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L’iconografia musicale è letteralmente infestata dal liuto: protagonista nelle nature morte, suonato in duo, in concerto, nelle feste… persino rubato all’inviolabile sacralità della lezione di musica. Ma anche da liutai, sebbene più rari, e da suonatori e suonatrici 35 Cronaca di un amore secolare Il liuto in una stanza di Giulia Mariti errebbe da pensare che nessuno sia riuscito a sottrarsi al fascino di questo strumento: nè il musici- sta - appagato dalle sue qualità timbriche - né tanto meno il pittore, che un “pezzo di legno” così perfetto non può lasciarselo proprio sfuggire. Le radici di questa passione affondano nel Me- dioevo, quando gli Arabi importarono il liuto in Eu- ropa con il nome di al’ud; mentre le prime vere e proprie intavolature per liuto a noi pervenute -edite da Ottaviano Petrucci- risalgano solo al 1507. E’ il Ri- nascimento difatti, che con la nota emancipazione della musica strumentale, ne decreta la fortuna: l’ar- tista deve essere liutista, un imperativo estetico cui nessuno può sottrarsi. Forse perchè il liuto è uno strumento in grado di rendere “domestica” un’arte complessa come quella della polifonia, come di ac- compagnare il canto monodico che sta facendo len- tamente la sua comparsa. Facile da reperire e da trasportare; non sovrasta la voce umana; si presta tanto ad essere strumento solista per virtuosi, quanto placido componente dell’insieme: non è dif- ficile immaginare come in poco tempo divenga il simbolo della assidua frequentazione dell’individuo con la musica. E i pittori son lì, pronti a ricreare la re- altà: mettono in braccio al modello di turno quel peccaminoso strumento di bellezza e s’apprestano a ritrarlo. I “Suonatori di liuto” ricorrono nell’arte pittorica dei secoli XVI e XVII in maniera quasi ossessiva: giovi- netti ripiegati sulla cassa bombata dello strumento che sorridono invitanti; amanti appassionati intenti nell’atto di fare una serenata; ragazze di buona fami- glia alle prese con la prima lezione di musica. I musici non sono più soltanto gli angeli delle gran- diose pale d’altare. Lasciando le soffici nuvole, si sie- dono su sgangherati tavoli d’osteria: gambe accavallate e un bicchiere di vino, accompagnano una bella giovane poco vestita, improvvisatasi can- tante. Ma ancor prima di addentrarci nella descri- zione del magnifico mondo dei suonatori, la logica ci impone di occuparci d’un singolare dipinto, che nella sua eccezionalità ritrae il “Creatore”, “la mente e il braccio”: in una parola, il liutaio. Francesco di Cristofano, detto il “Franciabigio”, nel 1523 fotografa l’artigiano al lavoro mentre incorda lo strumento. In primo piano, un tavolo ingombro dei ferri del mestiere: lime, piroli e corde. La sua ec- cezionalità è data dal fatto che, se non è arduo tro- vare raffigurati liutai intenti nella costruzione di violini (e comunque mai li si incontrerà nel XVI sec.!), è rarissimo, forse unico, avere una testimonianza V E. Baschenis. Tavola centrale Trittico Agliardi

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L’iconografia musicale è letteralmente infestata dal liuto: protagonista nelle naturemorte, suonato in duo, in concerto, nelle feste… persino rubato all’inviolabile sacralitàdella lezione di musica. Ma anche da liutai, sebbene più rari, e da suonatori e suonatrici

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Cronaca di un amore secolare

Il liuto in una stanza di Giulia Mariti

errebbe da pensare che nessuno sia riuscito asottrarsi al fascino di questo strumento: nè il musici-sta - appagato dalle sue qualità timbriche - né tantomeno il pittore, che un “pezzo di legno” così perfettonon può lasciarselo proprio sfuggire.Le radici di questa passione affondano nel Me-dioevo, quando gli Arabi importarono il liuto in Eu-ropa con il nome di al’ud; mentre le prime vere eproprie intavolature per liuto a noi pervenute -editeda Ottaviano Petrucci- risalgano solo al 1507. E’ il Ri-nascimento difatti, che con la nota emancipazionedella musica strumentale, ne decreta la fortuna: l’ar-tista deve essere liutista, un imperativo estetico cuinessuno può sottrarsi. Forse perchè il liuto è unostrumento in grado di rendere “domestica” un’artecomplessa come quella della polifonia, come di ac-compagnare il canto monodico che sta facendo len-tamente la sua comparsa. Facile da reperire e datrasportare; non sovrasta la voce umana; si prestatanto ad essere strumento solista per virtuosi,quanto placido componente dell’insieme: non è dif-ficile immaginare come in poco tempo divenga ilsimbolo della assidua frequentazione dell’individuocon la musica. E i pittori son lì, pronti a ricreare la re-altà: mettono in braccio al modello di turno quel

peccaminoso strumento di bellezza e s’apprestano aritrarlo.I “Suonatori di liuto” ricorrono nell’arte pittorica deisecoli XVI e XVII in maniera quasi ossessiva: giovi-netti ripiegati sulla cassa bombata dello strumentoche sorridono invitanti; amanti appassionati intentinell’atto di fare una serenata; ragazze di buona fami-glia alle prese con la prima lezione di musica. I musici non sono più soltanto gli angeli delle gran-diose pale d’altare. Lasciando le soffici nuvole, si sie-dono su sgangherati tavoli d’osteria: gambeaccavallate e un bicchiere di vino, accompagnanouna bella giovane poco vestita, improvvisatasi can-tante. Ma ancor prima di addentrarci nella descri-zione del magnifico mondo dei suonatori, la logicaci impone di occuparci d’un singolare dipinto, chenella sua eccezionalità ritrae il “Creatore”, “la mente eil braccio”: in una parola, il liutaio.Francesco di Cristofano, detto il “Franciabigio”, nel1523 fotografa l’artigiano al lavoro mentre incordalo strumento. In primo piano, un tavolo ingombrodei ferri del mestiere: lime, piroli e corde. La sua ec-cezionalità è data dal fatto che, se non è arduo tro-vare raffigurati liutai intenti nella costruzione diviolini (e comunque mai li si incontrerà nel XVI sec.!),è rarissimo, forse unico, avere una testimonianza

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e. Baschenis. Tavola centrale Trittico Agliardi

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MUSICA & PITTURA

così realistica d’un costruttore di liuti. La naturaschiva del liutaio rinascimentale, che traspare piena-mente dalla sua espressione -resa alla maniera d’unAntonello da Messina o d’un primo Raffaello-, gli im-pedisce di tramandare ai posteri il proprio nome.L’unica eredità che il liutaio cerca di lasciare passaper le sue mani, attraverso i rosoni, preziosi comemerletti olandesi, le casse armoniche lavorate concura maniacale, i finissimi intarsi lignei.Siamo molto lontani dal ritratto d’un altro liutaio, ilceleberrimo Charles Muton, che a fine Seicentoviene immortalato dall’altrettanto affermato Fran-çois de Troy, direttore dell’Académie Royale e ritratti-sta delle “alte sfere” orbitanti attorno al Re Sole. Quila sensazione è d’un uomo consapevole e compia-ciuto del proprio ruolo, che imbraccia una delle suecreature mostrandola in tutta la sua perfezione, in-vece di nasconderla dietro il banco da lavoro. Ora illavoro non traspare neppure: concorde con l’esteticatardo barocca, rimane solo la conseguenza, l’effetto.La magia.In definitiva, il liutaio ha reso fruibile al “volgo” unpatrimonio artistico altrimenti riservato ai soli pro-fessionisti.Se questo processo di “democratizzazione” sia stato

un bene o un male… Ai posteri l’ardua sentenza. C’è,tuttavia, da rilevare la rivoluzione dell’iconografiamusicale a partire dal XVI secolo.La ricorrenza ossessiva del liuto e del liutista non ap-partiene più esclusivamente all’ambientazione “cele-ste” della raffigurazione sacra,anzi va a confluire quasi total-mente in una concezione piùumana, di puro diletto. Lo stru-mento è un simbolo per affer-mare il proprio status, un mezzodi confronto con gli altri, un di-vertimento e talvolta un rifugio. I “Suonatori di liuto” ci forni-scono un interessante spuntoper analizzare non solo le diffe-renze artistiche tra un’epoca el’altra, ma anche quello storico-sociali.Il primo Cinquecento è segnato

da una impostazione iconogra-fica chiara: liutista a mezzobusto, generalmente di tre-quarti, contraddistinto daun’aria piuttosto seria o perlo-meno contenuta. Aleggia nel di-pinto un che di elitario: lacertezza d’una conoscenza superiore, raggiunta su-perando impervie difficoltà tecniche. Comincia inoltre a farsi strada una preferenza, pre-ponderante nelle raffigurazioni Secentesche: le suo-natrici, più che i suonatori, stuzzicano

l’immaginazione del committente… specie se ma-tronesche e un po’ discinte. Confrontando l’aristocratica e timida liutista di An-drea Solario – rinascimentale eppure disperata-mente ancorato all’immagine stilnovista d’una“donna angelicata”- con il donnone seminudo nella“Venere suonatrice di liuto e amorino” del venezianoParrasio Micheli, salta agli occhi la differente inten-zionalità. Una sorte non troppo dissimile tocca agliuomini, dapprima nobili signori attenti ai precettiesposti da Castiglione ne “Il libro del Cortegiano”, poigiovani (e non) alla moda, anch’essi talvolta poco ve-stiti e dallo sguardo carezzevole che prelude a indici-bili delizie.Uno per tutti, il caravaggesco “Suonatore di liuto”: inentrambe le versioni -rispettivamente all’Ermitage eal Metropolitan- ci viene proposto con fattezze quasifemminee (tanto dall’aver suscitato in passato delleperplessità sul genere sessuale del modello!), gliocchi languidi e le labbra tumide, semiaperte nel-l’atto di cantare. Ma se evitiamo di concentrare lanostra attenzione sull’aspetto più effimero del di-pinto, vediamo con quanta precisione e conoscenzaCaravaggio – come la gran parte dei pittori “antichi”-si dedichi a ricostruire non solo il liuto, ma anche glialtri strumenti che compaiono dinanzi al suonatore.Nella tela della ex Collezione Giustiniani (Ermitage),preziosissima la doppia natura morta: a sinistra fiorie frutta, a destra un violino di probabile fattura cre-monese (si notino le “x” intrecciate sulla tastiera,

sigla affine a quellein uso presso gliAmati) e uno spar-tito aperto, ricono-sciuto -attraverso lamelodia perfetta-mente leggibile-come intavolaturadel Primo Libro dimadrigali a quattrovoci di J.Arcadelt. Laversione del Metro-politan Museum diNew York, invece, sisofferma su una na-tura morta esclusi-vamente musicale: ilviolino è decisa-mente più arcaico diquello della telaGiustiniani, e pre-senta un decoro di

fiori stilizzati, forse sigla di un ignoto liutaio tedesco;come tedesca è probabilmente pure la manifatturadel flauto dolce in primo piano e dello “spinettino”dalla cassa d’ebano. Cambiano anche le musicheeseguite dal Sonatore, questa volta manoscritti di

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due madrigali amorosi di F. de Layolle e J. De Ber-chem. Altro “curioso” indice della preparazione musi-cale dei pittori, è un dettaglio che caratterizza molterappresentazioni liutistiche: si tratta della pigmenta-zione di alcune corde, precisamente quella dei bassidello strumento, che a differenza degli ordini acutisono di colore marrone-rossastro. Le ragioni di talecoloratura non sono estetiche, bensì funzionali allaresa acustica delle corde suddette (per una spiega-zione approfondita si legga un curatissimo articolodi Mimmo Peruffo, “Il Liuto nella sua realtà storica”).Certo si potrebbe addurre a causa di una simile ac-cortezza l’aderenza al vero, tipica delle nature mortebarocche: ma qui v’è una conoscenza troppo parti-colare, sintomo d’una assidua frequentazione con lamateria liutistica, quasi un corteggiamento sopraf-fino, che musica e pittura hanno esercitato l’unasull’altra nel corso dei secoli.Alle soglie del “Secolo delle meraviglie” dunque illiuto è giunto all’acme della perfezione costruttiva,entrando a far parte di ciò che -con termine orribile-noi oggi chiameremmo cultura base dell’individuo: iceti più abbienti si dilettano con la musica da ca-mera; il popolo fa festa nei campi e nelle taverne, ac-contentandosi magari d’un mandolino mal in arnesee un fiasco di vino. Persino nei bordelli non mancaun liuto ad adornare le squallide pareti della “salad’attesa” (Frans van Mieris ce ne dà una testimo-nianza molto precisa, non priva di riferimenti simbo-lici…come i cagnetti lussuriosi in prossimità dellaporta, evidentemente mascottes del locale!). Osservando semplicemente le stanze ritratte dai pit-tori secenteschi, così come le nature morte, risulta

che possedere uno strumento sia piuttosto normale:il confronto con l’artigiano è diretto, e pur non affi-dandosi a liutai di fama, la qualità dei lavori rara-mente lascia insoddisfatti. Certo il dilettante non habisogno di uno strumento eccelso, ma è pur veroche il livello del buon dilettante di allora di poco sidiscosta da quello d’un professionista di oggi. Vera autorità nel campo del “ritrattismo liutistico”,Evaristo Baschenis apre la stagione della naturamorta strumentale, ponendola non più come i rina-scimentali a corollario di altro soggetto, ma comecentro materiale della composizione. E lo seguonoun buon numero di ottimi pittori europei: Bartolo-meo Bettera, Edward Collier, Cristoforo Munari, Pie-ter Haarlem Roestraten. L’epoca d’oro del liuto si delinea dunque tra il tardoCinquecento e la fine del Seicento, toccando tutti glistati europei, ma alcuni in maniera particolare: Italiae Olanda nutrono un amore viscerale per questostrumento, quasi feticistico dell’oggetto in sé; Belgioe Francia, pur con più moderazione, non perdonooccasione di metterlo in mostra quale protagonistaincontrastato di feste e scampagnate. Se le dame del“Concerto” di Pietro Paolini esibiscono ben tre stru-menti della famiglia dei liuti (da sinistra: una citarapizzicata con plettro, una mandola, e un liuto),quelle dalle forme generose del “Concerto su un bal-cone” di Gerard van Honthorst non vogliono essereda meno: impugnando tiorba e liuto, duettano so-stenute da un coro e due putti. Le donne sono di-ventate l’altro oggetto da “collezionare” nellepinacoteche. L’Olanda, in particolare, produce unamoltitudine di artisti amanti del gentil sesso musici-

Henri Matisse,1943, “Il liuto”

musica & pittura

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sta: Vermeer anima molte delle sue tele della castadolcezza di giovani intente a suonare il liuto come ilvirginale, la chitarra barocca come il flauto; Terborchle fa avventurare su arciliuto e viola da gamba; Steenci propone una clavicembalista alle prese con il suoinsegnante. Le lezioni di musica sono l’altro filone“concertante”, benché spesso si trasformino in benaltro tipo di lezioni: ne “La lezione di liuto interrotta”di Michiel van Musscher (titolo di per sé allar-mante…), il decolleté dell’allieva è generoso e ilvolto del maestro troppo sorridente! In generale laproduzione pittorica olandese tardo barocca sembravenata di una certa libertà di costumi, tipicamentenordeuropea. Certo le distrazioni non hanno giovato: nel Sette-cento, sebbene qualcuno ancora si diletti con il liuto,la pratica comune sembra preferirgli strumentimeno impegnativi. Chitarra e mandolino impaz-zano: oggetti delicati quanto le loro suonatrici, vez-zose statuette di porcellana. Antoine Pesne, pittoredi corte in Prussia, da buon francese diviene uno deipadri dello stile Rococò, interpretando il mutare deicostumi con tratto amabile. Sulla scia di Watteau eFragonard, ne ricalca gli stili ma non abdica al liuto:ambiente germanico docet. Anche Giuseppe MariaCrespi e Philip van Dijk non s’arrendono al mutaredei tempi, e cercano di rianimare una passioneormai sopita: tiorba e liuto s’adagiano sulle gonnedrappeggiate di aristocratiche damine uscite da uncatalogo di moda ante litteram. Se l’abito non fa ilmonaco, perlomeno rende la musicista deliziosa. Maè tempo di rassegnarsi: questi, come i tentativi se-guenti di ridar lustro alla tradizione liutistica, sonosolo soltanto la raffigurazione di un mondo ormaideceduto. Intestardirsi con gli anacronistici passa-tempo dei parrucconi è contro i principi morali del

Secolo dei Lumi: di fatto il periodo d’oro del liuto, di-venuto emblema inconsapevole di un passato se-gnato dall’ineguaglianza sociale, termina assieme aquello delle monarchie assolute.L’Ottocento, con la sua mania di rispolverare saltua-riamente le epoche morte come si farebbe con lasoffitta della nonna, dà ai liutisti qualche momentodi vitalità ritrovata: il medievalismo unito al culto perl’oriente inducono gli artisti a rivalutare il valore ico-nografico di questo soggetto. In prima linea la Ger-mania che, tra la metà del XIX sec. e l’inizio delNovecento, fa finalmente valere la propria tradizionemusicale; la seguono a breve Inghilterra e Stati Uniti,mai così entusiasti della cultura artistica come du-rante la fin de siècle. Ma non bisogna farsi ingannareda questo improvviso ritorno di fiamma: musica eliuto sono come due amanti separati per troppotempo, e tutto il loro dialogo si riduce al ricordodelle glorie passate. Non a caso traspare da questetele ora una certa malinconia, ora il ridicolo della ma-scherata: se le liutiste di Thomas Wilmer Dewing,Frank Cadogan Cowper e Edwin Austin Abbeyhanno un che di funereo -così come i loro strumenti-, le scene in costume di Ignaz Gaugengigl, Otto KarlKirberg e i nobili Dicksee (padre e figlia) scopiazzanoiconografie ormai superate. In Italia si segue più vo-lentieri il secondo filone, del quale sono assidui fre-quentatori tra gli altri Vittorio Reggianini e GiuseppeSignorini. Il liuto in sé non esercita più alcun fascino:chi continua a suonarlo lo fa spesso per vezzo, o percircondarsi di un’aura colta e arcaicizzante. Ma la so-cietà sta cambiando ancora: mentre gli artisti rom-pono il legame con una borghesia ormai soggiogatadall’ingordigia economica, gli orrori delle GuerreMondiali creano un nuovo modo di concepire la vita.Gli stenti prima e l’esplosiva ripresa economica poi

Jean de Reyn,1640 ca. suonatore di Liuto”

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1Francesco di Cristofano “Ritratto di un liutaio, 1523-15242 Parrasio Micheli “venere suonatrice di liuto e amorino” , 1570 ca3 edwin Austin Abbey, “una suonatrice di liuto”, 18994 Allan Banks, contemporaneo, “Melodia del menestrello”.

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fanno percepire all’individuo, con disarmante luci-dità, l’importanza fondamentale dei bisogni mate-riali. Nel tempo delle grandi disillusioni, la frattura trauomo e arte sembra inevitabile: se già il soggettomusicale è caduto nel dimenticatoio, il liuto è ilgrande assente iconografico. Forse perché - oltre alpeso musicale schiacciante di teatro, sinfonismo epianoforte -, se l’arte è divenuta distorsione della re-altà, quel “magnifico pezzo di legno” ha perso ognivalenza estetica agli occhi dei pittori. Vagamente ri-conoscibili i liuti di Matisse, Gino Severini, Karl Hofere delle illustrazioni art nouveau di Georges Barbier;anche Picasso e Braque, nel voler rendere cubistauno strumento così poco spigoloso, non fanno altroche dare il nome “liuto” o “mandolino” a qualcosa chepotrebbe essere variamente interpretabile. La con-temporaneità, infine. Cosa resta di questo immenso

patrimonio? Certamente il culto del passato. Con ilrinnovato interesse filologico per il repertorio antico,fioriscono compagnie e accademie specializzate inmusica barocca; mentre la musica “popolare” as-sorbe tanto la tradizione classica, quanto il folklore:Sting si innamora di John Dowland; i metallari siconvertono alla celestiale arte liutistica; la musicabalcanico-gitana fa impazzire i nuovi “orientalisti”,amanti dell’etnico.E la pittura segue i gusti deltempo, proponendoci testimonianze di un’epocache tra qualche secolo i futuri musicologi guarde-ranno, forse, con sconcerto.@

FONTI E CRITERI DI RICERCA

Nella ricerca delle immagini utilizzate in questosaggio, sono stati basilari i seguenti siti web:www.klassikgitar.net: nell’archivio troverete -suddivisi per periodo - dipinti raffiguranti varistrumenti a corda pizzicata;www.wga.hu: museo virtuale database dellearti visive europee dal secolo XI al XIX;www.bjws.blogspot.com: sito di stampo “femmi-nista”, ma ricco di immagini a tema musicale;Un consiglio per chi si addentri nell’esplora-zione dei documenti presenti sul web: utiliz-zate sempre e solo la lingua inglese nei motoridi ricerca!Per ulteriori informazioni o per approfondirel’argomento “iconografia musicale”, l’autricemette a disposizione il suo personale archivioimmagini e i dati raccolti.

Pietro Paolini, Xv sec.,”Concerto”

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Fran

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