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CRITICA LETTERARIA 138 LOFFREDO EDITORE - NAPOLI CIRO RICCIO Il meraviglioso padano nelle Poesie di Alberto Bevilacqua

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CRITICALETTERARIA

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LOFFREDO EDITORE - NAPOLI

CIRO RICCIO

Il meraviglioso padano nelle Poesie di Alberto Bevilacqua

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CIRO RICCIO

Il meraviglioso padano nelle Poesiedi Alberto Bevilacqua

1. Antecedenti e conseguenti: la forma contrappuntistica della poesia

L’incontro con la scrittura in versi e in prosa di Alberto Bevilacquapuò destare, per talune associazioni spontanee che produce la me-moria involontaria di chi legge, il ricordo di una folgorante agnizio-ne d’autore sull’oscurità che tormenta sempre una vita autentica. Lacomunica John Keats corrispondendo con i suoi familiari nel mag-gio del 1819:

La vita di un Uomo che valga qualcosa è una continua allegoria epochi sono gli occhi che riescono a vedere il Mistero di una vita –una vita come le scritture, una vita figurativa […]1.

«Vedere il Mistero», abbracciarlo, inoltrarsi nelle sue infinite ma-glie, addentrarsi nelle sue insenature, aggrapparsi alle sue sporgenzeo precipitare nei suoi improvvisi avvallamenti; riuscire a disegnarnela Mappa, dunque sciogliere per un tratto l’allegoria che lo fa viveree di cui esso è parte vitale, ma poi arenarsi a un passo dal compren-dere pieno; sfiorare l’approdo del significato per poi perderlo, ognivolta; scoprirne uno strato inatteso a ogni suo apparire; urtare unlimite e dallo schianto vedere nascere una metafisica, cioè intuire, perl’anima che sa ascoltare, di quel limite la sua inesauribilità, pari al-l’orlo abissale di un verso che non si può mai chiudere, perché ilbattito della sua ipometria non sanata è il «fiato d’aurora» di chi, suquel margine contornato di segreto, resta aggrappato a contenderecon il Tutto: «un tutto/ del niente/ di cui siamo il complicato espe-diente», potremmo già chiosare con una formula dell’autore.

1 Cfr. J. Keats, Lettere sulla poesia. Traduzione e cura di N. Fusini. Con unanota di A. Prete, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 7.

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Il volume delle Poesie di Alberto Bevilacqua2, accolto nella colla-na mondadoriana di Poesia, è una prova ulteriore dell’esercizio chel’autore sperimenta da sempre, e che deriva dal semplice ma dram-matico sapere che la vita essendo una vocazione, una chiamata, aogni appello deve tener dietro una risposta, sempre che si vogliadavvero catturare l’autentico dell’essere umano. La risposta di Bevi-lacqua è un accanito cercare che ha per traguardo la ripetizioneperpetua: l’inseguire senza sosta il mito dell’origine, la conoscenzadell’Inizio, tenendo la rotta di un’imperterrita navigazione verso ilPrincipio, verso un’armonia che viene già prima, che è prenatale,pre-stabilita, che comincia a soffiare nello spazio sacro, fisico e spi-rituale insieme, di una placenta3 di madre.

Ma se la leva concettuale di questo volume fosse solo quellaazionata per ristabilire la grazia perduta dell’originario, non sarebbeuna novità per il lettore attento, poiché quasi la totalità dei libri diBevilacqua testimonia della spinta metafisica a ritrovare il principio:percorso che si è snodato attraverso una reiterata e sempre piùcapillare esplorazione di alcuni temi fondanti, puntelli della poeticadello scrittore parmigiano. Invece, di nuovo c’è qui che il poeta si fa«filologo di se stesso»4 allestendo un’opera in versi che può esserecompresa fino in fondo soltanto da chi abbia già lungamente fre-quentato la sua arte. Il nuovo corpus, infatti, non solo sistema l’in-tero materiale poetico pubblicato nelle nove raccolte precedenti, di-stribuite su un arco temporale che va dal 1961 al 2005, ma assorbeanche, adattandole metricamente, porzioni dei romanzi dell’autore.Dunque, Bevilacqua si è trasformato per l’occasione in una specied’ingegnoso architetto capace di orchestrare una costruzione che ènel contempo ordine e labirinto, poiché in essa si affolla una cospi-cua quantità di temi e di parole che sono la materia rifiorita dellesue precedenti illuminazioni liriche, ora intersecate in una miriadedi soluzioni filologiche in cui, come in un sistema di scatole cinesi,

2 Cfr. A. Bevilacqua, Le poesie, a cura di A. Bertoni, Milano, Mondadori,2007 (da ora in avanti siglato L. P.).

3 Cfr. L. P., pp. 140-141, Senza titolo, vv. 1-13, con omissis: «Anima placentale/(…)/ propaggine amputata o distratta/ di una nostra e grande/ ombra declina-ta lontano/ ai primi templi e altopiani,/ rinviarne il luogo e il momento/ dellacongiunzione/ o della memoria/ è la spesa del tempo». Ma soprattutto cfr. L.P., Senza titolo, p. 367: «tua voce placenta della mia parola/ mio orecchioplacenta del tuo dirmi/ ci piace/ anche il nostro silenzio prenatale».

4 La definizione, di G. De Rienzo, è contenuta nell’elzeviro Il Credo Padanodi Alberto Bevilacqua, «Il Corriere della Sera», venerdì 9 novembre 2007.

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91IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[3]

ogni pezzo contiene e rimanda ad un altro pezzo, ogni scrittura èfigura di parole vergate la prima volta, e poi riccamente disseminatenelle numerose opere successive: eppure questo circolo labirintico,in cui ogni segno viene riproposto in forme sia identiche sia mutate,spesso simili alle passate ma non più uguali perché ricontestualizzate,si sviluppa restando nel contempo ancorato a una sua saldissima etutta interna ratio, che è assolutamente precisa, calcolata, pesata.Nella fitta trama osmotica di prosa e poesia, il precedente continuaa inverarsi, a sigillare ogni nuovo discorso dell’autore, essendone lostigma perenne.

Valga solo un esempio di simile diramazione circolare: analiz-zando la sezione iniziale del volume, che rifulge del tutto nuovarispetto al materiale poetico delle parti successive, poiché costruitasu carte, ritrovate di recente dall’autore, databili intorno agli anniCinquanta e Sessanta, si noterà subito, a solo patto di conoscereanche il restante Bevilacqua, che interi brani dell’unità proemiale,tecnicamente un prosimetro, compaiono identici5 nel volume di rac-conti Storie della mia storia6, uscito quasi in concomitanza pressoEinaudi.

La complessità strutturale e concettuale di L. P., che accoglie erivisita l’intera produzione poetica dell’autore, nonché i suoi nessifilologici e concettuali con non poche tra le trame della speculare

5 Sulla natura di tale simmetria, ora soltanto comunicata, si tornerà più dif-fusamente nel corso dell’analisi testuale concernente la prima sezione di L. P.

6 Cfr. A. Bevilacqua, Storie della mia storia, Torino, Einaudi, 2007. Si aggiun-ga che il gioco degli specchi concettuali e verbali che continua all’interno dellavasta opera dell’autore – visto che, ultimo esempio in merito, le pagine di Storiedella mia storia a loro volta riprendono segmenti di scrittura già apparsi altrove– si arricchisce poi di colori connessi a un’indagine sulle auctoritates, se alcunedelle immagini mitopoietiche immortalate nelle pagine speculari di entrambi ivolumi, Le poesie e Storia delle mie storie, rimandano talora a un testo, più volteapertamente evocato dallo scrittore, che deve considerarsi una pietra angolarenella formazione della poetica dell’uomo parmigiano. Questo libro è Il paese delmelodramma di Bruno Barilli, la cui princeps risale al 1930, quattro anni primadella nascita dello scrittore.

Riguardo alle simmetrie interne tra volumi in versi e in prosa dell’operacomplessiva di Bevilacqua, si noti poi che una delle più spiccate risale alla finedel 2004, allorché uscirono quasi in contemporanea, con il medesimo titolo Tuche mi ascolti (formula che indica il costante dialogo con la madre, che continuadopo la morte di lei), un romanzo presso la Mondadori (ottobre 2004) e un’omo-nima raccolta di versi inserita nella «Collezione di poesia» dell’Einaudi. Il rap-porto dialettico tra le due scritture è anzi in quel caso così accentuato da auto-rizzare l’idea di un’autentica versione dall’uno all’altro testo.

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opera narrativa, può essere resa in termini musicali. Si pensi allafunzione espletata dalla forma contrappuntistica del canone, che:

[…] si fonda sulla combinazione multipla dell’esposizione da partedi una voce (antecedente, proposta, dux) di un segmento melodico diampiezza variabile e della sua ripetizione (imitazione, appunto) daparte di un’altra o di altre voci (conseguente, risposta, comes) alla me-desima altezza o ad altezza diversa. Ciò che contraddistingue l’imi-tazione canonica […] è il fatto che nel momento in cui il conseguen-te riprende il primo frammento proposto dall’antecedente, quest’ul-timo propone, in contrappunto con il conseguente, un secondo fram-mento, e lo stesso procedimento prosegue fino all’esaurimento delcanone7.

Secondo una tale configurazione, potremmo dire che Bevilacquaha fissato gli antecedenti in alcune opere fondamentali del passato, eche ad essi rispondono, in un ideale concerto poetico, innumerevoliconseguenti, che adottano le varie formule del canone inverso o aspecchio o infinito, eseguiti nelle opere successive, in ognuna dellequali, d’altra parte, s’inseriscono parallelamente motivi inediti che,affiancandosi ai primi, producono una novità bilaterale: sia per lenuove angolazioni visuali e prospettive tematiche che propongono,sia per il loro contemporaneo amalgamarsi con le radici concettualidelle melodie già scritte per l’addietro. Allestendo una specie dicaccia8 poetica, l’autore inizia una melodia, polline ancestrale dellasua mente, e la insegue con altre sue voci che ne ripetono, ad altez-ze diverse, il disegno armonico. Ed è quasi superfluo aggiungereche ogni esecuzione vanta una sua irripetibile originalità.

Osserviamo dunque da vicino qual è il risultato ultimo, “provvi-soriamente definitivo”, che offre il corpus di L. P.

2. La storia e il suo oltre: il meraviglioso padano

Il volume complessivo9 delle poesie di Alberto Bevilacqua è co-stituito da dieci sezioni, corrispondenti, tranne la prima, alle nove

7 Cfr. L. Azzaroni, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, Bologna,Clueb, 1997, pp. 352-353.

8 La caccia «è un tipo speciale di madrigale che usa l’artifizio contrappuntisticodel canone (il brano è così denominato perché una voce “caccia” l’altra)». Cfr.E. Surian, Manuale di storia della musica, Milano, Rugginenti, 1992, p. 123.

9 Si ricordi tuttavia che per l’addietro l’autore aveva già provveduto a due

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93IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[5]

raccolte pubblicate fino ad oggi dall’autore10. La prima sezione for-nisce invece materiale del tutto inedito da poco riscoperto. Da que-sto schema in apparenza semplice scaturisce una dinamicità filologicadovuta al fatto che tra le carte finora inedite, costituenti la primaunità del nuovo libro, l’autore ha ritrovato anche numerose stesureoriginali dei suoi versi già pubblicati, e le ha utilizzate per la nuovaedizione, che riunisce sì le precedenti raccolte ma all’interno di unvasto progetto di revisione strutturale. Ne è prova, tra le altre, la«brillantissima intuizione», ricordata da Bertoni, di suddividere:

[…] in due parti il libro materno Tu che mi ascolti. Poesie alla madre,uscito da Einaudi nel 2005. La prima, concentrata sulle poesie della«detenzione» nell’Ospedale psichiatrico di C., l’ha collocata (Bevila-cqua, n.d.r.) come «Intermezzo» tra i capitoli delle Piccole questioni dieternità e di Legame di sangue. Alla seconda ha riservato invece ilruolo di completamento del climax, in chiusura di libro11.

Se poi si riprende l’annotazione fermata innanzi, il rilevare cioècome il corpus rifletta sì, pur stando l’immissione cospicua di va-rianti e l’elaborato riordino delle antiche sezioni liriche, le tappedelle precedenti raccolte poetiche, ma complichi poi la correlazioneincludendo porzioni narrative, inserite nelle parti in prosa della primaunità di L. P., oppure, in altri luoghi del corpus, trasferite nellamisura del verso (motivo per cui la comprensione del testo poeticorisulta piena soprattutto avendo in mente le precedenti scritturedell’autore), sarà chiaro in quale conto debba tenersi siffatta interte-

sistemazioni antologiche della sua poesia, «condivise […] rispettivamente conDomenico Porzio e Maurizio Cucchi. Nella prima, infatti, Immagine e somiglian-za. Poesie 1955-1982. Antologia personale, Bevilacqua risistema e ricompone il corpusintegrale della sua poesia, rispettando le raccolte ma spesso riscrivendo eriadattando le singole partiture testuali, con l’aggiunta di un tempo nuovo (dopoLa crudeltà garzantiana del ’75). Nella seconda, Messaggi segreti del ’92, egliriorganizza invece l’insieme dei materiali poetici per nuclei tematici, tra Parma,l’eros, il Po e gli esiti civili della sua ispirazione» (cfr. l’Introduzione di A. Bertoniin L. P., p. XII).

10 Esse sono, nell’ordine: A. Bevilacqua, L’amicizia perduta, Sciascia, Calta-nisetta-Roma, 1961; Id., L’indignazione, Milano, Rizzoli, 1973; Id., La crudeltà,Milano, Garzanti, 1975; Id., Immagine e somiglianza. Poesie 1955-1982. Antologiapersonale, a cura di D. Porzio, Milano, Rizzoli, 1982; Id., Vita mia, Milano,Mondadori, «Lo Specchio», 1985; Id., Il corpo desiderato, Milano, Mondadori, «LoSpecchio», 1988; Id., Piccole questioni di eternità, Torino, Einaudi, 2002; Id., Legamedi sangue, Milano, Mondadori, 2003; Id., Tu che mi ascolti. Poesie alla madre,Torino, Einaudi, 2005.

11 Cfr. l’Introduzione di L. P., p. XXVII.

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stualità interna per osservare il risultato dell’ultimo percorso auto-riale, scaturito dall’intersecare i nuovi contributi poetici (in realtàantichi poiché riscoperti di recente e tuttavia sorti in età anterioreall’apparizione della prima raccolta di versi pubblicata dal poeta)con i versi già conosciuti, ora sottoposti sia a dislocazione che aprocessi variantistici12 e di ricontestualizzazione.

Quanto al senso della ripresa dell’intera opera poetica, ridefinitain modo tale da risultare nuova al lettore anche assiduo di Be-vilacqua, valgano intanto le riflessioni di Jonathan Sisco, che cosìscrive nella Nota al testo offerta alla fine del volume:

Alcuni ricchissimi ritrovamenti di minute redazionali e di dattiloscrittirisalenti agli anni Cinquanta e Sessanta hanno spinto l’autore nonsolo a integrare la sua produzione poetica con l’aggiunta di un con-sistente gruppo di materiali inediti, i liminari Frammenti dal «Poemadel fango», ma anche a riesaminare ogni singolo volume con l’inten-zione di restituirlo alla sua forma originaria. Così, seguendo le trac-ce fornite dalle carte riemerse, che conservano le opere in redazionidistinte da quelle poi uscite a stampa, Bevilacqua ha cercato di rico-stituire a posteriori ogni raccolta, riconducendola a una struttura perlui ideale, che collima con una dichiarata costruzione primigenia. Illavoro d’autore, quindi, non è stato tanto quello di una correzione odi una modifica formale dovuta al trasformarsi del suo gusto o delsuo stile. Egli ha piuttosto effettuato un’operazione di recupero e discavo sulla propria poesia per restaurarne la fisionomia nativa erisalire a uno stadio testuale fino a oggi perduto13.

Dunque il lavoro filologico dell’autore si allinea a perfezione conuno tra i motivi cardine della sua poetica, il procedere a ritroso,assistito da un’instancabile memoria cui si deve il trionfo dell’auraoriginaria: una vivida rameggiatura di percezioni uditive e olfattivee d’immagini nostre e altrui, che hanno segnato, già al principio,l’intero cammino della vita, e che possiamo ripristinare nel nostrointelletto solo se sappiamo inchinarci all’ascolto primigenio. Trannequalche fuga, ogni parte, ogni singola vena dell’opera stanno a co-municarci, con ostinata e liturgica celebrazione delle origini, quantosia stato indispensabile per Bevilacqua ripercorrere, fino quasi allostruggimento amoroso, i momenti e i luoghi dell’infanzia e della

12 Per quanto concerne le varianti strutturali intervenute a seguito della riu-nione in L. P. delle precedenti raccolte poetiche cfr. la Nota al testo di J. Sisco,pp. 403-410. Ma cfr. anche l’Introduzione di Bertoni, pp. V-XXVII.

13 Cfr. la Nota al testo di J. Sisco in L. P., pp. 403-404.

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95IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[7]

giovinezza, ruminare sensazioni e turbamenti esplosi nel diuturnoincontro con una città, Parma, di cui egli saprebbe descrivere persi-no l’odore e il colore del suo vicolo più nascosto, poiché un lungoapprendistato interiore (dovuto soprattutto all’educazione ricevutada una madre “diversa”, la cui esistenza difficile è stata provviden-ziale per creare il figlio scrittore) gli ha permesso di sondare le fibreintime della sua città fino a carpirne l’anima, e al punto tale daessere in grado di descriverla quell’anima, mostrandola anche a chi,non essendo parmigiano, può assaporarne l’humus affidandosi allasua guida. Il rapporto tra il poeta e la sua città è così intenso daassomigliare talora a quello degli amanti: nel qual caso potrà acca-dere di incontrare Parma come fosse l’Eros, con lo slancio acrobaticomosso dallo smarrimento di chi vede sfumare l’oggetto del suodesiderio e si protende per riconquistarlo:

Parmadalle albe appartate nei quartieriper quanto m’ero illusodi bruciarne il rimpianto mi guardavacon un dolore agli occhidi ragazza invecchiata che misurail suo sfiorire in un viso d’amanteriapparso: sognò di mee io di leiun giorno di fanfare.

Di vetro in vetro ne toccai la visionequasi potessi per sempre fermarla,correndotra i viaggiatori ignari fino all’ultimovagone sui binari deserti: svanìcome doveva una gloriadimessa che ne porto, due modidi tornarsene vinti: io a una storiain transito, lei a un sottovia,Parma che diventavaun fiato di nebbie,un uomo dentro una periferia14.

Nel curriculum vitae del cicerone Alberto risulta che egli ha sìfatto esperienza del mondo, ma sempre restando avvinghiato, con

14 Il testo è compreso nella raccolta La crudeltà. Cfr. L. P., pp. 111-112, vv. 7-28.

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una dedizione granitica, ai luoghi della sua terra: quel punto geo-grafico immerso nella pianura padana, che contiene già ogni storiadella Storia15, ogni figura del grande concerto suonato nel teatrosenza confini dell’Universo.

Il sentirsi parte di un Tutto, elemento di una catena giammaiostruita, poiché altrimenti, turbando le leggi dell’Infinito, si squar-cerebbe l’ordine inscritto nella natura16, giunge, ben oltre l’esperien-

15 Non si spiegherebbe altrimenti come un autore che non ha fatto altro cheparlare intensamente della propria terra e della propria storia segnata dai luo-ghi e dai personaggi parmigiani, sia tradotto in più di quaranta lingue. Misembra che da questo dato si possa estrarre un insegnamento ulteriore, indiret-tamente dispensato da Bevilacqua ai suoi lettori: tanto più si risulta universaliquanto più si resta aggrappati alle proprie origini, che significa esattamente ilcontrario di una chiusura miope e reazionaria nel proprio particolare geograficoe culturale. Infatti, come i grandi temi della poesia di ogni tempo sono semprei medesimi, così le esperienze fondamentali nella vita degli uomini, emozioni easpirazioni che li guidano, sono sempre identiche. Perciò il singolo tanto piùabbraccia la storia degli altri quanto più, tramite un lavoro di scavo psicologico,si rende consapevole della propria storia. Tanto più conosce e comprende la suastoria, quanto più aspira a comprendere quella degli altri, per essere a sua voltadagli altri compreso. Ecco una via, una delle poche, che solo la letteraturaconosce, della fratellanza universale.

16 Cfr. le riflessioni dell’autore intervistato da Parazzoli: «Si può assolutamenteparlare di una vita dopo la vita. Questo sta scritto nei testi antichi e nei Vangeli.Noi non siamo soltanto mani e naso, non siamo soltanto le forme che nacquerodal plancton, noi abbiamo nel nostro interno particelle minime di materia oscurache sono la stessa materia del cosmo. Se noi pensassimo di finire dovremmopensare che anche il cosmo finisce. Ma questo non è possibile perché gli universinon finiscono, noi non finiamo. […]. Noi veniamo da ciò verso cui andiamo,prima di essere concepiti noi abbiamo avuto una vita cosmica, noi vivevamo» (F.Parazzoli, Il gioco del mondo. Dialoghi sulla vita, i sogni, le memorie con Lalla Roma-no, Vincenzo Consolo, Luciano De Crescenzo, Giuseppe Pontiggia, Susanna Tamaro,Antonio Tabucchi, Lara Cardella, Gina Lagorio, Alberto Bevilacqua, Luce D’Eramo. Pre-fazione di L. Zega, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1998, p. 131). Le idee espressemostrano numerose affinità con quelle sostenute da vari cosmologi che hannodivulgato con grande successo le proprie teorie. Cfr. per esempio le note diBarrow sulla struttura infinita del ciclo: «La vita è un processo, un flusso, in cuinoi facciamo una comparsa temporanea per poi essere inglobati e sostituiti daaltri esseri viventi. Un inizio e una fine rappresenterebbero una singolarità, unarottura dell’ordine naturale delle cose. Un simile iato sarebbe innaturale, inespli-cabile senza l’invenzione di altre forze operanti nell’universo. Da un punto divista psicologico, avere un posto in un processo infinito assegna al credente chevi prende parte un ruolo da svolgere nell’ordine infinito della realtà, gli infondeun senso di comunanza con tutti gli esseri viventi e gli assicura una traiettoriapersonale che si rinnova continuamente» (J. D. Barrow, L’infinito. Breve guida aiconfini dello spazio e del tempo, Milano, Mondadori, 2006, p. 13).

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97IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[9]

za umana dell’autore, a informare di sé lo spirito di un’intera comu-nità, la sua storia secolare, come si evince dalla lettura del compo-nimento in avvio dei Frammenti dal «Poema del fango», L’Addio di unumile Cristo antelamico scolpito:

– la Deposizione nella cattedrale di Parmamorbido transito come di acqua chiarasenza destinazionee l’agonia di un cristo che benevolmente si chinasu una spalla umana per ascoltareun piccolo silenzio terrenonella concentrazione universale di se stesso

l’addiodelicato toccodel cristo nel fermo colpo di scalpellodell’Antelami… Verdi che giàin quel tocco, in quel colpoebbe il laràdella disperazione di Rigoletto17

Il testo si apre descrivendo uno dei capolavori sopravvissuti delloscultore romanico Benedetto Antelami, il bassorilievo della Deposi-zione, custodito nel Duomo di Parma, al cui centro risalta la figuradel Cristo che mestamente s’incurva sulla parte destra del costatoper essere ricevuto nelle braccia allungate di Nicodemo. Circolanella scena una carica di lancinante dolore, un’aura di tristitia chedal corpo del Cristo s’irradia verso i lati della raffigurazione.

Di seguito, pochi versi bastano a immortalare la forza di uncolpo la cui vibrazione spirituale si riaccende a contatto di chi, rice-vendola a distanza di secoli, ne disegna il futuro. Il testimone, coluiche viene invaso dalla risonanza dell’antico fragore, è GiuseppeVerdi: egli, mentre avverte tutta la forza drammatica dello scalpelloantelamico nel Duomo parmigiano, già scrive nella sua mente lamusica della disperazione di Rigoletto nel finale dell’omonimo melo-dramma, allorché il buffone, scoperto il corpo agonizzante dellafiglia Gilda nel sacco in cui era convinto vi fosse il cadavere delduca, urla con animo inconsolabile contro i sortilegi della maledi-zione18.

17 Cfr. L. P., p. 5.18 Cfr. il finale dell’atto terzo del libretto melodrammatico di Francesco Maria

Piave.

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98 CIRO RICCIO [10]

Se nel proemio del Poema del fango si staglia, con pochi ma deci-sivi tocchi, l’immagine di Verdi, è anche perché l’autore, concepen-do l’insigne musicista nell’atto estatico di essere rapito dal contattocon la materia antelamica, spiana il terreno opportuno per descrive-re l’ambiente, nel contempo reale e mitopoietico, in cui è cresciuto:il glorioso Oltretorrente, baricentro, insieme ai personaggi che lopopolano, dei successivi componimenti riuniti nella prima sezionedel volume. Infatti, al musicista di Busseto spetta l’essere tra coloroche maggiormente fecondarono l’humus oltretorrentino. Le osserva-zioni di Bevilacqua, estratte da una tra le non poche interviste in cuil’autore si è espresso al riguardo, giovano a comprendere il senso diun’appartenenza geografica, quella all’Oltretorrente, elevata a desti-no culturale di chi lo ha abitato:

Parma entra dovunque in me, nella mia stessa composizione biochi-mica. È il mio esilio e il mio luogo. […]. A Parma sono nato, in unquartiere chiamato Oltretorrente. I suoi operai, i suoi artigiani, ave-vano una seconda vocazione […]: lavorare per il Teatro Regio. Io –bambino, ragazzo – andavo lì […] e li aiutavo. Si allestivano, insie-me, le scene dell’Ernani, dell’Otello, dell’Aida. […]. Altra considera-zione da fare. Parma è stata condotta per anni da una donna: l’arci-duchessa Maria Luigia d’Austria […]. Essa chiamò, da ogni parted’Europa, cantori, poeti, attori, e li confinò prevalentemente nei rionipopolari (mia madre, di origine spagnola, si chiama Cantadori: qua-si un programma!). Questi rioni divennero la sede di un popolo cheportava, nel suo tessuto, la creatività, l’invenzione pronta, la fantasiascenica appunto. […]. Divise da un corso d’acqua – il Parma, appun-to, o la Parma, accettando l’alterazione dialettale – sono coesistite, inintimo quanto contrastato contatto, la città dei borghesi, dei proprie-tari terrieri, degli agrari urbanizzati, e la città dei ceti popolari. Lacittà popolare ha avuto un nome: Oltretorrente. Da una parte l’Oltretor-rente, dall’altra la cosiddetta Parma Nuova, la città economicamenteagiata. Divisione di classe (tanti scontri di piazza, molto sangue erancore), divisione di cultura, divisione di eventi e destini. L’ombradi Verdi fruttifica, soprattutto, in Oltretorrente. […]. Altra fatalità:Verdi scompare, e nasce, proprio in Oltretorrente, il suo grande in-terprete ed esecutore, Arturo Toscanini. […]. Ne consegue che, agliocchi del mondo musicale, l’Oltretorrente diventa mitico, un luogoda visitare, in certo qual senso da venerare. Altra sorte per la Parmanuova. Qui, la cultura vive più che mai di assimilazioni esterofile, ditraduzioni, di imitazioni. Gli scrittori francesi e anglosassoni, traOtto e Novecento dettano un gusto e uno stile. Molti soggiornano aParma19.

19 Cfr. AA.VV., Un autore. Una città. Interviste con Giorgio Bassani, Carlo Bernari,

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99IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[11]

Nel corso degli anni, Bevilacqua ha spesso ricordato la sua estra-zione oltretorrentina, il suo provenire da un mondo anticonformi-sta, in un certo qual modo eversivo, rispetto a quello borghese eagiato dell’altra Parma: un ambiente testimone di duri accadimentistorici20 e popolato di una seducente magia, che il bambino Albertocomincia a conoscere tramite la nonna materna Amelia Bacchini.Durante le vigilie nella casa occupata dalla depressione della madredel poeta, è lei ad iniziare alla letteratura il giovanissimo nipoteleggendogli i grandi romanzi dell’Ottocento e le cronache di viaggiodi Magellano e di Giovanni Caboto21, ed è sempre lei ad avvicinarloal mistero rendendolo spettatore di comportamenti che fanno asso-migliare questa donna emiliana ai modelli femminili immortalati daMárquez: Amelia Bacchini come Ursula Iguarán, allorché, in compa-gnia del piccolo Alberto, d’improvviso interrompeva la lettura dellepagine di Caboto e abbandonava nel letto il bambino per alcune suesortite notturne, invocata dall’esterno, chiamata ad uscire fuori del-l’abitazione per obbedire, ob-audire, alle voci che soltanto a lei eradato di captare:

Caboto, nelle pagine del libro rimasto aperto sul letto, interrompevail suo viaggio meraviglioso, e io lasciavo che, a passi felici, l’Ameliaamata dalla gente scomparisse sulla sinistra, verso la balconata.Doveva restarmi per sempre negli occhi quel suo “dolce uscire”nella ghiaia che scricchiolava sotto i suoi piedi. Mi batteva forte ilcuore, mi perdevo anch’io per il giardino e mi appostavo a spiarla:ma neppure una volta ho avuto l’ardire di sporgere la testa oltrequell’angolo di muro, quei brandelli d’edera che mi consentivano divedere solo la sua figura estatica. Le sue labbra che si muovevano indomande e risposte per me senza suono. Mentre contemplava il“qualcosa” per cui si animava, i suoi occhi acquistavano una maliziaamorosa che non le riconoscevo […]. C’era davvero qualcuno, là,

Alberto Bevilacqua, Alberto Moravia, Giovanni Testori, Paolo Volponi, a cura di A.Benassi. Introduzione di A. G. Sabatini, Torino, ERI Edizioni Rai, 1982, pp. 68-72, con omissis.

20 L’Oltretorrente, infatti, fu storicamente anche il luogo di un’eroica resi-stenza antifascista, «luogo sacro contro le dittature (del manganello e del dena-ro), il cuore di un’Emilia che non si levò il cappello» (cfr. A. Bevilacqua,Viaggio al principio del giorno, Torino, Einaudi, 2001, p. 41).

21 Cfr. A. Bevilacqua, I sensi incantati, Milano, Mondadori, 1991, p. 15: «Ladepressione di mia madre ci teneva insonni in lunghe veglie durante le quali[…] l’Amelia mi leggeva i grandi romanzi dell’Ottocento e […] le cronache deigrandi viaggiatori, esploratori dell’ignoto: Caboto, Magellano, ma era Caboto adaffascinarmi più di tutti».

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nella balconata da cui indubbiamente scendeva un alone a illumina-re le sue spalle, i cenni malinconici o allegri che la sua mano traccia-va nell’aria? Poteva trattarsi della luna, mi dicevo; ma come mai,allora, quel diffuso chiarore si produceva anche quando la luna nonc’era, e persino in certe notti di pioggia?22

La nonna materna diventa figura per eccellenza di quel misterio-so prodigio che spira nei luoghi dell’Oltretorrente. Simbolo di unarealtà aperta alla magia, se osservata da postazioni non convenzio-nali, sono soprattutto gli Strioni:

[…] temuti nelle dicerie popolari come i maghi delle leggende […].Facevano i mestieri più diversi: barcari, venditori ambulanti, cercatoridell’oro pressoché inesistente… Tuttavia, l’autorità poliziesca, cheancora ai primi del secolo li metteva al palo nelle piazze, continuavaad averne sospetto. Oltre il confine, e nell’altro regno del Po, siobbediva infatti a leggi primitive e a influenze occulte che contempla-vano anche la magia; Strione e Strioni se ne facevano medium, pro-ducendosi in fenomeni di telepatia, chiaroveggenza e precognizione,o in guarigioni prodigiose e cerimonie propiziatorie che, accanto allagioia dei sensi, serenamente evocavano i morti, che apparivano neigreti23.

S’è detto realtà che può – in potenza, non già in atto – esserecontornata di un alone magico, perché al lettore spetta infine deci-dere se fermarsi alla notizia storica, riportata dallo stesso Bevilacqua,da cui si ricava che gli Strioni furono «raccontatori orali» e «fabulatoriambulanti, che portavano i loro carrozzoni e le loro storie in mezzoai fuochi dei grandi inverni del Nord o nel sole spaccapietre delSud»24, o approvare le suggestive esplorazioni dello scrittore neiterritori del magico, l’infiltrazione della traccia “strionica” nei cir-cuiti della chiaroveggenza e della telepatia25. Se designiamo questa

22 Cfr. ivi, pp. 15-16.23 Cfr. ivi, pp. 20-21.24 Cfr. A. Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, cit., p. 20.25 Del resto è lo stesso Bevilacqua che definisce questa alternativa nello scri-

vere a un amico: «Ho cercato spesso di parlartene (degli Strioni, n.d.r.), ma tunon mi ascoltavi, m’interrompevi esclamando: “Le tue stramberie, della tuafantasia che galoppa troppo, ma che farci? È il ferro del tuo mestiere, la fanta-sia”. Forse hai ragione tu. Avete ragione tutti quanti. Che senso ha ricordare chegli Strioni, considerati dalle dicerie popolari come i maghi delle leggende, esi-stevano davvero fino al dopoguerra […]? Li rivedo a gruppi festosi, i Maestri ele Chimere […]» (Ivi, p. 6). La potenza visionaria dello scrittore s’innalza oltre

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alternativa, aprendo a una discussione che sembra allontanare daldominio critico, e che però archivieremo proprio restituendola allasfera letteraria, è per una precisa ragione: è noto come nel corsodella sua vicenda umana e artistica, Bevilacqua, in virtù forse di unantico istinto (maturato nel corso dell’infanzia oltretorrentina) a re-cepire il potenziale eclissato della realtà, si sia accostato, narrandonel’esperienza nei suoi romanzi26, alla sfera sensitiva e del trascenden-te, intesa soprattutto come l’impercettibile e il microscopico che pul-lulano e agiscono sotto la superficie del visibile. Per tale motivo, inpassato è spuntata una diatriba avente per bersaglio alcuni suoilibri, in particolare quella sorta di dittico costituito da I sensi incan-tati e Un cuore magico. Si è contestato allo scrittore che l’improntateorica della sua narrazione sarebbe soltanto una versione masche-rata di neospiritualismo antiscientifico declinato secondo la precetti-stica del New Age. Chi ha esposto questa tesi27, ha anche paragona-to Bevilacqua ai letterati che sul finire dell’Ottocento, «stanchi edisillusi di fronte alle promesse della ragione positivista e dellascienza (…) riscoprivano allora il mistero, lo spiritismo, l’occulto».A noi sembra di poter spegnere siffatta polemica senza discuterla28,

il limite della ragione incardinata nella lettura razionale del reale per aprirsiall’universo magico degli Strioni.

26 In particolare cfr. I sensi incantati, cit. e Un cuore magico, Milano, Mondadori,1993.

27 Cfr. M. Introvigne, La nuova religione di Alberto Bevilacqua, «Cristianità»,n. 223 (1993). Il contenuto di questo intervento era stato di poco anticipatonell’articolo, del medesimo autore, Ma quanto “New Age” c’è dentro i romanzi diAlberto Bevilacqua, «Avvenire», 5 novembre 1993. Alla replica dello scrittoreparmigiano Introvigne ha risposto con un ulteriore articolo, Lo scrittore, il Cirlìnne il lago tibetano, «Avvenire», 18 novembre 1993.

28 In questa sede, interamente dedicata a un esame critico-letterario dellapoesia di Bevilacqua (porzione della sua opera peraltro esente da quella polemi-ca riservata al contenuto di alcuni suoi romanzi, e pertanto lacunosa poichéincurante dell’indissolubilità filologica di prosa e poesia nell’opera dello scritto-re), non ci sembra infatti di dovere entrare nel merito di quel dibattito, che peròpossiamo lambire proprio fermandoci al dato letterario. Si consideri per esem-pio l’incipit del romanzo I sensi incantati. Lo scrittore narra di un evento acca-dutogli alle pendici del Kamalu, fra il Nepal e il Tibet. In compagnia d’altri,stordito dal profumo dei rododendri, raggiunge il “Lago degli eventi futuri”,«nei cui vortici balenano immagini che mostrano fatti che stanno per accadere».In quell’istante egli vede un volto di donna, che poi, tornato a Roma e a distan-za di tempo, scoprirà appartenere a una sensitiva di nome Miriam, con la qualeentrerà in stretto contatto. Per il lettore anche incredulo di fatti descritti comeautentici, nulla osta all’apprezzare la restituzione artistica, liricamente modula-ta, di un contenuto impartecipato sul versante logico. Tra gl’innumerevoli esem-

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e non per sottrarci così al confronto dialettico, bensì per il motivoche la controversia, se esposta in tal guisa, non ha i fondamenti persussistere. Non crediamo che Bevilacqua, per aver raccontato dipersonaggi dalle facoltà straordinarie o dei circhi degli Strioni odella “Maturla” o delle “Vaghèzie” o delle “Fantàzie”29, sia l’enne-simo «deluso dalle ideologie razionaliste e scientiste», che pertanto«riscopre i medium e la magia». Accreditare una simile lettura, in-fatti, significa avventurarsi su un terreno sdrucciolevole che distraedal nucleo letterario mai disertato dallo scrittore. Mancano i tasselliper costruire il j’accuse suaccennato se solo si pensa che il lavoro diBevilacqua resta tutto interno alla letteratura, glorificandone unasua espressione nobilitata da una tradizione insigne. Proprio ram-mentando quella tradizione, prima abbiamo marcato la differenzatra la fonte storica, che documenta la pratica ambulante di perso-naggi clowneschi imbonitori del popolo nelle piazze paesane, el’esposizione lirica cha dal dato storico si diffonde nei distretti delrealismo magico. Bevilacqua parte dalla notizia storica per fondareil suo meraviglioso padano, potremmo dire attingendo al formula-rio della critica tassiana30, poiché il rapporto ci sembra il medesimo:anche qui c’è la storia, che appartiene alla giurisdizione del vero, ec’è la poesia, cui non solo compete il verisimile ma anche il fine di

pi cfr. l’attacco del romanzo: «Può succedere che, dal cuore oscuro dell’univer-so, giungano all’uomo certe premonizioni o rivelazioni di ciò che accadrà. Rien-tra nel normale. L’eccezione consiste, semmai, nella maggiore intensità, nel piùsviluppato potere di comunicazione magica con cui la premonizione si insinuain alcuni privilegiati. Si tratta di facoltà attraverso le quali la natura concede alsuo mistero di diradarsi, lievemente, affinché possa illuminarci con i segnali diuna solidarietà superiore che addolcisce le nostre solitudini» (Ivi, p. 9). Si notiin particolare l’uso sapiente, cardarelliano verrebbe da annotare, dell’avverbio,trattenuto in quella pausa che serve a cadenzare il dischiudersi, appena percet-tibile, del mistero circolante nella natura.

29 La “Vaghèzia” è «la parabola istintiva con cui un po’ s’inventa e un po’no, rubando alla realtà quel tanto di inverosimile che sempre contiene, e cherealtà resta». Le “Fantàzie” sono i «matti pensieri», mentre con “Maturla” s’in-tende la «mattana regina» (cfr. Storie della mia storia, cit., p. 35).

30 Cfr. T. Tasso, Gerusalemme liberata, a cura di L. Caretti, Torino, Einaudi,1993, p. XXVIII: «Anche il “magismo”, realizzato con l’innesto del meravigliosoreligioso entro la storia, corrisponde del resto a questo senso costante del miste-ro, che grava sulla vita, e la fa pensosa e dolente […]». Si noti poi che anchenell’opera del Nostro, fatte le debite distinzioni, spira un diffuso senso delmistero, al punto che in essa non poche volte la lettura del reale risulta impen-sabile se spogliata dell’enigma che ne completa l’accadere.

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dilettare, cioè d’integrare il verisimile con il meraviglioso, lì cristia-no, qui padano, parmigiano.

Questo ci sembra il senso prioritario da accordare alla disaminadell’opera, sulla cui scia è necessario armonizzare le frequenzeinterpretative per comprendere le ouvertures dell’autore nei regnidella magia. Se per esempio riflettiamo sulle componenti che salda-no il discorso mitopoietico dello scrittore, l’accenno alla repressionepoliziesca andrà classificato come idoneo a mettere in rilievo lapresenza eccezionale degli strioni: così distanti dalla normalità bor-ghese della Parma al di là del fiume, e in un certo senso sovvertitoridell’ordine sociale per via del loro istrionico operare secondo formeche potremmo definire di magia anarchica, essi sembrano per certiaspetti svolgere la medesima funzione sociologica affidata nella tra-gedia al farmakòs, colui che viene allontanato, espulso, condannatodal consesso cittadino perché ritenuto pernicioso, portatore di unrischio per la comunità. Il pericolo maggiore è che i “normali”,coloro che vivono irreggimentati nella norma, possano intravederenel paradigma del diverso i sentieri di una realtà alternativa, diver-gente dalla spenta dottrina sociale che osserva la massa.

Il rimando al mondo “strionico” che cozza con quello borghesee scompiglia le carte della sua ordinarietà per certi aspetti meschi-na, s’inserisce nei temi cardinali dell’opera complessiva dell’autore,riproposto in numerosi punti, per esempio nell’incipit di uno deitesti più incisivi di Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, vibran-te sinossi dei motivi essenziali della poetica dell’autore:

Lo chiamano l’“Argine dei Folli”. […]. Percorrendo l’argine, si ha lasensazione di lasciarsi alle spalle, per sempre, la terra in cui la miagente, con la sua logica, la sua operosità, ha costruito nei secoli leglorie della sua Storia, le grandezze della sua musica, trionfi negliaffari (Parma, oggi, è una capitale economica del mondo). Nellostesso tempo, si ha la voglia di appartenere […] all’altro territorioche si apre oltre il confine. Laggiù hanno sempre vissuto, a dispettodella logica, arguti e stralunati, in un mondo, o sottomondo, che siserve di parole chiave: “Fantàzie” (matti pensieri), “Maturla” (lamattana regina). E “Vaghèzia”… La parabola istintiva con cui un po’si inventa e un po’ no, rubando alla realtà quel tanto di inverosimileche sempre contiene, e che realtà resta31.

Laggiù, nell’Oltretorrente, hanno sempre vissuto «a dispetto del-la logica»: il complemento di modo risulta davvero efficace per

31 Cfr. A. Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, cit., p. 5.

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carpire l’essenza del mondo “strionico”, di cui l’autore ha fatto espe-rienza negli anni della sua formazione, quando in compagnia dellamadre, ma anche del padre o della nonna, gli capitava d’imbattersiin personaggi stravaganti, bizzarri, creativi e scentrati che hannocolpito il suo animo al punto da spalancargli le porte di una realtàinconsueta, illuminata dalle manifestazioni dell’irregolarità genialee fantasiosa.

È solo il caso di rammentare che né il vocabolo “strione”, varian-te obsoleta di istrione32, né la realtà magica, che esso evoca, dipen-dono dall’invenzione artistica dell’autore: lo provano testimonianzesia in ambito giuridico, per esempio remote carte di procedimenticivili e penali33, sia in campo letterario, all’interno della tradizione

32 Cfr. per esempio T. De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Torino-Milano, Paravia Mondadori, 2000, ad vocem.

33 Cfr. per esempio i Quaterni inquisitionum dell’Archivio Storico del Comunedi Bormio (si tratta di «ottanta buste che a partire dal 1501 […] registrano iprocedimenti civili e penali con relative sentenze, oltre a semplici indagini,querele, denuncie, notifiche. […]. La serie contiene in generale gli atti per latutela dell’ordine pubblico […] e necessariamente i provvedimenti per impedirelo svolgimento delle pratiche magiche». Cfr. il seguente procedimento, archiviatoelettronicamente con assegnazione di codice SB060= ACB, Quaterni inquisitionum,sorte estiva 1615 (18, 19, 22, 26 giugno 1615-23 maggio 1616). Così recita l’istan-za: «Persone: Giannantonio Zuccola di Le Prese. Procedimento giudiziario:Giannantonio Zuccola di Le Prese, contro Martino Rauscino di Morignone, peringiuria (18 giugno 1615-23 maggio 1616).

Querela di Giannantonio Zuccola di Le Prese, abitante a Bormio, controMartino Rauscino di Morignone, che lo ha ingiuriato rinfacciandogli di appar-tenere a una schiatta di stregoni.

In Christi nomine. Amen. Anno 1615. Die dominico 18 mensis junii.“Coram magnifico domino Joanne Capel de Bevio, honorabile domino pre-

tore Communis et Terre Burmii, nec non dominis Nicolao Imeldo et PhilippoLaurentio, offitialibus maioribus ipsius Communis Burmii, in stupha magnaPretorii sedentibus, comparuit ser Joannes Antonius filius ser Dominici Zuccoledelle Presis, habitator Burmii, querelando contra Martinum, filium quondamJoannis de Rauscinis de Murignono, Communis Burmii predicti, modo utsequitur, videlicet: Ritrovandomi io venerdì di sira prossimo passato nelli Ronchiin compagnia di messer Gervasio Grusino, dove inaquà alcuni miei prati, so-pravenne esso Martino Rauscino, qual veniva dalla Terra di Bormio. Et avvici-nandomi io ad esso Martino, gli domandai che mi desse satisfatione di queltanto che mi restava. Al che di subito detto Marino rispose: Mi non v’ho dedare niente! Et io gli disse: Farò che quel di raggion aspetta. Et di subito essoMartino soggionge: Si ritrovaremo fuori di qua!, con minacciarme che, ritrovan-dosi fuori di là, mi voleva offendere. Donde io gli risposi: Quando a te pare etpiace, si ritrovaremo. Dove che, di subito ingiuriosamente, rispose esso Martinoverso di me, dicendo: Ah, razza di strion che tu sei! Stando le qual parole in-

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comico-realistica, per esempio le Rime del Lasca34, oppure i versi diCarlo Porta per quanto concerne la poesia dialettale35, od ancora,campione tra i molti, la scrittura scapigliata di Carlo Dossi, quellodella Vita di Alberto Pisani36 e delle Note azzurre37.

Dunque in vari autori della letteratura risulta l’occorrenza dellemma “strione”; inoltre, come accennato, esso campeggia anche inalcune carte processuali degli atti d’inquisizione, amara prova diuna superstizione abbracciata dalla lex. Tuttavia, per restare al cam-po letterario, analizzando anche ad ampio raggio le occorrenze, sinoterà come spesso il vocabolo sia impiegato con sola funzione divariante per stregone, senza che il suo uso implichi alcun tipo di

giuriose, dimando raggione, o che mi mantengha che sia tale, o che redichasecondo forma di Statuto. […]”». (sottolineatura nostra). Cfr. http://bor-mio.lombardiastorica.it. Cfr. l’elenco dei procedimenti giudiziari, ad vocem.

34 Cfr. i versi dedicati ad Agnolo Firenzuola in Le rime burlesche edite e ineditedi ANTONFRANCESCO GRAZZINI detto il Lasca, per cura di C. Verzone, Firenze,Sansoni, 1882: «Se Dio vi guardi e vi mantenga sano/ il corpo tutto di dentroe di fuore,/ ditemi se voi siete ciurmadore,/ pedagogo, strione, o cortigiano?»(vv. 1-4, sottolineatura nostra).

35 Cfr. il Lament del marchionn di gamb avert in C. Porta, Poesie, a cura di D.Isella, Napoli, Ricciardi, 1959: «Quij duu popoeu de foeugh, lustre, strion,/ chein dove varden lasse nel sbarbaj,/ spionaven da duu taj/ bislongh come lasferla di maron» (vv. 233-236. Sottolineatura nostra).

36 Cfr. C. Dossi, Vita di Alberto Pisani, nota introduttiva di A. Arbasino,Torino, Einaudi, 1976, al principio del capitolo nono, dove si parla del mago:«Eppure, cotesta casa, non avea niente di strano! non gronde sporgenti, nonfumajoli bizzarri o torrette, non cabalistici segni. Era una borghesìssima casa,col suo rispettabile numero senza né l’uno né il tre, a due piani, semplicementerinzaffata di bianco, e dalle persiane grigie. – Ma le persiane stàvano semprechiuse! Ebbene? che volea ciò dire? ch’essa avea molto più sonno delle altre.[…]. A lei era rimasto, fitto e saldato, il racconto di due operai, i quali, ammessinella misteriosa casetta per aggiustare un camino che pativa di fumo, avèanoscorto sopra un gran tondo una testa mozzata, ancora con i capelli, con gli occhiinvetriti e con in bocca… una pipa. Tonio, inoltre, il garzone, narrava con lavoce in cantina, che lo strione, tràttolo a un certo punto in disparte, avèagliofferto una pila di doppi marenghi, purché gli fosse andato a strappare unbraccio di una tal croce di legno appesa a una tal porta…» (sottolineaturanostra).

37 Cfr. Id., Note azzurre, a cura di D. Isella, Milano, Adelphi, 1964, alla notan. 3711: «Io e Mons.re Bignami in una casipola, un dì, confondiamo e fughiamouno di tali strion stobbiaroeu, tirando fuori i soliti argomenti relat. alla buona-fede, alla ignoranza, al ciarlatanismo. – Poi usciamo. Strada facendo, il discorsopassa allo spiritismo e il Bignami mi parla con riverenza dei mediums etc.Concl. È una ignoranza la nostra un po’ più alta di quella dei contadini, ma èsempre ignoranza» (sottolineatura nostra).

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prossimità ideologica, da parte dello scrittore, al segno prodigiosoche il termine dovrebbe incidere. Non così nell’opera di Bevilacqua,se la riproduzione del clima di magia suscitato dalla parola nonsolo si affaccia in numerosi suoi libri sostenuta dalla professione difede lirica dell’autore, ma comporta poi, come vedremo, il dispiegarsidi una lingua «clandestina»38 detta la “Leggera”, una sorta di argotpadano che riflette sul piano linguistico quel mondo di fantasiosidissipatori della morale comune.

3. Gli attori del mito padano: gli irregolari dell’Oltretorrente

Il nesso magico-lessicale appena descritto non tarda a profilarsiin L. P., già nell’intermezzo in prosa che segue al testo proemialedel Poema del fango:

Città, paesi, rovine, audio, video, autostrade: ah, le metropoli! Va ilnostro carrozzone di Strioni, balenghi, guittume omerico, stomacoargilloso-calcareo […], frombolieri della passività civile, insommadegli sparacacca, ma questo è ovvio, senza radici stabili, ovvio anchequesto, ma portatori delle loro radici mai tradite sulle spalle comecroci o travi […]39.

Attirano le aperture espressionistiche zampillanti dallo scavoarcheologico della poetica autoriale, che sguazza gioiosa nei detriti,nei sedimenti, negli accumuli calcarei, nella poltiglia argillosa, allu-sione evidente al racconto biblico della creazione, perché creaturalisono i connotati dei personaggi anarchici che affollano il carrozzone,innocenti di cui il progresso farà strage. È il Poema del fango perchéè un inno del fango, plasmabile a futura memoria, ma non nelfango, come Zanzotto titolò un suo scritto in cui fotografava, nelsistema poetico montaliano, «l’importanza, scandalosa, schiaccian-te» di magmi e fossili che offendono l’uomo svestendolo di «ognifamiliarità col suo ambiente, predicandogli […] la sua insignificanza,anzi il suo perdersi già in atto nel mare magnum dei residui, verisignori del mondo»40. Qui, al contrario, c’è un trionfo del fango

38 Cfr. L. P., p. 175.39 Cfr. L. P., pp. 5-6.40 Cfr. A. Zanzotto, L’inno nel fango, in Id., Scritti sulla letteratura. Vol. I.

Fantasie di avvicinamento, a cura di G. M. Villalta, Milano, Mondadori, 2001, p.18. Per associazione, si noti poi che qualcosa dello sperimentalismo linguistico

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avente per cornice e allestimento scenografico un favoloso mitopadano, come mostra il brano Nascita della Cicci:

Un giorno si ricordò improvvisamente di qualcosa che era accadutoprima del nascere della sua memoria. Del Po. Della Piena che copri-va la terra, e lei andava per i labirinti di quell’universo d’acqua. Suuna barca coi resti di esseri scomparsi, fra colonne di fango. […].Cominciarono i livelli massimi. I torrenti correvano per i paesi. Lagente non seppe da che parte fuggire e le bestie si ammassarono einseguirono il tuono scambiandolo per la voce del Bio che le chia-mava, finalmente, preferendole agli esseri umani. […]. Fu il regnodel fango. […]. E c’era una bottiglia di vetro blu, con un tappod’oro. Una notte, a uno schianto nel fango, essa si ruppe […]. Lamarea fangosa tuonò più lontano e passò in cavalcate come su un’al-tra terra […]41.

Si noti anche, a sostegno del precedente avvertimento circa l’in-tertestualità tra numerosi passi della sezione proemiale di L. P. enon poche pagine di Storie della mia storia, che il brano riferitorispunta, leggermente cambiato, nel racconto Il tempo della leggenda,posto in apertura del volume in prosa:

Un giorno mi ricordai improvvisamente di qualcosa che era accadu-to prima del nascere della mia memoria. Rividi la piena e con essale prime immagini della mia vita: il Po copriva la terra dalle riveparmensi al Delta […]. A Polesine, Colorno e Roccabianca comincia-rono i livelli massimi e anche i torrenti superarono i segnali di guar-dia correndo per i paesi. La gente non sapeva da che parte fuggiree le bestie si ammassarono e inseguirono il tuono scambiandolo perla voce del Bio che le chiamava finalmente preferendole agli esseriumani42.

È questo un caso emblematico di quel meraviglioso padano dicui s’è detto in precedenza. Infatti, manifesto è il cenno storico al-l’alluvione del Polesine, avvenuta nel novembre del 1951. Sulla fon-te s’innesta poi il racconto favoloso tessuto di elementi epici cui simescolano scampoli desacralizzati della cultura cristiana per forma-re insieme il genesi allucinato d’impronta parmense43.

di matrice zanzottiana sembra rivivere nell’incipit di Fotogrammi della vittimaaudiovisiva (L. P., L’indignazione, p. 80, vv. 1-2): «Speaker-sacerdos et absolutiovitrea/ l’assolveranno in dieci milioni di ascolto».

41 Cfr. L. P., pp. 9-11 con omissis.42 Cfr. Il tempo della leggenda in Storie della mia storia, cit., p. 5.43 Cfr. un altro passo del racconto: «[…] mentre al posto dei santi protettori

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È proprio in questo mondo, scaturito dalla furia naturale e daimprese ed episodi leggendari, che sbarcano il lunario i fuggitividella mediocrità collettiva. Sono l’Orlando, il Teuta, la Cicci, il Bi-goncia, e innumerevoli altri. Sono i guastatori della morale ingras-sata al sole dell’opinione comune, loro che portano sulle spalle,come Cristo la croce, un altro costume, cucito con i fili della fanta-sia, della creatività, dell’estro ridanciano, del ghiribizzo improvvisocha fa deragliare dai binari dell’irreggimentazione ideologica. Sonopericolosi al punto da essere invisibili per chi resta sicuro dall’altraparte:

[…] nessuno si accorge del nostro carro che va, si ferma, piantabaracca e burattini, riparte… Nessuno ci vede… Noi rapidi e invisi-bili sommergibili dell’aria. Nel cuore della metropoli, in quel grandoredove non c’è più primavera. Infatti, noi non siamo nel cuore dinessuno, siamo nel nocciolo di ciliegia del tempo…44

Si possono cogliere in questo brano i riflessi di una disputa ac-cesa da non pochi dei nostri scrittori novecenteschi, riguardante loscontro tra città e campagna, scienza e natura. Ma a ben vedere,non c’è solo il recupero di una controversia datata. Gli strioni e i“balenghi” senza radici che attraversano le inospitali metropoli, in-carnano quell’essere altro che in ciascuno di noi la razionalità ope-rosa ha insabbiato. Una gioia dissipatrice del grigiore congiunto aogni es muss sein vivacizza la loro esistenza, non più imbrigliatadalle convenzioni né disciplinata dal rispetto del patto sociale.

avanzava l’Ersatz atteso da secoli, con un biancore di vesti battesimali, patronodegli assassini e delle donne malfamate, ma capace di trasformarsi nell’OrlandoInnamorato» (Ibidem).

44 Cfr. L. P., p. 6. Per ulteriori rimandi, nel volume, al rapporto asimmetricotra l’attenzione prestata dagli alternativi d’Oltretorrente nell’osservare gli altri e illoro contemporaneo non essere visti, ignorati dall’ipocrita cecità altrui, cfr. ilseguente brano: «Vediamo che gli uomini sono tutti omoni che portano feltri etabarri e parlottano fra loro. Le donne s’allontanano guardandosi indietro e sinascondono in capanni ingombri di vecchie ancore, ansane e vele […]. Cerchiamod’insegnare, a chi non può ascoltarci, una verità tanto elementare che per esserepensata e detta richiede un sapere senza illusioni: non c’è che l’assurdo» (L. P., p.13). Anche in questo caso, per approfondire l’intertestualità interna all’opera diBevilacqua, si sottolinea che il medesimo brano, leggermente modificato, si trovainserito nel racconto Parmenio: «Constatava che gli uomini erano tutti omoni cheportavano feltri e tabarri e parlottavano tra loro. Mentre le donne s’allontanavanodai paesi guardando indietro e si nascondevano in capanni ingombri di vecchieancore, ansane e vele […]» (cfr. Storie della mia storia, cit., p. 14).

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109IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[21]

Chi è irregolare genera allarme e dunque va perseguito. Comeaccade all’Orlando nel brano L’autorità giudiziaria vede, spesso, anchel’invisibile:

«Arresto momentaneo e interrogatorio dell’Orlando. Occupazione disuolo pubblico. Presunti atti osceni».

– Mestiere?– Lavoro di fantasia.– Matto. E perché?– I matti non hanno perché. È così che sono felici.– Un perché. Subito.– Credo nella realtà come immaginazione. E viceversa. Credo nella

verità come ipotesi e menzogna.– Un perché che non capisco. Ti ordino di darmi un perché che sia

chiaro.– Credo che la vita consista negli eventi strani che ne smentiscono

la logica. Nelle meraviglie del possibile45.

Nella prima risposta dell’imputato risuona un’eco palazzeschiana,si sente «l’eversiva trasgressione della leggerezza»46 di Perelà. Lafantasia non può essere misurata, sfugge al controllo del Potere. Difronte alla disarmante naturalezza dell’Orlando, che scardina leprotezioni della logica, i funzionari dell’apparato, incapaci di segui-re i voli della sua mente fervida, si ostinano a chiedere il “perché”.Ma l’intonazione vigorosa e intimidatoria della domanda si sbricio-la davanti all’assunto del prigioniero, che in poche battute, leggèree precise, depotenzia la lettura integralista della realtà: a ben vede-

45 Cfr. L. P., p. 15. Anche in questo caso si annota l’ennesima intertestualitàcon il volume in prosa citato sopra. Nel racconto Parmenio si legge, con alcunevarianti, il medesimo dialogo: «Lo fecero uscire dalle file degli arrestati nelcortile e lo introdussero nella sala d’armi. – Mestiere? – chiese il tenente. –Lavoro di fantasia. Il frustino lo colpì contro il cuore. – Nome e cognome. – Michiamano Matto Parmenio. Parmenio, come il Bettoli. – Matto? E perché? – Imatti non hanno perché. È così che sono felici. – Ti ordino di darmi un perché.E subito! Parmenio alzò le spalle. Rispose dolcemente e a caso: – Credo nellarealtà come immaginazione. E viceversa. Credo nella verità come ipotesi emenzogna […]. Credo che la vita consista negli eventi strani che ne smentisconola logica. Nelle meraviglie del possibile» (cfr. Storie della mia storia, cit., pp. 12-13).

46 Con questa formula Gino Tellini intitola un suo studio sul romanzopalazzeschiano: Perelà e l’eversiva trasgressione della “leggerezza”, in Aldo Palazzeschiet les avant-gardes, a cura di G. Tellini, Atti del colloquio Internazionale, Istitutoitaliano di Cultura, Parigi, 17 novembre 2000, Firenze, Società Editrice Fiorenti-na, 2002, pp. 43-68.

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re, essa è solo un’ipotesi, una tra innumerevoli altre accantonate pervantaggio o per cecità.

Del resto, altri indicatori accendono una memoria dello scrittorefiorentino espansa in queste pagine. Emblematico il titolo del se-guente testo, Si riparte, saltimbanchi, verso le terre di Francia o di Parsifale Liutprando:

sgombra sagrati il carro chiassosodi teatranti in fuga e comicinel controluce di ciliegi e gelsiallunano le morte musiche, le risate perdute– per un vento che ingolfa tendoni e mongolfierea strisce rosse,resto, poeta,il mondo che subito si fala sola bianca occhiata del dispersonel deserto polare

della grazia isolataresto il nano buffone che s’attardaperso il tamburo,breve sostadove il tempo prolunga il suo sosia,fino a stravedereciò che solo stravisto inganno non è,con pazienzae sempreso dove trovarmi a caso

stazioni, stazioniadolescenti,quel tanto di burianavanto mi prestia piombolo schianto mancatoche lascia a terraun’inezia, i miei resti47

Il “saltimbanco” del titolo attiva subito il ricordo dei celebri versifinali del Chi sono? di Palazzeschi48. Con una differenza ragguarde-vole, però: nel poeta funambolo il ricorso al clownesco serve alla

47 Cfr. L. P., pp. 18-19.48 Cfr. i vv. 20-21 di Chi sono?: «Chi sono?/ Il saltimbanco dell’anima mia»,

in A. Palazzeschi, Poemi, ristampa anastatica, a cura di A. Dei, Parma, Zara,1996.

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111IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[23]

dissacrazione della funzione poetica, che poi, in Lasciatemi divertire,giunge a rovesciarsi in aperta parodia. In Bevilacqua, oggetto dellademistificazione è invece una certa funzione espletata dalla società,rigettante la sregolatezza artistica. Ma non è questo l’unico divario.Infatti, sebbene il poeta porti sulla scena dei versi le ragioni dipersonaggi strambi e bizzarri, garanti di una luminosa alternativaall’angustia borghese, l’insopprimibile carica esistenzialistica da cuiè nutrito non gli consente poi – passaggio invece attivato in Palaz-zeschi – di mascherare la sua critica in caricatura, come dimostranola seconda e la terza strofe del componimento citato, che assopisco-no il preludio giullaresco in amare introspezioni ontologiche.

Altri riverberi della poetica palazzeschiana balenano nel Poemadel fango, non solo nei versi ma anche negli intervalli prosastici, peresempio il seguente:

Li flagellavano e li avvelenavano. La Guardia Regia ne vigilava l’ago-nia […]. Gridate tutte le verità, persa la voce, lo Strione soffiavadavanti a sé e al fuggire della sabbia apparivano parole ben incise,parole non schiave che erano modi di essere con la chiaroveggenza.[…]. Lo Strione moriva con le labbra spaccate, le orecchie recise,senza più la forza di spingersi in alto verso la luce e la magia concui era riuscito a comunicare. […]. Un giorno al palo misero unadonna. […]. La Striona aveva le mani e i piedi piccoli, gli occhicelesti, il corpo pieno e solare; quando le si avvicinò e la baciò, laudì balbettare i suoni di una lingua stramba che significa felicità epiacere49.

Lo Strione, agonizzante, è messo al palo, dileggiato, umiliato,annichilito. È un po’ la sorte che toccava all’incendiario dell’omoni-mo componimento dedicato da Aldo a Marinetti:

In mezzo alla piazza centraledel paese,è stata posta la gabbia di ferrocon l’incendiario.Vi rimarrà tre giorniperché tutti lo possano vedere.Tutti si aggirano torno tornoall’enorme gabbione,durante tutto il giorno,centinaia di persone.

– Guarda un pochino dove l’ànno messo!

49 Cfr. L. P., pp. 16-17.

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– Sembra un pappagallo carbonaio.– Dove lo dovevano mettere?– In prigione addirittura.– Gli sta bene di far questa bella figura!50

Un’altra affinità può osservarsi in relazione alla «matrice cristo-morfa del personaggio eponimo»51 de L’Incendiario, che agisce, entroun’intelaiatura poematica e concettuale ovviamente diversa, anchenei ritratti dello Strione flagellato e avvelenato, nuovo Christus patiensdel paganesimo padano, e della Striona che in limine mortis balbetta«i suoni di una lingua stramba».

Tuttavia, vale ancora la differenza fermata innanzi: in Palazzeschil’ingrediente parodistico stempera, nella prima sezione del compo-nimento, ed estingue, almeno in superficie, la tragicità simbolizzatadalla figura dell’incendiario irretito nella gabbia dell’improperio edell’apostrofe:

– Lo faranno morire dalla rabbia!– Morire! È uno che se la piglia!– È più tranquillo di noi!– Io dico che ci si diverte.(…)– Quando l’ànno interrogato,– à risposto ridendo,– che brucia per divertimento.– Dio mio che sfacciato!– Ma che sorta di gente!52

Inoltre, a voler estendere il campo delle possibili fonti nell’ambi-to della comparatistica, è plausibile ravvisare, nel rantolo penosodello Strione che incontra la morte «con le labbra spaccate, le orec-chie recise, senza più la forza di spingersi in alto verso la luce e la

50 Cfr. A. Palazzeschi, L’Incendiario, a cura di G. Nicoletti, Milano, Mon-dadori, 2001, p. 3, vv. 1-15.

51 Così Nicoletti nell’esame critico del componimento palazzeschiano (ivi,p. XI). Quanto all’analogia, fermata sopra, sull’esposizione del personaggio nel-la vetrina dell’ingiuria, cfr. l’annotazione del medesimo studioso, che, per de-scrivere la trappola in cui è caduto l’incendiario, parla della «ricorrente, ludicapena della berlina» e di un «figura trasparente dell’interdizione sociale, di pre-valente matrice moralistica e filistea, già prima manifestatasi attraverso lo sguardogiudicante di persone in rituale movimento e ora trasformatasi in un vero eproprio spettacolo di piazza» (Ibidem).

52 Ivi, pp. 3-5, vv. 20-23; 61-65.

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113IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[25]

magia con cui era riuscito a comunicare», una memoria della fineinflitta all’albatro baudelairiano:

L’hanno appena posato sulla tolda,e già il re dell’azzurro, goffo e vergognoso,pietosamente accanto a sé strascinacome fossero remi le grandi ali bianche.Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!E comico e brutto, lui prima così bello!53

L’albatro incarna la natura del Poeta che volando con le ali dellafantasia, dell’intelligenza e del sentimento s’innalza al di sopra dellamediocrità generale. Se però viene catturata e fatta precipitare, lacreatura intangibile perde leggerezza e splendore, mutati nell’impac-cio e nella difficoltà silenziosa di chi arranca su un terreno straniero,additato da tutti. Al pari, la potenza inebriante dello Strione – simbo-lo dell’estro fantasioso sguinzagliato nei territori delle visioni alterna-tive alla reductio razionale, nella quale la realtà viene angustamentecostretta – è degradata e avvilita a contatto con le guardie regie: laloro violenza dissipa l’aura favolosa che avvolge la creatura sensitiva,rimpicciolita e inerme nel mondo della logica a ogni costo.

L’abilità di Bevilacqua consiste nel saper mescolare e fondere dicontinuo il dato storico con quello fantastico. Così, la descrizionedel martirio degli Strioni, condotta con tonalità mitologiche in fog-gia padana, è in un certo senso mitigata dalla notizia storica circa laprovenienza sociale degli abitatori dell’Oltretorrente, dato sul quales’imbastisce, secondo un dispositivo poematico già notato, la tramadel meraviglioso:

Erano abitatori di sottoripa, confusi al fango con gli stessi bacini ecanali, nubi di pesci e relitti di maree preistoriche. Barcari, paratori,venditori ambulanti di libri e cappelli, piccadori, brentadori enavaroli54.

La precisazione geografica dei luoghi da cui essi giungono èvanificata dall’ingresso dell’immaginazione poetica, che plasma al-tre provenienze, altri legami, altre storie:

Dall’Abbazia di Pomposa e dal Gran Bosco della Mesola fino aSabbioneta e Casalmaggiore. Eppure li immaginavamo venire da

53 Cfr. C. Baudelaire, L’albatro, vv. 5-10, in Id., I Fiori del male e altre poesie.Traduzione di G. Raboni, Torino, Einaudi, 2006.

54 Cfr. il brano Mettevano al palo gli Strioni, in L. P., p. 16.

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nessuna terra e li riconoscevamo trovandoli raffigurati nei TarocchiInfami e nei Libri d’ore tra fregi con uccelli, delfini, tripodi con lasimbolica fiamma55.

Bertoni parla al riguardo di «un’epica dal basso», che «riesce […]a concedere fiato, voce, respiro a quelle frange non allineate didéracinés che oggi non popolano più l’ambiente contadino, ma sisono trasferite dentro i nostri scenari urbani […]»56.

Su questa scia, adottando la prospettiva sociologica ma ricondu-cendola ad ambito letterario, vengono in mente i Navigli cantati daAlda Merini. La poetessa delinea una contrapposizione topograficae culturale di natura simile a quella della città emiliana divisa da uncorso d’acqua in una parte popolare e un’altra borghese. La Merini,infatti, sente nostalgia per una Milano evaporata, quella carente dirisorse economiche eppure copiosa di artisti e intellettuali e sede dinumerose osterie in cui si affollava un’umanità varia, appassionata,stravagante, magari dedita anche al sotterfugio per poter sopravvi-vere. È la Milano del vecchio quartiere Ticinese e dei Navigli. Lìs’inventano ogni giorno la vita i falsi-bugiardi, quelli costretti adarmeggiare per procurarsi il necessario:

I falsi-bugiardi del Naviglioche somigliano ad acque infettee sono banderuole feritedalla confusione e dal freddo;i falsi-bugiardi che seminano zizzania ovunque,in quella palandrana di desiderioche sono le loro sconfitte;57

Tuttavia, v’è da aggiungere che l’epica moderna della Merininon concede nulla al meraviglioso, costruendosi interamente sulladescrizione realistica e insieme nostalgica di figure e luoghi di unaMilano scomparsa, come attestano quelli immortalati nelle Satiredella Ripa: le lavandaie «coi capelli spettinati e irti che sembravanodelle streghe, rabbiose come i cani per la vita grama», un’altra dalle«gonne putride», che «porta chili di roba immonda/ al navigliettonascosto,/ e lì consuma sapone e bestemmie»; e poi la donna chevende numeri al lotto e guarda «con soverchia avarizia», il maroc-

55 Ibidem.56 Cfr. L. P., pp. XXII-XXIII.57 Cfr. A. Merini, I falsi-bugiardi del Naviglio, in Ead., Canto Milano, Lecce,

Manni, 2007, p. 25, vv. 1-7.

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chino che commercia le bambole, il tabaccaio che «soppesa la po-sta», la verduriera che chiacchiera senza pausa, e le «[…] osteriedormienti,/ dove la gente culmina nell’eccesso del canto»58.

4. La lingua della “Leggera”

Nell’Oltretorrente parmigiano germoglia, quale riflesso del talen-to esistenziale dei suoi personaggi scapestrati, la lingua della “Leg-gera”:

lingua rotta, spezzatafuriosa pania di dolcissime aurore“di fango brutto e molle d’acqua” (Rodomonte)lingua che insogni insonnie e insognato mi tieni,allusioned’assenze: lingua di lingua stregatadi golaspompata dai gridi assurdi ai pioppi lombardi[…]59

Non è un caso che nel definire questa koinè Bevilacqua citi unverso del Furioso, quello riferito a Rodomonte che:

Di fango brutto, e molle d’acqua vanne

58 Cfr. ivi, p. 9 e pp. 49 e segg. La descrizione realistica dei personaggi e deiluoghi dei Navigli milanesi si congiunge all’amara consapevolezza che quelmondo si è dileguato. Sulle sue macerie è cresciuta una città irriconoscibile:«Milano è diventata una belva/ non è più la nostra città,/ adesso è una grassasignora/ piena di inutili orpelli» (Ivi, p. 19). Aggiungo che, alla luce dell’espe-rienza umana della poetessa milanese, segnata dai numerosi ricoveri in manico-mio, si possono individuare altri punti di contatto con l’opera di Bevilacqua,segnatamente nei versi dell’autore parmigiano dedicati alla madre, che subì unasorte simile a quella della Merini. In particolare cfr. in L. P. la sezione, all’inter-no della raccolta Piccole questioni d’eternità, intitolata Interpretando in versi ladetenzione di mia madre nell’ospedale psichiatrico di C. (pp. 275-306). Si leggano, amo’ d’esempio, i vv. 23-27 del componimento Un’altra visita (L. P., p. 304): «-stavi/ dopo l’elettroshock/ in un tuo angolo del mondo/ che hai scavato con leunghie dentro l’ospedale/ … e mi hai chiesto chi ero». La discussa praticamedica è al centro di molte pagine drammatiche, in versi e in prosa, dellaMerini. Tra i numerosi rimandi, cfr., per esempio, A. Merini, La polvere che favolare, in Ead., La pazza della porta accanto, a cura di C. Gagliardo e G. Spaini,Milano, Bompiani, 2004, pp. 135-156.

59 Cfr. La lingua della Leggera (… e l’Ariosto per prima la intuì), L. P., p. 164, vv.1-8.

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tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre,come andar suol tra le palustri cannede la nostra Mallea porco silvestre,che col petto, col grifo e con le zannefa, dovunque si volge, ample finestre.Con lo scudo alto il Saracin sicurone vien sprezzando il ciel, non che quel muro60.

Interessante rileggere anche l’ottava che nel canto XIV precedequella appena ricordata:

Rodomonte non già men di Nembrotteindomito, superbo e furibondo,che d’ire al ciel non tarderebbe a notte,quando la strada si trovasse al mondo,quivi non sta a mirar se intere o rottesieno le mura, o s’abbia l’acqua fondo:passa la fossa, anzi la corre e vola,ne l’acqua e nel pantan fino alla gola61.

Rodomonte: il pagano dalle grandi passioni, che abbandona l’eser-cito in preda all’ira per la scelta di Doralice, che gli ha preferitoMandricardo; il cavaliere capace d’innamorarsi a prima vista, nonappena scorge Isabella. Anch’ella fuggirà il suo amore, e anzi mo-rirà pur di resistergli. E allora egli innalzerà un mausoleo sullatomba di lei, sfidando tutti quelli che transitano in quel punto: unafollia d’amore e di guerra simile a quelle di Orlando. Infine il paga-no, nel tentativo di disturbare le nozze di Bradamante, troverà lamorte nel duello con Ruggiero.

Nelle ottave lette si descrivono la sua furibonda superbia e il suoinfangarsi nella corsa spavalda e rabbiosa. C’è il fango, elementocardine dei Frammenti del Poema di L. P., e c’è un personaggio che èsimbolo di eccesso, dismisura, intemperanza, sfrenatezza. Inoltre,anche Rodomonte, in sintonia con gli attori centrali del Furioso, è unesecutore del grande tema del desiderio, motore del tumultuosodivenire delle azioni umane, e volàno delle passioni smisurate.Dunque Rodomonte è colui che eccede, esagera, oltrepassa. Colui cheva oltre: concetto che alberga anche nelle preposizione usata per de-nominare il luogo cantato da Bevilacqua, che già nel suo nomen sipresta a essere centro di accoglienza di quanti soverchiano la misura.

60 Cfr. L. Ariosto, Orlando Furioso, a cura di C. Segre, Milano, Mondadori,I Meridiani, 2006, canto XIV, ottava n. 120.

61 Ivi, ottava n. 119.

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Quanto alla fonte prescelta, Ariosto, si sa che è il maestro del-l’ironia, il poeta che sa cogliere le incongruenze e le contraddizionidell’agire umano, spesso grazie al processo, determinante nella strut-tura poematica del Furioso, di sovrapposizione e avvicendamentodel mondo reale e del mondo immaginario: metodo che in qualchemodo rivive nell’affresco mitopoietico di Bevilacqua, in cui realtà eimmaginazione di continuo si accavallano. Il richiamo ariostescoimplica poi dell’altro, congiunto strettamente all’opzione linguistica.Dall’autore del Furioso, soprattutto quello delle edizioni del 1516 edel 1521, ci ricorda Bertoni62, ovvero, aggiungiamo, non ancora de-purate (in effetti con una percentuale revisionistica inferiore a quan-to si potrebbe credere) alla luce delle istruzioni sul volgare impar-tite dal Bembo nelle sue Prose di lì a pochi anni (1525), «Bevilacquatrae la nuova lingua gergale, di confine e assieme di trasmutazionetra italiano e koinè dialettale padana»63.

Le risorse espressive della “Leggera”, governate dalla periziadell’autore, riescono a immortalare l’intera gamma dei sentimentiumani, come mostrano i testi raccolti in Vita mia64. Nell’imprecazio-ne espressionistica che traduce una domanda sul senso buio del-l’esistere, si percepisce un’eco dell’interrogazione affidata da Leo-pardi al suo pastore errante. Davvero seducente la descrizione dellanotte stellata, che, al pari della luna leopardiana, mostra una mutae impenetrabile bellezza:

che pirläda di steli,ocialìna è la notte, vécia di tue gioventù,bâzi su bâzi per non dirmi un’ostia,per farmianche a me tacere, strenciosanotte de l’amore,ahse potessi parlare…

prenderò l’allegriadell’una, con un magone da non dire65

62 Cfr. L. P., p. XXII.63 Ibidem.64 Cfr. L. P., pp. 151-186.65 Cfr. La notte de l’amore, L. P., p. 166. In nota l’autore riporta la versione in

lingua: «che balordata luccicante di stelle,/ la notte si è messa occhialini amontatura d’oro, vecchia di tutte le tue gioventù,/ baci su baci per non dirmiun’ostia,/ per farmi/ anche me tacere, lei che imbavaglia e mette le manette/notte de l’amore,/ ah/ se potessi parlare… // prenderò il tranvai/ dell’una,

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Pochi versi possono bastare a scolpire un carattere e una figura,un po’ come avviene nelle migliori epigrafi. Così leggiamo dell’Alceo,che pensa e agisce scosso dalla «mattana di vento»:

notte d’infame,che vénta, stanòta,vénta maturla, malissia ad néva:io, quasi– decide l’Alceo –mi vado a masàre adés che son in chiarìna… l’Alceoche l’ha con la vénta e volaa far di pomice qualchebutùna de drècon la scusa di andar a morire:com’èmuta la muta, qui, se un cantar la stòla66

Non mancano i ritratti collettivi, come quello che mostra unatipica scena di vita paesana nei bar delle piazze:

i capèi al vent- che mument, al nas in sö!i niulon d’ pasarot… in d’al pstà la caladacme as magna adasi adasi,se sfain boca na muliàga

i stan sedu a l’uvertai stan béncme sota al stes linsöli se brasan cun l’Iris, insémma,e dopui fan: mah!67

con un magone da non dire». A proposito della memoria leopardiana, un segnopiù vistoso se ne ricava dalla lettura del testo posto in apertura della raccolta Lacrudeltà: «Spietata crudeltà/ […]/ perché non cedi,/ perché ancora fai il verso/all’usignolo, perché/ t’allieti al volo d’una mosca?» (cfr. L. P., p. 89, v. 1 e vv.16-19).

66 Cfr. L’Alceo, L. P., p. 167. In nota figura la versione in lingua: «notted’infame,/ che mattana di vento, stanotte,/ che annuncio subdolo di neve:/ ioquasi/ decide l’Alceo/ vado ad ammazzarmi adesso che sono ubriaco/ …L’Alceo/ ce l’ha ancora con la vénta e vola/ a borseggiare qualche/ pederasta/con la scusa di andare a morire: / come/ la coscienza, la muta, affonda nelsilenzio della vita/ qui, se un cantare la chiama a rispondere».

67 Cfr. Al Bar Blu, L. P., p. 168, vv. 1-12. In nota, come al solito, la versione

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119IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[31]

La “Leggera” offre anche un campionario delle espressioni carat-teristiche che incorniciano il gioco amoroso secondo la tradizioneoltretorrentina. Se ne vedano alcune68: l’andare a traghéla d’amori,ovvero «l’incedere tipico del ganzo a caccia di ragazze»69; l’andare acoscioso70, cioè l’unirsi fisicamente; il cirlìnn71, che significa «ragazzee, in particolare, l’adescarle malizioso degli uomini, tra i cespugli,nei pioppeti, durante le feste».

Ma soprattutto la “Leggera” è una lingua duttile, che può esserein tutti i modi lavorata per cavarne risorse espressive inedite: atti-vità verbale condotta principalmente dai lunatici del luogo, chesperimentano le ribonze de la luna, cioè «le similitudini capricciose»,«lo storpiare, tipico di qui, parole per averne/ il balzo dritto del-l’ironia»72.

La “Leggera” potrà anche intendersi come uno dei mezzi, all’in-terno di un ben oliato sistema di pesi e contrappesi, che permetteall’autore di muoversi con agevolezza tra i due campi della storia,in tal caso linguistica, e del meraviglioso73: se infatti l’Oltretorrente

in lingua: «gli sfaccendati – che momento, il naso per aria!/ i nuvolosi dipasserotti/ … aspettando il calare del sole/ come si mangia adagio adagio,/ sisfa/ in bocca un’albicocca/ stanno seduti all’aperto/ stanno bene/ come sottoallo stesso lenzuolo/ s’abbracciano con l’Iris, tutti insieme/ e dopo/ fanno:mah!».

68 Oltre le quali cfr. anche la sezione Diletti nei modi e nella lingua della “leg-gera”, posta all’interno della raccolta Il corpo desiderato (cfr. L. P., pp. 220-225).

69 Cfr. L. P., p. 183.70 Cfr. L. P., p. 176.71 Cfr. L. P., p. 181.72 Cfr. L. P., p. 182.73 Il meccanismo da noi individuato è verificabile non solo in L. P., ma

nell’impianto generale dell’opera omnia dell’autore. Svolgiamo un esempio trai molti. Nel prosimetro Viaggio al principio del giorno della madre di sua madre,l’Amelia, Bevilacqua scrive «che parlava con gli Strioni di Po considerandolifratelli, specie con il loro Re, detto il Fiammingo, e conosceva bene la lorolingua […]». Ma aggiunge anche, riconducendo il discorso in un ambito storicoche è quello drammatico vissuto dall’Italia in cammino verso la dittatura, che«l’Amelia […] aveva avuto dodici figli: otto femmine, quattro maschi. E questiquattro erano, zio Toni in testa, fra i più attivi protagonisti della Resistenzaemiliana». E di questa straordinaria donna si narra anche il modo in cui affron-tò «Mussolini in piazza a viso aperto, quando era stata posta la prima pietra delmonumento a Corridoni. Riporta una cronaca: “La prima pietra venne posatanel maggio del ’24, presenti, con le autorità e molto pubblico, la madre, ingramaglie, dell’eroe, e Benito Mussolini, il quale sceso con adatta scaletta nellefondamenta, stesa con lucida cazzuola e con la disinvoltura propria di un bravo

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è la terra degli strioni, magicamente descritti a partire da una noti-zia storica, lo stesso luogo assurge anche a specola privilegiata degliusi dialettali impastati in una specie di koinè che ricalca le espres-sioni degli abitanti delle terre attraversate dal fiume Po.

Non solo: a rafforzare il polo della storia contribuisce la memo-ria di un evento accaduto negli anni Venti del secolo scorso, simbo-lo dell’eroismo civile diffuso nell’Oltretorrente:

Qui scoppiò, nel ’22, la rivolta degli Arditi del Popolo, che restòl’unico caso di sconfitta strategica subito dagli squadristi condotti daItalo Balbo […]. I resistenti furono all’incirca trecento, contro forzeavversarie dieci volte superiori, e assai meglio armate. Li guidavaun artigiano: Guido Picelli74.

Memorabile ribellione di popolo che la poesia cattura nei verside L’indignazione75 come fosse l’ennesima figura dello scandalo dellacroce, l’ennesima «temporalizzazione dell’eterno»76, del Dio che in-contra la sofferenza per incontrare gli uomini. La nuova crocefissione,titolo che vuol significare il suo scandalo sempre replicato nellastoria, riconduce il destino di molti a quello dell’uno, il nuovo martirein cui si riunisce il dolore di tutti: il ragazzo ucciso dal colpo difucile, la cui morte si trascina il furore della piazza rimasta attonita:

Una folla che in questa estatedi furore invece ghiacciato come le crociantelamiche, blasfema contro lo schernodei picchiatori assassini,

muratore, un po’ di malta tolta da un altrettanto lucido recipiente, e fatta scor-rere su di essa la pietra appesa a un cavo, ebbe a pronunciare la nostra massimaImpara l’arte e mettila da parte”. Ma la cronaca non dice che dalla folla uscì ungrido: – Bagolòn!… Che muratore non sei mai stato. E adesso ti fai muratore deimorti. Il Duce, conoscendo il dialetto, sapeva benissimo che “bagolòn” significabugiardo matricolato. […]. L’Amelia andò a mettersi sotto il palco. Il Duce lariconobbe e, per non guastare la festa, le rispose con un sorriso impassibile: –Ce l’hanno insegnato insieme, Cantadori Amelia. Contär dil bali, raccontaremenzogne, fa parte della politica che frutta» (cfr. Viaggio al principio del giorno,cit., pp. 39 e 41-42): aneddoto davvero efficace per denunciare la retorica fasulladella propaganda fascista intesa a organizzare il consenso.

74 Cfr. AA.VV., Un autore. Una città, cit., p. 70.75 Cfr. L. P., pp. 61-86.76 Sul paradosso concettuale di temporalizzazione dell’eterno realizzata dal

Dio che s’incarna, cfr. le pagine iniziali del saggio di G. Moretto, L’attimo(augenblick) in Søren Kierkegaard e in Friedrich Schleiermacher, «Humanitas», 61 (5-6/ 2006), pp. 904-918, in particolare pp. 904-906.

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121IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[33]

cresce insieme a un ferocevento che flagella, ma si fain ciascuno persona

furorein un’aria invece danzata di vita, impennatadi gioventù: si fa silenzioal colpo di fucilenella schiena di un ragazzo… è storia consueta che chiedequella testa che sollevano sorellemani,[…]77

5. L’ossimoro nei versi: la monodia polifonica di L. P.

Se nel vaglio critico di L. P. abbiamo fermato la riflessione so-prattutto sui Frammenti dal Poema del Fango è perché, lo si è detto,essi costituiscono anche la porzione finora inedita dei materiali in-seriti nel corpus. D’altro canto, il parallelo ripescaggio da partedell’autore di minute redazionali e dattiloscritti78 antichi ha influitosulla metamorfosi delle passate raccolte poetiche, che, assorbite nelnuovo corpus, sono state oggetto di numerosi processi variantistici,secondo le dinamiche testuali e gl’interventi filologici richiamatiall’avvio del nostro discorso.

A questo punto è necessario riflettere non tanto sui contenutidelle singole raccolte, di cui già molto si è detto per il passato e daparte di nomi illustri della critica79, quanto sull’effetto che la riunio-ne complessiva in L. P. delle precedenti opere poetiche di Bevilacquacomporta, alla luce della vivace intertestualità interna, di naturatematica ancor prima che lessicale, da noi indicata come segno di-stintivo dell’opera omnia del Nostro.

Anche solo scorrendo l’indice di L. P., il lettore avvisterà un’ab-

77 Cfr. La Nuova Crocefissione (Parma, la “Rivolta del ’22”), in L’indignazione, L.P., p. 70, vv. 1-12.

78 Cfr. in L. P. l’avvertenza critica di J. Sisco (cfr. alla nota n. 13).79 Sulla poesia di Bevilacqua si sono espressi nomi illustri della letteratura e

della critica italiane, da Palazzeschi a Sciascia, da Carlo Salinari a GiansiroFerrata a Giovanni Testori. In particolare l’autore ha considerato preziosi e“veggenti” i commenti di Caproni e del Getto. Si aggiunga inoltre la famainternazionale, testimoniata in particolare dagli interventi di Borges e Ionesco(cfr. A. Bevilacqua, Viaggio al principio del giorno, cit., pp. 54-58).

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bondante polifonia di temi, ma sempre governata dal leitmotiv chedirige la mente poetica e che si può definire all’ingrosso una passio-ne o mania delle origini. In un certo senso la polifonia è semprericondotta a monodia. Il canto primordiale continua a «infuturarsinel totale» polifonico delle cellule melodiche sviluppate dalla poe-sia. La metafora musicale, impiegata per spiegare un simile movi-mento, è arricchita dai versi dell’autore ispirati dall’oratorio diHaydn, la Creazione:

perdona alla mia insonnia i tuoi sognil’averti persa per qualche svista… ’Or rosa della lucee cellula sonora madre d’ogni cellulaDo Maggiore nella Creazione di Haydndal nulla alla modulazione infinita80

Alla mania poetica dell’origine corrisponde il tema in Do Mag-giore, che torna infinitamente modulato in tonalità diverse, da quel-le vicine ai toni più lontani.

In questo sistema di relazioni perfino l’argomento teologico puòessere affrontato trasferendolo nel dominio di uno dei temi ispiratoridel canto di Bevilacqua, quello della figura materna, sia quandoviene catturato un momento d’inaspettata felicità che sgorga all’im-provviso manifestarsi di Dio:

Dio, che ti sei traditocon me una volta,veniafelice non avida gola,in un Ballo Gardeniadel Trenta, mia madreballava un pensiero di tenel suo Caminito,mai t’ho sentito più vivo81.

Sia quando il sentimento di Dio è, più drammaticamente, un’in-vocazione di sofferenza scandita nei passi solitari di un corridoiodell’ospedale psichiatrico:

Signore, che mi vedi misurarequeste mura con passi

80 Cfr. ’Or: rosa della luce, in Piccole questioni d’eternità, L. P., p. 251, vv. 1-6.81 Cfr. L. P., p. 102.

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123IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[35]

da detenuta, io sconto la tua colpa:l’esserti figlia la mia mente malata… altre non ne commetto

a nessun legno hai dirittodunque di farti crocifiggereche non siano le mie braccia:io le stendo al muroper teaffinché ne approfitti– il mio scheletro è di nocerobusta, il meglio a cui possaaspirare una croce per l’ultimozelo di un Dio:[…]82

Stato d’animo che può raggiungere, in quel luogo di reclusionee separatezza dal mondo, le vette di una teomachia irriverente:

carcere della ragioneblasfema Deposizionemia jena mio nientemiei tanticuori dove il mio cuoreogni giorno lo spaccaa vita il pugnalemio OnnidementeSignore della pietà83

Inoltre, come conseguenza delle varianti strutturali che interven-gono nella composizione di L. P., anche il gruppo compatto delle“poesie teologiche” contenute nella raccolta La crudeltà viene inau-gurato da una dedica antelamica:

… queste cantiche quasi minime sculturee lune e lunette di religiosità antelamicanel mio Battistero– trasparenze anche di architettureminiate in prospettiva“Allegoria della vita secondo la leggenda di Baarlam”… timbro nel Coronelle sue Deposizionicristallinità di linee nell’attraversare il buio

82 Cfr. La crocefissione, in Piccole questioni d’eternità, L. P., pp. 287-288, vv. 1-15.83 Cfr. Nenia maniacale, in Piccole questioni d’eternità, L. P., p. 288.

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nelle Stagioni e nei Mesi…

Dedicoa Benedetto Antelami84

La dedica diventa lo strumento per prospettare il discorso reli-gioso come ennesima figura della relazione con la terra natale. Lateologia disintegrata di Bevilacqua, in cui si respirano a tratti accen-sioni quasi turoldiane ma trasferite su di un piano prosciugato dellarobusta fede che animava il padre servita85, se da un lato può sfer-rare contro Dio accuse fulminanti86, articolate, potremmo dire, inbrachilogie teologiche di sapore caproniano, dall’altro riesce a dise-gnare commoventi alleanze di solitudine tra Dio e l’uomo, «entram-bi in esilio l’uno rispetto all’altro, l’uno dentro l’altro»87:

… noi ventriloqua mentedei tuoi troppi infiniti, inviscerata storiadei vuoti della tua umana memoria88

* * *non sochi per mano portò per primo l’altrochi per primo diede all’altro i suoi sogni89

84 Cfr. Senso e dedica (L. P., p. 101).85 Cfr. per esempio i seguenti versi: «più assurdo, Signore, non puoi farmi/

– io vado soltanto/ per la forza che hai/ di buttarmi a spinte/ dove non so,dove non sai» (cfr. Il disgelo, L. P., p. 105, vv. 9-13); «… non del mio credere inte è questione/ […]/ è piuttosto questione/ del tuo credere in me» (cfr. Assolo,L. P., p. 106, vv. 1-6, con omissis).

86 Si legga questo, tra i vari esempi adducibili. Rivolgendosi a Dio, vienedetto: «se il chiunque tu sia/ è solo il bisogno della nostra follia» (cfr. Coro, L.P., p. 104, vv. 5-6).

87 Il poetico scambio delle reciproche solitudini, quella di Dio e quella del-l’uomo, assomiglia al contenuto di una riflessione teologica di Elie Wiesel:«Quindi, che cos’è l’uomo? Un punto interrogativo riflesso in, e opposto a, ecompletato da un altro punto interrogativo. Poiché c’è ricerca (quest) in ognidomanda (question). La ricerca di Dio da parte dell’uomo e la ricerca infinitadell’uomo da parte di Dio. Entrambi sono in esilio l’uno rispetto all’altro, l’unodentro l’altro. Entrambi anelano a una risposta, forse alla stessa risposta» (cfr. E.Wiesel, Sei riflessioni sul Talmud. Avvertenza di U. Eco. Con una nota di U.Volli, Milano, Bompiani, 2004, pp. 50-51).

88 Cfr. Coro, L. P., p. 103, vv. 1-3.89 Cfr. Jeu De Cartes: Amen, L. P., p. 103, vv. 5-7.

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Esteso è il ventaglio policromo dei temi convogliati in L. P. Nonmanca il caso di un testo che potrebbe definirsi quasi un capitolo digeografia e storia della letteratura. È La panchina gialla, posto a chiu-sura della prima sezione di L. P. Ed è, per l’autore, un ulterioreritorno alle origini, al tempo della scuola, sebbene il movimento dellapoesia conduca poi lontano, lungo quella rete di amicizie intellettualistipulate da un uomo che ha avuto occasione d’incontrare non pochinotabili della cultura italiana e non solo. Leggiamone la prima strofe:

Pasolini che scrive di me e da me chiede“l’irrelato fantasma idillico”con lode,in delizia del versoil mio professore Bertolucci di storia dell’arteal liceo Romagnosi di Parmanon concorda e in me, scrivendone, vede“il poeta shelleyano fanciullo”,il terzo che amòdella mia poesia il “poema del fango” e l’“Antelami”,Mario Colombi Guidotti,è morto in un incidente stradale solo ieri,io il poetache l’ha visto vivo, il solo, poche ore prima90

L’incipit segnala il rapporto confidenziale che Bevilacqua ebbecon Pasolini, di cui resta impronta poetica nella sezione Dall’episto-lario, anche in versi, con Pier Paolo Pasolini91, interna alla raccoltaL’amicizia perduta. D’altra parte, Pasolini è anche l’autore della for-tunata formula di «officina parmigiana»92, riferita al gruppo di gio-vani scrittori, tra cui, oltre il Nostro, Gian Carlo Conti, GiorgioCusatelli, Gian Carlo Artoni, e altri, che si misurarono, ciascuno asuo modo, con il magistero di Attilio Bertolucci, passaggio obbliga-to per ogni autore parmigiano della generazione del Nostro93. E da

90 Cfr. La panchina gialla, in L. P., p. 26, vv. 1-14. Cfr. anche l’annotazione diBertoni, che parla di un testo «polifonico e composito (perché intessuto di auten-tici materiali epistolari)», di cui «colpisce in primo luogo l’intrusione della madredell’io […] nel rapporto tra i due amici, attraverso una lettura “di nascosto” dellelettere pasoliniane chiuse a chiave in un cassetto […]» (L. P., pp. XVI-XVII).

91 Cfr. L. P., pp. 54-58.92 Cfr. P. P. Pasolini, «Officina parmigiana» (1957), in Id., Passione e ideologia,

Milano, Garzanti, 1977, pp. 412-414.93 Cfr. le note di Bertoni in L. P., pp. XIII e segg. Sullo stesso tema, in forma

più sistematica e con esame esteso a numerosi altri scrittori emiliani e romagnoli,

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qui poi si allarga subito la catena delle discendenze: se Bertolucci fuprofessore di Bevilacqua, del primo fu insegnante di liceo CesareZavattini, un’altra auctoritas di quella geografia culturale94.

Le frequentazioni parmigiane sono un po’ il battesimo, l’ideale“incominciamento” intellettuale di una serie nutrita ed eccellente dicolloqui dello scrittore con personalità del mondo non solo lettera-rio ma anche cinematografico. Incontri e alle volte autentici sodaliziche si riflettono nei suoi versi, per esempio quelli scritti Dopo undibattito con Jean-Luc Godard95, padre della Nouvelle Vague, o dopouna conversazione con il regista cecoslovacco Karel Reisz96, o a se-guito di una traversata notturna per le strade romane in compagniadi Paolo Volponi97. Talora all’autore piace inviare “lettere in versi”,come quella a Roberto Rossellini, nel cui finale si esprime una con-cezione negativa della Storia, già anticipata, in L. P., nel testo dedi-cato a un altro regista, l’ungherese Miklos Jancso98:

– nata è la Storia non più che da un’usuracasuale dell’esistere, a nulla necessaria:non importa se variada un ghigno da culla a sgomento da comete99

Non mancano riverberi dei contatti avuti con il mondo religioso.Il caso maggiore è offerto dal poemetto Essere Papa100, scritto «inoccasione del settantacinquesimo compleanno di Paolo VI» su com-missione dell’«Osservatore romano», che diede avvio anche a un

cfr. G. M. Anselmi, A. Bertoni, L’Emilia e la Romagna, in A.A. Rosa (a cura di),Letteratura italiana. Storia e geografia, III: L’età contemporanea, Torino, Einaudi,1989, pp. 385-462, in particolare pp. 430-435.

94 Sulla figura di Zavattini e sul suo rapporto con Bertolucci nato sui banchidi scuola, nonché sui riflessi culturali di quel sodalizio in terra emiliana, cfr. A.Bertolucci, C. Zavattini, Un’amicizia lunga una vita. Carteggio 1924-1984, acura di G. Conti e M. Cacchioli, Parma, Monte Università Parma Editore,2004, in particolare l’introduzione alle pp. 5-67.

95 Cfr. L’indignazione, L. P., pp. 76-77.96 Cfr. ne L’indignazione, Morgan, matto da legare (conversando con Karel Reisz

dopo la proiezione del suo film), L. P., p. 82.97 Cfr. ne L’indignazione, Una sera, attraversando Roma con Paolo Volponi (e

convenendo su alcune idee comuni), L. P., p. 78.98 Cfr. ne L’indignazione, Silenzio e grido (a Miklos Jancso): «Della Storia rimar-

rà questa rotaia/ che dal nulla al nulla conduce» (L. P., p. 83, vv. 4-5).99 Cfr. ne L’indignazione, Da una lettera in versi a Roberto Rossellini, vv. 13-16

(L. P., p. 84).100 Cfr. in Immagine e somiglianza, L. P., pp. 138-139.

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127IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[39]

carteggio tra il Pontefice e il poeta: a riprova dell’ampio ventaglio edel calibro intellettuale delle relazioni umane che Bevilacqua hasperimentato.

D’altro canto, il poeta riesce a stipulare un patto tra scienza ereligione che s’incontrano sul fecondo versante dei suoi interessi estudi cosmologici. Interessante rileggere quanto da lui dichiarato alriguardo nel corso di un’intervista:

Sappiamo benissimo che fino a quando “i ragazzi di via Panisperna”non ruppero l’atomo noi avevamo un’idea diversa del tempo e dellaluce. E avevamo idea che l’atomo fosse il punto terminale. Gli scien-ziati con i quali ho collaborato negli ultimi vent’anni della mia vitasono arrivati oggi a chiarire che tutto ciò è falso, che esiste la leggedel piccolo, più piccolo, e ancora più piccolo. E l’infinitesimo piùpiccolo rispecchia il cosmo secondo la dichiarazione cristiana: “Dioè in noi e noi siamo in Dio”101.

In termini cosmologici Bevilacqua è in grado perfino di rappre-sentare quel tipo di religiosità che è propria dei moderni e che è alcentro del discorso filosofico del Novecento intorno all’«essere get-tato» di heideggeriana memoria:

La spora originaria si divise e fu un grande trauma. […]. Il peccatooriginario è questo, la cacciata dal paradiso, cioè dal senso dellamateria cosmica. Accadde che la materia cosmica, la materia mini-ma, la materia della luce, “fiat lux”, acquistò corpo in una realtàeffimera e da lì ebbe inizio il travaglio dell’uomo, il travaglio dellavita102.

L’immaginazione dell’autore, accesa dall’infinitesimamente pic-colo delle particelle103 universali, offre nuove letture delle trepidazioni

101 Cfr. F. Parazzoli, Il gioco del mondo. Dialoghi sulla vita, i sogni, le memorie,cit., p. 128.

102 Ivi, p. 133.103 A parte il riferimento classico al poema lucreziano, l’argomento di fisica

atomistica e quantistica interessa la poesia più di quanto si possa solitamenteimmaginare. Al proposito si leggano, per esempio, le osservazioni di AntonioPrete: «Un’onda di probabilità, nella fisica delle particelle, non descrive uno statoo un luogo, ma una realtà fisica virtuale, tra l’esistenza e la non-esistenza, tra lapresenza e l’assenza. Non appartiene a questa condizione anche la poesia? Checosa essa indica se non un’altra realtà? “La Poesia”, dice Baudelaire, “è quel chec’è di più reale, è quel che è del tutto vero solo in un altro mondo”. […]. Lamateria del poeta ha molti tratti in comune con la materia che la fisica quantisticarappresenta: un vuoto di realtà, uno scorrere del virtuale, del potenziale, il do-

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e delle desolazioni umane sviluppando similitudini con gli assunticosmologici. Da uno di questi, una particella della coppia virtuale cadenel buco nero per lasciare l’altra libera di sfuggire verso l’infinito, nasco-no, per somiglianza, i seguenti versi:

… assisteprofondità di sguardoalla nudità infine degli eventi estremi:frantuma il suo senso smarritouniversoch’era in noi modellatosolo un istante facui serviva la lunghezza umana del braccioa misura d’amorelineamenti della tua figurai sassolini policromidi ciò che fu la terra… forse quel tantod’eterno è solo questo:la pazienza bambina a ricomporrela nostra identitànon più identica, tuttavia, non più verticalecon l’arte bizantina del mosaico

è il puro orizzontaledi secoli, stirpi, qualche raro mattinoche svola lassù come una fiammata… noi quiprolungate ombre degli oggetticome se fossimo il loro breve avvenire104

minio di un divenire i cui frammenti si fanno realtà solo nell’istante in cui sonoosservati» (cfr. A. Prete, Della poesia per frammenti. Prose scelte. Con un saggio diP. Gabellone, Verona, Anterem, 2006, pp. 25-26, con omissis).

104 Cfr. la sezione Similitudini con L’“Universo in un guscio di noce” (Hawking)all’interno della raccolta Legame di sangue (L. P., pp. 324-327. Il testo citato è allepp. 324-325). Il procedimento adottato, che fa scaturire la scrittura poetica da unasserto scientifico, ricorda quello, assai simile, impiegato da Calvino per narrarele storie sulla luna, la terra, il sole, le stelle, le galassie, lo spazio e il tempo. Inquei racconti, l’autore si serve «del dato scientifico come d’una carica propulsivaper uscire dalle abitudini dell’immaginazione, e vivere anche il quotidiano neitermini più lontani dalla nostra esperienza». Ognuno di essi presenta dapprimauna notizia scientifica sulla cui base il racconto, di cui è protagonista un impre-cisato personaggio, Qfwfq, viene imbastito. Si legga un esempio, dall’incipitdella storia Il cielo di pietra: «La velocità di propagazione delle onde sismiche all’in-terno del globo terrestre varia a seconda delle profondità e delle discontinuità tra imateriali che costituiscono la crosta, il mantello e il nucleo». Cfr. I. Calvino, La me-

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129IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[41]

La lettura del reale sotto specie cosmologica giunge a ispiraretalune esecuzioni di un altro motivo conduttore della poetica auto-riale, quello amoroso. Anche la dialettica dell’amore può essere ri-condotta ai principi delle leggi universali:

ma il ritmogalattico binario di due corpi amorosiper pura contraddizionedi lunghezze d’onda pure similariporta alla collisione, all’infinito divario:[…]105

L’algido assunto scientifico fa pendant con il purissimo disingan-no che orienta i versi de Il corpo desiderato106, silloge in cui Bevilacquaraggiunge vette prodigiose nel farsi esegeta dell’amore «di un tan-to/ scentrato sempre/ dal suo preciso bersaglio»107. Il disastro del-l’amore finito viene impresso dentro stampi analogici o similitudinidi esemplare sarcasmo:

ero il piovasco d’autunnodel tuo amorepura metereopatia

* * *è comequando salta una lampada, credimi,il nostro farci contatto (non parliamo di sessod’amore) non reggeal carico elettrico, si fulminaqualcosa, è certo,può darsi una fantasiamia o invece così tuache ti approssima fino a farti me stesso

moria del mondo e altre storie cosmicomiche, con presentazione dell’autore, Milano,Mondadori, 1997, p. VI. Riguardo alla composizione, precisa l’autore: «Delleventi storie comprese in questo libro, La distanza della Luna, Senza colori, Sul fardel giorno, Giochi senza fine, Lo zio acquatico e I Dinosauri facevano già parte delleCosmicomiche (Einaudi, Torino 1965); altre sei – La molle Luna, I cristalli, L’originedegli Uccelli, L’inseguimento, Il guidatore notturno e Il conte di Montecristo – eranouscite in Ti con zero (ivi, 1967); le restanti otto erano inedite in volume» (ivi, p. V).

105 Cfr. ’Or: rosa della luce, in Piccole questioni d’eternità, L. P., pp. 251-252, vv.25-29.

106 Cfr. L. P., pp. 187-242.107 Cfr. Prime, IV, vv. 9-11, in Il corpo desiderato (poesie d’amore), L. P., p. 191.

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130 CIRO RICCIO [42]

e tu ne rimanilontanissima, siderale108

Nell’esegesi amorosa, al polo opposto del disincanto più taglien-te sta l’allestimento di un raffinatissimo «cerimoniale erotico», cam-po fertile per le possibilità espressive di Bevilacqua, che mostra,come nota Bertoni nell’introduzione109 di L. P., di essere un veromaestro del genere. E su questo secondo versante della poesia d’amo-re del Nostro si ricostituisce, ancora una volta, il legame con l’iden-tico, l’originario lirico da cui tutto proviene, poiché la serie degliincontri amorosi è in un certo senso inaugurata e illuminata dal-l’iniziazione oltretorrentina che avviene con il silenzioso favore del-la «madre-amante»110, cui basta solo uno sguardo negli occhi delfiglio per capire il suo ingresso nel mondo adulto.

Da tale perfezione d’intesa tra il figlio, che ha «spaccato ogniminuto del vivere»111 della madre, e quest’ultima, la cui voce è pla-centa112 di ogni parola del futuro poeta, si avvia un discorso d’ine-sauribile senso, scaturente dalle migliaia di parole vergate dall’uo-mo che s’è fatto poeta per la madre, se possiamo considerare lei ilmotore dell’animazione lirica di Bevilacqua. L. P. accoglie, con levarianti strutturali rammentate in precedenza, il grosso dei compo-nimenti dedicati nel corso di una vita alla madre e compresi nellasilloge Tu che mi ascolti, speculare, come s’è detto, alla narrazione inprosa dallo stesso titolo, di cui la raccolta poetica è, nel contempo,causa ed effetto, ispirazione e risultato: ultima tappa di un dialogoprovvisto di pagine memorabili già dal tempo del romanzo Letteraalla madre sulla felicità113. Il «duetto per voce sola», metafora che ilpoeta attinge dalla sfera musicale per esprimere l’inarrivabile inten-sità del suo rapporto con la madre, poeticamente sigillato a partiredai versi adolescenziali «io cerco un ventre/ orgoglioso e umiliato/

108 Cfr. L. P., pp. 197 (Piccoli motti amorosi, 4, vv. 4-6) e 205-206 (AscoltandoLeporello, vv. 54-64).

109 Cfr. L. P., p. XXIV.110 Cfr. L. P., Senza titolo, p. 382, vv. 1-5: «-ricordi/ quel qualcosa pari alla

vita/ che ci faceva dispari nel doppio dove/ io ti chiamavo/ madre e amante[…]»

111 Cfr. Il funerale in Tu che mi ascolti, L. P., p. 363, vv. 12-13: «io – cheassurdo –/ io che ho spaccato ogni minuto del tuo vivere».

112 Cfr. la nota n. 3113 Cfr. A. Bevilacqua, Lettera alla madre sulla felicità, Milano, Mondadori,

1995.

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131IL MERAVIGLIOSO PADANO NELLE POESIE DI ALBERTO BEVILACQUA[43]

per morirci teneramente/ come ci sono nato», non si consuma nep-pure dopo la morte di lei:

madre, convinciti, è una seracome le altre,ci faremo l’uno all’altro luce,ora, fra poco,dovrò pur ritrovarla la lampada… era quisolo un eterno fa:il gioco sta per cominciare: nessunaassenza, manchi solo tu,ma è questo tuo mancare la presenzamassima, luce semplicementeintessuta di luce diversa… sarà allorache ci vedrà insieme, e ne saremoinsieme l’abisso,un oceano senza confini, quell’oceano114

Ciro Riccio

114 Cfr. madre, convinciti, è una sera, L. P., p. 402. È il testo che chiude laraccolta Tu che mi ascolti, sia nell’edizione Einaudi (cfr. nota n. 9), sia nellaversione strutturale approntata per L. P.

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ANNO XXXVI FASC. I N. 138/2008

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Stampa: Arti Grafiche Solimene - Casoria (Napoli)Finito di stampare il 27 marzo 2008