Creare un marchio per ridare polpa alla frutta ferrarese #ferrara
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23/3/2015 Creare un marchio per ridare polpa alla frutta ferrarese #Ferrara
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GLI SPECIALI DI FERRARAITALIA
Monica Forti
19 marzo 2015
Stefano Calderoni è il
presidente provinciale della
Confederazione italiana
agricoltori (Cia) di Ferrara
DIALOGHI x IL SETTIMANALE x Primo piano
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Creare un marchio per ridare polpa alla frutta ferrarese
Nessun romanticismo, ma duro lavoro e nuove sfide per cercare un punto d’equilibrio tra mercato,produzione e commercializzazione di frutta, verdura e cereali nell’interesse dell’uomo, della natura e, nonultimo, di una sana economia. Un processo indispensabile cui si affiancano alcune esigenze: creare nelFerrarese un marchio di prestigio spendibile a livello nazionale e internazionale, puntare sull’innovazioneapplicata all’agricoltura e sulla multifunzionalità delle piccole aziende. E’ la chiave di lettura che StefanoCalderoni, 33 anni, ex assessore provinciale e presidente della Confederazione italiana agricoltori diFerrara, dà a un comparto su cui è fondata gran parte della nostra economia. “La nostra agricoltura èdiventata con il passare del tempo sempre più industriale, sicché lo spazio per i giovani e le piccoleimprese è sempre più marginale – spiega – Tra gli aspetti penalizzanti c’è poi la mancanza di identità dellenostre produzioni. Nonostante i 7mila ettari coltivati a pera, che ci rendono leader della produzionenazionale di cui deteniamo il 35 per cento, non abbiamo una reputazione tale da incidere come sipotrebbe sul mercato nazionale e internazionale”.
Le aziende familiari vanno perdendosi, nulla sembra favorire l’insediarsi diimprese giovani o rinnovate, oggi chiamate a fare i conti con affitti delterreno sempre più alti. La maggior parte della terra è nelle mani di unpugno di produttori così, come ogni cosa rara, il suo costo lievita: “Nell’arcodi poco tempo il prezzo delle locazioni è raddoppiato – dice - se l’affitto diun ettaro si aggirava sui 700 euro, oggi può arrivare a 1.500”. La situazionenon è brillante tanto più in rapporto al mancato rendimento degliinvestimenti: “Si arriva a produrre a 30 per vendere a 25 centesimi al chilo”,sottolinea. A farne le spese sono soprattutto le piccole realtà, destinate ascomparire per la mancanza di ricambio generazionale e per le difficoltà,operata principalmente dalla pressione fiscale, imposte a chi vorrebberilevarle. “Subentrare nella gestione, magari avendo lavorato nellamedesima azienda, ha costi altissimi - continua – E’ il motivo per cuiabbiamo proposto di inserire nel disegno di legge una serie di sgravi per
incoraggiare la continuità di attività altrimenti destinate a morire”.
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L’assenza di un’identità di pregio, situazione molto ben risolta dal marketing intrapreso dal consorzioMelinda, ci ha portato a ignorare le nostre opportunità, una delle quali sta nel far fruttare al meglio ilriconoscimento Unesco di cui godiamo: “Il consorzio trentino dà oggi il prezzo della mela. Ha fatto delmarketing, ha usato l’e-commerce raggiungendo risultati importantissimi. Se noi fossimo californiani,avremmo già emesso un nostro marchio, sfruttato i vincoli e i vantaggi di vivere sotto l’ombrellodell’Unesco – continua – Il tentativo di essere riconosciuti come riserva nell’ambito del progetto L’Uomo ela biosfera poteva rivelarsi una buona occasione anche per l’agricoltura, ci avrebbe permesso direcuperare le caratteristiche delle produzioni di pianura scomparse con l’avvento dell’agricolturaindustriale”.
La concentrazione agricola ha cancellato non solo la varietà di piante, ma anche la vocazione a produrrecibo, che insieme alla disponibilità d’acqua, è oggi uno degli elementi fondanti della geopolitica. Se laspeculazione aggressiva inghiottirà il mercato, una grande fetta di mondo sarà destinata a un ben tristedestino. E’ un problema che riguarda tutti da vicino. “La Cina compra terra in Africa, la fa coltivare allamanodopera locale e si porta a casa le produzioni. In questo non c’è alcuna solidarietà sovralimentare –prosegue - E’ la questione delle questioni, ne capiamo la portata, ma il nostro modello economicocondiziona l’attività degli agricoltori. I prezzi li valuta la borsa, non siamo noi a determinarli, li subiamo”.Soluzioni? “Stiamo cercando di sviluppare una proposta sindacale basata sulla difesa del territorio,sull’etica e l’identità - spiega - Non è nella prossimità che si consolida il miglior rapporto tra produttore econsumatore, ma nel modo rispettoso di produrre a tutti livelli. E’ innegabile che dietro ai prezzi bassi cisia un processo di sfruttamento a cominciare dalla manodopera”. Invertire la marcia è possibile? Si speranella politica e ci si prova con progetti come “Donne in campo”, con le produzioni di nicchia, biologiche,diversificate, le collaborazioni sperimentali come quella con l’Istituto Navarra e il Cnr, le sturt up dedicateall’innovazione che vanno dalla domotica al servizio dell’agricoltura alle aziende a impatto zero, dallafattoria didattica alle produzioni solidali di filiera corta come “Terra-Luna”. E’ancora un microcosmo avisibilità ridotta, ma tradisce vivacità, desiderio di esistere, di diventare futuro.
C’è poi il prossimo convegno FuturPera, il salone internazionale della pera, in programma dal 19 al 21novembre, una ricchezza per la città e la sua provincia coinvolte per tre giorni dall’iniziativa. “Si tratta diun focus sulla pera pensato per scrivere una sua nuova storia, per stimolare il consumo interno el’export. Non basta saper produrre è necessario saper vendere bene il proprio prodotto - spiega –Esportiamo il 48 per cento delle pere in Germania, lo facciamo con una ventina di piattaforme, mentre inostri concorrenti Belgio e Olanda, lo fanno insieme, consapevoli del fatto che le strategie commercialinon possono prescindere dalla massa critica e dalla velocità della risposta alla domanda di fornitura”.L’evento ospita anche Interpera, dedica spazio all’innovazione, concilia la parte tecnica alle tendenze dimercato, si adopera per l’accoglienza dei compratori stranieri e per la prima volta propone il “business tobusiness. FuturPera è un appuntamento importante per concentrarsi sulle esportazioni. “Pur restando ilterzo brand, fenomeno dovuto all’aumento dei consumi, nell’export siamo più indietro degli altri – dice -La Germania arriva a 20 miliardi di euro e, i dati Nomisma, danno in crescita i paesi del sud America”.Correre ai ripari è indispensabile, tanto più a fronte di recenti scricchiolii legati al fermo dell’export inRussia dovuto, secondo Calderoni, non tanto all’embargo quanto al crollo economico del Paese, e in Libia,dove il prodotto di piccolo calibro aveva un suo mercato, cancellato dalla pericolosità dei venti di guerra.
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