Crescere 2.0 Atti del convegno - Sfide e frontiere dell'educazione del nostro tempo.

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BRUTIUM Rivista del Centro Studi sullo scautismo “Don V. Lembo” Centro Regionale di Studi e Documentazione sullo scautismo “Don V. Lembo” Reggio Calabria, 15/16 gennaio 2011 ATTI DEL CONVEGNO N. 3/2011

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l mondo giovanile è stato attraversato prepotentemente soprattuttodal fattore tecnologico. Linguaggi del tutto nuovi si sono succeduti o aggiunti a quelli utilizzati da intere generazioni passate, le stesse categoriedi comunicazione e di apprendimento hanno modificato i percorsi tradizionali di comprensione della realtà, accentuando così il rischio dipossibili fughe da essa.

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BRUTIUMRivista del Centro Studi sullo scautismo “Don V. Lembo”

Centro Regionaledi Studi e Documentazionesullo scautismo“Don V. Lembo”

Reggio Calabria, 15/16 gennaio 2011

ATTI DEL CONVEGNO

N. 3/2011

Nella scuola del futuro non ci sono banchi rotti, muri sporchi ed edifici fatiscenti. Per laverità non ci sono proprio i banchi, i muri e gli edifici. E nemmeno le cattedre. Ci sonosoltanto gli unici due elementi indispensabili, i docenti, ma quelli bravi davvero, e gli stu-denti, tantissimi studenti, mai visti tanti studenti in una sola classe.Dal 12 ottobre 140 mila studenti, provenienti da 175 nazioni, seguiranno il corso di In-telligenza Artificiale della Stanford University sino al 12 dicembre, giorno dell’esame fi-nale. Per seguire la lezione ognuno se ne starà, in giro per i 5 continenti, a casa propria,o magari in un parco con il laptop sulle ginocchia, oppure starà facendo altro e si colle-gherà in rete quando gli sarà più comodo rivedere la lezione del professore su YouTube.

“Benvenuti nella scuola 2.0” - Riccardo Luna – Repubblica, 12.10.2011

Questo numero di BRUTIUM è stato stampato grazie al contributo dell’Agesci Calabria

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Editoriale

Affidiamo ancora una volta aBRUTIUM, collana di numeri mono-grafici, l’esercizio della memoria edella divulgazione del percorso asso-ciativo del Centro Studi Mons.Lembo, peraltro nel solco di una con-tinuità che vorrei qui ricordare ci-tando i precedenti numeri “… tramemoria e futuro - trentesimo anni-versario della Route regionale RS“Lottare per Restare, Restare per Co-struire”, e ancor prima “Sacerdoti escautismo in Calabria : Don Lembo,Don Maletta, Don Gatti tre espe-rienze di fede e di educazione”.

E’ il turno stavolta della pubblica-zione degli Atti del Convegno “Cre-scere 2.0 - Sfide e frontieredell’educazione nel nostro tempo”,tenuto a Reggio Calabria nel gennaiodi quest’anno.

Direi con un bel salto di prospet-tiva, dal far memoria di eventi e cir-costanze di tempi che furono aimmaginare domande e volgeresguardi lontani nel tempo del web2.0.

Certo, l’ultimo decennio a causa dinuovi fattori sociali, economici e tec-nologici ha di fatto scompaginato ilmondo che lo scorso millennio ciaveva consegnato, il consolidarsi delfenomeno migratorio dal Sud delmondo; l’attentato alle torri gemelledi New York e l’introduzione della

Cina, due mesi più tardi, nel WTO(Organizzazione Mondiale del Com-mercio); l’avvento dell’era digitale dimassa tramite Internet nella versionedel web 2.0 e nella declinazione deisuoi straripanti social network (face-book, twitter, …), hanno prodottocambiamenti inimmaginabili, a cuil’uomo di oggi fatica a star dietro,stante l’accelerazioneportentosa dellatecnologia che divora gli strumenti ei linguaggi che essa stessa ha gene-rato.

Il mondo giovanile è stato attra-versato prepotentemente soprattuttodal fattore tecnologico. Linguaggi deltutto nuovi si sono succeduti o ag-giunti a quelli utilizzati da intere ge-nerazioni passate, le stesse categoriedi comunicazione e di apprendi-mento hanno modificato i percorsitradizionali di comprensione dellarealtà, accentuando così il rischio dipossibili fughe da essa.

L’umanità si mescola in uno sce-nario denso di rischi, che ci fa direche viviamo un Tempo di crisi, ma simescola anche in uno scenario riccodi opportunità e di sfide, che ci ponein un Tempo di scelte :

Può l’educazione restare uguale ase stessa ?

E di che tipo di adulti c’è bisogno?CRESCERE 2.0 - sfide e frontiere

dell’educazione nel nostro tempo hacosì provato ad offrire ai partecipantiun tempo per pensare, uno spazio dianalisi-riflessione-azione.

Un convegno tarato per educatoridi qualsiasi estrazione : volontari,professionali, pedagogisti, empirici,organizzati o sciolti: uno spazio permettersi assieme in discussione e per

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alimentare l’agire educativo, unospazio per tutti coloro che hanno acuore il futuro del Paese e il presentedelle sue giovani generazioni nellaconsapevolezza che, oggi più chemai, servono figure di adulti “auto-revoli” che accompagnino i giovaninegli intricati percorsi sociali dellapost-modernità offrendo loro do-mande di “senso”.

La relazione di Maddalena Co-lombo ha tracciato un quadro delloscenario giovanile odierno caratteriz-zato dalla frammentazione dell’espe-

rienza umana che fa scattare un biso-gno di identificazione negli altri, nelgruppo, ma che nel contempo regi-stra anche un bisogno di individua-lizzazione caratterizzato da una certaansia di distinguersi, di uscire dalgruppo, di prendere le distanze equindi di fare selezione delle opzioni,esser capaci di azione e di essa co-glierne il significato intrinseco (ac-quisività). Infine è stato toccato untema che sta a cuore a chi si occupadi educazione, ovvero l’esperienzafondativa della soggettività attra-

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verso il rapporto con l’Altro.La relazione di Fabrizio Coccetti

ha posto l’accento sul Web 2.0, sullagrande potenzialità insite in esso,basti pensare all’effetto Small World(il mondo è piccolo), e alla possibilitàdi interagire con la rete immettendoio stesso informazioni, notizie, co-struendo in qualche modo il SA-PERE. Gli adulti devono imparare anon demonizzare esperienze come“Facebook” o similari, dove la di-mensione virtuale non sostituiscequella del faccia a faccia ma è solo unmodo per dilatare lo spazio-tempodell’incontro con gli altri, che prose-gue anche quando non siamo più visto vis.

In ultimo, la relazione di LudovicaScarpa che ha invece messo l’accentosugli aspetti di comunicazione e rela-zionalità odierni, mettendo in guar-dia dal non trasferire troppo nellinguaggio con i ragazzi le preoccu-pazioni di noi adulti, per non ali-mentare l’ansia del futuro che oggisembra essersi impossessata dellenuove generazioni.

In effetti il Web 2.0, ci ha permessodi sapere moltissime più cose che nonle generazioni precedenti, ma nonsempre tutto questo sapere diventauna risorsa anzi a volte genera ansia.

Serve quindi uno sforzo di fanta-sia per non morire soffocati dalla co-noscenza, serve capire che tipo dicompetenza sociale formarsi al fine dicostruire il bene sociale, il bene nonesiste se non lo fai.

Buona lettura !

Carmelo Trunfio

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Sandro Repaci

Un brevissimo saluto a tutti i par-tecipanti e un ringraziamento aquanti si sono sobbarcati un lungoviaggio per arrivare sin qui questopomeriggio. Abbiamo ancora, mi di-cono dalla segreteria, numerose per-sone che si debbono registrare, perògli orari, come ci ha ricordato Teofilo,sono una cosa importante da rispet-tare. Cominciamo questo convegnocon un saluto e con un intervento diun caro amico, mio personale, amicodi vecchia data, ma vicino per pro-fessione e poi per vocazione istitu-zionale all’esperienza dellaformazione e della cultura: Mario Ca-ligiuri, che è Assessore Regionale allaCultura della Regione Calabria. Nonè semplice presentare Mario. Io pro-vavo, lasciando da parte i miei ricordigiovanili perché ci conosciamo damolti anni, a scorrere le pagine delcurriculum, però era troppo lungo,per cui sono andato sul curriculumbreve : vi ricordo semplicemente cheè un politico atipico, nel senso che èprofessore di Pedagogia della Comu-nicazione all’Università della Cala-bria, oltre che animatore di una serieincredibile di eventi e di iniziativeche hanno costellato sia il tempo,quindi gli anni, che lo spazio, quindianche la dimensione geografica dellaRegione Calabria. Mario è stato alungo Sindaco di Soveria Mannelli,uno dei comuni che in qualche ma-niera, anche grazie alle sue iniziative,hanno insegnato come una città puòvivere in armonia con i suoi cittadinie come le istituzioni possono esserenon un ostacolo, ma una risorsa per

la gente. Potrei dire ancora moltealtre cose di Mario, ma invece prefe-risco dargli subito la parola : so chelui è un affabulatore, ma lo invito atenersi nei tempi e so che mi perdo-nerà questa licenza, per il rapportoche ci lega, vi invito ad ascoltarlo.Grazie.

Mario Caligiuri

Un abbraccio veramente grato almio amico carissimo Sandro Repaciche mi dà la possibilità di stare in-sieme con voi, di inaugurare questoimportantissimo convegno. I miei sa-luti a Mafalda Cardamone e FabioCaridi, responsabili regionali del-l’Agesci, a Elisabetta Mercuri, segre-tario regionale Masci, a Vera Zito,Rettore del Convitto Nazionale diReggio Calabria, a Valerio Bertidell’Associazione Industriale di Reg-gio Calabria, Sara Bottari presidentedi AGI 2000, Vittorio Alfieri della Co-munità Scout Brutia. Ma ovviamentesoprattutto a voi individualmente.Allora, questo convegno secondo meha un significato particolare, perchéparla di innovazione, parla di tecno-logie in un momento estremamentecaldo di grandi tensioni che caratte-rizzano la scuola e la società nazio-nale e anche regionale. Unariflessione sulla scuola a 150 anni dal-l’unità e a 40 dalla nascita dell’istitutoregionale non è un’occasione qual-siasi, è un’occasione significativa. Eallora è importante cercare di faredelle riflessioni in pochissimi minutisull’occasione che questa sera, perconto di settemila scout presenti in

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Calabria raggruppati in più di centogruppi voi state organizzando. Salutogli amici scout che sono venuti ancheda regioni vicine. Allora due rifles-sioni, la prima analisi di contesto perquanto riguarda la scuola calabrese,e poi in secondo luogo delle politichespecifiche che la nostra regione stasviluppando anche sul terreno del-l’innovazione educativa in questosettore.

I dati della Calabria voi li cono-scete bene, i temi sull’occupazione,sulla disoccupazione giovanile, sul-l’attrazione degli investimenti, sul-l’export, sono dati che non ci dannoragione, siamo una regione debole, equindi all’interno della crisi mon-diale ed europea, all’interno dellacrisi fiscale nazionale -noi abbiamo ildebito pubblico, uno dei debiti pub-blici più pesanti del mondo- si som-mano delle specificità regionali, daun lato la presenza pervasiva dellacriminalità organizzata e dall’altraanche il peso di una cattiva politicache si sostanzia soprattutto nella ge-stione inefficace della sanità, che pro-duce debiti invece di produrrereddito; su oltre trecento casi di ma-lasanità nazionale più di un terzo sisono verificati nella sola Calabria,sono dati drammatici. Allora è im-portante capire che tutto parte da unariflessione di ordine culturale. Partireda una riflessione culturale significapensare che la scuola, al di là della re-torica, è l’unico strumento concretoche noi abbiamo, la formazione,l’educazione che si fa nella scuola,così come si fa anche all’interno deigruppi Scout, è una straordinaria op-portunità. L’unica di mobilità sociale

che esiste. Non casualmente il Presi-dente della Giunta Regionale, Sco-pelliti, ha inaugurato l’annoscolastico a Rosarno il 13 settembre diquest’anno, che è un luogo simbolo,non solo un luogo dove si sono veri-ficati l’anno scorso di questi tempidegli scontri di carattere razziale, maanche un Comune sciolto per mafia,che è stato normalizzato con regolarielezioni solo qualche settimana fa.Allora, se noi parliamo di scuola dob-biamo capire di che cosa parliamo. InCalabria il disagio scolastico parte dalontano, è del 1925 il libro di ZanottiBianco che addirittura parlava delmartirio della scuola in Calabria, mai vecchi limiti non possono rappre-sentare un alibi per l’inefficienzaodierna. E allora all’antico disagio noidobbiamo collegarci con le nuovesfide, una delle quali voi, in manieramolto opportuna, questa sera affron-tate. La prima sfida che secondo mebisogna cercare di considerare -esono sfide tutte collegate, che si in-tersecano, si sovrappongono, siscompongono- è quella della cono-scenza. Oggi noi abbiamo a che fare,ci confrontiamo all’interno delmondo scolastico, con una genera-zione di persone, i cosiddetti natividigitali quelli nati dopo il 1981, cheelaborano le informazioni in mododifferente da come lo facciamo noi;quindi bisognerebbe studiare nuovearee, come le neuroscienze, come labiotecnica, come la biopolitica per ca-pire dove noi realmente ci troviamo.Quindi è evidente che noi quando legenerazioni come la mia, in partecome la vostra, dialoghiamo con i no-stri referenti, con i nostri studenti, ve-

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niamo in contatto con generazioniche considerano le informazioni, leelaborano in modo diverso da comelo facciamo noi, quindi dialoghiamocon grande difficoltà. L’altra sfida èla sfida tecnologica. C’è un libromolto interessante scritto da due au-tori americani, John Palfrey e UrsGasser, “Nati con la rete, la prima gene-razione cresciuta su internet, istruzioniper l’uso”, che ci dice delle cose illu-minanti; dicono Palfrey e Gasser: “Laquantità di informazioni disponibilisul web è impressionante e poten-zialmente snervante, la memoria abreve termine di un individuo può ri-cordare al massimo sette concetti allavolta, mentre la nostra capacità di as-sorbire le informazioni viaggia allavelocità di 126 bit al secondo”, cioè126 stimoli al secondo, tutto quelloche arriva di più praticamente siperde. L’eccesso di informazioni è unfenomeno del tutto reale e preoccu-pante, e i ricercatori ancora hannomolto da imparare praticamente,quello che succederà nei prossimianni ancora non lo sa nessuno.Quindi è una sfida in campo apertoche noi dobbiamo cercare di cogliere.A questo riguardo ci sono delle sug-gestioni molto interessanti, quandonoi parliamo di media education,l’educazione dei media, educare aimedia, come funzionano, educarecon i media, attraverso i media cer-care di effettuare uno dei processieducativi più stimolanti. Le posizionianche su questo caso sono profonda-mente diverse: Clifford Stoll, in unlibro di qualche anno che si chiamava“Confessioni di un eretico hi-tech”,diceva che le nuove tecnologie nella

scuola sono perfettamente inutili,perché producono eccesso di infor-mazione, perché sottraggono tempoalle esperienze umane, quelle che voiogni giorno fate, che sono quelle re-almente arricchenti, pensate peresempio a Facebook, secondo me Fa-cebook, e di nuove tecnologie un po’mi sono occupato, è una straordina-ria arma di distrazione di massa; cosìcome giustamente dice Clifford Stoll,un insegnante scadente non è che mi-gliora se noi gli mettiamo davanti unPC. Ci sono altre posizioni, comequelle di Don Tapscott, che invece di-cono che le tecnologie rappresentanouna straordinaria opportunità perpoter migliorare le prestazioni edu-cative, e la scuola diventerà, scrive,un luogo dove si apprende piuttostoche dove si insegna. E infine PierreLevie, un docente della Sorbona, diceche le nuove tecnologie rappresen-tano un’estensione dell’umano. Eprecisa: “Non è che attraverso lenuove tecnologie si invertono i rap-porti di potere, ma attraverso lenuove tecnologie si definiscononuove opportunità”. E allora in que-sto quadro credo che si collochi que-sto interessante convegno che voistate svolgendo. La terza sfida chepongo alla vostra attenzione è quellasociale. Un intellettuale importante,molto in voga, molto noto, ZygmuntBauman, l’inventore della società li-quida, dell’amore liquido, dellapaura liquida, del consumo liquido,ha scritto un libro, recentemente,molto interessante, che si chiama“Vite di corsa”. All’interno di questolibro ci sono due concetti che vogliosottoporre alla vostra attenzione. La

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prima: noi oggi viviamo in un tipo disocietà dove, piuttosto che ricordare,occorre dimenticare, cioè noi assor-biamo tanti e tali informazioni chedobbiamo espellere quelle che non ciservono più, per le ragioni che vi di-cevo prima, perché la capacità del no-stro cervello di recepire leinformazioni, sebbene potenzial-mente illimitata, ha dei limiti, equindi è parziale, noi utilizziamo soloparzialmente il nostro cervello, avolte poco, a volte per nulla; e alloraè importante capire che ci sono dei li-miti fisiologici all’eccesso della infor-mazione. Il secondo esempio, moltocalzante, che fa Bauman è una meta-fora, è la metafora dei missili. Dice:Noi siamo stati educati tutti quanti aessere dei missili balistici”, cioè allabase della rampa ci vengono fornitedelle informazioni, ci viene postol’obiettivo, noi ci alziamo e raggiun-giamo l’obiettivo. Ebbene, la società

adesso è concretamente cambiata.Perché? Perché l’obiettivo non è piùfisso, si muove, può andare più inalto, più in basso, a destra, a sinistra,quindi le informazioni che ci ven-gono fornite alla base della rampa poidevono essere aggiornate mentre noisiamo in volo, in modo tale che noiriusciamo a direzionare la nostra po-sizione nel modo migliore. Quindiquesto che significa? Significa educa-zione permanente, significa forma-zione continua, tradotto dobbiamostudiare tutta la vita. E allora diventaimportante riflettere su questi ele-menti, come voi state facendo. Infinela quarta sfida è la sfida psicologica.Due intellettuali francesi, Miguel Be-nasayag e Gérard Schmit, parlanodell’Epoca delle passioni tristi. Cioèoggi le giovani generazioni vedono ildomani non come una promessa,come la interpretavamo noi, quellidella nostra generazione, ma come

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una minaccia, allora questo provocatutta una serie di considerazioni a ca-tena all’interno del contesto sociale,dove i punti fermi del passato sistanno appannando, pensiamo allachiesa, pensiamo alla famiglia, pen-siamo anche al sistema politico, pen-siamo al sistema istituzionale, non acaso uno studioso di criminalità, l’exdirettore dei servizi segreti tedeschi,Heckar Werthenbach(?) ci spiegavache nel ventunesimo secolo, quelloche è appena iniziato, ci sarà unoscontro senza quartiere tra stati legalie poteri criminali. Questo è uno sce-nario di carattere mondiale. E alloraquando noi affrontiamo questi temidobbiamo sapere di che cosa par-liamo, e quindi gli appuntamenti,l’appuntamento che questo pomerig-gio a Reggio Calabria, la città più po-polosa, più importante della nostraregione, il dieci per cento dei cala-bresi, un calabrese su dieci vive aReggio Calabria, l’unica città metro-politana, lo considero particolar-mente significativo e particolarmenteimportante. Il Presidente Scopelliticonsidera la scuola come il perno at-traverso il quale provocare il cambia-mento, noi siamo consapevoli deitanti limiti strutturali che in Italia e inCalabria ha questo settore, ce li ha lascuola, così come ce li ha l’università,ma questo significa che noi dobbiamoimpegnarci di più e individuare, di-rottare le risorse in modo tale chesiano produttive, perché la scuola el’università non possono essere degliammortizzatori sociali, ma dei luoghiattorno ai quali si cresce, si pro-muove, si inventa lo sviluppo. Con-cludo davvero con una frase che il

mio amico Sandro Repaci un quartodi secolo fa, venendo a trovarmi a So-veria, la mia città, disse, una frase chepoi ho ripetuto diverse volte duranteil corso di questo quarto di secolo.Diceva così Sandro, riportando unpasso delle Sacre Scritture: che lastrada che porta ai pascoli verdi passa at-traverso il deserto. Noi ci sentiamo unpopolo in cammino. Tanti auguri avoi, popolo in cammino.

Sandro Repaci

Mario ha una memoria di ferro elo ringrazio di questa citazione, tral’altro non mia, per cui mi veniva fa-cilissimo. Credo che l’intervento diMario sia veramente un’ottima intro-duzione a tutti i discorsi, a tutte le ri-flessioni che andremo a fare nelleprossime ore, quindi direi che è ilmomento di passare alle relazioni,non prima di aver chiesto al padronedi casa, al Rettore del Seminario, DonDemetrio Sarica, che come al solito siè defilato ed è l’ultimo, seduto in ul-tima fila, di venire qua a salutarci, einvito tutti voi a tributargli un calo-rosissimo applauso per la disponibi-lità con la quale ci ha messo adisposizione questa splendida strut-tura, come immagino frutto di un ra-gionamento, e non solo di unadisponibilità strutturale, frutto di unapolitica e di una pastorale che fa ve-dere questo luogo, che è un luogo so-lenne, imponente, che incute ancheun certo rispetto, io ne ho un sacroterrore da quando ero chierichetto,diventa un luogo nel quale non solo ipresbiteri, e non solo chi si appresta a

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diventare presbitero, vive, ma dovesi incontrano tantissime esperienze, apartire da quella dello scautismo,della scuola di preghiera dell’asso-ciazionismo giovanile. Quindi voglioancora ringraziarlo e chiedere di sa-lutarci.

Don Demetrio Sarica

Mi lascio educare dalle parole diSandro Repaci, quindi incominciamogià a passare dalle parole ai fatti,ecco, rispondendo a questo invito adire una parola. Penso che parli già illuogo, la location straordinaria cheavete per questo convegno, mi ri-trovo un po’ nelle parole di Sandroproprio perché la stessa paura l’hoavuta io quando sono dovuto entrarequi da Rettore per mandato del Ve-scovo a cercare di far camminare que-sto piccolo popolo in cammino chesono il gruppo dei seminaristi, nonsoltanto della nostra diocesi, ma

anche delle diocesi vicine. Spero nonvi sentiate estranei a questo luogo,ecco, questo luogo è stato pensato,come diceva giustamente Sandro,non soltanto perché si formino i fu-turi ministri della Chiesa, quindi i fu-turi sacerdoti, ma perché tutta laChiesa possa trovare in questo luogoun punto di riferimento perché sidice di solito... ecco, i documenti re-citano questa definizione del Semi-nario: non solo la pupilla dell’occhiodel Vescovo, e speriamo che i Vescovinon abbiano mai a dover mettere gliocchiali per vedere attraverso gliocchi del Seminario ma anche il cuoredella Chiesa diocesana. E allora voisapete che un corpo non si nutrebene, non funziona bene se il cuorenon funziona bene, e allora a questocuore partecipiamo tutti, a comin-ciare da voi anche stasera. E’ un ar-gomento, quello della formazione,dell’educazione, che è la ragioned’essere di questo luogo, di questacomunità; noi lo facciamo a partire daun fatto straordinario, che nessuno dinoi poteva immaginare, e cioè il fattodi essere stati chiamati dal Signoreper questo compito, per questo mini-stero, per questo servizio nella chiesaper il mondo. Però, ci rendiamo contoanche che parlare di formazione, dieducazione può significare una plu-ralità di cose, essenzialmente quelloche mi preme dire e condividere convoi che si può formare l’uomo solo sesi riconosce che cos’è l’uomo, e oggipiù che mai abbiamo bisogno di sen-tircelo dire, non dalle singole voci,dalle singole parcellizzate esperienzedi un’umanità varia e tante volte sfi-lacciata, ma abbiamo bisogno di sen-

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tircelo dire da chi l’uomo lo ha fatto,l’ha creato, l’ha voluto, cioè nostro Si-gnore. Ecco, questo è il nostro puntodi forza che fa di questo luogo edu-cativo un vero e proprio luogo di in-contro, di crescita comune.

Ecco, io spero che anche attraversol’esperienza di queste giornate, cioèdi queste mezze giornate, oggi po-meriggio e domani mattina, anchevoi possiate respirare in qualchemodo e fare esperienza di questosguardo sereno nei confronti del-l’uomo e questo desiderio di servizio,un servizio che parte direttamentedal cuore di Dio, e che però si con-cretizza attraverso le mani, l’operati-vità, l’intelligenza, la fantasia di tantepersone, le persone che hanno avutoil coraggio di dire di sì al signore.Ecco, io mi auguro che anche la vo-stra presenza oggi qui sia una speciedi sì al Signore che vi ha chiamatiguarda caso qui.

Spero che uscendo dal Seminario,da questa esperienza, guardiate al Se-minario non con questa paura ata-vica, ma che vi sentiate veramente dicasa, proprio mentre incominciate aduscire da qui.

Grazie e buon lavoro.

Sandro Repaci

Tutti molto ubbidienti. Bene. pas-siamo quindi adesso ai lavori dellaprima relazione della professoressaColombo, che saranno coordinati daSara Bottari.

Sara Bottari

Bene, io credo che tutti abbiate incartella la pagina di curriculum diMaddalena Colombo. Io non mi per-metterò di aggiungere nulla, ancheperché l’ho conosciuta da poco, mami sembra di conoscerla da anni,però è una persona di una grandesemplicità, di una grande disponibi-lità, d’altra parte ha anche dei tra-scorsi scout, ed è stata ancheun’insegnante, il che per me è ancorapiù importante, perché mi sento an-cora più vicina a Lei. Io voglio solodire una cosa come insegnante, per-ché credo che una riflessione vadafatta e mi viene spontanea nel mo-mento in cui alle parole dell’Asses-sore, del Presidente che ha parlatoprima, e del nostro Rettore, credo chevada fatto un piccolo commento, nelsenso di mettere insieme le due cose:i valori e l’educazione. Io non riesco ascindere una cosa dall’altra perchécredo che il compito degli educatori,e di qualunque educatore, quello chesi muove in una scuola, come quelloche si muove in una casa, e quindi ungenitore, come quello che si muove inun’agenzia educativa, e quindi parlodi noi scout, sia quello di mettere in-sieme le competenze e i valori; nes-suna delle due componenti deveprevalere sull’altra, a mio parerevanno messe insieme e devono cam-minare parallelamente. Trasmetterevalori è un compito che tutti noi in-segnanti credo abbiamo tenuto pre-sente, ma anche tutti noi capi delleassociazioni scout. Nella mia siglaAGI 2000 probabilmente qualcuno haintravisto l’associazione dei genitori,

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ma non è questo, noi siamo un’asso-ciazione scout che nasce proprio dal-l’AGI, l’AGI che forse nessuno di voipuò ricordare, perché siete tuttitroppo giovani, ma che negli anni ‘60e fino al ’74 rappresentava la partefemminile dello scautismo. Ecco, noil’abbiamo riproposta e la viviamo davent’anni a questa parte, quindi dal’91 l’associazione AGI, proiettata nel2000, ha voluto ripercorrere le stradedel guidismo, che non erano esatta-mente le strade dello scautismo ma-schile.

Comunque adesso Maddalena cidirà tutto quello che ha preparato pernoi con particolare riferimento aquello che io ho sottolineato comeproblematiche del ruolo docente, equindi problematiche del ruolo edu-cativo. Prego.

Maddalena Colombo

Buon pomeriggio a tutti, buonagiornata. Faccio un ringraziamentoiniziale agli organizzatori di questoconvegno per avermi permesso di es-sere qui oggi; è una grandissima oc-casione di riflettere insieme a unaplatea di educatori perché, ci tengo adire, siamo sempre tutti “in crescita”.Grazie anche per aver pensato a que-sto bel titolo: Crescere 2.0, ma soprat-tutto “crescere”. Ciò mi permette diaprire ricordando che nell’educareesiste un punto di vista “altro”,quello dei giovani, che sta di fronte achi educa però nello stesso tempo èanche il nostro, quindi si tratta di cre-scere da entrambi i punti di vista.

La questione giovanile è oggi alcentro delle questioni sociali, ma

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anche politiche ed economiche intutto il mondo; se guardiamo adesempio dall’altra parte del Mediter-raneo a quello che sta avvenendosulle sponde del Maghreb, troviamouna generazione giovanile che stacercando di rovesciare (forse ci è riu-scita, forse ci riuscirà) una classe digoverno che è giudicata vecchia, cor-rotta, autoritaria, che non dà né fu-turo né libertà. Da noi, invece, se liguardiamo con gli occhi dei maghre-bini, abbiamo giovani con debolisegni di ribellione, giovani abba-stanza adattati alla propria condi-zione, che si trovano di fronte ad unaclasse politica non altrettanto autori-taria, però vecchia e anche corrotta,che garantisce, sì, libertà, ma non ga-rantisce futuro. Quindi qualcosa tuttii giovani hanno in comune, ma moltoi giovani italiani hanno da impararedalle nuove generazioni di tutto ilresto del mondo. Pertanto vorrei cen-trare la mia relazione sulla soggetti-vità di questi giovani, cioè sul comenoi, soggetti che comunque guar-diamo a questa generazione, pos-siamo vedere, conoscere, incontrarela loro soggettività.

Il titolo della mia relazione, “Pro-gettare l’educazione per una nuovasoggettivita’ giovanile” vorrebbe co-gliere le sfide dell’educare con i gio-vani stessi, come penso sia l’obiettivodi questo convegno. Cercherò di svi-luppare quattro punti: il primo trattadi quello che i sociologi chiamiamo la“moratoria giovanile”, il secondo dicome avviene la lunga transizionealla vita adulta, poi introdurrò il con-cetto, per alcuni forse nuovo, di“agency giovanile”, e infine parlerò

del punto educativo che mi sta più acuore: l’idea che sempre meno nel-l’indistinto quotidiano ci si dimenti-chi di questa esperienza fondativadella soggettività che è il nostro rap-porto con l’Altro. Io l’ho messo volu-tamente in maiuscolo, perchéciascuno lo associ a ciò che gli sta piùa cuore: l’Altro come l’adulto o l’Al-tro come il diverso, il trascendente.

1) Lo scenario sociale e la “mora-toria” giovanile

Cominciando dal primo punto,quando si parla di società senza fu-turo, si intende la società che nonoffre prospettive, centrata sul pre-sente (consumo e conservazione delleproprie caratteristiche). Questa situa-zione presenta un certo numero di“punti di debolezza”, ma anche qual-che “punto di forza”. Le sue debo-lezze sono sicuramente nella cadutadi quei punti fermi che fanno da oriz-zonte agli individui, come i riferi-menti storici o quelli culturali. Ladifficoltà è percepita quando, scom-parse le vecchie tradizioni, non è di-sponibile immediatamente un altrorepertorio di tradizioni a cui attin-gere; da qui l’aumento dell’incer-tezza. Cosa intendiamo perincertezza? E’ quella situazione in cuiho molte strade davanti, ho una “ec-cedenza di possibilità” ma non soquale scegliere. La distinguiamo dal-l’insicurezza, che è una cosa legger-mente diversa cioè quando ho sceltouna strada non sono sicuro di arri-vare alla fine, perché lungo il cam-mino troppe “variabili aleatorie”possono interferire sul mio percorso.

In questa situazione (incertezza +

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insicurezza) l’individuo si sente“iperstimolato”, è condotto a pensareche esista sempre una strada mi-gliore, una possibilità più favorevole,e di conseguenza “brucia” le suescelte, che si consumano nella vitaquotidiana, bruciarsi delle possibilitàal limite dello spreco. Si parla anchedi “politica dello spreco” per inten-dere quella spinta collettiva a proce-dere lungo la via di un progresso chein realtà è basato più sul consumoche non sulla produzione e non sullaqualità. Dal punto di vista delle rica-dute, vediamo che gli adulti cercanodi rimanere giovani più a lungo pos-sibile - parliamo infatti di “giovanili-smo degli adulti” – mentre i giovanivogliono diventare adulti subito, eoptano per la chiusura sempre piùprecoce della cosiddetta “età dell’in-nocenza”: sono responsabili di que-sta perdita di innocenza da un lato larete, che porta a condividere i “se-greti degli adulti”, dall’altro ilgruppo dei pari che assume la fun-zione di una “socializzazione antici-patoria”, dall’altro ancora èresponsabile un po’ anche la famigliache non ha più schermi nella sua vitaquotidiana, tutto avviene con le porteaperte, anzi con gli schermi aperti. Equindi si parla di “adultismo dei gio-vani”, di una precocità con cui certetappe sono scavalcate e superatesenza necessariamente essere deter-minate dalla generazione adulta.

Nello stesso tempo vi è una spintaa non guardare troppo in avanti, maa centrarsi sul presente: si tratta diquello che ci ricordava prima l’asses-sore, quello che gli autori dell’Epocadelle passioni tristi (M. Benasayag e

G. Schmit, 2004, Feltrinelli) chiamano“la perdita del desiderio creativo”. Igiovani d’oggi sembrano non averpiù nulla da desiderare perché quelloche c’è da desiderare ce l’hanno già,quindi perché guardare avanti? Piut-tosto guardo a mantenere quel cheho.

Ora, poiché non vorrei dare l’ideadi uno scenario sociale tutto in nega-tivo, dobbiamo valutare un contro-bi-lanciamento costituito dai punti diforza di questa situazione, che sonocertamente nella possibilità di sce-gliersi un destino, attraverso una plu-ralità di riferimenti, nell’ampiezza diqueste possibilità, dalla mobilità geo-grafica e sociale. Chiunque, indipen-dentemente dall’origine e dallaprovenienza, può pensare, ambire aun destino diverso da quello che ipropri genitori gli avevano asse-gnato, e questa sarebbe la prima ge-nerazione che può vantare, davvero,tale privilegio storico. Nei giovanioggi c’è sicuramente un’enfasi suglispazi di libertà, tanto che è persinoconcessa un’ampia libertà di sba-gliare, che una volta forse non esi-steva. Inoltre, in questa condizione èamplificata una relazionalità di tipoorizzontale, e quindi la capacità diprovare empatia a diversi livelli e condiversi canali. Da qui nasce anchel’enorme capacità di comunicare deigiovani, che diventano “comunica-tori competenti” molto prima rispettoalle generazioni passate (si pensi acosa sa fare un bambino di 3 anni conun telecomando o di 6 anni con uncellulare).

Abbiamo poi sicuramente una di-latazione della crescita, cioè il “cre-

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scere nell’era 2.0” che è un processolungo, fatto di tante micro-fasi cia-scuna con propri compiti e proble-matiche: si parla di infanzia,post-infanzia, pre-adolescenza, ado-lescenza, post-adolescenza, adessoc’è anche un nuovo “oggetto di stu-dio sociologico” oltre la giovinezza,cioè l’ “adulto-giovinezza”, la sogliache precede la vera e propria adultità.Vi sono quindi ben sei fasi per de-scrivere una cosa che una o due ge-nerazioni fa, avveniva in una fasesola, in un arco temporale più ri-stretto di sette-otto anni, mentre orapuò durare fino a 20 anni.

Non è solo la durata temporale adallungarsi, ma è anche la sua artico-lazione interna che diventa più com-plessa; questo naturalmente è anchesinonimo di ricchezza di esperienza,perché abbiamo più tempo per cre-scere, per fare esperienze diverse, e

più tempo per sbagliare. E quindi ab-biamo più possibilità di esplorare, diinnovare, sicuramente il crescerelungo è un crescere che lascia mag-giore spazio all’innovazione.

Il concetto di moratoria si usa perindicare proprio questa dilatazionedei tempi di crescita, che quindi si-gnifica anticipare il momento di en-trata nella fase post-infanzia, maanche il ritardo con cui si acquisiscel’ingresso definitivo all’età adulta. Isociologi hanno determinato che ciòè avvenuto solo dall’avvento dellasocietà industriale in poi,mentreprima era un fenomeno sconosciuto.Come si spiega? Si lega al bisognoche le società hanno di avere un’etàdedicata al consumo, al consumo ditempo, al consumo di pratiche di eva-sione (leisure), al consumo di oggetti,al consumo di abbigliamento, al con-sumo di stili. Quindi, attenzione,

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l’adolescenza lunga, la giovinezza,non è un prodotto di oggi, ma è unacostruzione della società industriale,la società dei consumi, e dei suoimezzi di comunicazione di massa,che ha inventato un tempo, uno spa-zio, un “mercato” dedicato a ciò chepiù conta nella società dell’incre-mento, della società dello sviluppo (ilconsumare).

Quindi, in termini un po’ funzio-nalisti, potremmo dire che la morato-ria è necessaria alla società, quindinon possiamo pensare di correggerla,di eliminarla ma solo di compren-derla ed evitare che degeneri in man-canza di evoluzione e di crescita.

Cosa implica essere in moratoria?Significa sospendere il momentodelle grandi scelte, dilatare il tempodella non-scelta, rinviare le scelte esi-stenziali, ma significa anche aumen-tare l’ansia verso quelle scelte chepotrebbero essere definitive, irrever-sibili: sappiamo che i giovani nonhanno tanta voglia di sentir parlare diirreversibilità.

Basti un indicatore demografico:assistiamo, dagli anni ’60 ad oggi, aun calo vistoso del numero dei ma-trimoni, che non significa calo delleunioni, ma sicuramente un venirmeno dei “patti a lungo termine”,delle scelte definitive, come si sup-pone sia un vincolo matrimoniale. Seci si sposa di meno, forse, non è per-ché si ha meno fiducia nel matrimo-nio, ma perché si pensa di non esserecapaci e in grado di fare scelte cosìalte, così difficili, così definitive (ilmatrimonio come un “ideale” pocorealistico).

Un altro indicatore: lo IARD, Isti-

tuto per la ricerca sulla condizionegiovanile in Italia, misura dal 1983 un“indice di moratoria”, cioè un valoresintetico che rappresenta la quantità el’intensità con cui i giovani sentonodi essere in moratoria, quindi po-tremmo dire la percezione di esserein questo stato da parte dei giovani,la quale percezione aumenta e si in-tensifica sempre di più.

Si chiede ai giovani, secondo loro,in che misura tra cinque anniavranno compiuto una, due, tre otutte le famose cinque tappe dellaloro maturità (finire gli studi, trovarelavoro, uscire di casa, trovare uncompagno -con o senza unione irre-versibile, vincolo formale- e avere deifigli).

Quando sono compiute tutte lecinque tappe potremo dire che siesaurisce la transizione alla vitaadulta. Le indagini fatte dallo IARDsegnalano che ogni cinque anniquando si ripete la stessa indagine suun campione diverso, il tempo in cuii giovani ritengono di aver esaurito lecinque tappe si “dilata” sempre dipiù, anzi le si ritiene sempre menoprobabili, addirittura la probabilità diavere figli si abbassa.

Quindi noi vediamo che c’è un in-vestimento faticoso sul futuro, un’im-maginazione ridotta, da parte deigiovani stessi, probabilmente piùspaventati che non sfiduciati, ma co-munque bloccati nel pensare al do-mani come ricco di conquisteevolutive e di tappe di crescita.

Le conseguenze della “morato-ria” giovanile

Al di là delle cause di questo statodi cose (compito innanzitutto del so-

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ciologo), adesso mi interessa con voidiscutere di quali sono le conse-guenze del vivere in stato di morato-ria. Prima conseguenza: l’ambiguità.Ci troviamo di fronte a dei giovaniche vivono in uno stato ambivalente:credono di poter fare nella fase ado-lescenziale quello che vogliono, per-ché hanno tanto tempo davanti epossono sperimentare, sapere, acqui-sire; in realtà proprio questo tempolungo e dilatato, spesso privo di pa-letti, lascia molto spazio a che le loroscelte siano vissute senza che se nerendano conto, in modo passivo,senza capire cioè che sono i fattoriesterni, i condizionamenti sociali chespesso, sotto traccia, scelgono perloro. Faccio alcuni esempi: il genererisulta dalle indagini un fattore moltoinfluente (l’essere maschi condizionala giovinezza lunga, quindi fa dila-tare le scelte, o fa evitare le scelte re-sponsabilizzanti più dell’esserefemmine) e di questo non molti ma-schi se ne rendono conto.

Lo stesso vale per il ceto sociale: sesi appartiene ai ceti più elevati, inparticolar modo le famiglie di cetoimpiegatizio, si tende a rimanere incasa di più; se si hanno invece geni-tori con un livello culturale basso omedio-basso si è invece maggior-mente spinti all’autonomia, ma diquesto non se ne rendono conto, diqueste dinamiche, nemmeno i figlidel laureati, che invece rimangonomolto più a lungo nella casa dei ge-nitori.

Per non parlare poi di quantoconta il luogo di residenza per diffe-renziare le probabilità di occupa-zione: se per le regioni del Sud gli

elevati tassi di disoccupazione giova-nile sono un vero deterrente all’uscitadi casa, nelle regioni del Nord, dovec’è meno disoccupazione giovanile,lo stare in casa non ha alibi. Pur-troppo questo tema è delicato, perogni tipo di genitore, cioè si sa chenessun genitore oggi manda via dicasa un figlio prima che questi abbiaraggiunto un tenore di vita almenopari a quello della famiglia d’origine,ma bisogna ribadire che ciò generaun percorso vizioso che alimenta lamancanza di indipendenza da en-trambe le parti. Andare contro questi“condizionamenti esterni” diventaperciò una leva fondamentale per laconquista dell’autonomia.

Un’altra conseguenza dell’ambi-guità della moratoria sono i valoritrasmessi dalla società ai giovani.Qual è il messaggio esplicito, maancor più implicito, che arriva ai ra-gazzi in stato di moratoria? Da unlato, state tranquilli, c’è un mare diopportunità per voi, dall’altro, peròstate attenti a scegliere per non gio-carvi qualche chance. Quindi l’indu-zione a scegliere qualsiasi cosa siscontra con l’altra induzione, a mioavviso quasi più pervasiva: guai sescegli, perché poi non puoi più tor-nare indietro. Anche questa è una fal-sità, abbiamo visto, perché nellemodernità liquida, che promette unastruttura di opportunità complessa edifferenziata, scegliere non significaquasi mai scegliere una strada unica,un “vicolo cieco”, ma avere davantiuna ramificazione con tanti rivoli.

Non sempre, tuttavia, rimandarela scelta è qualcosa che fa crescere:faccio l’esempio della scelta scola-

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stica. Molti (sempre di più) fanno ilLiceo scientifico dicendo: così possorimandare la scelta professionale allafine dopo la maturità, così ho piùscelte. In realtà, a mio parere, permolti di essi si tratta di un ragiona-mento “bloccato”. Perché? Perché lasottovalutazione dei percorsi tecnici,per esempio, o dei percorsi profes-sionali, spinge più avanti il momentodella scelta, ma a questo punto il ra-gazzo ormai ha valicato una certapossibilità di conoscere dei mestieri,che non arriverà a tenere in conside-razione perché sono “esclusi” dallacultura che nel frattempo si è fatta. Esi apre ad una prospettiva di disoc-cupazione giovanile qualora nonviva in aree economicamente dina-miche o non abbia un buon profittoscolastico. Quindi anche qui abbiamodelle enormi contraddizioni apertedal cosiddetto fenomeno della “licea-lizzazione” delle scelte dei giovani,una questione che non posso trattarema che richiederebbe un esame at-tento proprio come conseguenza del-l’ambiguità della moratoriagiovanile.

Un’altra conseguenza della mora-toria è la cosiddetta “socializzazioneaperta”, cioè il fatto che non si crescepiù in determinati canali o agenzie ditrasmissione educativa, ma ci si puòspostare da un canale all’altro, da unambiente sociale all’altro, con menoconfini di un tempo: però questo au-menta il consumo di tempo. Perdereun anno di scuola, ad esempio, ogginon è un problema; tanti ragazzi, nonsolo per lo scarso profitto, ma ancheper incapacità di prendere la via giu-sta, si “prendono” un anno per sé, al

termine o all’inizio di una scelta for-mativa (penso al primo anno di uni-versità). Questo cosa comporta? Chesicuramente un “gap year”, l’anno dinon far nulla, l’anno di ripensa-mento, l’anno a volte di diverti-mento, a volte invece di grandefrustrazione e angoscia, a volte unanno maturativo, è andato a sosti-tuire quello che una volta era il servi-zio militare. Qualcuno l’ha chiamatauna “vita alla moviola”, in cui possorivedere, durante il mio lungo trasfe-rimento da una condizione all’altra, amio piacimento le varie fasi della miavita e rifletterci sopra. Questa peresempio è una grande opportunità.

Un ulteriore aspetto importante sucui voglio focalizzarmi è il legame in-tergenerazionale: ci si alterna conmolta più rapidità tra una genera-zione e l’altra. Noi qui stiamo par-lando di generazione 2.0 per indicarequello che c’è nell’era di Internet, odell’interattività, che si distinguedalla generazione precedente. Quellesuccessive potremo chiamarle: 2.1,2.2, 2.3, cioè voglio sottolineare comeogni due-tre anni si può avvicendareuna nuova generazione, e non soloper la forte innovazione delle meto-dologie comunicative, ma anche perla capacità di uno stile di sostituirsi alprecedente, alzando sempre più i li-velli di consumo, aggiungendo pro-blematiche nuove che “sostituiscono”quelle precedenti: ad esempio, c’è lagenerazione della pre-crisi finanzia-ria, poi quella dell’”economic downturn”, adesso vedremo quella “post-crisi”, ecc.. Allora possiamo affer-mare che le generazioni sono più“corte”, in questo spazio più lungo

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della gioventù le generazioni sonopiù corte, cioè entrano rapidamentein collisione l’una con l’altra, fratellimaggiori non si parlano, o quasi, confratelli minori, ed è difficile averequalcosa da condividere fuori dallaristretta cerchia dei “simili a sé”.Questo può costituire un problema, efarci riflettere su come oggi andiamoa costruire un’identità di genera-zione.

L’identità di generazione è unacosa molto importante, perché creaaffinità, e quindi sicuramente empa-tia, nel costruire uno spazio storicoche è indissolubile, quello che si è sto-ricizzato, e quindi con la coscienza diaver partecipato a fare la storia inquel momento; tale coscienza delproprio peso storico non è in alcunmodo cancellabile dalla vita del sin-golo (neanche se un grande baco ungiorno distruggesse tutti i files): ciòche ho vissuto nel mio tempo storico,ciò che fa parte di una mia biografianon è cancellabile.

Allora qui intravedo un compitoper gli educatori: quello di far sentiregenerazione, di aiutare questi ragazziad “essere generazione”, perché at-traversano troppo velocemente lospazio della loro generazione per po-terla in qualche modo memorizzare ericordare. Qualcuno ha parlato divita in affanno, cioè ci si affanna auscire da un’epoca per entrare subitoin un’altra senza il tempo di diven-tarne consapevoli. Io qui ho voluto ri-portare una frase del sociologostorico K. Mannheim, che nel ’28scrisse questo saggio sulle genera-zioni (Il Mulino, Bologna, 2008):“Nella società reale, costruita da ge-

nerazioni che si susseguono conti-nuamente –e lui sta parlando dellegenerazioni degli anni ’20- la culturaviene sviluppata da persone che ac-cedono ogni volta di nuovo al patri-monio accumulato”. Sottolineo il “dinuovo”.

Essere generazione significa sen-tirsi quei nuovi che avanzano. Se ionon sono generazione è come se que-sto nuovo non potesse in qualchemodo trovare radici. “Il nuovo ac-cesso svolge un ruolo importantenella vita del singolo quando questoè costretto ad abbandonare il suogruppo di origine e ad entrare inquello nuovo, subentra una modifi-cazione essenziale ed evidente nel-l’atteggiamento cosciente, nellanostra vita sociale il continuo emer-gere di nuovi uomini è una compen-sazione alla natura ristretta e parzialedella coscienza individuale”. La-sciando perdere l’aspetto più filoso-fico, ci interessa capire che lacoscienza individuale si dilata, vaoltre se stessa, quindi cresce vera-mente quando ha esaurito il suo com-pito di generazione. Io penso che siasicuramente una sfida per voi, farsentire i ragazzi come “membri diuna società storica, che condividonouna stessa condizione”.

2) Luoghi e tempi della transi-zione all’età adulta

Vediamo ora i risvolti della mora-toria giovanile nei tempi e luoghi dicrescita dei ragazzi. Innanzitutto,salta l’ordine normale delle tappe dicrescita. Quello che avviene nella fasedalla scuola al lavoro è il punto piùcritico nel percorso di costruzione

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dell’individuo. Una fase che vienemolto sottovalutata è quella dellascelta scolastica, che rappresenta ungravoso “compito sociale” nel pas-saggio tra le medie e le superiori. Sot-tovalutata, da un punto di vista siapersonale sia sociale, perché si riducetutto a “che scuola faccio?”, ad unorientamento strumentale, e non ci siaccorge che quelli sono gli anni in cuici si gioca il destino, l’identità sociale,le relazioni di generazione (che poiportano le affinità e le empatie, le ri-sorse o le povertà), insomma il futuronella società. A mio avviso, sonopoco curati questi aspetti in vista delfuturo, e ci si limita a sostenere i ra-gazzi solo nel momento di compilareil modulo di iscrizione alla scuola su-periore. Sicuramente, molti problemiderivano dal fatto che c’è uno squili-brio tra quel che loro desiderano difare, il fatto di poter sognare a 13-15anni, di “diventare qualcuno” equello che poi veramente riuscirannoad essere.

Un fenomeno di cui si parla da al-meno 30 anni, si chiama over-educa-tion, cioè lo squilibrio tra quantiacquisiscono i titoli di studio più ele-vati e la corrispondente capacità delsistema produttivo di assorbirli. Oggil’over-education è causata dalla fortespinta, nelle scelte scolastiche dei ra-gazzi italiani, verso il liceo a tutti icosti, l’università a tutti i costi (siamoormai in un regime di “università dimassa”). Ciò rivela che non sempre viè uno sguardo realistico al futuro,spesso vi è un salto nel buio, nelvuoto, e si rischia che il proprio “séprofessionale” non trovi lo spaziogiusto per affermarsi, per mettersi

alla prova. In questo scenario, come reagi-

scono le agenzie di socializzazione(casa, famiglia, scuola, chiesa, asso-ciazionismo, politica, territorio). Amio avviso qui il rischio di frammen-tazione è forte, perché esse si com-portano, per così dire, “dividendosi illavoro”: la famiglia arriva a educarefino a lì, ad esempio si specializza “inaffetti”, la scuola si restringe nell’am-bito del profitto, lo scautismo piutto-sto che l’associazionismo - io hopresente più la realtà delle associa-zioni sportive- non si occupa d’altroche dell’intrattenimento. Se ciascunosi “espande” fuori dal suo mandatoeducativo, si richiama il “sacro” va-lore della privacy. Questo spinge diconseguenza i ragazzi a quella che iochiamo una “navigazione libera”: al-lora il ragazzo si sente autorizzato adandare da una agenzia all’altra utiliz-zando delle “moralità situate”, cioè leregole che valgono in casa, possonoessere trasgredite altrove, perchétanto a scuola ne valgono altre, nellosport altre ancora e così via.

Ma quando e dove i ragazzi po-tranno fare tesoro, fare sistema, farearmonia tra le esperienze di socializ-zazione? Domandiamoci allora, dalpunto di vista di un’agenzia educa-tiva, quale siete voi, un’agenzia edu-cativa con una tradizione, con unastoria, con una metodologia, come,cosa intercettiamo del bisogno dei ra-gazzi? Bisogno sicuramente di fareesperienza, il bisogno di aprirsi, spe-rimentare, e qui dobbiamo sicura-mente -ciascuna agenzia per sé, ma iodirei anche in modo unitario- capirequesta fondamentale duplicità, chia-

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miamola pure anche ambivalenza.C’è un bisogno forte di identifica-

zione, quello che porta al conformi-smo di gruppo, al fare come fanno glialtri, all’essere come credo che glialtri mi vogliano, essere come L’AL-TRO, appartenere a un gruppo, es-sere stimato, essere riconosciuto. Edall’altra però c’è un forte bisogno diindividualizzazione, meglio indivi-duazione, cioè non essere come tu mivuoi, ma essere come voglio io! Equindi un bisogno di distinzione, didistacco, di prendere le distanze, diseparazione, il classico processoanche psicologico di separazione dalmondo adulto, dalle attese sociali.Entrambi i bisogni in qualche modocercano lo spazio di essere coltivaticontemporaneamente, ma, ahimè,spesso tra loro in contraddizione, percui seguire le regole imposte daun’agenzia mi costa a livello di indi-viduazione, cioè se faccio come mivuole il genitore, l’insegnante, ilcapo, eccetera, esco da me stesso equindi non posso farlo, devo trasgre-dire.

C’è una forte spinta e voglia di tra-sgressione nei giovani. Io sto condu-cendo una ricerca sul senso di legalitàdei giovani al Nord, quindi penso chesarebbe bello anche fare delle com-parazioni con delle realtà del Sud, ilconfine tra legale e illegale è assolu-tamente diventato personale, c’èquindi bisogno di stabilire da sé qualè il paletto, qual è il confine; c’è ancheperò molta disinformazione e confu-sione. Però, attenzione, anche il biso-gno di identificazione è importante,per cui se tutti giudicano che fare untatuaggio a un minorenne è cosa, no-

nostante la legge lo impedisca, nor-male ed è cosa anzi richiesta per es-sere come L’ALTRO, io lo ritengo,non solo legale, ma anche auspica-bile, quindi un valore in sé.

Qui noi ci scontriamo con unafrantumazione, con una pluralizza-zione dei modi di vita, quelli chechiamiamo i “profili giovanili”, gli ot-timisti, gli edonisti, i presentisti, i fu-turisti, convivono nello stessogruppo, nella stessa situazione, nellostesso territorio. Molto si gioca a li-vello di scelte nel tempo libero,quindi non stiamo solo parlando deltempo organizzato, bensì di quellonon protetto, auto-organizzato (voiconoscete il vuoto delle periferie e sa-pete che cosa significa, la maggiorepossibilità di rischio che comporta).Io vedo un rischio anche per coloroche hanno invece un tempo più orga-nizzato, quindi meno vuoto e cioèquello che deriva da ciò che dicevoprima: se ogni agenzia ha una visioneriduttiva e parziale di quel pezzo disé che il ragazzo mostra nel suotempo, se le agenzie continuano cia-scuna per sé a costruire il proprio“tecnicismo educativo” l’effetto edu-cativo finale si frammenta e si inde-bolisce; non riusciamo a ricomporreil quadro, ma anzi i ragazzi che sonobravissimi impareranno a esseretante cose diverse, con tanti micro-gruppi, le socialità ristrette, ciascunoper sé, laddove il rischio invece allafine è che non riescano a rimettere in-sieme questo puzzle e si rinchiudanoin una vuota e triste solitudine.

Quindi qui c’è lo spazio per unagrande alleanza fra le agenzie: par-tiamo dal livello formale, dalla capa-

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cità, anzi direi più l’incapacità, dellascuola ad aprirsi realmente al territo-rio non solo per condividere le(poche) risorse, ma per fare progetti,per scambiarsi le forze e i ruoli, seserve.

Tornando un attimo indietro, ve-diamo ora come la dimensione del-l’individualizzazione puòrappresentare una grande opportu-nità, da un lato, ma anche un granderischio. Ci sono due tipi di indivi-dualizzazione, ed è lì che secondo mesi gioca lo spazio di progettazione daparte vostra, di progettazione aperta,perché se la socializzazione è apertaanche la progettazione deve essereaperta. Un’individualizzazione sta-gnante, che poi porta a una logica didisimpegno, dove si esalta l’esplora-zione di tutto e l’approfondimento diniente. E un’individualizzazione evo-lutiva, che dovrebbe in qualche modoinvertire la tendenza al disimpegno eincentivare la tendenza a vederequelle aree di difficoltà, gli errori o lescelte sbagliate, come punti cardineper uno sviluppo, per una riconside-razione di alternative. Dal punto divista del soggetto, essere in una indi-vidualizzazione evolutiva significapensare: se io mi trovo di fronte a unpercorso scelto che non mi porta danessuna parte, dovrei riuscire a tro-vare quella capacità di tornare suimiei passi, quindi di acquisire unanuova consapevolezza, ma devo po-terci arrivare da solo. Perché questo èun po’ il problema dell’individualiz-zazione. Ma sappiamo che da solonon ci puoi arrivare, perché come faia dare un senso al tuo errore se nonhai punti (o valori) di riferimento?

Ecco, a questo punto diventa fonda-mentale, anzi fondativo, cosa incon-tro e chi incontro all’interno diun’individualizzazione evolutiva.

3) Riflessività e agency giovanileDobbiamo chiederci a questo

punto: come può l’intervento socioe-ducativo essere opportunità di indi-vidualizzazione evolutiva? Vedeteche io non parlo di condivisione, dòper scontato che la dimensione asso-ciativa sia un’esperienza gruppale, dicondivisione collettiva,però questa èla modalità di organizzarsi della pro-posta educativa che non coincide ne-cessariamente con il sentimentodiffuso negli adolescenti. Cosa ri-suona, in profondità, nei giovani?Cosa cercano sotto, dentro, durantela propria individualizzazione? Cer-cano appunto un’evoluzione, dentroquesta individualizzazione; principio modelli evolutivi, vie d’uscita dallapaura del vuoto, della noia, dell’ina-deguatezza. E quindi, dal nostropunto di vista, ciò richiede di soste-nere i loro processi di ripensamento,far imparare dagli errori, far levasugli errori, farli sbagliare, non indi-cargli come non sbagliare, ma farlisbagliare, ma essere con loro nel mo-mento in cui sbagliano.

Io credo che per esempio una pe-dagogia dell’errore - non sono peda-gogista, forse non sta a me dirlo-potrebbe essere un giusto modo dicapire e di intervenire. L’errore èqualcosa che ti viene detto, però io lodevo vedere non come una frustra-zione (sappiamo che oggi i ragazzi silevano di dosso le frustrazioni ap-pena possono, però se le levano

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troppo facilmente e troppo veloce-mente, non prendono quel tempo,che una volta era coperto dai senti-menti di vergogna, di colpa, ecc., nonprendono quel tempo per ricaricarsi,e quindi per evolvere da questo er-rore).

Quando parlo di sostegno ai pro-cessi di ripensamento sto appuntoparlando di riflessività umana. E quivengo, diciamo, alla parte più propo-sitiva della mia relazione: l’agency.Da quanto detto prima è chiaro chel’individualizzazione passa per unvoler far da sé, un voler decidere dasé. Vi faccio un esempio che risaltamolto evidente dagli studi che noifacciamo, per esempio sulla sceltascolastica. E’ risaputo che le sceltescolastiche sono fortemente legate altipo di famiglia da cui si proviene,ma di questo i ragazzi spesso non siaccorgono; infatti, quando si chiedeloro: Chi ti ha aiutato a scegliere lascuola? Il novanta per cento dei ra-gazzi, di qualunque indirizzo si parli,dicono: l’ho presa da solo. Poiquando vai a chiedere ai genitori di-cono: ah, no, no, no, ci ha pensatomio figlio, io non l’ho aiutato, per ca-rità!, l’ho lasciato far da solo. Poiquando vai a chiedere agli inse-gnanti, che forse la vedono con unpochino più di distacco la scelta sco-lastica, riconoscono bene il condizio-namento avvenuto da parte dellafamiglia, sanno che spesso nei geni-tori c’è poca attenzione alle reali ca-pacità o agli interessi dei ragazzi e c’èmolta voglia di “far prendere” deter-minate strade per un desiderio diprestigio, per comodità ecc. Allora c’èuna sfasatura, perché c’è un deside-

rio di far da sé, che viene interpretatocome un lasciar fare da parte delle fa-miglie, come una conquista da partedei ragazzi, e invece è un seguire lemode, i modelli dominanti, o le tra-dizioni di famiglia. Tutto molto incontraddizione con l’aspirazione allavera individualizzazione. Allora quiio dico dobbiamo capire che cosa c’èdietro questo reclamo: “io voglio sce-gliere da solo”, ma poi dietro la sceltadi un dato istituto ci sono motiva-zioni deboli, o convenienze strumen-tali, nulla a che fare con il “progettoesistenziale”.

Questo ci riporta alla necessità divedere ancora una volta il giovanecome agente, come perno del propriosviluppo, non vittima dei condizio-namenti. Cosa vuol dire che un gio-vane possa essere agente del propriosviluppo, possa avere un controllosul proprio percorso di vita? Vuoldire saper attraversare le forme so-ciali, e quindi le esperienze che mivengono date, o i luoghi, o i sistemidi regole, o i codici che sono alla miaportata, e non accettare il senso chedanno gli altri, ma dare senso iostesso a questi codici, a queste formesociali. Si usa definire questo atteg-giamento “agency giovanile” (in ita-liano, agenticità) ovvero capacità diessere rappresentante di me stesso,cioè di avere una rappresentanza deimiei interessi. Ma esercitare agencypresuppone che io conosca i miei in-teressi, interessi profondi, interessipersonali. Quindi qui tocchiamo lasfera dei valori: quando andiamo adire interessi, non sto parlando di in-teressi economici, anche perché ungiovane non ha interessi economici,

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un giovane ha interessi profondi. Equesto significa che io questi interessili devo portare da qualche parte, al-l’attenzione di qualcuno, essere rico-nosciuto come portatore di interessi.

Vedete come siamo molto lontanida quello scenario di una società cheè senza futuro, che non investe suigiovani? Al di là delle polemichesulle politiche sociali (troppo lontanedai giovani), qui mi interessa sottoli-neare che non è possibile avere agen-ticità, agency, finché non ci si sentesoggetti, non si abbandona quel pa-radigma del condizionamento, chespesso i giovani assumono comealibi: non faccio le scelte perché poinon le posso sostenere, non mi oc-cupo di una certa cosa perché poitanto questa cosa cambierà, non im-paro quel mestiere perché tanto traun po‘ quel mestiere non c’è più.Questi sono alibi. In un paradigma diagency, non contano più le routine,ma semmai conta la capacità appuntodi innovazione.

Come si costruisce questa agency?Quindi usiamo la parola agency,come fa Margaret Archer in La con-versazione interiore (Erickson, trento,2007) e in Riflessività umana e per-corsi di vita (Erickson, Trento, 2009)che la fa derivare dal pensiero dellapedagogia attiva di J. Dewey, cioè dalpragmatismo americano: essa sifonda sull’dea che tutti siamo dotatidi una capacità riflessiva, poi qual-cuno non la usa, però tutti ce l’ab-biamo, non ci deve essere insegnata,non dobbiamo fare opera di convin-cimento o di induzione, perché la ri-flessività è umana, è già nel pensiero,nella coscienza; naturalmente si av-

vale di conoscenze, di competenze, equindi sicuramente si sviluppa conl’esercizio, ma trovarsi di fronte ascelte, fare i conti con le proprie emo-zioni, capire questi interessi profondisviluppa maggiormente questa capa-cità. Conversare, far conversare cia-scuno con se stessi; naturalmente nonpuò essere una cosa che riguarda ilchiuso della propria stanza, ma la ri-flessività implica che ci sia un ri-flesso, quindi necessita uno specchio.E che cos’è lo specchio? Chi è lo spec-chio? Lo specchio può essere L’AL-TRO, può essere il gruppo, puòessere quella muratura di cui parlavaanche un po’ l’assessore, cioè qual-cosa contro cui la mia immagine ri-salta, risplende.

Secondo M. Archer, ci sono tregradini che ci possono aiutare in que-sto percorso di costruzione di agency,che possono servire anche a voi perindividuare una criterialità nella pro-gettazione di interventi con i ragazzi.Il primo gradino è quello degli inte-ressi (concerns) cioè l’individuazionedi quello che mi sta a cuore, partiamoda lì, credo che ogni bambino giàpossa dire cosa gli sta a cuore, ognibambino, figuriamoci se lavoriamocoi preadolescenti, o con gli adole-scenti. Il livello successivo è dato dacosa sono in grado di fare per quelche mi sta a cuore: i progetti (pro-jects). Progetti piccoli, non progetti alungo termine che poi non sono ingrado di vedere realizzati (i famosialibi), che comprendono cosa sono ingrado di fare per ciò che mi sta acuore. E qui arriviamo al punto piùdelicato, le pratiche quotidiane (prac-tices): non basta arrivare all’autodi-

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chiarazione della meta (forse, bencondotti, ma anche stimolati infor-malmente, tutti i bambini, o i ragazzisono capaci di dire che intenzionihanno), non tutti invece sono capacidi far ricadere i primi due elementi diconsapevolezza (gli interessi e i pro-getti) sulle proprie pratiche quoti-diane, sul cosiddetto modus vivendi.

Il problema è: come faccio a cam-biare, a realizzare dei piani personali,se quello che io faccio in un certosenso lo faccio per condizionamento,e quindi senza rendermene conto?Come faccio a far ricadere sull’agirequello che è solo un’ideale o unasomma di bisogni? Qui abbiamo inun certo senso chiuso il ciclo rifles-sivo, per cui cambiando modo di vi-vere io ho portato questa soggettivitàall’autocoscienza. Resta da indivi-duare dove e come posso stimolare losviluppo di questi tre gradini di co-

struzione dell’agency: nelle relazionifamiliari, o nella scelta scolastica,scelta degli amici, scelta degli stili dicomportamento e aderenza, apparte-nenza al territorio, scelta della iden-tità culturale o religiosa (pensiamo aifigli degli immigrati), ecc..

A cosa serve dunque la riflessivitàper crescere nell’era del Web 2.0? Siaper stare nel mondo, sia per cam-biarlo. Pensiamo a individui in qual-che modo orientati alla “puranavigazione” (esplorativi), allo starea galla, per loro è già molto, moltis-simo imparare a stare a galla con sog-gettività. Ci sono poi individui chehanno un forte senso dei valori, e unaforte idealità, che vorrebbero cam-biarlo, il mondo in cui vivono. Questipotrebbero raggiungere il gradinopiù alto della “scala di agency”, im-parando a cambiare il proprio modusvivendi (si pensi ai giovani che fon-

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dano un movimento, che fanno vo-lontariato nel mondo, che sperimen-tano nuovi stili ecologici o creativi,ecc.), perché non lo cambiano solo ase stessi, ma anche agli altri.

Ci sono vari modi in cui si può sti-molare la riflessività e l’agency gio-vanile: 1) uno è la ricomposizionedelle proprie discontinuità nella con-cezione di famiglia e di lavoro. Fac-cio un esempio brevissimo: se igiovani dicono che il lavoro, dopo lafamiglia e l’amicizia, è il valore piùimportante, quando non trovano illavoro o si lamentano di non trovareil lavoro, spesso non si attivano inqualche direzione, ma si limitano acrearsi alibi. E quindi qui c’è un rap-porto anche nuovo, tutto da costruirecon i canali che portano un giovaneverso la vita attiva: merito, apprendi-stato, regole contrattuali, capacità diintrapresa, superamento di ogni assi-stenzialismo, ecc. 2) Un altro puntodelicato sono le istituzioni, i modelli,che vanno completamente ricostruitinella credibilità e nella fiducia che igiovani vi ripongono. Come associa-zione scout voi lavorate certamentetanto sull’essere modello, sulla filo-sofia della testimonianza ma, atten-zione, i ragazzi oggi non cercano“modelli da imitare”, bensì sfidano lasocietà a offrire incarnazione di que-sti modelli, persone reali su cui con-tare, nelle quali rispecchiarsi; cioènon vogliono far muovere, animaredelle figurine prefissate, ma poterpersonificare questi ideali essi stessi.

In pratica i giovani si aspettanodagli adulti un capitale sociale, equindi un repertorio di possibilità edi relazioni significative, che sia tra-

ducibile naturalmente in modus vi-vendi, che sia però anche libero,aperto, in modo che ciascuno possaeffettivamente decidere come perso-nificarli. Cosa possiamo fare per di-ventare “capitale sociale” per i nostriragazzi? Io ripartirei ancora dalla pe-dagogia dell’errore, e cioè sono es-seri, come si può dire, così fragili maanche così navigati che di errori ce nesono tanti su cui lavorare, e quindi c’ètanto materiale che può essere la basedi questa conversazione riflessiva. E’proprio il nostro punto di vista in-vece che in qualche modo deve esserecommisurato, a mio avviso, sullapossibilità che una conversazionequalsiasi diventi riflessiva, sul fattoche non sono io a suggerire la viad’uscita, non sono io a indicare for-malmente il modello, ma è l’indivi-duo che in questo processo diindividualizzazione evolutiva -graziea tutta una serie di cose- trova da sé lavia su cui contare.

4) L’Altro come fondamento dellamia soggettività

E infine chiudo la mia relazionesottolineando l’importanza dell’alte-rità, cioè la fondatività di questasfida, che è già emersa da tutta la pre-messa e lo svolgimento del mio di-scorso. I ragazzi oggi preferisconostare con chi è simile a loro rispetto astare con chi è diverso. Purtroppo, c’èun’oggettiva tendenza all’omologa-zione (che va di pari passo con il bi-sogno di individualizzazione di cuiho già parlato). Essi temono, elu-dono la diversità, ma la eludono per-ché l’abbiamo già elusa noi adulti:erigiamo frontiere, paletti, steccati

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che dividono, che siano le categoriesociali piuttosto che le ideologie,piuttosto che i modus vivendi dellepersone, ogni cosa fa sì che ci si sentabene solo a casa propria, appenaguardando a quelli più vicini, e sieviti il confronto con la diversità. Equesto è un grande errore, perché ilconfronto con la diversità è fonda-tivo, cioè finché non so dove arrivaL’ALTRO io non so dare un senso ame stesso. Quindi qui abbiamo sicu-ramente l’indispensabilità di questascoperta di sé; io non sarò mai auto-nomo finché non ho stabilito questoconfine che mi separa dall’ALTRO,L’ALTRO come limite, limite a me,ma anch’io limite a lui, e quindi po-tenzialmente L’ALTRO come risorsa.

Ora, sono due le esperienze fortiche i giovani posso fare nella attualefase storica: 1) una è quella dell’AL-TRO inteso come adulto significativo;sicuramente l’insegnante ha dalla suache esprime quell’idea di pubblico, disfera pubblica che ormai è rimastol’ultimo avamposto della società, chetocca davvero tutte le categorie so-ciali, cioè gli insegnanti sono l’istitu-zione per eccellenza di fronte aquesto crescere, a questa gioventùche cresce. E quindi son chiamati aun compito assolutamente inedito ri-spetto agli altri. Devono offrire op-zioni e devono offrire legature, cioècontenimenti e limiti, dicevamo. Cosachiedono i giovani agli insegnanti?Chiedono di essere sfidati, non di es-sere giudicati. E qui cominciamo adire che la gran parte degli insegnantinon è pronta né a sfidare, né a esseresfidato; mentre è molto pronta a giu-dicare, non è pronta a essere giudi-

cata. Qui si gioca la grande materiache adesso fra l’altro il ministro Gel-mini ha messo in campo: valutare ilsistema educativo (in primis l’uni-versità), valutare gli insegnanti; a mioavviso, al di là degli obiettivi di merapolitica scolastica, valutare gli inse-gnanti rimetterebbe in discussione ilruolo docente come colui che giudicae basta, che non viene mai giudicato.Questo dovrebbe avere a lungo ter-mine un significato molto innovativo:se davvero una cultura dell’esseregiudicato, se davvero cambiasse ilmodo di far scuola la ricaduta sui ra-gazzi sarebbe enorme, perché sa-rebbe l’esperienza dell’ALTROveramente, un ALTRO come recipro-cità. E poi il fascino, i ragazzi chiara-mente chiedono di subire il fascinodell’apprendere, ma l’insegnantespesso non è affascinante, o lo è po-chissimo. Nella nostra indagine na-zionale nel volume “Tra sogni erealtà” (a cura di Elena Besozzi, Ca-rocci, 2009) abbiamo chiesto a uncampione di adolescenti che cos’è perte l’insegnante: un esempio da se-guire, una figura su cui contare, unafigura non molto importante, una fi-gura di cui non mi importa nulla, einfine non vorrei essere un inse-gnante. Purtroppo, “non vorrei maiessere un insegnante” e “non mi im-porta nulla dei miei insegnanti”, as-sieme hanno totalizzato il 21%.L’opzione “modello da imitare” è ri-sultata minoritaria (18,7%), mentrel’opzione “persona su cui contare”invece è risultata di maggioranza re-lativa, 44,5%. Viene valorizzato, per-ciò, il “mettersi in gioco”,probabilmente solo gli insegnanti che

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fanno attività educativa extracurrico-lare conoscono il valore di quest’af-fermazione.

2) Vi è poi l’esperienza dell’AL-TRO costituito da chi proviene da si-stemi culturali, etnici, religiosi,linguistici differenti, gli immigrati o ifigli degli immigrati, che ormai fannoparte di un’umanità complessa e plu-ridimensionale che sarà la societàmulticulturale del domani. Io vengoda una regione, la Lombardia, dovesi trovano le maggiori concentra-zioni, ma anche i maggiori tassi dipresenza straniera a livello soprat-tutto di scuola dell’infanzia, noi il li-mite del trenta per cento l’abbiamogià superato in tantissime scuole. Sobene che le regioni più a sud, nonhanno questa composizione demo-grafica, e quindi ci sono qui meno fa-miglie, meno bambini stranieri, peròstanno probabilmente giungendo unpo’ in tutte le scuole, in tutte le zone.Quindi è un’esperienza che si può an-cora fare. Al Nord stiamo verifi-cando, con indagini nelle scuole e neicentri di formazione professionaledove ci sono moltissimi figli di immi-grati, che è in aumento tra i giovaniuna certa incapacità di accettareL’ALTRO culturale, specie in questiterritori (Milano, Torino, Brescia,Nord-est) dove le percentuali sonomolto elevate.

E quindi vi è la crescita di atteg-giamenti di intolleranza, di xenofo-bia, di distanza sociale. Quandochiediamo loro: “Ma come, il tuo mi-gliore amico non è marocchino?Come fai a dire che devono tornare acasa propria?” sentiamo rispondere:“Beh, ma lui non è marocchino, per

me, è il mio migliore amico”. Il problema dunque è aiutare i ra-

gazzi a mettere insieme questi sistemidi valore, a ragionare su queste con-traddizioni. Sicuramente, i giovani diorigine immigrata hanno gli stessicompiti di sviluppo, lo stesso iter ma-turativo, sono in “crescita 2.0” esatta-mente come i giovani “autoctoni”.Questo è il primo dato, non ci sonovolontà rivendicazioni particolari daparte dei giovani, soprattutto coloroche hanno svolto la grande partedella loro infanzia qui, o che sono ad-dirittura nati qui, sul volere essere di-versi, ma semmai l’accento è sulvolere essere normali, e quindi com-partecipare in questa epoca di grandicontraddizioni. Alcuni di loro , da unnostro studio recente lo posso con-fermare (“Giovani stranieri, nuovicittadini. Le strategie di una genera-zione ponte, Angeli, 2009), mostranodi avere una marcia in più degli ita-liani. La loro agenticità, la capacità diriconoscere e farsi riconoscere inte-ressi e competenze, passa anche at-traverso il fatto che sono costretti a“dare un senso” a quello che i geni-tori hanno deciso per loro, cioè la mi-grazione, cioè lo spostamento, laperdita di radici, eccetera; e quindi simuovono prima, si muovono nellospazio anche più limitato (per esem-pio un consumo di oggetti più ri-dotto, perché vivono in condizionimediamente più indigenti), e quindisicuramente fanno prima quel lavorodi costruzione della propria soggetti-vità che in altri ragazzi. Si dice infattiche sembrino più adulti i giovani diorigine immigrata rispetto agli au-toctoni. Certamente, tra qualche

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anno, si giocherà una forte competi-zione tra queste due diverse “gio-ventù”, non solo rispetto ai posti dilavoro, ma in generale sulla capacitàdi costruirsi un domani, sulla tenaciae la determinazione al successo, sullagestione dei rischi personali, ecc..

Chiudo con un pensiero generale:la sfida che L’ALTRO ci pone è unasfida quotidiana ma anche univer-sale. L’ALTRO è qui, ma noi ce lodobbiamo anche conquistare. Equindi L’ALTRO è l’alternativa, l’al-ternativa a noi, ecco che torna comeusiamo L’ALTRO in funzione rifles-siva, L’ALTRO non è un bene di cuici serviamo, L’ALTRO non si fa sfrut-tare, altrimenti non è più altro, ma èun Io sussunto per i miei usi e con-sumi. Questo nelle relazioni affettivesicuramente è una cosa che avete giàtrattato, L’ALTRO non come un beneda prendere, sostituire appena nonmi funziona più, L’ALTRO come per-sona che reagisce, e quindi che ci ri-manda al perché di certe nostrescelte, che ci sfida, che ci mette allaprova, e qui per esempio nel casodella multietnicità, ci obbliga a direperché io non posso sopportare i ma-rocchini? Una frase detta così non mibasta, devo andare a dire perché, maperché io non sono marocchino. Ah,sì? E allora che cosa sei? Eh, io sonomilanese, anzi no, io sono italiano,no, aspetta, io sono padano, no, peròaspetta... e quindi la confusività, e lanecessità di intraprendere percorsi ri-flessivi nuovi e profondi. Questo è illavoro che ci prepariamo a fare, sfrut-tiamo l’occasione che veramente iocredo che sia epocale, l’occasione difar conquistare dai ragazzi l’Alterità

come fondamento della loro sogget-tività, e che poi implicitamente di-venta conquistare se stesso,conquistare la propria dimensioneetica. Io chiudo, saluto e vi ringrazio.

Sara Bottari

Apriamo il dibattito. Mi suggeri-scono che possiamo fare alcuni in-terventi. Per cui chiedo rapiditànell’intervento. C’è qui un rover conun microfono che andrà in giro per lasala e si fermerà dove qualcuno alzala mano, intervenite rapidamente e lerisposte saranno poi concentrate allafine. Dite il vostro nome quando co-minciate l’intervento.

Lisa Nicolò

Buonasera. Lisa Nicolò, ConvittoCampanella, sono una docente equindi mi sento un po’ chiamata incausa perché si è parlato di docenti,si è parlato di educazione. Siccomefaccio anche Orientamento, mi oc-cupo di questo, penso di poter direqualche opinione frutto di espe-rienza. A proposito dei ragazzi, deibisogni dei ragazzi io penso che i ra-gazzi abbiamo bisogno di grandezza,abbiano bisogno di idealità e abbianobisogno di spiritualità, abbiano biso-gno di grandi orizzonti, perché sol-tanto convincendoli che ci sonograndi orizzonti da percorrere pos-siamo convincerli a farsi grandi ali. Aproposito di scelte i ragazzi, è vero,sono indotti forse a fare delle sceltefacili, delle scelte di comodo, delle

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scelte accomodanti, delle scelte ripe-titive o familiari già sperimentate, maquesto soltanto se non si proponeloro la possibilità di fare delle scelteesaltanti, devono sembrare tanto dif-ficili quanto esaltanti, delle scelte chenon siano estranianti, che non li por-tino fuori di sé, ma che li portino in-vece alla consapevolezza, allariacquisizione di sé, del proprio pre-sente, del proprio passato, della pro-pria grande tradizione per costruireun grande futuro. Ancora a propositodi agency: si parla di crescere, no?Crescere è un verbo latino che è ado-lesco, ed è un verbo incoativo, che hail participio perfetto in adultus,adulto, allora vuol dire che l’adulto èil punto di arrivo di un processo dicrescita che comincia con la vita, vuoldire che l’adulto è colui che ha por-tato a termine questo percorso, e loha fatto in maniera consapevole e si-cura. E’ vero, siamo in tempi di emer-genza educazione, ma non è unanovità, già Catone nel primo secoloavanti Cristo parlava di emergenzaeducazione, già Seneca e Quintilianonel primo secolo dopo Cristo parla-vano di emergenza educazione, e di-cevano che l’importante eracominciare dal ragazzo, dal fanciullo,al più presto possibile, e dicevano cheè giusto avere per il bambino ambi-zioni quam maxime, le ambizioni piùalte, perché solo progettando per ilbambino un grande futuro si può in-durlo, si può stimolarlo, si può pro-muoverlo ad una vera e propriacrescita, ad una vera e propria azionedi sé. Si parla di un percorso verticalee di un percorso orizzontale. E’ vero,l’uomo adulto deve affrontare il

mondo, ma quando può affrontarlo?Soltanto quando ha compiuto, haportato a termine il suo percorso ver-ticale, cioè di rivendicazione dell’Io,come dire, sprofondamento nellapropria interiorità. Non voglio faretroppe citazioni, ma ci sono dellefrasi bellissime che esprimono pro-prio questi passaggi: soltanto quandol’uomo si sarà riappropriato dellapropria identità e avrà rivendicato séa se stesso, soltanto allora si potràproporre come cellula positiva nellasocietà, altrimenti rischierà di essereuna cellula malata e patogena, pro-duttrice di malattia. Allora io dico:non cominciamo dalla società, ma co-minciamo dall’Io.

Maddalena Colombo

...sicuramente, lei ha ragione. Matutto deve trovare anche una riso-nanza invece più immediata, altri-menti la mia impressione è che a uncerto punto intervengano tutti queimeccanismi di esclusione o di autoe-sclusione, per cui se un ideale ètroppo grande poi io non lo possorealizzare. Quindi bisogna cercareanche un giusto dimensionamento,tra i valori e le aspirazioni, per esem-pio il valore alto è alto anche quandolo si pratica nel basso. Quindi è sem-pre alto il valore, anche se di fatto stadentro una cosa piccola, una cosamomentanea, una cosa temporanea.Questo anche nelle scelte per esem-pio, voglio a tutti i costi aiutarel’umanità. Ecco, dopo però aiutarel’umanità diventa una cosa vera-mente molto, molto difficile, per

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esempio andare a fare, che ne so, ildiplomatico, il medico senza fron-tiere, sono percorsi che alla fine sonoanche illusori rispetto a una realepossibilità. E allora andiamo a vedereche cosa c’è, come posso aiutarel’umanità in una cosa piccola che ioposso fare, alla mia portata. In questocaso rinforziamo un’agency che siagià sperimentabile, che sia già qua, eche poi possa fare da base esperien-ziale per eventuali passi successivi,guardare troppo avanti non aiutaquesti ragazzi che hanno proprio bi-sogno come di ricomporre il lorocammino a piccole tappe. Le ragazzesono più precoci, sì, per vari motividovuti anche a questa tendenza seco-lare a maturare prima, da un puntodi vista psicosessuale, da un punto divista biologico, da un punto di vistaanche di separazione delle figure ge-nitoriali, eccetera, e quindi sono ten-tate a costruirsi un Sé autonomosicuramente prima del maschio, daun lato sono anche più innovative,per esempio sono meno legate a ste-reotipi professionali, cioè le ragazzepensano che una ragazza possa faresia mestieri da maschio che mestierida femmina, mentre i maschi pen-sano che i mestieri da maschi devonoessere fatti dai maschi, e solo dai ma-schi. Quindi, come dire, sono spintea una maggiore innovatività anchenel costrutto personale, quindi neivalori, nelle ambizioni che si portanodietro. Altro aspetto, altra causa: leragazze hanno paura di non farcela.Perché? Perché il mercato del lavorotutt’oggi è un mercato decisamenteancora parecchio discriminante neiloro confronti, sia come tassi di atti-

vità che come possibilità di carriera,che come livelli retributivi, che lesvantaggia di fronte alla concorrenzamaschile, e quindi per farcela prima eper farcela in modo più sicuro pren-dono strade maggiormente ambi-ziose; tra l’altro studianomediamente più a lungo, cioè gliiscritti all’università sono più fem-mine che maschi, globalmente par-lando degli iscritti di tutto il sistemauniversitario, i percorsi lunghi. Nellelauree specialistiche abbiamo moltepiù femmine che maschi. Cosa vuoldire? Che c’è chiaramente un investi-mento superiore rispetto al propriotempo, i maschi magari arrivano poipiù avanti a livello di carriera, conmeno titoli, ma arrivano più avanti. Equindi diciamo che la competizionenon è ancora ad armi davvero pari,quindi c’è tutto un tema legato allaparità che poi agisce sulle scelte. Iltema degli apprendimenti e quindidelle nuove tecnologie, sicuramenteuno dei significati associati all’usodelle tecnologie, all’uso quotidiano, equindi alla navigazione perenne, fre-quente, alla interattività costante,l’essere sempre online, ecco, dà unsenso di libertà, dà un senso di auto-nomia, senso che non vuol dire chesono davvero autonomo, fa inten-dere, fa credere ai ragazzi, di averecapito, fa intendere di sapere, peròavere capito, non è avere compreso,quindi non è avere poi vissuto quelloche ho capito, non è essermi appro-priato di quello che ho capito, sono lecose che hanno appreso appunto pertentativi ed errori, hanno appreso pa-gando di persona, quindi mancano leesperienze dirette, mancano le espe-

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rienze brucianti. Ecco, attenzione, es-sere online non è un’esperienza bru-ciante, quindi va sostituita, o vaintegrata, con esperienze significa-tive. Sarebbe bello, i matematici po-trebbero inventarsi: quanto menùdella vita quotidiana di un ragazzodeve essere speso in esperienze am-plificanti e quanto in esperienze bru-cianti? Per brucianti intendo cioèvere, vivide, non brucianti in sensonegativo. Quindi sono d’accordo, in-ducono le nuove tecnologie a unsenso di libertà che poi in realtà ge-nera frustrazione, ma siccome la fru-strazione non è più un’esperienza chesi fa, dilatazione delle scelte, rimandoa domani occuparmi di questa cosa,e da domani diventa poi domani,d’altronde il loro è un tempo piùlungo, l’abbiamo visto, quindi forseanche una strategia economicamentevantaggiosa rimandare. Chiudo. I va-lori religiosi, la religiosità giovanile:su questo, sì, facciamo anche inda-gini, nel senso che quasi semprequando indaghiamo sulla condizionegiovanile vediamo che la religioneviene declinata sempre più in modopersonale, col crescere dell’età, nelsuo aspetto più istituzionale. Allora,esiste sicuramente la volontà di con-frontarsi con i valori religiosi, ancheper coloro che si dichiarano atei piut-tosto che non credenti, e coloro che sidichiarano credenti spesso si distin-guono da coloro che sono praticanti,questo perché c’è una volontà in cre-scendo di farsi una religione un po’individualizzata, farsi una religioneprivata. Si parla non tanto di secola-rizzazione, che quella c’è comunque,quanto di un far da sé dentro la reli-

gione, credo ma quanto voglio io,come voglio io, mi rapporto se è pos-sibile con una religiosità tutta mia, equindi varie religioni, ci sono anchemolti tentativi di sincretismo per cuivanno bene figure prese da varie reli-gioni o credenze. Buddha mi sta beneinsieme a Cristo, insieme a quello, c’èanche questo. Le persone significa-tive. Quando le persone significativenon ci sono più cosa resta? Allora,questa è una bella domanda, perchéci sfida anche come sociologici, cioèle istituzioni, le organizzazioni comefanno ad arrivare al mondo vitale diquesti ragazzi? Ci arrivano tramite lepersone che contano, quando le per-sone che contano vanno via i ragazzisono abbastanza solidi da potere inqualche modo interiorizzare questomandato? La risposta è sì, se le per-sone che contano hanno dato loro,hanno creato per loro o con loro espe-rienze di cui poi i ragazzi si sono inqualche modo appropriati, quinditradotto in memoria, tradotto in sog-gettività.

Sara BottariNon si poteva fare meglio. Io

credo che abbiamo avuto un piccolosaggio di quanto sia complesso iltema che stiamo affrontando, e credoche ci sia veramente da mettere incampo tutte le nostre risorse di capa-cità di riflettere su quello che ab-biamo ascoltato, ma anche di porcidentro delle domande che riguar-dano il nostro modo di sentirci edu-catori.

Bene, adesso lo spazio è per la re-lazione di Fabrizio Coccetti, che saràintrodotta da Teofilo.

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Teofilo Maione

Andiamo di corsa allora seguendoi tempi. Mi tocca presentare il pros-simo relatore, e francamente ne sonoonorato. Fabrizio Coccetti è uno dinoi, anzi è uno dei più illustri di noi,perché è stato Akela d’Italia, è statoresponsabile della formazione capinazionale, professionalmente è uncollega di Newton e di Galilei, siamonei guai più neri, d’altra parte non c’èbisogno della Fisiognomica per ca-pire che tra noi c’è uno scienziato ita-liano e gliene siamo grati. Lavora alCERN di Ginevra e al Centro Studi diRicerche Enrico Fermi di via Pani-sperna a Roma. Sarebbe molto lungoelencare il suo lavoro scientifico, masarebbe gravoso per me farnel’elenco, perché non sono né unoscienziato, né ho dimestichezza conla lingua inglese, e spesso ormai i no-stri scienziati si esprimono in inglese,purtroppo per voi sono un ignorantein materia. Pertanto meglio conse-gnarlo a voi. Io sono convinto useràla lingua italiana, così ci possiamo ca-pire, prima però lo ringrazio frater-namente d’essere con noi. La parolaa Fabrizio.

Fabrizio Coccetti

Bene. Per prima cosa ringrazioTeofilo per l’introduzione che è asso-lutamente la più bella che ho maiavuto in vita mia (anche se non homai fatto il responsabile nazionaledella formazione capi!); ringrazioanche gli ideatori di questo conve-gno, a cui vanno i miei sinceri com-plimenti, perché da scout devo direche è molto bello che la nostra asso-ciazione sia capace di guardareavanti in questo modo, ed è bellis-simo che un Centro Studi e una re-gione promuovano attività di questotipo. Quindi sono felicissimo di farparte di questa grande idea. Secondacosa: prendendo spunto dall’inter-vento dell’assessore Caligiuri, ancheio dichiaro la mia posizione prima. Io

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sono convinto che le nuove tecnolo-gie siano un’opportunità per gli edu-catori.

Ho diviso il mio intervento in treparti, erano quattro, ma quella delcontesto non serve, perché è perfetta-mente in linea con quanto è statodetto nell’intervento precedente, anzichiedo a voi di fare lo sforzo di alcunicollegamenti, che io farò solo inparte, proprio per evitare di ripeterecose già dette.

Inizierò con un’introduzione tec-nica. Diceva Caligiuri, giustamente,che i ricercatori non hanno ancora ca-pito tutto di come si evolveranno i si-stemi e le reti sociali; ora vi mostroqualcosa che abbiamo capito, ed è in-teressante, perché credo che per uneducatore è utile essere un buon co-noscitore delle nuove tecnologie. Poiparlerò dei rischi di alcune di questenuove tecnologie e concluderò par-lando di alcune opportunità. Per la

prima parte, mi faccio aiutare da unaproiezione.

Inizio con uno dei primi esperi-menti fatti sulle reti sociali, nel 1967,abbastanza recente. L’esperimento èquello di Milgram: vengono datedelle lettere ad alcune persone a casonel Nebraska e nel Kansas, chie-dendo loro di farle avere(via interpo-sta persona) a un destinatario chenon conoscono e che sta a Boston (inun altro Stato). Quello che viene fuorida questo esperimento è una cosa ab-bastanza nota a tutti, cioè che questelettere sono arrivate al destinatario incirca sei passaggi di mano, e si parladei sei gradi di separazione. Non sose questa storia l’avete sentita, ognitanto viene fuori nei media e prendespunto proprio dall’esperimento diMilgram che vi ho appena raccon-tato. Perché è importante? Perchémette in evidenza una prima pro-prietà delle reti sociali.

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Nella struttura delle relazioni cisono dei legami, chiamati legami de-boli, che uniscono gruppi di relazionidistanti. Da questo cosa viene fuori?Viene fuori una proprietà che si defi-nisce “il Mondo è piccolo” (SmallWord in inglese), ossia che nei si-stemi sociali, e anche nelle reti tecno-logiche, la distanza massima tra duepunti in un sistema è un numero pic-colo, quindi in pochi passi mi possospostare molto rapidamente all’in-terno del sistema. Quanto detto valeper i sistemi sociali, per i sistemi ditrasporto, i sistemi informatici, biolo-gici, le proteine, i sistemi ecologici.Che significa? Che io dal punto divista scientifico posso usare la stessamatematica, o matematica molto si-mile, per parlare e descrivere sistemiche sono profondamente diversi,cosa affascinante e straordinaria.Adesempio si usa la teoria dei grafi perrisolvere dei problemi di traffico.

I modelli matematici che descri-vono le reti sociali e i sistemi com-plessi più in generale sono disviluppo recente. L’idea del “mondoè piccolo”, cioè del fatto che punti di-stanti tra loro sono connessi rapida-mente, emerge dal punto di vistamatematico nel 1998, è recentissima.Ma ancora con questa non si era ingrado di descrivere matematica-mente Internet e le reti sociali, e biso-gna aspettare l’anno successivo peravere il primo modello, che ha unsuccesso enorme (ovviamente in am-bito scientifico) ed è il modello scrittoda Albert-Làszlò Barabàsi nel ’99, chespiega come nascono e crescono lereti sociali e le reti tecnologiche, conun’assunzione di base, che è un prin-

cipio che si chiama il ricco diventapiù ricco. Ad esempio, su Facebook èpiù probabile che un nuovo iscrittochieda di essere amico a uno che hagià moltissimi amici, e meno proba-bile che lo chieda a uno che ha pochiamici. Ne segue che su Facebook cisono relativamente poche personeche hanno tantissimi amici, e moltis-sime persone che ne hanno pochi,questo porta a distribuzioni matema-tiche che si chiamano leggi di po-tenza.

Qual è la cosa che mi interessadire realmente? Perché questo mo-dello matematico non è stato fatto nel1800, quando gli strumenti matema-tici c’erano tutti? Perché, le nuove tec-nologie, le reti sociali sono in qualchemodo una novità culturale, e ancheper la scienza sono una novità.

Dal punto di vista scientifico ci si èposti solo recentemente il problemadi come sono fatte e come crescono.Studi di questo tipo hanno portatoanche a rivedere i modelli che preve-dono come le malattie e le epidemiesi diffondono, quindi sono studi im-portanti. Allo stesso modo, questistudi permettono una rappresenta-zione grafica di Internet in cui si evi-denzia una struttura, si chiamastruttura di tipo frattale, che è una ca-ratteristica delle reti sociali e delle retitecnologiche. Inoltre si è capito che lereti tecnologiche e le reti socialihanno alcune proprietà in comune,ma anche delle grandezze misurabiliche differiscono, e la presenza del-l’uomo influenza il tipo di strutturadella rete. Una applicazione è lo stu-dio di un sistema dei trasporti, peresempio se uno deve proteggere una

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stazione della metropolitana a Parigida attentati, con questi modelli mate-matici può individuare quali sono glisnodi da proteggere maggiormente.

Ora espongo una breve carrellatadi reti che si comportano in questomodo, cioè che hanno lo stesso tipodi matematica: le reti ecologiche, gliecosistemi, le famiglie delle piante,come interagiscono le proteine all’in-

terno del lievito di birra,come è fattala struttura delle proprietà di azionidella Borsa. Gli esempi sono moltis-simi.

Adesso mi interessa andare un po-chino più nel dettaglio di quali sianole reti sociali, quali opportunità of-frano e quali rischi ci presentino. Infigura è riportata la mappa delle ami-cizie di Facebook, realizzata da un di-pendente di Facebook, e che quindi

ha accesso a tutti i dati.Nella figurale amicizie, cioè le per-

sone che sono in relazione tra loro,sono rappresentate con una linea esono fissate le coordinate della cittàin cui vivono. E’ venuta fuori una car-tina del mondo quasi e in questoquasi notiamo che manca la Cina,manca la Russia, l’Africa potrebbe es-sere un deserto, è uguale al mare.

Questo introduce un tema che sichiama Digital Divide, divario digi-tale. L’Italia è tra i paesi più attivi nel-l’uso di Facebook. Facebook è unasocietà non ancora quotata inBorsa,lo sarà nel 2012, ed è conside-rato uno dei grandi eventi borsisticidel 2012. La quotazione di Facebookviene valutata una cifra dell’ordinedei 50 miliardi di dollari. Gli utenti diFacebook sono 500 milioni, quindi è

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possibile stimare quanto vale unutente: 100 dollari. Ora, il punto è: seio mi scrivo su Facebook valgo 100dollari? Ovviamente uno si chiede:ma perché li valgo? Il motivo è sem-plice: io, appena mi sono iscritto a Fa-cebook, subito mi è apparsa unapubblicità mirata:“sei single? Cercal’anima gemella”. Poi ho scritto chesono sposato con Stefania, e non micompare più il “sei single?”, ma altrepubblicità mirate. Google, offre l’e-mail gratis, ma a seconda delle e-mailche tu leggi,ti viene mostrata la pub-blicità che si riferisce al contenuto delmessaggio. Il mio valore è come con-sumatore. Non si può pensare diiscriversi ad un social network cre-dendo di essere un semplice utente,di essere una persona, dall’altra partec’è qualcuno che pensa a me come

consumatore; tant’è che Facebook haun valore enorme e non ha nessunaimportanza che in Cina non ci sianessuno, perché il cinese mediamenteha poca capacità di spesa; la mappain figura è una mappa di consuma-tori, perché rappresenta il punto divista del social network. Un ragazzosi registra su Facebook probabil-mente per il desiderio di connettersicon gli amici, forse per non essereescluso, perché gli altri a scuola neparlano. La percezione è che vengafatto con una certa innocenza e spon-taneità. Chi si iscrive, poi, mette den-tro i suoi dati, dove abita, dove ènato, il compleanno, la famiglia, i pa-renti, le foto, e tutto questo viene datoin pasto a qualcuno che ci guardacome consumatori. Questo problemadi consapevolezza è interessante.

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Twitter è un altro social networkdi successo enorme. Per inciso, iosono iscritto, non mando mai nessunmessaggio, ho dieci seguaci. Delnulla. Mi chiedo, perché mi seguono?Ad ogni modo, questo è quello chesperimentalmente succede. Per altro,i messaggi di testo da inviare su twit-ter sono corti e questo genera un pro-blema che è stato studiato negli StatiUniti: le parole vengono storpiate peressere abbreviate. Come conse-guenza nasce un nuovo vocabolarioche tendenzialmente è fortementepeggiorativo rispetto al vocabolarioin uso, e quindi l’uso di questo stru-menti può anche portare a modifichein peggio della nostra capacità di co-municare. Twitter, però, ha permessodi portare, a conoscenza di tutti, levoci del popolo in protesta nei regimitotalitari; superando la censura dellastampa di regime.

Un altro grande social network è

Foursquare: qualcuno è iscritto? Nes-suno qui? No. Ok, io sono iscritto efunziona così: dal mio telefono possoin qualsiasi momento fare una speciedi check-in e le coordinate GPS didove mi trovo vanno a un server etutti quelli che sono miei amici suFoursquare vengono a conoscenza didove sono. Ora, non solo l’utilità èdubbia, non solo per la privacy puòessere pericoloso, ma dal punto divista del modello commerciale, nonsi intuisce se questo social networkpossa guadagnare. La società però èstimata per un valore di 100 milionidi dollari. Il valore che viene attri-buito a questa società è di saperedove sono e come mi muovo.

Un altro social network di cui vo-glio parlare è Second Life, questoforse qualcuno lo conosce. SecondLife, a mio avviso, è il più inquie-tante. Cos’è Second Life? Un utente siiscrive, crea un avatar, cioè una pro-

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iezione di se, che si sceglie. Puoi es-sere una vecchietta, puoi essere unmodello, puoi essere quello che tipare, crei un personaggio che in tredimensioni si muove in un mondovirtuale, metti la carta di credito, nonpaghi niente inizialmente, però creiun’identità. Vi invito a guardare ilsito web e leggerete che il mondo diSecond Life viene pubblicizzato comeun posto dove puoi conoscere per-sone, perché il tuo avatar va in giro,conosce altri avatar, dove tu puoiamare, e c’è il filmato di un avatarmodello e una avatar modella che sibaciano. Puoi anche guadagnaresoldi. Perché? Perché con la carta dicredito puoi comprare moneta vir-tuale che spendi dentro al computerin questo mondo finto, e in questomondo finto puoi fare delle cose,puoi anche costruire case e riven-derle, per guadagnare soldi finti inquel mondo, che poi puoi convertirein soldi veri, con cui andarti a com-prare il pane vero e mangiare nellarealtà. Ma, attenzione, possono suc-cedere altre cose, può succedere chemagari io nella vita vera ho una vitamodesta, mentre su Second Life sonoun ballerino scatenato, mi diverto eho un sacco di altri avatar con cui mirelaziono più lì che nella vita reale. Eallora qui nasce una questione che ame fa venire un’angoscia tremenda,che si presenta però nella veste di do-manda simpatica: qual è la differenzatra Batman e Superman? Batman èuna persona normale, potrebbe es-sere chiunque qui tra noi, che finito ilconvegno si veste da Batman e fa ilsupereroe. Superman, invece, ha i su-perpoteri, ed è travestito quando fa

l’uomo. E allora la domanda è: in Se-cond Life uno è Batman o è Super-man? Dove sta la vita vera? Nasce ilforte problema dell’identità, che puòarrivare a delle conseguenze singo-lari, che sono facilmente immagina-bili. Tutto questo fa sì che noiguardiamo a tutti questi mezzi conun po’ di sospetto; se li usa un ra-gazzo siamo portati ad avere ancorpiù sospetto perché temiamo che fi-nisca ingabbiato nella rete. Il mio in-vito è a dire, abbattiamo il sospetto,guardiamo a queste problematiche inmodo diverso.

La fiducia nei ragazzi è un atto do-vuto, il contrario no, cioè il ragazzopuò non aver fiducia nell’educatore,è l’educatore si deve conquistare la fi-ducia del ragazzo, lo sappiamo bene.Eppure la fiducia nel ragazzo è unatto dovuto.

Noi dobbiamo avere fiducia che ilragazzo capisca che la sua vita non ènel mezzo di comunicazione, che luicapisca da solo che se due avatar sibaciano è completamente diverso daquello che noi chiamiamo amore; cheil termine amicizia su Facebook è untermine, “sono amico su Facebook”,un termine che avrà un suo valore,una serie di lettere che hanno uncerto significato, ma il significatodella parola amicizia è un significatopiù profondo che si impara nell’espe-rienza di vita. Nei social network,non può essere l’educatore a dire alragazzo come comportarsi. Non fun-ziona che l’educatore(o il genitore)col mouse dice al ragazzo dove puòfare click e cosa non toccare, perchéappena il ragazzo è da solo, si chie-derà: “e se invece clicco qui, qui e

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là?”. Quindi deve esserci la libertà disbagliare, ma il ragazzo deve sapereche l’educatore è disponibile adascoltarlo, a offrire un aiuto, e se suc-cede qualcosa è presente. L’educatore(o il genitore) dovrebbe anche usciredall’ottica del giudicare l’uso di in-ternet che viene fatto da un ragazzo.Se anche il ragazzo sta sbagliando,l’idea è che l’educatore ti voglia beneanche così e sia pronto ad ascoltare ecomprendere e aiutare il ragazzo.

L’uso di internet non è sempre untema affrontato nelle famiglie, o inclasse. Ritengo importanti due parolechiave: una è la parola “accanto”, el’altra è la parola “proseguire”. ”Ac-canto” vuol dire che le nuove tecno-logie possono essere utilizzateaccanto al modo di fare educazioneche tradizionalmente usiamo, ascuola, negli scout, etc. Non sonomezzi alternativi.

Quello che dobbiamo pensare èche se un ragazzo è su Internet, non èin un mondo diverso dal nostro, per-ché altrimenti ragioniamo a compar-timenti stagni. Il rischio è che lanostra agenzia educativa si occupisolo di alcune cose, e che se si parladi Internet il ragazzo debba trovarerisposte da un’altra parte, perché lascuola deve ancora fare i suoi per-corsi di aggiornamento e gli scout vi-vere nella natura. Se io ragiono inquesto modo do il messaggio che In-ternet è un mezzo alternativo e noncomplementare. Invece l’idea è “ac-canto”, quindi vuol dire che il pro-blema della crescita è un problemapiù grosso, non riguarda solo l’agen-zia educativa nella quale faccio l’edu-catore, riguarda una serie di agenzie

educative che potrebbero operare in-sieme, riguarda anche Internet. Inter-net può essere usato accantoall’attività che proponiamo noi ai ra-gazzi, per “proseguire” questa atti-vità anche dopo che si è conclusa.Sono fermamente convinto che i ra-gazzi capiscano che la comunica-zione faccia a faccia non è sostituitada quella virtuale, e questo non servespiegarlo, questo lo capiscono. Piut-tosto, possiamo dire che la comuni-cazione virtuale prosegue lacomunicazione faccia a faccia. Se ri-leggo un po’ la mia esperienza divita, sia scolastica sia scout, sia per-sonale, una delle cose straordinarie èla magia dell’incontro, che mi ha per-messo di incontrare persone signifi-cative.

I mezzi virtuali mi permettonosolo di mantenere il contatto, di ali-mentare questo incontro, ma l’incon-tro ha ovviamente una qualitàdiversa quando avviene fisicamente.Un altro punto cruciale è il seguente:l’uso consapevole del mezzo.

Un esempio di uso non consape-vole è di accedere a Facebook e ve-dere che succede, guardare le newsche scorrono, navigare in giro, pre-mere su vari link che capitano da-vanti. Questo io lo definisco:esserevagabondi in Internet, vagabondareall’interno di Internet. Il passaggiochiave è da vagabondi riuscire a di-ventare utenti attivi; non è usare onon usare internet, non è neanche -se-condo me- quanto tempo si passa inrete. Che vuol dire diventare utentiattivi? Vuol dire poter affermare:adesso mi collego alla posta elettro-nica, leggo gli e-mail e rispondo, e

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poi chiudo. Significa aver chiara e de-finita la propria attività su internet.Probabilmente il ragazzo ci arriveràpiano piano, sarà un po’ vagabondo,e dalla condizione di vagabondo riu-scirà a promuoversi a utilizzatore at-tivo. Voglio vedere che cosa èsuccesso su Twitter? Okay, vado,vedo, rispondo e chiudo il task,chiudo il compito. Quindi la cosa im-portante è l’uso consapevole delmezzo, che significa essere responsa-bili del proprio tempo. Ad essere re-sponsabili del proprio tempo siimpara:in famiglia, a scuola, negliscout, in altre agenzie educative. SuInternet si applica, ma anche si im-para, perché se perdo tempo, imparoanche dal mio errore. Se un ragazzoha passato tutto il giorno su Internet,il ragazzo se ne accorge da sé. Èchiaro che l’educatore deve esserepronto a sostenere l’uso corretto delmezzo.

Il web, oggi, è caratterizzato dacontenuti attivi. C’è un rovescia-mento del modello di diffusione, dicui noi educatori dobbiamo essereconsapevoli. In passato io mi sedevodavanti alla TV, ero uno spettatore, laTV mi mandava un messaggio.Adesso quello che succede è che iosono un utente che trasmette, io ca-rico i contenuti, posso mettere in retei filmati di mia figlia, di mia moglie,del mio matrimonio, posso trasmet-tere in streaming, in diretta. Possotrasmettere anche fatti di cronaca,posso diffondere notizie, posso con-tribuire al sapere comune. Wikipedia,un po’ tutti la conoscono, è un’enci-clopedia considerata da alcuni piùautorevole della Britannica (ovvia-

mente sono opinioni). E’ senza dub-bio un esempio di costruzione del sa-pere in cui molte persone collaboranoinsieme e il risultato è utilissimo. E’vero che il sapere su Internet è fram-mentato, è vero che io ne posso sco-prire un po’, però l’utente può essereil regista che organizza l’informa-zione. Quello che credo è che i ra-gazzi possano chiedere a uninsegnante, o a un educatore, o uncapo scout:“aiutami a essere registadi quanto vedo su Internet, aiutami acollocare l’informazione, aiutami adecidere come utilizzo Internet”. Sitratta di un aiuto alla regia. Non dimostrare al ragazzo cosa deve fare.

C’è una frase che sintetizza questorovesciamento di fronte, che dice:“daun’esposizione del mondo andiamoverso un esposizione al mondo”. Trale varie conseguenze, c’è moltissimainformazione inutile, visto cheognuno scrive quello che vuole e nonsempre è interessante per gli altri.Una curiosità è che agli albori di in-ternet, quando nacque il www, c’erauna persona che teneva una lista deisiti utili, e l’ha mantenuta per uncerto periodo di tempo. Elencava soloi siti che riteneva fossero davveroutili, in brevissimo tempo questa listanon era più possibile da mantenere:c’erano troppi siti su internet!

Questo è solo per dire che è veroche quando viene inventato uno stru-mento di questo tipo non si ha ideadella portata che può avere. Peresempio quando sono stati inventati icellulari, di certo c’era la sensazioneche avrebbero modificato il modo dicomunicare, ma l’hanno rivoluzio-nato in una maniera impensabile!

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Adesso siamo sempre connessi. Se iovoglio chiamare mia moglie, la possochiamare, ora, qui. Posso gestire que-stioni di lavoro che capitano dall’al-tra parte del mondo.Contemporaneamente, mentre sonoimpegnato in una attività, posso tele-fonare e fare un’altra attività in unaltro luogo, i pensieri me li possoportare dietro, e questo, voglio dire,aggiunge varie problematiche nelloscenario in cui siamo immersi.

Uno dei problemi della nostra so-cietà è la fruizione di esperienzesenza rileggerle, e senza andare allaricerca del senso. Fruisco esperienze,rispecchiando l’idea di avere, avere,avere. Lo scautismo invece insegna larilettura dell’esperienza, sappiamo,alla luce della parola di Dio, alla ri-cerca del senso. Questi sono alcunidei messaggi profondi dello scauti-smo.

Zygmunt Bauman dice che, nellanostra società liquido-moderna,lagente chiama felicità l’amnesia delpresente che è creata dal continuofruire di nuove esperienze. C’è que-sto rischio di cui dobbiamo essereconsapevoli, che le reti sociali el’esperienza che i giovani vivono suInternet serva a far loro dimenticare ilpresente reale.

Non è questo quello che vogliamo,perché sempre l’uomo deve essere alcentro, e la tecnologia è solo uno stru-mento. Vorrei ora fare qualche esem-pio di strumento tecnologico chepotrebbe essere utilizzato sia ascuola, sia da agenzie educative, ov-vero il blog. Il blog è un sito Internetfacile da editare e pensato per ag-giungere commenti. Può essere utile

per creare una sorta di diario di gior-nata, o per raccogliere una serie dipensieri; il blog può essere uno stru-mento utile negli istituti scolastici.Perché? Perché il fatto di scrivere ipropri pensieri e quello che è suc-cesso, è un modo per rielaborare e ri-leggere la propria vita.

Nello scautismo c’è il quaderno dicaccia, ad esempio. Benissimo, ac-canto potrebbe esserci l’uso del blog.In rete è possibile collaborare, peresempio, per fare una ricerca, op-pure, nei quotidiani on-line è possi-bile commentare gli articoli. Perché èutile mettere i commenti? Perché seio posso commentare sono più sti-molato a fare una lettura attiva.

Ad esempio, dopo una lezione ascuola, potrebbe essere possibilecommentarla da casa via internet,scambiandosi pareri in un tempo ag-giuntivo a quello scolastico. Inoltre,visto che su Internet il modo di espri-mersi è diverso, può accadere che unragazzo timido si esprima meglio inchat. E’ uno strumento di comunica-zione diversa, che può aiutare.

Per concludere, vorrei dedicare unpensiero agli educatori, agli inse-gnanti, ai capi dell’Agesci.

Credo sia fondamentale che l’edu-catore sia un esempio che io possoconsultare, un esempio anche dicome si usa Facebook, le chat, gliemail, eccetera. Che vuol dire unesempio? Chiamiamolo un utilizza-tore saggio, chiamiamolo un utilizza-tore responsabile, chiamiamolo unoche ha capito abbastanza della suavita per capire dov’è, uno che ha fattodelle scelte. Io sono proprio innamo-rato della frase “scelte definitive”,

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una frase fantastica: le migliori sceltedella mia vita sono quelle definitive.

Un educatore che sia un esempiosa usare internet e i social network inmaniera coerente, per veicolare deimessaggi che sono positivi. Il ra-gazzo, se vuole, può vedere comel’educatore è presente su Facebook,ecco che questo può diventare unmodello di riferimento giusto, inte-ressante, che ricolloca il modo in cuiil ragazzo utilizza internet.

Naturalmente il ragazzo ti guardase ti riconosce suo maestro, o se ti ri-conosce come suo fratello maggiore.Viva quindi gli educatori/insegnantiche parlano della propria materia conpassione, quelli che fanno innamo-rare i ragazzi di quello che dicono,quelli che dimostrano interesse, chesanno ascoltare e valorizzare. Cosìl’educatore, nella vita vera, si guada-

gna il ruolo di stima, si guadagna ilruolo di fratello maggiore.

Un clan/fuoco non potrà mai so-stituire la route con Facebook, mai,non c’è modo!Perché la route è che siporta tutti lo zaino, che si suda tutti ealla fine si puzza uguale; e il fatto chetu ragazzo e tu capo hai lo stessoodore fa sì che tu capo sei il fratellomaggiore, è lì che te lo conquisti, è lastrada che ti dà il titolo di fratellomaggiore. E quindi, poi, questo fra-tello maggiore che utilizza anche in-ternet e le tecnologie in manieraresponsabile diventa un esempio po-sitivo. Semplice.

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Sintesi lavori di gruppo

Relazione Maddalena Colombo

Animatori gruppi: Maria AngelaProvenzano – Elvira Calluso – VeraZito – Peppe Angelone – Teresa Bat-taglia – Rosamaria Caputi – Elisa-betta Mercuri

Sintesi: L’adulto è una figura diriferimento con un ruolo che deve es-sere molto chiaro. E’ persona che ac-compagna e si accompagna aigiovani, è capace di creare un climaaccogliente, è forte nella dimensionedell’ascolto, è parco nei giudizi, nonsostituisce il ragazzo/a nel suo per-corso di crescita. L’adulto è personacapace di relazioni umane significa-tive, è consapevole del ruolo strate-gico che riveste la propriaformazione personale, è consapevoledella necessità per i giovani di oggi diavere adulti e agenzie educative diqualità.

Relazione Fabrizio Coccetti

Animatori gruppi: Maria GraziaVerduci – Aldo Riso – Agostino Sivi-glia – Rosa Iadevaia – Maria RosariaPolitanò – Federica Orfini – MariaRomeo – Piero Milasi.

Sintesi: L’educatore adulto deveistruirsi nell’uso delle nuove tecnolo-gie al fine di comprendere gli spazi ei linguaggi utilizzati dai ragazzi dioggi, anche al fine di indirizzareverso un uso consapevole ed efficace

dei nuovi mezzi.Tale sfida peraltro trasmette ai ra-

gazzi/e la capacità dell’adulto di ri-mettersi in gioconell’apprendimento, senza per que-sto perdere la propria identità e con-sapevolezza, ma anzi sollecitandola acrescere.

L’educazione ai valori cristianipuò avvenire anche attraverso l’usodei nuovi sistemi interattivi di comu-nicazione tipici del web 2.0.

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Domenica

Sandro Repaci

Buongiorno a tutti, senza tergiver-sare do subito la parola ai Responsa-bili regionali dell’Agesci, MafaldaCardamone e Fabio Caridi.

Mafalda Cardamone e Fabio Ca-ridi

Buongiorno a tutti, cogliamo congioia la ricchezza di questo momento:segno di speranza, di profezia, occa-sione di approfondimento e con-fronto qualificato e vivace. Un graziesentito a tutti gli amici del CentroStudi Mons. Lembo, della ComunitàScout Brutia, di Agiduemila, delMASCI, del Convitto Nazionale diStato “Tommaso Campanella”, diSIED, ai relatori che ci stanno accom-pagnando in questi due giorni di la-vori, a Sandro Repaci che conpassione è stato, insieme a tutto lostaff organizzatore, la locomotiva diquesto importante evento, a sua ec-cellenza Mons. Mondello, al Rettoredel Seminario per l’ospitalità dataci einfine un grazie sincero a tutti voi checon la vostra presenza e partecipa-zione avete reso il convegno più pro-duttivo ed efficace.

Attribuiamo grande significato, aldi là della qualità e dello spessore

dell’evento stesso, al felice tentativodi fare incontrare persone e realtàdifferenti che operano nel campo del-l’educazione tutte accomunate daldesiderio di comprendere, di appro-fondire, confrontarsi, formarsi per es-sere pronti a cogliere le sfide e lefrontiere dell’educare oggi.

Non è scontato, soprattutto nellanostra terra, e lo abbiamo scritto nelnostro progetto regionale, uscire dal-l’autoreferenzialità, creare delle “con-taminazioni virtuose” tra realtàeducative, tali da determinare unhumus fecondo, da generare contestidi vita significativi, capaci di soste-nere i più giovani e le loro famiglienel difficile percorso della crescita edell’accompagnamento delle nuovegenerazioni.

La realtà offre ai ragazzi numerosistimoli e sollecitazioni, anche con-trapposti, ma nel contempo sembraprivarli di altrettanto numerosi so-stegni.

La mancanza di senso critico, ladifficoltà a far valere la verità, a rico-noscerla nell’effimero che domina e afarla conoscere ai ragazzi, oggi rap-presentano alcuni importanti nodidelle sfide educative del nostro pre-sente.

“Educare però non è mai stato facile,e oggi sembra diventare sempre più diffi-cile. Lo sanno bene i genitori, gli inse-gnanti, i sacerdoti e tutti coloro chehanno dirette responsabilità educative. Siparla perciò di una grande “emergenzaeducativa“, confermata dagli insuccessia cui troppo spesso vanno incontro i no-stri sforzi per formare persone solide, ca-paci di collaborare con gli altri e di dareun senso alla propria vita.”

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Benedetto XVI nel gennaio 2008,in occasione di un incontro con ilclero e la città di Roma, scrisse unabella, vibrante lettera sul tema del-l’educazione. Nel testo il Ponteficeusò l’espressione, da quel momentoin poi pluri-richiamata, di “emer-genza educativa”.

Viviamo purtroppo un tempotanto carico di retorica sull’educa-zione quanto poi deludente in ter-mini di prospettive concrete elungimiranti a sostegno di una cre-scita armoniosa e solida delle nuovegenerazioni. Ci capita, come AGESCI

di essere chiamati ad esprimerci sutematiche educative, per l’esperienzache abbiamo maturato negli anni inquesto campo, pensiamo che l’educa-zione non sia un fatto di emergenzaanche se è un fatto emergente. L’edu-cazione si coltiva nella quotidianità,si costruisce nella condivisione diesperienze di senso, nell’accompa-gnamento discreto ma significativodei ragazzi, nella testimonianza cre-dibile dei valori fondamentali di rife-rimento.

Nel nostro progetto regionale, cheha come titolo “ lungo i sentieri del-

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l’agire quotidiano”, i Capi della Ca-labria, credono e sono convinti, chenon vi possa essere vera educazionese non attraverso l’azione quotidiana,che è fatta di testimonianza e di eser-cizio continuo al bene.

Educare è lo specifico della nostravocazione al servizio in Agesci, unservizio gioioso, coinvolgente, ap-passionante. Educare tuttavia, perdirla come il Pontefice, non è facile,non è scontato – forse non lo è maistato – ma certamente oggi riscon-triamo diversi elementi di comples-sità.

Complessità che impatta e si in-nesta nella nostra terra anche con si-tuazioni particolarmente difficili. Nelmanifesto culturale che come Capidell’AGESCI Calabria abbiamo sti-lato nel 2008, chiariamo chi e comevogliamo essere. Tra le priorità evi-denziate: perseverare, incrementare etestimoniare il nostro impegno edu-cativo verso il bene (la legalità, la giu-stizia, una sana cultura del lavoro …)che nella nostra terra è, soprattutto,impegno contro la criminalità orga-nizzata e contro la gestione cliente-lare del potere; questo deve avvenirenon solo attraverso la prassi educa-tiva quotidiana fatta anche di piccolecose, ma anche attraverso il confrontoe la collaborazione con quanti, nellasocietà civile, se ne occupano più spe-cificatamente, dando loro sostegno etrasmettendo, così, al territorio unforte messaggio di un possibile cam-biamento.

Come Capi dell’Agesci calabrese,ispirandoci al Salmo 37, ci siamo im-pegnati ad abitare la nostra terra confede, sporcandoci le mani, non sot-

traendoci alle sfide, che vanno dalcontesto locale in cui viviamo aquelle – inestricabilmente connesse -della società e del mondo globaliz-zato, cui pure apparteniamo. Abitarela terra con un impegno di servizioconcreto, con un progetto che a manoa mano si precisa. […]nella gioia cheviene dal Signore, confidando in Lui.

La sinergia che si è creata per larealizzazione di questo evento è pernoi motivo di ulteriore speranza. E’bello incontrarsi lungo la strada, con-dividere le gioie, le difficoltà, le sor-prese, dà conforto, incoraggia aproseguire, allarga gli orizzonti, pre-figura nuove mete …

E’ con questo auspicio che alla no-stra maniera auguriamo a tutti noiBuona strada!

Sandro Repaci

Do adesso la parola a ElisabettaMercuri, Segretario regionale delMasci.

Elisabetta Mercuri

Un cammino che è basato su unaproposta educativa che in tutto ilmondo da anni affascina milioni digiovani e di adulti, con una propostache è nata per rispondere alle situa-zioni di disagio dei giovani delle pe-riferie di Londra, ma che ancora oggiconserva questa attenzione al mondoche cambia, e che a questo mondovuole offrire il suo specifico educa-tivo. Viviamo in una stagione pienadi opportunità, gli uomini, le donne,i ragazzi del nostro tempo rappre-

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sentano un patrimonio di grande ric-chezza di qualità, di energie, di com-petenza, eppure, lo leggiamo tuttiquotidianamente nel nostro vivere lasocietà, c’è questa grande sensazionedi solitudine, sembra prevalere unacondizione segnata da un grande de-ficit di speranza, noi pensiamo chel’educazione possa essere il processoper cogliere le opportunità attraversole quali ritrovare la speranza è sen-tirsi meno soli, e quindi essere verioperatori di cambiamento. Viviamoin una società dove c’è molta cono-scenza e informazione, ieri sera ab-biamo sentito delle cose molto bellenelle relazioni, tanta scienza che perònon sempre è accompagnata dalla sa-pienza, dove l’effimero sembra l’ele-mento prevalente in mezzo a tantorumore, ed è in questa società, in que-sto tempo che occorre trovare in-sieme percorsi di riscoperta di senso.

Per questo la domanda di educa-zione sta tornando prepotentementealla ribalta, siamo sollecitati in primisdalla chiesa, come abbiamo sentitopiù volte, ad occuparci di educa-zione, ma forse oggi è anche il tempodi dirci chiaramente che l’educazionenon è un problema che dobbiamopensare rivolto solo ai giovani, le dif-ficoltà che attribuiamo ai giovanispesso sono le difficoltà di noi adulti,e dai comportamenti e dalle testimo-nianza degli adulti traggono alcunevolte origine i comportamenti, tal-volta preoccupanti, dei nostri gio-vani, ed è proprio pensando allegiovani generazioni occorre essereconsapevoli che senza adulti testi-moni credibili qualsiasi propostaeducativa per i giovani diventa solo

gioco e finzione virtuale, i giovanihanno bisogno di incontrare nellavita quotidiana degli adulti che vi-vano con coerenza, tra le contraddi-zioni del mondo, le virtù difficili chesono alla base delle proposte educa-tive. Ed è per questo motivo che rite-niamo non ci si debba dedicare soloall’educazione dei giovani, è necessa-ria una proposta educativa per tuttigli adulti, una proposta che sia basatasu esperienze vere, e che non si limitialle prediche ma una proposta privadi parole consumate che sostenga ilcoraggio ad osare.

Nel documento di base delle re-centi settimane sociali tenute qui aReggio è stato affermato: c’è una par-ticolare risorsa che va liberata, sitratta di quelle persone adulte chenon vengono meno alla vocazione acrescere come persone. Questa è lanostra missione, missione di un pic-colo frammento di popolo che ricercacon pazienza, ma anche con perseve-ranza, le vie per offrire speranza e fu-turo a tutte le donne e gli uomini delnostro tempo, essere operatori del-l’educazione degli adulti significaquindi essere operatori di cambia-mento e testimoni credibili di valori.L’anno scorso si è tenuto ad Algheroil sinodo dei Magister, Enver Bar-dulla ci ha detto: se un tempo lo scau-tismo poteva essere considerato unmovimento d’ordine, oggi sembrapiuttosto configurarsi come un movi-mento sovversivo, la capacità delloscautismo consiste proprio nell’avereuna cultura alternativa, almeno inparte, alla cultura dominante del di-simpegno, del consumismo, del ni-chilismo, della sopraffazione,

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dell’ingiustizia, della paura delnuovo e del diverso, c’è bisogno diprofondità e di responsabilità, di fra-ternità, di moralità rigorosa e prati-cata.

E’ questa la sfida che oggi tutto loscautismo italiano è chiamato ad af-frontare, e noi con piacere abbiamoaccolto questo momento di incontroall’interno di questo convegno con lealtre realtà scoutistiche presenti sulnostro territorio, è un cammino lungoil quale siamo sicuri incontreremotanti altri compagni di viaggio cheverranno a percorrere la nostra stessastrada di educazione degli adulti, uncammino che sicuramente si farà fati-coso alcune volte, e probabilmentesaremo tentati di fermarci, e qual-cuno di noi forse penserà addiritturadi cambiare strada, ma noi siamoconvinti che è una buona strada e perquesto vi invitiamo a percorrerla in-sieme a noi. Grazie.

Sandro Repaci

Do la parola a Vittorio Alfieri,della Comunità Scout Brutia.

Vittorio Alfieri

Io sono il Presidente attuale dellacomunità scout Brutia, un termineche sicuramente a molti di voi saràsconosciuto, forse anche a qualcunodi Reggio. La comunità Brutia è statacreata oltre trent’anni fa, era il 1978,da quelli che allora ci consideravamogià vecchi per l’associazione e per untipo di servizio attivo. Per noi della

comunità Brutia l’avere contribuito,nelle nostre possibilità e nei nostri li-miti, alla realizzazione di questo con-vegno è un motivo di soddisfazioneperché questa comunità Brutia man-tiene, uno stabile collegamento fra gliadulti che hanno vissuto l’esperienzascout nelle associazioni scoutistichecalabresi.

Noi ci proponiamo di realizzareinsieme quegli ideali di religiosità,fraternità e servizio del prossimo pro-pri dello scautismo.

Avrei voluto dilungarmi di più,ma ho avuto un ordine tassativo dinon parlare più di due minuti,quindi... per noi questo convegnorappresenta la continuità del metodoche con tutte le evoluzioni del tempoha mantenuto tale continuità e l’ispi-razione alle intenzioni del fondatore.

Ma un metodo è vivo se sa ade-guarsi all’evoluzione dei tempi, necoglie tutte le potenzialità e cerca diutilizzarle per ottenere il meglio, irapporti interpersonali vengonomantenuti con linguaggi semplici maadeguati al resto delle sollecitazionicui il giovane viene sottoposto, imezzi di comunicazione di massa,l’opportunità di mantenere nei rap-porti interpersonali un tipo di mora-lità comunicativa, intuitiva e lineare.

Io voglio ringraziare a nome dellacomunità Brutia i relatori di alto li-vello scientifico e accademico, fra l’al-tro abbiamo fra i relatori qualcunodei nostri che si è espresso col sistemae col metodo e con la caratteristica ti-pica dello scout, che, una volta che èdiventato scout, non gliela toglie piùnessuno di dosso quell’etichetta; ipresenti che hanno voluto parteci-

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pare consapevoli delle difficoltà sem-pre esistite, ma attualmente più com-plesse nell’educazione giovanile; tuttiqui i presenti impegnati nel gravosocompito di lasciare il mondo un po’migliore di come lo si è trovato, equesto si realizza anche con l’esem-pio alle giovani generazioni.

Guardando al futuro, che è nellemani di quelli che verranno dopo dinoi, ci sforziamo, ognuno al suoposto, di infondere in quelli che cisono stati affidati, quei princìpi che cihanno guidato nel corso della nostraesistenza, con la speranza di esseresempre stati di esempio e mai di in-ciampo, e che la nostra opera infinesia meritoria di lode e non di con-danna. Per questo l’esperienza chericaveremo da questo incontro ci sup-porterà nel nostro lavoro quotidiano,quando ognuno tornerà alla propriaunità, riprenderà le attività solite, contutto l’entusiasmo derivante daun’attività forte come questa, comeavveniva al rientro dai campi, dalleuscite che si tornava ricaricati e piùvogliosi di ricominciare con più im-peto. Io vi ringrazio ancora per la vo-stra partecipazione e un buon lavoronel vostro difficile e gravoso compitodi educatori.

Sandro Repaci

Chiederei a Carmine Gelonese,delegato regionale dell’Azione Catto-lica, di porgere il suo saluto.

Carmine Gelonese

Mi scuso, non ho un testo, vadoun po’ a braccio. E’ solo per salutarvi.

E’ un saluto non formale, è un salutolegato anche all’affetto che, diciamo,ho verso una buona parte di voi apartire dall’assistente regionale donMassimo, che ho conosciuto nel pe-riodo in cui scontava il suo peccatooriginale di assistente giovani del-l’Azione Cattolica. E’ un saluto, ri-peto, non formale, un ringraziamentoper questa iniziativa al Centro StudiMonsignor Lembo, all’Agesci regio-nale, al Masci, alla Comunità Brutia,che io personalmente non conoscevo,quindi ero tra quelli che non la cono-scevano, e però anche un saluto chediventa volontà, richiesta e invito, edè stato anche uno dei motivi, oltre afermarmi ad ascoltare la relazione distamattina, la volontà, la richiesta el’invito di pensare a livello regionaleun percorso comune, delle iniziativecomuni per ciò che attiene alla for-mazione dei responsabili, o comun-que l’aspetto educativo che è il cuoredell’attenzione delle nostre due asso-ciazioni. Siamo convinti che questolavoro sia importante, in qualchemodo un lancio era avvenuto già sul-l’autostrada Salerno-Reggio Calabrianel 2008 quando ci incontrammo percaso con alcuni dei responsabili Age-sci, ed è forse arrivato veramente ilmomento di lavorare insieme, pro-gettare, pensare e costruire nel ri-spetto delle modalità, dei tempi, dellediversità di ogni singola realtà. Eperò la migliore risposta civile chepossiamo dare come chiesa allescommesse della società in cui vi-viamo per lasciare appunto questomondo un po’ meglio di come l’ab-biamo trovato, mi pare di ricordarequesto slogan. Quindi grazie a tutti,

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buon lavoro e veramente vorrei cheriuscissimo a costruire qualcosa in-sieme nei prossimi mesi. Grazie.

Sandro Repaci

Grazie Carmine. Voi tutti in car-tellina avete trovato un opuscolosono degli appunti sull’educazione,che sono stati estesi da Teofilo Ma-ione, per chi non si ricorda, ma è dif-ficile, insomma, perché si va nellanotte dei tempi, per cui diciamo chedall’uomo di Neanderthal in poi diTeofilo si debbono ricordare tutti, in-somma. Per cui Teofilo è stato ilprimo responsabile regionale del-l’Agesci, questo è uno dei suoi grandimeriti, assieme all’altra Regionale,Sara, che invito ad alzarsi, perché icapi ricordino quanta fatica è costatocostruire questa associazione, quantelacerazioni dolorose, ma quanti beirisultati, a pensarci dopo tanti anni.Chiedo a Teofilo di venire a spiegare,sia pur brevemente, come questoopuscolo può essere utilizzato, comepuò diventare uno strumento di ra-pida consultazione per i capi, per al-cune tematiche che hannooggettivamente un loro peso, cheperò poi i capi hanno la necessità direndere semplici. Teofilo è stato unodei principali sponsor, diciamo ancheil trapanino più fastidioso per l’orga-nizzazione di questo convegno, poi lecose non sempre riescono come le ab-biamo sognate, spesso prendonoanche un’altra direzione, però misembra che il fatto che ci siamo ritro-vati assieme tutti quanti oggi anche asentire questa breve presentazione di

Teofilo sia proprio un elemento cheindica qual è la vocazione del CentroStudi, che è quella di mettere assiemele persone e fargli fare rete, senza tes-sere, senza presunzioni, farle incon-trare, questa è l’unica missione veradel Centro Studi, a parte quella isti-tuzionale di custodia della memoriastorica dello scautismo calabrese.Prego, Teofilo.

Teofilo Maione

Nonostante i miei ottant’anni nonsono stato il primo regionale del-l’Asci, prima di me c’era gente moltopiù in gamba e più valida.

Sandro Repaci

Ho parlato dell’Agesci io, eh! Al-meno quella.

Carmelo Trunfio

Arriviamo all’intervento di oggi,che prova un po’ a tirare le fila delleriflessioni, delle sollecitazioni e anchedelle provocazioni che abbiamoascoltato nella giornata di ieri, sia sulpiano cognitivo, soprattutto con le re-lazioni della Colombo e di Coccetti,ma aggiungerei anche sul piano emo-tivo, grazie alla rappresentazione tea-trale di ieri sera. Ludovica Scarpa èlaureata in Storia dell’Architettura,insegna Teorie e Tecniche di Comu-nicazione e Trattativa presso l’Uni-versità di Venezia, è esperta in quelramo cosiddetto della Psicologia So-ciale; proviene dal mondo costrutti-vista sistemico, una cosa che vi

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spiegherà ovviamente meglio lei, cheperaltro - mi piace sottolineare- è vi-cina all’esperienza della Chiesa Evan-gelica, e quindi ci piace per certiaspetti questa sorta anche di conta-minazione ecumenica che possiamoavere qui grazie al suo intervento.

Un’altra cosa simpatica che mi ac-cennava l’altra sera è che vive a Ber-lino per tre, quattro mesi l’anno, daottobre a fine gennaio, perché haeletto Berlino come città ideale perpensare. Quindi Lei ha questo buenretiro, diciamo, in questa bellissimacittà, una città di grande cultura, miaccennava che ci sono “appena” 360biblioteche per esempio e, quindi, mipiaceva questa idea di un tempo perpensare, che poi è una dimensioneanche sicuramente vicina al nostrosentire di educatori, no?, questa esi-genza a volte anche di ritirarci dal-l’esperienza, quotidiana di tutti igiorni, ed eleggere degli spazi dellanostra vita come, appunto, uno spa-zio per pensare. Orbene adesso pas-serei la parola alla dottoressa Scarpa.

Ludovica Scarpa

Buongiorno a tutti. Sono com-mossa, sono molto colpita di esserestata invitata in un convegno simile.Ho ascoltato con molta attenzioneieri e oggi, mi sono studiata ieri serai lavori dei gruppi e sento moltagioia, molta volontà, molta dedi-zione, un’energia che sento qui den-tro; dall’altra parte si parla anche didifficoltà, di ansia, di come potereducare, serpeggia anche preoccupa-zione. Quindi ci sono queste duecose. Ci son tante cose da dire da unpunto di vista comunicativo. Cos’è lacomunicazione? La comunicazione èun concetto di gomma, è un po’ tutto,alcuni pensano che sia pubblicità, al-cuni pensano che sia riuscire a con-vincere le persone. Io me ne occupoin quanto interrelazione fra persone.

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Paul Watzlawick, fondatore dell’ap-proccio sistemico in psicologia cogni-tiva dice che “non è possibile noncomunicare”: se c’è un altro essereumano in una stanza, e io sto lì se-duta, ferma e silenziosa, questo es-sere umano assegna dei significati esi chiede: che cosa fa questa? Per cuigià sto comunicando – il risultato del-l’interazione è il prodotto dell’incon-tro dei significati di chi comunica,anche inconsapevolmente, e di chiascolta. Quindi non è possibile noncomunicare.

La questione è che cosa comuni-chiamo e, soprattutto, come comuni-chiamo e sempre Watzlawick ciinsegnò che “se il come non funziona,il cosa non passa”, cioè: se ho pauradell’insegnante di matematica noncapisco la matematica. Questo pernoi educatori è già un primo punto diriferimento di cui ricordarci.

Come si fa a non fare paura? Noisiamo pieni di buone intenzioni: la-voro con tanti insegnanti, e nessuninsegnante vuole fare paura; eppurenella vita di tutti i giorni ci sono inse-gnanti che ci fanno paura. Quindi quisiamo di fronte a un altro problema:come è possibile che le intenzionisiano una cosa, e siamo tutti pieni dibuone intenzioni, siamo qui che ci la-voriamo, e poi i risultati siano spessotutt’altra cosa?

La comunicazione fra esseriumani è il tramite, il ponte che cercadi aiutarci, perché le nostre consape-volezze sono opache, le une e le altre,noi sentiamo in diretta le nostrebuone intenzioni, ma ci limitiamo avedere i comportamenti degli altri:vediamo che l’insegnante di mate-

matica alza la voce, e invece di capirela sua intenzione di essere convin-cente, chiara, assertiva, ci fa paura,perché diamo degli altri significati.

Come insegnanti ci possiamo ren-dere conto del come della nostra co-municazione e che possiamo lavoraresu questo come: che ogni concetto,ogni parola, ogni sguardo, ogni mo-vimento che noi facciamo è un’offertache verrà interpretata dalle personeche stanno con noi con un significato.Alla fine il risultato della comunica-zione non è la nostra buona inten-zione, ma è il risultato, cioè ilsignificato che dà chi ascolta; moltospesso questo risultato è diverso daquello che noi volevamo ottenere. Percui nell’approccio sistemico ci si oc-cupa di osservare tutto il sistema, diquello che accade, cercando di so-spendere in primis il giudizio e ve-dere, okay, l’insegnante, l’educatore,l’accompagnatore è pieno di buoneintenzioni, è chiaro, e poi succedequesto, ci sono delle irritazioni, cisono delle agitazioni, i ragazzi nonhanno voglia, o quant’altro, e, senzagiudicare quello che accade, si vedecome funziona quel che osserviamo:esiste forse un sistema che si autori-produce, molto spesso ci sono dei cir-coli viziosi, dei sistemi che siautoriproducono, che possono sosti-tuire, grazie al nostro approccio si-stemico, l’idea che ci sia una colpa.Perché l’idea fondamentale dell’ap-proccio sistemico è: le buone inten-zioni ci sono, i ragazzini vanno ascuola tutti contenti perché non ve-dono l’ora di appropriarsi delle co-noscenze, di far bella figura, di esserebravi, e poi dopo succede qualcosa.

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Cosa succede? Ne succedono poidi tutti i colori. Come è possibile chenoi nel 2011 appena iniziato sap-piamo un sacco di cose, abbiamo in-ternet, abbiamo il www.2, sappiamomoltissime più cose che non le gene-razioni precedenti, eppure siamopieni di ansie, di preoccupazioni esembra che queste cose non riu-sciamo a usarle in modo positivo,motivante, come risorse nella nostravita. Come è possibile questo? Laquestione è come usarle: più cosesappiamo, più sappiamo anche deipericoli delle cose.

La nostra percezione selettiva diesseri umani si è sviluppata così nelcorso dell’evoluzione della specie,che non è certo finita stamattina.

Dai tempi delle caverne la nostrapercezione selettiva funziona così:siamo più attenti, più sensibili aquello che fa paura, che ci mette inansia, che ci manca, che ci dà preoc-cupazione. Se oggi tutto va bene euna cosa non va bene che cosa rac-conterete stasera a cena? Quindi nonoccorre dimostrarlo, fa parte dellanostra esperienza. Questo ci salva lavita: se ci accorgiamo che qualcosamanca è bene saperlo e fare qualcosa,mentre accorgerci che tutto va bene,essere felici, essere gioiosi, ci fa pia-cere, però all’evoluzione della specienon interessa, cioè gli interessa che cialziamo quando manca qualcosa, equesto è bene, dal punto di vista dellapura sopravvivenza. Per cui abituia-moci anche ad accettare con gioiacome segnali cognitivi tutte quelleemozioni negative, che chiamiamonegative perché preferiamo nonaverle.

Quando siamo impensieriti,quando siamo preoccupati, quandosiamo arrabbiati, quando siamo inansia, invece di dire “non devo esserein ansia”, possiamo accettare questaemozione come un segnale cognitivodella nostra mente che ci dice: “at-tenzione attenzione, c’è qualcosa chetu percepisci a cui la tua mente dà unsignificato di problema, alzati e fa’qualcosa”.

Questo ci aiuta ad accettare anchecerte reazioni degli altri che ci sem-brano problematiche, dato che sesiamo accettanti dentro di noi losiamo anche verso l’esterno. E qui mipiace citare -proprio per gli educatoriin senso lato- un proverbio africanoche dice: “L’erba non cresce più infretta se la tiri”. Quindi: essere pa-zienti, essere accompagnatori, essere,come dicevano in tanti prima di me,fratelli maggiori allegri, che mostranocon la loro allegria che comportarsisecondo i valori in cui si crede è unacosa gioiosa e fa bene; smettere diparlare di “devo”, perché il “devo”toglie la motivazione.

Frequentereste persone che sonooneste perché devono? I ragazzi, ac-compagnati dal fratello maggioreeducatore, si accorgono che è possi-bile diventare grandi e contenti di es-serlo? Grandi e contenti di avere lacompetenza sociale, attraverso il no-stro modello. Se non sono contenti difarlo non lo faranno, perché è grazieal principio di piacere che si impara,quando un insegnante è simpatico –equi c’è la qualità del “come”- ti affe-zioni a quella materia. Io ho studiatoStoria dell’Architettura perché ero af-fascinata da insegnanti di Storia del-

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l’Architettura, poi ho studiato Psico-logia Sociale, Psicologia della comu-nicazione per lo stesso motivo. Ognitanto mi innamoro di un qualche fi-lone di pensiero. Per capire, perchécapire è una gioia, perché compren-dere, dare degli strumenti cognitivi èuna gioia.

Cos’è questa famosa competenzasociale di cui tanto di sente parlare?Io la definisco come “la capacità difare i propri veri interessi sul breve,medio e lungo periodo”. Se noi tuttiabbiamo interesse, sul medio e lungoperiodo, di vivere in una società pa-cifica, solidale e in cui possiamo per-metterci di non avere paura gli unidegli altri, ci conviene, ed è una gioia,comportarci benissimo, comportarcimolto meglio di come ci aspettiamoche gli altri si comportino con noi.Quindi la competenza sociale è ilbene attivato, in tedesco si dice“nichts ist gut, wenn sie das nicht

tun”: il bene non esiste se non lo fai,cioè come dire attiviamoci, vogliamoconoscere persone carine, simpatiche,costruttive? Bene, incominciamo adesserlo da noi.

La competenza sociale quindi siinsegna mostrando ai ragazzini fin dapiccoli i motivi positivi del fatto chefare delle carinerie, per esempio ildare una mano a un altro fa piacere achi lo fa. Se tu spieghi sempre i mo-tivi razionali, comunicabili ai ragaz-zini, di quello che gli insegni, ilragazzino nel dialogo interiore svi-luppa, interiorizza i motivi positiviper cui è bello essere una bella per-sona. Invece se gli dici devi studiare èfacile che dentro di se si dica: “boh,perché devo?”, magari per svilup-pare un’identità che si pone come au-tonoma e alternativa a te. Quindi,attenzione, alla fine, nella pratica, conla comunicazione, con le parole chenoi usiamo, e con le credenze, con le

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sicurezze implicite che noi abbiamo,attraverso il nostro modo di comuni-care, noi creiamo degli ambienti chehanno una certa qualità. Adesso nonsi tratta di stare attenti a quali paroleusiamo, ma piuttosto di imparare aosservare che tipo di assunzioni noiabbiamo.

Pensiamo al concetto di potenzia-lità, pensiamo ai famosi esperimentidi psicologia sociale sull’effetto pig-malione. Lo spiego brevemente. Al-cuni psicologi sociali hanno fattol’esperimento seguente: all’inizio del-l’anno scolastico in alcune scuole ele-mentari hanno detto agli insegnanti:guarda che questi bambini A, B e C,secondo i test di intelligenza che ab-biamo fatto, sono particolarmentedotati. Non hanno detto natural-mente agli insegnanti che questinomi erano stati presi a caso: vole-vano infatti studiare l’impatto delleassunzioni degli insegnanti sulla resascolastica. Alla fine dell’anno hannofatto veramente dei test di intelli-genza a tutti, e quei ragazzini cheerano stati presi a caso effettivamenteerano molto più avanti degli altri.

Come si spiega l’effetto pigma-lione? Gli insegnanti hanno l’aspetta-tiva prodotta dall’ interpretazioneche è stata data dall’autorità dellopsicologo sociale. Per cui hannol’aspettativa che le personcine A, B eC sono particolarmente dotate emolto intelligenti, e si rivolgono aloro in modo diverso, parlano conloro in modo più affabile, dedicato,diverso. Se queste persone sono sva-gate, di cattivo umore, rispondonomale, non fanno i compiti gli inse-gnanti danno una interpretazione di

tipo positivo, si dicono: “e sì, perforza, la scuola li annoia, sono così in-telligenti”, quindi danno una spiega-zione che rinforza la assunzioneiniziale: sono molto intelligenti;quando sono molto bravi si dicono:“certo, per forza, sappiamo che sonomolto bravi”. Quindi li rinforzano co-munque: in ogni caso.

Questo esperimento è stato fattoin parecchi stati dell’America delNord e in Inghilterra con classi di etàabbastanza diverse e situazioni di-verse, e sempre ha funzionato. Que-sto significa che se noi assumiamoche la potenzialità esiste e sia fortis-sima, ci occupiamo di queste person-cine che crescono in modo tale dadare una mano a che queste poten-zialità fioriscano.

Del resto se pensiamo al concettostesso di potenzialità è un concettomolto strano: che solo la mente dipersone fantasiose come noi esseriumani riesce a produrre, perché seuna cosa è potenziale significa chenon esiste, non ancora. Se sei poten-zialmente in grado di studiare ilrusso significa che non lo sai. Quindise noi pensiamo che la potenzialità cisia, che il seme ci sia, allora il seme diogni capacità esiste: è una specie dimagia, la potenzialità esiste (e si svi-luppa!)se ci crediamo.

Se ci abituiamo a fare attenzione aquesta potenzialità positiva, pos-siamo occuparci di ogni persona dicui noi ci occupiamo come se fosse lapiù importante della nostra vita.Questo, anche se non usiamo tanteparole, anche se siamo assolutamentequotidiani nella nostra comunica-zione, questo cambia la qualità della

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comunicazione, questo motiva, per-ché quando un ragazzino sente chenoi crediamo nelle sue potenzialità,non è una questione di cui si parla,ma che si vive: si sente. Quando hoimparato a focalizzarmi sulle poten-zialità degli studenti con cui lavoroall’università, il mio lavorare è di-ventato un gioco, non faccio più fa-tica, mi stupisco che mi paghino peruna cosa così divertente, i ragazzi miscrivono dopo anni, si divertono,vengono volentieri, e verrebberoanche se non gli dessi nessun voto; cisono persone che son venute anchedopo la laurea perché si erano perse ilcorso prima, sono venute lo stessodopo, cioè quindi gratis, senza motivicurriculari.

Ci si rende conto dell’arricchi-mento del parlare insieme, se smet-tiamo di giudicare, per esempio leemozioni negative. Se è possibile direche senti grande avversione, che nonne hai voglia, che sei stufo, che odi ilprofessore tal de’ tali, e nessuno siscompone, e dici: “ah, okay, e per riu-scire a sentirti così che significati dai?Che valutazioni dai? Che aspettativehai?” E i ragazzi imparano il dialogointeriore, osservando tutte le sensa-zioni e le emozioni che hanno e sco-prendo che si tratta di gestirsi.

Il conflitto in sé non è una cosa cat-tiva, serve a comprendere che ci sonopunti di vista diversi, e per primacosa ti serve impararlo con te stesso.Essendo la nostra una società basatasu tanti doveri, sul “devi, devi, devi”,i ragazzi molto spesso si sentono de-motivati: “devo fare i compiti, manon ne ho voglia”. Imparano a cer-care di non sentire le sensazioni ne-

gative, e questo non fa bene, perchési disabituano all’ascolto del dialogointeriore. Se invece solo se ne accor-gono: possono, se vogliono, recupe-rare questo rapporto con l’emozione,perché l’emozione è il segnale cogni-tivo che ci dice che cosa preferiamofare, noi preferiamo avere un buon ri-sultato, ma preferiamo farlo saltandoi compiti per casa, la preparazione,ad esempio. C’era una volta un ra-gazzino che conoscevo che volevasuonare il violino, però tutta la pre-parazione no, voleva prepararsi soloper i concerti. Se non scegliamo anchela strada, per quanto sia faticosa, checi porta a quel che vogliamo raggiun-gere, non arriveremo. Il ragazzino hasmesso di suonare il violino, ha fattopoi altre cose, per fortuna aveva altrepotenzialità.

Questo significa che noi grandi,noi adulti, se mai lo siamo diventati,perché in molti parlano di una societàdell’adolescenza perenne, per cuiforse l’adulto non è tanto quello che èarrivato anagraficamente a essereadulto, ma l’adulto è quello che con-tinua a lavorare sulla sua crescita per-sonale. Comunque sia, l’adulto seesiste, può lavorare sulla sua ansia,anche di fronte alle nuove tecnologie,che ci fanno un po’ paura, come ge-stirle?

In realtà queste nuove tecnologiestanno cambiando il nostro mondo,tutti noi potremo produrre comuni-cazione dalla nostra cucina, produrrespettacoli televisivi, libri, articoli

La maggioranza di quello cheviene messo su Facebook e nella rete,sono comunicazioni non assoluta-mente necessarie, per esempio posso

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sapere che cosa ha mangiato mia ni-pote ieri sera, che forse non è moltoimportante.

Però ci sono anche possibilitànuove per pensieri nuovi, il pro-blema sarà riuscire a identificare inquesto mare magnum, in questooceano di chiacchiera perenne e con-tinua, quali sono le riflessioni a cuifar riferimento. I ragazzi per esempiosi sono già accorti che se vai su Wiki-pedia, la Wikipedia italiana è moltomeno nutriente di quella inglese, setu sai l’inglese e vai su Wikipedia in-glese per fare i compiti trovi più bi-bliografia e ti puoi muovere meglio.Quindi i ragazzi sono più esperti dinoi: io mi faccio spiegare dai mieifigli queste cose. E alla fine educaresta diventando un lavoro di gruppo,perché io sono forse una “adolescenteper sempre”, e i miei figli invece sonodei grandi esperti, mi spiegano lecose, e mi dicono: mamma, questo èimportante. Ah! E come mai è impor-tante? E me lo faccio spiegare. Quindia volte l’umiltà è davvero molto pra-tica. L’insegnamento cambia, non sitratta più di noi “grandi” che sap-piamo le cose, e ve le diciamo, comeuna volta.

Quello dell’insegnante una voltaera forse un lavoro più semplice dioggi, era un compito più chiaro, piùdelimitato, c’erano delle cose “si-cure” da sapere, un programma.Oggi non è più così, oggi è: “sap-piamo tutte queste cose, che cosa nepossiamo fare nella nostra vita pra-tica?” Per certi versi mi sembra uncompito molto più divertente: se sap-piamo la storia a che cosa ci servenella vita di oggi? Se sappiamo met-

tere dei documenti dentro ad inter-net, che cosa possiamo fare di vera-mente buono? Che cosa potrebbeservire agli altri che noi possiamomettere ? Ad esempio ci sono dei ser-vizi on-line, adesso sta nascendo ilcounseling on-line, c’è molto dolorenel mondo, molte persone si sentonoisolate, sole, non sanno a chi rivol-gersi. La rete diventa un potenziale diincontro, di un incontro vero, perchésono persone vere che scrivono lecose, non ci relazioniamo con il com-puter. Il computer è come un tele-fono: non è necessario avere pauradel telefono, l’importante è non diretroppe cose inutili.

Quando penso all’ansia che ser-peggia mi dico: come si può lavorareper gestire quest’ansia? Perché l’an-sia è un’emozione che preferiamonon avere e che sentiamo perchédiamo dei significati, diamo dei si-gnificati di pericolo alle cose, ci sem-bra che il mondo sia pericoloso, cisembra che dobbiamo accompa-gnare, ad esempio, i nostri figli per-chè il mondo è pericoloso.

L’antidoto all’ansia è la fiducia, lafiducia nelle potenzialità dei ragazzie la fiducia in un mondo che in realtàè pieno di belle persone; la fiduciache, se io sono piena di buone inten-zioni, anche gli altri sono così, perchénon c’è nessun motivo di credere cheio sia meglio degli altri, quindi lastragrande maggioranza delle per-sone è piena di buone intenzioni.

Tuttavia noi, come si diceva al-l’inizio, non le sentiamo in diretta lebuone intenzioni degli altri, e valu-tiamo invece i comportamenti; ma icomportamenti sono gli esiti e gli

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esiti sono a volte molto diversi dalleintenzioni.

Se ci rendiamo conto di questocomplesso sistema di esseri umaniche noi contribuiamo a costruire, eche è il gioco di intenzioni e conse-guenze a creare una difficoltà intrin-seca e sistemica, siamo forse piùfacilmente fiduciosi, e questa fiduciacontrobilancia l’ansia: siamo più fi-duciosi che chi c’è significa che do-veva esserci, quello che viene dettosignifica che doveva venir detto, eanche quello che viene espresso informa di ansie e paure è il nostrocompito, di cui vogliamo prendercicura.

Occupiamoci allora delle nostreansie come di testimoni affezionati anoi, testimoni interni a noi, che ci ri-cordano di occuparci di quelle coseche ci auguriamo possano diventaremigliori. Possiamo riuscire perfino asentirci chiamati con gioia a occu-parci delle cose che pure ci sembranoproblematiche: se ci pensiamo siamonoi a dare questa (e ogni altra) valu-tazione, per cui possiamo anche darela valutazione che le cose problema-tiche sono quelle che vogliono esserefatte da noi, e quindi anche il pro-blema diventa una risorsa, una pos-sibilità di mettersi in gioco a farequeste cose. Diventare persone re-sponsabili che vivono la competenzasociale è una gioia. Perché è unagioia? Perché ricordandosene le per-sone sentono il loro potere, magariun potere limitato, piccolo, però esi-ste ed è il potere della scelta. Lo di-ceva già Pico della Mirandola nelRinascimento italiano, che gli esseriumani sono gli unici animali che

hanno la libertà di scelta di diventareo angeli o diavoli. Gli animali si com-portano come si comportano per viadell’istinto, invece gli esseri umanitra la percezione e la reazione hannola libertà di scelta che è per primacosa una libertà di scelta interpreta-tiva.

Se noi viviamo in un ambiente,come qui a Reggio, che è vissutocome un ambiente difficile, dob-biamo stare attenti a non dare unmessaggio di eccessiva ansia, di pre-occupazione distruttiva alle personeche crescono, perché la potenzialitàesiste solo se noi la vediamo.

Esistono dei concetti della menteche esistono-per-noi solo se noi li ve-diamo, e quindi ricordiamoci che sediciamo “questo è un territorio diffi-cile” non dobbiamo esagerare, lodobbiamo dire solo per aggiungere:“e quindi ha bisogno di tutta la tuafantasia”, è un posto dove è più utileche altrove essere molto immaginosie molto fantasiosi e avere dei pro-getti, dei progetti che hanno bisognodi tutta la fantasia di persone nuove,non ancora consumate dall’ansia.Quindi stiamo attenti, alleniamoci adosservare: ogni valutazione che noidiamo, quale è il suo risultato rispettoa come ci sentiamo? Ad esempio, sedico “devi” il risultato è “sono stancase devo”; se invece mi dici che “se vo-glio posso”, posso risponderti ma no,non è vero, non posso perché qui nonc’è la possibilità. Ma è vero? E chi l’hadetto? Eppure la differenza tra quelliche ce la fanno a fare le loro cose equelli che non ce la fanno è solo una,quelli che ce la fanno non hanno maismesso di provarci.

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Se una persona è sfiduciata,smette di provarci, si siede e dice nonce la faccio più, non voglio, ecco unlimite difficile: tu puoi essere l’agen-zia più energetica del mondo, però lavolontà viene da chi sta crescendo,dalle persone con cui lavoriamo, loroci mettono la volontà, di solito nellaloro vita vogliono qualcosa, e questoè molto bello, noi ci mettiamo la pos-sibilità e insieme costruiamo la capa-cità. Quindi alleniamoci ad essereaccompagnatori invitanti, invitanticon il nostro modo di parlare.

A me piace molto parlare con lepersone e molto rispondere alle do-mande, per cui adesso una piccolacarrellata su quella che è per me la li-bertà fondamentale degli esseriumani, che è la libertà di valutare, didare valore a ogni cosa, che natural-mente si accompagna anche alla ca-pacità di svalutare ogni cosa. Nelcomunicare gli uni con gli altri noi

molto spesso ci svalutiamo a vicendasenza accorgercene, e su questo pos-siamo applicare la nostra attenzionedi educatori, e poi vorrei da voi tantedomande puntuali e concrete. Comefacciamo a svalutarci gli uni gli altrisenza accorgercene? Per esempioogni volta che io a mio figlio dico:“eh, va là, ma per questo compito dimatematica cosa ci vuole? Non è dif-ficile”. Io ho la buona intenzione divolerlo tranquillizzare, e lui invece sisente svalutato, perché si dice “come:non è difficile? Se io ho difficoltà al-lora sono l’ultimo degli stupidi?”Quindi molto spesso noi, io comemamma, penso di dare una mano, einvece la buona intenzione diventauna schifezza, me ne accorgo natu-ralmente sempre col senno di poi.Quindi invece di dare consigli, di direguarda, io farei così, oppure dai quache ci sbrighiamo, sempre buona in-tenzione, sedersi lì vicino e con santa

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pazienza dire: certo, ci vuole il suotempo, cioè confermare quello che ècome è, se per la persona che lo sta fa-cendo ci vuole il suo tempo questo ècome è e va confermato, dire: “ho fi-ducia che prima o poi ci riuscirai, etroverai la soluzione, anzi poi spie-gamelo”.

Io che per fortuna spesso non ca-pisco niente, molto spesso ai mieifigli chiedo: ma spiegami questa cosa.Se un ragazzino riesce a spiegarti unacosa la capisce, se gliela dico io inveceforse se la dimentica dopo tre se-condi. Quindi io son fortunata, ne ca-pisco abbastanza poco di queste coseche studiano oggi i ragazzi al liceo.La chimica, per esempio, cioè comeme l’hanno spiegata i miei ragazzi,wow! Ecco, quindi come educatori sida una mano più a chiedere piuttostoche a dare, dando ai ragazzi la possi-bilità di esprimersi piuttosto che te-

nere un discorso; meglio piuttostoparafrasare, dire: “ho capito bene? Mistai dicendo…”.

C’è tutta una lista di cosiddetti kil-lers della comunicazione che sonomodi di fare, che usiamo quasi tutti igiorni, pieni di benevolenza e pieni dibuone intenzioni, come appunto ildare consigli. Perché non è unabuona idea? Perché se ti consiglio “faicosì” può arrivare la comunicazione,che è il significato che ne dà l’altrapersona: “se senti il bisogno di spie-garmelo significa che pensi che ionon ho la potenzialità di capirlo dame”. Quindi, attenzione a tutte le no-stre buone intenzioni, che sonobuone, ma che appunto, visto che ilsignificato lo dà chi ascolta la comu-nicazione, possono anche essere con-troproducenti; è meglio abituarsi adascoltare, e a chiedere: “di che cosahai bisogno per capire come va fatta

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questa cosa? o di che cosa abbiamobisogno per riuscirci, noi due?”quindi fare più domande costruttiveche implicano “lo chiedo a te perchéimmagino che ci arrivi da te”, quindidare questa fiducia minima, che sem-bra minima, ma è grande. Come si faa fidarsi? La questione è una que-stione di base, cioè se non avessimouna confidenza di base che uscire dicasa la mattina non è così pericolosoresteremmo tutti chiusi in casa. Que-sta fiducia come si fa a coltivarla? Ab-biamo capito che la nostra percezioneselettiva comunque si concentra sullequestioni problematiche, per cui cene occupiamo, ma senza esagerare: ciaccorgiamo che la televisione e i gior-nali danno solo cattive notizie perchéè il loro mestiere, questo però non si-gnifica che il mondo sia peggiore oche sia un posto schifoso, e noi dob-biamo anche stare attenti verso leprossime generazioni a non dareun’immagine completamente di-storta della realtà, la realtà non èquella che fornisce la televisione, larealtà è quella delle persone che por-tano i bambini a scuola contenti, si la-vano i denti, i capelli, e poi li vanno ariprendere, sono le cose che nonfanno notizia, ma questa è la realtà. Eabbiamo bisogno di renderceneconto, perché altrimenti ne diamoun’immagine distorta che toglie ener-gia e toglie fiducia.

Per motivare è importante ren-derci conto di come noi parliamo, separliamo di “doveri” o se parliamo di“inviti”, se siamo invitanti, e soprat-tutto di che cosa crediamo, perché senoi crediamo, se siamo convinti chela situazione sia difficile non pos-

siamo fare finta di non crederlo, cer-cando disperatamente di metterciuna maschera e di comunicare qual-cosa di diverso, perché traspira, cioènoi nel comunicare senza accorger-cene comunichiamo la nostra convin-zione, quindi non possiamo fare fintadi avere fiducia, se non ne abbiamo.Quindi noi, cosiddetti adulti, il com-pito per casa che abbiamo tutti noi èil dialogo interiore, coltivarlo e aiu-tare la nostra percezione selettiva aconcentrarsi su quello che è buono,sulla buona volontà degli altri, ditutti, sulle potenzialità di tutti. Pensoche sia più utile ora rispondere allevostre domande da un punto di vistadella psicologia della comunicazione.

Carmelo TrunfioOkay, grazie. Permettetemi, prima

di passare al tempo delle domande,di fare un passaggio veloce. Secondome la dottoressa Scarpa ci ha nasco-sto qualcosa della sua biografia, per-ché sembra essere stata scout anchelei. Cioè ha espresso alcuni concettiproprio tipici, anche nella forma lin-guistica, a cose che noi spesso ci di-ciamo, quando parlava dell’effettopigmalione mi veniva in mente laquestione del cinque per cento dibuono nel cuore di ciascuno dei no-stri ragazzi, poi nello stare attentianche, nel linguaggio che utilizziamocon i ragazzi, a non trasferire le pre-occupazioni che abbiamo come adultirispetto al contesto, al territorio in cuiviviamo, e quindi Lei diceva occorrefar scattare il meccanismo della fan-tasia ai ragazzi per far trovare loro lerisposte, mi veniva in mente il pas-saggio del patto associativo quando

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dice che bisogna trovare poi le rispo-ste con l’inesauribile fantasia del-l’amore. E poi alla fine quando dicevafacciamoci spiegare anche dai ragazzile cose che non capiamo. Insomma, èil famoso “ask the boy”. Quindi, laeleggiamo, anche se non è stata, scoutad honorem tra di noi.

Ludovica ScarpaGrazie!

Carmelo TrunfioA questo punto apriamo uno spa-

zio per gli interventi. Stamattina ab-biamo un po’ più di tempo, quindipossiamo stare più rilassati rispettoai tempi ristretti di ieri sera, e direi diutilizzare lo stesso meccanismo diblocchi di cinque interventi, quindialziamo le mani e facciamo rispon-dere Ludovica Scarpa.

Pietro AgapitoSono Pietro Agapito del Lamezia

Terme 1. Professoressa, io la ringra-zio per un passaggio, a propositodelle difficoltà territoriali. Mi rifaccioa quello che ha detto Lei e poi lechiedo cortesemente se sbaglio dicorreggermi. Siccome nel discorsoche ha affrontato ieri sera con altrepersone le veniva presentata ancheuna forte difficoltà territoriale che èpropria della nostra terra, Lei ci sol-lecitava dicendo “non bisogna esa-sperare la valutazione di questadifficoltà territoriale perché altri-menti si rischia di accrescere l’ansiaproprio di questa comunicazione”.Allora io mi sono posto un problemaa proposito del fatto che, dato checerchiamo come adulti di puntare al-

l’essere responsabili, quindi capaci diaffrontare delle sfide, abbattere dellebarriere, superare delle frontiere, chepossono essere più o meno limitanti,se presentiamo invece serenamenteanche le grosse difficoltà non invite-remmo invece l’altro, e quindi il gio-vane o l’altro adulto, invece a credereinsieme in una sfida possibile? Equindi arrivare a quello che poi Leisottolineava, stimolare la fiducianella comunicazione? O quantomenose non ho compreso bene allora i ter-mini di questo passaggio, fino aquanto nella comunicazione non oc-corre esasperare?

Giuseppe AngeloneSono Giuseppe Angelone e faccio

parte del Masci, il movimento discout adulti. In realtà le mie sono duedomande, la prima riguarda proprioquello che Lei ha detto a propositodell’adulto che, se esiste, e mi piacemolto questa cosa, se esiste, infattinoi ancora lo stiamo cercando, è coluiche lavora ancora, si impegna a lavo-rare per la propria crescita. Ma noidel Masci siamo molto convinti diquesto, esistiamo per questo, per la-vorare sulla crescita come adulti. Mala domanda che io le pongo: è suffi-ciente questa consapevolezza? Nonservono anche strumenti? Non ser-vono ambiti? Non sono opportuniambiti attorno a cui gli adulti pos-sano trovare quello che serve loro perla propria crescita? Non soltanto nelconfronto con le nuove generazioni,mi piace molto questo crescere in-sieme, ma per crescere insieme biso-gna essere adulti e adolescenti, sesiamo tutti adolescenti non riusciamo

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ad aiutarci l’un l’altro.La seconda cosa su cui volevo ri-

flettere con Lei era questo legame trala comunicazione e la nostra terra. Lanostra terra soffre di molti mali, mauno dei mali più forti di cui soffrenon è, diciamo, quasi per niente re-sponsabilità sua, cioè della cattivaimmagine, la cattiva comunicazione.

Noi qui, gruppo piuttosto nutritodevo dire per fortuna, di cittadini diReggio, abbiamo da tempo intra-preso una serie di azioni proprio perfar capire al mondo, all’Italia innan-zitutto, ma ormai siamo sotto l’atten-zione mondiale, che Reggio Calabria,la Calabria non è quella terra di nes-suno, o quella terra d’inferno di cuiparlava a suo tempo Giorgio Bocca. Equindi su questo problema della co-municazione non è solo un problemadi dire le cose positive, il problema èche quello che gli altri dicono, cioèquello che gli altri percepiscono ri-spetto chi gestisce gli organi della co-municazione e fa la comunicazione,crea la comunicazione, negativa o po-sitiva ed è molto difficile, le assicuro,invertire quest’ordine, né lo vorrei in-vertire per dire che qui tutto va benequando non lo è, ma, gliela pongocosì: perché è così difficile comuni-care le visioni più possibili attinentialla realtà? Ma si comunicano imma-gini, più che visioni, più che analisi,più che fotografie?

Gino ArcudiGino Arcudi di Reggio Calabria.

Mi lego un po’ al discorso di Peppe,pensando che quello che dice lui è unsintomo, mentre quello che lo pro-duce è il pregiudizio. Pregiudizio che

ostacola una qualsiasi comunica-zione. Io volevo chiederle: intanto dadove nasce un pregiudizio e come sifa a sconfiggere un pregiudizio peraiutare una relazione corretta?

Laura GrimeniSalve, sono Laura Grimeni dalla

Comunità Masci Gioiosa Ionica. Intanto la ringrazio per tutte le

spiegazioni che ci ha dato, che sonostate utilissime, e poi vorrei saperequanto influisce in questo tempo lateoria dello scontato e dell’ovvio equanto invece può essere significa-tivo spiegare il perché del fare e delsapere per un essere consapevole.Grazie.

Don MassimoL’importanza della comunica-

zione che Lei ci ha offerto nella sua ri-flessione stamattina ci dà unadimensione, un orientamento moltopositivo, ma non si rischia forse unpo’ di edulcorarla questa dimensionedell’educazione?

Altra domanda, attinente un po’alla dimensione della nostra Calabria:come ben sappiamo, siamo afflitti davarie situazioni problematiche e forsequi dovremmo riscoprire che la Cala-bria, è ricca di tante realtà, non sa-rebbe bene riflettere, come ci hannoinsegnato anche nella realtà eccle-siale, che noi abbiamo tanta ricchezzache, se per altri può essere marginale,per noi può essere ricchezza, la mar-ginalità come tipicità? E quindi chediventi anche veicolo di positività inambito di comunicazione?

Carmelo TrunfioBlocchiamo i primi cinque, la-

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sciamo ora lo spazio alla dottoressaScarpa per la risposta.

Ludovica ScarpaDifficoltà territoriali: come sfida,

stimolo, con fiducia, non occorre esa-sperare. Dunque, forse ci aiuta ricor-dare il concetto della realtà di primoe secondo ordine, che è un concettodell’approccio sistemico di Paul Wat-zlawick, la realtà di primo ordine èquella misurabile, mentre quella disecondo ordine è quella che creiamonoi stessi nel dare le nostre valuta-zioni. Esempio: se una bottiglia di unlitro è piena a metà abbiamo mezzolitro, se condividiamo il concetto dilitro. Ma una persona dice che èmezza piena e un’altra dice che èmezza vuota, ed è in fondo tutta lavita che è sempre un po’ mezza pienao mezza vuota. Per cui attenzione ache tipo di realtà di secondo ordinemettiamo in circolo. Per cui se par-liamo della difficoltà territoriale, unpaio di voi ne han parlato anche qui,non si tratta di edulcorare e di dire“ma no, ma che sarà, va tutto bene”,o di dare un’immagine diversa, sitratta di dirsi: se io vedo questa realtàdi secondo ordine come così proble-matica come mi sento? E soprattuttocome si sentono le persone con cui la-voro, i ragazzi, se dico così? A checosa serve a noi ricordarcelo? Ciserve per farci una scaletta di compitiper casa, che cominciamo a fare su-bito oggi pomeriggio? Ci serve percapire che se mi lamento di quelloche non ho, significa che voglio qual-cosa di meglio e che ho anche unqualcosa di cui posso iniziare ad oc-cuparmi? Per cui, ad esempio, se

mancano gli asili ce li fondiamo noi,in una specie di creativa disubbi-dienza civile di tipo evangelico? Op-pure ci serve utile sentirci vittime?Sentirci vittime ci dà forza, ci serve,ci piace? Quindi sempre abituarci aosservare bene, che cosa sta combi-nando la mia mente, pensando comepensa? Se dico “edulcorare” come misento? Forse è meglio allora direokay, facciamoci una lista dei pro-blemi, sono problemi perché ci augu-riamo qualcosa di diverso, e quindinel nostro augurarci qualcosa di di-verso, nel nostro desiderare qualcosadi diverso ecco che lì sta una forza, escoprire la forza dei nostri progetti,diversi da come è la realtà. Non so seReggio è un posto con più difficoltàdi altri, certo questa è l’immagine,questa è un’altra domanda, la cattivaimmagine di Reggio. Anche qui pur-troppo chi manda in onda le notiziemanda in onda cattive notizie, ve loimmaginate qualcuno che faccia unfilm sulle spiagge pulite? Ma quandomai? Cioè alle spiagge pulite uno nonci pensa, pare ovvio che lo siano, solose la spiaggia è sporca fa notizia e sifa un film sulla spiaggia sporca.Quindi serve abituarci a distinguere.

Da una parte la nostra menteviene sempre attirata dalle questioniproblematiche e fa notizia solo la cat-tiva notizia, se vogliamo occuparcenebenissimo, ce lo scriviamo e facciamodei progetti alternativi, e sennò nonfacciamoci ipnotizzare da questo. Poiun’altra domanda vostra è il tema delpregiudizio. Da dove nasce e come sisconfigge. Il pregiudizio, già Kant lochiamava una pigrizia della mente.Perché? Perché quando tu hai un pre-

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giudizio non occorre che ci pensi più,c’è il tuo bravo cassettino mentaledove metti le cose a cui dai una co-moda etichetta, mettiamo, lì c’èscritto: ah, guarda, questo posto èuna vera schifezza, non andarci. Nonoccorre pensarci più, alla mente piacefare meno fatica possibile, e quindi ilpregiudizio attecchisce facilmente,non ci accorgiamo nemmeno diaverne. Come qualsiasi giudizio,come qualsiasi valutazione il pregiu-dizio si combatte con l’osservazionee la descrizione, e col renderci contoche esiste.

Come ci sentiamo a dire così? Cisentiamo chiamati ad alzarci e farequalcosa di diverso? Se siete qui, sietepieni di energia. E visto che si puòmettere in rete qualsiasi cosa, metterein rete anche i messaggi positivi, cisono tanti problemi, e a noi fa perfinopiacere perché così abbiamo davverotante cose da fare. Non ci facciamo to-gliere la forza, pensando in termini di

mezzo vuoto, ma ci accorgiamo chese una cosa ci pare problematica è unsegno che immaginiamo qualcosa dimeglio, e se ce lo immaginiamo pos-siamo attivarci e realizzarlo, con pa-zienza. E attenzione al tipo di realtàdi secondo ordine che noi ci lasciamoimporre se non siamo attenti a darenoi la nostra valutazione positiva,perché ogni problema è la potenzia-lità di un progetto di cui mi posso oc-cupare. Mi sembra che questo sia unbellissimo posto, un posto dove cisono tante cose da fare. Poi il temadello “scontato e dell’ ovvio”. E’scontato e ovvio quello che io giudicoscontato e ovvio. Anche qui è unaquestione di interpretazioni che unodà, a me non piace quando gli stu-denti parlano di ovvio, e dicono “ov-viamente”.

Chiedo allora “Ovviamente perchi? E da che punto di vista?” Chepregiudizio hai in testa per dire ov-viamente? Sono abbastanza ferma

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quando ci sono questi modi di dire.Come ti senti quando dici ovvia-mente? Spiegare la motivazione delfare consapevole.

Mostrare che il fare consapevole ègioioso, che vogliamo essere personeche stanno dalla parte di quello chefanno e che si sentono bene nel farlo,cioè non c’è un perché razionale, c’èun perché motivazionale che vienedal sentirsi bene nel fare le cose, in unmodo che a noi fa piacere fare. Lapossibilità di identificarsi col propriofare è una grande motivazione, e i ra-gazzi lo vedono fare a chi lo fa, non èquestione di dirglielo, è questione dimostraglielo, i ragazzi imparano daquello che noi facciamo, non daquello che noi diciamo.

La ricchezza del territorio, sì, se unterritorio è ricco di problemi, è riccodi temi di cui ci possiamo occupare,siamo noi a creare questa realtà di se-condo ordine se scegliamo di vederlacosì. Di fatto in Italia esistono pochimomenti, poche occasioni per impa-rare gli strumenti cognitivi per ge-stire la mente mettendola a fuoco,usando tutte le cose che si sanno. Cisono ormai, dagli anni ’70 in poi, tan-tissimi studi su come funziona lamente, su come funziona la comuni-cazione costruttiva, studi che non ar-rivano ancora nella praticaquotidiana. Io ho scoperto questistudi in Germania, dove in quasi ogniuniversità ci sono corsi di comunica-zione consapevole, di gestione dellostress, corsi per imparare a gestire lafrustrazione, li ho fatti anch’io e poiho chiesto: “dov’è che si impara? Vo-glio insegnarla anch’io”, e ora anch’ioli faccio. Il mediatore è un ruolo im-

portante, non è una cosa che si puòimprovvisare solo sulla base dellapropria buona volontà: si fa motivatidalla propria buona volontà, tuttaviaci servono degli strumenti cognitivi,perché altrimenti rischiamo di sen-tirci noi stessi inadeguati, di nonsaper che pesci pigliare, di sentirci avolte cadere nel generico “vogliamocibene”, col rischio dell’essere troppoleggeri oppure troppo impazienti pervoler velocizzare il processo e risol-vere.

Quindi per imparare la pazienza ela gestione della frustrazione, anchenostra, nel dare una mano agli altri,ci servono degli esercizi, un percorsoda fare, degli strumenti che si inse-gnano e che si imparano. E daquando io ho scoperto che esistonomi sono messa a insegnare questecose ai miei studenti, a Venezia lo in-segno ad esempio perché futuri ar-chitetti sono chiamati poi a gestire lapartecipazione con i cittadini, e nonlo puoi fare senza degli strumenti.

Perché? Perché i cittadini sono disolito contrari ai progetti che tu gliporti, si sentono che tu gli imponiqualcosa, mentre tu sei contento,come architetto, e ti sei dato da fare,sei identificato nel tuo progetto, epensi di essere una persona brava,buona, che vuole dare qualcosa, e titrovi con una cittadinanza che ti ac-cusa, non capisce le tue buone inten-zioni, anzi! Quindi devi gestirequesta frustrazione. “Devi”, nel sensoche puoi se vuoi, e ci sono degli stru-menti che si possono imparare pernon entrare in circoli viziosi di oppo-sizione e svalutazione continua, per-ché se non hai imparato questi

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strumenti la reazione normale è dire:“voi che non capite niente”, svalutarela posizione dell’altro. Per cui ancheper la mediazione ci sono degli stru-menti da imparare, che sono stru-menti comunicativi.

Il più importante è parafrasare,quando le parti vengono e diconodelle cose tremende, parafrasaresenza giudicare, traducendole in unlinguaggio non-aggressivo: “se capi-sco bene tu mi stai dicendo che nonne puoi più? Fammi riassumere”, epoi chiedere all’altro “che cosa hai ca-pito da quel che hai sentito dire?” Equindi in qualche modo semplice-mente strutturare e mettere ordine,far vedere le cose nella loro realtàconcreta e misurabile e soprattuttonelle diverse interpretazioni, e accet-tare le cose come stanno; perché, perquanto sembri un paradosso, per mi-gliorare e cambiare le cose si partedell’accettazione, cioè da quello che ècome è, come è nella vostra pratica,lo sapete benissimo, cioè se io nego osvaluto un problema non posso oc-cuparmene, faccio finta che non esi-sta o scelgo la comoda via del dare lacolpa ad un altro.

Carmelo TrunfioSì, partiamo con un secondo

blocco. Basilio il primo.

Basilio VescioIntanto grazie per il bel contributo,

di questa mattina veramente arric-chente. Volevo chiedere: oggi si diceviviamo nella società della comuni-cazione, perché c’è veramente unagrande inflazione di strumenti perpoter comunicare, però poi si cade

nel paradosso, che questi strumentispesso non si utilizzano, non si sannoutilizzare, si ha difficoltà a comuni-care nonostante le grandi opportu-nità; e poi penso che valga l’assunto,mi è parso di capire, che una educa-zione efficace presuppone una comu-nicazione efficace.

Quello che noi vediamo spesso ingiro, un po’ in tutte le agenzie educa-tive, nella scuola, nella famiglia, nelleassociazioni come la nostra, è chespesso ci sono delle esperienze anchefrustranti, tanto negli educatoriquanto negli educanti, perché mancaquesta capacità di comunicare.

Allora mi chiedo se non si confi-guri un bisogno importante, forma-tivo da parte degli adulti di impararea comunicare, e quali possono esseredei percorsi possibili per diventaredei bravi comunicatori, perché co-municatori sicuramente non si nasce,e molto probabilmente la stessa espe-rienza, e quindi il fatto di provare,provare, provare da sé potrebbe nonbastare. Grazie.

Margherita CutrupiSono Margherita Cutrupi del

Masci, vorrei un chiarimento sulla te-matica dell’effetto pigmalione nellarelazione didattica docente-allievo, inrapporto a questa questione ricor-rente.

Sono un’insegnante di liceo. Ioamo all’inizio di una conoscenza, nelprimo anno in cui ho gli allievi, farecompilare loro delle schede in cui miparlano di sé, e nello stesso tempo miinformo dai docenti che li hannoavuti precedentemente, nel caso delprimo anno dal carteggio sulla car-

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riera scolastica.E’ chiaro che sapere queste cose

può produrre quelle aspettative chepossono sembrare fondate perché le-gate a un percorso, però possono in-cidere nella valutazione, il problemaè serissimo.

Alcune mie colleghe non voglionosapere niente per non essere influen-zate, me lo hanno detto colleghemolto valide, che io stimo molto.

D’altra parte non avere cognizionesul percorso precedente non può farperdere più tempo in quella cono-scenza diretta del momento specificoin cui si trova l’allievo?

Giuseppe RuggeriSono Giuseppe Ruggeri di Lame-

zia Terme. Molti di noi qui presenti si ritro-

vano anche certe volte a svolgere unruolo di formatori, di educatori, unruolo molto difficile perché certevolte è più facile lavorare con i ra-gazzi che con gli adulti. Ora, la do-manda che le volevo porre è come farcapire a degli adulti che devono es-sere veramente dei cantori di gioia edi speranza, che devono in un certosenso capire che per ottenere dei ri-sultati occorre spendersi, spesso noiadulti ci comportiamo come i ragazzi,non ci va di fare il compito, però vo-gliamo fare l’interrogazione bene,quindi non ci va di studiare, però vo-gliamo avere voti alti.

Come fare a far capire a degliadulti che per educare, per cambiareun po’ il mondo dobbiamo prepa-rarci, dobbiamo essere pronti, aquello che, nel nostro gergo, chia-miamo la formazione continua e la

formazione permanente. Essere sempre al passo, spesso è

difficile farlo capire a degli adulti. Le chiedevo un suggerimento in

merito. Grazie.

Riccardo SatrianoRiccardo Satriano del Masci. Io ho

ascoltato con interesse la relazione ein effetti è bene non avere pregiudiziper riuscire ad avere dei rapporti piùpositivi con le persone e più produt-tivi, senz’altro. Ma sta di fatto che lepersone adulte, magari per espe-rienze negative avute nel corso dellaloro vita, hanno più difficoltà magaridi una persona giovane ad avere deirapporti scevri da pregiudizi conaltre persone. E poi volevo chiederese ci sono dei rapporti critici, chepure esistono tra persone, di cui nonabbiamo parlato, come porsi e cosafare, come comportarsi quando esi-stono dei rapporti difficili o ci sonostate delle discussioni, delle liti, dellerotture tra persone? Grazie.

Michele FortinoMi chiamo Michele Fortino da Co-

senza. Sia ieri che oggi è interessantequesto richiamo che c’è costante allariflessività.

Le valutazioni che coinvolgono,spingono a cercare il motivo di fondodelle cose, di un perché agire, fare onon fare. Dunque si deve entrare unpò più in profondità, questo è il mo-tivo di fondo dell’educazione. Edu-care significa fare entrare l’altrodentro di sé e ricavarne fuori quel po-sitivo, quella motivazione che spinge,è capace di far fare cose grandi, altri-menti si rimane solo sulla ripetitività,

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quello che io ti dico tu mi ripeti a me-moria e rimane lì, non è questo certa-mente quello che resta.

C’è un problema oggi: il fatto chetante volte questo è un confronto trapunti di riferimenti diversi, e in unasocietà come la nostra, che ormai stadiventando multirazziale, questa nonè una negatività, è positivo, multicul-turale, non è una negatività, c’è unatendenza a cercare un appiattimento,questa sarebbe la famosa globalizza-zione, sarebbe in questo senso dav-vero una perdita di umanità, epurtroppo certe volte succede.

Ecco, in questo senso allora comesi può comunicare senza perderequesta diversità senza rinunciare auna comunicazione vera, profonda?Qualcosa su questo.

E poi se ci dovesse consigliare duelibri per approfondire, perché è untema molto, molto significativo

quello che oggi ha tracciato, se ci po-tesse dare qualcosa da leggere, da ap-profondire.

Ludovica ScarpaBè, i miei!

Carmelo TrunfioUn attimo. Chiudiamo col se-

condo blocco e poi ci prenotiamo peril terzo. Quindi diamo spazio alladottoressa per le risposte di questealtre cinque domande.

Ludovica ScarpaMi sono scritta le vostre domande.

Dunque, siamo in una società dellacomunicazione, tanti strumenti etante difficoltà, comunicazione effi-cace per l’educazione, bisogno for-mativo, quali percorsi. Un paiod’anni fa io ho tentato di fondare unascuola di competenza sociale per in-segnare queste cose, per mettere incircolo questi strumenti, insieme a uncomune nei pressi di Grosseto, poi lacosa cadde, i finanziamenti non arri-varono e ed è rimasto questo pro-getto un poco volontaristico,nell’aria, in attesa di venir fondato.Per ora preferisco andare nei posti incui mi invitano e portarci dei piccoliseminari, che possono essere dimezza giornata, tre, quattro giorni,nelle province dove mi chiamano.

Nella provincia di Grosseto ab-biamo fatto dei seminari per le donnesulla “autodifesa mentale”, cioè comedifendersi da situazioni poco nu-trienti, dalla violenza, sia verbale, siafisica. Vado dove mi chiamano, e nonsono l’unica che fa queste cose: stru-menti cognitivi, soprattutto per la

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partecipazione, se ne occupa ancheMarianella Sclavi di Ascolto Attivo,cioè ci sono persone che conosco chesi occupano di queste cose, c’è ungruppo di Milano che organizzaOpen Space, che è un nuovo modo difare convegni molto divertente,molto dinamico, che dà spazio a tutti,insomma se si vuole si può fare, invi-tare esperti, allenarci insieme. Poi cisono i miei libri, che cerco di scriverein modo piacevole da leggere.

Rispetto all’effetto pigmalione, èmeglio sapere o non sapere nulla?Anche qui: ricordiamoci questa cosadella realtà di primo e di secondo or-dine, è una cosa fondamentale: tipare un’altra, nuova, possibilità distare al mondo. Può essere che unaragazzina, che un ragazzino hannoavuto tanti problemi scolastici, si soncomportati in vario modo, però laqualificazione che noi diamo a que-sti, tra virgolette, “fatti”, la valuta-zione che noi diamo può essereopposta, cioè uno può essere moltoproblematico forse perché si annoia ascuola, forse perché ha bisogno difare di più, ed ogni interpretazionecrea qualcosa di diverso. E se non ci èpossibile non avere pregiudizi cer-chiamo di coltivare almeno i pregiu-dizi positivi.

Le persone problematiche spessoson persone che hanno un sacco dienergia in più, e che non sanno dache parte metterla e non hanno avutofinora, ma può cambiare fra cinqueminuti, la possibilità di indirizzarla inaltri modi; ai ragazzini pieni di ener-gia si possono dare dei compiti inpiù, perché molto spesso hanno biso-gno appunto di essere più attivi, di

avere riconoscimento, di far vedereche esistono, in molte famiglie ottienil’attenzione solo se fai cose negative,quindi impari da piccolo a fare cosenegative in modo, ecco, che uno si ac-corga che esisti, perché è meglio unoscapaccione che lo zero assoluto di at-tenzioni. Quindi attenzione a questecose. Poi: formatori di educatori,come far capire agli adulti che pereducare dobbiamo prepararci.Come? Anche lì intanto cercando diesimersi dall’uso del verbo “dob-biamo”, perché non è motivante, cioèse Lei mi dice che io devo studiarepoi studio lo stesso, però studio e misento forse stanca, se invece studioperché voglio studiare studio e misento meno stanca. Cerchiamo diporre attenzione alla qualità dellavita che noi creiamo usando dei verbimodali diversi. Quindi Lei può essereinvitante con le persone con cui la-vora e dire: sai una cosa? Quando iomi preparo mi sento meglio quandopoi lavoro con i ragazzini, vorrei pas-sare a te questa esperienza, hai vogliadi farlo? Quindi essere un modello,mostrare che prepararsi fa vivere me-glio, che siamo più contenti. Quindise una persona se ne accorge perchévede che Lei è più contento, Lei ri-schia di essere un modello invitanteper gli altri.

Cerchiamo di essere insegnanti di-vertenti, così funziona meglio e ci di-vertiamo di più. Tema pregiudizi ecome porsi in rapporti difficili, liti ediscussioni. Se io ho un pregiudiziosono affezionata a una critica, a unavalutazione, a un’idea che ho dell’al-tro, cioè posso dire sì, sì, tutti sonobrave persone, fuorché questo Tizio,

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Caio o Sempronio che, guarda, que-sto proprio no. cioè tutti noi abbiamonella nostra esperienza di vita dellepersone che dichiariamo “difficili”,tutti noi abbiamo avuto discussioni eliti, vorrei capire: la domanda, a cosasi riferisce, alla possibilità di far lapace dentro di noi, verso la persona?Quindi qual è lo scopo? Mi accorgoche continuo a soffrire di questacosa? non perdono me stesso perchésono in conflitto con qualcuno? E’ unconflitto che riguarda dei valori?Cioè tu credi che sia giusto bianco, eio credo che sia giusto giallo? Cioè cisono delle cose per cui è meglio cheognuno viva nel suo mondo e si fameno danno possibile lasciandociognuno dalla sua parte, cioè senzavolere insistere, può essere molto vio-lento voler fare la pace a tutti i costi ecorrere dietro a qualcuno che vuolesolo stare in pace e dire senti, la-sciamo perdere, ti prego. Quindi èuna questione concreta.

Nei miei gruppi saltano semprefuori cose concrete e servono per faregli esercizi, naturalmente un eserci-zio meraviglioso è prendere duesedie, in una sedia tu sei tu e dici al-l’altro: guarda, sei una vera schifezza,te l’ho sempre voluto dire, natural-mente l’altro non c’è, glielo dite allasedia vuota, gliene dite di tutti i co-lori; poi vai dall’altra parte, ti siedisul posto dell’altro e dici... ti imme-desimi, all’inizio è un po’ difficile,però con la fantasia di cui siamo do-tati di solito funziona, dici: io sono –e dici il nome all’altro- e vedoLudovica che mi dice... e vi descri-vete come vi vede l’altro, e soprat-tutto come si sente l’altro ad avere a

che fare con voi; perché anche se voiall’altro non glielo avete mai detto,quel che pensate di lui, in qualchemodo traspare. Anzi, meno diciamo,più l’altro magari si fa delle fantasie esi è immaginato dei significati ancorapiù tremendi. E quindi possiamo al-lenarci a vedere noi stessi da fuori, avedere noi stessi con gli occhi dell’al-tro. Cosa significa per l’altro frequen-tarmi? Provare questo esercizio puòessere un aiuto. E poi, appunto, nonne so abbastanza rispetto al caso con-creto, quindi rischio di dire delle ba-nalità.

Tuttavia, forse un’ultima cosa, noiabbiamo bisogno di imparare a criti-care in modo costruttivo: non esisteuna vita in cui non abbiamo difficoltàperché ad esempio non ci va comel’altro sta facendo una cosa, e non hasenso che noi si voglia essere sempresorridenti, e grazie alla critica co-struttiva impariamo gli uni daglialtri. E quindi anche lì impariamo, in-vece di dire “hai fatto una schifezza”,a dire in positivo: “ascolta, devo par-larti, il risultato è diverso da quelloche mi aspettavo, quello che miaspettavo è, io vorrei…”, quindi es-sere più descrittivi, più esatti, e so-prattutto dire in forma positivaquello che volete, e non quel che nonvi va: ad esempio dire “la minestranon va bene”, non è un’informazioneutile, la persona che ha fatto la mine-stra non sa che cosa non vada bene;altro esempio, il direttore che dicealla segretaria “questa lettera va ri-scritta, fa schifo”, questa povera se-gretaria non sa che cosa deve fare didiverso, e quindi si tratta di dire in-vece: “la voglio con spaziatura due”.

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Quindi ricordiamo di essere con-creti ed esprimere in positivo quelloche vogliamo, e dirlo però, perchémolta gente invece dice: eh, ma se tufossi una brava insegnante l’avresticapito da te. Ma ognuno di noi pensatante cose, e non può capire da sé pereffetto della telepatia che cosa vafatto, secondo un altro. Quindi espri-miamo i nostri desideri. E quindiforse questo può aiutarci a fare dellecritiche costruttive che diano delle in-dicazioni chiare, poi se l’altro nonvuole fare una cosa abbiamo una trat-tativa da mettere in piedi, ed è unaltro tema.

Perché fare o non fare confrontotra punti di vista diversi, tendenza al-l’appiattimento delle culture nellaglobalizzazione, come comunicaresenza perdere la propria cultura?Come? Anche lì se non abbiamopaura degli altri, della cultura deglialtri, gli lasciamo gli spazi, ci può ve-nire naturale, possiamo anche esserecuriosi e dire: come si usa dalle tueparti? Appunto, focalizzarci più sulcome che sul perché.

Come fai a pensare che questofunzioni? Mi spieghi? Quali sono leaspettative, quali sono le tradizioni acui fai riferimento, quali sono i va-lori? Sai che mi stupisco? Quindi stu-pirsi di più e magari chiudersi dimeno.

Quando ci chiudiamo siamo inansia e abbiamo paura, però è facilea dirsi e ci vuole molto allenamento,perché appunto noi ci identifichiamocon la nostra cultura e non è semprefacile essere curiosi e aperti rispetto aquella degli altri, può aiutarci forsel’abituarci a chiedere di più come.

Come fai a pensare che questo fun-zioni? Spiegami. Quindi essere menoreattivi nel senso di reagire, di dire dino, non sono d’accordo.

Ma molto spesso si dice nei dibat-titi: sono d’accordo, non sono d’ac-cordo. E allora, che cosa ce neimporta? Quindi invece di dire nonsono d’accordo dire: guarda, non tiseguo, come fai a dire questa cosa?,spiegami come, quali sono le tue as-sunzioni implicite, le tue interpreta-zioni, le tue sicurezze, le cose su cuiper te non c’è dubbio.

Quali le tue certezze, le tue aspet-tative soprattutto. Non so se ho ri-sposto a tutti, spero di sì.

Carmelo TrunfioFacciamo un ultimo blocco di tre

domande.

Maria Laura TortorellaMaria Laura Tortorella del Masci.

Io più che una domanda vera e pro-pria volevo intanto ringraziare per glispunti bellissimi, perché danno forzasicuramente alla nostra azione, sia dieducatori, tentare di essere educatori,e sia comunque abitanti di un terri-torio che ha determinate peculiarità.Rifacendomi anche ad alcuni inter-venti precedenti, volevo dire questo:nel momento in cui parliamo di cre-scere 2.0 e oltre, noi tentiamo di es-sere educatori, ma siamo educandi,lo sentiamo fortemente e mi ritrovosul fatto che questa non può non es-sere una sfida per noi, perché, nelmomento in cui dovessimo cessare diritenerci tali, bloccheremmo anche lepotenzialità, quello che possiamo co-munque tradurre concretamente in

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aiuto, in sostegno per i nostri giovani.In questo, mi piace molto anche il col-legamento che Lei ha fatto all’educa-zione e alla competenza sociale,quindi lo collegherei ancora ulterior-mente se è possibile alla testimo-nianza diretta, nel senso che per farcapire che crediamo in qualcosa, chela riteniamo utile, in alcuni momentiforse una delle cose più fattibili è pro-prio quella di testimoniarlo concreta-mente e se i nostri giovani, i nostrifigli, i nostri ragazzi vedranno chenoi dedichiamo alla fine una granparte del nostro tempo a determinateattenzioni sociali, a determinate ri-sposte di cittadinanza attiva, o tenta-tivi in tal senso si chiederanno ilperché e magari ci accompagne-ranno. E allora, più che una domandauno stimolo all’assemblea di oggi: cisiamo ritrovati per esempio comeMasci-Agesci come una delle primeoccasioni significative di riflessione,che possa realmente essere oggi que-sta occasione una di quelle che ci puòportare avanti insieme, cioè che daqui proviamo a fare questa rete con-creta nel nostro territorio, proviamoa mettere in gioco insieme questeagenzie educative che devono intera-gire, e cercare di portare ai ragazzidei modelli univoci, senza disorien-tarli.

Quindi, ecco, uno sprone per tuttinoi, perché possiamo poi in questocammino di rete dare spazi alle ideeprogettuali che possono partire diret-tamente dai nostri ragazzi, perché inalcuni momenti, sia a casa, che ascuola, che in campo Agesci o altro,ci ritroviamo a chiederci cosa fare,cosa progettare ancora, e forse anche

loro possono dire la loro, anche per lavalenza del nostro territorio, per ri-portare fuori un territorio che noi vo-gliamo diverso e non ci piaceadattarci a quello che dobbiamo su-bire, perché vogliamo reagire a que-sto.

Ecco, provare a vedere insieme aloro cosa ci possiamo inventare percreare un territorio nuovo, dove lagioia non può non esserci, perché innessun posto del mondo dove ci sonoproblemi può esserci solo dolore, maci sarà anche gioia.

E infine la capacità e la richiesta,che forse dobbiamo farci da adulti, èanche di spostarci e di accantonarciun attimo per lasciare spazio a loroquando vediamo che sono arrivati aun livello di competenza, di capacitàe di autonomia tale da poterlo fare dasoli per andare avanti al posto nostro.

Concetta SaffiottiConcetta Saffioti del gruppo Palmi

Uno. Anche io volevo ringraziarlaper gli spunti bellissimi di riflessione.

Ne discutevamo ieri anche con ladottoressa Colombo, che spesso siguardano i giovani come dei conteni-tori destinatari di questo, destinataridi quello, quando invece sono leagenzie oggi ad essere in crisi perchéè la società in crisi.

Ecco, che ho messo in discussioneparecchie cose.

Quindi, è presuntuoso pretenderedi insegnare o dover insegnare qual-cosa. Mi è piaciuta moltissimo questasua visione dello scambio col gio-vane, forse perché, avendo dei ra-gazzi vedo che è molto più proficuo.

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sotto l’aspetto prettamente didattico,hanno tantissimo da insegnarci, lamia domanda riguarda invecel’aspetto emotivo, emozionale, cioèun adulto è in formazione e, inquanto tale, portatore anche di debo-lezze, portatore di fragilità, fino a chepunto dobbiamo dimostrare ai nostrigiovani queste debolezze, queste fra-gilità con il rischio di apparire pococredibili?

L’adulto è come un albero, un so-stegno, siamo presuntuosi sicura-mente forse nel raffigurarci tali, mapuò essere utile presentarci come so-stegno o i nostri giovani alla fine ci“sgamano” e quindi risultiamo pococredibili come adulti? Grazie.

Carmelo TrunfioGrazie. Ultima domanda, se ce n’è

ancora una.

Francesco NucaraNon sono scout, lo sono stato

qualche anno fa, faccio Azione Catto-lica. Volevo sapere, Lei ha espressouna definizione, ha detto che noi cre-iamo qualità, quando si educa si creauna qualità dell’altro. Mi sembra unpo’ presuntuoso, mi sembra ricono-scere alla nostra capacità di comuni-cazione, ammesso che io ne abbia,una capacità creativa, cioè di crearedal nulla, anche perché poi si rischiaquel discorso del violino, cioè cheuna persona che non ha la qualità delviolino fa perdere tempo. Allora midomandavo: esiste nell’altro unaqualità imperturbabile che non cam-bia mai? Come fare per riuscire a re-cepirla, a individuarla, a conoscerla ea rispettarla? Per evitare magari che

il mio impegno educativo in realtà siasbagliato e conduca l’altro versoobiettivi, verso progetti che non lo ri-guardano per niente? Questa è la do-manda. Grazie.

Carmelo TrunfioGrazie. Quindi si chiudono gli in-

terventi qui, ripassiamo la parola alladottoressa Scarpa.

Ludovica ScarpaGrazie delle domande bellissime.

La prima era più un contributo cheuna domanda, e ringrazio.

Ecco, i giovani non sono conteni-tori, e se mai dovessero esserlo ogginell’internet si possono pigliare tuttele informazioni che vogliono. Non so,io ho insegnato anche AntropologiaCulturale, e alla fine, se uno digitaantropologia culturale in Google hatutte le lezioni di Princeton in inglesedi antropologia culturale, perché do-vrebbe venire a sentire me? Vogliodire, che tutte le conoscenze siano sulweb, cambia tutto il rapporto con igiovani, perché i fatti e le conoscenzesono tutti a disposizione. Quindi noisemmai ci siamo per riflettere su que-sti fatti e queste conoscenze, rifletteresoprattutto sulle emozioni, la ge-stione delle emozioni, sulla fragilità esulla vulnerabilità. Io penso che siamolto bello per i giovani, se i grandiche li accompagnano nella loro cre-scita, parlano e mostrano la vulnera-bilità degli esseri umani, lacondividono e fanno vedere che nonvi è niente di male nell’essere fragili evulnerabili, che non è una cosa che vanascosta, ma che è una cosa che ca-pita, anzi che fa parte della vita; fin-

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gere che non sia così sarebbe finto, undare dei messaggi falsi.

Auguro a noi tutti che l’occuparcidella crescita delle persone con cuicome educatori lavoriamo implichil’occasione costante, per noi, di alle-namento all’osservazione non giudi-cante e di crescita personale. Grazie.

Conclusioni

Sandro Repaci

Il pranzo è pronto e i rovers del ca-tering premono alle porte, quindisolo poche parole, con le quali miguardo bene, visto le spessore dellerelazioni e la qualità degli altri inter-venti, di tentare sia pur minimante ditrarre le conclusioni di queste duegiornate.

Mi limiterò a quella che ritengoper adesso la cosa più importante,vale a dire i ringraziamenti : all’Age-sci, al Masci, alla Comunità ScoutBrutia e a Teofilo Maione che ci ha se-guiti e stimolati nel corso della pre-parazione del Convegno, al ConvittoNazionale, alla Sied, alle amiche diAgiduemila, al Laboratorio Giustiziae Pace, a Don Pippo Curatola e al-l’Avvenire di Calabria,alla Provinciaed il Comune di Reggio Calabria, an-cora all’Assessore Caligiuri e a S.E.Mons. Mondello che ha voluto esserecon noi stamane a conclusione dellaSanta Messa. A quanti sono stati alsupporto della struttura di questoevento: Rocco Laganà nostro webma-ster, Piero Gavinelli che ha curatotutte le soluzioni grafiche, al ClanFuoco Tre Cime e alla Comunità Capidi Campo Calabro, al Clan Montaltodel Gruppo RC 1.

Un grazie particolare a Don De-metrio Sarica, Rettore del Seminarioche ci ha ospitati in questo solennescenario in un atteggiamento non disemplice elargitore di uno spazio, mabensì di un consigliere fraterno, at-tento e generoso,in una dimensione

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pastorale e catechetica che dell’acco-glienza ha fatto un tratto distintivodel suo impegno quale Rettore delSeminario. Un grazie anche ai suoiimpagabili e generosi seminaristi.Permettetemi di dire, a titolo perso-nale, che non vi è, ne avrei immagi-nato, di concludere in manieramigliore il mio mandato di Presi-dente del Centro Studi.

Undici anni di mandato non sonopochi, e per chi mi conosce, e conoscela mia propensione a sgomberare ilcampo rapidamente, sono persinotroppi, così come non sono nem-meno poche le iniziative che hannoattraversato l’attività del CentroStudi dalla sua trasformazione in as-sociazione, avvenuta nel 1998 sinoad oggi.

Le ricordo tutte, con gioia e anchecon un po’ di perplessità se pensoalla dimensione delle avventure nellequali ci siamo lanciati: dal rocambo-lesco salvataggio degli archivi storicidell’ASCI stipati in quell’umido can-tinato dell’Istituto De Amicis al lorotrasferimento alla canonica del San-tuario di Modena, agli anni difficilidella convivenza fisica con gli spazidestinati alle iniziative parrocchiali,al trasferimento della sede del centronei finalmente dignitosi locali delCentro Polifunzionale Comunale diCampo Calabro. E poi ancora l’ambi-zioso progetto, secondo in Italia dopoquello del centro di DocumentazioneAgesci, di catalogazione e riordinodell’archivio, il riconoscimento di ar-chivio di interesse storico, l’acquisi-

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zione di nuovi e preziosi fondi, il ri-trovamento degli archivi storicidell’AGI Calabria, i quattro libri e lenumerose tesi di laurea che con au-tori diversi hanno visto la luce graziealla consultazione dei nostri archivi, iquattro Convegni promossi dal Cen-tro Studi, la nascita della rivista Bru-tium recuperando il nome dellarivista per capi diretta dall’indimen-ticabile Don Mimmo Morabito, la ca-talogazione ed il riordino dellabiblioteca, il sito web, il contributodato nell’anno del Centenario al film“Il grande gioco” ed ultima in ordinedi tempo, ma soverchiante in terminidi impegno e risonanza, la grande av-ventura della Mostra del Centenario“I bufali a Kensington Gardens”, cheha richiamato a Reggio Calabria cin-quemila persone da tutta la regione.

Abbiamo cercato, in questi anni dirispondere allo scopo per il quale ilCentro Studi è nato: quella di essereal servizio dello scautismo calabresein materia di conservazione della suamemoria storica e di farci carico au-tonomamente o su input dell’Agescie del Masci di momenti di riflessionee di approfondimento su tematicheeducative e cito per tutti lo studio sulnuovo distintivo regionale e i conve-gni sul trentesimo anniversario dellaRoute Regionale r/s del 1976 equello di oggi.

L’abbiamo fatto con i limiti del-l’impegno dei volontari e nella po-chezza delle nostre risorse materialie speriamo di avere fatto un serviziodiscreto e non invadente, consape-vole del fatto che le politiche associa-tive e le iniziative educative sonoesclusiva pertinenza delle associa-

zioni scout ed in particolare del-l’Agesci e che al Centro spettano solocompiti di supporto ,sostegno e ri-cerca e studio per le azioni delle as-sociazioni.

Tutto ciò non sarebbe certamentestato possibile senza l’incondizionatoe concreto sostegno del quale ab-biamo goduto in questi anni da partedei Responsabili Regionali, molti deiquali sono presenti in questa sala, chesi sono succeduti in questo ruolo nel-l’Agesci e dei Segretari Regionali delMASCI, fra i quali consentitemi di ri-cordare Totuccio Catanese, tornatopoco tempo fa alla Casa del Padre eche ci ha consentito di ricostruireparte degli archivi storici del MASCI.

Abbiamo cercato in questi anni dicostruire fra quanti sono stati nelloscautismo ed oggi hanno responsabi-lità nei più svariati settori della vitasociale, politica ed economica dellaCalabria, una rete discreta ma solida,cercando, nei limiti dei quali primaho parlato, di assumere quando ri-chiesto compiti di rappresentanza edi testimoniare uno stile delle coseben fatte tipico dello scautismo e chespesso è il suo biglietto da visita perle altre agenzie educative e per le isti-tuzioni.

Abbiamo insomma cercato di te-stimoniare l’affermazione di BadenPowell, cioè quanto gli scouts siano“passabili in un salotto” oltreché “in-dispensabili in un naufragio”.

Ancora grazie a tutti.

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Bibliografia consigliata

Belotti V. - (a cura di), Costruire senso, negoziare spazi. Ragazzi e ragazzenella vita quotidiana, in “Quaderni e documenti” del Centro Nazionale di do-cumentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, n. 50, novembre 2010.La versione on line è scaricabile dal sito: http://www.minori.it/?q=node/2475

Besozzi E. - (a cura di) (2007), Il genere come risorsa comunicativa. Ma-schile e femminile nei processi di crescita, FrancoAngeli, Milano.

Besozzi E., Colombo M., Santagati M. - (a cura di) (2009), Giovani stranieri,nuovi cittadini. Le strategie di una generazione, FrancoAngeli, Milano.

Besozzi E. - (a cura di), Giovani alla prova: tra agency e chance di vita,num. monogr. di “Studi di sociologia”, 1, 2012 (in corso di stampa).

Bisi S. - I giovani e internet. Promesse e trabocchetti, FrancoAngeli, Mi-lano, (2003).

Boldizzoni D. – Sala M.E. - (a cura di) (2009), Generazione Y. I surfisti nellarete e il mondo del lavoro, Guerini, Milano.

Bonini R. - Una transizione generativa. I giovani-adulti volontari, LED,Milano, (2005).

Buchanan Mark, “Nexus. Perché la natura, la società, l’economia, la co-municazione funzionano allo stesso modo“, Mondadori - 2004

Buzzi C., Cavalli A., de Lillo A. - (a cura di) Rapporto giovani. Sesta inda-gine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna,(2007).

Cesareo V. - (a cura di), Ricomporre la vita. Gli adulti giovani in Italia, Ca-rocci, Roma, (2005)

Diamanti I. - La generazione invisibile, Edizioni Il Sole 24 Ore, Milano.(1999)

Donati P., Colozzi I. - (a cura di) Giovani e generazioni. Quando si crescein una società eticamente neutra, Il Mulino, Bologna (1997)

Giaccardi C. - (a cura di), Abitanti della rete. Giovani, relazioni e affettinell’epoca digitale, Vita e Pensiero, Milano, 2010.

Gordon Thomas - Insegnanti efficaci, Giunti editore, Firenze 1991Lo Verde F.M. - (S)legati (d)al lavoro. Adulti giovani e occupazione tra ri-

composizione e frammentazione sociale, Franco Angeli, Milano, (2005).Mannheim Karl - Il compito delle generazioni – Edizioni Il Mulino Pasqualini C. - Adolescenti nella società complessa, FrancoAngeli, Milano,

(2005).

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Rinaldi E. - Giovani e denaro. Percorsi di socializzazione economica, Uni-copli, Milano, (2007).

Rivoltella P. - Screen Generation. Gli adolescenti e le prospettive del-l’educazione nell’età dei media digitali, Vita e Pensiero, Milano, (2006).

Scarpa Ludovica - L’arte di essere felici e scontenti, Bruno Mondadori, Mi-lano 2006

Scarpa Ludovica - Registi di se stessi, Bruno Mondadori, Milano 2008Scarpa Ludovica - Microetica portatile per gente carina, Arca, Grosseto,

2008Scarpa Ludovica - La capra canta. 52 scelte per imparare a vivere meglio

con la competenza sociale, Ponte alle Grazie, Milano 2009Scarpa Ludovica - Senza offesa fai schifo. La critica che fa bene agli altri e

fa star meglio te, Ponte alle Grazie, Milano 2011Scifo B. - Culture mobili. Ricerche sull’adozione giovanile della telefonia

cellulare, Vita e Pensiero, Milano. (2005).Stefanelli M. - (a cura di) Media+Generations, Summary Report, Vita e

Pensiero, Milano, (2009)Watzlawick Paul - La realtà inventata, Feltrinelli, Milano 2006

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Gli organizzatori

CENTRO STUDI MONSIGNOR LEMBO

Nato nel 1994 su iniziativa dell’AGESCI e trasformato nel1998 in associazione, ha fra i suoi scopi quelli di conservaregli archivi storici dello scautismo calabrese e di contribuirealla ricerca storico documentaria sulla pedagogia e sul me-todo scout con particolare riferimento all’esperienza dellaCalabria. Il 3 novembre 2005 la Soprintendenza Archivisticaper la Calabria ha dichiarato l’Archivio storico conservatopresso il Centro Studi “di particolare interesse storico”.

AGESCI – Comitato Regionale Calabria

L’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI),che conta in Italia più di 177.000 soci, è un’associazione gio-vanile educativa che si propone di contribuire, nel tempo li-bero e nelle attività extra-scolastiche, alla formazione dellapersona secondo i principi ed il metodo dello scautismo,adattato ai ragazzi e alle ragazze nella realtà sociale italianadi oggi. L’Agesci è la più grande associazione giovaniledella Calabria, dove conta più di settemila soci ed è pre-sente con più di cento Gruppi Scout.

COMUNITA’ SCOUT BRUTIA

E ’ una Comunità nata nel 1978 con lo scopo di mantenerei legami fra gli adulti che hanno vissuto l’esperienza scoutprima nell’ASCI e poi nell’AGESCI a Reggio Calabria. E’stata fondata da adulti residenti in Calabria e fuori dalla re-gione che hanno in comune l’ispirazione , nei vari campinei quali hanno realizzato le proprie esperienze professio-nali, ai valori universali della Legge e della Promessa Scout.

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Di essa fanno parte professionisti, giornalisti, personalità pubbliche, religiosiche nella loro azione quotidiana si rendono disponibili al sostegno dello scau-tismo giovanile, alla sua promozione e diffusione nella regione.

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In collaborazione con

MASCI CALABRIA

Il Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani ha come scopiprincipali quelli di favorire l’impegno personale di ogniAdulto scout a vivere un percorso di educazione perma-nente secondo i valori dello scautismo, mantenendone vivolo spirito nella famiglia, nella convivenza civile e nellaChiesa, promuovere una presenza di testimonianza eccle-siale e civile per un’opera costante di evangelizzazione e dipromozione umana.In Calabria il MASCI conta circa 400 soci.

CONVITTO NAZIONALE DI STATO “T.Campanella”

Fondato nel 1861, per la trasformazione in Convitto del Col-legio dei Gesuiti risalente al 1564, il Convitto Nazionale èfra i più antichi e prestigiosi istituti scolastici della Calabria.L’Istituto offre un percorso formativo che comprende laScuola Primaria, la Scuola Secondaria di 1° grado, il LiceoClassico d’ordinamento ed il Liceo Classico Europeo.E’ una istituzione educativa in continuo movimento, unapostazione di avanguardia didattica, luogo d’elezione disperimentazione che è entrata a far parte del progetto eu-ropeo della “scuola d’eccellenza” nata dalle politiche co-munitarie delineate a Maastricht .

AGIDUEMILA L’Associazione di Volontariato Agiduemila nasce nel 1991con lo scopo di testimoniare, attraverso attività di servizio,valori quali la solidarietà, la partecipazione attiva, la re-sponsabilità verso le fasce più deboli della società. Tali va-lori, vissuti in età giovanile dalle fondatrici di Agiduemilaattraverso l’esperienza scautistica, vengono riaffermati e

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proiettati nel presente e nel futuro di tutto il gruppo delleassociate . Scelta di fondo dell’Associazione Agiduemila èstata quella di offrire attività di socializzazione e percorsidi autonomia e di promozione della dignità della personaa donne condizionate da disabilità motoria o psichica.

E’ nata per iniziativa della SIED S.r.l. inReggio Calabria .Si tratta di un’organiz-

zazione sociale che intende diffondere la conoscenza dellacultura della tecnologia dell’informazione. Promuove e so-stiene progetti di ricerca innovativa realizzati in diversi set-tori produttivi e supporta l’inserimento nel mondo dellavoro le donne e le persone svantaggiate.

SIED “Associazione per l’I.C.T.”

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Patrocini accordati

Assessorato Regionale alla Cultura, Istruzione, Ricerca

Assessorato Provinciale all’Ambiente

Comune di Reggio Calabria Assessorato PoliticheSociali e della famiglia

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Ringraziamenti

Seminario Arcivescovile PIO XI – Reggio Calabria

Don Pippo Curatola – Avvenire di Calabria

Rocco Laganà – Webmaster Centro Studi Lembo

Piero Gavinelli – Grafica del convegno

Enzo Maria de’ Liguoro - Progetto Teatrale “Rose Rosse”

Clan/Fuoco Tre Cime e Co.Ca. gruppo Agesci Campo Calabro 1°

Clan/Fuoco Montalto gruppo Agesci Reggio Calabria 1°

Laboratorio di Animazione Sociale della diocesi di Reggio Calabria

Gruppo Logistica convegno - Cesare Cosentino, Mimmo Caridi, FrancoLongo, Franco Nocera, Nello Crea, Gino Spinelli, Piero Cutrupi.

Giorgio Gatto – Gazzetta del Sud

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Partecipanti

Cognome e nome Provenienza Appartenenza

Acri Francesca Laurignano extra ass.Agapito Pietro Lamezia Terme AGESCIAlfieri Vittorio Reggio Calabria Com. Scout BrutiaAloe Francesco Cosenza AGESCIAngelone Giuseppe Maria Reggio Calabria MASCIAricò Francesco Campo Calabro Convitto Naz. CampanellaArillotta Luciano Reggio Calabria AGESCIBarresi Verduci Carmelo Villa San Giovanni Convitto Naz. CampanellaBolognino Rosanna Siderno AGESCIBorrelli Valeria Lamezia Terme AGESCIBottari Sara Reggio Calabria Agi2000Campagna Francesco Vibo Valentia AGESCICandido Sebastiano Bovalino AGESCICaputi Rosamaria Cosenza AGESCICardamone Mafalda Lamezia Terme AGESCICaridi Domenico Reggio Calabria AGESCICaridi Fabio Rosarno AGESCICariello Monica Vibo Valentia AGESCICartellà Francesca Reggio Calabria UCICasadonte Sergio Palmi AGESCICatanoso Adriana Reggio Calabria Agi2000Ceraso Luigi Vibo Valentia AGESCICersoso Tullio Cosenza AGESCICerto Ritorto Samantha Siderno AGESCICinanni Paola Campo Calabro ICS L. Radice Campo Cal.Cipolla Sara Castrolibero AGESCIColaci Fabio Vibo Valentia AGESCIColuccio Monica Siderno A GESCICosentino Cesare Reggio Calabria Com. Scout BrutiaCostantino Marzia Reggio Calabria AGESCICostanzo Angela Lamezia Terme AGESCICotrona Rocco Gioiosa Jonica AGESCICrea Antonino Campo Calabro Convitto Naz. CampanellaCrea Sebastiano Reggio Calabria AGESCICreaco Santo Campo Calabro AGESCICrimeni Laura Gioisa Jonica MASCICrucitti Elena Reggio Calabria AGESCICrucitti Maria Luisa Reggio Calabria AGESCI

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Crudo Nazzareno Vibo Valentia AGESCICrupi Fabrizio Siderno AGESCICutrupi Margherita Reggio Calabria MASCICutrupi Pietro Reggio Calabria MASCID’Alessandro Marie Josè Belvedere Marittino MASCID’Alife Alessandro Crotone ………….D’Alife Giovanni Eugenio Crotone AGESCIDe Rango Valentina Rende AGESCIDi Cello Gennaro Platania AGESCIDi Cello Giovanna Lamezia Terme MASCIDonato Rosa Cosenza AGESCIEsposito Anna Chiara Platania AGESCIFacciolà Mariangela Villa San Giovanni AGESCIFarina Maria Rita Crotone AGESCIFederico Maria Rosa Bovalino AGESCIFerro Ignazio Reggio Calabria CS LemboFiamingo Giovanni Locri AGESCIFiamingo Giuseppe Locri AGESCIFiorellini Stefania Vibo Valentia AGESCIFloccari Dominella Villa San Giovanni AGESCIFolino Angela Platania AGESCIFortino Michele Cosenza AGESCIFortuna Giovanna Vibo Valentia AGESCIFranzè Orazio Vibo Valentia AGESCIGalletta Vincenzo Palmi AGESCIGallo Bruno Platania AGESCIGiglietta Marina Campo Calabro AGESCIGiordano Antonella Reggio Calabria AGESCIGiunta Ylenia Rita Campo Calabro AGESCIGreco Concetta Vibo Valentia AGESCIGregorini Maria Siderno AGESCIGregorini Vincenzo Siderno AGESCIIannace Camillo Torano Castello AGESCIIannizzi Daniela Siderno AGESCIJacopetta Sara Gioiosa Jonica AGESCILaganà Roberta Reggio Calabria AGESCILamberto Maria Gioiosa Jonica MASCILembo Marco Carmelo Saline Joniche AGESCILipomi Giusy San Costantino C. AGESCILo Riggio Fortunato Vibo Valentia AGESCILongo Franco Reggio Calabria AGESCILuongo Andrea Lamezia Terme AGESCIMacrì Vincenzo Gioiosa Jonica MASCIMaione Teofilo Reggio Calabria Com. Scout BrutiaMangialavori Giusy Vibo Valentia AGESCIMarafioti Alberto Palmi AGESCIMarcelli Annarita Gioiosa Jonica MASCI

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.0Marra Adriana Campo Calabro AGESCIMarrapodi Luigi Reggio Calabria AGESCIMascianà Saverio Reggio Calabria AGESCIMazzei Luigi S. Marco Argentano AGESCIMeduri Caterina Reggio Calabria AGESCIMele Alessandro Cosenza AGESCIMercuri Elisabetta Lamezia Terme MASCIMessina Antonello Vibo Valentia AGESCIMirabelli Manuela Cosenza AGESCIMorgante Cristina Campo Calabro AGESCIMuià Maria Elena Reggio Calabria AGESCIMuraca Carmelina Lamezia Terme AGESCIMuraca Francesco Platania AGESCINesci Massimo Siderno AGESCINicolò Carmela Reggio Calabria Convitto Naz. CampanellaNovembre Francesca Gioiosa Jonica AGESCIPatafi Grazia Campo Calabro AGESCIPietrafesa Antonella Reggio Calabria AGESCIPlacanica Serafina Reggio Calabria AGESCIPlastina Emilio Cosenza AGESCIPolitanò Maria Rosaria Rosarno AGESCIPolito Domenico Reggio Calabria AGESCIPolito Maurizio Reggio Calabria AGESCIPontari Giuseppe Vibo Valentia AGESCIPresto Giuseppe Reggio Calabria AGESCIQuaranta Francesco Siderno AGESCIRaco Emanuele Gioiosa Jonica AGESCIRavenda Roberta Reggio Calabria AGESCIReda Silvia Cosenza AGESCIRepaci Giuseppe Campo Calabro AGESCIRepaci Sandro Campo Calabro CS LemboRiso Aldo Reggio Calabria MASCIRomeo Liliana Siderno AGESCIRomeo Pasquale Reggio Calabria AGESCIRuberto Innocenza Lamezia Terme MASCIRuello Nicola Cosenza AGESCIRuggeri Giuseppe Lamezia Terme AGESCIRuggiero Angela Torano Castello AGESCIRusso Caterina Crotone AGESCISaccà Mimmo Reggio Calabria AGESCISaffioti Concetta Palmi AGESCISainato Valeria Gioiosa Ionica MASCISatriano Riccardo Goiosa Jonica MASCIScalise Rachela Platania AGESCIScaramuzzino Nunzio Locri AGESCIScorzafava Maria Antonia Catanzaro AGESCISemprevivo Dora Cosenza AGESCI

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Sergi Caterina Campo Calabro AGESCISergi Ippolita Campo Calabro AGESCISiclari Giuliana Reggio Calabria AGESCISilipo Domenico Vibo Valentia AGESCISpanò Luigi Reggio Calabria AGESCIStllitano Maria Reggio Calabria AGESCIStumbo Antonio Vibo Valentia AGESCITesoriero Gennaro Cosenza AGESCITortorella Maria Laura Reggio Calabria MASCITrapasso Rosalba Catanzaro AGESCITrunfio Carmelo Villa San Giovanni CS LemboTucci Natalia Crotone AGESCIVaccaro Angelo Platania AGESCIValerioti Antonio Palmi AGESCIVazzana Rosalba Reggio Calabria AGESCIVeneziani Nicola Modugno AGESCIVescio Basilio Platania AGESCIVivacqua Andrea Cosenza AGESCIZaccure Daniele Saline Joniche AGESCIZampaglione Francesco Saline Joniche AGESCI

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.0RISULTATI QUESTIONARIO DISTRIBUITO AI PARTECIPANTI

Argomenti punteggioCONTENUTI TRATTATI AL CONVEGNO 9,0181INTERAZIONE TRA I PARTECIPANTI 7,8314IL TUO CONTRIBUTO AL LAVORO COMUNE 7,7381

Questionari distribuiti n. 138Questionari raccolti n. 86Valore punteggi per singola domanda da 1 a 10

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BRUTIUMRivista del Centro Studi sullo scautismo “Don V. Lembo”

Centro Regionaledi Studi e Documentazionesullo scautismo“Don V. Lembo”

Reggio Calabria, 15/16 gennaio 2011

ATTI DEL CONVEGNO

N. 3/2011

Nella scuola del futuro non ci sono banchi rotti, muri sporchi ed edifici fatiscenti. Per laverità non ci sono proprio i banchi, i muri e gli edifici. E nemmeno le cattedre. Ci sonosoltanto gli unici due elementi indispensabili, i docenti, ma quelli bravi davvero, e gli stu-denti, tantissimi studenti, mai visti tanti studenti in una sola classe.Dal 12 ottobre 140 mila studenti, provenienti da 175 nazioni, seguiranno il corso di In-telligenza Artificiale della Stanford University sino al 12 dicembre, giorno dell’esame fi-nale. Per seguire la lezione ognuno se ne starà, in giro per i 5 continenti, a casa propria,o magari in un parco con il laptop sulle ginocchia, oppure starà facendo altro e si colle-gherà in rete quando gli sarà più comodo rivedere la lezione del professore su YouTube.

“Benvenuti nella scuola 2.0” - Riccardo Luna – Repubblica, 12.10.2011

Questo numero di BRUTIUM è stato stampato grazie al contributo dell’Agesci Calabria

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