Crocevia Sacra Arte

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HTTP://PELLEGRININELLAVERITA.COM/ Articoli scelti dal blog Croce-via Sacra Arte AA. VV. TEMPONAUTICA Dove realismo tomista e Magistero Cattolico disputano con la contemporaneità.

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Arte Sacra .Nato da un’esigenza sentita da alcuni commentatori del blog di Tornielli di poter approfondire alcune tematiche, che in sede di commento non è possibile ne auspicabile fare, il blog Croce-Via si offre come piattaforma di discussione, di informazione e proposta per argomenti prevalentemente di carattere cattolico.

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HTTP://PELLEGRININELLAVERITA.COM/

Articoli scelti dal blog Croce-via

Sacra Arte

AA. VV.

TEMPONAUTICA

Dove realismo tomista e Magistero Cattolico disputano con la contemporaneità.

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Sommario Dall’inno di un fisico all’analisi di un musicista ................................................................................................... 3

Verdi e la ricerca del sacro nel teatro della vita .................................................................................................. 6

Bartolucci e il faldone 47: una provocazione! ..................................................................................................... 8

Non omnis moriar .............................................................................................................................................. 10

Rufus Wainwright, perdonaci non sappiamo quello che fanno… ..................................................................... 11

Piero Dentella – Christus Factus Est (1936) ....................................................................................................... 14

Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 01 ................................................................................................. 15

True Detective: la metafisica e la teologia cristiana in un capolavoro contemporaneo ................................... 19

Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 02 ................................................................................................. 24

Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 03 ................................................................................................. 28

Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 04 ................................................................................................. 33

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Dall’inno di un fisico all’analisi di un musicista

By minstrel on 29 agosto 2013 • ( 1 )

Quando il tempo tende all’eterno. Bach, Goldberg, Aria.

Scrive sul portale UCCR l’amico fisico Giorgio Masiero, un inno alla bellezza. Riscontro in esso due

temi a me cari: le prove dell’esistenza di Dio in introduzione all’articolo e un’analisi accorata e

appassionate su quello che è la musica.

Scrive Giorgio riguardo l’ultimo punto:

Come aveva ragione Gottfried von Leibniz – riflettevo, immerso nella contemplazione – a ritenere

che la musica ci svela la struttura matematica contenuta nella bellezza e nella verità dell’essere! Fu in

una lettera del 1712 a Christian Goldbach (quello della congettura matematica ancora irrisolta) che

Leibniz diede la sua celebre definizione della musica come aritmetica inconscia: “musica est

exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi”, la musica è un esercizio occulto di

aritmetica, nel quale l’anima calcola senza rendersene conto.

Il legame tra musica e matematica non era visto da Leibniz in senso mistico, come nella visione

ingenua di Pitagora, ma razionalmente secondo la concezione cristiana, donde non a caso nacque la

notazione diasistematica su righe parallele da cui sarebbe esplosa la polifonia della musica

occidentale moderna. La struttura numerica sottostante la musica, che nella mente del compositore è

analizzata e costruita, nella mente dell’ascoltatore è intuita come molteplicità organizzata. Il bello

musicale coincide con l’osservabilità del molteplice, un atto di sintesi che coglie la quintuplicità

aritmetica dei suoni – nelle frequenze, nelle ampiezze, nelle durate, nei timbri (che consistono nella

successione delle ampiezze delle armoniche) e nei ritmi –. Il piacere musicale sta nel sentire

l’armonia, che è il principio unificatore della varietà. Un’armonia che è tanto maggiore perciò,

quanto maggiore è la varietà delle componenti che essa organizza, dissonanze comprese destinate a

risolversi nella consonanza finale.

e ancora

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L’arte del compositore che combina le note è una mimesi dell’attività combinatoria che il Creatore

esercita su una varietà a priori infinita di essenze, portandone alcune dal non essere all’essere

nell’accordo reciproco. L’arte musicale umana e l’arte combinatoria divina esprimono ancora una

volta la somiglianza del logos umano creato al Logos divino creatore.

Dopo aver letto questi splendidi passaggi, ho rubato al tempo che mi resta da vivere un istante e gli

ho scritto questa riflessione che vorrei condividere.

«Grazie Giorgio,

Letto e l’ho trovato splendido. Soprattutto, ovviamente, la parte in cui decanti la bellezza

dell’inspiegabile armonia matematica della musica. Segui il medesimo ragionamento che fa il tuo

collega fisico Andrea Frova in Armonia celeste e dodecafonia, ma trovo che il tuo ragionamento sia

molto più fondato e rigoroso perché non è solo scientifico (trovo che ragionare solo in termini

matematici della musica sia illuminare una faccia sola di un diamante immenso), poiché si apre alla

metafisica e alla teologia introducendo termini come “molteplicità” dell’essere e “creatore”.

Personalmente trovo che fare musica sia rendersi conto, anche solo per un solo istante –

immediatamente, cioè senza mediazioni poiché in quei casi la musica come strumento di

comunicazione di sé scompare, per diventare strada verso l’eterno -, di cosa sia il divenire

nell’eterno. Una sorta di contraddizione che si spiega da sé e pertanto contraddizione non è, se non

in superficie.

Rendersi conto che con la musica si sospende il tempo per ricrearlo a propria immagine e

somiglianza. E sentire che il tempo non è quello che si pensa comunemente, un fatto oggettivo e

misurabile, quanto il risultato soggettivo fra ciò che abbiamo vissuto intensamente prima e quel che

speriamo fortemente poi. E’ percepire cioè che, forse, non è un inganno della musica che il tempo ci

appaia sospeso, ma è un inganno del quotidiano pensare che il tempo sia per tutti uguale.

D’altra parte della soggettività del tempo se n’erano accorti anche i tomisti.

La musica poi è la prova della teoria della creazione, poiché è anche esprimersi creando un mondo.

Se Dio pensando sé stesso pensa il mondo, il compositore pensando a sé stesso pensa il suo mondo.

E’ teoria della creazione filosofica applicata. Ed è anche per questo che quando scrivo musica in

realtà nulla di ciò che faccio è totalmente mio. Non solo perché richiamo autori antichi e nuovi,

ovvio, ma perché la mia creazione è una sorta di partecipazione alla vita divina attiva, qui ed ora!

E’ grazia!

E’ ingannare il tempo per costruirsi un tempo più vicino all’assenza di tempo che è l’eternità.

Certo che se l’eternità non è tempo infinito, ma assenza di tempo, pare una contraddizione che la

creazione di un tempo diverso aiuti ad avvicinarsi al non-tempo. Non è contraddizione in forza del

nostro pensiero che è infinito! Se dunque nell’uomo esiste l’infinito e questo è il pensiero, è il

pensiero che permette alla coscienza e consapevolezza dell’anima di riformulare il tempo,

creare un mondo e con mondo e tempo diversi avvicinarsi all’eterno e allo spirito. Sembrano discorsi campati per aria, ma a volte succede di ritrovarsi sul palco e chiedersi d’un tratto

dove si è stati per quei 10 secondi appena trascorsi, nei quali non si apparteneva a questa terra.

So con sicurezza che questa sensazione è LA musica.

Musica che travalica incomprensioni e dualismi pseudofilosofici come bellezza vs. bruttezza. Perché

è nudità da parte dell’esecutore. E’ onestà e nudità. E di fronte ad un uomo nudo che non sa di

esserlo si torna all’Eden, dove si è bambini nello stupore (“solo lo stupore conosce” dice San

Gregorio Nissa), ragazzi nell’impeto, adulti nell’amore, anziani nei ricordi stupiti. E il cerchio si

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chiude.

Senza mediazioni.

Umani e divini. Che sembra una contraddizione, ma non lo è.

E noi cristiani lo sappiamo bene.»

Chiudo citando un Fariselli immenso che semplicemente, nudo, parla di sé:

“Chi fa musica è maestro non solo dei suoni, ma anche del tempo. perché lavora in territori dove il

tempo non è più lineare e succedono cose che non si sa descrivere a parole. Io faccio fatica per lo

meno. [...]“

Segue una parte dedicata alla musica improvvisata perfettamente in tema al post. Da ascoltare.

Fariselli, Patrizio. Fare musica, Intervista RaiEdu, 2013, Portale della Filosofia RAI, 16 luglio 2013

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Verdi e la ricerca del sacro nel teatro della vita

By minstrel on 10 ottobre 2013 • ( 2 )

Libera me, Domine, de morte æterna

“Se alla mia età si potesse ancora decentemente arrossire, arrossirei per gli elogi che Voi fate al

mio pezzo. Elogi che, non lo nascondo, fatti da un maestro e da un critico del valor Vostro hanno

un’importanza gravissima ed accarezzano non poco il mio amor proprio. Quelle Vostre parole

avrebbero quasi fatto nascere in me il desiderio di scrivere più tardi la Messa per intero, tanto più

che con qualche maggiore sviluppo mi ritroverei ad aver già fatto il Requiem e il Dies Irae, di cui è

il riepilogo nel Libera già composto. Pensate dunque, abbiatene rimorso, quali deplorabili

conseguenze potrebbero avere quelle Vostre lodi. Ma state tranquillo, è una tentazione che passerà

come tante altre. Io non amo le cose inutili e di messe da morto ve ne sono tante, tante e tante. E’

inutile aggiungerne una in più.”

Giuseppe Verdi, Lettera ad Alberto Mazzuccato, 4 febbraio 1871

Eppure nel 1873, alla notizia della morte dell’adorato Manzoni, il Maestro Verdi pare ripensare al

“Libera Me” lasciato da parte nel 1871 e scritto in occasione della morte di Rossini, pezzo che tanti

elogi aveva riscosso dal Maestro Mazzuccato. Richiesta quindi la disponibilità della Città di Milano

ad un avvenimento in ricordo a Manzoni programmato per l’anno successivo, si mette a lavorare alla

“Messa da Requiem”.

Il 28 febbraio 1874 scrive:

“Io lavoro alla mia messa e proprio con gran piacere. Mi pare di essere diventato un uomo serio; di

non essere più il pagliaccio del pubblico che con gran tamburone e grossa cassa grida: «Avanti,

avanti, venite! eccetera». Voi capitere che ora sentirmi a parlare d’opere, la mia coscienza se ne

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scandalizza e mi faccio presto presto il segno della croce. Che ne dite? Non vi sentite edificato di

me?”

L’ironia spensierata leggibile nella lettera palesa la convinzione di Verdi di essere in procinto di

scrivere una nuova straordinaria pagina di musica. A maggio dello stesso anno viene dunque

eseguito, su direzione dello stesso Verdi, quello che diventerà uno dei capolavori della musica

occidentale di fine secolo, subito acclamato come opera summa del Maestro, musica tanto evocativa

e potente da essere eseguita da altre compagini ancor prima della pubblicazione della partitura

integrale. Nel frattempo sui giornali dell’epoca appaiono caricature del Maestro vestito come un

sacerdote.

Ascoltando le primissime note del Requiem – con quegli archi discendenti perduti in una foschia

misteriosa, che partono da un silenzio che tanto ricorda il silenzio che accompagnò l’uscita della bara

del Maestro alle 6 di mattina dal Grand Hotel et de Milan; con quel coro che pare sussurrare

domanda di grazia sofferta e che ricorda quella malinconia che dal 14 marzo del 1897, dal giorno

cioè in cui morì Giuseppina Strepponi, non abbandonò più Verdi – non si può pensare alla parabola

discendente di un uomo verso una morte solitaria. Nonostante fosse circondato dalla stima immensa

di tutti gli italiani (celebre l’episodio in cui le strade dell’Hotel che lo ospitava, durante l’agonia,

vennero riempite di paglia per attuttire ogni rumore molesto), egli visse gli ultimi anni di vita

ricolmo di solitudine e tristezza inaudita.

Ascoltando i moti universali che la musica del Maestro riesce a muovere, soprattutto negli ultimi

straordinari capolavori, non si può che rimanere sconcertati dalla sensibilità dimostrata da Verdi nei

confronti della natura umana.

Non è solo “senso teatrale”, ma è una sensazione di vera partecipazione a quanto narrato, a

rendere le opere di Verdi tanto toccanti. Così pure la sua musica sacra – spesso reputata “poco sacra”

perché molto emotiva, molto “teatrale” – risente soltanto della sua partecipazione entusiasta e

completa ai moti che l’uomo è chiamato a vivere nel teatro della sua vita.

Con una simile sensibilità interiore non si può che sperare che egli abbia saputo trarre conforto, in fin

della sua vita, da quel “segno della croce” su cui tanti anni prima sorrideva per lettera e per il quale,

e nella musica v’è la prova, tanto cercava, anelava, pregava.

Qui una lezione sul Requeim di GIuseppe Verdi di Susanna Franchi, liberamente scaricabile dal

podacast di Lezioni di musica di Radio3.

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Bartolucci e il faldone 47: una provocazione!

By minstrel on 14 novembre 2013 • ( 2 )

Per quanto ancora sapremo sostenerla?

Un caro amico, direttore di coro e compositore, ha voluto scrivere un articolo sulla morte del

Cardinal Maestro Bartolucci prendendo spunto da un episodio che ha visto direttamente coinvolto il

Maestro e la schola cantorum che oggi dirige. Alle domande finali di questo articolo, meste e

sommesse, mi permetto di rispondere con un provocazione utilizzando direttamente le parole

(profetiche?) di Bartolucci stesso:

“[Mio padre] amava cantare in chiesa. E le romanze di Verdi e di Donizetti. Ma allora cantavano

tutti: i contadini mentre potavano le viti, il calzolaio mentre rifiniva le suole. C’erano le bande in

piazza, durante le feste arrivavano le guide musicali da Firenze e il teatro del paese aveva due

stagioni d’opera all’anno. È tutto finito.”

Bartolucci, Domenico “Ho fatto un sogno”, intervista per l’Espresso, 21 luglio 2006

Anche oggi cantano tutti e tutti vorrebbero cantare. Ve lo dice uno che ha a che fare con scuole e

accademie di musica.

Ma cosa? Questo è il dilemma.

Non è cambiato nulla, ma effettivamente sta finendo tutto.

Buona lettura.

____________________

Quando la mattina dell’11 novembre sono stato informato da un amico organista della scomparsa del

card. Bartolucci, non ho potuto fare a meno di pensare ad un fatto singolare, accadutomi cinque anni

fa. Rovistando nell’archivio (e nel passato glorioso -in contrasto con un comunissimo presente) della

schola cantorum che dirigo, cercando di stilare un programma per il trentesimo anniversario della

morte del fondatore della nostra corale, mi sono imbattuto in uno spartito firmato Domenico

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Bartolucci. Firmato nel senso letterale del termine, in quanto l’autore, molti anni prima, aveva scritto

un’appassionata dedica alla corale ed al maestro, al quale era legato da una modesta amicizia, sotto il

suo noto mottetto “Christus natus est”. Ho appreso che quello spartito era un regalo, fatto da

Bartolucci alla corale, in occasione di un concorso a Roma nella quale questa si era distinta. Quale

miglior contesto, mi sono detto, per rispolverare un brano di un certo livello, utilizzandolo per

impreziosire un concerto, narrare la storia di illustre amicizia e, non ultimo, con l’avvicinarsi del

Natale, avere un bel pezzo in più da utilizzare nelle funzioni.

Pronti, via, proviamolo. Ricordo distintamente quella sera, i migliori propositi del sottoscritto

diminuivano ad ogni stanghetta di battuta. Le corali parrocchiali sanno avere risvolti tragicomici, che

legano forse ancor più il direttore a queste realtà: se i bassi si grattano la testa perplessi, qualche

contralto intraprendente canta le parti nelle orecchie delle vicine per istruirle e la faccia di qualche

tenore sta assumendo tinte sempre più tendenti al porpora, probabilmente il coro ti sta dando un

segnale. Ho portato a termine la prova, ma alla fine di essa ho rimesso il brano nel faldone 47,

dove salvo imprevisti dovrebbe trovarsi tutt’ora.

Le difficoltà legate al brano sono molteplici, nonostante si presenti come un mottetto pastorale

all’apparenza di media difficoltà – fatta eccezione per quel che salta inevitabilmente subito

all’occhio: una sorta di discanto affidato nell’ultima parte al soprano I, che oltre a salire fino ad un la,

si muove in un ambito ristretto e faticoso. Tutte le voci presentano notevole difficoltà di fraseggio, di

respiro e l’armonia non è delle più scontate. A questo si aggiunga che la corale moderna media è

poco avvezza a cantare a cappella, i bassi non sono abituati a sostenere come si conviene (fosse

anche solo per un fatto timbrico) una parte a cinque e poi sei voci, a quel punto pure l’intonazione ne

risente, diventando precaria: la frittata è fatta.

In effetti, quest’anno (dopo svatiate perdite della corale, dopo innumerevoli vicissitudini interne ed

esterne, dopo una decisione onesta e finalmente concordata da tutti di dedicarsi con maggiore

attenzione ai servizi liturgici, visto che nella nostra parrocchia sono molto frequenti), a pochi giorni

di distanza ormai dal concerto per il trentacinquesimo anniversario del maestro, mi sono accorto che

a riprovare quel bellissimo mottetto non ci ho nemmeno pensato.

Così, riflettendo sulla grande figura di Bartolucci e sul suo operato, mi sono chiesto quanto la musica

sacra “di spessore”, anche quella relativamente vicina al nostro tempo, possa essere ancora

eseguibile dai nostri cori. E dico “ancora” perché, per chiarezza, tanti anni fa la corale della mia

parrocchia il Christus natus est lo cantava. Mi sono scontrato con un gigante, è vero, ma non vale

forse lo stesso per l’opera (intendiamoci, ancora artisticamente mirabile) dei successori di Bartolucci

in Sistina? Quale è il senso della corale, allora, se la produzione sacra di riferimento è fuori dalla sua

portata? Sarei stato in grado di riproporre lo stesso brano alla messa di mezzanotte un mese dopo il

concerto, quando forse non avrei potuto contare sui cosiddetti “rinforzi esterni” che talvolta sono

vitali per le corali sempre più a corto di ricambi generazionali? E ancora, perché questi ricambi non

avvengono, quando invece gli aiuti esterni che ricevo sono quasi tutti elementi giovani, come d’altro

canto lo sono io? Qual’è l’ostacolo che impedisce alle generazioni giovani di avvicinarsi a questo

repertorio?

Per quanto queste domande dovranno restare nel faldone 47?

Franz

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Non omnis moriar

By minstrel on 20 gennaio 2014 • ( 4 )

Perché c’è lucidità nel dolore e il rigore dell’inevitabile illumina la sensibilità di ogni gesto compiuto

in vita.

Di fronte alla morte c’è il silenzio attonito di chi dispera o l’unica chiarezza malinconica di chi spera.

Quel senso di desolata beatitudine, pacifica sofferenza di chi comprende che il senso della vita

perviene a noi attraverso ogni morte che ci attraversa il cammino, come mediante l’unica morte che

sembrerà interromperlo.

Grazie Maestro.

In morte di Claudio Abbado (Milano, 26 giugno 1933 – Bologna, 20 gennaio 2014)

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Rufus Wainwright, perdonaci non sappiamo quello che fanno…

By minstrel on 20 febbraio 2014 • ( 5 )

Now I’ve heard there was a secret chord

That David played, and it pleased the Lord

Questo volo e relativo atterraggio è dedicato a Padre Giuseppe Barzaghi OP.

Chi è Rufus Wainwright?

La prima volta che lo ascoltai fu dopo una mail personale intercorsa fra me e la mia traduttrice

preferita, Marion di Revisioning Callas. Mi ascoltai durante quella settimana alcune sue canzoni

riconoscendogli un cipiglio da vero artista: persona in grado di gestire un codice umano per

comunicarsi il proprio io umano imperfetto, narciso onanista in volo verso il sole, Icaro che si guarda

volare.

Lo dico da insegnante di canto: è necessario sapere cosa dire. Cioè è necessità dell’arte per essere

arte!

Il come dirlo spesso vien da sé, soprattutto in questo mondo dove il codice musicale è stato oramai

smembrato e i compositori contemporanei ritornano alle origini puntando al ritmo.

Cosa vuoi dirmi? Non importa se canti nel naso o in gola. Cosa vuoi dirmi? Non importa che lo urli

educatamente o meno.

Scusi ma lei è insegnante di canto? Si.

Scusi ma lei allora cosa insegna? L’inutile che diviene utile solo se ha la premessa di esserlo.

Cioè? Insegno un codice dai più accettato perché se ti serve tu lo sappia utilizzare; e se non ti serve

tu lo sappia stuprare a dovere!

Che irriverenza! Benvenuto nel mondo dell’arte dove l’irriverenza è codice, dove la rabbia è

trasfigurata in lacrima. E se la lacrima è rossa o bianca è ancora meglio.

Scuuuusiii?! Quello che avevo da dire l’ho detto.

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Ma in tutto questo schifo, Dio dov’è? Dio è anche nella bellezza. E la bellezza è anche un’anima che

piange sangue perché si sente perduta. E’ in una confessione pubblica non richiesta ma dovuta.

L’arte come prostitu(a)zione, atto osceno in luogo scemo, richiesta di aiuto che non vuole aiuti,

desiderio di camminare a ritroso ritrovandosi sempre dannatamente troppo avanti, paradosso umano

che cerca l’infinito nel finito, Lessing compreso senza nemmeno averlo mai letto.

Siamo tutti potenziali filosofi, soprattutto chi non ha mai studiato filosofia. Siamo tutti potenziali

artisti e ahimé raramente mostrano di volerlo essere chi scrive dischi.

Rufus ha mostrato di esserlo dal primo disco. “Wow” dico io, mentre i papaboys affilano l’ascia.

Primo album nel 1998 di solo pianoforte e voce. La critica entusiasta. Il pubblico che si chiede come

sia possibile un piccolo miracolo simile. Era poco tempo fa, erano altri tempi. Oggi un primo disco di

un esordiente che si permette il solo “voce e piano” sarebbe davvero il miracolo dei miracoli.

Anyway…

Corista per Elton John, apre i concerti della sacerdotessa Tori Amos, cammina verso il baratro e se

ne frega.

Continua a sfornare dischi durante il cammino, ricchissimi di arrangiamenti davvero preziosi.

Complice l’amore per la lirica, italiana ovviamente; complice l’amore per l’armonia classica che è

costruzione di forma, è ricerca di costruzione e sintesi e bellezza, è sempre ricerca di Dio anche se

inconsapevole!

Nulla di trascendentale, nulla di veramente nuovo. Eppure ne avevamo bisogno. Un inutile

necessario.

Come si spiega?

Ma cosa vuoi spiegare? Cosa vuoi spiegare!? Ecco come avrebbe risposto il semideo Zappa: “vuoi

forse ballare di architettura?!”

Tutti in Italia lo avevano già ascoltato perché era il cantante dell’Halleluja di Cohen contenuta in

Shrek del 2001, ma chissene.

Inguaribile melanconico adora la morte lieta dei lied di Schubert.

Negativo nel positivo, positivo nel negativo.

E’ uno sguardo in fuga.

Probabilmente verso il vuoto, certamente in corsa.

Canta Judy Garland alla Carnegie Hall. Le stesse pareti newyorkesi dove risuonarono le note

memoriabili della nona di Dvorak e l’americano a parigi di Gershwin (e running hard dei

Reinassance). E the show go on…

Questa la sua carriere artistica in breve.

E’ uno che si è perso e chiede aiuto. E’ uno che si trova da solo e si rende conto che da solo non può

nulla. E’ uno che è circodato da uomini che chiedono e ai quali cerca di dare, ma non sa cosa

chiedono e non sa come dare. E’ un uomo che sa dire, dare eppure non si basta, altrimenti nemmeno

canterebbe, nemmeno si donerebbe nella sua nudità.

E come ogni uomo è artista.

Ha solo il coraggio di mostrare la sua nudità. Ha solo la sfrontatezza di mostrare la sua nudità. Sa di

far schifo a molti e se ne vanta. Sa di far schifo a pochissimi e ci sta male.

E’ uomo.

Ontologia dell’ovvio. L’innaturalità di pensarsi naturale. Paradosso vivente.

Siamo chiamati come cristiani ad incontrarli nella loro caduta e mostrare loro il nostro sguardo in

fuga.

Il nostro essere incredibilmente lieti anche nell’obiezione più dura!

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Il nostro essere più peccatori di loro anche nell’atto d’amore più grande!

Negativo nel positivo, positivo nel negativo.

Essere fuga in sol minore di Bach: un girotondo di bambini in un cimitero

Essere “He was despised” di Haendel: piangere malinconia in un contesto divino in mibemolle

maggiore

Negativo nel positivo, positivo nel negativo. Appunto!

Altrimenti si è sterili, piccoli, minuti, pretenziosi, tutt’altro che affascinanti e come tali tutt’altro che

affascinati.

Rufus Wainwright, perdonaci non sappiamo quello che fanno…

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Piero Dentella – Christus Factus Est (1936)

By minstrel on 18 aprile 2014 • ( 2 )

Con questo insolito ed esclusivo canto per tre voci pari del Maestro Piero Dentella, registrato in

fretta e furia con lo smartphone del sottoscritto durante l’unica prova fatta poco prima della messa

del Venerdi Santo in quel di Gazzaniga (Bg), il blog Croce-via augura a tutti i lettori affezionati e

ai naviganti saltuari una Buona Pasqua.

Una pagina preziosa di musica che purtroppo rarissimamente viene eseguita durante le liturgie.

Molto bella da cantare, credo lo sia anche da ascoltare per la prima volta.

Da quel che so quella che proponiamo è la prima incisione in assoluto del pezzo e di certo il

pezzo meriterebbe una registrazione migliore, ma per ora questo è quanto.

2 bassi, 2 baritoni e io nella parte del tenore.

Prima prova assoluta per tutti e cinque; praticamente un prima vista.

Ci siano perdonate dunque le note non particolarmente felici.

A presto e ancora auguri a tutti!

Christus factus est pro nobis obédiens usque ad mortem, Cristo si è fatto obbediente fino alla

morte

mortem autem crucis. e alla morte di croce.

Propter quod et Deus exaltávit illum, Per questo Dio l’ha esaltato

et dedit illi nomen, e gli ha dato il nome

quod est super omne nomen. che è al di sopra di ogni altro nome.

(Filippesi 2,8-11)

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Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 01

By minstrel on 11 giugno 2014 • ( 16 )

In memory to “il desiderio di Claudio di saperne di più

che dopo aver visto cosa ha creato si sarà certamente nascosto”

Benvenuti a tutti gli ascoltatori di Radio Croce-via!

Prima di iniziare è d’obbligo la …

SIGLA

“Sei un cristiano e non hai mai sentito ‘sta roba qua? Nun va bbene.

Sei un appassionato di musica e non sai chi è quell’autore lì? Devi rimedià!

Sei un cattolico quindi non ascolti Bach? Ba(c)h!

Sei un ortodosso e dal 1100 non ti sei più mosso? Nun fare il gradasso!

Nooononononoooooo Nun fare il graaadaaassoooo!

Sei un tradizionalista e pensi che dopo Palestrina la musica è andata a rotoli? Nun fammé ridè!

Sei quello che Frisina è il non plus ultra dei sacri moderni? Ti prego, dimmene ‘n’altra che me faaai

mmorì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii morììììì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii impaziiiiii!!!”

PROLOGO

Ciao a tutti!

Eccoci dunque ad una nuova rubrichetta del blog Croce-via!

Una rubrica gggiovane come la musica che vuole trasmettere. Eh si cari ragazzi e ragazze

(soprattutto!) all’ascolto! La nostra è musica always young perché è semplicemente eterna! E visto

che l’eterno – ci dice il nostro Tommasino – è assenza di Tempo basta fare 1+1 e il gioco è fatto.

Sperando ovvio che si accetti la logica.

Ma bando alle ciance e chiariamo cosa stiamo facendo!

#eccobravo!

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Dunque come ci è venuta questa idea?

Complice una mail privata di Claudio in cui si chiedevano consigli d’ascolto di musica sacra e la

richiesta di Andrea Carradori di pubblicizzare sul blog il suo evento dedicato alla “Bellezza nella

liturgia”, nella quale la musica ha rilevanza imprescindibile, abbiamo preso la palla al balzo.

#bellescuse…

Non vogliamo incantare nessuno con elucubrazioni da musicologia di primo liceo o tediarvi con

dissertazioni di storia della musica sacra nella valle seriana agli inizi del millennio in corso. Non

siamo in accademia e non siamo nemmeno fessi: siamo in una radio ggiovane che racconta storie

musicali eterne. A noi il piacere del lancio musicale, agli altri l’onere dell’approfondimento cul-turale!

#battutacretina

Hai ragione #regia! Ahah, andiamo avanti…

#deogratia!

Lo scopo di questa nuova rubrichetta è dunque far conoscere ai lettori la musica sacra che a nostro

umilissimo avviso è imprescindibile e lo faremo tramite una playlist personale di spotify, pubblica,

seguibile ovunque/sempre/da tutti!

Vive la tecnologì!

#quevivaanchelelinguestraniere…

Dunque ecco l’unica regola della radio: tre pezzi (perfect number!) per ogni puntata. E si

indicherà di UN solo autore UN solo suo singolo pezzo imprescindibile e indicando UNA SOLA

interpretazione che a nostro umilissimo avviso risulta la migliore sul mercato. Prima di ogni

singolo faremo una brevissima disertazione sul perché questa musica è eterna, quando questo pezzo

di eternità è venuta alla luce e per quale contesto è stata scritta. Il tutto rigorosamente casuale ma con

giudizio! Cerchiamo insomma di presentare autori diversissimi, di epoche diversissime, ma che

insieme fanno una bella playlist d’ascolto!

Come ultima cosa la spiegazione del plurale majestatis usato finora, non siamo naturalmente la

reincarnazione di Pio XII…

#madai…

… semplicemente la playlist è compilata da minstrel e dal suo amichetto Franz! Yeeeeeee… va beh.

Di minstrel sapete già tutto (cioè nulla), di Franz, che già scrisse per “Crux and go”

#ohmy…

ecco il CV: uomo, organaro, direttore di cor(r)o, pianolista e hammondista, compositore alla corte

dei netturbino!

#siamoacavallo

PUNTATA

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1. E ora via con il primo brano in scaletta. Naturalmente non poteva non essere il capolavoro di quel

genio di Palestrina! Un canto per la litugia da cantarsi durante la passione tratto da quel lamento

straordinario che è il Salmo 137.

“Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra

appendemmo le nostre cetre!” e se qualcuno sente risuonare il Quasimodo di “alle fronde dei salici”

non ha tutti i torti!

Ma cosa ha di eterno questa song? A parte la struggente malinconia ricreata dalle sole 4 voci che

entrano piano piano in un gioco di incastri che ci ricordano come da una lacrima scende piano un

pianto intero; a parte il motivo parola che ritorna ciclicamente eppure in modo sempre nuovo; a parte

lo stretto finale sulle parole “suspendimus organa nostra” che pare una preghiera sempre più

straziante innalzata a Dio che porta ad un finale inconsueto; a parte che l’armonia è agli apici e c’è

solo che da godere; a parte tutto, nulla.

Versione dei Pro Cantione Antiqua diretti da Bruno Turner. Go!

2. Saltiamo di qualche secolo e giungiamo nella Francia di inizio 900. Qui Poulenc presentava il suo

dolente Stabat Mater dopo la perdita dell’amico Christian Bérard…

#cheallegria

Silenzio ‘gnurant! Dicevamo… dunque… ach, ci ha fatto perdere il filo porc… insomma da questo

capolavoro estraiamo il Fac ut ardeat nel quale viene gestito un tipico esempio di Cantus firmus: la

melodia iniziale ai soprani, passa ai tenori e ritorna più volte a volte variata nell’armonia. Nel mezzo

delle vere e proprie strappate orchestrali che sbalestrano l’ascoltatore, racccapricciano, mostrano il

mistero di un’anima che cerca, lacerano il cuore del mistico in cammino sulla salita del Carmelo,

fanno implodere…

#boom!!!ebbbasta!

… (sospiro). L’edizione scelta è dal cd di Daniel Reuss e Coro di Amsterdam: bel tempo lento, canto

del coro vigoroso, strappate orchestrali oh yeah!

3. La nostra ultima proposta non poteva che essere il genio più genio del genio geniale elevato al genio.

Bim bum Bach! E cosa scegliere fra le millemilapagine del genio più genio del genio ge…

#taglia!

… niale? Ovviamente iniziamo con “Suscepit Israel” dal Magnificat cilindrata 243 nel quale si

intersecano 3 voci femminili di sua composizione. Sembra la solita meravigliosa tiritera e invece a

metà salta fuori uno strumentino che si mette a fare quello che sembra un controcanto… no! Quello

strumentino (chiamasi oboe) inizia il cantus firmus del “tonus peregrinus” tedesco cioè la melodia

gregoriana su cui si canta il Magnificat in tedesco; in quel momento si scopre dunque che le tre voci

iniziali non erano che dei controcanti a questo cantus implicito tradizionale!

#cioèquestoiniziaconicontrocantidiunmotivochevienedopo?!

Esatto #regia, hai capito il genio più genio del…

Page 18: Crocevia Sacra Arte

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#aaaargh

…eugenio?! Va beh, diamoci dentro con Gardiner ragazzi!

E uan e ciù e uan ciù trì fò:

Alla prossima puntata ragazzi, grazie per averci seguito e mi raccomando non trattenetevi nel

proporre nuovi brani nei commenti. La nostra esperta giuria di esperti vedrà se metterle nelle

prossime trasmissioni.

Stay tuned!

#madavveroneh!

Page 19: Crocevia Sacra Arte

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True Detective: la metafisica e la teologia cristiana in un

capolavoro contemporaneo

By minstrel on 19 giugno 2014 • ( 30 )

ANALISI E ANAMNESI BY MINSTREL & CLAUDIO

Rusty (in peace?)

“Cosa ci facevi a Parigi?”

“Essenzialmente mi ubriacavo

di fronte a Notre Dame…”

Rust Cohle

(True Detective – 1° stagione)

Perché un blog con una linea editoriale come la nostra dovrebbe prendersi la briga di aprire una

riflessione sulla prima stagione di un serial TV come True Detective?

Questa è una domanda ragionevole, ma che solo chi non ha visto la stagione in questione può fare a

cuor leggero. Il serial infatti mette in campo un vero e proprio spaccato di mentalità contemporanee,

assegnate dallo script ai personaggi in modo tanto esemplare quanto intelligente. L’analisi di queste

mentalità porta dritti alla possibilità di riflettere sulle metafisiche antiumane (consapevoli o meno)

che guidano questi archetipi narrati sullo schermo. E da questa riflessione, si coglie quindi quello che

a par nostro è lo straordinario lascito di questa prima stagione di True Detective: di fronte al male

l’uomo non può che spogliarsi delle proprie maschere, ponendosi di fronte al suo limite di

creature immersa nel peccato originale. Ma il naufragare in un male incomprensibile, rende

possibile l’esperienza “mistica” di un amore che “crea”.

Questa è dunque la conclusione a cui giunge la prima stagione di un crime serial nel quale la ricerca

dell’assassino è mero pretesto narrativo per narrare due affreschi che hanno il nome e la faccia di

Woody Harrelson e Matthew McConaughey, mentre l’assassino e l’ambiente che crea intorno a sé

non è altro che la nemesi necessaria per il finale devastante.

Page 20: Crocevia Sacra Arte

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Tre sono le figure archetipiche riprodotte che ci appaiono degne di una riflessione su Croce-via: il

nichilista alla Schopenhauer (Rust -Rusty- Cohle), il pragmatico ingannatore di sé stesso (Martin -

Marty- Hart) e la misera banalità schifosa del male (Errol, il serial killer). Tramite un sottile gioco

narrativo questi archetipi si stagliano grandiosi in una selva di altre figure umane disperate e in

ricerca.

RUSTY

Rust Cohle si presenta da solo:

“Ognuno è così sicuro del proprio essere reale, e che la propria esperienza sensoriale abbia

costituito un individuo unico dotato di scopo, di significato. Sono così sicuri di essere qualcosa di

più di di una marionetta biologica. Beh, poi esce la verità e tutti si rendono conto che una volta

tagliati i fili tutti cadono. Ogni corpo immobile così certo di essere qualcosa in più della semplice

somma dei propri bisogni, tutte quelle giravolte inutili, le menti stanche… Uno scontro tra desiderio

e ignoranza. Nel momento della morte capisci che tu, proprio tu, tutto questo grande dramma non è

mai stato altro che un coacervo raffazzonato di presunzione e stupida volontà. E puoi semplicemente

lasciarti andare, finalmente, adesso che non devi più aggrapparti così forte per renderti conto che

tutta la tua vita, tutto il tuo amore, il tuo odio, i tuoi ricordi, il tuo dolore era tutto la stessa cosa.

Era tutto lo stesso sogno, un sogno che hai avuto dentro una stanza chiusa. Un sogno sull’essere una

persona”.

Eppure dietro a questa maschera di pessimismo cosmico leopardiano si cela un uomo chiuso in

un’etica ferrea, consapevole dell’esistenza di una giustizia (cerca infatti fino alla fine l’assassino,

anche a costo di farlo come investigatore privato senza essere pagato), dell’esistenza del “male”

(epocali le sue uscite su “ciò che ha visto”) o della “verità”. Colpisce il suo personaggio perché

appare onesto e senza illusioni di sorta. Conosce il male e lo cerca, lo disegna in modo ossessivo,

con dettagli inenarrabili. Coglie che disegnare il male commesso da altri è cercare di penetrare una

verità estranea all’uomo. Ma non è affascinato da questo male, ne è schifato piuttosto! Eppure si

circonda di male, come se la sua vita potesse ricevere vita proprio da questo male, come se egli si

sentisse “bene” perché il male altrui che lo circonda gli descriva ciò per cui ha senso ancora vivere,

soprattutto dopo la morte della sua unica figlia e il matrimonio andato a rotoli. Sembra dunque che

per lo meno il personaggio sia onesto, ma non è vero. Ha ben ragione Marty, il suo compagno di

lavoro durante l’indagine iniziale, a dire che per quanto le parole di Rust sembrano descrivere

perfettamente la realtà, lui è il primo a non crederci.! Ed è una grandissima verità perché Rust

non sarebbe il personaggio che è se non avesse la contraddizione che lo spinge ad aiutare le

persone che egli ritiene, per sua metafisica, semplicemente inesistenti, semplicemente illusorie e

a perseguire una giustizia che secondo la sua filosofia non sarebbe altro che un concetto vuoto. Perché circondarsi di un male che non è nemmeno tale se fatto a “semplici sogni fatti in una stanza

chiusa”? Perché soffrire ancora tanto per una bambina che semplicemente non era nulla? Cosa è

questo dolore atroce?

Rust si illude che una semplice metafisica che annulla la realtà possa trasportarlo in un nirvana

catartico dove nulla ti tocca. Ma per sua fortuna questo non è possibile poiché ogni cosa che sente,

vede, vive, fa, si scontra con la sua sensibilità enorme, con il suo senso comune e il suo senso etico

naturale. E non stupisce che la sua casa sia il ritratto della sua metafisica: vuota, spettrale, irreale,

anti-umana. E tale casa è davvero il ritratto della sua anima, comprese le pareti piene di suoi disegni

che ritraggono delitti, di fotografie raccapriccianti, di sue scritte, frecce, collegamenti. La ricerca

Page 21: Crocevia Sacra Arte

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della giustizia contro un male che è l’unica cosa che egli sente ancora come reale e che gli distrugge

quella pace illusoria che egli vorrebbe raggiungere con la sua metafisica devastante.

Una metafisica in cui, ovviamente, il giudizio sul cristianesimo e sui cristiani non può che essere

lapidario, glaciale, senza appello; giudizio esplicitato magistralmente nel seguente discorso,

pronunciato davanti ad un inorridito Marty mentre i due indagano sui componenti di una Chiesa

pentecostale:

Se l’unica cosa che fa comportare decentemente una persona e l’attesa di un premio divino, quella

persona è un pezzo di merda. E mi piacerebbe sbugiardarli tutti quanti se possibile. Dovete riunirvi

tutti insieme e raccontarvi storie che violano ogni legge di gravità solo per sopravvivere attraverso

la maledetta giornata? La dice lunga sul loro tipo di realtà….Io vedo tendenza all’obesità, Povertà.

Un desiderio smodato di favolette. Gente che butta i pochi spiccioli che possiede in un cestino di

vimini. Penso sia pacifico affermare che qui nessuno dividerà l’atomo…”

MARTY

All’opposto di Cohle, Martin Hart è il ritratto della felicità illusoria da campagna pubblicitaria: in

carriera con un lavoro gratificante, proprietario di una bella casa dove vive con una famiglia

apparentemente felice, una splendida moglie casalinga, credente ‘tiepido’, due figlie senza problemi

e il bowling con gli amici, alla Homer Simpson, una volta a settimana. Basta poco e si comprende al

volo come gli atteggiamenti di Marty non siano altro che i comportamenti di una maschera, di un

personaggio diverso dall’uomo che è Martin Hart: sempre pronto a farsi giustizia da solo, padre

assente, la cui serenità famigliare assomiglia piuttosto ad una pseudo pace borghese dove si

nascondono frustrazioni ed infedeltà. Nel personaggio di Marty Hart è dunque più chiara la finzione

e la disonestà con cui vive la propria vita rispetto a Cohle. Entrambi comunque sono schiacciati da

una simulazione che non corrisponde al loro vero sentire interiore ; due uomini imprigionati in una

gabbia autocostruita, per sopravvivere e non doversi affrontare per quello che sono.

Emblematica la scena in cui Marty osserva per la prima volta il male vero e selvaggio, di fronte ai

bambini sequestrati dal criminale che ha appena fermato con Rusty, ritrovati seminudi e denutriti in

un garage disperso nella campagna: la sua reazione è da fuori legge, da persona che non accetta il

mistero del male e si danna a compierlo personalmente. Credo sia questa la chiave di lettura della

pistolettata con la quale egli uccide a sangue freddo il sequestratore.

ERROL

E poi l’assassino seriale. E’ un personaggio volutamente senza storia. E’ davvero una maschera in

tutti sensi. Egli non è una persona umana, ma è la quotidianità del male assurta a forma umana

aristotelicamente intesa! Perché l’assassino, che per la storia poteva benissimo essere solo il

pretesto per narrare le finzioni dei due protagonisti, è illustrato comunque in modo straordinario

proprio per la sua rozzezza nel tratteggio. I dettagli sulla sua vita privata sono pochi, vengono svelati

alla fine e sono tutti raccapriccianti nel vero senso della parola: la casa dove abita è asfissiante,

rivoltante; la compagna con cui vive è letteralmente ripugnante; la scena in cui comincia a far sesso è

quanto di più disgustoso si possa vedere. Ma tutto questo non perché le scene in cui pervade il male

siano le cosiddette classiche scene “forti” – noi giovinastri cresciuti a pane e Takashi Miike non

Page 22: Crocevia Sacra Arte

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soffriamo di questi problemi – ma al contrario perché sono scene “quotidiane”, banali, è quello che

sarebbe la vita di ciascuno di noi (con il lavoro, la famiglia e gli affetti, la casa, il giardino da tenere)

se fosse completamente intrisa di male.

Per assurdo narrativo dunque l’unico che davvero non maschera la propria vita di fronte ai suoi

affetti è l’assassino . Un ‘cattivo’ che non ha nulla di nobile, e le cui motivazioni non hanno nulla di

affascinante o di ‘interessante’ , sia anche solo dal punto di vista patologico, a differenza di altri suoi

antenati ‘patrizi’ della storia del cinema (basti pensare a Jigsaw di Saw o Hannibal Lecter de ‘Il

Silenzio degli Innocenti). Il serial killer è semplicemente una vittima diventata carnefice, come tanti

altri; “quello che mi hanno fatto, io lo farò ad ogni figlio dell’uomo” Questo è tutto ciò che

sappiamo di lui. Di nuovo, il male nella sua mediocrità più quotidiana. Di nuovo, il male nella

gratuità maledetta dell’ingannatore, del demonio beffardo e bastardo, che fa restare ammutoliti di

fronte a quell’ “orrore” che ci ricorda il Kurtz morente dell’immenso finale di cuore di tenebra e il

Brando di Apocalypse Now.

Ora: chi vuole vedere la serie tv finisca qui la lettura del post. Chi ha già visto o vuole rovinarsi

il finale prosegua pure…

AND LIKE A LOT OF DREAMS, THERE’S A MONSTER AT THE END OF IT…

Ad un certo punto della serie, i ‘nostri’ sembrano aver vinto; chi si credeva fosse l’assassino viene

fermato, Marty e Rust vengono considerati degli eroi, il più classico degli happy ending. Ma anche

questa è una menzogna; magari consolatoria ma insopportabile e destinata a collassare, travolgendo

chi per comodità ci si è adagiato sopra. La maschera di finto perbenismo di Marty collassa sotto il

peso dei suoi tradimenti e della sua sostanziale superficialità, portando alla distruzione del suo

matrimonio e del suo rapporto con le figlie. La presunta impassibilità di Rust crolla quando si rende

conto che non solo l’assassino e ancora a piede libero ma che nessuno ha intenzione di cercarlo

davvero, cosa che lo spinge ad abbandonare la polizia e a rovinare del tutto il suo rapporto con

Marty, la cosa più simile ad un amico che Cohle abbia mai avuto.

In questo contesto, in un continuo gioco di flashback e flashforward che contraddistingue lo

strepitoso script, si giunge al gran finale: ora che abbiamo descritto i personaggi, crediamo sia facile

comprendere la sua grandiosità. I nostri si rincontrano dopo dieci anni. Cohle è , smagrito, beve

perennemente e vive come una sorta di eremita, separato dal mondo. Sembra l’immagine della

sconfitta, o la logica conseguenza di cio’ che si era detto prima di lasciare la polizia, in una sorta di

disperata auto-condanna che ricorda da vicino l’Eterno Ritorno di Nietzsche:

” Non voglio sapere più nulla. A questo mondo nulla può essere risolto. Qualcuno una volta mi disse

che la vita è solo un circolo ripetitivo Tutto ciò che abbiamo fatto o faremo, saremo costretti a

ripeterlo ancora, ed ancora, ed ancora. E quel ragazzino e quella ragazzina saranno ancora in

quella stanza, sempre e per sempre e per sempre”.

Cionostante, anche qui Cohle non crede alla sua stessa filosofia; ha continuato ad indagare

ininterrottamente sul caso, e coinvolge un inizialmente riluttante Marty nella ricerca del serial killer;

assassino che viene finalmente stanato, ma quasi a costo della vita di entrambi i protagonisti , i quali,

dopo la cattura,lottano fra la vita e la morte per settimane in ospedale.

Fino alla scena finale: Marty è oramai guarito e Rust può uscire dalla camera in carrozzina. E li, sotto

un cielo stellato che Kant si sognava di notte, circondati da luci al neon ospedaliere, Cohle rinuncia

alla sua maschera e si narra completamente ad un Marty oramai separato e che ha tutto da ricostruire.

Page 23: Crocevia Sacra Arte

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Rusty si abbandona così per la prima volta alle lacrime, facendo finalmente i conti con quei

sentimenti che aveva disperatamente cercato di allontanare dopo la morte della figlioletta. Nel suo

discorso finale, esprime il suo il rimorso per aver incontrato (nei primissimi episodi) il killer faccia a

faccia (quando ancora non poteva sapere chi aveva di fronte), il fatto di dover essere grato a quello

che è l’unico amico che abbia mai avuto ma soprattutto l’accettazione di essersi sbagliato: durante il

coma, cioè in quel ‘nulla’ tanto ricercato e desiderato in cui Cohle desiderava abbandonarsi in un

non-essere puro, ritrova la sua bambina

“Ero sparito. Non esisteva ‘io’. C’era soltanto amore… e allora mi sono risvegliato.

E a noi tutta la scena finale sembra la descrizione del beato, del mistico che osserva “il cielo”,

dell’abbandono completo all’essere per sé sussistente che ci dissolve e per contrasto ci porta a

compimento.

E non si pensi sia la mera, e alquanto trita, storia di conversione post near death experience, quanto,

come ha dichiarato l’autore Nic Pizzollatto in una intervista, la storia di un allargamento di

prospettiva. In True detective tutti i personaggi si raccontano bugie (ed è un topos oramai nei serial

americani dopo lo straordinario Six Feet Under); Marty si racconta di essere un amorevole e

soddisfatto marito e padre di famiglia, Rust si racconta di non credere in niente, la polizia si era

raccontata di aver fermato l’assassino… finalmente proprio Rust, l’uomo che aveva sempre

sostenuto che non ci fosse luce in fondo al tunnel, alla fine di una ricerca della verità tanto negate

a parole quanto tenacemente perseguita nei fatti, si ritrova a dire, con voce rotta dal pianto e dalla

meraviglia:

“Una volta c’erano solo le tenebre. Se me lo chiedessi ti direi che la luce sta vincendo”.

Un capolavoro.

Page 24: Crocevia Sacra Arte

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Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 02

By minstrel on 22 giugno 2014 • ( 10 )

Iscriviti alla playlist di Radio Crocevia!

In memory to “il desiderio di Claudio di saperne di più

che dopo aver visto cosa ha creato si sarà certamente nascosto”

Benvenuti a tutti gli ascoltatori di Radio Croce-via!

#yeeee…uff

Oggi abbiamo come ospite speciale il nostro co-autore segreto Franz in veste di musicologo! E’ già

bell’è pronto qui in consolle con il suo quadernino di appunti delle scuole medie in mano!

#manonmidire!

prima di iniziare è d’obbligo la…?

#la,si,do

SIGLA

“Sei un cristiano e non hai mai sentito ‘sta roba qua? Nun va bbene.

Sei un appassionato di musica e non sai chi è quell’autore lì? Devi rimedià!

Sei un cattolico quindi non ascolti Bach? Ba(c)h!

Sei un ortodosso e dal 1100 non ti sei più mosso? Nun fare il gradasso!

Nooononononoooooo Nun fare il graaadaaassoooo!

Sei un tradizionalista e pensi che dopo Palestrina la musica è andata a rotoli? Nun fammé ridè!

Sei quello che Frisina è il non plus ultra dei sacri moderni? Ti prego, dimmene ‘n’altra che me faaai

mmorì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii morììììì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii impaziiiiiiiiiiiiiiiiii!!!”

Page 25: Crocevia Sacra Arte

25

PUNTATA

1. Minstrel: Partiamo alla stragrande con un autore del novecento! Ecco, ecco, Franz sta aprendo il

quadernino! Pronti? Dicci tutto!

Franz: UBI CARITAS ET AMOR di Maurice Duruflé!

Minstrel: certo certo… come scusa?

Franz (chiude il quaderno): francese, lavora in pieno novecento, organista, pianista, docente di

armonia, Poulenc gli chiedeva come scrivere le parti di organo… quelle robe qua

Minstrel: ah ecco.

#lascialoandareavantiiii!!!

Franz: L’ho scelto perchè estende il concetto di cantus firmus che abbiamo accennato l’altra volta,

rendendolo “parafrasi gregoriana”, per cui non c’è più una frase presa e reiterata, ma tutto un pezzo

gregoriano (Ubi caritas, in questo caso) che viene preso a modello e seguito: in pratica sono

coinvolte tutti i versi del brano originale, non solo un temino.

Minstrel: se se… e poi dopo?!

Franz: …se ta set ‘gnurant, e poi dopo l’è bel! Ad esempio, quando fa salire la melodia, fa salire

anche tutte le altre voci sotto, invece di aprire in maniera mastodontica; al contrario quando la

melodia è grave, nel finale, apre da 4 a 6 voci, moltiplicando la pasta armonica: tutto questo concorre

secondo me all’aura mistica/sognante del pezzo, che si mantiene per tutta la sua durata, procedendo

per cui con vari espedienti ma in modo uniforme e mai straniante, ma anzi…

#(fallosmettere!!!)

Minstrel: …Bene! Benissimo! Bbbravobbravoarcibbravo! Adesso vediamo se è vero quel che sta

dicendo ‘sto qui! Pronti? GO!

2.

Franz: ZADOK THE PRIEST o “Coronation Anathem” (inno dell’incoronazione)!

Minstrel: come scusa… ero ancora distratto dall’Ubi

Franz: adesso andiamo a Haendeeeel! Ha composto ‘sta roba per l’incoronazione di Giorgio II e da

allora viene utilizzato per ogni cerimonia di incoronazione di ogni monarca inglese (= ogni capo

della chiesa anglicana).

#teh,madai?!

Il testo è tratto dall’antico testamento, in un adattamento svolto probabilmente da Handel stesso, e

racconta dell’episodio della consacrazione di re Salomone. Il brano è per coro a sette voci…

Minstrel: Franz, apri il quadernetto, stai sbagliando.

Franz: macché

Minstrel: 7 voci tua sorella Franz! Impossible

Franz: ‘sculta sono 7 voci e ci ha pure l’orchestra completa di archi, fiati e timpani!

#seserveilcampanellodellabiciclettaiocisono…

Minstrel (sospira): va bene… però adesso apri il quadernetto vero?

Franz (imprecando): va bene! Le uniche dinamiche sengnate da Handel sono un piano all’inizio e un

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forte all’entrata del coro. L’introduzione orchestrale è una macchinosa serie di progressioni, in cui

l’orchestra monta monta monta monta monta…

#beatalei

…e poi scoppia, appunto, appena entra il coro A 7 VOCI!

Minstrel: … ecco, infatti… cosa ti dicevo?

Franz (imprecando più forte): …La solenne prima parte si conclude poco dopo, lasciando spazio alla

seconda in 3/4 puntato, il festoso “and all the people rejoice” e infine il movimento conclusivo che

intercala lodi al sovrano con vari “amen” e “alleluja”, eseguiti in contrappunto sia all’interno del

coro che tra il coro e l’orchestra. Lo so che tutto questo è decisamente troppo da analisi musicale for

dummies, però insomma…adesso tocca a te!

Minstrel: …

Franz: In pratica questo pezzo è il trionfo del barocco, con tutti i suoi pregi e difetti!

Minstrel: … perché è… ecco…

Franz: è d’impatto, è magniloquente e di sicuro pomposo, ma tocca comunque corde espressive

interessanti che lo fanno vedere comunque come un pezzo sacro, cioè non perde l’obiettivo primo

della composizioneeee!

Minstrel: praticamente ti piace pure l’antibach?

Franz: che domande… dai, procediamo: Trevor Pinnock all’ambaradan!

#tadaaaaaaaaaaaaan!

3.

Minstrel: sai che io sarò ‘gnurant però il pezzo di prima mi ha convinto fino ad un certo punto?

Franz: perché non sei rock!

Minstrel: no, è che è davvero taaanto inglese; caspita mi sembrava di sentire l’orchestra che suonava

accompagnando il cocchio dei cavalli… boh, forse è che se penso al sacro, penso alle atmosfere

rarefatte e…

#signoriabbiamounnuovotradizional-moralista!

…no ‘speta! E’ bellissimo! Adesso lo risento in cuffia…

Franz (apre il quaderno con fare saputo): Bene, adesso che l’abbiamo perso lasciatemi fare la

presentazione del terzo e ultimo brano senza ulteriori…

#scordatelo!Chiudiquelcosooo!!!

(spegnendo il collegamento con la regia): …disturbi! NUPER ROSARUM FLORES di Guillame

Dufay (ritenuto all’epoca il più grande musicista di sempre ed oggi il più grande della musica alto-

rinascimentale) è stato scritto per l’inaugurazione della cattedrale di S. Maria del fiore in Firenze e si

ispira alla struttura della cattedrale, secondo la geniale intuizione di tradurre in musica le proporzioni

architettoniche.

(Qui riapro il mio quaderno appunti del corso di musica rinascimentale)

In pratica il mottetto è diviso in quattro parti: le voci sono quattro, due delle quali (motetus e triplum)

conducono il mottetto vero e proprio, le altre due (i due tenor) ripropongono per quattro volte lo

stesso cantus firmus a distanza diversa ogni volta e non per tutta la durata di ognuno delle quattro

parti. In tutto questo succede che:

– la parte in cui cantano i tenor in ogni parte del mottetto, corrisponde alla sezione aurea della parte

stessa

Page 27: Crocevia Sacra Arte

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– la distanza sempre a stringere secondo la quale si presenta il medesimo tema portato dai due tenori,

ricalca la proporzione tra la parete interna e quella esterna della cupola del Brunelleschi nella detta

cattedrale

Inoltre bisogna dire, come se non bastasse, che le quattro parti sono identiche per numero di battute

ma diverse per tactus, se le si divide si ottiene che la prima è in 6/4, la seconda in 2/2, la terza in 2/4,

la quarta in 6/8: a fronte di ciò si ottiene nella prima 168 tactus, 112 nella seconda, 56 nella terza e

84 nella quarta. Riducendo la proporzione 168:112:56:84 nei minimi termini, si ottiene 6:4:2:3 (NB:

tale riduzione è frutto della divisione del mottetto per 28). Ebbene, indovina un po’, l’intera

cattedrale è costruita su questa proporzione! Percorrendo infatti la chiesa dal fondo fino all’altare si

nota che: sono 6 i moduli della navata, 4 i moduli dei transetti (due per ogni transetto, ed ecco

spiegato il 2/2), 2 i moduli della zona absidale, 3 i moduli che separano il pavimento dall’inizio della

cupola. E, guarda a caso, i moduli misurano 28 braccia ciascuno. Insomma, riecco il nostro 6:4:2:3

frutto della divisione della cattedrale per 28.

(Chiude il quaderno)

Insomma un genio totale…perché? Perché nonostante detta così sembri solo una gran spataffiata di

genialità architettonica, il mottetto suona armonioso, si intravede una sintesi dell’esperienza

medievale e allo stesso tempo non è uno di quei mottetti che apprezzi in funzione del fatto che dopo

viene il rinascimento, con lo spirito tipo “dai che ce la potete fare, Perotini del menga!”. Questo lo

ascolti volentieri: le cadenze, i movimenti, il contrappunto e la gestione delle parti sono già a livelli

altissimi e maturi. Tutto è concluso da un brevissimo e incantevole amen in cui si incontrano,

finalmente omoritmiche, le quattro voci. L’unione dell’autentica bellezza del mottetto insieme

all’ingegno che vi sta dietro lo rendono una delle migliori pagine sacre di sempre! Ragazzi… lo so,

ho sbrodolato, ma questa roba mi fa chiudere ogni vena!

Minstrel (toglie la cuffia): ma si dai, hai ragione su ‘sto Haendel… dunque adesso cosa c’è?!

Franz: Huelgas Ensemble, Dufay, godimento estremo! e uan e tù e uan tù trì fooooooooooooo

Minstrel: hey, heeeeyyyyyy….. regiaaaaaaaaaaa…

Va beh, anche questa volta ce l’abbiamo fatta!

Alla prossima puntata ragazzi, grazie per averci seguito e mi raccomando non trattenetevi nel

proporre nuovi brani nei commenti.

Non dimentichiamo il Credo di Mozart eh, stia tranquillo il nostro ascoltatore attento della prima

puntata, la nostra esperta giuria di esperti lo sta già valutando per le prossime trasmissioni!

Stay tuned!

(ehi… ma chi ha spento la regia?)

#…abbiamounaudiencedaschifoadessoconquelquaderninodelmengadelporcocanedel…ehm…salve…

eccoehm…staytuned!

Page 28: Crocevia Sacra Arte

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Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 03

By minstrel on 20 luglio 2014 • ( 26 )

Iscriviti alla playlist di Radio Crocevia!

In memory to “il desiderio di Claudio di saperne di più

che dopo aver visto cosa ha creato si sarà certamente nascosto”

Salve…

#yeeee!!!!!!

bentornati…

#(sorridi!entusiasmooo!)

di nuovo eccoci ad una nuovo puntata di… ehm… e allora si comincia con il primo brano che è bello

e

#cosafaaaaaaaaaaaiiiii?!??!!!!ripigliati!

(ma non ci riesco senza Franz!)

#ripigliationontipago!

sai che novità

#tipagoildoppio!

quanto fa zero per due?

#facciolatrasmissioneio!

#…

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BEEEEEEEEEEEEENVENUTI alla terza meravigliosa puntata di Radio Croce-via! E prima di

iniziare è d’obbligo la…?

#lavarsilemani

SIGLA

“Sei un cristiano e non hai mai sentito ‘sta roba qua? Nun va bbene.

Sei un appassionato di musica e non sai chi è quell’autore lì? Devi rimedià!

Sei un cattolico quindi non ascolti Bach? Ba(c)h!

Sei un ortodosso e dal 1100 non ti sei più mosso? Nun fare il gradasso!

Nooononononoooooo Nun fare il graaadaaassoooo!

Sei un tradizionalista e pensi che dopo Palestrina la musica è andata a rotoli? Nun fammé ridè!

Sei quello che Frisina è il non plus ultra dei sacri moderni? Ti prego, dimmene ‘n’altra che me faaai

mmorì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii morììììì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii impaziiiiiiiiiiiiiiiiii!!!”

PUNTATA

1. Oggi, dicevamo, SEMBRAVAMO tutti tristi perché Franz manca all’appello

#tutti?pluralemajestatis?

ma non pensiate che è stato squalificato per questa tornata solo perché l’ultima volta con il suo

quadernino rinascimentale ha demolito l’audience ggiovane e…

#(sileeeenzioooo!)

… e che se non guidiamo noi i giovani verso sfere più alte mi chiedo chi possa farlo allora ed è certo

che se proponiamo sempre la solita solfa pensando che i ggiovani non abbiano la stoffa di…

#aaaaaaaaaaaaaargh!

…seguire discorsi più aulici allora ci condanniamo da soli al nostro continuo decadimento verso

l’ignoranza più becera!

#finito?

Aaaah (sorride).

Dunque il primo brano che oggi proporremo è “In monte Oliveti” dell’assassino impazzito al secolo

Gesualdo da Venosa. Il nostro eroe, che a confronto il protagonista di From Hell di Alan Moore è

Madre Teresa, si cimenta nel 1611 nei responsori del Venerdì Santo con il suo consueto dettagliato

tentativo di comunicare la sofferenza e il dolore. La straordinarietà delle composizioni del Gesualdo,

che ancora oggi le rendono emotivamente devastanti, è – con buona pace dei tridentini moderni –

derivante dalla libertà che il principe si prendeva rispetto ai dettami di “musica piana” propri del

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Concilio Tridentino. Principio della “gravitas”? Maddeché! Intelleggibilità del testo? Se voglio!

Espressività contenuta e mai oltre il soggettivamente impostato? Giammai! La grandezza del nostro

principe sta proprio nell’emancipazione non fine a sé stessa da questi dettami…

#chiudiilquaderninootisqualifico!

…la quale crea con questi brani un monodramma sublime dove sovrabbondano invocazioni

esclamative e accenti imploranti. E’ una sorta di protestantismo individualista che però non sfocia

nell’eresia generalizzata di un dettame artistico imposto dalla Chiesa poiché, appunto, la ricerca

sonora che utilizza temi cristici è totalmente individuale e non abbandona la sostanza magisteriale,

quanto piuttosto i dettami storico-artistici imposti per quel periodo. Gesualdo crea dunque una forma

personale di astrazione sonora che non poteva avere futuro e che sarebbe morta con lui e…

#bassstaaaaa!

(adesso vediamo se non vorrai più Franz!)

In questa composizione il soprano avvia un fiume in piena a 6 voci di implorazioni accorate che

tratteggiano l’atmosfera mistica e spiritualmente dolorosa della preghiera di Cristo nel Getsemani.

L’accordo minore in “oravi” seguito da soluzioni armoniche arditissime per descrivere “ad patrem”.

Il susseguirsi di…

#(chiudel’audio)kingsinger,anno2004,buonascolto!

2.

La,si,si, prova… mi sentite?

#ahimésì!

Bene, procediamo: qualcuno di voi ha visto Tree of Life di Terrence Mallick?

#èunaminaccia?

Film straordinariamente evocativo, forse metafisicamente acerbo, ma umanamente devastante. Con i

suoi consueti voiceoff il regista ci guida in una storia di dolore verso la domanda classica della

teodicea: in tutto questo dolore, Dio dove sei?

Nel mezzo, in centro, nel cuore del film, una sequenza fra la psichedelia e il realismo scenico che

ricorda Kubrick nella quale il regista ripercorre la storia dell’essere, metafisicamente inteso, nella sua

esplosione contingente.

#machestaiadì’?!

Da quel che la scienza moderna configura come Big Bang fino all’organizzazione degli astri, fino

agli infimi pianeti che solitari passano di fronte a stelle immense; e quindi la vita e poi la vita

autocosciente… e sotto tutto questo?

Sotto tutto questo Preisner e il suo Lacrimosa da Requiem for my friend che…

#ehifermo…maquestosscrivecolonnesonore!

E allora?

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#maseèautodidatta?!!!??!

E allora?

#c’ègentecheticonsigliamozartedavittoriaqui!!!

E allora? Arriveranno!

#ilmessiahdihaendelmicapatatine!

E infatti quello ci sarà di sicuro!

#simaquisitrattanoicapolavoriSACRIdituttiitempie…

E allora? Qui si trattano i capolavori sacri ma non sotto una direttiva univoca o sotto una modalità

unica di scrivere musica cosidetta “sacra”. Sacra è la musica liturgica, ma sacra è anche la musica

che narra il sacro a mio umile avviso.

#umilissimovah,fidati…

Dunque: Zbigniew Preisner. Autodidatta. Polacco. Scrive per cinema. Ignoro se sia credente o meno.

Men frega negot! Sono certo però che sia umano e ce lo dimostra ad ogni nota. Viene scelto (anche

da cretini del calibro di Kieslowski o Kar Wai) perché capisce benissimo cosa si ha bisogno in quel

momento. E in questo Requiem da agio a tutta la malinconia e la sofferenza umana di fronte alla

morte. Sarà anche musica da “coup de théâtre“, sarà anche troppo descrittiva, sarà armonicamente

banale, sarà che l’orchestrazione non è raffinata come quella mahleriana, sarà che tratta la soprano

come solo Beethoven sordo sapeva trattare le voci…

#ealloradicosaparliamo?Macosalascegliafare?!

…ma è una figata da brivido.

#ahecco…

3.

E rieccoci per l’ultimo brano che… come scusa?

#dicevocherivogliofranz

Eh ma Franz non c’è! Quindi dicevo eccoci al terzo… cosa c’è ancora regia?!

#(piangendo)mimancailfranz…

Eh… allora vedi… allora veeedi! Senza Franz non siamo nessuno

#èvero

bbbbuuuuuuuuu

#siiiiiigh

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sooooob

#buuuuuu

TOC TOC

#…

Franz (entra di corsa): Bonjour, adesso basta pensarmi perché mi stanno fischiando le orecchie da 4

giorni oramai! Ricordo a entrambi che Lieta aveva chiesto una melodia da cantare a casa! Veni

sancte spiritus, inno gregoriano per la messa di Pentecoste, melodia a tre parti, simmetriche, quasi

anticipatore della formula A-B-A, Fulvio Rampi, Cantori Gregoriani, qui il testo, here der musique

in modern notation (and inutel Armonización…), buon ascolto! (se ne va…)

Ehi, ma… chi è quel giovanotto indisponente con la vespa scoppiettante…

#chedisturbalamiapubblicaquiete?!

E’ supergiovane?

#èsuperman?

E’ comunque un supereroe!

#conunasplendidaidea…

Buon ascolto!

#

Va beh, anche questa volta ce l’abbiamo fatta!

Alla prossima puntata ragazzi, speriamo con il nostro supereroe predi-letto e…

(si sente da sotto la finestra)

“è tutto in primo modo (re autentico) ma la solmisazione cambia esacordo da una “strofa” all’altra.

Cioè le stanze sono uguali a due a due come in tutte le sequenze: solo che qui le prime due hanno

l’esacordo molle, la tre e la quattroduro, la cinque e la sei molle e così via. In pratica: c’è un si

bemolle che viene (molle!) e che va (duro!). Questo caratterizza il misticismo del pezzo con cambi di

atmosfera. Per dirla in parabola “il si bemolle è simile ad una saponetta. Colui che canta sotto la

doccia decida con cura il momento in cui usarla”. O per dirla in metafo…

#AAAAAAAAAAAAAAAAARGH!fuoridiquientrambi!VIA!

Stay tuned!

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Radio Crocevia: la playlist dei capolavori! – 04

By minstrel on 3 novembre 2014 • ( 15 )

Iscriviti alla playlist di Radio Crocevia!

In memory to “il desiderio di Claudio di saperne di più

che dopo aver visto cosa ha creato si sarà certamente nascosto”

Legenda

Minstrel

Franz

#regia

SIGLA

“Sei un cristiano e non hai mai sentito ‘sta roba qua? Nun va bbene.

Sei un appassionato di musica e non sai chi è quell’autore lì? Devi rimedià!

Sei un cattolico quindi non ascolti Bach? Ba(c)h!

Sei un ortodosso e dal 1100 non ti sei più mosso? Nun fare il gradasso!

Nooononononoooooo Nun fare il graaadaaassoooo!

Sei un tradizionalista e pensi che dopo Palestrina la musica è andata a rotoli? Nun fammé ridè!

Sei quello che Frisina è il non plus ultra dei sacri moderni? Ti prego, dimmene ‘n’altra che me faaai

mmorì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii morììììì!

Dundaduuun dadaaaaa me faaaiii impaziiiiiiiiiiiiiiiiii!!!”

PUNTATA

1.

Buooooongiorno ragazzi!

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#allabuonora…

Torniamo dopo un bel pò di tempo a solcare queste pagine web con la musica sacra migliore di tutti

i tempi passati, presenti e futuri!

#seee,edimperfettiremoti…

E oggi abbiamo qui anche Franz, saluta Franz!

Uhe!

#ottimapartenza,nonc’èchedire

Allora Franz, cosa hai scelto questa volta?

Requiem, Fauré, Libera me, buon ascol…

Ehi ehi ehi ehi aspetta! Che storia è questa? E tutti i tuoi casini, le analisi, le criticità… ?

#laperditadiodiens…

Mah, mi ha detto il medico che ho le papille gustative interrotte…

#Eh?

Sì, poi ci ho un gomito che mi fa contatto col piede…

Cosa?

Mio padre che è rimasto chiuso nell’autolavaggio…

#Prego?!?

No no, è che ho dimenticato a casa il quadernino.

#OLE’!

Ah… orpola… ma, non possiamo andare così, a braccio?

#quellosecolare!

Possiamo provarci…

Ascolta, inizio io. Il Requiem di Fauré lo conosco poco, ma da quel che so è una messa per i defunti

anomala, quanto meno per la dolcezza che pervade quasi tutta l’intera partitura. So che addirittura

l’autore stesso disse che era una sorta di ninna nanna

Beh, si anche questo Libera me presenta un certo grado di dolcezza, o meglio una duplicità.

Quel che ricordi è quasi giusto, ecco cosa disse Fauré ad un giornalista:

«È stato detto che il mio Requiem non esprime il terrore della morte, qualcuno l’ha definito una

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ninna nanna. Ma è così che io sento la morte: come una liberazione, un’aspirazione alla felicità

dell’aldilà, piuttosto che un passaggio doloroso».

Fauré era un organista importante e di messe per i morti officiate all’organo ne aveva fatte a iosa,

presumibilmente voleva darci un taglio ed offrire la sua personale visione.

#comedarglitorto?

Il Libera me comunque rappresenta un passaggio centrale della musica sacra romantica, all’interno

del quale il libera rappresenta la duplice anima che dicevo del movimento:

la melodia quasi lirica del baritono solo e la scrittura corale basata sull’espressività delle dissonanze

che si aprono… e poi la viola lamentosa che fa da controcanto al baritono è da manuale della

malattia mentale!

Cioè vuoi dire che manca la soavità pura, ma è una sorta di dolcezza malinconica? In effetti da quel

che ricordo il testo parla di “giorno tremendo”

ma di tremendo non c’è nulla nel movimento, esatto!

Il baritono e la viola sono puri “strumenti” che attraverso la melodia legata cercano un’idea di

un’idea della morte liberatoria, colma di luce.

Il Coro rafforza l’idea di pace eterna; non c’è il terrore del giorno del Giudizio, nessuna cupa

angoscia della morte

ma una sorta di sguardo verso l’empireo, verso il Paradiso

Ebbravo, soprattutto sulle parole quando coeli movendi sunt et terra dove c’è un crescendo…

#ascoltiamoebbasta!TAGLIARE!

2.

Va beh… continuiamo

regia permettendo

con Lotti.

#spa-ghet-ti!

Chi capisce questa vince un premio… ascolta Franz, fai tutto tu che vado io da regista. Mi

raccomando, linguaggio gggiovane

Ok, Lotti dicevamo. E’ un autore abbastanza bistrattato del barocco italiano che invece secondo me

meriterebbe più attenzioni.

#Crash, aaargh,ouch!

Uno dei pochi, tra le varie teste di pazz, che non ha perso di vista la lezione rinascimentale…nella

sua musica non c’è dispersione virtuosistica, certo, è mooolto barocco…

#coff,ahia!kapow!

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nel modo in cui conduce le parti, però lo fa sempre mettendo il testo al primo posto. L’incipit del

Crucifixus è geniale, come se volesse comunicare un continuo disagio: ogni voce che entra sembra

portare risoluzione armonica invece va a creare nel giro di due note una nuova dissonanza, che apre

nuovi spazi per un’altra voce e così via.

#boof!Zok!Smash!

Le imitazioni successive sono concatenate alla perfezione nel crescendo che arriva fino a passus et

sepultus che poi si sgonfia su se stesso nel finale. Come se ti raccontasse la passione con due motivi

parola…in croce

Oooh, eccomi di ritorno. Dicevi?

Buon ascolto!

3.

Oooh, che meraviglia. E adesso?

La regia come sta?

K.O. tecnico per lo meno fino alla prossima puntata, credimi!

E allora possiamo puntare a qualcosa di veramente alto?

Vola!

Ma anche se è difficile? Cioè niente di impossibile eh, ma…

Vooolaaaa!

#…ma..ledetti…

Allora andiamo di Messiaen!

Ohi ohi ohi…

Ma no, niente indu o riproduzione di uccelli vari, ma armonia spinta all’ennesima potenza senza per

questo scadere nel serialismo posteriore

ah… il serialismo… sinceramente, devo prendere i sali per la regia?

Dai, la prossima volta prometto di essere clemente, ma almeno qualcosa di veramente “difficile” ci

deve essere!

Eppoi dell’unico mottetto il cui testo non è dello stesso Messiaen… insomma ci sarà un motivo? E il

modo di dipingere con le voci dei veri e propri quadri espressivi, alcuni verdi, altri rossi, blu

Seee, ma che stai a dire?

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« Io vedo dei colori mentre ascolto dei suoni; l’ho detto alla critica, l’ho detto al pubblico, l’ho detto

persino ai miei allievi a lezione, e bene, nessuno vede nulla! » Questo Messiaen in dialogo con

Claude Samuel.

Si, va bene… ma capisci che più una cosa è difficile, più e dovresti pure fare una analisi decente

però…

che però ora non è possibile perchè è finito il tempo!

ah… quindi ora?

Buon ascolto!

Oh my…

#…aargh!!!

E con questo è tutto, se siete ancora vivi ci vediamo la prossima puntata!

Stay tuned!