenti (oggi li

definiremmo piuttosto ambiziosi rispetto alla durata dell’evento) del progetto:

“Ai partecipanti non è stato perciò chiesto alcun intervento in qualche modo preordinato.

Non si è trattato della consueta commissione di un prodotto già determinato, ma invece

dell’invito ad un impegno nella ricerca di un rapporto reale – e quindi vivo e non scontato

– tra gli artisti, gli abitanti di una città e la città stessa. Ciò ha portato di conseguenza a

porre gli artisti davanti a quesiti fondamentali che investono il senso stesso dell’arte ed il

problema della sua funzione oggi : come, ad esempio quello dei confini delle loro

possibilità di risposta alle necessità della collettività; quello delle scelte opportune ad una

presenza non marginale o solo decorativa nella società attuale; quello dell’opportunità di

adottare soluzioni effimere o “permanenti”, radicali o parziali, eversive o

riformistiche.” 178

Nonostante queste premesse sperimentali, gli interventi effimeri degli artisti interpretarono la città

come un luogo in cui intervenire secondo modalità non dissimili da quelle attuabili in un museo,

interagendo in maniera incidentale con gli abitanti della città e puntando sulla resa emozionale dei loro

interventi, (assimilabile ad interventi dadaisti, in cui stupore e provocazione venivano considerati

come canali privilegiati per “risvegliare” la coscienza del pubblico) senza tentare un rapporto più

sostanziale né con gli abitanti né con le autorità politico-amministrative locali. 179

Nel tentativo di realizzare degli eventi culturali ed artistici che potessero superare entrambe la criticità

in questi campi di relazione, proponendo di instaurare un rapporto più costruttivo sia con la comunità

che con gli enti locali, lo storico dell’arte e critico Enrico Crispolti propone una serie di eventi che

sono fondamentali per comprendere in quale direzione si stesse muovendosi una parte del mondo

dell’arte militante, coerentemente ai cambiamenti della società.

Le manifestazioni organizzate da Crispolti, svolte a Volterra, Gubbio, Salerno e poi presentate - non

senza problemi - alla Biennale di Venezia del 1976, furono tuttavia d’avanguardia e informate dalle

urgenze politiche della contemporaneità. Scrive infatti Crispolti, in una lettera inedita indirizzata

all’allora direttore della Biennale, Carlo Ripa di Meana: “non possano non essere considerate le

difficoltà nelle quali già mi sono trovato a lavorare nel 76 per la sezione italiana, fra mancanza di

Comunicato stampa di campo urbano riportato in: https://urbanfields.wordpress.com/inspiration-2/inspiration/, consultato il 178

3 Marzo 2015.

Su Campo Urbano, si veda: ; per le critiche sollevate all’evento si veda: Pioselli, Arte e Scena Urbana. Milano, 2007, p. 179

���75

Page 76: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

tempo per adeguate verifiche ed emarginazione

che tale sezione venne a subire fin nei giorni di

vernice della manifestazione e anche oltre; eppure

venne fuori uno dei momenti più vivi della

Biennale 1976, uno dei momenti di sua effettiva

attualità problematica.” 180

Nello specifico, il suo lavoro dimostra

un’attenzione alla questione del decentramento

culturale, conseguenza dell’attuazione delle

Regioni (già previste nell’articolo 22 della

Costituzione) nel 1970. Essa è affrontata sia in termini geografici, prediligendo le operazioni in centri

extra-metropolitani, che in termini di politiche culturali (o, in altri termini, di committenza). Rispetto a

questo tema, gli eventi organizzati da Crispolti furono un tentativo di fare dell’arte un motore di

partecipazione allargata alle istituzioni della cultura, attraverso l’invito dei più importanti artisti

all'avanguardia. In occasione di “Volterra 73” sono infatti invitati numerosi artisti, i cui interventi

vennero discussi in assemblee aperte alla cittadinanza e realizzate in collaborazione con i locali

artigiani dell’alabastro, con l’ospedale psichiatrico, la scuola. Seppur i risultati raggiunti con queste 181

manifestazioni artistiche non siano stati esaustivi e completamente convincenti, questo tentativo 182

propone una via alternativa alla critica istituzionale, cioè rivolta all’intero sistema dell’arte e di

produzione della cultura ufficiale, proponendo sinergie inedite e alternative, caratterizzate da

dinamiche di produzione culturale tendente ad appiattire le relazioni tra committente e fruitori, ovvero

tra istituzione e cittadinanza (o massa, come viene definita dalla letteratura contemporanea), attraverso

gli strumenti attribuiti allo stesso per l’espressione della sua identità culturale e nel tentativo di

attribuire a quest’ultimo la possibilità di dare voce alla sue stesse esigenze culturali.

Il critico d’arte si proponeva quindi come orchestratore della mediazione culturale svolta dall’artista

(impegnato nella sua nuova area di esperienza: il sociale, in relazione alla “fortissima domanda di

Lettera di Enrico Crispolti a Ripa di Meana, 29-III-1978 presso ASAC, segnatura 3023. Nella lettera, Crispolti chiede le 180

dimissioni dall’incarico di commissario per il Padiglione Italiano per la Biennale 1978.

Si veda il ricco catalogo della mostra: Enrico Crispolti (a cura di), Volterra ’73. Sculture, ambientazioni, visualizzazioni, 181

progettazione per l’alabastro. Catalogo della Mostra. Firenze: Di Centro, 1974.

Le criticità del progetto vengono messe in luce in: Pioselli, Arte e Scena Urbana, 2007, p. 30-31.182

���76

Locandina di Volterra ‘73

Page 77: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

massa” ) tra le istanze di forze culturali rappresentative di base (definite in termini antropologici) , 183 184

e le istituzioni stesse.

Questo impegno da parte del curatore a favorire una partecipazione allargata ai processi di

progettazione culturale, trova realizzazione quasi trent'anni dopo a Torino. Faccio riferimento, come

già evidenziato da Cecilia Guida, al progetto Nuove Committenze, curato tra il 2001 e il 2008 dal 185

collettivo curatoriale a.titolo (Giorgia Bertolino, Francesca Comisso, Nicoletta Leonardi, Lisa Parola e

Luisa Perlo), ispirato e ideato in Francia da François Hers nel 1991. Tale progetto si inserisce nel

programma di rigenerazione della periferia urbana Urban 2, finanziato dalla Comunità Europea e

attuato nella città di Torino all’interno di un più ampio progetto di riqualificazione dell’area suburbana

dal 1998.

Grazie al contributo della Fondazione Adriano Olivetti, il quartiere Mirafiori Nord di Torino, noto fin

dalla fine degli anni ’60 per gli scioperi dei lavoratori negli stabilimenti della FIAT lì ubicati, ha visto

quattro interventi artistici ideati con la partecipazione della comunità locale.

Nell’esperienza della ricerca Methods, questo stesso ruolo è adottato dal collettivo francese Bureau des

Competences et Desirs nel 2004, come accennato nel capitolo sul ruolo dell’artista. Nel corso dibattito

tra Camille Videcoq (che con Marie Leduc rappresentava il collettivo Bureau) e Bert Theis, promotore

del progetto Isola Art Centre di Milano, si mette in evidenza come questa figura, quello del 186

curatore/artista come mediatore, “put the accent to the power. This is a problem that will remain and

we have to look how it works but create a new figure and institution.” Ed è questo che propone 187

l’intervento autogestito dagli artisti e organizzato “dal basso” di Isola Art Centre, così come

l’esperienza dei Calc, partecipanti anch’essi all’edizione del 2004. 188

Tuttavia, diverso da quello del mediatore è il ruolo attribuito all’artista dalla maggior parte dei

partecipanti all’edizione 2010, e nello specifico da AWT, LD, Mary Jane Jacob, snark, WochenKlausur,

Crispolti, Arte nel sociale. Milano: 1977, pp. 293.183

Coerentemente a numerose esperienze degli anni ’70, viene riconosciuta una profondità antropologica alle espressioni 184

popolari indigene dei centri extra-metropolitani della penisola.

Questa relazione viene riconosciuta anche in: Cecilia Guida, Spatial Practice. Funzione pubblica e politica delle arti nella 185

società delle reti, Milano: Franco Angeli, 2012, p. 123.

Il progetto di Isola Art Centre trova spazio nel testo di Cecilia Guida, Spatial Practices. Milano, 2007, pp. 124-126. 186

Trascrizione dei dibattiti avvenuti in occasione della prima edizione di Methods nel 2004. Materiale inedito, conservato 187

presso l’archivio Love Difference/Cittadellarte di Biella.

I partecipanti a Methods del 2004 vengono analizzati in: Filippo Fabbrica, Creare il proprio tempo. Arte per la 188

trasformazione sociale responsabile attraverso la ricerca di Michelangelo Pistoletto. Tesi inedita. Università di Pavia, 2007.���77

Page 78: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

così come la finalità della pratica e il modo in cui viene interpretato il significato di partecipazione.

Pare un’ovvia conseguenza che, in queste pratiche, si rifletta una diversa relazione con il committente.

Questa relazione nasce anche dalle mutate esigenze espresse dalla committenza stessa. A partire dalla

fine degli anni ’80 e non senza suscitare perplessità sugli esiti effettivi, il ruolo positivo attribuito

all’arte, all’arte pubblica e all’industria culturale nell’ambito della rigenerazione urbana, sia rispetto 189

alle strutture e alle infrastrutture (anche con interventi all’insegna del “decorativismo") che con finalità

di integrazione, fa crescere gli investimenti pubblici. Scrive infatti Ron Griffith in un saggio del 2001

citato dalla sociologa Chiara Tornaghi: “gli anni ’90 vedono una tendenziale convergenza delle

politiche urbane e delle politiche culturali, intorno all’idea che l’arte e la promozione di attività

culturali siano elementi importanti nel sostegno a tutte quelle operazioni di promozione delle comunità

locali, dell’inclusione, della coesione sociale, che vanno sotto il nome di rigenerazione urbana” , e 190

aggiungerei sia a livello di Unione Europea che a livello locale.

Prima di approfondire lo specifico di alcune pratiche presentate a Methods, ha valore presentare il caso

Britannico, perché, insieme al caso seppur diversissimo statunitense, rappresentano un punto di

riferimento nella dimensione internazionale del fenomeno artistico delle pratiche partecipative definite

Socially Engaged Art o Community-Based dagli anni ‘90. Soprattutto perchè il rapporto tra le politiche

governative britanniche, l’erogazione di fondi e le pratiche artistiche definite come Socially Engaged

Arts fa emergere una serie di questioni che non posso non essere tenute in considerazione quando si

discute la relazione tra committente e artista in queste stesse pratiche.

La ricerca della studiosa Sophie Hope, docente presso l’Università di Birkbeck (University of London)

e membro del consiglio direttivo di Deveron Arts, fornisce un’eccezionale chiave d’accesso al tema

delle committenze pubbliche nell’ambito di queste pratiche. Come sostiene la studiosa, l’indagine 191

storica (dal 1960/1, anno del Trade Union Congress’s Resolution 42 al 2006) a premessa del lavoro - il

cui obiettivo è di far emergere la dipendenza della direzione e della natura della ricerca artistica dai

fondi disponibili e dagli interessi politici che incarnano - consente di far emergere una serie di annose

e tutt’ora attuali questioni rispetto al ruolo svolto dalla committenza, l’Art Council e il Governo, nello

sviluppo delle pratiche.

Come ammette Walter Stangata, docente alla facoltà di Scienze Politiche di Torino e fondatore di LD, una definizione 189

univoca di Industria Culturale non esiste. Fu il governo britannico ad adottare per primo questa terminologia negli anni ’90. I settori che rientrano in questa definizione sono variabili, ma lo definiremo sulla base dell’approccio del WIPO (World Intellectual Property organisation), aggiungendo -seguendo quanto propone Santagata- “una variante che mette in primo piano il valore culturale delle industrie design based legate a un modello in cui la qualità, la tradizione e la cultura materiale svolgono un ruolo strategico”. Walter Santagata, a cura di. Libro bianco sulla creatività. Per un modello Italiano di sviluppo. Milano: Università Bocconi Editore, 2009, pp. 3-4. Tale definizione incarna una visione neoliberale della cultura e uno ruolo strumentale della stessa nell’implementazione della competitività.

Chiara Toraghi, si veda: http://www.nettuno.unimib.it/DATA/hot/469/Materiali%20laboratori%20on-line%202010_2011/190

TORNAGHI/1_politiche%20culturali%20e%20arte%20pubblica.pdf, consultato il 6 marzo 2015.

Si fa qui riferimento al ricco studio e alla bibliografia oggetto di studio dottorale di Charlotte Sophie Hope. Charlotte 191

Sophie Hope, Participating in the wrong way? Practice based research into cultural democracy and the commissioning of art to effect social change. Tesi di Dottorato non pubblicata. Birkbeck - University of London, 2011.

���78

Page 79: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

La questione del finanziamento alle “pratiche partecipative” (Community Arts), si accende alla fine

degli anni ’60, in conseguenza alla pressante richiesta da parte di artisti e progetti di Community Art di

accedere ai fondi dell’ Art Council, organo istituito nel 1945 e il cui fine era stato quello di

promuovere alti standard nell’arte e nella cultura, attraverso il finanziamento di artisti professionisti e

di organizzazioni artistiche istituzionalizzate. La Community Art nasceva invece dalla collaborazione

tra artisti militanti e la comunità locale in cui si trovavano, con lo scopo -da parte degli artisti- di

supportare attraverso operazioni artistiche la partecipazione democratica delle classi sociali con

minore accesso alla cultura e all’educazione. 192

Già negli anni ’70, l’Art Council decide -non senza contestazioni- di destinare fondi ai progetti di

Community Art. Registrando polemiche coeve, Sophie Hope evidenzia come i criteri di erogazione dei

fondi paressero modificare prassi e premesse politiche di questi stessi progetti: da un lato era 193

neutralizzata la carica simbolica e operativa dei progetti, poiché venivano ad essere sviluppati sotto la

protezione governativa; dall’altra, la natura stessa dei fondi spingeva gli artisti, spesso paracadutati in

determinati contesti, ad un diverso impegno -a breve termine- nella comunità. Gli studi che valutano

la ricaduta economica positiva di pratiche artistiche in collaborazione con una comunità, sviluppati

durante il governo conservatore della Thatcher, legittimano gli investimenti statali in questi progetti

negli anni ’80, legittimando l’erogazione dei fondi ma al tempo stesso sottoponendo i progetti artistici

a criteri valutativi non coerenti alle proprie finalità (la ricaduta economica, la creazione di nuovi posti

di lavoro). A tali aspetti si aggiunge, nel corso degli anni ’90 e con il nuovo governo, il riconoscimento

dell’impatto sociale ad essi attribuito (e la conseguente possibilità di risparmio da parte di enti pubblici

sui servizi sociali), grazie ad una serie di studi nell’ambito delle scienze sociali in testa ai quali il

dibattutissimo Use or Ornament? di Francois Matarasso. Nell’ultimo decennio, ulteriore importanza 194

è stata attribuita alla necessità di valutare e misurare l’effettivo impatto di queste pratiche in termini di

cambiamento sociale.

Questo rapido e riassuntivo excursus lascia non poche perplessità rispetto all’impatto che i

finanziamenti pubblici hanno avuto sullo sviluppo di certe pratiche artistiche, pur ovviamente

lasciando un certo margine di discrezionalità esercitato dalle organizzazioni che ricevevano i fondi.

Perplessità che negli anni ’80, si erano espresse temendo che l’accesso ai fondi sarebbe avvenuto

privilegiando artisti con spiccate doti manageriali, e, dagli anni ’90 (con il passaggio da un’economia

di produzione ad un’economia dei servizi), dovendo dimostrare di provvedere ad un impatto sociale,

In questo troviamo una coerenza tra la visione che sottende questi progetti, la visionarietà di Joseph Beuys e pratiche 192

contemporanee.

Hope, Participating in the wrong way?, pp. 13-37. 193

Sophie Hope cita i seguenti studi: Matarasso (1996), Lingayah, MacGillivray and Raynard (1996), Reeves (2002), Arts 194

Council England(2004), Holden (2004), Cowling (2004), ixia (2005), Prevista (2005) e Arts Council England (2006). ���79

Page 80: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

ricadute economiche e di posti di lavoro, rischiando di confondere gli aspetti economici e con gli

sociali della rigenerazione, valutati attraverso dati quantitativi. 195

Anche in questi casi, possiamo cogliere una correlazione tra chi detiene il potere politico ed

economico e i progetti artistici da essi finanziati. Con questo, non si vuole ridurre il valore artistico e

culturale di quanto prodotto sotto l’egida di fondi statali, ma -come sottolinea la studiosa stessa-

sottolineare come la consapevolezza di tali meccanismi sia fondamentale per la comprensione dei

progetti stessi e della loro reale ricaduta politica, nel più ampio contesto delle politiche nazionali.

Se la studiosa britannica dimostra una correlazione tra la direzione della ricerca artistica e la

distribuzione di fondi statali, questo stesso discorso trova una più difficile applicazione in Italia, dove

ancora oggi le politiche di investimento nelle istituzioni per la cultura continuano ad essere purtroppo

marginali rispetto al resto dell’Europa. Svolgono invece un ruolo importante in questo ambito le 196

Fondazioni bancarie o private, che spesso operano in collaborazione con gli enti locali sia per la

conservazione del patrimonio storico-artistico che per la promozione di progetti culturali ed educativi

con ricaduta nel sociale. Difficile è quindi per gli artisti, che si occupano di pratiche impegnate 197

nell’interesse pubblico, esprimere la propria voce senza essere assorbiti dagli interessi degli enti

finanziatori.

In questa prospettiva di indagine, di sovrapposizione di interessi politici ed economici che gravitano

intorno ad un opera d’arte o a un progetto artistico nello spazio pubblico, pur nella variegata realtà di

soggetti impiegati (privati [singoli o plurali], istituzioni culturali, enti pubblici), le attività presentate

da alcuni dei collettivi artistici che prendono parte all’edizione di Methods del 2010 presentano

modalità innovative di intrattenere il rapporto con i propri committenti. Riferendoci soprattutto ai

risultati di commissioni pubbliche o di istituzioni culturali italiane che richiedono interventi sul

territorio, essi dimostrano un’attitudine che ridisegna, non semplicemente capovolgendola, la

verticalità della relazione tra artista e istituzione committente. Riconoscendo la complessità degli 198

interessi e dei bisogni della collettività che vive un determinato territorio, e in modo complementare

alla vocazione e alle risorse dello stesso, presentano modalità operative che mettono a confronto e

integrano interessi politici ed economici espressi dagli istituzioni e dagli enti committenti le

potenzialità inespresse e i nodi aggreganti (cioè gli aspetti che emergono come condivisi) di un

contesto, inteso come ambiente territoriale e sociale.

Ibid., p. 209195

Dati Federcultura: Si veda: Roberto Grossi, a cura di. La cultura serve al presente. Creatività e conoscenze per il 196

benessere sociale e per il futuro. Roma: Etas, 2011, pp. 221-228.

Non stupisce quindi che uno degli inserti de Il Giornale dell’Arte sia Il Giornale delle Fondazioni. 197

Forse dimostrando anche la debolezza e l’inadeguatezza di talune istituzioni pubbliche. 198

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Page 81: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

In altre parole, operano con la consapevolezza degli interessi politici, economici e sociali che entrano

in gioco nella sfera pubblica, e tale consapevolezza diventa uno degli elementi che considerano nel

proprio intervento e che caratterizza il proprio approccio agli stessi. Come per i temi affrontati nei 199

capitoli precedenti, anche nella dinamica in oggetto a questo capitolo, la lettura del contesto è lo

strumento fondamentale attraverso cui viene riequilibrata e ridisegnata la relazione tra committente,

fruitore, contesto, opera stessa ed artista. Riprendiamo ora alcuni esempi d’interventi presentati nei 200

capitoli precedenti e analizziamoli alla luce di questo tema. Di particolare rilevanza, a mio avviso,

sono gli esempi di WochenKlausur (seppur in un contesto differente da quello italiano), snark - space

making e artway of thinking.

Dal 1992, l’attività di WochenKlausur si svolge su commissioni d’istituzioni artistiche. Come visto

precedentemente, questa formazione interrogativa, a fronte di una ricerca indipendente sul contesto,

stabilisce il suo ambito d’azione e l’intervento mirato e concreto da realizzarsi nella cornice temporale

stabilita dall’istituzione. L’istituzione raramente propone il tema su cui gli artisti sono chiamati a

confrontarsi, lasciando loro libertà d’azione. Le loro proposte operative con il fine ultimo di apportare

non tanto un utopico cambiamento nella società, ma una risoluzione creativa e di piccola scala ad un

problema concreto (la mancanza di assistenza medica per senza tetto, l’assenza di un centro ricreativo

per anziani, la mancanza di verdura fresca e di impiego femminile). Queste proposte sono attuate

scavalcando processi burocratici inveterati (ad esempio, per accelerare decisioni politiche e erogazioni

di fondi) e restii all’innovazione (come le amministrazioni pubbliche, cui spetterebbe il far fronte a

queste operazioni), grazie alla possibilità che il sistema dell’arte (lavorano infatti all’interno di

programma ideato da un’istituzione museale) offre in termini di visibilità mediatica, in qualità di

facilitatore nel dialogo con gli enti e le istituzioni pubbliche e i privati (per la richiesta di permessi, o

per la creazione di sinergie) e per il valore simbolico e politico che le operazioni artistiche

acquisiscono quando operano nello spazio pubblico. Non si può negare che questa ambivalenza non 201

sia stata problematica. Polemiche dalla comunità locale sono state sollevate a Leeds, perché ancora

sussistono delle perplessità da parte del pubblico generico nel definire “artistica” la loro pratica.

Sia chiaro: con questa affermazione non si vuole affermare che questi siano gli unici progetti che operano con questa 199

consapevolezza e in questa prospettiva, ma di chiarire quella che a mio avviso è la posizione dei collettivi oggetto di questa analisi.

L’importanza della lettura del contesto è sostenuta dalle pratiche di a.titolo. In una serie di incontri tenutisi a Cittadellarte 200

(Biella), in occasione del progetto Artmob nel 2012, Lisa Parola aveva sottolineato l’importanza dell’analisi e comprensione del contesto come fondamentale premessa alle azioni artistiche nello spazio pubblico.

Raccontano loro stessi che la ragione per cui i fondi a sostegno della realizzazione del loro primo progetto (Intervention to 201

provide Healthcare for Homeless People, 1992) vennero stanziati fu il timore di una recensione negativa da parte della più nota testata tedesca, Der Spiegel, con cui gli artisti erano in contatto: “ The decisive turn of events came thanks to the support of a correspondent from the magazine Der Siegel […] Believing that Der Spiegel would otherwise report unfavourably, the city councillor decided to cover the expenses for the doctor from her budget.” http://www.wochenklausur.at, consultato il 16 febbraio 2015.

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Page 82: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

WochenKlausur lavora tra l’intersezione tra il sistema dell’arte e le dinamiche dello spazio pubblico. In

questa pratica il ruolo del committente è di offrire una protezione, un sistema operativo e un sostegno

economico con cui dare il via alle operazioni. La questione dell’inventio, come idea prima del progetto

resta invece nelle mani degli artisti-analisti del contesto, che scavalcano quindi gli ostacoli -anche

burocratici- tra il pensare e il realizzare, tra l’ideazione e l’azione nel concreto.

Snark - space making opera invece su commissione di enti pubblici, e al di fuori dagli spazi riservati

all’arte. Marco Lampugnani, nel suo intervento, racconta della premessa al progetto di

CHAIRSHARING. Il progetto ha uno sviluppo software (una piattaforma su cui mappare gli

spostamenti di sedie in dotazione pubblica) e hardware (le sedie stesse). La componente tangibile del

progetto consiste in un servizio di panchine pubbliche mobili, che le persone possono prendere in

prestito e muovere liberamente nello spazio pubblico. Si è accompagnato all’installazione di un

servizio wifi gratuito. Il progetto nasce dalle considerazioni sul fatto che in Italia le panchine tendono

ad essere rimosse dallo spazio pubblico, per eliminare le presenze indesiderate degli individui che ne

fanno uso. Si basa inoltre sulla considerazione delle panchine stesse come spazio di negoziazione nello

spazio pubblico, modellato dalle autorità pubbliche attraverso regolamentazioni. Il progetto nasce da 202

una commissione del comune di Modena che richiedeva il rinnovamento dell’arredo urbano del

quartiere. Dall’analisi del contesto, non soltanto si è riconosciuta l’assenza di una necessità di ulteriori

suppellettili di arredamento urbano, ma è emersa la questione del mancato uso da parte della comunità

locale degli spazi pubblici: le persone attraversano lo spazio, ma non si fermano perché in questo

spazio non si riconoscono. Di qui l’idea di proporre un progetto che invitasse alla sosta e all’utilizzo

dello spazio della città. Sempre in occasione di Methods, Lampugnani presenta un progetto di

formazione per piccole amministrazioni pubbliche, da poco -nel 2010- commissionato a snark per

migliorare l’efficacia dei processi per il pubblico. Questo progetto testimonia come la pratica di

questo collettivo sia stata assunta come best-practice al punto da essere adottata e invitata dalle

amministrazioni per implementare i servizi offerti al cittadino.

La più recente pratica di snark trova assonanze con il più complesso e articolato modus operandi di

AWT. Il collettivo si è confrontato con progetti a lungo termine, spesso affrontando tematiche sociali

impegnate ed impegnative, come negli oltre vent’anni di attività sviluppata a partire sia da

Sul ruolo svolto dalle autorità pubbliche nell’influenzare le forme e l’utenza dello spazio pubblico, si veda l’intervento di 202

Lisa Parola del collettivo curatoriale a.titolo alle giornata di studio Arte e Pubblico (19 Novembre 2011) “Lo spazio della collettività è stato ricondotto entro la giurisdizione emergenziale della Protezione Civile. Omologato, il più delle volte, dal principio di sicurezza pubblica e del decoro urbano, lo spazio pubblico è ora più che mai uno spazio definito e ordinato in negativo, per dissuasioni e divieti. Spesso ripensato e calibrato su un’immagine fittizia di una monocittadinanza armoniosa, la cui convivenza pacifica è attuabile solo a forza di esclusioni; uno spazio controllato dunque ma immobile e opaco.” http://www.mufoco.org/arte-e-pubblico/, consultato il 17 febbraio 2015.

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commissioni di istituzioni pubbliche (amministrazioni locali, e istituzioni culturali) che da aziende

private. In entrambe le tipologie di committenza, il collettivo si è trovato ad agire come agente

autonomo capace di scardinare gerarchie e ruoli inveterati, operando nel perseguimento di un “bene

comune”. Come ribadito in più occasioni, il punto di partenza delle loro operazioni è l’osservazione

sistemica del contesto in cui sono chiamate ad operare, sia questo un’azienda che opera nel design

(LAGO s.p.a, presente con Stefano Schiavo all’edizione di Methods 2010, o una città come nel caso

del progetto realizzato a Schio, Mestre, o a Montevarchi, o di un territorio veneto Colli Berici). E’

attraverso i risultati emersi da questa analisi del sistema che le artiste operano, considerando in

maniera integrata tutti le questioni emerse nell’analisi dei portatori di interesse, tra cui i committenti

stessi. In questo processo di osservazione, dalla cui sintesi emergono le potenzialità dormienti (ovvero

presenti, ma non esplicitate; oppure esplicitate da vari soggetti che però non sono mai entrati in

dialogo), il collettivo proietta l’oggetto specifico della committenza (il miglioramento di un servizio, la

valorizzazione di un territorio, l’implementazione della produzione) nella più complessa rete di

interessi, sogni, visioni, bisogni, aspettative e delle risorse territoriali (in senso geomorfologico,

architettonico, urbanistico) del contesto in cui andranno ad operare. Ed è in questo senso che AWT

parlano di “bene comune”, come finalità trainante del loro operare, ed è sulla base di queste premesse

che si attua la “negoziazione” con il committente, come vero e proprio momento di co-creazione.

Come tutti gli aspetti della metodologia di co-creazione, anche il modo particolare utilizzato da AWT

di concepire la questione nodale della filosofia politica da Platone in poi, il “bene comune”, parte dalla

constatazione empirica di assunti di partenza. Non a caso, infatti, nel corso del workshop Methods,

un’intera giornata è stata dedicata alla riflessione, ulteriore, su questo tema. Come racconta Stefania

Mantovani, inizialmente il concetto di “Bene Comune” assunto abbracciava la prospettiva dei filosofi

contrattualisti, ovvero lo consideravano raggiungibile come una costruzione volontaria da parte di una

comunità, nella convinzione che nella dimensione collettiva l’individuo fosse capace di superare i

limiti della sua stessa natura, qualora egoistica. Più recentemente, è stato ridefinito come sintesi

complessa degli interessi di un contesto territoriale, che si riflette nella coordinazione di processi

creativi armonici. In questo modo, e tornando al tema di questo oggetto di questo capitolo, la pratica di

AWT instaura una nuova relazione con il committente, nell’interesse del contesto di azione. Gli

interventi non sono espressione di un ente rappresentante la maggioranza (o la dirigenza, in ambito

privato), ma il risultato di un processo che trascende la verticalità delle gerarchie e tende

all’orizzontalità democratica delle decisioni; non solo sul piano delle decisioni, ma anche sul piano

delle risorse.

I progetti sono, infatti, realizzati a partire da un budget stanziato dalla committenza, ma la forza dei

progetti realizzati sta nel mettere in moto risorse altre. I progetti diventano, come accennato,

effettivamente partecipati attraverso la messa in comune di conoscenze e competenze, tempo,

patrimoni relazionali, materiali di produzione e risorse finanziarie, da parte di portatori di interesse.

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Questa operazione è prevista dalla metodologia di co-creazione stessa, come una degli elementi

(quello delle risorse in senso lato, oltre che finanziarie ed economiche) imprescindibili dal processo e

con finalità di auto-sostenibilità dell’azione, qualità sostanziale una volta terminata l’erogazione di

fondi iniziale da parte dell’ente committente. Come nota Stefania Mantovani: “Non è affatto scontato

che il territorio (o l’istituzione committente) si prenda carico della prosecuzione o cura del “nuovo”

offerto dall’artista o dal processo creativo collettivo, ma è il risultato dell’integrazione del nuovo nel

contesto (metabolizzazione). E porta un esempio “la nascita della cooperativa sociale PASS-PORT che

oggi gestisce il passaggio di 300.000 lavoratori marittimi l’anno a Venezia è stata parte integrante della

progettazione: è stata un’istanza potenziale emersa nella fase di osservazione che il gruppo (artisti)

hanno sviluppato nel tempo di presenza per poi lasciar ad essa “il testimone” per proseguire la corsa”.

AWT, LD e alcuni collettivi partecipanti a Methods condividono un approccio che scardina i ruoli e le

prerogative della committenza in senso tradizionale, proponendo nuovi modi operativi.

Riconfigurando la verticalità della tradizionale concezione di committenza, AWT propone, con la

realizzazione dei suoi progetti, una critica forte al modus operandi delle istituzioni pubbliche,

chiamandole in causa per la revisione del proprio asse di intervento, e offrendo innovativi strumenti

che possano contribuire a un maggior grado di rappresentatività della comunità locale, sostenibilità e

integrazioni degli interventi rispetto alla realtà territoriale.

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Page 85: Crossing Pathways. Methods all'Intersezione tra Arte e Cambiamento Sociale

CONCLUSIONI

Crossing Pathways ha sintetizzato e riletto visioni, contenuti e pratiche presentate in Methods -

Processes of Change, International Residential Workshop a Cittadellarte-Fondazione Pistoletto

(Biella, 20-24 Maggio 2010) in relazione ai precedenti storico-artistici e alle pratiche artistiche

contemporanee. Ha inoltre contestualizzato le premesse teoriche di artway of thinking e Love

Difference, sulla base delle quali è stato concepito e organizzato il workshop nel più ampio ed

articolato dibattito relativo alla natura, al ruolo e alla validità di pratiche artistiche finalizzate al

cambiamento sociale.

Il primo e il secondo capitolo hanno riscontrato e dimostrato l’esistenza di consonanze tra l’approccio

adottato in Methods (riflesso della cornice teorica e operativa degli organizzatori), e le istanze di

ricerca dell’avanguardia artistica storica (in particolare con Wassily Kandinsky), di alcune delle

ricerche cinetiche e ottiche della fine degli anni ’50, delle sperimentazioni in ambito performativo di

Michelangelo Pistoletto e Allan Kaprow, delle utopie e i progetti di Joseph Beuys, dell’“Arte nel

Sociale” come teorizzata da Enrico Crispolti negli anni ’70, e delle pratiche dialogiche e relazionali

degli anni ‘90. In questi episodi eterogenei nell’ambito della sperimentazione artistica, è stata

individuata una direzione di ricerca comune secondo cui la relazione tra fruitore, opera d’arte (sia essa

un quadro astratto, un oggetto cinetico, una performance, un workshop esperienziale) e artista diventa

una possibilità di apprendimento e crescita, un momento di acquisizione di consapevolezza della

propria identità personale, sociale e civica, ma non solo. In questa relazione, emergono possibilità per

il fruitore di partecipazione nell’ideazione dell’opera d’arte e dei suoi contenuti culturali, e di azione

nella sfera pubblica. La posizione e la pratica di AWT e LD su questi temi sono radicali: non ha più

senso parlare di fruitore, ma di portatori di interesse che decidono di partecipare a un’esperienza di

creazione condivisa che è soprattutto intervento nello spazio pubblico di cui essi stessi sono fruitori e

in cui vivono. Così facendo, AWT e LD riconfigurano il ruolo dell’artista, che diviene quello di offrire

un’esperienza di creazione, in sé stessa formativa, e di fornire una “struttura operativa” in cui venga

facilitata l’espressione del sé, delle proprie esigenze nel contesto, per la realizzazione in maniera

collaborativa e partecipata di un intervento.

Il terzo capitolo delinea inoltre le ragioni e le specificità dell’approccio multidisciplinare proposto in

Methods, e come questo sia un aspetto caratterizzante dei progetti di AWT e LD, ed espressione nella

prassi della responsabilità dell’artista rispetto al suo operare nella società.

Il quarto e quinto capitolo guardano essenzialmente al modus operandi di AWT e di altri collettivi

(WochenKalusur, snark, Publink, Deveron Arts), focalizzandosi sulle ragioni che hanno spinto

all’adozione di una metodologia operativa (per AWT, il diagramma di co-creazione) e alle sue

caratteristiche e facendo delle valutazioni sui tempi delle pratiche che operano nella società per il

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cambiamento sociale. Dallo studio condotto nel corso di questa ricerca, emerge la fondamentale

importanza che, in queste pratiche, ha l’analisi preliminare all’azione e realizzazione dei progetti, sulla

base della quale si spiegano le scelte operative di breve e lungo periodo e si valutano i tempi necessari

per il raggiungimento degli obiettivi.

Infine, il sesto capitolo dimostra come visioni, approcci e prassi presentate a Methods possano fornire

strumenti validi ed efficaci per le amministrazioni locali che hanno come finalità la realizzazione di

progetti integrati e sostenibili, svolgendo al tempo stesso un ruolo scardinante rispetto alle inveterate

dinamiche amministrative e operative in ambito pubblico.

Scegliendo operazioni che hanno sollevato nodi critici affini a quelli emersi esplicitamente o

implicitamente in Methods - Processes of Change, Crossing Pathways ha dimostrato come le visioni di

AWT e LD portate al workshop si inseriscano in quella che abbiamo delineato come direzione di

ricerca di alcuni artisti e critici a partire almeno dall’inizio del secolo scorso. Non solo: si è voluta far

emergere la specificità dell’approccio adottato nell’affrontare nodi critici dell’intersezione tra arte e

società. Nella pratica degli organizzatori del workshop, ma anche di alcuni dei partecipanti, è presente

una riflessione critica sul proprio ruolo e sulle implicazioni del proprio agire nello spazio pubblico,

con la consapevolezza delle possibilità e dei limiti dello stesso. Questo atteggiamento autocritico e

consapevole si accompagna a una continua sperimentazione e implementazione delle proprie pratiche,

che si avvale delle esperienze precedenti nella direzione dell’innovazione, non fine a se stessa ma utile

l’elaborazione di processi che sappiano esprimere più a fondo la complessa identità di un territorio e

delle sue varie componenti, e che risultino in interventi sostenibili ed integrati nel contesto in cui sono

chiamati a operare.

La domanda che più di frequente viene posta rispetto a lavori come quello di AWT è: perché questa è

arte?

Al termine di questa ricerca, che pur si è avvalsa di una metodologia storico-artistica, la risposta non è

soltanto da rintracciare nella tradizione che precede questi progetti e con cui condividono istanze di

ricerca. Per AWT e LD, essa trova espressione nelle giornate di Methods - processes of change,

nell’esperienza dinamica e eterogenea offerta ai partecipanti come momento di crescita personale e di

confronto professionale. La risposta giace in un aspetto che qualifica fortemente le loro pratiche: il

modus operandi, riflesso e sintetizzato nella metodologia di lavoro (la metodologia di co-creazione,

per artway), ovvero il modo in cui vengono gestiti, ideati, progettati e integrati gli interventi nel

contesto territoriale, sociale, culturale e politico-economico dei progetti. Questo modo di operare

persegue un’armonia, una sintesi equilibrata, sistemica, delle molteplici componenti che caratterizzano

un intervento nello spazio pubblico, che è in essa stessa una tensione verso la bellezza. Nella

dimensione operativa, la responsabilità verso il proprio lavoro, l’etica nell’operazione in uno spazio

collettivo e la sintesi armonica delle complessità di un contesto fanno dei progetti di AWT

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un’espressione artistica radicale, che trascende le istituzioni e il sistema deputato all’arte, e diventa

strumento per intervenire, anche criticamente, nello status quo al fine di realizzare un cambiamento

già esistente in potenza.

Questa è arte, se fai in modo che lo sia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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APPENDICE

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9:00 20 Welcoming40 Introduction to the workshop "Methods"

10:00 Michelangelo Pistoletto, Cittadellarte 90 Path towards the Third Paradise.

11:30 20 Emilio Fantin, artist5 Comune a tutti è sognare.

12:00 20 Daniela Uslenghi, Hoffman InstituteHoffman Quadrinity Process.

12:20 10 Question time12.30 60 Daniela Uslenghi, Hoffman Institute

Inner dialogue. Experience to connect with the four inner functions: emotional, intellectual, physical, spiritual ones.

13:30

15:00 20 Max Rapkin, osteopathA postural methodology.

15:30 30 Max Rapkin, osteopathThe language of the body. Muscle test.

16:00 15 Question time15

16:30 20 Eliana Brizio, NoosomaGrindberg method

17:00 30 Cristina Medina, @tendanceMapping: fleeting encounters between the participants. Dance and movement experience.

17:30 15 Question time17:45 60 Focus Groups

The natural and spontaneous aspect of transformation. The individual.

19:00Eliana Brizio, Learning from your physical symptoms. Foot analysis and touch session.Emilio Fantin, Comune a tutti è sognare. Dream telling: an experience of collecting syncronic dreams. First session atelier.Rosanna d'Ambrosio, Put your hands in the dough: bread making with “pasta madre”, the original technique of leavening and much more.

20:30Rosanna d'Ambrosio and the Cafeteria staff

dinner SUD, SUD, SUD!

METHODS - PROCESSES OF CHANGETHURSDAY, 20TH OF MAY 2010

break

lunch

break

additional off time activities to be booked on the notice board

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MICHELANGELO PISTOLETTO

Michelangelo Pistoletto presenta il suo concetto di Terzo Paradiso.

Come descritto nel suo testo “Terzo Paradiso” (Marsilio, 2010), l’artista presenta il Terzo Paradiso come il terzo stadio della storia dell’umanità, ed è rappresentato dal simbolo omonimo, che consiste

nel segno dell’infinito a cui si è aggiunta una terza “pancia” tra le precedenti. Per Pistoletto, il primo stadio della storia dell’umanità è il paradiso naturale, nel quale l’uomo viveva integrato con la natura. Nel secondo, il paradiso artificiale, è stato invece totalmente dominato da sistemi artificiali da lui stesso creati.

Pistoletto crede che l’umanità abbia oggi raggiunto il limite delle possibilità offerte da questo seconda fase, e che sia arrivato il momento di utilizzare le tecnologie e la scienza per sorpassare questi limiti ed entrare in un momento della storia, che lui definisce appunto Terzo Paradiso e che ha come obiettivo la conservazione della vita. Per Pistoletto, oggi la preservazione della vita è avanguardia. Per realizzare il Terzo Paradiso, Pistoletto sostiene l’esigenza di trovare nuove metodologie (non una singola metodologia universalmente valida), ma anche nuove modalità per elaborarle. Per questa ragione considera fondamentale l’organizzazione di Methods - Processes of Change di cui sostiene gli obiettivi.

Link: https://vimeo.com/95375119

Dove inizia la trasformazione?

DANIELA USLENGHI (Hofmann Institute)

Daniela Uslenghi, psicologa, presenta il Metodo Hoffman.

La finalità di questa metodologia è quella di consentire a ciascun individuo di vivere pienamente la propria realtà. Pur rivolgendosi a singoli partecipanti, essa si avvale di processi sociali, relazionali. Uslenghi spiega come il processo trasformativo previsto da questa metodologia si articola in quattro fasi: auto-consapevolezza, espressione, perdono e nuovo comportamento. Chiave del successo di questo percorso sono la creatività e l’intuizione del singolo, e la capacità di un distacco emozionale dai nostri comportamenti precedenti. La metodologia Hoffman si fonda sul riconoscimento delle quattro componenti integrate del sé: la parte razionale, la componente emozionale, il corpo e la componenti spirituale (“ciò che si è al di là di ogni cosa”). Essa mira a create una sinergia interna tra queste quattro parti, con la finalità di aiutare gli individui a vivere una vita più armoniosa.

LINK all’esercizio proposto: https://vimeo.com/95956928 LINK alla presentazione: https://vimeo.com/95498200, e successivi

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CHRISTINA MEDINA (@tendance/C.Medina)

Christina è una ballerina e coreografa canadese/austriaca la cui pratica si sostanzia di ispirazioni molto diverse: la sensualità filippina, gli sconfinati paesaggi canadesi, e approccio europeo alla velocità, all’intimità delle relazioni spaziali. Nelle sue performance e coreografie, esplora la capacità del corpo di articolare concetti e idee attraverso il linguaggio del movimento. A Methods, Christina presenta delle esperienze per i partecipanti.

LINK dell’esperienza performativa proposta: https://www.youtube.com/watch?t=13&v=zHBkzYd8Rsw

MAX RAPKIN (Chiropratico)

Max spiega la sua metodologia posturale: Somatexting

“Somatext(ing)” considera il corpo come un testo. È un modo di far parlare il corpo affinché possa riequilibrarsi. È una tecnica di lettura e scrittura: il corpo chiede di essere letto come un testo da un occhio esperto che riesca a visualizzare i codici errati. Una volta compreso il testo somatico, si può iniziare a “riscrivere” la nostra postura e a riequilibrare il corpo per andare verso un modo più vero di vivere il lato posturale di noi stessi, quello che più di altre parti sostiene e ci permette di affrontare le novità della nostra vita.” Con questa metodologia, Max Rapkin si propone di aiutare persone afflitte da dolori cronici causati da problemi motori, che però hanno origine dalla assimilazione di una postura scorretta a conseguenza di un stress (fisico e soprattutto mentale) accusato per un lungo periodo. La diagnosi avviene attraverso l’analisi dei movimenti dei pazienti. Leggendo le relazioni dinamiche tra i muscoli e le articolazioni in un determinato momento, Ranking ha l’opportunità di decifrare un sistema codificato che è intrinseco alla strategia di sopravvivenza del corpo, ed intervenire sullo stesso.

LINK all’esercizio proposto: https://www.youtube.com/watch?v=vwW5gWUGBs0 LINK della presentazione: https://vimeo.com/96572054, e successivi

ELIANA BRIZIO (Noosoma)

Eliana Brizio presenta Grinberg® Method (www.grinbergmethod.com), dal nome del suo ideatore.

Questa metodologia si basa sull’idea che gli individui non abbiano un corpo, ma siano un corpo, ed è attraverso il corpo che possa avvenire un cambiamento personale. Il Grinberg® Method consiste nel far acquisire ai partecipanti la consapevolezza dei propri comportamenti negativi, ovvero di quelli che non consentono loro di dimostrare e sviluppare pienamente il loro potenziale. Lo strumento principale di questa metodologia è l’attenzione, sia in qualità di strumento che di finalità. Maggiore è la capacità di un individuo di rivolgere attenzione a sé stesso e al suo corpo, più profonda sarà la sua capacità di cambiare. Altri strumenti utilizzati in questa pratica sono: l’analisi plantare, attraverso cui è possibile comprendere in che modo una persona affronta la vita; la conversazione; il tatto, che ha il compito di rafforzare e condurre l’attenzione delle persone verso una o più aree del corpo; le istruzioni verbali, con le quali il praticante guida l’esperienza del paziente. Questo metodo è stato utilizzato con successo nell’ambito del recupero da traumi, per consentire al corpo un recupero più rapido e profondo.

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8:30 Emilio Fantin, artistComune a tutti è sognare. Dream telling: an experience of collecting syncronic dreams. Second session atelier.

9:00 Marco de Barba and Nicola Marcon, CaccaduraWild serigraphy happening. All day long.One to one meetings to be indicated on the notice board

9:30 20 Introduction to the works of the day10:00 20 Anne Bramford, Engine Room, University of the Arts London Skype

5 Workshop for young people on high art and cultural education.10:30 20 Fabio Pettirino, anthropology researcher

5 Maieutics culture.11:00 20 Chris Naylor, Camden Town and Primrose Hill-Homes and Housing Strategy

Make like you feel.11:30 15 Question time

1512:00 20 Mary Jane Jacob, The Art Institute of Chicago, Bauhaus University Weimar

10 Awake: art, Buddhism and dimension of consciousness.12.30 20 Luigi Zanzi, University of Pavia

The methodology of historical science.13.00 20 Question time

13:30

15:00 20 Claudia Eipeldauer, WochenklausurOur method: using small-scale actions. Certain human living conditions do not necessarily have to be the way they are.

15:20 20 Aliaa El Gready, Gudran for art and developmentThe empathic approach: respect and support. Art as a way for social transformation.

15:40 10 Question time15:50 20 Alessio Sciurpa and Michelle Nebiolo, wwambient

10 Environmental media.16:20 20 Daniel Urrea, Medellin Digital Skype

Open school: technology for the people.16:40 10 Question time

1517:05 60 Focus Groups

The natural and spontaneous aspect of transformation. Social systems.18:00 15 Cristina Medina, @tendance

5 Mapping: fleeting encounters between the participants. Dance and movement experience.

15 Max Rapkin, osteopathThe language of the body. Muscle test. Check.

19:00Eliana Brizio, Learning from your physical symptoms. Foot analysis and touch session.Rosanna d'Ambrosio, Poor cooking from Southern Italy and Tuscany. Hand made pasta for "ciceri e tria".

20:30Rosanna d'Ambrosio and the Cafeteria staff

additional off time activities to be booked on the notice board

dinner Mani in pasta!

METHODS - PROCESSES OF CHANGEFRIDAY, 21ST OF MAY 2010

break

lunch

break

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PARADIGMA DEL CO-

ANNE BRAMFORD (Engine Room, University of the Arts London)

Anne Bramford, direttrice dell’Engine Room presso l’University of the Arts di Londra, si occupa di art education, competenze emergenti e comunicazione visiva.

Seguendo un lungo studio sui trend globali per UNESCO (e la successiva UNESCO Road Map nel 2005-2006), Bramford nota come siano emersi due distinti aspetti relativi alla qualità delle pratiche partecipative: 1. il concetto di partecipazione, accompagnato da un trend globale che cerca di incoraggiare l’accesso ad alti livelli di cultura; 2. la dimensione di rilevanza dell’esperienza (ci sono infatti molte persone che partecipano in un’esperienza culturale, ma l’impatto della stessa è molto bassa). Dopo cinque anni dalla stesura del documento UNESCO, Bramford lancia una serie di provocazioni: come possiamo valutare l’impatto di questo studio? Cosa significa partecipazione ora che le definizioni di arte e cultura sono diventate più ampie? Come si può massimizzare l’accessibilità all’interno delle arti stesse? Quel’è il ruolo del pubblico nelle decisioni relative al fare arte? Come possiamo definire e monitorare efficacemente la qualità? Qual’è la linea tra rilevanza e utilitarismo?

FABIO PETTIRINO (antropologo)

Fabio Pettirino, antropologo sociale, introduce l’uso della metodologia etnografica quale strumento per cambiare il ruolo del museo del territorio.

Nella sua presentazione Pettirino descrive la peculiarità degli studi antropologici e del ruolo dell’antropologo. Egli pone l’accento sulla specificità della metodologia di ricerca di questa disciplina, che si basa su osservazione e descrizione di individui e sistemi sociali. Quest’ultima -la descrizione- svolge un ruolo fondamentale. Per spiegare come questi strumenti possano produrre cambiamento nella società, Pettirino presenta Intrecci, un progetto sviluppato nell’ambito del Museo del Territorio Biellese. Tale progetto si poggiava sull’assunto che “la familiarità produce indifferenza”, e aveva lo scopo di investigare le identità culturali al di là degli stereotipi nazionali.Attraverso questo progetto, Pettirino riporta come il museo abbia creato uno spazio per il dialogo interculturale, e una differente e inedita relazione con gli spazi del museo.

Link alla presentazione: https://vimeo.com/100439214, e successivi

CHIRS NAYLOR (City University - CandemTown - Primrose Hill)

Chris Naylor ha lavorato tra i campi dell’arte, dell’inclusione, dell’economia e della politica. Tra i suoi progetti: il teatro Almeida, un nuovo programma per la casa degli artisti a Charleston, e dirige un dipartimento del governo locale che offre ospitalità a 50000 persone.

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Nella sua presentazione, Naylor porta l’esempio del workshop svolto con lo staff del Louisiana Art Museum del 2005, e sviluppato nell’ambito di Engage, un’organizzazione professionale che promuove l’accesso ed educazione nelle arti visive, a seguito di una forte crescita degli occupati in azienda.Gli obiettivi su cui questo progetto ha lavorato erano stati: la costruzione di una base comune di comprensione, la dimostrazione dell’attenzione per i suoi dipendenti da parte dell’azienda stessa, e la creazione di uno spazio di decompressione per i gruppi maggiormente sotto pressione. È stato quindi sviluppato un’attività tra i membri dello staff per discutere progressi e direzioni di crescita in ambito lavorativo. Dopo cinque minuti iniziali di introduzione al laboratorio, hanno trascorso mezz’ora realizzando semplici sculture di carta su come sentono il proprio posto e ruolo all’interno dell’organizzazione. Successivamente, si è avviata una discussione di circa un’ora. I risultati ottenuti furono molto positivi: i membri dello staff si sentirono rivalutati, rienergizzati, dimostrando una maggior apertura e comprensione reciproca.

LINK della presentazione: https://vimeo.com/105033652, e successivi

MARY JANE JACOB (School of the Art Institute of Chicago)

Mary Mary Jane Jacob, direttrice della School of the Art institute di Chicago, è dal 1990 ha spostato il suo luogo di lavoro allo spazio pubblico, confrontandosi con il dibattito relativo alla sfera pubblica e organizzando programmi community-based, “Places with a Past” a Charleston, “Culture in Action” a Chicago, and “Conversations at The Castle” ad Atlanta. Parallelamente ha portato insieme vari professionisti a riflettere sui lavori dei creativi e sull’apertura mentale. Nell’ambito di Methods, la studiosa america ha presentato il progetto“Awake: Art, Buddhism & the Dimensions of Consciousness”, realizzato in collaborazione con Jacquelynn Baas. Il progetto è stato autogenerato da parte un piccolo gruppo di professionisti nell’ambito dell’arte, fino a coinvolgere un consorzio di 50 curatori, educatori, e direttori di musei statunitensi uniti con artisti e esperti di altri

settori durante occasioni specifiche. Questi professionisti si erano riuniti per varie ragioni: 1) credevano che i musei statunitensi avessero smesso di offrire esperienze soddisfacenti e potenzialmente trasformative per visitatori, ma soprattutto intrattenimento con fini commerciali; 2) erano a conoscenza del fatto che la filosofia asiatica e le sue pratiche hanno lungamente influenzato artisti americani, ma l’impatto di queste pratiche non era stato completamente apprezzato; 3) Avevano intuito che l’investigazione del nesso tra arte e buddismo avrebbe potuto avere un effetto positivo sulle pratiche museali e migliorare il potere dell’esperienza dell’arte sugli individui e sulla sfera sociale

più ampia.Il progetto si è sviluppato attraverso una serie di incontri del gruppo di portatori di interesse. Tali incontri si sono svolti per tre giorni ogni tre mesi, su un periodo due anni, con lo scopo di investigare cosa condividono la mente nella meditazione, la mente nella creazione e quella della ricreazione (chi vive l’esperienza estetica), e l’obiettivo di avere un impatto nella pratica museali e sui visitatori, in

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modo tale che possano portare la propria esperienza nel museo nel mondo di tutti i giorni. I risultati ottenuti sono stati: il libro Buddha Mind in Contemporary Art, Ogni istituzione ha presentato un programma ad hoc sul tema; progetti artistici hanno guadagnato valore nella condivisione.Nella sua presentazione, la studiosa aveva individuato la debolezza del progetto nell’Impossibilità di rintracciare gli effetti, né poter ritenere oggettivo l’intero processo.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/100443531, e successivi

ALESSANDRO SCIURPA (wwambient)

Alessandro Sciurpa presenta la metodologia dell’Environmental Media e il progetto eart threepointzero.

L’idea del progetto nasce dalla presa di consapevolezza della crescente importanza che hanno i temi ambientali e dell’esistente confusione nel campo della comunicazione sugli stessi. Il concept del progetto eart (Environment, Art, Research and Technology) threepointzero viene sviluppato e lanciato nel maggio del 2009, a partire da un’attività laboratoriale che ha avuto l’obiettivo di progettare un medium di comunicazione sui temi dell’ambiente a basso impatto e che possa migliorare le risorse esistenti nel campo delle pubblicazioni digitali e della rete, espandendole, applicandole in modi inediti e aggiungendone di nuovi. Il progetto ha ottenuto notevoli risultati: 2,376 download nei primi cinque giorni, 5590 download nei primi tre mesi, 27 download di media al giorno. eart threepointzero vuole essere un contenitore culturale, un incentivo per disseminare idee, rendendo contributi editoriali disponibili per tutti, facilmente e liberamente.

Link alla presentazione: https://vimeo.com/98649139, e successivi

DANIEL URREA(Medellín Digital [ City of Medellín Programme])

Daniel Urrea presenta il progetto Open School: technology for the people.

Daniel Urrea racconta della realtà politica e sociale della città colombiana di Medellin, di come sia un contesto segnato da profonda violenza ma che negli ultimi anni è diventata un esempio internazionale per i profondi cambiamenti sociali attuati attraverso cultura e inclusione, politiche di informazione democratica, educazione e sviluppo economico. L’Open School method ha come obiettivo il miglioramento della qualità di vita degli abitanti della città. Consiste nel rendere accessibili e utilizzabili le aule scolastiche quando gli alunni non sono presenti. Rendendo accessibili questi spazi, vengono forniti servizi che favoriscono il contatto tra cittadini e governo e i suoi servizi online, ma anche il supporto e la consulenza per lo sviluppo scolastico, personale, economico e culturale. La possibilità di accesso alle scuole, ha consentito alle persone di condividere conoscenza, imparare l’uso di nuove tecnologie, di interagire con persone in altre parti del globo, migliorare il livello di progetti e implementare la qualità dell’educazione.Daniel, riferisce che grazie a Open School, il programma pubblico di informatizzazione della città, Medellín Digital, ha avuto largo successo, portando la ratio tra giovani e computer ad essere 17/1, superando le aspettative del governo stesso.

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Dalla Trascrizione dell’Intervento del Professor Luigi Zanzi(Università degli Studi di Pavia)

DALL’ESSERE A DIVENIRE

Nel mondo antico, il concetto di trasformazione è stato lungamente respinto ai margini della forma di vita proposta agli uomini. Responsabile principale di questa concezione è stato Platone. Platone scelse come fondamentali alcune forme geometriche, in particolare il quadrato e i poligoni, per la loro regolarità geometrica e auspicò un mondo che fosse costantemente quadrato e poligonale, senza trasformazione. Al contrario di Platone, Eraclito proponeva di considerare il mondo in termini di forme varie, molte e diverse, che si contrastavano l’una con l’altra e che generavano un processo di trasformazione. Avvenne allora che nel confronto tra Platone ed Eraclito prevalse Platone e per lungo tempo la concezione platoniche finì con il dispregiare il mondo dell’informe, del disordine, pensando che si dovesse soltanto selezionare ciò che era ordine, forma perfetta. La cosa più grave che allora successe fu che il passaggio dal disordine e all’ordine, dall’informale al formale non fu considerato un processo positivo e non naturalmente accettabile. E si pensò che il portatore dell’ordine non fosse la natura, ma l’uomo con le proprie idee. Questo generò una separazione tra la cultura della natura e quella dell’uomo. [La nostra civiltà] ha quindi avuto un modello di sviluppo scientifico che ha escluso la trasformazione dei suoi studi. Tutti gli antichi studi naturalistici sono stati considerati per lungo tempo, almeno fino al Rinascimento italiano, come non scientifici proprio perché incentrati sulla trasformazione. La trasformazione fu considerata come qualcosa ch aveva a che fare con la storia, nel senso di racconto di fatti incidentali che non danno luogo a strutture. Così il mondo scientifico, ancora nel Rinascimento e nell’illuminismo, tentò di fissare forme non trasformabili anche nel cosmo. Per esempio Newton e Kepler cercarono di fissare forme di moto, orbite, che non fossero trasformabili, che fossero invarianti. Sembra incredibile, ma soltanto con il XIX secolo, cioè con l’Ottocento e con lo studio della termodinamica, si è cominciato a poter ragionare in termini scientifici di trasformazione. Infatti è soltanto con lo studio della trasformazione dell’energia in lavoro -da calore a lavoro- che il problema della trasformazione è diventato oggetto di ricerca scientifica. Studiando queste trasformazioni da calore a lavoro si è cercato di individuare quali fossero i rendimenti più alti di questi trasformazione e in tal modo si è cercato di concepire la trasformazione in termini di macchina. Un’importante e fondamentale scoperta di questi studi fu che per poter avere alto rendimento occorre avere una forte differenza di temperatura. Occorre avere una sorgente di calore ad alta temperatura e un deposito di calore a bassa temperatura.

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PROCESSI ARTISTICI E TRASFORMAZIONE Dalla Trascrizione dell’Intervista di Luigi Zanzi con Stafania Mantovani (Artway of Thinking)

Credo che possiamo trarre una qualche conclusione dal discorso che abbiamo fatto con riguardo ai processi fattuali di trasformazione che implicano sempre il passaggio dal disordine all’ordine.. Alcune considerazioni con riguardo, in maniera particolare, al processo di creazione artistica poiché anch'esso ha da ricondursi a questi processi naturali perché la creazione artistica rientra nei processi di trasformazione. Quindi è anch’esso un fatto di trasformazione. E’ chiaro che dipende dalla capacità di utilizzare energia per elaborare un esito -che può considerarsi, esercitare un lavoro- strutturale. Come una struttura che consegue a una trasformazione di energia. Da questo punto di vista è molto importante chiedersi qual’è il rapporto di incremento o decremento di entropia all’interno di opera d’arte. A mio modo di vedere questo è un’aspetto che viene spesso dimenticato. L’arte contemporanea ha più volte posto a proprio tema l’espressione del gesto artistico come una delle manifestazioni di libertà, e quindi come manifestazione di energia libera, potremmo dire. Purtroppo, spessissimo, questa dimostrazione del gesto che interpreta la possibilità di sviluppo di energia non si traduce in un’opera costruttiva che cerchi di intrappolare in una struttura ordinata l’energia che mette in campo. Ora, evidentemente, noi possiamo ragionare di energia formale, cioè di qual’è il contenuto che ha una forma nella sua possibilità di essere ulteriormente generatrice di trasformazione. Penso che per esempio dal punto di vista critico sia importante dire come un’opera d’arte sia da valutarsi anche nella capacità che ha la sua forma di generare altre forme. Di generare quindi libere interpretazioni di altre forme. E come se l’opera d’arte diventasse un deposito d’energia libera che la creatività ha consentito di estrinsecare e, nello stesso tempo, di ricondurre a un dominio controllato, per cui è diventato una struttura capace di conservare dentro sé ulteriori energie di trasformazione che altri possono tramandarsi, continuare, sviluppare, modificare, ecc. ecc. Badate bene: da questo punto di vista diventa evidente che nella storia dell’arte ci sono opere che hanno avuto questa funzione straordinaria di incremento enorme, di cattura di energia ordinata in un modo tale da essere suscettibile di trasformazione interpretativa di vario genere per moltissimo tempo. Ha generato una quantità .. Son le opere che determinano la nascita degli stili, la nascita delle scuole. E’ importantissimo sapere che rapporto di trasformazione c’è nell’individuazione di una forma in natura, e nella sua trasformazione in un’opera d’arte. E’, come sempre, un rapporto di ordine recepito in natura e capito nel suo modo di formazione -quindi connesso con il flusso di processi trasformativi da cui nasce- e allora viene capito nella sua deformabilità. Ecco perché l’arte che ha saputo deformare ha scoperto una quantità enorme di processi strutturali, che hanno forme che passano da una forma all’altra. Questo è importantissimo in arte, perché per capire l’arte non più come la cattura di una forma ideale che sta a sé, ma l’arte come una forma che è frutto di un flusso di forme entro il quale anche processi di deformazione e di trasformazione producono nuove forme.

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IL PROCESSO PERFORMATIVO E LA TRASFORMAZIONE

C’è poi un aspetto puramente formale connesso con l’aspetto spazio-temporale, che però coinvolge problematiche estremamente difficili, e che si sono iniziate a studiare da poco. E qui viene in campo un aspetto importantissimo: è l’aspetto informatico, che è in gioco nella struttura fisica che si mette a disposizione..per farvi capire rapidamente. Mettiamo in moto un processo performativo fisiologico che cerca di accumulare una propria capacità auto-conservativa di immunità, e quindi autoimmunitario (ovvero - mi difendo da strutture che tendono a disgregarmi, quindi c’è chiaramente un processo di trasformazione che disgrega, o di trasformazione che aumenta). Se io sono in un processo di questo genere, ho assolutamente bisogno di avere una possibilità di riconoscimento -è qui che gioca l’informazione- tra configurazioni diverse, ed entro uno spazio che è comune. Allora succede che, ad esempio, le mie cellule -e a loro volta le molecole che compongono le mie cellule, e si può arrivare abbastanza bene fino a livello atomico- arrivano a riconoscere nello spazio situazioni di configurazione con cui si strutturano diversamente, e organizzarsi in maniera tale da stare. Il gioco fra le componenti performative di queste molecole -ecc. ecc.- e le loro configurazioni possibili, e la lettura delle configurazioni ad incastro con cui vanno è un gioco estremamente e sottilmente imperniato sulle comunicazioni temporali e spaziali.. Che significa costruire una fisica ben diversa da quella meccanicistica capace di capire questi processi biologici di costruzione di forme, seguendo delle strutture performative che generano forme che evolvono in questo modo. E’ una fisica che si sta facendo in questi anni. Chi adesso, secondo me, è l’uomo da seguire, chi è all’avanguardia, è chi sta studiando questo tipo di strutturazioni formali, le quali avvengono in processi all’interno di costruzioni biologiche, cioè Kauffmann.

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SCHEDA ARTISTA

Emilio Fantin (Italia)Artista indipendente

Emilio Fantin, veneto d’origine, vive e lavora a Bologna. E’ un artista che lavora sulla dematerializzazione dell’arte e sul concetto di organismo nelle esperienze collettive studiando problemi comportamentali, sociali e filosofici.Nel 2010 la sua ricerca si focalizzava sulle presenze, territori e spazi dell’invisibile. I suoi lavori sono stati presentati in musei e gallerie d’arte italiane e internazionali. È docente di arte contemporanea e membro di “Osservatorio public Art”, laboratorio di ricerca del Politecnico di Milano.

Metodologia:

Ricerca sui sogni attraverso l’arte.

Contesto di lavoro.La ricerca di Fantin si propone di definire la natura e la sostanza dei sogni. Nonostante Fantin lavori su questo tema, non è interessato all’approccio psicoanalitico, tanto meno nei sui aspetti surrealisti che conosciamo nella storia dell’arte. Piuttosto, egli considera i sogni come un elemento sociale, e ne interroga gli aspetti logici, ovvero quegli aspetti che mettono in relazione il sogno alla vita di tutti i giorni. La sua metodologia può essere applicata in situazioni in cui i partecipanti abbiano vissuto nello stesso contesto per alcuni giorni, quindi preferibilmente nel contesto di un workshop.

Principi su cui si fonda la metodologia

La metodologia si fonda sull’esistenza di una relazione tra sogno e realtà, sulla convinzione dell’esistenza di un aspetto sociale nei sogni, e sul principio di sincronismo. I sogni e il loro potenziale sovversivo o puro contenuto rivelano un segno, un dettaglio del fato di ogni persona. In tutta la loro purezza, i sogni sono però menzogne inevitabili perché è molto difficile ricordare un sogno così come realmente era, e nella maggior parte dei casi vengono ricordati soltanto alcuni dettagli fondamentali, riconnettendoli con l’aggiunta di dettagli ulteriori.

Strumenti

Venogno applicati:- Analisi della rete di relazioni interne al gruppo dei partecipanti - Creazione di una situazione che consenta ai partecipanti di sentirsi a proprio agio nella narrazione dei contenuti dei propri sogni, o un’installazione con lo stesso fine

Obiettivo

Trovare elementi in comune tra i sogni dei membri di una comunità, per poter delineare le più profonde relazioni che intercorrono nella stessa. Per l’artista, potrebbe essere interessante individuare caratteri comuni, almeno una, tra diversi sogni.Poter cogliere la forma del pensiero di un individuo e dell’anima di un gruppo.

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SCHEDA ARTISTA

Claudia Eipeldauer (Austria)WochenKlausur

Claudia Eipeldauer studia a Vienna e a Berlino. È membro del collettivo dal 2002. Tra i vari progetti, insieme con i WochenKlausur realizza un workshop di design per tossicodipendenti a Vienna, un programma cinematografico per gli immigrati presso il cinema di Limerick in Irlanda, un network di riuso per istituzioni sociali a Chicago. Ha anche lavorato come scenografia teatrale e con gruppi di architetti, per il dipartimento espositivo del The House of Culture di Berlino, e come giornalista.

Metodologia:

WhochenKlausur

WhochenKlausur realizza progetti di piccola scale per mostrare e realizzare soluzioni alternative ai modi di vivere contemporanei. La scelta di questo modo di operare sta nell’idea di arte che sottende la loro pratica, ovvero come portatrice di cambiamento. I progetti vengono realizzati ad hoc, in specifici contesti socio-politici.

Principi su cui si fonda la metodologia

WochenKlausur lavora verso risultati concreti in un stretta cornice temporale.

Strumenti

I progetti si basano su approfondita ricerca del contesto, su importanza attribuita alla comunicazione, e sulla consapevolezza dei limiti della propria azione.

Risultati Ottenuti

29 progetti sono stati realizzati negli ultimi 17 anni. Tra i risultati raggiunti la creazione di: rendere disponibili cure mediche a senza tetto a Vienna, corsi di lingua er giovani rifugiati albanesi e kosoviti in Macedonia, uno spazio autonomo per giovani nelle campagne austriache.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/98649627

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SCHEDA ARTISTA

Aliaa El Gready (Egitto)Gudran Association for Art and Development

Aliaa El Gready è un’artista egizia. La sua pratica artistica si sviluppa in diversi media (istallazioni, video istallazioni, pittura, scenografia e produzione di gioielli) e tenta di aprire spazi per ripensare gli input e i postulati che creano le forme delle relazioni interpersonali contemporanee.Dal 1998, Aliaa utilizza l’arte contemporanea come uno strumento di trasformazione sociale. Nel 2000, è stata la cofondatrice di Gudran Association for Art and Development. In questo contesto, Aliaa lavora per dare (empowering) a comunità marginalizzate attraverso la promozione delle loro competenze e attivando la loro partecipazione creativa. Il lavoro di Aliaa è stato presentato in Egitto Cameroon, Grecia, Senegal, Cipro, Sud Africa, USA, Spagna, Italia and Germania.

Metodologia:

The Empatic Approach: Respect and Support//Art as a way for social transformation

Aliaa e il suo contesto di lavoro. Aliaa lavora nel Medio Oriente, nell’Africa Settentrionale e in Egitto in particolare, ovvero in un territorio criticato per la mancanza di democrazia, l’alto livello di corruzione, il basso tasso di educazione, la persistenza di credo religiosi conservatori, ma ospitale. Aliaa ha trascorso del tempo per comprendere la dimensione sociale della comunità di persone con cui aveva deciso di lavorare.Da questa preliminare analisi, il dato che per Aliaa è emerso con maggiore evidenza è la mancanza di fiducia delle persone in ogni tipo di supporto istituzionale: piani governativi, organizzazioni mondiali, mezzi di informazione, NGO. La ragione di questa sfiducia sta nel fatto che questi programmi vengono percepiti negativamente per una serie di ragioni: non sempre ascoltano le esigenze reali, non rispettano le differenze e il patrimonio culturale e di conoscenze, e gli interventi sono lasciati cadere dall’altro senza fare i conti con le vite semplici delle persone che abitano in questi luoghi. Si è spento il desiderio di partecipazione sociale e culturale e, la speranza nella possibilità del cambiamento. Il contesto artistico dove nasce la sua attuale iniziativa artistica e sociale era caratterizzato da numerosi artisti, che tuttavia evitavano ogni contatto con la società, isolandosi nella torre d’avorio del mondo dell’arte, lontano dal senso di quanto avviene per le strade.

Principi su cui si fonda la metodologia

- Rispetta le differenze dell’altro, senza riguardo alle differenze religiose, etniche, sociali, linguistiche e di genere.- Enfatizza l’importanza del dialogo culturale e della pace sociale- Porta processi artistici per le strade, e raggiungere i membri marginalizzati delle comunità, che sono privati di partecipazione sociale.- Promuove azioni collettive per realizzare un futuro migliore- Attiva il principio della responsabilità sociale dell’artista.

La scelta dell’approccio empatico per Aliaa nasce dalla semplice constatazione di una sorta di “proprietà transitiva” del rispetto e del supporto reciproco: “Se tu rispetti la mia identità e le mie differenze, mi spingi a rispettar te, il tuo modo di vivere e la sua differenza. E, inoltre, “Se tu mi supporti per il raggiungimento del mio bene personale, tu ti sentirai di fare lo stesso. ” Gudran non considera i membri del contesto territoriale in cui opera come destinatari o pubblico, ma come

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possibili creatori che possano produrre arte e partecipare al cambiamento.Il metodo più essere sintetizzato come una pratica dell’empatia e del supporto.

Strumenti

Per raggiungere questi scopi, vengono utilizzati:- Preparazione Sociale- Progetti artistici che consentano di mettere in moto la creatività dei singoli partecipanti - Costruzione di leadership sociale giovanile- Offerta di opportunità ai giovani di guidare dei progetti- Coinvolgimento delle istituzioni locali nelle attività.

Risultati Ottenuti

Anzitutto sta crescendo un movimento artistico finalizzato al cambiamento sociale in Egitto: si trovano numerose NGO, Gruppi Artistici e Iniziative che vanno sotto la denominazione di “artistic developmental NGO”. D’altra parte, c’è un maggior fiducia tra le persone e a livelli istituzionale verso queste iniziative.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/98649625 https://vimeo.com/98649622

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8:30 Emilio Fantin, artistComune a tutti è sognare. Dream telling: an experience of collecting syncronic dreams.

9:00 One to one meetings to be indicated on the notice board

10:00 20 Introduction to the works of the day10:20 20 Maria Rosa Jijon, Cetoj - Flaco

5 Photo, video and music production to create and transform the self image and the understanding of diversity.

10:45 20 Stefano Collizzolli, ZalabParticipatory video.

11:10 20 Stefano Schiavo, Lago spaLean production.

11.30 15 Question time15

12:00 20 Marco Lampugnani, Snark - space makingSnark, design process development

12:20 20 Maria Zanchi, PublinkRCA a new public service.

12:45 15 Question time

13:30

15:00 20 Belén Hermida Rodriguez, EPS - Universidad CEU San Pablo MadridConcept plays.

15:20 30 Belén Hermida Rodriguez, EPS - Universidad CEU San Pablo MadridConcept plays, performative experience.

15.50 10 Question time16:00 20 Timothée Guicherd, LabforCulture, European Cultural Foundation

10 Converging pathways to new knowledge.16:30 20 Emanuele Quintarelli, Open Knowledge Skype

Enterprise 2.0 user centred co-design methodology.16.50 15 Question time

1517:30 Focus Groups

Strong points and criticisms of co-planning.18:30 15 Cristina Medina, @tendance

Mapping: fleeting encounters between the participants. Dance and movement experience.

19:00Eliana Brizio, Learning from your physical symptoms. Foot analysis and touch session.Stefano Collizzolli, Participatory video experience.Stefano Schiavo, Action learning.

20:30Erick Vedel, Rosanna d'Ambrosio and the Cafeteria staff

break

additional off time activities to be booked on the notice board

dinner Mediterranean open dinner

METHODS - PROCESSES OF CHANGESUNDAY 23RD OF MAY 2010

METHODS - PROCESSES OF CHANGESATURDAY 22ND OF MAY 2010

break

lunch

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STEFANO SCHIAVO (Azienda di consulenza Sharazad. at Lago Spa)

Stefano Schiavo, consulente manageriale, presenta la metodologia della Lean Production e la sua applicazione nelle attività di back office presso l’azienda LAGO spa, tra il Settembre 2009 e l’Aprile 2010.

La scelta di questo caso studio, di cui non si erano ancora pienamente valutate le implicazioni, stava nella specificità dell’operazione, trattandosi di un’azienda di design e di lavorare con gli uffici non produttivi ma ideativi dell’azienda. L’obiettivo dell’intera operazione era quello di migliorare il processo di servizio e la soddisfazione del cliente, all’interno di un contesto caratterizzato da attività complesse e orientate alla soddisfazione del cliente. Schiavo spiega i principi alla base della metodologia lean: specificare i valori desiderati dai clienti; identificare la corrente di valori per ogni prodotto, e ripensare le operazioni che implicano uno spreco nel raggiungimento di questo obiettivo; la tendenza al perfezionamento verso il management perfetto deve avvenire tramite piccoli cambiamenti che apportino un miglioramento continuo, ma integrabile e graduale; fare le cose giuste quando il cliente ne ha bisogno e non assecondando i desideri della produzione e dell’organizzazione.Il progetto si è sviluppato con una mappatura del flusso di valori, al fine di identificare le aree di miglioramento potenziale a cui applicare la filosofia del kaizen (del miglioramento continuo). Successivamente alla definizione dello stato attuale, si è elaborata la visione che è l’obiettivo che l’azienda deve raggiungere. A seguire, erano state elaborate le attività per il raggiungimento di questo obiettivo. I risultati ottenuti sono stati misurabili, sia in termini di miglioramenti economici che rispetto alla soddisfazione del cliente, la semplificazione dei processi, migliorata ergonomicità, riduzione di spreco di spazi, e un migliorato clima lavorativo. Sono tuttavia state riscontrate delle resistenze iniziale all’introduzione di cambiamenti.

BELÉN HERMIDA (Escuela Politécnica Superior, Universidad Ceu San Pablo)

Bélen Hermida, architetto, pittrice e docente universitaria presso la Universidad Ceu San Pablo di Madrid (responsabile del programma bilingue in Architettura), presenta la metodologia che nomina CONCEPT PLAYS.

Hermida racconta la sua esperienza della metodologia didattica sviluppata dal professor N. John Habraken presso la School of Architecture del Massachusetts Institute of Technologies alla fine degli anni ’70: nel 1998 era infatti stata la assistente del docente nel corso Thematic Design: Theory, offerto agli studenti di architettura di quella prestigiosa università. Il corso riguardava la gestione e il controllo di complesse forme e spazi architettonici e urbani, in relazione alle problematiche della vita quotidiana. Secondo questa metodologia, la questione del controllo e della partecipazione, la condivisione di variazioni tematiche con altri designers, le relazioni gerarchiche tra i partecipanti e soprattuto il cambiamento, rinnovamento e adattamento sono interrogati e messi a sistema. Questa metodologia è strutturata attraverso una serie di esercizi sulla forma e sulla spazio, i quali interrogano contemporaneamente le relazioni orizzontali e verticali tra gli attori coinvolti. Inizialmente questa metodologia si basava sulla parola chiave “variazioni”. Più recentemente questa metodologia è stata cambiata in concept plays. Hermida cita il suo mentore per definire il significato di questa

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metodologia: ”Playing, in the sense of giving a stage performance, demands creative interpretation, is interactive, and is fun to do. In contrast to rote ‘exercises’, a same play can be done differently each time. Unlike competitive ‘games’, a play cannot be lost or won; players perform simultaneously, striving for personal excellence as well as for a coherent shared result."

THOMAS GUICHER (European Cultural Foundation)

Thomas Guicherd presenta il progetto Converging Pathways Of New Knowledge.

Questo progetto offre la possibilità di esplorare i modi con cui si può raccogliere e condividere conoscenza grazie all’attuale cambiamento dettato dall’avvento del digitale. L’avvento del digitale ha portato nuovi modi di lavorare, riflettere, nuovi approcci al problem solving e, come risultato, nuovi modi di costruire e condividere conoscenza. Basandosi su questa iniziale constatazione, l’European Cultural Fundation ha creato un sistema per fare in modo che la loro piattaforma web diventasse uno spazio i cui contenuti fossero dettati da interazioni sociali, al fine di facilitare processi partecipativi di creazione di conoscenza. Tale sistema guarda allo spazi condivisi tra diverse categorie di audience, di cui vogliono studiare l’interazione e l’intersezione. L’obiettivo generale del progetto è quello di creare nuove narrazioni per l’Europa. Guicherd presenta inoltre il progetto LabforCulture, iniziato nel 2004 e nato dalla collaborazione tra l’European Cultural Foundation, European Ministries, e altri enti finanziatori (Compagnia di San Paolo, Rubensbank Jubileumfonds, …). Il progetto ha creato una piattaforma web con caratteri simili al social networking, finalizzato a sviluppare un approccio digitale nel settore della cultura. I risultati ottenuti sono stati un sito web (www.labforculture.org) e delle pubblicazioni. Guicherd nota comunque i limiti del metodo: la velocità con cui il web si aggiorna e la difficoltà di rimanere creativi ed innovativi nel settore.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/100442470, e successivo

EMANUELE QUINTARELLI (Open Knowledge)

Emanuele Quintarelli, Partner e Enterprise 2.0 Strategist presso Open Knowledge, presenta l’Enterprise 2.0 User Centred Co-Design Methodology.

Quintarelli è un ricercatore, analista e blogger sull’adozione di approcci collaborativa da parte di grandi organizzazioni con il fine di migliorare la loro produttività, efficienza, reattività al mercato e potenziale innovativo. L’obiettivo della metodologie da lui presentata è quella di creare impresa 2.0 e soluzioni che siano realmente adatte ai bisogni operativi delle persone, e per fare sentire i partecipanti padroni del progetto. L’idea fondamentale su cui si basa la metodologia è, essendo l’impresa 2.0 arbitraria, emergente, volontaria e costantemente in cambiamento per natura, quella di adottare una strategia di progettazione condivisa con il fruitore. Per Quintarelli questo è l’unico modo per produrre tecnologia progettata per le persone e non, al contrario, avere persone che adattino e cambino i loro comportamenti per adattarsi alle tecnologie. La metodologia di progettazione si articola in step successivi: selezione di un gruppo di attori, che presentino il reale processo, comportamento, modalità di lavoro, arricchendo questi comportamenti attraverso social media, coinvolgendo co-creatori come campioni e proprietari del progetto; lanciare un progetto pilota per raccogliere feedback e apportare

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ulteriori modifiche ai contenuti e alla struttura del progetto, prima che si apra la piattaforma all’intero gruppo di impiegati. Anche Quintarelli, presenta come caso studio una collaborazione con l’azienda LAGO Spa e la creazione di strumenti per l’organizzazione.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/105153530, e successivi

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Maria Rosa Jijon (Equador)Cetoj - Flacso Quito

MARIA ROSA JIJON ha svolto i suoi studi presso la facoltà di arte dell’ Universidad Central de Ecuador, l’ Instituto Superior de Arte de La Habana di Cuba e la Kungliga Konsthogskolandi Stockholm, Sweden. E’ membro del network G2, degli immigrati in Italia di seconda generazione. Cura la parte audio-visuale del il gruppo di ricerca FLASCO (Facultad latinoamericana de Ciencias Sociales, Latin-American Faculty of Social Sciences), che occupandosi di giovani street gangs in Ecuador, I principali temi della sua ricerca sono la mobilità umana nei contesti di migrazione e il lavoro con le organizzazioni dal basso. È rappresentante del SENAMI (Ecuadorian Ministerial for Migrations in Rome).

I suoi lavori sono stati esposti a : X Biennial of La Habana 2009; 11th Freewaves Festival, L.A. 2008; Loop Festival Barcelona, 2008, V Biennale La Paz, Bolivia 2007;  Artbus, Fiera ARCO 07, Madrid; 10th Freewaves Festival L.A. 2006; III Biennial Latin-American of Video Arte, Washington, 2006; Prague Biennial 2, 2005;  I Poligraphic Triennial of San Juan, Puerto Rico, 2004;  FotoGrafia, I and II International Festival of Rome;(http://issuu.com/rosajijon/docs/dossier ).

Metodologia:

Photo, video and music production to create or transform the self image and the understanding of diversity. Research - action

Utilizzando fotografia, musica e video come strumenti per l’espressione di sé, l’obiettivo di questa metodologia sperimentale è quella di consentire a parti più fragili della società di accedere e acquisire gli strumenti e le possibilità per l’auto-espressione e l’acquisizione di maggiore consapevolezza.

Maria Rosa Jijon e le persone con cui lavora hanno scelto questa metodologia in quanto strumento efficace per generare cambiamento in individui, nel sociale e sul territorio. La possibilità di cambiamento è connesso al tentativo quotidiano di nuovi stili e nuovi comportamenti. Ogni decisione a riguardo del progetto è presa attraverso una serie di incontri, rispettando i tempi e gli obiettivi della maggioranza. ContestoE’ possibile utilizzare questo metodo in ogni contesto urbano.

StrumentiGli strumenti adottati sono la mediazione permanente tra le parti, la consultazione, lo svolgimento di meeting regolari tra gli enti finanziatori e i gruppi dal basso.

RisultatiIl progetto è difficile da valutare in termini quantificabili. Maria stabilisce che ci vorrà del tempo per valutare l’impatto delle pratiche.

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Stefano Collizzolli (Italia)ZaLab

Stefano Collizzolli si occupa di Participatory Video. Ha lavorato come project manager e formatore nel campo del Participatory Video in Italia, Spagna, Palestina, Tunisia e Repubblica Dominicana. E’ un regista di film documentari ed editore.E’ dottore in Sociologia della Comunicazione (Università di Padova e Bologna). I suoi campi di interesse sono la sociologica visiva e la sociologia delle migrazioni, ma soprattutto la storia del Participatory Video e la sua adeguatezza come strumento di indagine sociologica. Lavora come giornalista (il manifesto, Diario della settimana, Carta. CartaNordEst, passages), fotografo e designer per organizzazioni no profit. Dopo aver fondato ZaLab nel 2006, lavora per lo sviluppo di progetti di Participatory Video come strumento di comunicazione per la partecipazione dal basso e come alternativa fonte di comunicazione.

Metodologia

Participatory Video

La metodologia applicata ha come output la realizzazione di un video, elaborato attraverso la partecipazione di un gruppo sociale in un posizione marginalizzata. L’obiettivo è quello di rafforzare la componente identitaria del gruppo, e fornire strumenti e supporto per darne espressione, con la finalità ultima di consentire alle voci inespresse dalla società di trovare un canale di comunicazione e che le porti ad uscire dal confinamento della propria condizione.

Contesto di applicazione

Qualsiasi contesto in cui ci sia una componente (individuale o gruppale) marginalizzata. Il collettivo non si occupa della creazione di gruppi di lavoro ad hoc. Piuttosto preferisce lavorare con comunità esistenti.

Principi su cui si fonda la metodologia

Accesso di parole ed immagini aperto a tutti, non perchè tutti siamo artisti ma perchè ognuno abbia la possibilità e gli strumenti di esprimersiOgni partecipante è un protagonista, e la sua creatività si esprime nelle scelte di cui è responsabile per lo sviluppo del film.

Strumenti

- Per la realizzazione di questi progetti, vengono forniti strumenti tecnici (macchine fotografiche, proiettori, ecc);

- Le storie, i temi e le questioni sociali portate dal gruppo con cui si lavora- Vengono effettuate proiezione nel territorio di appartenenza del gruppo marginalizzato- Si organizzano momenti di discussione

Risultati Ottenuti

La realizzazione condivisa di un film consente al pubblico di accedere a voci inascoltate della società.All’interno di una comunità, l’uso di questa voce nella sfera pubblica può portare a una trasformazione sociale.Gruppi marginalizzati possono raccontare storie dai margini, un luogo da cui si possono vedere due mondi. Consentire la circolazione di queste storie può avere un potenziale trasformato per un pubblico “mainstrem”.

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Marco Lampugnani (Italia)snark - space making

Marco Lampugnani è un architetto. Ha lavorato a Barcellona e nel 2008 ha preso parte al progetto geodesign a Torino. Nel 2009 ha partecipato a IABR, Biennale Internazionale di Architettura di Rotterdam, con il progetto RIKEA, al Festival della creatività di Firenze, e al progetto “Topografie del trauma”, un workshop focalizzato sul Belice a quarant’anni dal terremoto. Ha collaborato con il Politecnico di Milano, Escola Superior de Arquitectura (UIC University, Barcelona), dove si è formato. Nel 2010 ha svolto un MRes presso il centro di ricerca architettonica presso l’università Goldsmiths di Londra. In snark si occupa di questioni relative allo spazio, di design territoriale e architettonico e di meccanismi socio-spaziali.

Metodologia:

snark

Questo metodo è stato auto-generato come risultato di numerosi processi di design sviluppati nei tre anni precedenti di collaborazione. Questa collaborazione ha il nome di snark. Come definito da Caliri e Fanoni in un’articolo su ticonzero.info, Snark è essa stessa una metodologia. La definiscono una metodologia poiché è possibile individuare pattern di interazione, pensiero, azioni comuni a tutti i processi precedenti e la sua cornice teoretica sono al tempo stesso processi e risultati. Questi processi hanno lo scopo di regolare interazioni tra soggetti, piuttosto che i risultati. Nella loro opinione, questi pattern sono generati nel mezzo del processo che snark richiede. Questo processo di collaborazione richiede la costante rinegoziazione tra diversi background culturali dentro e fuori snark, differenti contesti di applicazione, diversi media, nei network del “cloud” virtuale. Quello che snark fornisce è, in un ultima analisi, un insieme di strumenti che consentano a una comunità di gestire e continuamente produrre il loro spazio comune.

ContestoQuesta metodologia può essere applicata a molti diversi contesti connessi alla produzione di spazio e di comunità nello scenario urbano contemporaneo. Può essere esteso al contesto della formazione per personale della pubblica amministrazione, attivismo, piccole organizzazione.

Principi su cui si fonda la metodologia

Lo scopo principale è definire il processo di analisi e design capace di tenere in considerazione il ruolo giocato dalle tecnologie nel processo di space e community making.Il pubblico è una conseguenza e non una premessa, il prodotto di una costante negoziazione tra soggetto/luogo e potere. Questa metodologia vuole abbandonare il tradizionale concetto di autorialità, e vuole intervenire nella complessità del contesto come un giocatore attivo, analizzandolo, stimolandolo, da un punto di vista esterno.Considera fondamentale investigare la distinzione tra spazi virtuali e spazi reali, poiché esistono potenzialità nelle tecnologie virtuali (ubiquitous computing e ict) che possono rendere i processi di creazione di spazio e comunità più aperti e democratici.Non vogliono ideare qualcosa di definito da inserire in un contestoConsiderano il design come strumento formativo per una comunità

Strumenti

Il processo è circolare e produce costanti analisi del contesto e feedback.Possiamo riconoscere tre fasi principali:- Fase 1: fieldwork -immersivo, attivo, partecipativoIn questa fase vengono applicati gli strumenti forniti dall’etnografia, dall’etnosemiotica e dall’analisi urbana

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- Fase 2: design, conseguenza della fase 1Progettazione aperta. Si procede a progettare non necessariamente un arredamento urbano ma ciò che meglio risponde al tema. Qui si svolge la fase partecipativa - i progetti vengono discussi con i portatori di interesse, e questo influenza l’intero processo.- Fase 3. La restituzione del processo è la parte in cui si realizza la partecipazione dei cittadini, poiché quanto progettato è concepito come uno stimolatore di ascolto autopoietico. In questo senso il processo è aperto è chiede una crescente responsabilità a tutti gli utilizzatori coinvolti nel processo.Considerano fondamentale unire fieldwork e profiling systems, strumenti UGC (User Generated Content) e pratiche fisiche.

Risultati Ottenuti

Vengono riconosciuti tre maggiori risultati nei loro processi:- Riappropriazione. Nella maggior parte dei progetti, l’obiettivo era quello di riconnettere le comunità locali con il loro quartiere- Proxy. Processo attraverso cui snark sostiene il proprio pubblico nella lettura, produzione, gestione e valutazione del pubblico in cui viviamo. - Feedback, come risultato di legittimazione dato alle persone.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/102504553, e successivi

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Maria Zanchi (Italia)Publink

Maria Zanchi si è laureata allo IUAV di Venezia in Produzione e Design delle Arti Visive nel 2008, dopo aver concluso l’Accademia delle Belle Arti nella stessa città. Dal 2004 lavora nell’ambito dell’Arte Pubblica, in gruppi di lavoro che si occupano di arte Community-based. La sua pratica artistica interroga sui confini tra spazio pubblico-privato e tra comunità-individuo, attraverso il media della fotografia. Uno degli ultimi progetti è Rifiuto Con Affetto, RCA. Venice – “Un record per Pellestrina” in collaboration with the Fondazione Pistoletto - Cittadellarte -RESIDE.NTS Visualising the Transformation, New-Belgrade, Serbia.

Metodologia:

La metodologia utilizzata per il progetto Rifiuto con Affetto non ha un nome, ma il progetto basa la sua metodologia sul linguaggio e i principi dell’arte pubblica, declinata secondo i seguenti termini chiave (Spazio pubblico, Fruitore, Autore, Processo, Uso, Utilità, Comunicabilità, Endurableness).

Principi su cui si fonda la metodologia

I principi che fondano la loro pratica sono i concetti chiave dell’Arte Pubblica:

- Spazio Pubblico, come bacino di potenziale sociale- Fruitore, l’individuo che trova nell’oggetto una risposta ad un suo bisogno- Autore, l’uso del lavoro lo realizza- Processo, il prodotto non ha una forma definitiva, ma è definito dalle relazioni che si creano intorno

ad esso- Utilità, attraverso l’utilizzo responsabile del fruitore diventa strumento di cambiamento sociale- Comunicabilità, attraverso diversi canali mediatici- Endurableness, come cooperazione tra il pubblico e l’istituzione locale

Strumenti Ogni caso si avvale di specifiche declinazioni. Tuttavia, i principali step sono :- Analisi del territorio, in accordo con le istituzioni locali e le associazioni- Produzione di bidoni per la raccolta differenziata- Lancio dell’iniziativa- Comunicazione- Auto-sostenibilità del progetto.

Risultati Ottenuti

A livello sociale si è ottenuta la diffusione di una nuova categoria di immondizia differenziata, la trasformazione dell’immagine del cassonetto dell’immondizia da spazio di spreco a risorsa come spazio di scambio e la riduzione dell’immondizia nell’inceneritore e nella discarica. A livello individuale, si è stimolata una cittadinanza attiva, la consapevolezza dei bisogni delle altre persone, una nuova relazione con ciò che viene considerato come un rifiuto; attivazione di buone pratiche; costruzione di nuove relazioni nella comunità.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/103710791, e successivo

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9:00 One to one meetings to be indicated on the notice board

10:00 20 Introduction to the works of the day10:20 40 Tiziana Monterisi, N.O.V.A. Civitas11:00 20 Visit to the spaces and description of materials.

5 Guido Ferilli, IULM University Milan11:30 20 Cultural-lead local and regional development.

Denise Rocca, University of Arts London

11.50 10 The use of evolution techniques to promote change in working practices and marketing policies for the arts.

15 Question time12.15

Focus GroupsSustainability of processes of change.

13:30

15:00 20 Thomas Legl, Euro TC5 Change needs innnovation - Flexibility in the therapy of dependencies.

15:30 20 Michael Wenger, Hoffman InstituteMeditation as a means of transformation.

15:50 15 Question time16.10 50 Michael Wenger, Hoffman Institute

Attention exercises.15

17:15 30 Emilio Fantin, artistComune a tutti è sognare. Results of the activities.

17:45 15 Max Rapkin, osteopathDiafram work.

18:00 60 Focus GroupsElements, approaches and tools that facilitate the methabolization of change.

19:00Eliana Brizio, Learning from your physical symptoms. Foot analysis and touch session.Stefano Collizzolli, Participatory video experience.Thomas Legl, psycho drama.

20:30Grazia, Jacopo e Maurizio Rossi from La Villetta

23:00 Music party with DJ Roberto Vajo in "different channel"

pausa pranzo

break

additional off time activities to be booked on the notice board

dinner A cena con l'oste!

break

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GUIDO FERILLI (Università IULM)

Guido Ferilli, docente di Economia dell’Arte ed Economia del Design all’Università UILM, si occupa di processi di sviluppo locale attraverso la cultura. Egli definisce la metodologia che presenta “sviluppo locale e regionale attraverso la cultura”.

Tale metodologia, si fonda sul principio che la cultura sia la forza trainante dello sviluppo umano, sociale ed economico. Questo processo si sviluppa attraverso un’analisi dei dati raccolti attraverso i portatori di interesse locali, lo sviluppo di une idee sulla base delle caratteristiche del contesto con il coinvolgimento della comunità locale. Questa metodologia comporta un alto livello di multidisciplinarietà. Il caso presentato è quello del progetto Archilandia sviluppato tra Sardegna, Svezia e Polonia tra il 2007-2008 con lo scopo di dare un nuovo impulso e nuove forme all’interesse nel patrimonio storico locale.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/102504278, e successivi

DENISE ROCCA (University of Arts London)

Denise Rocca, ricercatrice e project manager nel campo delle arti, presenta l’uso di tecniche di valutazione per promuovere il cambiamento nelle pratiche lavorative e nelle politiche di marketing nelle arti.

Questa metodologia, che va oltre la semplice misurazione dell’impatto di un progetto, si propone di far fronte alla crescente competitività per l’accesso a fondi pubblici o privati. Questo metodo di valutazione è concepito come momento di riflessione sul processo di cambiamento, ma anche come strumento per disseminazione e per la replica di progetti in contesti altri. Virtualmente la metodologia presentata da Rocca può essere applicata a tutti i contesti artistici, culturali e sociali. Rocca presenta la sua esperienza di consulente per la creazione di un sistema di valutazione per “Freefalling”, un progetto per giovani a rischio di esclusione sociale e finalizzato al miglioramento della fiducia nei partecipanti, nel team-working, capacità di ascolto e comunicazione attraverso attività teatrali. Presenta anche Creative Connect, un progetto ideato dall'University of Arts London in collaborazione con Ealing LAC (Looked After Children) Team e finanziato dall’Arts Council e dalla John Lyon’s Charity. Questo progetto aveva lo scopo di promuovere sviluppo culturale di giovani attraverso una vasta gamma di attività.

LINK alla presentazione: https://vimeo.com/99128856, e successivi

THOMAS LEGL (Gesundheitszentrum Knappenhof)

Thomas Legl, presidente Euro – TC e direttore esecutivo Kur-und Gesundheitszentrum Knappenhof dal 2004, è uno specialista nello sviluppo di programmi di trattamento specifici e flessibili, focalizzati sulla pedagogia dell’avventura, sull’esperienza della natura, su metodi creativi, con un approccio olistico, per il trattamento delle dipendenze.

Thomas Legl presenta la sua esperienza di terapista nell’ambito delle malattie della dipendenza e psicosomatiche. Pur concentrandosi su droga e alcool nello specifico, mette in guardia su tutti i tipi di dipendenza. Egli parla della sua esperienza nelle comunità di terapia e dell’applicazione di un

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processo olistico. Descrive le condizioni del cambiamento del paziente nell’ambiente terapeutico, e sostiene l’importanza dell’adattabilità e flessibilità di un trattamento. Soprattutto, sottolinea come negli ultimi anni gli studi si siano soprattutto concentrati sul mantenimento stesso del cambiamento, piuttosto che sui processi di cambiamento (dall’addizione alla fine della dipendenza).

LINK della presentazione: https://vimeo.com/103711182, e successivo

MICHAEL WENGER (HOFFMAN INSTITUTE)

Michael Wenger presenta l’approccio integrato di Ken Wilber.

Questo approccio, combinato con la Spiral Dynamic ispirata dal Don Beck sono considerati come strumenti con cui spiegare l’evoluzione degli individui e della società. Per Wenger, la consapevolezza di questi modelli aiuta a comprendere quali siano i successivi passi evolutivi di individui e di collettivi, mentre la meditazione e il Quadrinity Process di Hoffman sono gli strumenti per la trasformazione. L’approccio integrato consiste nell’includere tante prospettive, stili e metodologie quanti possibili all’interno della visione coerente di un tema. In un certo senso, l’approccio integrale è un “meta-paradigma” o un modo per unire un numero di paradigmi già esistenti in una rete di interrelazioni, in una rete interconnessa di approcci. Wenger presenta poi nel dettaglio l’Integral Framework, che è una mappa comprensiva di sistemi, cultura, psicologia e comportamento. Tale mappa integra gli aspetti esteriori -pratici- della vita individuale e collettiva (ecologia, economia e sistemi sociali), con gli aspetti interiori più sottili dell’umanità (psicologia, cultura e spiritualità).

LINK dell’attività perormativa: https://www.youtube.com/watch?v=Z7NHgaMFQa4 LINK alla presentazione: https://vimeo.com/105266122, e successivi

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Leadership: Orizzontale e Verticale. Federica Thiene

Cos’è naturale? In un sistema sociale è naturale l’orizzontalità - quindi diventa fondamentale il concetto di facilitatore- oppure la verticalità -e quindi una leadership guidata? Qual’è il punto di vista antropologico di questa questione? Voglio porre questa domanda, perché ieri discuteva sul fatto di essere pronti a compiere un salto, per un cambiamento, per raggiungere il terzo cerchio del terzo paradiso.

Chris Naylor Rispondendo a questa domanda, entrano in gioco la questione del tempo e del capacity building (costruzione di capacità). E’ più facile per un individuo assumere un ruolo di leader sul breve termine, e molte persone lo apprezzano, perché possono seguire qualcuno che si prende credito e demerito per quanto fatto. Sul lungo termine, un tale tipo di leadership può essere deletereo rispetto alla capacità di una comunità o di un’organizzazione per sviluppare se stessa. Quello che mi interessa è il ruolo della facilitazione, è fare in modo che le persone si facciano carico esse stesse di un ruolo di leadership, La storia è piena di esempi il cui il desiderio di leadership ha dato alla testa chi deteneva il potere, usando quel ruolo per propri interessi senza supportare coloro che stanno intorno. La mia prospettiva è quella del lungo periodo, di costruire comunità sostenibili, e costruire vite soddisfacenti, e spero di aiutare le persone a dare forma al loro stesso ambiente. Quindi direi che non si tratta né di un modello o dell’altro. Non si deve avere per forza uno dei due modelli, io direi un compromesso tra i due.

Daniela Uslenghi Da un punto di vista psicologico, credo che sia difficile parlare di naturale. Perché da un punto di vista di strutturazione psicologica, noi quando siamo bambini abbiamo dei leader -madre e padre- ed è più facile così. Ma credo nel processo di trasformazione, l’idea di orizzontalità e di processo di facilitazione,è più valido. Forse è necessario considerare quello che viene definito “il leader situazionale”. E’ togliere quella dualità -tra verticale e orizzontale. Ognuno di noi ha una specialità, e in uno specifico spazio e tempo siamo leader e facilitiamo gli altri, ma nell’istante successivo, la leadership può essere presa da qualcun altro. Quindi io metterei insieme orizzontale e verticale in un sistema dinamico.

Marx Rapkin Io penso sopratutto al sistema locomotore. Il modo in cui voglio rispondere è facendo riferimento alle relazioni di cui ho parlato ieri. Noi siamo sistemi entro sistemi, dentro a corpi. L’idea di un corpo, che ha molte componenti e ha una certa abilità di auto-organizzasi. Pur individuando dei punti specifici del corpo, non è possibile definire nessuno di essi come leader. Al tempo stesso il corpo ha un’identità, e ciascuna delle parti rinuncia alla propria per essere parte di questa più grande identità. Quindi, quando ci occupiamo di di identità, in relazione al tema della facilitazione o della leadership, questa è un’astrazione, il risultato della nostra capacità di pensare. Ad altri livelli (a livello fisico-organico per esempio) non si tratta di una questione rilevante. Si può eleggere una parte del soma come leader, ma non ha rilevanza. Non ce n’è bisogno.

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9:00 One to one meetings to be indicated on the notice boardMichael Wenger, Attention exercises.

11:00 20 Introduction to the works of the dayFocus groups

11:30 Processes of change orientated towards a common good. Values, approaches, tools and result indicators.

13:30

15:00 45 Belén Hermida Rodriguez, EPS - Universidad CEU San Pablo MadridConcept plays on processes of change orientated towards a common good.

15Erick Vedel Occitan food on the table: cooking atelier. Side activity to be booked on the notice board

16:00 60 Maria Rosa Jijon, Cetoj - FlacoParticipatory video plays on processes of change orientated towards a common good.

1517.00 45 Cristina Medina, @tendance

Dance plays on processes of change orientated towards a common good.15

18:00 40 ConclusionsCollective action.

20:30Erick Vedel and the Cuisine Provencale atelier participants.

lunch

break

break

break

dinner Essential Mediterranean

METHODS / PROCESSES OF CHANGELUNEDì 24 MAGGIO 2010

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Osservatore Esterno

Herman Bashiron riporta ai partecipanti la sua esperienza di osservatore esterno del workshop Methods durante l’ultima serata condivisa prima del termine del workshop. Se ne trascrive l’intervento.

“Ho 4 filtri attraverso cui ho sviluppato la mia osservazione:

1. L’attività intellettuale del processo 2. L’attività emozionale del processo 3. L’energia che fluiva tra di noi 4. Lo spazio, il movimento dei corpi -potremmo dire “fisico”

La domanda - per me- era la stessa che abbiamo avuto tutti: è avvenuta una trasformazione nei diversi aspetti prima elencati -intellettuale, emozionale, energetica, fisica? Abbiamo iniziato il processo, passando da una dimensione teoretica ad una pratica, nello svolgimento delle attività. L’azione ha creato empatia. Credo che sia stato importante che ciascun partecipante abbia trovato il proprio film entro il workshop. Ognuno è stato indicato liberamente e non vi è stato un processo gerarchico. Ciascuno è stato emozionalmente coinvolto, perché non ha trovato una struttura gerarchica, ma ha potuto migliorare in ogni tipo di attività e vivere ciascuna di esse con la stessa empatia, allo stesso modo in tutti i tempi e gli spazi.

E’ connesso con questo processo. Abbiamo iniziato dal sé, verso la società per arrivare a un bene comune. Così abbiamo iniziato dalla disciplina di ciascun partecipante: qualcuno proveniente dall’arte, altri dalla spiritualità, dal settore dell’economia. Dal campo di indagine di ciascuno, siamo arrivati alla disciplina degli altri. Questo processo per capire come gli altri intendono la propria metodologia dal proprio punto di vista. Cose importanti: Nelle attività intellettuali. Per la metodologia era importante condividere informazioni. In relazione alla transdisciplinarietà è stato importante rafforzare le interazioni tre i diversi gruppi di lavori. La curiosità è stata un prerequisito fondamentale, fin dall’inizio. La curiosità, per esempio, da parte dell’unità editoriale è stata incredibile, perché ha dato diversi risultati: il blog, i disegni, le mappe mentali, i video, le fotografie, aumentando la curiosità dei partecipanti. Sono state importanti, ancora per le attività intellettuali del workshop, le dinamiche dei focus group. Organizzati in piccole unità, i gruppi di lavoro sono cambiati nel corso del workshop, ed erano Erano auto-organizzati, con la presenza di un moderatore. E’ stato importante che il gruppo coordinatore abbia previsto che il miglioramento delle interazioni e dell’autonomia dei partecipanti. Credo che la questione dell’autorganizzazione sia stata fondamentale non solo per l’attività intellettuale, ma anche per le attività emozionali ed energetiche. Ogni volta che qualcuno voleva riunirsi in un gruppo o decidere dove posizionarsi ho sentito una grande energia, eravate molto coinvolti nel processo.

La questione dell’energia è molto connessa con il movimento del corpo. Nelle presentazioni tutte le persone erano interessate all’attività intellettuale, ma la parte energetica ed emozionale erano minori. Nelle attività esperienziali o pratiche, l’energia era più alta. Molto interessante è stato il modo in cui i partecipanti hanno trovato e si sono appropriati di nuovi spazi per lavorare. Cambiare gli spazi produce energia ed emozioni. Molto emozionale è stato l’incontro con Michelangelo Pistoletto, che ci ha dato la possibilità di entrare in un’esperienza artistica. L’esperienza è importante nei suoi valori: lo spazio, il movimento, il corpo e le attività fisiche sono connesse all’energia.

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Credo che sia stato realizzato un processo di trasformazione nel corso del workshop: siamo passati dalla prima curiosità, a tensioni fino ad arrivare a una maniera più rilassata di connetterci l’uno all’altro. E siamo giunti a un nuovo modo di parlare l’uno all’altro, a un nuovo modo di usare un linguaggio, nuovi modi di toccare l’altro. Questa è la più grande trasformazione che ho visto. In cosa è avvenuta la trasformazione? Nelle relazioni umane tra i partecipanti, nel linguaggio, nell’umore, nella coscienza, nel movimento del corpo, nelle relazioni con lo spazio e nel modo in cui si relazioniamo gli uni agli altri.”

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Disciplina Partecipante Discipline altre a cui si fa riferimento nella loro

metodologia

Studiosi citati bibliografia citata vimeo

Environmental communication

Alessio Sciurpa Sustainability, Ambient Intelligence (technology application)

Gregory Bateson, Mark Weiser, Donald Normand,

WCED, Our Common Future (Brundtland Report),1987. Norand, Donald. The design of everyday things. New YorK: Basic Books, 2002.

Art and Society Aliaa El Gready - ✓Video and Art Andrea Segre - no videoArt and Education Anne Bramford - no videoArchitecture and Urban Design

Belén Hermida Rodriguez

- no video

Dance Cristina Medina - no videoParticipatory Art Claudia Eipeldauer Social Work ✓Psychology Daniela Uslenghi Psychodynamic,

Transpersonal, Gestalt, Behavioural, and Cognitive

Tim Laurence, You can change your life, (sul metodo Hoffmann)

Marketing for the Arts Denise Rocca Evaluation as a tool for sustainability (in relation con il Fundraising)

Health Eliana Brizio Nutrition and well being no videoBio-Construction Emanuele Bottigella - no videoSocial Enterprise Emanuele Quintarelli Collaborative Knowledge

Ecosystem (New approach to Knowledge management)

John Edge ✓

Art Emilio Fantin - no videoCuisine Erick Vedel - ✓Economy of Art and Culture Guido Ferilli Industria culturale e della

creatività✓

Theatre Katharina Trabert - no videoNetworking and communication

Katherine Watson - no video

Cultural Policy & Management

Chris Naylor Psychology (Self-determination theory and the facilitation of intrinsic motivation, social development, and well-being)

Space Making Marco Lampugnani Etno-semiology, Geography, Journalism,

Art and Society Maria Rosa Gijon - no videoArt Maria Zanchi - ✓Art Mary Jane Jacob Buddhism John Dewey John Dewey, Art as Experience. 1934 no videoCuisine Maurizio e Grazia Rossi - ✓Medicine Max Ratking Somatic theory; Bergson and

the intuition method; Somatic Empathy

Henry Begrson, ✓

Spirituality Michael Wenger Integral theory Ken WIlber Ken WIlber ✓Art and Spirituality Michelangelo Pistoletto - ✓Social Enterprise Norman Lewis - no videoCuisine Rosanna D'Ambrosio - no videoIndustry Stefano Schiavo Storia della Tecnologia

(from Product orineted to costumer oriented in 1990s)/ Organization Science; KAIZEN

James P. Womack, Daniel T. Jones, Daniel Ross; D. Edward Deming.

Womack, James P., Jones, Daniel T. and Daniel Ross. The Machine that Changed the World: The Story of Lean Production. New York: Free Press, 1990

Psychology Thomas Legl Study on the Mantainance of Change, Patient oriented treatment (Flexibility)

Phylosophy Luigi Zanzi Entropia (Physics); Scienza della complessità (Coevoluzione, comportamento delle reti, processi biologici). Neuroscienze e filosofia della mente; immunulogia.

Stuart Kauffman; Gerald Edelman; Ilya Prigogine

Kauffman, Stuart. Esplorazioni Evolutive. Torino: Einaudi, 2005

Cultural Anthropology Fabio Pettirino Etnographic

FOCUS GROUPTRANSFORMATION

CO-PLANNING AND CO-OPERATION

SUSTAINABILITY Compassion Spirituality,

Neuropsicology, Psychology

Ecology over EconomyCOMMON GOOD

METHABOLIZATIONIncremental contamination

Bacteriology

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Glossario in Crossing Pathways

ARMONIAIn questo contesto è intesa come sintesi tra posizioni diverse, nelle rispetto della propria identità di ciascuna delle componenti. E’ connessa in questo senso al termine integrazione

ARTE PUBBLICACi si riferisce a pratiche artistiche e a un campo di ricerca che hanno fatto dello spazio pubblico il luogo privilegiato di intervento.

ARTE PARTECIPATIVACon questo termine vengono indicate quelle pratiche artistiche che a partire dalla fine degli anni ’90 comportano la collaborazione, in termini operativi e ideativi, del fruitore per la creazione e la realizzazione dell’opera stessa.

ARTE RELAZIONALENel 1998, Nicholas Bourriaud definisce l’Arte Relazionale come “l’insieme delle pratiche artistiche che prendono come punto di partenza teorico e pratico l’insieme delle relazioni umane e il loro contesto sociale, piuttosto che uno spazio autonomo e restrittivo.” (Bourriaud, 1998, p. 105)

BENE COMUNEIn questa ricerca si fa riferimento al bene comune come all’espressione dei bisogni ed esigenze di un contesto territoriale. Il bene comune non è inteso né perseguito come un valore assoluto né come concetto filosofico, ma viene realizzato sul piano della pratica attraverso un processo che considera in maniera sistemica l’osservazione e l’azione nel contesto. In Methods, viene definito come “l’insieme dei valori condivisi, assieme a tutte le caratteristiche che la comunità sente e decide come caratterizzanti per la propria definizione. All’idea di bene comune si lega anche quella di benessere come punto di arrivo di ogni processo che coinvolge gli individui.” (Fiore, 2010, p. 33)

COMMUNITY - BASED ARTQuesto termine definisce le pratiche artistiche che operano nel contesto di una comunità, ovvero di un gruppo di individui avendo interessi comuni.

CREATIVITÀSecondo artway of thinking, “la creatività è un’energia disponibile in ogni individuo consapevole” (terzo principio della metodologia di co-creazione). Le scienze dell’innovazione si basano sull’assunto che la creatività sia un carattere specie specifico dell’uomo (Ugo Morelli).

DURATA (di un progetto)La durata di un progetto può essere definita come l’intervallo di tempo in cui l’artista svolge l’analisi del contesto, programma l’intervento e la realizza. L’azione elaborata nel corso della presenza dell’artista sul territorio può terminare sia nel momento in cui l’artista termina il suo mandato, o continuare a posteriori, se è stata integrata nel contesto. (si veda il capitolo 5)

INTEGRAZIONEL’integrazione di un’azione in un contesto territoriale è il risultato di un’analisi integrata della società come espressa nell’approccio integrato, ovvero che tiene in considerazione più punti di vista. Un’azione può essere definita come integrata quando entra a far parte delle dinamiche sociali, politiche, economiche, e culturali di un contesto.

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METODOLOGIAArtway of thinking abbraccia la definizione di metodologia di Bruno Munari “Il metodo processuale non è altro che una serie di operazioni necessarie, disposte in un ordine logico dettato dall’esperienza. Il suo scopo è quello di giungere al massimo risultato con il minimo sforzo.” (Munari, 1981, p.16). (Si veda il capitolo 4)

NEW PUBLIC ARTNel suo testo Mapping The Terrain: New Genre Public Art di cui è editrice nel 1994, la critica ed artista Suzan Lacy utilizza il termine new per definire un nuovo tipo di arte nello spazio pubblico, ovvero quelle pratiche artistiche che porta gli artisti a diretto contatto con il pubblico e affronta i temi più urgenti del proprio tempo. New Genre Public Art era stato il titolo di un evento curato dalla stessa artista nel 1991 a San Francisco, durante il quale riunito artisti, curatori e altri operatori culturali a parlare delle proprie pratiche. (http://www.suzannelacy.com/mapping-the-terrain/)

OSSERVAZIONE SISTEMICANella pratica di artway of thinkinig, è lo strumento fondamentale per l’analisi partecipata del contesto di intervento nella sua complessità territoriale, sociale, culturale, naturalistica, economica e politica. Si sviluppa attraverso una lettura multidisciplinare.

PORTATORI DI INTERESSEIn inglese viene utilizzato il termine Stakeholders. Con questo termine utilizzato in ambito di business planning, si indicano tutti coloro che hanno un interesse attuale o potenziale in un determinato progetto. In questo testo, è stato utilizzato per indicare: l’intera compagine sociale che vive o opera o ha degli interessi (di varia natura) nel contesto territoriale in cui l’artista è chiamato ad intervenire. Sono inoltre portatori di interesse tutti coloro che, pur non avendo interessi attivi sul territorio, hanno interesse nel progetto specifico e/o sui temi in oggetto dello stesso.

SOCIALLY ENGAED ARTSTermine utilizzato in Gran Bretagna a partire dagli anni ’90 (Sophie Hope) per indicare pratiche artistiche per cui l’artista opera con individui (secondo modalità differenti) per la realizzazione di un opera

SOSTENIBILITÀIntesa come l’insieme di relazioni tra le attività umane la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali di permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non da non distruggere il contesto biofisico globale. Questa definizione implica la consapevolezza dei vincoli (intesa come l’insieme di relazioni tra le attività umane la loro dinamica e la biosfera, con le sue dinamiche, generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali di permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non da non distruggere il contesto biofisico globale).

SPAZIO PUBBLICOPartendo da un approccio morfologico, possiamo dire che lo spazio pubblico è costituito da spazi aperti o da spazi chiusi “di proprietà pubblica”, accessibili a tutti, e dedicati ad uso collettivo. In questo senso sono spazi pubblcii: le piazze, i parchi, i viali, le strade, le stazioni, con tutta la loro

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dotazione di panchine, statue, fontane, aiuole, spazi erbosi, ma anche i teatri comunali, gli stadi civici, i musei, il patrimonio storico-archeologico. (Tornaghi 2011). Lo spazio pubblico è tuttavia in sé stesso il luogo di negoziazione di interessi politici, economici, sociali, culturali, a cui l’artista deve far fronte nelle sue operazioni. Per una più complessa definizione di spazio pubblico nella società post-moderna si rimanda al testo della studiosa Cecilia (Guida, 2012, p. 33-43).

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SOGGIORNO DI STUDIO IN SCOZIA INTERVISTE

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Attività svolte

Il soggiorno di studio in Scozia, avvenuto tra il 1 Marzo e il 30 Settembre 2015 in collaborazione con Deveron Arts e SSW - Scottish Sculture Workshop, è stata un’opportunità fondamentale di confronto sui temi affrontati in questa ricerca.

Si sono svolte una serie di interviste, alcune delle quali riportate nelle pagine seguenti, con professionisti (artisti, curatori, project manager, accademici) che operano nel settore delle arti cosiddette “socially engaged”, e si ha avuto la possibilità di collaborare all’organizzazione di gruppi di discussione tra dottorandi e accademici in cui sono state analizzate le modalità di interpretazione delle pratiche oggetto di questo studio.

Al fine di comprendere più a fondo l’approccio anglosassone, si è condotta ricerca nelle più prestigiose istituzioni scozzesi. Accanto alle biblioteche delle organizzazioni ospitanti, sono stati consultati materiali presso la biblioteca dell’Università di St Andrews, del Duncan of Jordanstone College of Arts and Design a Dundee e la National Library of Scotland di Edimburgo.

Inoltre, si ha avuto occasione di vivere l’esperienza di una residenza di ricerca presso lo Scottish Sculpture Workshop, di partecipare ad eventi di arte partecipativa organizzati da Deveron Arts, tra cui la Slow Marathon, e di prendere parte alla conferenza Contemporary presso l’Università di St Andrews.

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Claudia Zeiske

Claudia Zeiske è di origine tedesca. E’ fondatrice e attuale direttrice di Deveron Arts, ad Huntly in Aberdeenshire. Dopo aver lavorato nell’ambito dei diritti umani in Olanda e in Africa, ha curato il programma di residenza di Glenfiddich.

Nel 2010, ha pubblicato un libro in collaborazione con Nuno Sacramento, Artocracy. Nel testo raccontate la metodologia che Deveron Arts ha adottato e adotta attualmente. Com’è nata l’idea di scrivere questo testo?

L’idea, a dire il vero, è nata da Nuno. Lui era un curatore in residenza con Deveron Arts. Prima di collaborare con Nuno avevo sviluppato i progetti seguendo ciò che consideravo interessante, con un’unica chiara convinzione: che non ero interessata in alcun modo ad artisti la cui pratica fosse “studio-based”. Nuno ha notato una coerenza metodologica nei progetti che Deveron Arts aveva sviluppato in dieci anni di attività e che lentamente l’avevano portata ad essere, da un’attività da tempo libero, ad un organizzazione professionale. Lavorando insieme, e attraverso la metodologia dello Shadow Curator da lui ideata, mi ha aiutato ad esplicitare quello che poi risulta essere l’approccio 50/50, (50% locale+50% internazionale, 50% community locale+50%artista, ecc...) L’aver esplicitato la metodologia che sottende ai progetti di DA ha in qualche modo cambiato la prassi curatoriale?

Non necessariamente, ma posso dire che questo testo diventa un utile manuale per me stessa quando mi trovo in difficoltà nel dare il giusto equilibrio ai progetti che stiamo sviluppando. La metodologia che abbiamo elaborato diventa una sorta di parametro su cui valutare la qualità di un progetto, il suo equilibrio.

Ma quindi poca flessibilità è ammessa nei differenti progetti?

Non necessariamente. Dichiamo che la metodologia funziona come un elastico: puoi allungarlo, ma non troppo altrimenti si strappa. Per questo è importante selezionare l’artista “giusto”, così come avere un progetto chiaro rispetto agli obiettivi e ai risultati fin da principio. Però quello che è importante è che un progetto sia coerente con il resto delle attività di DA. DA è un progetto curatoriale per sé.

Puoi spiegarmi il processo con cui vengono selezionati gli artisti?

La scelta dell’artista “giusto” è fondamentale. Non sto parlando necessariamente dell’artista di fama internazionale. L’artista che è in residenza con DA deve essere adatto al tema del progetto che dovrà sviluppare. Gli artisti vengono selezionati sulla base di tre parametri. Sui recordings di precedenti lavori, cioè sul loro portfolio; sulla base della loro coerenza rispetto al tema su cui DA vuole lavorare; e se sono adatti al contesto di Huntly, dove sono chiamati a lavorare. Ma il progetto con cui l’artista inizia la residenza è molto importante. Non si tratta di un progetto studiato in remoto dall’artista. Solitamente gli artisti sono invitati per una visita per un paio di giorni. Poi è l’artista a proporre un progetto sulla base del topic proposto da DA. Per tutta l’elaborazione del progetto, ma sopratutto nelle prime fasi di stesura dello stesso, l’artista si confronta e co-crea il progetto con DA.

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La fase di elaborazione collaborativa del progetto è più difficile quando si tratta di lavorare con artisti Africani (ne sono venuti un bel pò): sia perchè per loro è più difficile pensare a un progetto senza essere per nulla famigliari con il contesto; poi perchè non riusciamo ad invitarli per un periodo di studio preliminare. Ma il loro contributo, da una cultura e da una prospettiva così diversa, è sempre una ricchezza. In un certo senso, mi interessa molto di più il processo sviluppato da un artista che l’opera finita. E non necessariamente l’artista che chiamo a lavorare su un certo soggetto è un artista famoso. In molti casi non lo è. DA cerca di stimolare e offrire opportunità ad artisti locali. Ovviamente privilegiando artisti la cui pratica è partecipativa.

Mentre parlavi della metodologia hai parlato di “local community”, comunità locale. Quale pensi sia il contributo di DA rispetto ad Huntly? Quale impatto ha avuto sulla comunità di Huntly?

In senso lato, non pensando al contributo dei singoli progetti, DA ha portato una visibilità sui media impensabile per una città in recessione come Huntly; ma in qualche modo credo il dono più importante sia stato, come conseguenza di questo, una sorta di “pride of the place”, prima assolutamente assente. E poi certo, c’è il creative place award.. un premio con cui Huntlty, attraverso il lavoro congiunto tra DA e HDT (Huntly Development Trust), ha partecipato e vinto una consistente somma di denaro da destinare ad attività culturali nella città.

Cosa è significato, in relazione a questo, l’essere stata dichiarata “cittadina dell’anno”?

Inizialmente mi sono sentita molto in imbarazzo, poi ho pensato che finalmente -anche grazie il premio in denaro che la città ha vinto- DA è stata legittimata in città. Non che non lo fosse, ma è vero che la cittadinanza non ha sempre avuto fiducia nella qualità delle cose che sono state fatte. Questo, in conseguenza, ha portato ad aver maggior fiducia nel potenziale creativo di Huntly.

La comunità di riferimento non è solo la comunità locale, ma anche il mondo dell’arte. In che modo DA pensi abbia contributo a un cambiamento nel sistema dell’arte? Per esempio: quale il contributo di DA nel rapporto tra centro e periferia?

Questo è un tema ancora fonte di discussione. Se da un lato, viene ora riconosciuto che anche in centri periferici c’è la possibilità di sviluppare dei progetti di validità artistica, dall’altra, in alcune aree del mondo dell’arte queste pratiche non vengono tenute in alcuna considerazione. La differenza che per me è più forte, tra l’operare in un’area periferica invece che in una grande città riguarda le opportunità di networking. Certo, i mezzi di comunicazione hanno reso molto diversa la situazione, ma in ogni caso è su questo livello che si percepisce la differenza. In una grande città si hanno più occasioni per avere una cerchia di amicizie tra professionisti nell’arte e da questo possono nascere delle occasioni. La prossimità è opportunità di creatività. Diciamo però che, pur vivendo e lavorando ad Huntly, non posso dire di essermi mai sentita isolata, complice internet -introdotto proprio negli anni in cui DA stava venendo alla luce. Sarebbe stato completamente differente 20 anni fa. Poi esistono dei followers virtuali: persone che parlano e scrivono di DA ma che non sono mai stati ad Huntly e ci seguono soltanto attraverso il web.

Poi c’è l’impatto che l’esperienza di residenza d’artista a Huntly e di collaborazione con la comunità cambia le pratiche degli artisti, ha un forte impatto. Dopo questa esperienza, alcuni artisti considerano molto più interessante continuare a sviluppare delle pratiche community based, che lavorare in un modo più tradizionale. Un esempio di questo è l’artista Ross Sinclair.

A cosa ti riferisci, quando parli di DA?

DA è molto di più dei progetti che vengono sviluppati dai singoli artisti. C’è un progetto curatoriale che in qualche modo vuole essere coerente, ed avere un senso ad Huntly, la città in cui vivo. DA è un progetto in sé. Con una sua vision. In qualche modo, promuove un certo stile di vita, una certa modalità di operare. E con questo intendo che con DA si è superata la barriera tra arte e vita, e si dà fondamentale importanza al valore dell’ospitalità e di pratiche che in qualche modo siano utili al benessere dell’individuo, a partire dalle cose più semplici, come avere dell’insalata fresca in giardino o a cucinare un pasto comune in ufficio, anziché rosicchiarlo alla scrivania.

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L’aspetto che più mi ha molto colpito della mia esperienza con DA è stato il modo in cui vengono trattate le persone che lavorano o collaborano con DA. Ad esempio, mi ha molto stupita la riunione che è stata fatta sulla Slow Marathon. Tutte le persone che vi hanno partecipato, membri del team DA o anche artisti in residenza, o ricercatori come me, sono stati coinvolti nella revisione dell’evento. Si è discusso e l’opinione di tutti, stagisti compresi, è stata ascoltata e discussa con interesse. Beh.. diciamo che non è sempre così..

Per me, personalmente, è sempre di grande interesse avere persone nuove con cui confrontarmi. E’ per questo che spesso abbiamo stagisti da altre parti del mondo. Anche se il loro inglese non è perfetto, e parte del carico del lavoro ricade sugli altri (in termini di spelling e checking del writing), è davvero prezioso l’arricchimento che portano, con il loro diverso background. Lo stesso vale per Kate, per esempio. E’ stato un rischio assumerla, quando era la sola ad aver risposto al bando per il lavoro a non avere un background nell’arte. Ma è stata una scelta vincente, perchè è dalle sue specificità che il nostro lavoro in team si è arricchito notevolmente e, grazia alla sua presenza, abbiamo trovato un equilibrio per cui le sue competenze artistiche sono ora di ottima qualità. La specificità di ciascuno è un arricchimento al lavoro in team.

Voglio chiederti di un progetto di cui, quando ero qui, non eri molto soddisfatta. The Town is the Menu..

Si, ci abbiamo riflettuto molto in merito. Ma il punto è stato più a riguardo delle aspettative che ci si era creati rispetto a questo progetto. Si credeva si sarebbe potuto influenzare più in profondità le abitudini alimentari della città. Ma non è stato così. Il progetto ha comunque lasciato un’eredità nel paese. Ci sono persone ancora interessate a cucinare dei piatti tratti dal meraviglioso menù ideato da Simon. Certo, per cambiare un aspetto così radicato nella vita delle persone sarebbe necessario un progetto molto più articolato e di lungo periodo.

Ancora un paio di domande, relative a come DA è cambiata negli anni. Quanto ha influito il cambiamento nelle policies culturali del governo sulla curatela di DA?

Direi che sappiamo come fare in modo che le nostre attività si sviluppino senza esserne influenzate. Vero è che, proprio quando DA è iniziata, c’era stato un grande cambiamento nelle politiche culturali del paese. Quando Tony Blair aveva vinto le elezioni 20 anni fa, il suo motto era “Education Education Education”. Il governo Thatcher aveva sostenuto sopratutto l’arte “tradizionale”. In questa direzione era andato l’intero sistema. Quelle pratiche sono riuscite a far tesoro della possibilità offerta da Blair hanno infatti sviluppato un tipo di pratica che si fa carico di esigenze educative. Vero è che DA non ha i suoi fondi soltanto dalla cultura, ma anche da altri settori, come HNS, Forestry Commission e Rural Development Trust.

Cosa ha rappresentato Praktica in questo percorso?

Questa collaborazione con David Harding è stato uno step fondamentale per creare un sapere condiviso e massa critica, da poter mettere in relazione contro lo strapotere dell’arte tradizionale così detta “high art” che purtroppo ancora considera pratiche community-based come il risultato di determinate scelte politiche e di scarno valore artistico. Abbiamo pensato a una seconda edizione, che si svolgerà tra due anni. In realtà si tratta di un ciclo di 3 conferenze che si svolgeranno nei prossimi 3 anni, annualmente. Una sarà sul concetto di Cultural Health; la seconda sarà appunto la seconda edizione di Practika; la terza sarà un grande evento per fare un punto sui 20 anni di attività di DA e delle Socially Engaged Art Practices.

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Kate Sargent

Kate Sargent è project manager di DA dal 2012. Ha iniziato collaborare con DA dopo quasi dieci

anni di brillante carriera presso la Bank of Scotland di Edinburgh.

Lavori con Deveron Arts da quasi due anni. Prima di questa esperienza hai lavorato in un ambiente completamente differente. Quali competenze e capacità credi di aver sviluppato da quando hai iniziato la tua collaborazione con DA? Come sono connessi alla metodologia adottata da DA?

Credo che le mie competenze siano probabilmente rimaste le stesse, tuttavia la fiducia in quello che faccio è cresciuta, da quando lavoro con DA. Nel mio lavoro precedente, dovevo gestire un team di lavoro, giostrarmi tra differenti compiti e lavorare con delle scadenze. Sono sempre stata molto results driven e ho avuto dei riscontri positivi rispetto alle mie competenze manageriali, per quanto non ci credessi molto. Ora mi sento ancora results driven, ma la mia idea di cosa è un buon risultato è cambiata: sono più analitica rispetto alla qualità del mio lavoro, invece di dare per scontato cosa significhi fare un buon lavoro. Mi sento anche più sicura nel gestire dei gruppi di lavoro, nonostante debba affrontare sfide simili. Sapevo fin dall’inizio cosa ci si aspettava da me, ma non ho sempre capito il perchè. La metodologia di DA si è sviluppata dopo un lungo periodo di esperienza da parte di Claudia, ed è applicata da tutti i membri della team. Incoraggia i membri del gruppo a creare relazioni con la città, e con i visitatori attraverso l’ospitalità. Non penso che queste cose possano essere imparate, ma che ciascuno sia incoraggiato a sviluppare il proprio modo per farlo. Non sono molto propensa ai tradizionali metodi di networking, anche se mi piace incontrare nuove persone e metterle a proprio agio. Qui, specialmente durante l’estate, sembra di vivere in una bolla di sapone, come a un campo estivo. Penso che il mondo dell’arte sia una bolla, e capisci cosa sta succedendo solo se fai parte della bolla. La nostra bolla di DA crea un ambiente che consente alle persone di avere un’esperienza positiva, di star bene. Non è un circolo esclusivo di professionisti del mondo dell’arte: esattamente l’opposto! Invitiamo persone di qualsiasi background a partecipare alle nostre attività. L’arte che fa vivere un’esperienza positiva è pur sempre arte, no? Possiamo davvero pensare di invitare le persone per proporre loro delle esperienze negative? (Non ho ancora letto Claire Bishop, è questo ciò di cui parla in Artificial Hells?) Perché le persone vorrebbero partecipare per avere un’esperienza negativa? Un grande esempio di pratica partecipativa è Anthony Schrag – esploratore di tensioni e creatori di momenti di divertimento! I partecipanti sono consapevoli di star esplorando delle tensioni mentre si divertono? Mi viene anche in mente il dibattito sull’Indipendenza della Scozia [votato nel settembre 2014] dell’ Huntly Business Association. Claudia l’ha descritto come un’opera d’arte. Personalmente l’ho trovato disturbante, alle volte, ma i partecipanti sembravano divertirsi, così come gli osservatori esterni l’anno considerato un’esperienza positiva. Sono anche sempre stata un creative problem solver, e sebbene i problemi a cui devo far fronte ora siano molto differenti dalle questioni che ero chiamata a risolvere nella mia occupazione precedente, penso di aver acquisito un approccio diverso. Mentre il Walking Institute si sta sviluppando, è interessante osservare ed essere parte dello sviluppo di una nuova metodologia. Cosa funziona, cosa no, cosa può essere sviluppato e cosa no. Quale sfide stiamo affrontando.

Questa esperienza ti ha fatto cambiare attitudine verso la vita? e se si come? Perché credi succeda? Sarebbe stato diverso se non avessi lavorato con DA?

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Penso mi abbia aperto gli occhi verso una nuova filosofia di vita. Sono molto più felice, perché ho possibilità di conoscere persone che hanno valori simili ai miei. Ho aperto gli occhi a nuovi modi di pensare, e di vedere la realtà. E’ interessante poter conoscere diverse prospettive sulle cose. Ho molto meno tempo libero, ma lo trascorro in maniera diversa, godendo dell’aria aperta, dei negozi di seconda mano, o andando a piccoli eventi organizzati dalla comunità locale. Non sono stata capace di separare lavoro e vita come facevo ed qualcosa che ancora faccio fatica ad accettare! non penso che questo sarebbe accaduto in nessun altro ambiente. Penso si tratti di una combinazione tra le persone che ho incontrato e con cui lavoro e Huntly stessa.

Essere parte di un’organizzazione che si occupa di arte o percepirla attraverso i media è differente. Hai cambiato idea sull’arte partecipativa da quando lavori con DA? Se si, come?

Non sapevso nulla di arte partecipativa prima di venire ad Huntly. Quindi non posso dire che la mia opinione sia molto cambiata. Tuttavia la mia opinione sull’arte in genere è molto cambiata. Un intero nuovo mondo mi si è aperto davanti agli occhi. Mi si è sempre piaciuto godermi un bel quadro, così una mostra di installazione interattive. Per esempio, ho visto Sunflower seeds alla Tate Modern o il lavoro di Janet Cardiff che ho visto al Baltic di Newcastle. Sono anche una frequentatrice assidua di Timespan, ad Helmsdale, dove spesso mi godo i risultati di progetti che fanno da ponte tra arte, interessi della comunità e patrimonio..come il progetto Close Knit di Giulia Douglas. Forse, prima di iniziare a lavorare con DA, non è che non fossi a conoscenza delle questioni relative all’arte partecipativa, ma semplicemente non sapevo si chiamassero in questo modo, e di cosa realmente si trattassero. In ogni caso non sono molto consapevole delle sfide teoriche e delle questioni etiche intorno alle arti partecipative.

Quali sono stati i cambianti più significativi avvenuto ad Huntly da quanto lavori con DA?

Cambiamenti positivi: ha aperto The Linden Tree, un negozio che vende oggetti di artigianato, sia prodotti localmente she acquistabili su scala nazionale. Il precedente proprietario dell’Huntly Hotel spera di aprire un bistro con prodotti locali. Sta diventando difficile prenotare uno spazio per organizzare qualcosa in Huntly perché ci sono molte attività culturali. Costcutter ha iniziato a vendere verdura prodotta localmente in settimana. Cambiamenti negativi: hanno ridotto i bus verso Lumsden, rendendo SSW ancora più isolata. [Kate riferisce dei cambiamenti avvenuti nei business locali. Per il periodo in cui ho soggiornato in Huntly, non esisteva la possibilità di acquistare prodotti Km 0 pur trattandosi di un piccolo paese nella campagna scozzese]

Come credi DA sia percepita da Huntly?

Penso che ci sia una grande varietà di opinioni! Da quelli che apprezzano la crescita culturale e le esperienze che DA offre, a quelli che o non sanno o non sono interessati o non capiscono cosa facciamo e ci lasciano fare ciò che stiamo facendo, e anche coloro che pensano che quello che stiamo facendo sia folle e uno spreco di soldi.

Come credi che DA sia percepita dal mondo dell’arte?

Non avendo un background nell’arte per me è molto più difficile rispondere a questa domanda, visto che la maggior parte dei miei contatti dall’interno del mondo dell’arte sono stati sopratutto con persone di DA o SSW. Detto questo, è interessante vedere come molti professionisti dal mondo dell’arte hanno viaggiato e viaggeranno ad Huntly per partecipare ad eventi o per conoscere meglio quello che facciamo. DA è stata visitata da artisti e curatori di tutto rispetto, da membri di altre organizzazioni, studenti e artisti interessati a imparare dalle nostre pratiche. Un’altro modo per rispondere è dirti che Claudia è spesso invitata a parlare di DA, negli UK e all’estero. Da questo posso dire che DA è un’associazione rispettata nel suo campo.

Quanto di questo credi sia dovuto alle strategie di comunicazione adottate da DA?

Penso ci siano molti fattori ad influenzare questo. Prima di tutto credo sia dovuto al tempo e all’energia che Claudia devolve nel costruire e mantenere nel sistema dell’arte. Claudia è ben conosciuta localmente e ha un crescente network internazionalmente. Penso anche che a tutti gli artisti

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che visitano Huntly abbiano la possibilità di vivere un’esperienza interessante e indimenticabile, in cui l’ospitalità gioca un ruolo fondamentale, lasciando ricordi positivi delle loro visite. Queste esperienze sono importanti perché consente che si parli dell’organizzazione. Credo anche che il sito web contenga un grande numero di informazioni su DA e la sua pratica. Insieme ai nostri Social Media, alla nostra newsletter -cartacea ed elettronica, il web è il più importante contatto con il resto del mondo dell’arte, e trascorriamo molto tempo per spiegare al meglio il lavoro che facciamo. Inoltre, la nostra pubblicazione più popolare è stata Artocracy, che racconta cosa facciamo e come lavoriamo.

Huntly ha vinto il Creative Place Award in 2013. Questa è stata l’opportunità per DA e Huntly Development Trust di finanziare dei progetti culturali nati autonomamente dagli abitanti della città. Pensi che questo abbia influenzata il modo in cui DA è percepita dagli abitanti della città?

Un’indicatore di questo è che Claudia è stata nominata cittadino dell’anno nel 2013. Penso che il fatto che lei e Donald (direttore dell’Huntly Development Trust) fossero le forze promotrici per l’acquisizione di £40 000 per progetti culturali in città sia stato molto apprezzato e riconosciuto.

In che modo DA sta contribuendo alla città?

Uno dei contributi più importanti, io credo, è che sta dando una finestra al resto del mondo. Facendo arrivare artisti da tutto il mondo per vivere e lavorare in città, DA sta consentendo agli abitanti locali di incontrare persone da altri continenti e imparare da altre culture, che non avrebbero altrimenti avuto altre occasioni di conoscere. La nostra forte relazione con la scuola significa che anche i giovani possono beneficiare di questa esperienza, e non solo i membri della comunità interessati all’arte. Huntly è anche un posto ricco di attività culturali, alcune nate come progetti di DA, e altre che avrebbero potuto accadere anche senza questi precedenti.

Qual’è stato il progetto più soddisfacente da quando sei qui e perché? quale il meno?

Da quando sono qui, penso il progetto più di successo sia stato The Town is the Menu. Legato a un tema in cui larga parte della comunità era interessata. Simon Preston ha lavorato instancabilmente, parlando con un largo numero di persone. Si è relazionato con tutti i servizi di ristorazione della città, provvedendo una incredibile esperienza per una giovane chef locale. Il menu che ne è risultato è stato veramente ispirato dalla città e preparato con ingredienti locali. Sebbene il menu non abbia vissuto oltre nei business locali, la ricetta per il pane ideata durante quel progetto è ancora molto popolare. Simon ha anche iniziato altri progetti simili in altre cittadine.

Alcuni critici pensano che un impegno di lungo termine sia fondamentale per delle pratiche artistiche partecipate. Altri considerano il contributo di un esterno alla comunità come un valore in sé Qual’è la tua posizione come membro di DA e abitante di Huntly?

Penso che, per un membro di DA, sia fondamentale vivere in città, per -partecipando alle altre attività sviluppate in città [ricordiamo che Huntly ha 5000 abitanti!]- dimostrare quanto DA e il singolo siano impegnati e dediti al wellbeing e alle economie della città.

Cosa credi succederebbe se non ci fosse più DA?

Penso che la scuola risentirebbe della perdita. Forse altre attività culturaliI continuerebbero, tuttavia, perdendo il discorso critico che DA offre, diventerebbero più statiche. Anche le persone che credono che quello che facciamo sia folle, probabilmente perderebbero la spinta creativa che il confronto con quello che facciamo offre loro.

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Emily Wyndham Gray

Emily Wyndham Gray si occupa di curare programmi e servizi at SSW dall’ Aprile 2011. Precedentemente è stata project manager in un centro di scultura negli Stati Uniti e di una galleria d’arte a Londra.

Inizio da una domanda assolutamente informativa. Il website di SSW non propone i progetti sviluppati parallelamente alle residenze. Com’è possibile documentarsi e perchè della scelta?

Anzitutto il web è in fase di riprogettazione. Tuttavia i nostri progetti sono visibili sul nostro blog, a cui si può accedere dalla main page del sito. Nonostante neanche il blog sia esaustivo rispetto a quello che viene proposto, esso ha la funzione di far percepire ai fruitori che a SSW è un posto dinamico, in cui si crea discorso critico.

Grazie. Detto questo ti chiederei qual’è la vision che sottende i progetti e le residenze che vengono sviluppate qui?

SSW è un luogo in cui le persone vivono un’esperienza residenziale condivisa, che l’organizzazione si propone di facilitare e promuovere. Credo nelle relazioni organiche, che si sviluppano genuinamente senza forzature, senza la costante necessità di creare una struttura per al partecipazione. Organizziamo presentazioni dei singoli artisti coinvolti, ma molto più spesso conversazioni emergono naturalmente, anche grazie al contesto. Gli artisti e i ricercatori che vengono SSW passano attraverso un filtro, la scelta di Nuno e la mia. Siamo noi a decidere gli artisti a cui commissionare dei progetti o ad accettare residenti sulla base dell’interesse genuino e motivato che dimostrano nei confronti dei temi che affrontiamo ad SSW, piuttosto che nell’esperienza di una località remota, o nei laboratori che mettiamo a disposizione. L’esperienza residenziale, di vivere in questo contesto -condivisa a vari livelli-, cambia a seconda delle persone che sono di volta in volta presenti. I ritmi, i discorsi che vengono sviluppati, l’energia creativa. L’esperienza fluttua a seconda delle persone, molto diverse seppur da noi selezionate, che partecipano a quanto proponiamo.

Abbiamo parlato una volta delle due comunità a cui si rivolge SSW. La internazionale di artisti e quella locale degli abitanti di Lumsden. Puoi parlarmi di quest’ultima?

Mi ci è voluto del tempo per comprendere quale dovesse essere la relazione tra SSW e Lumsden. SSW è in se stessa una comunità. Così è Lumsden, in cui SSW è inserita. Come i residenti della città, SSW contribuisce e investe nella comunità, prende parte attivamente alla attività che vi vengono sviluppate: si comporta come un ATTIVO MEMBRO della comunità. In questo modo, avviene uno scambio tra SSW e gli abitanti del paese, che -quando funzionante- allarga le prospettive di entrambi. E’ un atteggiamento di per sè molto differente da quello delle organizzazioni che promuovo un palinsesto di eventi e presuppongono che la comunità entri e sia un pubblico per esse.

Puoi raccontarmi di un progetto particolarmente ben riuscito, nel creare un dialogo tra le così diverse comunità di Lumsden?

Direi Natural Bennachie, sviluppato tra l’aprile 2013 e l’aprile 2014, con i fondi di Creative Scotland e Scottish Natural Heritage. E’ stato un progetto che ha messo in dialogo diversi attori: artisti di alto livello, specialisti di varie discipline (geologia, antropologia, agronomia..), e la comunità rurale locale. Si sono svolte, a livello locale conversazioni che hanno consentito scambi impensabili senza questo

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progetto, aprendo prospettive da entrambe le parti. Per esempio tra artisti, i cui lavori si possono trovare a Tate Modern e abitanti di zone rurali che non hanno alcun interesse per l’arte in sè.

Come si vive il confronto tra Rurale e Urbano as SSW? in che modo il discorso da esso sviluppato contribuisce alla dicotomia tra rurale e urbano?

Diciamo pure che qui a SSW viviamo quotidianamente il tema della ruralità, e si esprime in una serie di problemi pratici di ogni giorno. L’accesso a ogni cosa è problematico: al cibo, ai trasporti pubblici, alla rete internet ..! e questo è fondamentale perché segna una grande differenza rispetto alle organizzazioni che sono localizzate in città. In ogni caso però, il modo in cui affrontiamo le tematiche e le discussioni, vuole essere a un livello tale da prescindere il luogo… La nostra posizione geografica fa emergere temi e argomenti di discussione, e non si può fare a meno che sia così, che sono comunque delle urgenze a carattere planetario! Ad esempio si parla di ambiente, luogo, legacy.

Con Nuno abbiamo parlato del Commons, del bene comune. Quanto questo informa le pratiche di SSW? Qual’è la tua posizione in merito?

Io e Nuno abbiamo approcci molto diversi al tema. Mentre lui si interessa a cercare nuovi studi e nuovi sistemi di vita per il futuro, guardando agli esempi di valore del passato, io invece guardo a quelli che sono le conseguenze della società capitalistica sul nostro modo di vivere contemporaneo.

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Anthony Schrag

Anthony Schrag è un’artista che si occupa di pratiche partecipative. Ha lavorato in Canada, USA, Mexico, China, Hungary, Norway, Denmark, Holland, Germany, and Iceland as well as across the UK. Ha collaborato con DA nel 2011 (A perfect Father’s day?). Al momento stoa collaborando con Claudia Zeiske a “A lure of the Lost: a contemporary Pilgrimage”.

Prima di entrare nel merito ai temi di partecipazione e cambiamento sociale in relazione alla tua pratica, vorrei chiederti di raccontarmi e mettere a paragone le tue esperienze presso Deveron Arts e TimeSpan, e come esse differiscono dalla tua pratica precedente e successiva.

Da dove iniziare.. entrambe le esperienze sono state importanti per lo sviluppo della mia pratica.. ma forse devo fare qualche passo indietro per poter spiegare meglio.. Entrambe le esperienze hanno un punto d’accesso che è fondamentale per le questioni relative alle pratiche partecipative e specialmente quando si tratta della rilevanza della politica in relazione al cambiamento sociale, rinnovamento sociale. Il mio PhD guarda al rapporto tra artisti ed istituzioni, ma se facciamo riferimento alle istituzioni con cui avevo lavorato nel passato (prima di collaborare con DA e TimeSpan), esse avevano un obiettivo preciso, ovvero sapevano che tipo ti outcome volevano ottenere dal progetto, e quale tipo di cambiamento prima ancora che iniziassi a lavorare. Questi non sono stati dei progetti di gran valore. Al contrario, i progetti sviluppati con TimeSpan e DA sono stati molto produttivi perché l’approccio era diverso in partenza. Mi hanno proposto dei temi, qualcosa di rilevante per la vita delle persone con cui lavorano, e mi hanno invitato a fare “qualcosa”. Forse perché ero ancora un giovane artista quando sono stato a DA, forse per il solo fatto di aver tutto quel tempo a disposizione, quegli strumenti.. il fatto di avere tutte queste persone a conoscenza di cosa stavo facendo.. Lavorare con DA è stata un’esperienza estremamente formativa, mi ha aiutato a meglio comprendere cosa volevo realmente fare. Non intendo dire che non avessi esperienza precedente: avevo già avuto esperienza di residenza, ma solitamente stava a me trovare una comunità con cui lavorare, veniva richiesto uno specifico outcome, c’erano delle persone dell’organizzazione con cui lavorare. Invece, entrambe le esperienze di DA e TimeSpan sono state perfette. Entrambe sono “embedded”, inserite nella comunità locale, e qualsiasi tipo di persona è disposta ad aiutare.. diciamo che era presente una struttura, di cui potevo entrare a far parte. E anche nel caso avessi voluto avanzare delle critiche alla struttura stessa, mi era stato offerto lo spazio per avanzarle. Entrambi i progetti sono stati molto formativi, e soprattutto quello sviluppato a DA. Avere quel “support network” che mi consentisse di sviluppare il tipo di progetto che volevo esattamente sviluppare, mi ha permesso di crescere come artista in un modo che, partecipando ad una residenza a Glasgow o a Vancouver (dove sono stato recentemente), è difficile accada perché si rimane incastrati in ogni tipo di questioni amministrative. Io dico sempre: come si fa a sapere se si è un buon socially engaged artist? mi rispondo: come definisci un buon pittore? quando sai dipingere bene. Allora per essere un buon socially engaged artist, allora devi essere bravo a socially engage.. Nel contesto in cui sono ora per esempio (sud Africa), in cui non ci sono molte occasioni di uscire, di incontrare persone, non penso di star sviluppando un buon progetto perché non sto davvero “engaging socially”.. l’organizzazione ha verso di me un tipo di aspettativa che si ha per un’artista che lavora in studio, e quindi mi provvedono di uno studio, ma questo tipo di progetti (socially engaged) necessitano di un diverso tipo di struttura.. che invece TimeSpan e DA offrono.

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E come hai elaborato i progetti indirizzati alle due organizzazioni? li hai pensati e concepiti in maniera differente?

Ho sviluppato un paio di progetti con Deveron Arts, su dei temi specifici (Father’s day); il tema propostomi da TimeSpan era più ampio e mi consentiva di poter far rientrare più elementi nella tematica in generale. Il primo aveva già una sorta di specifica direzione. Penso in entrambi i casi, i temi propostimi fossero coerenti con il contesto. Poi è differente lavorare con una comunità di 600 persone [Helmsdale] e con una di 4000 [Huntly]. Detto questo, ho una sorta di legge del 10%, e sembra funzionare: “no matter what community you work with, only 10% of it is going to engaged with your project”. Quindi, in TimeSpan, avrei avuto un grande progetto se fossi riuscito a far partecipare 60 persone; e in DA, abbiamo avuto un’eccezionale presenza di quasi 400 persone. E non penso sia male, perché le persone presenti erano quelle che volevano essere coinvolte, che erano interessate. Non un’intera comunità può essere interessata nello stesso tema. Quindi, una differenza tra la mia esperienza con DA e quella con TimeSpan mi pare riguardi la scala delle cose che possono essere fatte. In TimeSpan, era più facile programmare eventi a una scala maggiore, perché c’era molto di meno: meno eventi, meno burocrazia.. per esempio, proponevo di fare qualcosa, e la risposta era: “andiamo a parlare a quella persona, che ha le chiavi per quell’ufficio, quello spazio, quella stanza..”. Visto che si tratta di una piccola comunità, devi solo rivolgerti a una persona, mentre per DA la prassi burocratica -i temi e le attese delle richieste di permessi- attraverso cui DA si muove con estrema agilità (ed è una fortuna che essi abbiano uno staff allargato, per seguire tutto questo)- richiedono tempi diversi. Odio essere stereotipi sui tedeschi, ma sia Claudia che Anna dirigono il loro staff in maniera molto chiara, tracciano confini tra cosa si può e non si può fare, e lo fanno in maniera trasparente e chiara. Ed è una cosa che, come artista, amo molto. Come “socially engaged artist”, che quindi si occupa di relazioni, è utile (quasi un sollievo) questo modo di circoscrivere l’azione. Sono stati coinvolto in altri progetti, in cui dopo due mesi di lavoro ci siamo trovati a dover ricominciare dall’inizio. Penso che avere una “guida chiara” sia centrale.

E’ molto interessante la questione del cambiamento sociale, in relazione ad esse. Nessuna delle due si aspettava un cambiamento sociale. Come dire; “Cosa vuole dire cambiamento? chi decide il cambiamento? Chi decide cos’è meglio e cos’è peggio? Anche la guerra è cambiamento sociale.” Mi è molto piaciuto anche questo approccio.

.. In effetti, quando ho parlato con Anna e le ho chiesto come interpreta il “cambiamento sociale” e se poteva indicarmi un’istituzione impegnata nel cambiamento sociale, lei mi ha parlato di Tesco, dimostrando chiaramente la sua posizione in merito..

C’è qualcosa di interessante in questo. Entrambe provengono da un precedente diverso da DA. Entrambe non hanno il chiodo fisso del “Cos’è arte?”, “cosa dobbiamo fare?” la difficoltà con queste pratiche è che sono così collegate con la politica, e come se queste fossero spesso allineate a uno specifico tipo di politica.. e questo non significa che si tratti di buona arte (se ideologica). Perché quando lavori con una certa comunità, le persone possono avere una diversa ideologia, e non puoi forzare la tua ideologia su di loro. E’ difficile quando entra in gioco il tema del cambiamento sociale, perché dalla prospettiva delle policies, c’è un’aspettativa di miglioramento. Ma se dobbiamo stabilire cos’è meglio, allora dobbiamo avere un’ideologia a cui riferirci per stabilire cos’è meglio, e in questo modo lo “forziamo nelle persone”. Quindi ci ritroviamo ad occuparci di ingegneria sociale. Ne ho proprio parlato oggi (e non so se questo possa essere interessante per te), tra educazione e partecipazione. Da un punto di vista di certa pedagogia, tu sei un contenitore vuoto e sta a me, artista, a riempirti di conoscenza. Partecipazione è “eccoci qui ora, io e te. Cosa sappiamo?”. E questa è una cosa meravigliosa in relazione a TimeSpan e DA, perché non viene utilizzata l’idea di educazione nei loro progetti. Lavoro spesso con una curatrice a Glasgow, Kate Bruce. C’è una differenza nel fare arte in un museo.. perché nel museo stai educando un pubblico.

Non è forse più facile, in una grande istituzione, giustificare e inquadrare queste pratiche partecipative come educazione?

Si, ma significa negare le potenzialità e la storia di queste pratiche. Io non credo che l’artista David Hardy dovesse giustificare -indicandolo come educativo- un suo progetto negli anni ’60. Penso che il fatto che un’istituzione si riduca a parlare di questi progetti come “semplicemente” educativi, dimostri

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una sorta di pigrizia, e neghi un tipo di pratiche militanti che ha radici nella storia, e che esiste da oramai ’50-’60 anni.

Come ti definisci come artista? Come “etichetti”, quando necessario, la tua pratica?

Cerco di non etichettarla.. Ho appena scritto un articolo intitolato “artist as social worker vs artist as social wonker”. In breve, scrivo di come esistano diversi modi di intendere queste pratiche e di etichettare gli artisti che se ne occupano: socially engaged artist, community artist, relational artist. Io mi sento più allineato al termine participatory artist. Ma se potessi scegliere, direi : “lavoro con le persone”. E non significa che le persone diventano il materiale. Ci sono numerosi artisti che usano le persone come materiali, facendo loro svolgere il proprio lavoro. Io direi che lavoro con le persone, a fianco delle persone.

Parliamo della tua pratica. Qual’è il punto di partenza per un lavoro che ti viene commissionato?

Cambia molto, di volta in volta. In un processo ideale, mi interrogo sulla natura dei rapporti fra l’istituzione e le persone. Successivamente mi interrogo su quelle che sono tematiche interessanti e fertili relative a questo rapporto, o alla comunità in sé, specifiche al contesto spazio-temporale. Di solito, questo risulta nel formulare una/delle domanda/e, spesso provocatorie. Ma è per vedere se riesco ad ottenere una varietà di risposte. A TimeSpan ho sviluppato un progetto sulle Clearances*, e di conseguenza la mia domanda è stata: Cosa fosse accaduto se le Clearances non fossero mai accadute? Come sarebbe stato diverso? Allora son uscito, filmando o semplicemente parlando con le persone, interrogandomi su quanto questa domanda fosse coerente quando e se posta in questa comunità. Dopo questa prima fase, emergono i punti di vista conflittuali. E mi metto a riflettere su come poter far vivere a ciascuno l’esperienza del punto di vista dell’altro. A DA, la domanda era: “Qual’è l’utilità di un padre?” e il modo con cui ho posto questa domanda è stato visitando delle famiglie e invitandomi a cena, e chiedendo di parlare con loro di paternità. E dalle risposte sorgono ulteriori domande. E’ come avere dei nastri annodati e lanciarli alle persone: ciascuno ne coglie uno differente. In un mondo ideale, tutti i temi affrontati trovano un punto di incontro, un nodo, un punto di contatto. Per DA ha funzionato perfettamente perché durante il mio soggiorno cadeva il giorno della festa del papà. A TimeSpan è stato più complesso trovare un punto in comune. Il modo migliore per concludere un progetto è che tutti i coinvolti si riuniscano una volta terminato. Purtroppo, non sempre avviene. Il problema di quando ci si trova a lavorare in un contesto in cui l’istituzione commissionante il lavoro non ha una comunità di riferimento, è che ti ritrovi a trascorre molto tempo a trovare una comunità con cui lavorare, e un tema. E in quel modo è davvero difficile, perché senti che in qualche modo stai forzando un tema. Southland Gallery è un’ottimo esempio di un’istituzione artistica che ha una rete stabilita con la comunità locale, poiché ha lavorato per anni con una specifica comunità. Quando mi hanno invitato, mi hanno chiesto di lavorare su una comunità esistente (noi gestiamo le relazioni, tu ti appoggi alla nostra rete), con cui era già costruita una relazione. Per alcuni artisti può essere una richiesta quasi offensiva, per me non lo è perché si tratta anche di responsabilità.

In relazione a questo mi viene in mente un commento di un altro residente di DA. Nella sua opinione, il fatto che la rete su cui si costruiscono i progetti a DA sia spesso la stessa, creava un senso di già visto, di già fatto, una sospensione del senso di sorpresa. Cosa ne pensi? Non è questo il rischio che si corre a lavorare su una comunità con cui opera da tempo una istituzione culturale?

Si, certo. In questo modo si rischia di “bruciarsi” la partecipazione. La questione è quindi più ampia e richiede lo spazio per mettere in discussione il modo in cui l’istituzione si relazione con la comunità. E questo significa che, quando si è commissionati un lavoro con una comunità, non si è soltanto chiamati a lavorare con una comunità ma con l’istituzione stessa. Non si tratta di una via a senso unico. A DA sono stato molto fortunato per il tema, perché mi ha concesso di dare uno sguardo in parti della comunità in cui DA non era mai arrivata. Da un lato è stato positivo per DA, per ottenere nuove persone coinvolte, e dall’altra ha fornito una nuova chiave di lettura per ripensare il suo stesso modo di rapportarsi con Huntly. Questo essere critici, lo vedo come un ruolo dell’artista stesso.

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La relazione tra istituzione e comunità è biunivoca, proprio perché di relazione si tratta - o almeno lo dovrebbe essere. E se l’artista entra in questo scambio, allora deve mettersi in relazione ad entrambi gli elementi…

Certo. Nel mio PhD considero tre elementi. L’istituzione artistica, la comunità, l’artista e tutte le interconnessioni. [..] L’istituzione deve continuare ad interrogarsi continuamente sul suo rapporto con la comunità e con l’artista.

E forse è questa necessità di ripensare continuamente questi equilibri che sta portando DA a muoversi in direzione del Walking Institute. Abbiamo avuto una conversazione, una volta, io e Claudia Zeiske durante una passeggiata. E lei mi aveva detto: “Tornassi indietro non lo chiamerei Deveron Arts”. “Perché?” Le ho risposto. E lei: “Perchè si rischia di rimanere incastrati con l’arte”.

Nella mia conversazione Claudia, lei mi ha detto che, la cosa più interessante per lei è il tempo e i dialoghi con gli artisti, più che il prodotto artistico elaborato a fine residenza.

Si, è sai qual’è la cosa più curiosa? che questo è esattamente l’atteggiamento di un “partecipatory artist”. Quello di dare valore alle conversazioni, al tempo trascorso con le persone, più che l’oggetto prodotto alla fine. E ho fatto questa conversazione con lei, e lei mi ha detto che non si vede come un artista. Non è necessario metterle forzatamente questa etichetta, ma il suo approccio è decisamente artistico.

Torniamo al tuo lavoro. Pare tu non abbia una metodologia prestabilito..

Diciamo che porre domande, è una costante del mio lavoro. Così come usare il cartone. No, non ho una metodologia fissa, se quello che intendi è .. avere un programma di azioni costante e prestabilito. Uso ospitalità, generosità, humor.

Esiste un tempo ideale per realizzare un progetto efficace?

Dipende da progetto a progetto. Ci sono dei bambini con cui ho lavorato a DA con cui son ancora in contatto. In qualche modo, quel progetto, seppur io non sia più presente ad Huntly, sta ancora continuando. Altre volte son stato in residenza una settimana e il progetto era già terminato. Un buon progetto è un progetto complesso, che fa paura a guardarlo. Vado in un posto per mesi e pongono delle domande. Non considero il mio lavoro quello di dare risposte a questi problemi, di trovare le soluzioni. Il mio lavoro è di iniziare un processo, facilitare una parte dello stesso, ma alla fine della giornata sta alla comunità stessa la volontà di cambiare.

Ultima domanda. Avere un’artista che viene da fuori è positivo?

Dipende da progetto a progetto, ma in linea di massima direi che portare uno sguardo esterno a un contesto è positivo. Essere molto legato ad un contesto porta ad entrare nelle politiche e nelle dinamiche di un luogo e, in qualche modo, inizi a implementare la tua personale utopia. Di nuovo, credo che il ruolo di un artista sia importante, ma per me è fondamentale essere un outsider rispetto a un contesto. E non è questione di capire meglio un contesto, ma semplicemente in maniera differente.

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Simon Preston

Simon Preston è un food consultant che si occupa di ideare e realizzare progetti relativi al cibo. E’ direttore del Festival EAT!NewcastleGatershead: http://www.newcastlegateshead.com/eat-festival Nell’inverno 2012 è stato in residenza presso Deveron Arts. http://www.deveron-arts.com/simon-preston/ In quell’occasione ha realizzato il progetto The Town is the Menu, di cui attualmente cura un’edizione rivisitata in altre località degli UK per la BBC.

Nel dicembre 2012 ha sviluppato un progetto con Deveron Arts “the Town is the Menu”. Qual’è stata la tua esperienza con Deveron Arts? Nello specifico, mi piacerebbe mi parlassi di come ti sei trovato nel relazionarti con Huntly.

Si, nell’inverno del 2012 ho sviluppato questo progetto, il cui titolo echeggia il motto di DA (the Town is the Venue) grazie al fatto che Claudia Zeiske si interessa ad esperienze che vanno al di là delle discipline strettamente artistiche. Il mio scopo era quello di creare un menù ispirato alla città, alle sue storie, alla sua geografia, alla sua cultura, alla sua storia. Era la prima volta che mi occupavo di un progetto simile ed è stata un’esperienza nuova per me. Di grande libertà creativa e sperimentale. Libertà che è un privilegio, ma un limite al tempo stesso per le difficoltà che questo comporta. Con grande entusiasmo e freschezza mi son dedicato a questa nuova esperienza, ma al tempo stesso mi son sentito più volte scoraggiato. Questo perchè ho avuto la sensazione di aver percorso vie già percorse da altri artisti, e quindi stanche. Di aver fatto cose per me nuove nella modalità ma che lo staff di DA e la comunità stessa aveva visto ripetersi per anni nel passaggio dei diversi artisti. Ho avuto la sensazione, non troppo gradevole di essere li a “reinventare -per l’ennesima volta- la ruota”. E questo mi sembra in qualche modo “uno spreco”, un continuo ricominciare da capo nell’intessere le relazioni, nell’ideare metodologie per coinvolgere le persone, e ripercorrere lo stesso percorso senza progredire.

Quale è la fondamentale differenza tra il Festival che dirigi e il progetto che hai sviluppato con DA?

Beh.. Il festival è un evento culturale, ma sopratutto commerciale. C’è bisogno di fare grandi numeri e a questo scopo cerco di fare in modo di rendere l’evento il più accessibile possibile, di portarlo alla gente, di rendere l’esperienza piacevole. Per “the Town is the Menu” invece ha un’altra valenza. Non è il numero ma la qualità delle relazioni che conta. La possibilità di cambiare in qualche modo la vita di una persona, anche solo una, e promuovere l’idea che il cibo è molto di più che nutrirsi.

Ci si aspettava che The Town is the Menu e il piatti da te ideati lasciassero un’eredità nella città. Cosa ne pensi?

Lo so, più di una volta ho ricevuto a posteriori, questa critica. Ma lasciare un’eredità non è mai stata nelle mie intenzioni. Non era il mio scopo, non quello di cambiare l’alimentazione di Huntly, anche perchè magari le persone cucinano gli stessi piatti nell’intimità delle loro case senza necessariamente riferirsi al Menu. La mia intenzione non è mai stata quella di divulgare il menu, ma di idearlo. “Di creare o esplicitare una cultura gastronomica per una località a cui ne manca una”. So che sarebbe stato molto dispendioso tenere in vita delle attività per divulgare il menu, il costo di un altro progetto.

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Anche in termini di personale. DA non ha uno chef, ne forse il tempo per dedicarcisi..

Lo so, ma sono contento che si cerchi comunque di tenerlo in vita: quando ricevo inviti a eventi di DA leggo che sono accompagnati da degustazioni del menu. So che fino a tempo fa continuavano a vendere il pane, la “signature loave” al mercato dei contadini, il primo sabato del mese.

si, l’hanno fatto almeno fino ad Halloween. Ma il pane è cambiato così tanto...

Il cibo è un media deperibile, bisogna continuamente crearlo e nel ricrearlo cambia. Però resta un ricordo di quello che è successo.. il panettiere che ho coinvolto ad Edimburgo ha imparato da questa esperienza. Ha portato con sé e divulgato i racconti di questa esperienza.

Dopo la tua esperienza di DA, hai sviluppato con la BBC un programma che ispira a questo progetto, puoi parlarmene? magari in paragone a con l’esperienza in Aberdeenshire.

e si... lo puoi vedere... L’idea del progetto è di creare una cultura del cibo per delle città che non ne hanno una. Le tempistiche sono diverse, molto brevi. Siamo sul posto per un solo giorno, ma svolgo delle ricerche a distanza e telefoniche parlando con persone che possono raccontarmi storie e la storia della città. Poi mi metto in contatto con degli chef, e racconto loro i temi (di solito una decina) che sono emersi dai racconti che ho raccolto. Sono molto ricettivi gli chef, e creativi. Vedi davvero le doti di ciascuno emergere. E poi chiedo loro di ideare un piatto. Quando arrivo in città per registrare mi presentano il piatto, e registriamo la presentazione. Poi incontriamo diverse persone della città e faccio loro delle domande che in qualche modo riflettono quanto ha ispirato il piatto. Tempi e modi sono molto diversi da quelli del progetto sviluppato ad Huntly, ma mi colpisce sempre il modo in cui le persone restano colpite e affascinate dal piatto che creiamo. Si raccolgono dopo la registrazione e ne discutono, se ne appropriano, hanno un desiderio di farsene proprio. Hanno sospeso il loro scetticismo e si sono lasciati affascinare da questo.

Hai trovato lo stesso in Huntly?credi che il fatto che gli abitanti di Huntly siano stati sottoposti a tale ripetuta esperienza siano allo stesso modo propensi a lasciarsi stupire, sorprendere?

No, ad Huntly, le persone - forse così abituati a quanto proposto da DA- hanno saputo sorprendersi, godere di meno di quanto veniva proposto.

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Anne Murray

Anne Murray è una designer che ha indirizzato la sua pratica verso gli interventi “community based”. Originaria dell’Inghilterra ma residente in Huntly, attualmente è impegnata in una serie di progetti in Aberdeenshire. Tra questi Creative edges, progetto pilota che intende inserire figure di creativi in ambito scolastico per sostenere gli studenti che dimostrano spiccate capacità creative, ma che hanno difficoltà con le canoniche materie dell’insegnamento. Il progetto, finanziato dall’Aberdeenshire Council. Nel 2013, ha collaborato con Deveron Arts al progetto River Deveron. With and Against the flow, con il musicista folk Jake Williams.

Dopo aver partecipato alla residenza con Deveron Art lo scorso anno, sei stata impegnata in diversi progetti. Puoi farmi una panoramica del tuo lavoro al momento?

Sto principalmente seguendo due progetti: Creative edges, un progetto per la creazione di un tweed per l’Aberdeenshire e sto attivando collaborazione con il progetto di Scottish tapestry. Creative edges è un progetto pilota per l’inserimento di professionisti della creatività a sostegno delle stesse e per la valorizzazione delle professioni creative. Sto anche elaborando un progetto che ha l’obiettivo di realizzare un tweed in collaborazione con gruppi di persone con cui son in contatto in Aberdeenshire. L’obiettivo è quello di creare questo prodotto per dare un nuovo “brand” alla regione e offrire un prodotto locale ai turisti per, al tempo stesso, riattivare la tradizione artigianale locale.

Nella prima edizione di Methods, due artiste hanno presentato la loro esperienza di inserimento temporaneo in delle aziende. Puoi raccontarmi qualcosa di più sul Creative edges e come si sta svolgendo il tuo inserimento nella realtà educativa?

12 creativi freelance (Advertising, Architecture, Arts and antique markets, Crafts, Design, Designer Fashion, Film, video and photography, Software, computer games and electronic publishing, Music and the visual and performing arts, Publishing Television, Radio and cultural professionals from museums libraries and archives) sono stati selezionati per collaborare con alcune scuole sul territorio (Fraserburgh, Peterhead, Banff e Turriff) considerate come svantaggiate. Il progetto si è svolto in due fasi. Una prima fase in cui abbiamo incontrato gli studenti e li abbiamo aiutati a elaborare dei progetti extra-curriculari sulla base dei loro interessi e delle loro inclinazioni. La seconda fase, che inizierà a breve, sarà invece finalizzata a creare una collaborazione tra diversi alunni e scuole sparse sul territorio per la realizzazione di uno spettacolo finale.

Qual è l’obiettivo del progetto?

Creative Edge é un progetto per le industrie creative finanziato dall’Aberdeenshire Council all’interno del programma ‘Be Part of the Picture’ che ha lo scopo di migliorare la comprensione e aumentare la consapevolezza nell’ Aberdeenshire dell’esistenza di professioni dell’industria creativa. Dal punto di vista educativo, il progetto si è proposto di sostenere quegli alunni che dimostrano di avere un potenziale creativo e pratico, ma dimostrano difficoltà con le materie di insegnamento canoniche e che quindi vengono solitamente esclusi dall’accesso a progetti stimolanti.

Quale pensi sia il tuo ruolo di artista all’interno di questi progetti?

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Il creativo ha in questo progetto il ruolo di “facilitatore” di creatività, in un certo senso. Chi ha deciso di partecipare a questo progetto vuole mettere le proprie competenze a disposizione per aiutare ragazzi e ragazze a sviluppare il proprio potenziale creativo e ad aver fiducia in esso. Tutti abbiamo un potenziale creativo, e l’artista ha il compito di facilitarne l’espressione.

Avete collaborato con professionisti di varie discipline, o quanto meno nel campo dell’educazione, per portare avanti questo progetto?

Dipende dalle scuole. In alcuni casi le insegnanti sono state molto disponibili e hanno tenuto in considerazione il progetto. In altri, siamo stati considerati quasi come intrusi, che avrebbero dovuto essere parte soltanto delle ore di educazione visiva. Anche la Gordon School di Huntly avrebbe necessità di essere coinvolta, ma visto che c’è DA in città, l’Aberdeenshire council ha deciso che la necessità di creatività in città era soddisfatta dall’offerta. Io però non penso sia sufficiente.

In che senso?

DA non sviluppa progetti a lungo termine per includere o facilitare la creatività delle fasce di studenti spesso marginalizzate. Si rivolge a target che in qualche modo sono già integrate in qualche società o gruppo e solitamente lo fa attraverso workshop tematici legati ai progetti degli artisti che sono in residenza per un breve periodo di tre mesi.. magari vedono gli studenti nelle scuole un paio di volte e poi se ne vanno. Non c’è un progetto di sensibilizzazione alla creatività e all’inclusione pensato sul lungo termine.

Quindi secondo la tua prospettiva un progetto deve essere pensato sul lungo termine.

Si, è per questo che vivo a Huntly e cerco di impegnarmi in qualcosa nella e per la città. Per me è importante vivere dove lavoro. Agli estremi delle Social Practice ci sono l’artista e la comunità. Io sono dalla parte della comunità e questo richiede un impegno sul lungo termine. Una residenza di tre mesi, come quelle proposte da DA, può essere controproducente: si sollecita una comunità ma quando l’artista se ne va, non c’è nessun che porta avanti l’eredità del progetto. Per esempio: The Town is The Menu di Simon Preston... Non si insegna il menu nelle scuole, alle madri, alle casalinghe.

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Anna Vermerhen

Anna Vermerhen, d’origne tedesca, vive tra Rhine e Helmsdale ed è attualmente direttrice di TimeSpan, centro culturale polivalente situato a Helmsdale in Southerland, nelle Highlands scozzesi. Tra il 2008 e il 2012 è stata project manager di Deveron Art in Huntly.

Helmsdale è un villaggio di circa 800 abitanti nel sud delle Highland scozzesi. Timespan è uno spazio polivalente che propone attività culturali. Quali sono le relazioni fra questa istituzione e la comunità?

Anzitutto bisogna di dire che circa il 5% della popolazione locale è volontario presso il centro culturale. Questo dato è sicuramente sorprendente. Fin dalle origini di TimeSpan, l’interesse della comunità, e specialmente delle persone coinvolte, è stato rivolto verso la storia del paese, sentita come elemento identitario molto forte. C’è molto più interesse anche verso le arti visive. Per venire incontro a queste esigenze, i progetti che portiamo avanti si basano sullo sviluppo di nodi tematici: per questi tre anni abbiamo scelto “identità”, “remoteness”, “sullo stesso parallelo”. Sulla base delle esigenze di ciascun tema, chiamiamo artisti o sviluppiamo attività. Quando sono arrivata a Timespan ero intenzionata a ridurre la varietà di attività diverse offerte. Poi però ho capito il valore che esse hanno per la comunità: è il fulcro culturale, l’unico, di una vasta area, e bisognava venire incontro al maggior numero di esigenze possibili.

Quindi Helmsdale vede positivamente le attività di Timespan..

Non proprio, ma stiamo cercando di venire incontro alla comunità, proponendo cose diverse ma che possano avere una ricaduta positiva. Per esempio lo scorso hanno abbiamo organizzato un festival nello stesso periodo in cui si svolgeva un mercato locale. L’evento, che ha avuto un sorprendente successo, ha portato un cospicuo pubblico anche per quanto proposto dalla restante parte della comunità. Questo ha fatto vedere alle persone Timespan non come un concorrente ma come un alleato.

E Helmsdale ha vinto il Creative Place Award quest’anno. Come influenzerà le relazioni tra Timespan e la comunità?

Sai, il premio viene conferito sulla base di un’auto-candidatura, promossa da un ente nella città. Ci sono dei documenti da compilare e delle lettere di supporto da scrivere, che solitamente le persone scrivono con piacere. Anche se non sono molto convinta su come Creative Scotland definisca “creatività” (come se si trattasse di una sorta di commodity, di merce da poter acquistare, vendere e calcolare), credo sicuramente influenzerà in maniera positiva la percezione di Timespan nella comunità, perchè fornirà dei fondi a cui attingere per delle attività culturali nella città.

Pensi che Timespan abbia un fine sociale, finalizzato a un cambiamento sociale verso il bene comune in quanto ente culturale? Credo che il cambiamento e le direzioni del cambiamento sociale siano conseguenze e responsabilità delle decisioni della politica, di chi si occupa di policies e programmazione a lungo periodo. Sono più che consapevole dei limiti dell’arte in questo.

A proposito dei limiti dell’arte.

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Precedentemente sei stati Project Manager a DA. Eri già presente quando si è tenuta la prima edizione di Practika? Quale è il valore di questo tipo di esperienze?

No, sono arrivata immediatamente dopo. In ogni caso mi sembra chiaro che il valore auto-riflessivo di queste esperienze sia chiaro, nella prospettiva di acquisizione di consapevolezza rispetto alla propria attività, anche rispetto alle altre realtà che lavorano con modelli affini. Quando eravamo a DA ho organizzato un gruppo di lettura e condivisione di teoria artistica. Ne avevo bisogno ed è stato accolto positivamente. Tant’è vero che i nostri tirocinanti l’hanno acquisita come modalità operativa. Indipendentemente dalla tematica artistica, mi sembra che la condivisione, confronto, discussione, siano il valore di queste esperienze.

Puoi indicarmi invece un progetto partecipativo proposto a Timespan che è ha avuto esito positivo? E perchè?

L’arte partecipativa è solo una delle modalità culturali in cui esprimiamo i temi oggetto delle nostre ricerche. La prima volta che ho proposto un artista che sviluppa progetti partecipati è stato con Anthony Schrag. Magari queste modalità artistiche sono già superate nelle grandi città centri dell’arte, ma restano ancora delle novità per le piccole comunità periferiche. L’importante è proporre qualcosa di stimolante, di valore, fatto con cura.

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