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1 COSMOS di Carl Edward Sagan, 1980. Edizione italiana a cura di Antonio Schiavone, agosto 1990. Pubblicazione a cura di Bruno Moretti Turri IK2WQA, SETI ITALIA G. Cocconi Adattamento in PDF per il sito fondocarlabetlamini.org ad opera di Andrea Betlamini. Pictures: Lynette René Cook courtesy.

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COSMOS

di Carl Edward Sagan, 1980.

Edizione italiana a cura di Antonio Schiavone, agosto 1990.

Pubblicazione a cura di Bruno Moretti Turri IK2WQA, SETI ITALIA G. Cocconi

Adattamento in PDF per il sito fondocarlabetlamini.org ad opera di Andrea Betlamini.

Pictures: Lynette René Cook courtesy.

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"We are all lying in the gutter, but some of us are looking at the stars." "Giaciamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano alle stelle." Oscar Wilde

01 - INIZIA IL VIAGGIO ATTRAVERSO IL COSMO PAG 4 02 - LA VITA NELLO SPAZIO PAG 12 03 - L'INFORMAZIONE PAG 19 04 - IL FUTURO DELL'UMANITÀ PAG 26 05 - ASTRONOMIA E ASTROLOGIA PAG 32 06 - L'ESPLORAZIONE SPAZIALE PAG 40 07 - NASCITA, VITA E MORTE DELLE STELLE PAG 47 08 - LA NASCITA E IL TIPO DI UNIVERSO IN CUI VIVIAMO PAG 55 09 - SETI, LA RICERCA DI CIVILTÀ EXTRATERRESTRI PAG 62 10 - I VIAGGI INTERSTELLARI PAG 69 11 - LE CATASTROFI COSMICHE PAG 76 12 - MARTE, IL PIANETA ROSSO PAG 83

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Inizia il viaggio attraverso il cosmo

Il cosmo è tutto ciò che esiste, che sia mai esistito e che esisterà sempre. La

consultazione del cosmo ci emoziona. Un brivido ci percorre, la

paragoniamo a quella vaga emozione come un ricordo remoto di precipitare

da una grande altezza, ci rendiamo conto di inoltrarci nel più grande dei

misteri. Le dimensioni e l'età del cosmo sono al di là della comune

comprensione umana, sperduta in un luogo compreso tra l'immensità e

l'eternità c'è il nostro minuscolo pianeta, la Terra. Per la prima volta

l'umanità ha il potere di decidere il destino del suo pianeta e di sé stessa. La

nostra è un'era di grandi pericoli, però la nostra specie è giovane, curiosa,

intraprendente, piena di buone promesse. Negli ultimi millenni siamo stati

capaci di portare a compimento le scoperte più sorprendenti ed inattese, sia

riguardo al cosmo che al pianeta nel quale viviamo. Sono convinto che il

nostro futuro dipenda, soprattutto, da quanto saremo capaci di capire questo

cosmo, nel quale galleggiamo così come un granello di pulviscolo viene giù

dal cielo. Adesso comincia per noi un viaggio attraverso il cosmo,

correremo incontro a galassie, a soli, a pianeti, vedremo varie forme di vita

cominciare il nuovo ciclo, evolversi e perire; mondi di ghiaccio e stelle

simili al diamante, atomi grandi come il sistema solare, interi universi più

piccoli di un atomo, ma sarà anche la storia del nostro pianeta, delle piante e

degli animali che lo dividono con noi. Inoltre, sarà la storia dell'umanità, di

come essa è riuscita ad arrivare all'attuale conoscenza del cosmo, di come il

cosmo ha plasmato la sua evoluzione, la sua cultura e di quale potrà essere il

suo destino. Noi vogliamo seguire la verità ovunque essa ci conduca, ma per

trovare la verità occorrono sia fantasia che rigore. Non avremo paura di

azzardare ipotesi, ma staremo molto attenti a distinguere le ipotesi dai fatti.

Il cosmo sovrabbonda di entità affascinanti in rapporti squisitamente

intrecciati tra loro che hanno per sfondo il grandioso meccanismo della

natura. La superficie della Terra è la spiaggia dell'oceano cosmico, su questa

spiaggia abbiamo imparato quasi tutto quello che sappiamo, però di recente

ci siamo spinti un po' nell'acqua, diciamo fino alle caviglie, e l'acqua ci

sembra invitante. Qualche parte in noi ci ricorda che è di là che proveniamo

e agognamo tornarci, e possiamo perché il cosmo è anche dentro di noi; noi

siamo fatti della stessa materia delle stelle, noi siamo un mezzo per il cosmo

di conoscere sé stesso. Ci accingiamo ad esplorare il cosmo su un astronave

della fantasia, non vincolati dai comuni limiti di dimensioni e di velocità,

guidati dalla musica unica delle armonie cosmiche. Arriveremo dovunque

nello spazio e nel tempo. Perfetta come un fiocco di neve, organica come un

seme di dente di leone, la nostra astronave ci porterà in un sonno di sogni,

fatti di realtà.

Comincia il viaggio. Davanti a noi c'è il cosmo nelle sue immense

proporzioni. Ormai siamo lontani dalle spiagge della Terra, siamo nelle

piaghe dell'oceano cosmico, non segnate su alcuna carta. Sparse sulle onde

dello spazio come spume di mare, vi sono innumerevoli striature di fucine,

alcune delle quali composte da centinaia di miliardi di soli; sono le galassie

che vagano senza fine nel grande buio cosmico. Su questa astronave della

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fantasia, ci troviamo a metà strada dal limite dell'universo conosciuto. Nel

nostro primo viaggio attraverso il cosmo, cominciamo l'esplorazione

dell'universo scoperto fino ad ora dalla scienza. Dalle profondità dello

spazio non è possibile neanche individuare il gruppo delle galassie del quale

fa parte la nostra Via Lattea, e tantomeno individuare il Sole e la Terra.

Siamo nel regno delle galassie, a otto miliardi di anni luce da casa. Ma

dovunque arriviamo, i modelli della natura sono sempre gli stessi, come la

forma a spirale delle galassie. Le leggi fisiche sono le stesse dappertutto, da

un capo all'altro del cosmo. Noi siamo appena all'inizio della comprensione

di queste leggi, perché l'universo ci nasconde ancora molti misteri. Vicino al

centro di un gruppo di galassie, si trova, talvolta, una galassia ellittica

vagante composta da migliaia di miliardi di soli.

Nel regno delle galassie, le nostre normali unità di misura della distanza non

ci bastano più, ci occorre un'unità di misura molto più grande, l'anno luce.

Equivale alla distanza percorsa dalla luce in un anno, circa diecimila

miliardi di chilometri. Non è una misura di tempo, ma di distanze enormi.

Nell'ammasso di Ercole, ogni galassia dista dall'altra milioni di anni luce,

vale a dire che per andare da una galassia all'altra la luce impiega milioni di

anni. Come le stelle, i pianeti e le creature viventi, le galassie nascono,

vivono e muoiono. Hanno tutta una loro storia molto movimentata. Il loro

nucleo può esplodere generando luce ed onde radio, enormi getti di energia

e un fragore terribile in tutto il cosmo. Qualunque astro che si trovasse nelle

vicinanze sarebbe incenerito. C'è da chiedersi quanti pianeti e quante civiltà

siano state distrutti in questo modo. Nell'ammasso di Pegaso c'è una galassia

a forma di anello, è ciò che rimane della collisione tra altre due galassie, uno

splash nell'immenso stagno cosmico. Ogni galassia può esplodere e

scontrarsi con un'altra, così come possono esplodere le singole stelle che la

costituiscono. Nell'esplosione di una supernova, c'è una stella che supera in

splendore il resto della propria galassia. Ora, vedremo ciò che i nostri

astronomi chiamano "Gruppo Locale". Su un'estensione di tre milioni di

anni luce comprende qualcosa come venti galassie, è un arcipelago poco

denso e tipico nell'immensità dell'oceano cosmico. Siamo solo a due milioni

di anni luce dalla Terra. Incontriamo una grande galassia in Andromeda, un

ciclone fatto di stelle, gas e pulviscolo. Appena lo superiamo, vediamo una

delle sue piccole galassie satellite. Il nucleo in una galassia e le stelle che la

compongono, sono tenuti insieme dalla forza di gravità. M31 è circondata

da centinaia di ammassi globulari, ci avviciniamo ad uno di essi. Ogni

ammasso orbita intorno alla massa centrale della galassia e può essere

composto anche da un milione di singole stelle.

Ogni ammasso globulare è come uno sciame di api tenute insieme dalla

gravità e ogni ape è un sole .Per andare dall'ammasso di Pegaso al Gruppo

Locale, dominato da due grandi galassie a spirale, abbiamo impiegato

duecento milioni di anni. Superata la M31, troviamo un'altra galassia molto

simile, con due braccia a spirale che compiono un giro completo ogni

duecentocinquanta milioni di anni. Ed ecco la nostra Via Lattea. E' la

galassia familiare per noi terrestri. Tra le braccia a spirale della costellazione

del Cigno noi esseri umani abbiamo sviluppato la nostra consapevolezza e,

fino a una certa misura, la nostra comprensione. Concentrati nello splendore

del suo nucleo e sparsi lungo le sue spirali, vi sono quattrocento miliardi di

soli. Per andare da una sua estremità ad un'altra, la luce impiega centomila

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anni. In questa galassia, vi sono stelle, mondi e, forse, un enorme varietà di

forme di vita, di esseri intelligenti e di civiltà orbitanti nello spazio. Sparsi

tra le stelle della Via Lattea ci sono i resti di una supernova, è quanto rimane

di una colossale esplosione stellare. I filamenti di gas luminoso sono gli

strati esterni visibili di una stella che si è autodistrutta. Il gas si diffonde

restituendo allo spazio materia stellare. Nel cuore della massa gassosa ci

sono i resti della stella originaria, costituiti da un frammento denso e

concentrato di materia chiamato pulsar, un faro naturale, un sole che compie

un giro completo due volte al secondo. Le pulsar hanno un ritmo così

regolare che la prima che fu scoperta venne scambiata per un segnale di

intelligenza extraterrestre. Enormi fari per astronavi che viaggiano per anni

luce attraverso le stelle. Forse queste intelligenze extraterrestri e queste

astronavi esisteranno, ma le pulsar non sono state create dall'uomo. Anzi, le

pulsar ci ricordano tristemente che niente dura in eterno e che anche le stelle

muoiono. Continuiamo ad avanzare nello spazio inoltrandoci per migliaia di

anni luce verso il fondo della galassia. Miliardi di fornaci nucleari

trasformano la materia in luce stellare; alcune stelle sono inconsistenti come

bolle di sapone, altre sono centinaia di miliardi di volte più dense del

piombo. Le stelle più calde sono destinate a morire giovani, le grandi stelle

rosse sono tra le più vecchie e si può escludere che facciano parte di sistemi

con pianeti abitati. Invece, le stelle nane e gialle, come il nostro Sole, sono

di mezza età e sono di gran lunga le più comuni. Normalmente, fanno parte

di un sistema planetario e, su pianeti di questo tipo, incontriamo per la prima

volta, durante il nostro viaggio, insolite forme di materia, ghiaccio, roccia,

aria e acqua.

Nella galassia della Via Lattea possono esserci molti mondi nei quali la

materia si è evoluta. Viene spontanea una domanda: gli esseri di questi

mondi saranno molto diversi da noi? Che aspetto avranno? Che tipo di

politica, di tecnologia, di musica, di religione avranno? Oppure, la loro

cultura sarà tale che noi non riusciamo a immaginarla? Sono esseri

pericolosi o no? Tra le molti nubi di gas interstellare ce n'è una che si

chiama nebulosa di Orione, che dista solo 1.500 anni luce dalla Terra. Tre

stelle molto lucenti formano la cosiddetta cintura di Orione. La nebulosa,

vista dalla Terra, appare come una macchia di luce, è la stella al centro della

spada di Orione. In realtà, non si tratta di una stella, ma di un qualcosa

completamente diverso, è una nube che nasconde uno dei tanti segreti della

natura. Ed eccoci arrivare ad una incubatrice stellare: è un posto dove

nascono le stelle. Il gas e il pulviscolo si condensano per gravità finché la

loro temperatura arriva a un punto tale che cominciano a brillare, nubi di

questo tipo indicano la nascita di stelle, così come altre testimoniano la loro

morte. E cosa avviene delle stelle dopo che si sono condensate all'interno

delle nubi interstellari? L'ammasso delle Pleiadi è un gruppo di stelle molto

giovani, pensate che hanno solo 50 milioni di anni. Queste stelle sono

ancora circondate da ciuffi nebulosi, costituiti dal gas da cui si sono formate.

Esistono delle nubi sospese tra le stelle che sembrano macchie di inchiostro,

sono formate da fini polveri di roccia, materia organica e ghiaccio. Al loro

interno, alcune stelle ruotano su se stesse, nei pressi un mondo di ghiaccio

che evapora e che forma come delle lunghe code di comete spinte indietro

dai venti stellari. Nere nubi distanti anni e anni luce vagano tra le stelle,

sono piene di molecole organiche; i materiali da costruzione per la vita sono

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dovunque, si producono facilmente. Quanti sono i mondi su cui queste

complesse molecole si sono unite, formando le premesse di quello che noi

chiamiamo la vita. Molti astri fanno parte di sistemi con due, tre o più soli

tenuti insieme dalla gravità. Ogni sistema è separato da quelli vicini da anni

luce. Adesso, ci avviciniamo ad una comune stella nana, gialla circondata da

un sistema di nove pianeti, di dozzine di lune, migliaia di asteroidi e miliardi

di comete, è la famiglia del nostro Sole. A sole 4 ore luce dalla Terra, c'è il

pianeta Nettuno con Tritone, il suo satellite gigante. Ambedue, sono tuttora

avvolti dal più profondo mistero. Anche nella immediata periferia del nostro

Sistema Solare noi esseri umani siamo ai primi passi nell'esplorazione

cosmica. Appena un secolo fa, ignoravamo perfino l'esistenza del pianeta

Plutone e la sua luna, Caronte, è stata scoperta solo nel 1978. Gli anelli di

Urano sono stati individuati nel 1977; ci sono ancora dei nuovi mondi

ancora da scoprire perfino così vicino a casa nostra. Saturno è un gigantesco

nonno allo stato gassoso, se esiste una superficie solida deve trovarsi al di

sotto delle nubi che vediamo; Saturno, con i suoi anelli formati da miliardi

di polveri orbitanti. A questo punto, siamo distanti dalla Terra solo 80

minuti luce, una sciocchezza come mezzo miliardo di chilometri. Il pianeta

più grande del nostro Sistema Solare è Giove, sulla sua faccia nascosta

enormi lampi di luce illuminano le nubi. E questo fenomeno fu rivelato, per

la prima volta, dalla sonda Voyager nel 1979. All'interno dell'orbita di

Giove c'è un'infinità di frammenti di mondi che si sono frantumati, sono gli

asteroidi. I banchi e le secche formate dagli asteroidi segnano i confini del

regno dei pianeti più grandi. Ora stiamo entrando nei bassi fondali del

nostro Sistema Solare, qui troviamo mondi dall'atmosfera rarefatta e dalle

superfici solide, pianeti in tutto simili alla Terra con zone e paesaggi che

aspettano solo di essere esplorate. Ecco Marte. Nel 1976, dopo un viaggio di

un anno, due sonde automatiche lanciate dalla Terra scesero su queste lande

extraterrestri. Su Marte c'è un vulcano grande quanto l'Arizona ed alto quasi

tre volte l'Everest, lo abbiamo chiamato il monte Olimpo. Marte è un mondo

pieno di cose meravigliose e sorprendenti. Vi sono valli anticamente

percorse da fiumi e violente tempeste di sabbia, provocate da venti che

soffiano alla metà della velocità del suono, circa 600 Km/h. La superficie

del pianeta è solcata da un immenso canyon lungo 50000 Km, è stato

chiamato Valles Marineris, le Valli dei Mariner, dal nome delle sonde che

vennero ad esplorare Marte dalla Terra. In questo nostro primo viaggio

cosmico, l'esplorazione di Marte, degli altri pianeti, stelle e delle galassie è

stata rapida e superficiale.

Ci sono centinaia di miliardi di galassie e miliardi di miliardi di astri, perché

dovremmo pensare che questo piccolo pianeta (Terra) sia l'unico a essere

abitato? A me sembra molto più probabile che il cosmo sia pieno, in ogni

sua parte, di vita intelligente. Ma fino ad oggi, ogni forma di vita, ogni

essere cosciente, ogni civiltà della quale siamo a conoscenza, sono quaggiù

sulla Terra.Siamo arrivati sul pianeta Terra con i suoi cieli di azoto azzurro,

con i suoi mari e i suoi oceani, le sue buie foreste, i suoi morbidi prati, un

mondo indubbiamente straripante di vita. E per quel che sappiamo sul

cosmo è, almeno per il momento, unico, l'unico sul quale ci risulta con

certezza che la materia del cosmo è diventata viva e cosciente. Ce ne sono

parecchi di mondi così sparsi nello spazio, ma il nostro studio su di essi

inizia da questo con l'esame delle conquiste che l'intelligenza degli uomini e

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delle donne della nostra specie ha raggiunto a caro prezzo attraverso milioni

di anni.

Un tempo, il nostro piccolo pianeta ci sembrava immenso ed era l'unico

mondo che potevamo esplorare. Le sue dimensioni reali furono ricavate per

la prima volta in un modo molto semplice ed ingegnoso da un uomo che

visse in Egitto nel III secolo a.C. Ad Alessandria d'Egitto, nei suoi tempi

d'oro, visse un uomo eccezionale che si chiamava Eratostene. Uno dei suoi

contemporanei lo soprannominò beta, la seconda lettera dell'alfabeto greco,

perché lui diceva "Eratostene era il secondo uomo al mondo in ogni

campo". Ma oggi appare chiaro che per le sue qualità Eratostene dovesse

chiamarsi alpha: si occupò di astronomia, di storia, di geografia, di

filosofia, poesia, critica teatrale e di matematica. Inoltre fu il bibliotecario

della grande biblioteca alessandrina e un giorno, mentre nella sua biblioteca

consultava una raccolta di papiri, fece una scoperta curiosa e fondamentale.

Lesse che molto a sud, al posto di frontiera di Siene, l'attuale Assuan, nel

giorno più lungo dell'anno si notava un fenomeno unico. Il 21 giugno

l'ombra delle colonne o di qualunque oggetto verticale si accorciava sempre

più con l'avvicinarsi del mezzogiorno. Inoltre, i raggi del Sole riuscivano a

colpire ed illuminare le pareti interne di un profondo pozzo, che negli altri

giorni dell'anno rimanevano in ombra. Infine, a mezzogiorno preciso le

colonne non facevano più ombra e il Sole si rifletteva direttamente

nell'acqua del pozzo. In quel momento, il Sole era sulla verticale esatta del

posto, allo zenit. Si trattava di un fenomeno che, forse altri, avrebbero,

facilmente, ignorato; colonne, ombre, sole riflesso nel pozzo, la posizione

del Sole, sono fenomeni che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, quale

importanza particolare potevano avere. Però, Eratostene era uno scienziato e

la sua osservazione di questi fatti quotidiani cambiò il mondo, in un senso

rifece il mondo perché Eratostene ebbe l'intuito geniale di voler compiere un

esperimento, di voler provare nei fatti se anche vicino ad Alessandria, un

palo non aveva la sua ombra quando il Sole era a mezzogiorno del 21

giugno. E il risultato fu che faceva ombra! Una persona più superficiale

avrebbe detto che le osservazioni a Siene erano sbagliate, ma sarebbe stata

una conclusione quantomeno semplicistica: che ragioni c'erano di inventarsi

fenomeni del genere? Perciò Eratostene si chiese come poteva accadere che,

nello stesso momento, un palo a Siene non produceva ombra e un palo ad

Alessandria, 800 Km più a nord, produceva un'ombra molto definita.

Prendiamo una mappa dell'antico Egitto (ripetiamo l'esperimento di

Eratostene) e sistemiamo due modellini di obelischi, uno ad Alessandria e

l'altro a Siene. Ora, se in una certa posizione, nessuno dei due obelischi

produce ombra, niente del tutto, il motivo è perfettamente evidente,

considerando che la mappa è piatta. E anche quando l'ombra a Siene ha una

certa lunghezza e l'ombra ad Alessandria ha la stessa lunghezza è

perfettamente logico: sempre perché la mappa è piatta. Ma, allora come può

essere, si chiese Eratostene, che nello stesso istante a Siene l'ombra non c'è,

mentre ad Alessandria è così al lungata ed evidente. L'unica risposta

possibile fu che la superficie della Terra era curva, inoltre scoprì che più la

superficie era curva più grande era la differenza tra la lunghezza delle

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ombre. Il Sole è talmente lontano dalla Terra che i suoi raggi quando la

colpiscono sono paralleli, e gli obelischi, che hanno angoli diversi rispetto

ad essi, creeranno ombre di lunghezza diversa e, in base a questa differenza

nella lunghezza delle ombre, stabilì che la distanza tra Alessandria e Siene

era pressappoco di 7 gradi lungo la superficie terrestre. In altre parole, se

immaginiamo che questi obelischi si estendano direttamente giù fino al

centro della Terra, nel punto di intersezione formerebbero un angolo di 7

gradi. Noi sappiamo che 7 gradi sono circa 1/50 della circonferenza terrestre

che è di 360 gradi. Eratostene conosceva la distanza che divideva

Alessandria da Siene, sapeva che era di 800 Km. Come? Perché aveva

ingaggiato apposta un uomo per misurare la distanza ed aver modo così di

sviluppare i calcoli dei quali stiamo parlando. Ora, 800 Km moltiplicato 50

fa esattamente 40.000 Km, e perciò questa doveva essere la circonferenza

della Terra, la distanza da percorrere per fare un giro della Terra. E la

scoperta era giusta. Gli unici strumenti di Eratostene erano pali, occhi, piedi

e la luce, più un grande interesse per la sperimentazione. Con quei soli

strumenti, egli riuscì a calcolare la circonferenza della Terra con grande

precisione, con un errore percentuale minimo. E' un ottimo risultato

considerando che fu ottenuto 2200 anni fa. Gli scienziati dell'antichità

compirono i primi importantissimi passi verso la comprensione dei rapporti

dell'umanità con il cosmo, prima che le loro grandi civiltà tramontassero.

Ma, dopo l'era dell'oscurantismo, iniziò ovunque lentamente la riscoperta

delle opere di questi studiosi. Si ebbe così il Rinascimento. Quando nel XV

secolo l'Europa cominciò finalmente a risvegliarsi dal suo lungo letargo

durato tanto tempo, si dedicò alla scoperta di strumenti, di libri e, anche, del

pensiero. Nel 1600, la teoria, a lungo dimenticata, di Aristarco fu riscoperta.

Giovanni Keplero costruì un modello del Sistema Solare per capire il

movimento dei pianeti e il senso di rotazione del cielo. E di notte sognava di

poter andare sulla Luna. I suoi principali mezzi di studio erano i calcoli

matematici della biblioteca alessandrina e un irremovibile rispetto per i fatti

concreti, per quanto inquietanti essi potessero essere. La storia di Keplero e

degli scienziati che vennero dopo di lui fanno anch'esse parte del nostro

viaggio. Settant'anni più tardi, la teoria di Aristarco e di Copernico sul Sole

come centro dell'Universo, veniva accettata in quasi tutta l'Europa. Si

diffuse la convinzione che i pianeti erano dei mondi governati dalle leggi

della natura, e quindi la speculazione scientifica si rivolse al movimento

degli astri. Il senso rotatorio del cielo fu imitato dai fabbricanti di orologi

sulla Terra; la possibilità di sapere e mantenere l'ora precisa permise lunghi

viaggi per mare, a scopo di esplorazione e scoperte di nuove terre. Questa è

l'epoca in cui la cultura e l'informazione riacquistano il loro valore.

Duecentocinquant'anni più tardi la Terra era stata esplorata tutta; l'interesse

si rivolge, ora, ai pianeti e alle stelle. Si scopre che le galassie sono enormi

aggregati di astri, isole nell'Universo distanti milioni di anni luce. Nel 1920

gli astronomi cominciano a calcolare la velocità di movimento delle galassie

più lontane. Ci si accorge che le galassie si allontanano velocemente l'una

dall'altra. Quello che lascia più attoniti è che l'Universo continua ad

estendersi. Si comincia a dare una dimensione vera alle misure del tempo e

dello spazio. Il lungo sforzo collettivo della scienza ci ha rivelato che

l'Universo ha un'età di 15 miliardi di anni, calcolando come data di nascita il

Big Bang, l'enorme esplosione che diede vita al cosmo. Il calendario

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cosmico comprime la storia locale dell'Universo in un unico anno. Quindi,

se l'Universo è nato il primo gennaio, la Via Lattea si è formata nel primo di

maggio, gli altri sistemi planetari possono essersi formati in giugno, luglio e

agosto. Il nostro Sole e la Terra verso la metà di settembre, la vita nasce

subito dopo. Tutto quello che l'uomo ha fatto da quando esiste è compreso

nel giorno 31 dicembre. Il Big Bang è compreso nel primo decimo di

secondo del primo dell'anno, 15 miliardi di anni dopo siamo nel tempo

presente, l'ultimo decimo di secondo del 31 dicembre. Ogni mese cosmico

dura 1.250 milioni di anni e ogni giorno rappresenta 40 milioni di anni, ogni

secondo sta per 500 secondi circa della nostra storia. La nostra nascita è così

recente che gli eventi conosciuti della storia umana occupano solamente gli

ultimissimi secondi dell'ultimo minuto del 31 dicembre cosmico. Tuttavia,

alcuni eventi vitali per la razza umana sono cominciati alcuni minuti prima.

I primi umanoidi fecero la loro apparizione verso le 22.30 del 31 dicembre;

e col passare dei minuti cosmici, ognuno dei quali durava 30.000 dei nostri

anni, noi iniziavamo il difficile viaggio verso la comprensione del nostro

ambiente e di noi stessi. Alle 23.32 l'uomo ha scoperto il fuoco; 23.59 e 20

secondi siamo alla fine dell'ultimo giorno dell'anno cosmico, undicesima

ora, cinquantanovesimo minuto, ventesimo secondo, comincia la familiarità

con piante e animali; 23.59 e 35 secondi, le comunità agricole già

organizzate si trasformano nelle prime città. Noi esseri umani siamo apparsi

sul calendario cosmico così di recente che tutta la nostra storia, come ho già

detto, occupa solo gli ultimissimi secondi dell'ultimo minuto del 31

dicembre. Noi terrestri ci siamo appena affacciati sul grande oceano dello

spazio e del tempo dal quale siamo nati. Siamo l'eredità di 15 miliardi di

anni di evoluzione cosmica; possiamo scegliere, progredire ed arrivare a

conoscere l'universo che ci ha creati, o gettare via il retaggio di 15 miliardi

di anni avviandoci all'autodistruzione. Quello che accadrà nel primo decimo

di secondo del prossimo anno cosmico dipenderà dall'uso che faremo, fin da

adesso, della nostra intelligenza e della nostra conoscenza del cosmo.

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La vita nello spazio

Una domanda che molti si pongono è se al di fuori dalla Terra esista la vita.

Ci sarà vita su quegli innumerevoli pianeti che orbitano intorno ad altri soli

simili al nostro? Eventuali esseri di altri mondi potrebbero somigliarci?

Potrebbero essere diversi addirittura in modo sorprendente. Di che materia

sarebbero fatti? La natura della vita sulla nostra Terra e l'interrogativo circa

la vita al di fuori di essa sono due aspetti della stessa domanda. La domanda

è: cosa rappresentiamo nel cosmo? Sulla Terra qualsiasi materia vivente è

formata da molecole organiche, una complessa costruzione microscopica

incentrata su atomi di carbonio. Anche nel grande buio tra una stella e l'altra

ci sono molecole organiche, racchiuse in immense nubi di gas e polveri.

All'interno di queste nubi ci sono gruppi di mondi in via di formazione. Le

loro superfici sono, con molta probabilità, ricoperte da molecole organiche.

Queste molecole quasi certamente non sono materia vivente, anche se sono

l'essenza della vita. Nell'ambiente adatto, potrebbero sfociare in forme di

vita. La materia organica abbonda in tutto il cosmo, perché è prodotta

dovunque dagli stessi processi chimici. Forse, dandole il tempo necessario

la vita nascerebbe e si evolverebbe, inevitabilmente, su ogni mondo

dall'ambiente adatto. Ci saranno certamente dei pianeti troppo ostili alla

nascita della vita; su altri, invece, può darsi che essa nasca o che non riesca

mai ad evolversi oltre le sue forme più semplici. Altre ancora potrebbero,

addirittura, essersi evolute in forme di intelligenza o civiltà più progredite

della nostra. Sul nostro pianeta tutte le forme di vita sono strettamente

collegate tra loro. Hanno in comune la stessa chimica organica e materiale

ereditario. Di conseguenza i nostri biologi hanno dei limiti ben precisi, come

tappa di studio hanno un'unica biologia, un unico tema nella musica della

vita.

Come sono nate la prima volta le molecole organiche? Come ha fatto la vita

ad evolversi sino a produrre esseri sofisticati e complessi come noi, capaci

di indagare nel mistero del nostro stesso intimo? Voglio raccontarvi una

storia, una piccola frase musicale nel grande concerto della vita sulla

Terra.Nel corso della sua storia il Giappone fu governato, nel XII sec., da un

clan di guerrieri chiamati Eitiè. Il capo simbolico degli Eitiè, che era anche

imperatore del Giappone, era un bambino di sette anni di nome Antò, la sua

tutrice era la nonna. I guerrieri Eitiè si impegnarono in una lunga e

sanguinosa guerra contro un altro clan. Tutti e due i clan rivendicavano un

maggiore diritto ereditario al trono imperiale. Lo scontro decisivo avvenne a

Katmurà nel mar del Giappone il 24 aprile del 1185. Gli Eitiè, inferiori per

numero e capacità guerriere, furono decimati; sconfitti senza possibilità di

rivincita, gli Eitiè sopravvissuti si gettarono in mare e morirono annegati. La

nonna dell'imperatore disse che né il nipote e né lei si sarebbero fatti

catturare, quello che avvenne dopo è descritto nel libro "La storia degli

Eitiè". Il piccolo imperatore chiese alla nonna "Ora dove mi porti", lei si

voltò verso il re-bambino e gli disse "Il nostro regno è nelle profondità

dell'oceano", mentre le lacrime le scorrevano giù per le guance e lo consolò.

Accecato dalle lacrime, il re-bambino unì le sue piccole splendide manine in

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segno di preghiera. Prima si volse a oriente per salutare un dio e poi a

occidente per recitare una preghiera. La nonna, dopo averlo preso tra le

braccia, si lanciò in mare con il nipotino e tutti e due scomparvero sotto le

onde. La distruzione dei guerrieri Eitiè segnò, anche, la fine del clan dopo

30 anni di dominio e la sua completa scomparsa dalla storia.

Solo 43 componenti del clan sopravvissero alla sconfitta, tutte donne.

Queste ex cortigiane e dame di compagnia della corte imperiale furono

ridotte a vendere fiori e favori, anche di altro tipo, ai pescatori che vivevano

nella zona dove si era svolta la battaglia. Queste donne, con figli che

avevano avuti dai pescatori, istituirono una cerimonia annuale per ricordare

la battaglia. E, ancora oggi, il 24 aprile di ogni anno i loro discendenti si

recano in processione al tempio di Atama, all'interno del quale c'è il

mausoleo dedicato ad Antò, l'imperatore di sette anni morto annegato. Lì si

svolge, anche, una cerimonia commemorativa della vita e della morte dei

guerrieri Eitiè. Ma, questa storia ha uno strano seguito. Oggi, i pescatori del

luogo sostengono che i guerrieri Eitè vagano sul fondo del mare sotto forma

di granchi. Infatti, si trovano dei granchi che hanno strani pinne sul dorso,

impronte che fanno pensare a un viso umano con l'espressione aggressiva. I

granchi quando vengono pescati, poi vengono rimessi in mare, in ricordo dei

tragici avvenimenti e la battaglia tra i due clan. Questa leggenda solleva un

problema affascinante, come può accadere che il viso di un guerriero sia

scolpito sul guscio di un granchio giapponese? La risposta potrebbe essere

che questa faccia è opera degli uomini; ma come? Insieme ad altre

caratteristiche, l'immagine che appare come il viso di un uomo scolpito sul

dorso di questi granchi, è ereditata. Ma anche tra i granchi come tra gli

uomini ci sono linee ereditarie. Ora supponiamo che, per un caso qualsiasi,

tra i più lontani antenati di questi granchi ce ne fosse uno che assomigliava

appena un pochino a un viso umano. Così, molto prima della battaglia, ai

pescatori potrebbe aver fatto impressione mangiare un granchio che

somigliava a un uomo. Ed ecco che con il passare degli anni, si creò un

processo di selezione, cioè se c'era un granchio con un guscio dall'aspetto

normale gli uomini lo mangiavano; però, se ricordava vagamente l'aspetto

umano allora veniva buttato in mare. Con il passare delle generazioni, i

granchi con una immagine sul dorso che somigliava alla faccia di un

samurai potevano sopravvivere più degli altri. Finché dopo secoli, il dorso

non somigliava più a una faccia normale, neanche a una faccia giapponese,

ma alla faccia di un guerriero samurai. Tutto questo non ha niente a che fare

con quello che i granchi possono volere, la selezione è un fenomeno indotto

dall'esterno.

Questo processo si chiama selezione naturale. Gli uomini per migliaia di

anni hanno deliberatamente selezionato i tipi di piante e animali che

dovevano vivere. Siamo circondati da animali domestici, prodotti vegetali.

Da dove provengono questi animali? Vivevano già nel loro attuale aspetto

allo stato selvaggio e un po' alla volta hanno preferito una vita meno libera,

ma meno dura, nelle fattorie? No. Essi sono, per una buona parte, un

prodotto dell'uomo. L'essenza della selezione artificiale per un cavallo o una

mucca o qualsiasi altra cosa è questa: l'ereditarietà di molte caratteristiche

che portano a una specie unica. Gli uomini incoraggiano la riproduzione di

alcune specie e scoraggiano la riproduzione di altre. La specie selezionata a

favore finisce con l'aumentare, la specie selezionata a sfavore diminuisce e

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può anche estinguersi. Ma se la selezione artificiale provoca simili

mutamenti solo in poche migliaia di anni, cosa produce la selezione naturale

che lavora da miliardi di anni? La risposta è in tutta la bellezza e la

diversificazione del mondo biologico. Che la vita si sia evoluta attraverso i

millenni è evidente. L'analisi dei fossili ci indica, senza ombra di dubbio,

che le creature enormi, un tempo presenti, ora sono scomparse

completamente. Oggi sono molto più le specie che si sono estinte di quelle

che esistono. Esse sono degli esperimenti completati dell'evoluzione. I primi

ominidi che apparvero sulla Terra seicento milioni di anni fa, ci restarono

per 200 milioni di anni e ora sono spariti tutti. Che il meccanismo

dell'evoluzione sia nella selezione naturale fu la grande scoperta di Charles

Darwin. Ecco come funziona. La natura è prolifica, nascono molte più

creature di quante non abbiano la possibilità di sopravvivere. Così quelle

specie che sono, per un capriccio, meno adatte a vivere non sopravvivono o

quanto meno sono poco prolifiche. Ora le mutazioni, gli improvvisi

cambiamenti nell'ereditarietà diventano stabili, si trasmettono, l'ambiente

seleziona quei mutamenti occasionali che favoriscono la sopravvivenza e la

conseguente serie di cambiamenti nella struttura degli esseri viventi è

l'origine delle nuove specie. Per comprendere il passaggio delle ere

cosmiche, abbiamo compresso tutto il tempo in un anno cosmico, che ha per

inizio il primo gennaio, la grande esplosione o Big Bang. Nel calendario

cosmico ogni mese corrisponde a poco più di un miliardo di anni, la Terra si

è formata quando l'anno cosmico era arrivato a 2/3; la nostra conoscenza

della storia della vita è molto recente, ed è compresa solo negli ultimi

secondi del 31 dicembre.

Nei suoi dettagli, la storia della vita sulla Terra è, probabilmente, unica in

tutta la Galassia della Via Lattea. La vita sulla Terra è nata nel settembre

dell'anno cosmico, quando il nostro mondo, ancora turbato e sconvolto dalla

sua violenta origine, somigliava un po’ alla nostra Luna. La Terra ha un'età

di circa 4 miliardi e mezzo di anni, per il calendario cosmico essa si è

formata da condensazioni di gas interstellare e pulviscolo, intorno al 14

settembre. Noi sappiamo dall'analisi dei fossili, che la vita si è originata

dopo questo tempo, diciamo verso il 25 settembre, probabilmente nell'aria o

negli oceani dell'era primordiale. Le prime forme di vita non avevano niente

di così complesso come gli organismi unicellulari che sono già forme di vita

molto sofisticate. I primi embrioni di vita sulla Terra erano estremamente

più semplici e si produssero a livello molecolare. In quell'era primordiale i

fulmini e i raggi ultravioletti del Sole scomposero e frantumarono le

molecole semplici sature di idrogeno che erano nell'atmosfera e i frammenti

di queste molecole cominciarono a ricomporsi spontaneamente formando, in

questo modo, altre molecole molto più complesse. I prodotti di questa

chimica primordiale si dissolsero meglio negli oceani formando una sorta di

liquido organico di complessità gradualmente crescente. Finché un giorno,

unicamente per caso, venne fuori una molecola capace di riprodurre copie di

sé stessa utilizzando come materiale le altre molecole presenti nel liquido.

Questa molecola fu l'antenata del DNA. Il DNA è la molecola principale

della vita sulla Terra, è formata da 4 diverse parti molecolari chiamate

nucleotidi, i quali costituiscono le quattro lettere del codice genetico, il

linguaggio dell'ereditarietà. Ognuno di questi nucleotidi, che sono i pioli

della scala del DNA, hanno colore diverso. Le istruzioni che essi diramano

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variano per ogni organismo, ecco perché gli organismi sono diversi tra loro.

Le mutazioni sono dei cambiamenti dei nucleotidi, una specie di

disobbedienza delle leggi genetiche, molte mutazioni comportano delle

assurdità genetiche, come c'è da aspettarsi perché avvengono senza ordine e

non influiscono sulla generazione successiva. Ma alcune anche se poche, sia

pure per caso, hanno molto più senso delle istruzioni originarie. Quattro

miliardi di anni fa gli antenati del DNA si contendevano i materiali

molecolari da costruzione che abbandonavano le copie grezze di sé stesse.

Non esistevano predatori, la materia vitale era ovunque, così gli oceani e i

laghi erano per quelle molecole un giardino dell'Eden; con la riproduzione,

le mutazioni e la selezione naturale l'evoluzione delle molecole viventi era

già in fase avanzata. Alcune varietà di molecole, con funzioni specifiche,

finirono con l'unirsi formando un agglomerato, la prima cellula. Nel

frattempo, l'evoluzione delle piante aveva progredito, perché esse erano in

grado di utilizzare la luce del Sole per creare il proprio materiale. Alcune

piante unicellulari si unirono formando i primi organismi multicellulari.

Altrettanto importante fu l'invenzione, realizzata ai primi di novembre, del

sesso. Il primo dicembre, le piante verdi avevano liberato nell'atmosfera

grosse quantità di ossigeno e di azoto. Poi improvvisamente, il 15 dicembre

ci fu un enorme proliferazione di nuove forme di vita. Sappiamo dall'esame

dei fossili, che la vita nacque subito dopo la formazione della Terra, il che fa

pensare che l'origine della vita potrebbe essere un inevitabile processo

chimico su infiniti pianeti simili alla Terra sparsi per il cosmo. Ma sulla

Terra in circa 4 miliardi di anni, la vita non ha progredito oltre le alghe,

quindi può darsi che le forme di vita più complicate siano, anche, più

difficili ad evolversi. Se questo è vero, i pianeti della Galassia potrebbero

essere pieni di microorganismi, mentre i vegetali e gli esseri pensanti

potrebbero essere più rari. Il 18 dicembre c'erano grandi quantità di trilobiti,

che si nutrivano sul fondo degli oceani. I primi vertebrati apparvero il 19

dicembre, le piante cominciarono a diffondersi il 20 dicembre; i primi insetti

alati cominciarono a svolazzare il 22 dicembre. E in questa stessa data

apparvero i primi anfibi, creature capaci di vivere sia sulla terra che

nell'acqua. I diretti progenitori dell'uomo cominciavano a lasciarsi alle

spalle gli oceani. I primi alberi e i primi rettili nacquero il 23 dicembre,

erano due sorprendenti forme di evoluzione. Noi uomini discendiamo da

alcuni di questi rettili. I dinosauri fecero la loro apparizione la vigilia di

Natale (24 dicembre); ce ne erano diversi tipi, la Terra era soltanto loro.

Molti dinosauri camminavano eretti ed erano dotati di una certa intelligenza.

Ignorati dai dinosauri, fecero la loro prima comparsa delle nuove creature, i

cui figli nascevano già formati e indifesi, erano i primi mammiferi, che

apparvero il 26 dicembre. Il giorno seguente nacquero i primi uccelli. Ma la

Terra era ancora dominio incontrastato dei dinosauri, poi, all'improvviso su

tutto il pianeta, i dinosauri si estinsero. Le cause sono rimaste ignote. I

dinosauri si estinsero nel periodo in cui apparve il primo fiore. Il 30

dicembre comparvero le prime creature che avevano un aspetto vagamente

umano, caratterizzate da un ben visibile aumento della grandezza del

cervello. Infine, la sera del 31 dicembre nacquero le prime vere creature

umane. Tutta la storia umana documentata occupa soltanto gli ultimi 10

secondi dell'anno cosmico.

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Diamo un'occhiata più da vicino ai nostri antenati. Un semplice fenomeno

chimico portò ad uno dei momenti più grandi della storia del nostro pianeta.

In quel liquido organico primordiale c'erano molti tipi di molecole, alcune di

esse erano, da un lato, attratte dall'acqua e invece respinte, dall'altro. Questo

fatto le portò ad unirsi, e a formare un sottile guscio sferico, come una bolla

di sapone. Dentro questa bolla gli antenati del DNA trovarono una sede e

nacque la prima cellula. Ci sono volute centinaia di milioni di anni perché le

piante più piccole si evolvessero e sprigionassero ossigeno. Batteri in grado

di respirare ossigeno impiegarono più di un altro miliardo di anni per

completare l'evoluzione. Da un nucleo vuoto, si sviluppò una cellula con un

nucleo all'interno. Alcune di queste forme simili all'ameba, produssero a un

certo punto le piante. Altre, produssero delle colonie che avevano all'interno

e all'esterno cellule che espletarono funzioni diverse. Il tutto divenne un

polipo, che filtrava il proprio cibo dall'acqua e che sviluppava dei piccoli

tentacoli per incanalare il cibo in una specie di bocca primordiale. Da questo

nostro umile antenato derivarono altri animali dalla pelle spinosa e

corazzata, dotati di organi interni, compresa una nostra cugina la stella

marina. Ma noi non deriviamo dalla stella marina. Circa 550 milioni di anni

fa gli organi che filtravano il cibo svilupparono delle fessure branchiali; un

ramo evolutivo produsse alcuni rettili marini, un altro ramo produsse delle

creature che, allo stato di larve, nuotavano liberamente. Ma una volta

cresciute rimanevano ancorate saldamente al punto della terra. Alcune

presero una forma cilindrica, ma altre mantennero la forma di larve per tutto

il ciclo vitale, mantenendo la libertà di nuotare anche da adulti sviluppando

una specie di spina dorsale. I nostri antenati, 500 milioni di anni fa, erano

pesci senza mandibole che filtravano il nutrimento dall'acqua. Naturalmente

questi pesciolini svilupparono gli occhi e le mandibole. I pesci

cominciarono a mangiare altri pesci, sopravviveva chi era più veloce a

nuotare. Avendo ora delle mandibole per mangiare, i pesci cominciarono a

usare le branchie per respirare l'ossigeno dall'acqua. E così si è arrivati ai

pesci attuali. In estate, laghi e paludi si prosciugavano, così alcuni pesci

svilupparono una sorta di polmone primitivo per respirare aria fino all'arrivo

delle piogge. Il loro cervello aumentava di grandezza. Se le piogge non

arrivavano, diventava necessario trascinarsi fino alla palude più vicina. Fu

un momento molto importante dell'evoluzione. Nacquero i primi anfibi con

la coda, ancora, da pesce. Gli anfibi, come i pesci, depositavano le uova in

acqua, dove erano facile preda. Ma si comincia allora una nuova splendida

innovazione: l'uovo dal guscio duro che veniva depositato a terra, dove non

c'erano ancora predatori. I rettili e le tartarughe risalgono a quei giorni.

Molti rettili che nascevano sulla terra, non tornarono mai più in acqua;

alcuni di essi divennero dinosauri. Un ramo dei dinosauri sviluppò peli e

piume, adatto a voli brevi; oggigiorno, gli unici discendenti dei dinosauri

sono gli uccelli. I grandi dinosauri si evolvettero lungo un altro ramo, alcuni

divennero i più grandi carnivori mai vissuti. Ma 65 milioni di anni fa

morirono tutti misteriosamente. Nel frattempo i predecessori dei dinosauri si

stavano anch'essi evolvendo in un'altra direzione: animali più piccoli e

feroci, con i piccoli che crescevano nel corpo della madre. Dopo la

scomparsa dei dinosauri, si svilupparono molte forme derivate diverse. I

piccoli nati dei marsupiali e dei mammiferi, in genere, erano molto immaturi

al momento della nascita. Bisognava insegnargli a sopravvivere. Il cervello

aumentò ancora di grandezza. L'antenato di tutti i mammiferi fu una specie

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di topo-ragno. Un gruppo prese a vivere sugli alberi, sviluppando doti come

l'agilità, la visione stereoscopica, cervello ancora più grande e interesse per

l'ambiente circostante. Alcuni divennero gli attuali babbuini, ma non era la

linea che portò all'uomo. Le grandi scimmie e l'uomo hanno degli antenati

in comune abbastanza recenti, non si trovano grandi differenze tra di loro.

Al contrario dello scimpanzé, gli antenati dell'uomo camminano eretti con le

mani libere per difendersi, lavorare, conoscere. Poi progredirono ancora.

Cominciarono a parlare. Molti rami collaterali della famiglia umana si sono

estinti negli ultimi milioni di anni, noi, invece, siamo sopravvissuti. C'è un

filo ininterrotto che parte dalle prime cellule, di cui parlavamo, e arriva a

noi. Possiamo rappresentare, graficamente, l'evoluzione come una perenne

ramificazione di un tronco originale, dove ogni ramo viene potato e

sfrondato dalla selezione naturale. L'uomo deriva da un solo ramo del

tronco, ma ora influenza tutti i rami dell'albero, vecchi di 4 miliardi di anni.

La razza umana si è evoluta sugli alberi e attorno a essi, l'uomo ha

un'affinità naturale con gli alberi. Gli alberi producono la fotosintesi,

assorbono la luce del Sole. Ci sono talmente tante piante sulla Terra, che

uno è pericolosamente indotto a considerarle come cose banali o a perdere

di vista la complessità dell'efficienza della loro struttura. Le piante si

servono dei carboidrati, che producono, come fonte di energia per

continuare il loro ciclo vegetale. E gli animali, compreso l'uomo sono dei

parassiti delle piante. Mangiando le piante e i loro frutti, noi combiniamo i

carboidrati con l'ossigeno, che dissolviamo nel sangue attraverso la

respirazione. Da questa reazione chimica, noi ricaviamo l'energia che ci fa

muovere. In questo processo, noi espiriamo biossido di carbonio o anidride

carbonica, che le piante poi usano per produrre altri carboidrati. Tutto il

ciclo viene reso attivo dalla luce del Sole. Ma l'anidride carbonica sarebbe

presente nell'aria anche senza gli animali, noi abbiamo bisogno delle piante

molto più di quanto esse non ne abbiano di noi. Tra gli organismi che

vivono sulla Terra, ci sono molte affinità di tipo familiare, alcune sono

molto evidenti, come ad esempio il ritorno periodico del numero 5. Gli

uomini hanno 5 espressioni principali del corpo: una testa, due braccia, due

gambe. E così le anatre, anche se le funzioni delle loro estensioni non sono

proprio le stesse. Invece, un polipo o un centopiedi hanno una struttura

diversa, una creatura di un altro pianeta potrebbe essere addirittura ancora

più diversa. Queste affinità familiari continuano su un piano molto più

profondo, quando arriviamo alle basi molecolari della vita.

Esistono decine di miliardi di specie differenti di molecole organiche e

tuttavia, soltanto una cinquantina di esse vengono usate per i meccanismi

essenziali della vita. Se esaminiamo la vera essenza della vita sulla Terra,

cioè le proteine che controllano la chimica delle cellule, la spirale o elica

degli acidi nucleici portatori dell'informazione ereditaria, vediamo che

queste molecole sono assolutamente identiche in tutte le piante e gli animali

del nostro pianeta. Ma come mai c'è una somiglianza così sorprendente, a

livello molecolare, tra noi esseri umani e tutti gli altri esseri viventi sulla

Terra? La spiegazione più consueta è che noi tutti sulla Terra siamo

discendenti di una unica comune causa, che ha dato origine alla vita 4

miliardi di anni fa. Ora, come ha fatto la molecola della vita a nascere? In un

laboratorio dell'Università di Cornell, misceliamo gas e acqua uguali a quelli

della Terra primordiale, aggiungiamo energia e vediamo se riusciamo a far

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nascere la vita. Ma com'era fatta l'atmosfera primordiale? Se facciamo

l'esperimento con l'aria come è oggi, l'esperimento è destinato a fallire.

Perché l'esperimento con l'aria di oggi non riesce? Perché l'aria di oggi

contiene ossigeno molecolare, ma l'ossigeno è prodotto dalle piante ed è

ovvio che prima che nascesse la vita le piante non esistevano. Quindi non

dobbiamo usare ossigeno nell'esperimento perché nell'atmosfera primordiale

non ce ne era. Questo fatto è assolutamente logico, perché il cosmo è

composto soprattutto da idrogeno che divora l'ossigeno. La bassa gravità

della Terra ha fatto sì che la maggior parte del nostro idrogeno, qual' era alle

origini, si sia volatilizzato nel cosmo. Ma 4 miliardi di anni fa la nostra

atmosfera era satura di gas ricchi di idrogeno, metano, ammoniaca, vapore

d'acqua. E sono questi i gas da usare per l'esperimento. Questo esperimento

fu compiuto per la prima volta da Stanley Miller nel 1950. Dopo aver

compiuto l'esperimento, l'interno della provetta si ricopre di striature di uno

strano pigmento marrone, è un ricco campionario di molecole organiche

complesse, tra cui il materiale da costruzione delle proteine e degli acidi

nucleici. Questi acidi nucleici sono in grado di creare copie identiche di sé

stessi.

Però c'è ancora una grande quantità di cose da capire circa l'origine della

vita, compresa l'origine del codice genetico. L'uomo lavora a questo

esperimento solo da 30 anni, la natura ha cominciato 4 miliardi di anni fa.

C'è da dire che i gas di cui ci siamo serviti per l'esperimento e le fonti di

energia usate sono assolutamente comuni a tutto il cosmo. Quindi sono

reazioni chimiche simili a queste che devono aver dato vita alla materia

organica nello spazio interstellare e agli amminoacidi nei meteoriti.

Reazioni chimiche come queste devono esserci state su miliardi di altri

mondi nella Galassia della Via Lattea. Le molecole della vita riempiono il

cosmo. Ora, quali caratteristiche può avere la vita altrove? Anche se la sua

chimica molecolare fosse identica a quella della vita sulla Terra, il che è

molto improbabile, essa non potrebbe essere uguale o molto simile nella

forma agli organismi più comuni sulla Terra. La casualità, che è una

caratteristica del processo di evoluzione, deve creare altrove delle creature

completamente diverse da quelle che noi conosciamo. La biologia è più

simile alla storia che non alla fisica. Per capire il presente bisogna conoscere

il passato. Nella biologia non esistono teorie profetiche così come non ne

esistono nella storia, e il motivo è lo stesso. Tutte e due le materie sono

ancora troppo difficili per noi, però riusciremo a capire molto meglio noi

stessi se riusciremo a capire quello che ci circonda. Lo studio di un solo

elemento della vita extraterrestre, per quanto minimo, dà alla biologia

orizzonti meno limitati.

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L'informazione

La vita sulla Terra è molto più bella e molto più complessa di qualunque

mondo senza vita. Il nostro pianeta è ingentilito dalla vita e una delle qualità

che contraddistingue la vita è la sua complessità sviluppatasi lentamente in 4

miliardi di anni di selezione naturale. Si può descrivere in un solo paragrafo

e in modo dettagliato come si forma una roccia, ma per descrivere la

struttura base di un albero o di un filo d'erba o di un animale monocellulare

occorrono volumi e volumi. Costruire una cosa vivente e semplicemente

descriverla richiede una quantità enorme di informazioni. L'unità di misura

dell'informazione è un qualcosa chiamato bit, è una risposta precisa, si o no,

a una sola interrogazione altrettanto precisa. Così per precisare se

l'interruttore della luce è acceso o spento basta un solo bit, per precisare

qualcosa di più complesso ci vogliono più bit. C'è un gioco molto noto,

detto delle venti domande, che dimostrano come bastino 20 bit per definire

un concetto anche grande. Per esempio, ho in mano qualcosa, cosa sarà? È

una cosa viva? Si, e già siamo a un bit. È un animale? No, siamo a due bit. È

una cosa che si vede? Si. Cresce nella terra? Si. È una pianta coltivata? No.

Bene, con solo cinque bit abbiamo fatto dei progressi sostanziali per capire

di che si tratti, è un dente di leone. Nella nostra esplorazione del cosmo il

primo passo da fare è quello di porre le domande giuste. Poi, non con venti

domande, ma con miliardi, ricaveremo lentamente dalla complessità

dell'universo l'ordine su cui esso poggia. Nel grande buio cosmico ci sono

innumerevoli stelle e pianeti, alcuni dei quali nei pressi del nostro Sistema

Solare. Sebbene non ne abbiamo ancora la certezza, gli stessi processi

evolutivi che sulla Terra hanno portato all'origine della vita e

dell'intelligenza potrebbero essersi sviluppati in tutto il cosmo. Potrebbero

esserci milioni di mondi solo nella Galassia della Via Lattea, in questo

momento potrebbero essere già abitati da esseri intelligenti. Sarebbe una

meraviglia sapere qualcosa sull'intelligenza non umana. Che possiamo

saperne? Vediamo come possiamo descrivere le forme di vita che ci sono

sulla Terra, come se fossimo degli osservatori esterni. È un mondo coperto,

per la maggior parte da un liquido, un mare profondo chilometri e chilometri e che brulica di forme di vita. Vi sono intere comunità di esseri trasparenti,

vi sono gruppi di creature che comunicano tra di loro cambiando la forma

del corpo; vi sono esseri che emettono luce propria; vi sono fiori famelici

che divorano chi passa vicino; vi sono alberi che gesticolano. Questi sono

solo alcuni di quegli esseri che abitano la Terra. Sono esseri saturi

d'informazioni, ognuno ha il proprio repertorio di comportamenti necessari

ad assicurargli la sopravvivenza. Le creature più grandi della Terra sono le

grandi balene. Sono gli animali più grossi sul nostro pianeta, di gran lunga

più grossi anche dei dinosauri. I loro antenati erano carnivori, mammiferi,

che 70 milioni di anni fa migrarono dalla terra verso le acque. Abbiamo in

comune molte cose con loro, tutte le caratteristiche dei mammiferi. Le

balene hanno sviluppato, nel tempo, una capacità di comunicare con il

suono. Alcuni suoni delle balene vengono definiti canti, ma in realtà noi

ignoriamo il loro significato. Essi coprono, per frequenza, una banda molto

vasta di suoni giù fino a frequenze ben al di sotto dei suoni più bassi

percepiti dall'uomo. Un canto tipico di balena può durare, forse, un quarto

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d'ora e il più lungo più o meno una mezz'ora. Di tanto in tanto, gruppi di

balene lasciano il mare invernale nel mezzo di un canto, torneranno sei mesi

dopo e riprenderanno il canto, esattamente, dal punto dove lo avevano

interrotto, con ritmo identico. Le balene hanno un'ottima memoria. Ci sono

delle volte che le balene tornano dopo un'assenza di tre mesi e la musica non

è più la stessa, si sente un canto diverso. Molto spesso, i compagni del

gruppo emettono lo stesso canto insieme, per una sorta di mutuo consenso la

musica cambia un pò alla volta e in modo prevedibile. L'andamento molto

complesso dei canti delle balene talvolta viene ripetuto con esattezza. Se

immaginiamo che i canti delle balene siano eseguiti in un linguaggio tonale,

allora il numero dei bit di informazioni in un solo canto è circa lo stesso dei

bit di informazione dell'Iliade o dell'Odissea.

Cosa possono avere da dire o da cantare balene e delfini? Non hanno organi

con cui manipolare, non possono realizzare grandi opere di ingegneria,

come noi. Il grande pericolo per le balene è l'uomo. Per il 99,99% della

storia delle balene, negli oceani non sono esistiti esseri umani. In quel lungo

periodo le balene svilupparono il loro straordinario sistema di

comunicazione. Alcune balene emettono suoni molto forti a una frequenza

di 20 Hertz. Un Hertz è l'unità di frequenza del suono e rappresenta un'onda

sonora che penetra nell'orecchio ogni secondo. Il biologo americano Roger

Pein ha calcolato che a queste frequenze c'è nelle zone profonde dell'oceano

un canale sonoro attraverso il quale le balene possono comunicare da

qualunque parte del mondo. Durante la loro storia le balene hanno creato

una rete di comunicazione attraverso tutto il globo. Il calcolo sul raggio

delle comunicazioni tra le balene presuppone che gli oceani siano calmi. Le

balene che comunicano tra loro attraverso gli oceani devono aver incontrato

difficoltà sempre maggiori perché sono state inventate navi, velieri che

emettono, per diversi motivi, anche loro frequenze di 20 Hertz, quindi la

distanza con cui un tempo potevano comunicare deve essersi ridotta sempre

più. Duecento anni orsono, una distanza tipo a cui certe balene potevano

comunicare era pressappoco di 10.000 chilometri, oggi nelle stesse

condizioni la distanza corrispondente è forse di qualche centinaio di

chilometri. Abbiamo isolato tra loro le balene e abbiamo fatto di peggio

perché continua ad esistere, ancora oggi, il traffico di corpi delle balene

morte. Ci sono uomini che cacciano e massacrano indiscriminatamente le

balene e sfruttano i prodotti per farne altri (per esempio, cibo per cane o

rossetto per labbra). Molte nazioni hanno capito che uccidere le balene è

mostruoso, ma il traffico continua specialmente da parte del Giappone, della

Norvegia e dell'Unione Sovietica.

Noi usiamo il termine mostro per definire un animale diverso da noi, un

animale terrificante. Ma chi è in questo caso? Le balene che vogliono solo

cantare o l'uomo, che si organizza per cacciarle, per distruggerle? Per

sopravvivere una balena deve conoscere certi comportamenti, questa

conoscenza è conservata in due modi principali, nei suoi geni e nel suo

cervello enorme. Possiamo immaginare i geni e il cervello di una balena

come una specie di biblioteca addetta al suo corpo. L'informazione genetica,

quella contenuta nel DNA, riguarda come allevare un figlio, ecc.;

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l'informazione contenuta nel cervello, cioè l'informazione acquisita, riguarda

cose come, chi è mia madre, ecc. La biblioteca genetica di tutti gli esseri

viventi sulla Terra è costituita dal DNA. L'unica funzione di questa

molecola, molto complessa, è quella di riprodurre l'informazione genetica.

Se voi arrivaste da un mondo diverso dal nostro, non sareste in grado di

identificare una balena o una persona con il gioco delle venti domande, con

venti bit soltanto, ci servirebbe un gioco dei dieci miliardi di domande. Sulla

Terra ogni organismo contiene come sua eredità una biblioteca portatile e

più informazioni avete, più cose potete fare. L'organismo più semplice, un

virus, ha bisogno soltanto di tutti e diecimila bit, equivalenti alla quantità di

informazioni che sono in una pagina di un libro medio. Sono tutte le

istruzioni che il virus ha bisogno per infettare altri organismi e per

riprodursi. Il batterio si serve, grosso modo, di milioni di bit di

informazioni, perché lavorano molto più dei virus, perché non sono dei

parassiti. E che dire di un'ameba monocellulare? Sono anch'esse

microscopiche, ma nel regno degli esseri monocellulari sono dei giganti,

sono le balene del mondo dei microbi. Ognuna contiene, nel proprio DNA,

circa 40 milioni di bit, l'equivalente di circa otto volumi, composto ognuno

di 500 pagine. Questo è il numero di informazioni necessari a fare

un'ameba. E che dire di una balena o di un essere umano? La risposta è che,

in questo caso, i bit sono qualcosa come 5 miliardi, e tutte queste

informazioni, contenute nel nucleo delle nostre cellule, riempirebbero un

migliaio di volumi. Pensate un po', in ciascuna delle centinaia di miliardi di

cellule del nostro corpo c'è contenuta un'intera biblioteca di istruzioni su

come costruire ogni parte di noi. Immaginiamo di trovarci in una grande

biblioteca, tutti i volumi dovrebbero contenere tutto ciò che il mio corpo sa

fare, senza che nessuno gliel'abbia insegnato. Le informazioni più antiche

sono scritte in modo dettagliato, esauriente, attento, accurato; come si ride,

come si starnuta, come si cammina, come si riconoscono delle forme, come

ci si riproduce, come si digerisce una mela.

Se fossero scritte nel linguaggio della chimica, come si presenterebbero le

istruzioni per digerire lo zucchero di una mela? Vediamo. Il processo

chimico interessato è veicolo enzima anaerobico. Mangiare una mela può

sembrare una cosa molto semplice, ma non lo è. Infatti, se io dovessi

ricordarmi ed elaborare consapevolmente tutti i processi chimici necessari

per ricavare energia dal cibo, probabilmente morirei di fame. Anche un

batterio sa fare gli stessi processi chimici. I batteri, noi e altri esseri viventi,

possediamo parecchie istruzioni genetiche simili. Le nostre biblioteche

genetiche separate hanno molte cose in comune. La nostra presente

tecnologia di uomini può riprodurre, solo, una minuscola frazione di quella

comunità radiochimica che il nostro corpo sembra elaborare così

agevolmente, né questo perché il DNA è molto esperto. Ora, cosa

accadrebbe se il compito che dovete svolgere fosse talmente complicato che

neanche diversi miliardi di bit di informazioni sarebbero sufficienti? Allora

neanche una biblioteca genetica di 1.000 volumi potrebbe essere sufficiente,

ecco perché noi abbiamo il cervello. Come tutti gli altri organi, il cervello ha

subìto un'evoluzione aumentando, in milioni di anni, la sua complessità e il

contenuto di informazioni. La sua struttura rispecchia tutti gli stadi

attraverso i quali esso è passato. Il cervello si è sviluppato dall'interno

all'esterno, nel profondo interno c'è la parte più antica, detta tronco cerebrale

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che tiene lì le funzioni biologiche fondamentali, le quali comprendono certi

ritmi vitali, come il battito cardiaco e la respirazione. Le funzioni superiori

del cervello si sono evolute in tre stati successivi, almeno secondo

un'indagine di un biologo americano. Sopra il tronco cerebrale c'è il

cosiddetto complesso "r", dove "r" sta per rettile; è la sede dell'aggressività,

del senso del territorio e delle gerarchie sociali. Si sviluppò alcune centinaia

milioni di anni fa nei nostri progenitori rettili. Intorno al complesso "r" c'è il

sistema limbico o cervello dei mammiferi, sviluppatosi solo decine di

milioni di anni fa in certi antenati che erano già dei mammiferi, ma non

ancora primati, come le scimmie ad esempio. Il sistema limbico è la fonte

importante dei nostri umori ed emozioni. All'esterno del cervello c'è la

corteccia cerebrale, sviluppatasi solo milioni di anni fa nei nostri antenati

che erano ormai dei primati. Nella corteccia cerebrale la materia viene

trasformata in consapevolezza, regola la nostra vita quotidiana. Dietro la

fronte abbiamo i lobi frontali della corteccia cerebrale, è lì, forse, che noi

prevediamo gli avvenimenti o immaginiamo il futuro. All'interno della

corteccia cerebrale c'è la struttura microscopica del delfino. Il linguaggio del

cervello non è quello del DNA o dei geni, tutto quello che sappiamo è

codificato in cellule dette neuroni, minuscoli elementi codificatori, dove

ogni collegamento rappresenta un bit di informazione. Quanti neuroni ci

sono in ognuno di noi? Forse un numero paragonabile alle stelle della nostra

Galassia. I neuroni hanno anche un loro suono. Il paesaggio della corteccia

cerebrale umana è caratterizzato da solchi profondi, c'è una spiegazione in

questo fatto. Questi aumentano la superficie disponibile ad immagazzinare

le informazioni, considerando lo spazio limitato all'interno del cranio. Il

mondo del pensiero è diviso, grosso modo, in due emisferi: quello di destra,

che sovrintende soprattutto alla creatività, alla sensibilità, e quello di

sinistra, che presiede al pensiero razionale, analitico e critico. È un dialogo

continuo tra i due emisferi del cervello, incanalato in un immenso pacco di

fibre nervose, chiamato corpo calloso. Il contenuto di informazioni del

cervello umano, espresso in bit, è paragonabile al numero dei collegamenti

tra i neuroni della corteccia cerebrale, vale a dire circa 100.000 miliardi di

bit, cioè 10 alla quattordicesima potenza (10^14). Dentro la testa di ognuno

di noi c'è una quantità di informazioni corrispondente a 20 milioni di

volumi.

Ma all'incirca qualche decina di migliaia di anni fa, cominciammo a

conoscere più cose di quante il cervello potesse contenere. Così imparammo

ad accumulare enormi quantità di informazioni al di fuori del nostro corpo.

Per quanto ne sappiamo, siamo l'unica specie esistente su questo pianeta ad

aver inventato una memoria in comune fra tutti. Il magazzino di questa

memoria si chiama biblioteca.

Anche le biblioteche hanno avuto una loro evoluzione. La grande biblioteca

di Assurbanipal, antico re di Assiria, era composta di migliaia di tavolette di

argilla; la famosa biblioteca di Alessandria d'Egitto consisteva di quasi un

milione di rotoli di papiro. Le grandi biblioteche moderne, come quella

pubblica di New York, contengono qualcosa come 10 milioni di libri. Il che

è più di 10 alla quattordicesima di bit di informazioni in parole, più di

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100.000 miliardi di bit, qualcosa come 10 alla quindicesima bit di

informazioni. Ciò vuol dire più di 10.000 volte il numero totale dei bit di

informazioni dei nostri geni, qualcosa come 10 volte il totale delle

informazioni che sono nel nostro cervello. Ad esempio, anche se leggessi un

libro alla settimana per tutta la durata della mia vita da adulto, vivendo una

vita dalla durata media, arrivato alla fine, avrei letto appena qualche

migliaio di libri. Ciò dà un ulteriore idea di quanto sia grande il numero di

informazioni detto prima. A pensarci bene, un libro è una cosa sorprendente.

O lo si considera un prodotto degli alberi. Ma basta dargli un'occhiata e uno

si trova nella mente di un'altra persona, magari di qualcuno che è morto da

diverse centinaia di anni. Un autore ci parla attraverso i millenni in modo

chiaro e silenzioso, parla alla nostra mente, direttamente a noi. La scrittura

è, forse, la più grande delle invenzioni dell'uomo, perché collega tra loro

persone che non si conosceranno mai. Alcuni dei primi autori scrivevano su

roccia e sulle pietre, la scrittura cuneiforme è la progenitrice del moderno

alfabeto occidentale. Fu inventata nel vicino Oriente più o meno 5.000 anni

or sono. A che scopo? Registrare i fatti, fatti riguardanti qualsiasi cosa. Per

migliaia di anni la scrittura è stata incisa, scolpita sulla pietra oppure graffita

sulla cera o sulla corteccia o sul cuoio, ecc., comunque sempre in una sola

copia alla volta. E, tranne per le iscrizioni sui monumenti, era destinata a

una cerchia ristretta di lettori. Ma poi in Cina, tra il II e III sec. furono

inventati la carta, l'inchiostro e la stampa, tutte invenzioni avvenute più o

meno insieme, che permisero la stampa e la distribuzione di molte copie

della stessa opera. Ci vollero migliaia di anni perché l'importanza delle

invenzioni cinesi fosse recepita nella lontana e retrograda Europa. Subito

prima dell'invenzione dei caratteri mobili, avvenuta intorno al 1450, in tutta

l'Europa c'erano poche decine di migliaia di libri, ognuno dei quali

manoscritto. Cinquant'anni più tardi in Europa c'erano già dieci milioni di

libri stampati. All'improvviso si cominciarono a stampare libri in tutto il

mondo. Sono passati 23 secoli dalla fondazione della biblioteca

Alessandrina e da allora sono vissute e sono morte un centinaio di

generazioni. Se la cultura fosse stata tramandata solo verbalmente, quanto

sapremmo poco del nostro passato e come sarebbe lento, oggi, il nostro

progredire. I libri ci consentono di viaggiare attraverso il tempo, di attingere

alla saggezza dei nostri antenati. Una biblioteca ci collega direttamente con

le intuizioni e le conoscenze delle menti e dei maestri più grandi, su tutta la

Terra e in tutta la storia dell'uomo. I libri sono i depositari del sapere della

nostra specie e del nostro lungo viaggio attraverso l'evoluzione.

Nell'antico Egitto, le biblioteche portavano sulle pareti queste parole:

"nutrimento dell'anima".

Perfino di notte, la città, come il cervello, è impegnata ad assimilare e

distribuire informazioni; le informazioni la mantengono viva e le forniscono

gli strumenti per adattarsi al mutare delle condizioni. Anche l'informazione

di per sé stessa si evolve, nutrita dalla libertà di comunicazioni. Le unità

dell'evoluzione biologica sono i geni, le unità dell'evoluzione strutturale

sono le idee. Le idee vengono trasportate per tutta la Terra, mediante le

comunicazioni, vengono selezionate da un analisi.

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Negli ultimi millenni si è andato verificando, sul pianeta Terra, un

fenomeno straordinario: l'abbondanza di informazioni è divenuto un fatto a

portata di mano, quotidianamente. Il numero di bit a nostra disposizione è

aumentato in modo impressionante. Oggi i computer sono in grado di

immagazzinare ed elaborare una quantità enorme di informazioni in un

tempo estremamente rapido. La comunicazione diretta tra miliardi di esseri

umani oggi è possibile grazie ai computer e ai satelliti artificiali. Sta

sorgendo la possibilità di una intelligenza globale che colleghi tutti i cervelli

della Terra in una consapevolezza a livello planetario. In altri mondi può

darsi che esistano dei cervelli, perfino dei cervelli planetari, ma non

esattamente simili ai nostri. Le mutazioni e la selezione naturale sono

processi, fondamentalmente, casuali. Se la Terra ricominciasse daccapo la

propria evoluzione, l'intelligenza, probabilmente, rinascerebbe, ma la

rinascita di un qualcosa che somigliasse da vicino a un essere umano

sarebbe improbabile.

Su altri pianeti, con una diversa sequenza di processi casuali atti a

diversificare le varie eredità e con l'ambiente diverso, atto a selezionare

combinazioni particolari di geni, le possibilità di trovare esseri molto simili

a noi devono essere quasi zero. Ma la possibilità di trovare altre forme di

intelligenza non è quasi zero. Altri cervelli potrebbero essersi sviluppati

dall'interno, come il nostro, potrebbero avere elementi di comunicazioni

analoghi ai nostri neuroni, ma con neuroni molto diversi. Potrebbero essere

superconduttori, che lavorano a temperature molto basse, nel qual caso la

velocità del loro pensiero potrebbe essere dieci milioni di volte superiore

alla nostra. Oppure i loro neuroni potrebbero non essere in contatto chimico

diretto uno con l'altro, potrebbero essere in comunicazione radio. Potrebbero

esserci esseri con 10 alla ventesima neuroni. C'è da chiedersi, quante cose

possono sapere. Se riuscissimo a contattarli, troveremmo molto, nei loro

cervelli, che sarebbe di enorme interesse per i nostri e viceversa. Penso che

un'intelligenza extraterrestre, sia pure sorprendentemente più sviluppata

della nostra, avrebbe molta curiosità per noi, per quello che sappiamo, per

come la pensiamo, per la storia della nostra evoluzione, per le prospettive

del nostro futuro. Dentro a ogni cervello umano vanno, continuamente,

formandosi e dissolvendosi modelli di impulsi elettrochimici, che

rispecchiano le nostre emozioni, le nostre idee, i nostri ricordi. Nell'agosto e

nel settembre del 1977, vennero lanciate due sonde Voyager, per un viaggio

storico nel Sistema Solare. La loro missione scientifica consiste nello studio

dei grandi pianeti, prima Giove con i suoi satelliti e poi Saturno con il suo

sistema di lune. Gli incontri ravvicinati con questi mondi enormi hanno

accelerato la spinta delle sonde verso l'esterno del Sistema Solare, nel regno

delle stelle, dove andranno vagando per sempre, dureranno per un miliardo

di anni. Forse, in un futuro remoto, esseri di una civiltà aliena

intercetteranno le nostre navicelle e capiranno molte cose della nostra

specie. Ma una macchina da sola non può raccontare tanto, per questo

abbiamo messo su ognuna di essa un disco, che ha inciso non solo le onde

cerebrali di una donna della Terra, ma anche una antologia di musiche, di

immagini e di suoni del nostro pianeta, compresi i saluti in 60 lingue umane

e il linguaggio delle balene. Il disco dà le istruzioni su come ascoltare i

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suoni e di vedere le immagini registrate, che comprendono anche delle

istantanee. Coloro che riceveranno, se ciò avverrà, il messaggio delle sonde

Voyager, capiranno in modo incompleto, nel migliore dei casi immagini e

suoni. Tra le tante possibili interpretazioni il messaggio, fornirà un dato

certo, che noi siamo una specie dotata di speranza e perseveranza.

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Il futuro dell'umanità

Tutte le generazioni umane si sono sempre interrogate sulle origini e sul

destino del cosmo.

La nostra è la prima generazione che abbia la possibilità concreta di trovare

qualcuna delle risposte.

In un modo o nell'altro, noi siamo collocati sull'orlo dell'eterno. "Chiamo a

testimoni il cielo e la terra contro di te, e prima di te io ho creato la vita e la

morte, la benedizione e la maledizione. Perciò, scegli la vita che vuoi vivere

e prosegui". Circa 200 anni fa, in una località del Golfo dell'Alaska, due

civiltà, che non si erano mai conosciute, fecero il loro primo incontro. Da

una parte il popolo dei Kinkit, che vivevano più o meno come erano vissuti i

loro antenati per migliaia di anni. Una popolazione nomade che si spostava

spesso su canoe da un accampamento all'altro, catturando pesce, frutti di

mare e vivendo di scambi con le tribù vicine. Il creatore che essi adoravano

era il dio-corvo, che raffiguravano come un uccello enorme dalle ali

bianche. E un giorno di luglio del 1786, il dio-corvo apparve veramente. I

primi che furono testimoni di questo fatto rimasero terrorizzati, per loro chi

osava guardare il dio veniva tramutato in pietra. La realtà era che dall'altro

capo della Terra era arrivata una spedizione guidata dall'esploratore francese

La Perousse. Si trattava del primo grande viaggio scientifico programmato

del XVIII secolo, il suo scopo era di raccogliere attorno al mondo nuove

conoscenze di geografia, di storia naturale e sulle popolazioni delle terre più

lontane. Ebbene i Kinkit credettero di vedere nel veliero dell'esploratore

francese il dio-corvo. Però tra di loro ci fu chi osò indagare più a fondo, era

un vecchio guerriero quasi cieco. Disse che la sua vita era ormai alla fine e

per il bene di tutti, avrebbe avvicinato il grande corvo per chiedergli se

aveva, veramente, intenzione di trasformare la sua gente in pietra. Il vecchio

guerriero si mise a guardare a lungo il grande corvo e alla fine si accorse che

non era un grande uccello inviato dal cielo, ma un prodotto del lavoro di

altri uomini uguali a lui. Questo primo incontro si svolse in modo pacifico,

gli uomini della spedizione di La Perousse avevano ricevuto ordini drastici

di trattare con rispetto le popolazioni che avessero, eventualmente,

incontrato. Una politica eccezionalmente civile per quei tempi e anche per

quelli successivi. La Perousse e il guerriero Kinkit si scambiarono dei doni,

poi la nave straniera salpò e non tornò più. Non tutti gli incontri tra nazioni

sono stati e sono così pacifici. Prima del 1519 gli Aztechi del Messico non

avevano mai visto un'arma da fuoco e anch'essi all'inizio, credettero che gli

stranieri arrivati sulla loro terra provenissero dal cielo. Ma gli spagnoli agli

ordini di Fernando Cortès non erano vincolati dall'ordine di non usare la

violenza. I conquistadores erano in cerca non di nuove conoscenze, ma di

oro. Usarono la superiorità delle loro armi per saccheggiare ed uccidere.

Nella loro follia cancellarono dalla faccia della terra una civiltà. In nome

della devozione, facendosi scudo della loro fede, gli spagnoli distrussero,

completamente, una società, che per arte, astronomia e architettura non

aveva uguali in Europa. Noi condanniamo i conquistadores per la loro

crudeltà e cecità, per aver scelto la morte, e rendiamo onore a La Perousse e

ai Kinkit per il loro coraggio e saggezza, per aver scelto la vita. È una scelta

che oggi si ripropone, solo che la società attualmente in pericolo è tutto il

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genere umano. Come i fabbricanti di miti ben sapevano, noi siamo tanto

figli della terra che del cielo, da quando abitiamo questo pianeta abbiamo

accumulato un bagaglio evolutivo pericoloso: la professione all'aggressività,

la sottomissione ai capi, l'ostilità verso i nuovi venuti, tutte cose che

mettono a rischio la nostra sopravvivenza. Ma abbiamo anche acquisito la

comprensione per gli altri, l'amore per i figli, il desiderio di imparare dalla

storia e dall'esperienza una grande sublime appassionata intelligenza, sono

elementi che ci consentono a continuare a sopravvivere e a prosperare.

Quale sarà il lato della nostra natura a prevalere? Non si può dire. Ma

nell'universo ci attende una prospettiva alla quale non si può sfuggire. Ogni

essere pensante teme la guerra nucleare, ma tutte le nazioni a tecnologia

progredita la progettano. In Germania stavano studiando la bomba all'inizio

della seconda guerra mondiale, e quindi gli americani dovevano arrivare

prima. Se gli americani l'avevano, dovevano averla anche i russi, poi gli

inglesi, i francesi, i cinesi, gli indiani, i pakistani, sono molte le nazioni,

ormai, a possedere armi atomiche. Sono di facile fabbricazione, il materiale

fissile può essere sottratto dai reattori nucleari, le armi nucleari sono

diventate quasi un'attività artigianale. Le bombe della seconda guerra

mondiale erano chiamate "abbatti edifici", caricate con 20 tonnellate di

tritolo distruggevano un isolato. Tutte le bombe sganciate sulle città nella

seconda guerra mondiale, ammontano a circa 2 milioni di tonnellate di

tritolo, 2 megatoni. Oggi, 2 megatoni sono la potenza di una sola bomba

termonucleare. Ma ne esistono decine di migliaia di armi nucleari, i missili e

i bombardieri della Russia e degli Stati Uniti hanno le testate nucleari

puntate su più di 15.000 obiettivi già designati. Sul pianeta non c'è più un

luogo sicuro. L'energia contenuta in queste armi nucleari assomma a

parecchio di più di 10.000 megatoni, un'altra guerra mondiale ogni secondo

per la durata di un pomeriggio. La bomba lanciata su Hiroshima uccise

70.000 persone, in una guerra nucleare totale, nel parossismo di una morte

planetaria sulla Terra verrebbero lanciate l'equivalente di un milione di

bombe come quella di Hiroshima. Ma in questa follia, non tutti resterebbero

uccisi dall'esplosione, dalla tempesta di fuoco e dalle radiazioni immediate,

ci sarebbero altre agonie: la perdita di persone care, schiere di persone

ustionate, private della vista, mutilate, mancanza di assistenza medica,

malanni, epidemie, radiazioni a lungo termine che avvelenerebbero il suolo

e le acque, aumento dei tumori, arresto delle nascite, malformazioni nei

bambini. È l'impressione sconfortante di una civiltà distrutta per niente, la

coscienza che avremmo potuto evitarlo. Il cosiddetto equilibrio del terrore,

patrocinato dagli Stati Uniti e dalla Russia, tiene come ostaggi tutti gli

abitanti della Terra. Ogni contendente mette alla prova il limite di tolleranza

dell'altro, come nel caso dei missili diretti a Cuba. L'equilibrio del terrore è

un equilibrio delicato, con margini molto piccoli per gli errori di calcolo. E

il mondo continua ad impoverirsi spendendo mezzo miliardo di miliardi di

dollari all'anno per prepararsi ad una guerra. Come faremmo a spiegare tutto

questo ad un osservatore extraterrestre? Quali impressioni daremmo del

nostro modo di gestire il pianeta Terra? Da una prospettiva extraterrestre,

tutta la nostra civiltà è chiaramente sul punto di fallire nel punto più

importante della sua storia, preservare la vita e il benessere dei suoi cittadini

e la futura abitabilità del pianeta. Ma se riusciamo a vivere con la probabilità

crescente di una guerra nucleare, non dovremmo anche riuscire a cercare ad

esplorare con convinzione ogni possibile mezzo per evitarla questa guerra?

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Non dovremmo considerare in ogni nazione la possibilità di grandi

cambiamenti nei metodi tradizionali, una ristrutturazione dalle fondamenta

delle istituzioni economiche, politiche, sociali e religiose?

Siamo arrivati a un punto in cui non ci possono più esserci interessi

particolari, le armi nucleari minacciano singolarmente tutti sulla Terra. I

cambiamenti radicali della società vengono qualche volta etichettati come

poco pratici o contrari alla natura dell'uomo. Ma è evidente che i

cambiamenti radicali possono essere fatti, siamo circondati da esempi. Negli

ultimi due secoli la schiavitù, che veniva praticata da migliaia di anni, è

stata quasi completamente eliminata con un processo che ha visto

impegnato tutto il mondo. Le donne, sistematicamente emarginate per dei

millenni, stanno conquistando quei poteri politici ed economici

tradizionalmente negati e alcune guerre di aggressione sono state fermate o

abbreviate in conseguenza di un rifiuto opposto dalla popolazione del paese

aggressore. I soliti appelli ai princìpi razziali, religiosi e di sesso e a un

rabbioso fervore nazionalistico cominciano a non funzionare. Si sta

sviluppando una nuova coscienza che guarda la Terra come a un'entità unica

e che si rende conto che un'entità in guerra con sè stessa è condannata. Una

delle grandi rivelazioni dell'era dell'esplorazione spaziale è l'immagine della

Terra delimitata e solitaria. Ma si tratta di una percezione antica. Nel III

secolo a.C. uno scienziato greco di nome Eratostene che viveva in Egitto,

calcolò con molta precisione le dimensioni del nostro pianeta e ne tracciò

una mappa. Aristotele aveva sostenuto che l'umanità andava divisa in greci e

tutti gli altri, che egli aveva definito barbari. E aveva affermato che i greci

dovevano mantenersi razza pura, la sua idea era che fosse opportuno che i

greci rendessero schiavi gli altri popoli. Ma Eratostene criticò Aristotele per

il suo razionalismo esasperato o cieco. Era convinto che in tutti i paesi ci

fosse il buono e il cattivo. I conquistatori greci inventarono per gli egiziani

un nuovo dio, che però aveva un'aria decisamente greca. Alessandro Magno

fu ritratto nelle vesti di faraone per simboleggiare la parità degli egiziani,

ma in realtà i greci erano sicuri della propria superiorità. La critica di

Eratostene non costituì, quindi, una sfida pericolosa ai pregiudizi imperanti;

il mondo greco era imperfetto come il nostro. Ma i Tolomei, i re greci

d'Egitto che succedettero ad Alessandro Magno, ebbero almeno il grande

merito di incoraggiare la diffusione della conoscenza. Le idee predominanti

sulla natura del cosmo furono messe in discussione e alcune di esse messe

da parte. Furono avanzate idee nuove e si scoprì che si accordavano meglio

con i fatti. Nacquero teorie immaginose, accesi dibattiti, conclusioni

brillanti, e il tesoro che derivò dalla ricerca umana fu raccolto e conservato

per secoli. I Tolomei non si limitarono a collezionare l'antico sapere, essi

incoraggiarono la ricerca scientifica dando così vita a nuove conoscenze, i

risultati furono eccezionali. Eratostene calcolò con precisione le dimensioni

della Terra, ne fece una mappa e lanciò l'idea che poteva essere

circumnavigata. Ipparco anticipò la teoria che le stelle hanno anch'esse una

nascita, si muovono molto lentamente nel corso dei secoli e alla fine si

estinguono. Fu lui il primo a classificare la posizione e la magnitudine delle

stelle allo scopo di stabilire se c'erano questi cambiamenti. Euclide fu autore

di un libro di testo sulla geometria sul quale gli esseri umani hanno studiato

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per ben 23 secoli. Galeno scrisse opere fondamentali sulla terapia e

sull'anatomia, che dominarono la medicina fino al Rinascimento. Sono

soltanto alcuni esempi. Ci furono decine di grandi studiosi e si ebbero

centinaia scoperte fondamentali. Alcune di queste scoperte continuano a

essere attuali. Apollonio di Perge studiò la parabola e l'ellisse, due curve

che, oggi, sappiamo essere descritte da corpi che cadono in campi

gravitazionali e da veicoli spaziali che viaggiano fra i pianeti. Erone di

Alessandria inventò la macchina a vapore e molti dispositivi meccanici e fu

autore del primo testo mai scritto sui robot. Immaginate come sarebbe

diverso il mondo se queste scoperte fossero state rese di pubblico dominio e

sfruttate a beneficio di tutti. Alessandria era la città più grandiosa che il

mondo occidentale abbia mai vista. La gente andava lì per viverci, per

commerciare, studiare; in certi giorni, il porto era, letteralmente, brulicante

di mercanti, studiosi. Probabilmente lì la parola cosmopolita acquistò il suo

vero significato, ossia di cittadino non solo di una nazione bensì del cosmo.

Pensate, essere cittadini del cosmo. Senza dubbio ad Alessandria vennero

gettati i semi del nostro mondo moderno. Ma perché non misero radici, non

fiorirono, perché, invece, l'occidente si addormentò in un sonno durato

secoli oscuri, finché Colombo, Copernico e i loro contemporanei

riscoprirono il mondo della vita? Non c'è una risposta semplice. Ma una

cosa è certa, non c'è alcun documento in tutta la storia della biblioteca di

Alessandria che dimostri che qualcuno degli scienziati che studiavano lì,

abbia seriamente messo in discussione un solo principio economico,

religioso o politico della società in cui essi vivevano. L'immobilità delle

stelle fu messa in dubbio, l'ingiustizia della schiavitù non lo fu mai. Scienza

e studio, in generale, erano privilegi riservati a pochi eletti. La numerosa

popolazione della città di Alessandria non aveva la più vaga nozione delle

grandi scoperte che venivano fatte. Come potevano? Le nuove conquiste

non venivano né spiegate e né, tantomeno, diffuse. Il progresso andava a

beneficio di pochi, la scienza non apparteneva agli altri. Le scoperte di

meccanica, ad esempio nella tecnologia del vapore, venivano sfruttate,

soprattutto, per perfezionare le armi o per incoraggiare le superstizioni. Non

risulta che gli scienziati abbiano mai capito le enormi possibilità delle

macchine, di liberare le persone da un lavoro ripetitivo e faticoso.

Nell'antichità, le grandi conquiste dell'intelletto ebbero molto poche

applicazioni pratiche. La scienza non riuscì mai a catturare l'immaginazione

delle moltitudini.

Abbiamo parlato della distruzione di mondi e della fine di civiltà, ma c'è

anche un'altro punto di vista dal quale valutare i comportamenti umani.

Qualcosa come 15 miliardi di anni fa, il nostro universo nacque

dall'esplosione più immane di tutti i tempi. Poi l'universo si espanse, si

raffreddò e si oscurò. L'energia si condensò in materia, prevalentemente

atomi di idrogeno. Questi atomi formarono delle nubi immense, in

allontanamento l'una dall'altra, che in seguito diventarono le galassie.

All'interno di queste galassie, nacque la prima generazione di stelle,

bruciando l'energia nascosta nella materia e inondando il cosmo di luce. Gli

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atomi di idrogeno avevano creato i soli e la luce delle stelle. In quel tempo,

non esistevano nè i pianeti per ricevere la luce delle stelle né creature

viventi per ammirare lo splendore del cielo. Ma nel profondo delle fornaci

stellari, la fusione nucleare stava dando vita ad atomi più pesanti, carbonio,

ossigeno, silicio e ferro. Questi elementi, cenere lasciata dall'idrogeno,

costituivano la materia primordiale da cui più tardi sarebbero nati i pianeti e

la vita. All'inizio, gli elementi pesanti erano prigionieri nel nucleo centrale

delle stelle, ma le stelle di grande massa esaurirono presto il carburante e nel

loro ultimo sussulto restituirono allo spazio la maggior parte della loro

materia. Così il gas interstellare si arricchì di elementi pesanti. Nella nostra

Galassia, la Via Lattea, la materia cosmica fu riciclata in nuove generazioni

di stelle, ora ricche di atomi pesanti. E nel gelo dello spazio interstellare,

grandi nubi turbolente vennero ammassate dalla gravità e agitate dalla luce

delle stelle. Nel loro interno più profondo, gli atomi pesanti si condensarono

in grani di polvere di rocce e di ghiaccio e in molecole complesse a base di

carbonio. Gli atomi di idrogeno avevano elaborato la materia della vita. In

altre nubi, masse ancora più grandi di gas e di polvere formarono successive

generazioni di stelle. Appena nasceva una nuova stella, accanto ad essa si

formavano piccoli condensati di materia, minuscole particelle di roccia e di

metallo, di ghiaccio e di gas, che poi sarebbero diventati pianeti. E su questi

mondi, come nelle nubi interstellari, si formarono le molecole organiche. In

molti mondi queste molecole venivano distrutte dalla luce del Sole e

ricombinate dai processi chimici. Finché un giorno nacque una molecola,

che, per puro caso, riuscì a duplicare se stessa. Via via che il tempo passava,

l'autoriproduzione diventava sempre più perfetta; le molecole che si

duplicavano meglio delle altre producevano più copie, la selezione naturale

era iniziata. Si svilupparono meccanismi molecolari sempre più complessi,

era incominciata la vita. Gruppi di molecole organiche si svilupparono in

organismi monocellulari, questi a loro volta produssero colonie

multicellulari. Alcune parti si trasformarono in organi specifici, alcune

colonie si stabilirono sui fondali marini, altre vagarono liberamente nelle

acque. Si svilupparono gli occhi. Esseri viventi si trasferirono sulla terra

ferma. Per un certo periodo dominarono i rettili, ma poi cedettero il passo ad

altre creature più piccole, dal sangue caldo e dal cervello più grande, che

svilupparono agilità e curiosità sull'ambiente che li circondava. Impararono

a servirsi del fuoco e del linguaggio. La materia stellare si era trasformata in

consapevolezza. Noi siamo un modo, per il cosmo, di conoscere se stesso.

Siamo creature del cosmo assetate, da sempre, di conoscere le nostre origini,

di capire i nostri legami con l'universo. Come è nato il tutto? Ogni civiltà

della Terra ha elaborato una propria risposta all'enigma posto dall'universo.

Ogni civiltà celebra a modo suo i frutti della vita e della natura. Ci sono

molti modi diversi di essere creatura umana. Ma un visitatore extraterrestre

osservando le differenze esistenti tra le società umane, le troverebbe

insignificanti in confronto alle somiglianze. Noi siamo una sola specie. La

nostra vita, il nostro passato, il nostro futuro dipendono dal Sole, dalla Luna

e dalle stelle. I nostri antenati sapevano che la loro sopravvivenza dipendeva

dalla loro capacità di comprendere il cielo. Costruirono osservatori e

calcolatori per prevedere il mutare delle stagioni attraverso il moto dei cieli.

La scoperta che nell'universo c'è un ordine, che in natura esistono delle

leggi, è il fondamento su cui poggia la scienza moderna. La nostra

concezione del cosmo, tutta la scienza e la tecnologia moderna ci riportano

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agli interrogativi che le stelle pongono da sempre. Eppure, appena 400 anni

fa, non avevamo idea di quale fosse il nostro posto nell'universo. La lunga

strada che ha portato alla comprensione di questo fatto ha richiesto sia un

irriducibile rispetto per la realtà sia un grande amore per la matematica.

Scrive Johannes Kepler: "Noi ci chiediamo qual è lo scopo pratico del canto

degli uccelli, perché il canto è la loro gioia, visto che sono stati creati per

cantare".

Allo stesso modo, noi dovremmo chiederci come mai la mente umana si

affatica a sondare il segreto degli uccelli. La varietà dei fenomeni naturali è

talmente vasta proprio per fare in modo che alla mente umana non manchi

mai di nutrimento sempre fresco. Ogni bambino di qualunque civiltà e di

qualunque età ha il diritto dal fatto di essere nato, di riscoprire il cosmo

partendo da zero. Quando questo accade, troviamo un profondo senso di

stupore. I più fortunati di noi trovano i maestri che indirizzano le nostre

tendenze. Studiamo per imparare a distinguere i preconcetti dalla verità. Poi,

quando riusciamo a decifrare i misteri del cosmo, scopriamo mondi nuovi.

La scienza è un'impresa collettiva che abbraccia molte civiltà e crea un

ponte tra le generazioni. In ogni epoca e talvolta nei luoghi più impensati

emerge chi, animato da una grande passione, vuol capire il mondo. Non c'è

modo di sapere prima da dove verrà la prossima scoperta. Ci sono sogni che,

all'inizio, sembrano irrealizzabili. Un tempo anche osservare un pianeta con

un telescopio era un fatto meraviglioso. Ma poi abbiamo studiato i pianeti,

abbiamo capito come si muovono nelle loro orbite e subito abbiamo

progettato viaggi di esplorazione lontano dalla Terra e abbiamo mandato

sonde automatiche a osservare pianeti e stelle. Noi esseri umani desideriamo

ardentemente ricollegarci con le nostre origini. Così abbiamo creato i miti.

La scienza è un altro modo per esprimere questo desiderio, anch'essa ci

collega con le nostre origini e anch'essa ha i suoi miti e i suoi

comandamenti. La sua unica verità sacra è che non esistono verità sacre.

Qualunque asserzione deve essere esaminata con spirito critico. Gli

argomenti forniti da chi ha il potere non hanno valore, tutto ciò che è

inconciliabile con la realtà, anche se si tratta di una convinzione che ci

appassiona, deve essere scartata o quantomeno riesaminata. La scienza non

è perfetta, spesso è usata a sproposito, è solo uno strumento. Ma è lo

strumento migliore che abbiamo, si corregge da sola, non è immutabile, si

può applicare a tutto. Grazie ai metodi scientifici abbiamo incominciato a

esplorare il cosmo. Per la prima volta, le scoperte della scienza sono aperte a

tutti. Noi esseri umani abbiamo posato i piedi su un altro mondo, in un

luogo chiamato Mare della Tranquillità (Luna); una conquista sorprendente

per delle creature, le cui prime impronte risalenti a 3,5 milioni di anni fa

sono conservate nelle ceneri di un vulcano dell'Africa Orientale. Abbiamo

fatto molta strada. Tutto ciò che abbiamo visto può sembrare la celebrazione

di un mito, ma è la descrizione dell'evoluzione del cosmo, così come ce l'ha

rivelata la scienza della nostra epoca. Mentre noi abbiamo cominciato,

finalmente, a interrogarci sulle nostre origini

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Astronomia e astrologia

L'ammasso delle Pleiadi è un insieme di giovani stelle che, secondo gli

astronomi, sta uscendo ora dalla sua culla fatta di gas e di polveri. La

nebulosa del Granchio è un cimitero di stelle, dal quale i gas e le polveri

vengono mandati nello spazio interstellare dove si disperdono. Al suo

interno c'è una pulsar che sta morendo. Tanto le Pleiadi che la nebulosa del

Granchio fanno parte di una costellazione che tanto tempo fa gli astrologi

chiamarono Taurus, il Toro. Ad essa attribuirono la capacità di influire sulla

nostra vita quotidiana. Gli astronomi affermano che il pianeta Saturno è un

globo immenso fatto di idrogeno e di elio, e circondato da un anello largo

50.000 Km. Dicono anche che l'immensa macchia rossa sul pianeta Giove

sia una tempesta gigantesca che infuria da un milione di anni. Ma gli

astrologi affermano che i pianeti influenzano il carattere e il destino

dell'uomo; Giove conferisce un tono regale e un animo gentile, Saturno

ispirerebbe la diffidenza, il sospetto e la malvagità. Per gli astronomi Marte

è un mondo che aspetta di essere esplorato; invece gli astrologi vedono

Marte come un guerriero, istigatore di discordie, violenza e distruzione.

L'astronomia e l'astrologia non sono state, sempre, così distinte tra loro; per

gran parte della storia dell'umanità, l'una comprendeva anche l'altra. Ma

arrivò il momento in cui l'astronomia si liberò dai vincoli dell'astrologia. Fu

Kepler a ridimensionare il mito del cielo, scoprendo che il movimento del

pianeta è originato da una forza di natura fisica.

Fu il primo astrofisico e l'ultimo astrologo in senso scientifico.

Le motivazioni artificiose dell'astrologia furono scartate 300 anni fa, e

nonostante questo l'astrologia viene presa sul serio ancora oggi da una gran

quantità di persone. Infatti sono diffuse parecchie riviste di astrologia, in

America, ogni giornale ha la sua rubrica di astrologia e quasi tutti

pubblicano, almeno un articolo alla settimana sull'argomento. La gente porta

medaglie e pendagli astrologici, prima di uscire controlla il proprio

oroscopo del giorno. Persino il linguaggio conserva del significato

astrologico, per esempio la parola disastro deriva dal greco ed è composta

dal prefisso "dis" e dalla parola "astro". Una delle malattie più comuni,

l'influenza, prende il nome dall'influsso che veniva attribuito alle stelle sulla

salute. Alcune migliaia di anni fa nacque la convinzione che il movimento

dei pianeti determinasse il destino di re, dinastie, imperi, ecc. Gli astrologi

studiavano il movimento dei pianeti e poi si domandavano cosa era successo

l'ultima volta che, ad esempio, Venere stava entrando nella costellazione del

Capricorno. Forse, stavolta sarebbe successo qualcosa di simile, era

matematico. Gli astrologi furono benvisti dai loro governi, molti Paesi

consideravano reato capitale per coloro che non fossero, veramente,

astrologi a leggere i fenomeni del cielo. Perché? Perché il modo migliore

per far crollare un regime era predirne la caduta. In Cina, gli astrologi di

corte che facevano previsioni poco gradite erano giustiziati, altri si

limitavano a manipolare i fatti passati in modo da farli coincidere con quelli

previsti da loro. L'astrologia si sviluppò in una strana disciplina, un

miscuglio di osservazioni molto attente, di matematica, di catalogazione,

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condite con idee confuse. Ma nonostante tutto, l'astrologia sopravvisse e

prosperò. Come mai? Perché l'astrologia finge di soddisfare la nostra brama

di sentirci, personalmente, collegati con l'universo. L'astrologia induce a un

fatalismo pericoloso perché se la nostra vita è regolata da una serie di

semafori celesti, a che serve tentare qualunque cambiamento? Il fatto

interessante delle previsioni astrologiche è che non dicono cosa bisogna fare

e che cosa succederà. Sono consapevolmente studiate per essere così vaghe

da potersi adattare a chiunque e oltretutto non vanno d'accordo tra loro. La

validità dell'astrologia è messa a dura prova nel caso di fratelli gemelli.

Supponiamo che ci sono due gemelli nati nello stesso posto con una

differenza di pochi minuti e al momento della nascita c'erano gli stessi

pianeti e uno dei due muore. Se l'astrologia avesse una validità come

potremmo avere destini così profondamente diversi? Si dà il caso che gli

astrologi non riescano neanche a mettersi d'accordo sul significato di uno

stesso oroscopo. Da attenti esami risultano incapaci di indovinare il carattere

e il futuro delle persone, delle quali conoscono solo il luogo e la data di

nascita. Ma come può un pianeta influire sulla vita di un essere umano

all'atto della nascita? Forse l'influenza gravitazionale del pianeta influisce?

Ma nemmeno questa può essere perché è più forte quella delle persone che

sono vicine. Il desiderio di essere collegati al cosmo è il riflesso di una

profonda realtà. Noi siamo collegati ad esso, ma non nel modo banale di cui

l'astrologia ci assicura. Lo siamo nel più profondo dei modi. Il nostro

piccolo pianeta è realmente sotto l'influenza di un astro, il Sole; ci riscalda,

alimenta la vita ovunque essa si trovi. Ma il nostro Sole non è che uno dei

miliardi e miliardi di astri compresi nell'universo. E tutti quegli

innumerevoli Soli obbediscono alle leggi naturali. Ma come fu scoperta

l'esistenza di tali leggi? Se vivessimo su un pianeta dove niente mai cambia,

non avremmo mai niente da fare, non ci sarebbe niente di nuovo da scoprire,

non ci sarebbero stimoli per la scienza. Se, invece, vivessimo in un mondo

imprevedibile, dove le cose cambiano in modo casuale e complicato, non

saremmo capaci di fare scoperte e anche qui non avremmo stimoli per la

scienza. Ma noi viviamo in un universo che è una via di mezzo, dove le cose

si cambiano, ma a secondo delle regole, dei modelli o come noi le

chiamiamo, leggi della natura. Se lancio un pezzo di legno in aria, so che

deve cadere a terra per forza; il Sole tramonta a ovest e sorge la mattina ad

est, ecc.; in questo modo è possibile fare delle scoperte, possiamo fare della

scienza e con essa migliorare la nostra vita. L'uomo è molto portato alla

comprensione del mondo, lo è sempre stato. Abbiamo imparato, presto, ad

andare a caccia o ad accendere il fuoco, solo perché eravamo portati a

scoprire le cose. C'è stato un lungo periodo prima delle invenzioni attuali (la

televisione, la radio, etc.) e gran parte dell'esistenza umana è stata vissuta in

quel periodo. E una volta raccolti attorno a un fuoco, in una notte senza

luna, l'uomo ha guardato il cielo.

Di notte il cielo è molto bello. Una delle costellazioni più facili da

riconoscere è nell'emisfero nord, l'Orsa Maggiore. Gli americani la

chiamano "The Big Ladle", il Grande Mestolo, i francesi hanno avuto

un'idea simile, la chiamano la Casseruola. Nel Medioevo, la forma dell'Orsa

Maggiore aveva suggerito l'idea di un aratro di legno. Gli antichi Cinesi

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avevano trovato una versione più sofisticata, per loro quelle stelle

trasportavano il Burocrate Celeste. I popoli europei videro in quel disegno

un'altra figura, lo chiamarono il Gran Carro, una carrozza medievale. Ma

altri popoli videro queste sette stelle come parte di una figura più grande, la

coda di un Orso enorme (i Greci e i primi americani). Ma indubbiamente

l'interpretazione più fantasiosa per il disegno creato da questo gruppo di

stelle, fu quella data dagli antichi Egiziani. Essi immaginarono una lunga

processione formata da un toro e da un uomo in posizione orizzontale,

seguiti da un ippopotamo che portava un coccodrillo sulla schiena. C'è una

meravigliosa varietà nelle figure che i vari popoli videro in questa

costellazione, ma lo stesso vale anche per tutte le altre costellazioni. C'è

gente che pensa che queste cose esistano davvero in cielo, ma quelle figure

siamo stati noi stesse a crearle. L'uomo era cacciatore, così in cielo ha

immaginato cacciatori, cani, giovani donne e belve varie. Tutti gli aspetti

della vita. Quando nel '700, i naviganti europei varcarono per la prima volta

l'equatore immaginarono nei cieli del Sud tutte le cose legate al loro secolo,

microscopi, telescopi, compassi, etc. Ma le stelle sono qualcosa di più di

semplici figure, per esempio le stelle sorgono sempre a est e tramontano

sempre a ovest. Impiegano tutta la notte ad attraversare il cielo quando

passano allo zenit. In ogni stagione ci sono costellazioni diverse, ma la

stessa costellazione sorge sempre quando è sorta l'anno precedente, non può

essere che sorge una costellazione diversa. C'è regolarità, immutabilità e

prevedibilità per quanto riguarda le stelle e questo, in un certo senso, è

rassicurante.

Il ritorno del Sole dopo un eclisse totale, il suo sorgere al mattino dopo la

sua inquietante assenza notturna, la riapparizione della Luna che va

crescendo dopo la Luna Nuova, tutti questi fenomeni suggerirono ai nostri

progenitori che la vita durasse al di là della notte. Lassù nel cielo c'era la

metafora dell'immortalità. Circa un migliaio di anni fa, nel Sud-Ovest

dell'America, il popolo Anazaki costruì un osservatorio astronomico di

pietre per individuare il giorno più lungo dell'anno (solstizio d'estate). L'alba

di quel giorno era, certamente, un motivo di gioia, di festeggiamento della

generosità del Sole. Questo osservatorio fu costruito in modo tale che i raggi

del Sole penetrassero da una finestra e colpissero una particolare nicchia

solo in quel giorno. Oggi è un luogo abbandonato, il popolo Anazaki non

esiste più. Esso ha imparato a prevedere i cambiamenti di stagione, ma non i

cambiamenti climatici e le siccità. I popoli antichi prestavano molto

attenzione al Sole, alla Luna e alle stelle. Altre costruzioni, simili a quella

degli Anazaki, si trovano in Cambogia, a Stonehenge (Inghilterra), in Egitto,

in Messico e nelle grandi pianure del nord America. Allora come mai dei

popoli di tutto il mondo si prendono questo grande disturbo per imparare

cos'era l'astronomia? Perché prevedere le stagioni era, letteralmente, un

problema di vita o di morte. L'uomo cacciava l'antilope o il bufalo per cui le

migrazioni rifluivano e fluivano con le stagioni; i prodotti della terra erano

maturi per essere colti in certi periodi e non in altri. Quando inventammo

l'agricoltura dovemmo fare attenzione ad arare, seminare e mietere il

raccolto solo nella stagione giusta. Le riunioni annuali di popoli nomadi,

fatte a grande distanza tra loro, avvenivano in giorni prestabiliti. Certo

alcune scoperte relative al calendario possono essere state casuali. Ma ci

sono altre scoperte stupendamente volute. Oggi delle grandiose città

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Anazaki restano solo dei ruderi che hanno resistito al tempo. Non lontano da

queste antiche città, in un luogo pressoché inaccessibile, c'è un altro

strumento che serve a segnalare il solstizio. Si tratta di tre lastroni di pietra

volutamente disposti in un certo modo permettono a un sottile raggio di

Sole, di colpire il centro di una spirale, scolpita su una pietra, solo a

mezzogiorno del giorno più lungo dell'anno. Quando i nostri antenati

preistorici cominciarono a studiare il cielo dopo il tramonto, notarono che

alcune stelle non avevano una posizione fissa rispetto al disegno costante

formato dalle costellazioni. Cinque di esse si muovevano lentamente nel

cielo in un senso, poi nel senso contrario e nuovamente nel senso di prima,

furono chiamate pianeti, dal greco planete che significa errante. Subito i

pianeti rappresentarono un profondo mistero. La prima spiegazione fu che si

trattava di esseri viventi. Ma la vera spiegazione è che i pianeti sono dei

mondi e la Terra è uno di essi e che girano attorno al Sole secondo delle

leggi matematiche. Questa scoperta ha portato direttamente alla nostra

civiltà attuale. La fusione della fantasia e dell'osservazione astronomica ha

dato come risultato la descrizione esatta del nostro Sistema Solare.

Solo allora è divenuta possibile la risposta alla domanda fondamentale, che

sta alla radice della scienza moderna: cos'è che fa muovere tutto? Migliaia

di anni fa, una domanda simile non si sarebbe neanche posta, la teoria

dominante allora era quella formulata da Tolomeo, un astronomo di

Alessandria d'Egitto, era anche il più eminente astrologo del suo tempo.

Tolomeo sosteneva che la Terra era al centro dell'universo e che il Sole, la

Luna e i pianeti ruotassero intorno alla Terra. È l'idea che viene più

spontanea, la Terra appare ferma, immobile, mentre vediamo gli altri corpi

celesti sorgere e tramontare ogni giorno. Ma allora come si spiega il

movimento continuamente rotatorio dei pianeti? Questa teoria consentiva

previsioni abbastanza precise sul moto planetario e sulla posizione di un

certo pianeta ad un dato giorno.

La teoria di Tolomeo, in realtà, impedì il progresso dell'astronomia per

ben 1500 anni.

Finalmente, nel 1543 una spiegazione completamente diversa del moto

apparente dei pianeti fu gridata da un ecclesiastico di nome Niccolò

Copernico. L'aspetto più ardito della sua teoria era che il Sole fosse al centro

dell'universo, la Terra era un pianeta. La teoria copernicana convinceva

quanto quella di Tolomeo, ma dava fastidio a troppa gente. La chiesa

cattolica, poco dopo, inserì l'opera di Copernico nella sua lista dei libri

proibiti e Martin Lutero descrisse Copernico con queste parole:

"Qui la gente dà ascolto ad un astrologo dell'ultimo momento, questo folle

vorrebbe rivoluzionare tutta la scienza astronomica".

Il conseguente confronto tra le due visioni del cosmo, geocentrica ed

eliocentrica, raggiunse il suo apice con le idee di un uomo che, come

Tolomeo, era sia astronomo che astrologo. Quest'uomo visse in un periodo

in cui lo spirito e la mente umana erano soggiogati e incatenati, in un

periodo in cui si immaginava il cielo popolato di anime e di demoni e mosso

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da sfere di cristallo. La lotta maggiore e solitaria di questo uomo consistette

nel far scoccare la scintilla della rivoluzione scientifica moderna, il suo

nome era Johannes Kepler.

Johannes Kepler nacque in Germania nel 1571. Fu mandato al seminario

protestante della cittadina di Maunbrown perché entrasse nella carriera

ecclesiastica. Nel 1589, Kepler lasciò il seminario per continuare gli studi

presso la grande università di Tubinga. Fu per lui una liberazione trovarsi in

mezzo alle correnti intellettuali più vive del suo tempo. Uno dei suoi

insegnanti gli rivelò le idee rivoluzionarie di Copernico; in questa comunità

dotta e civile, Kepler si trovò subito a suo agio. Dopo Tubinga Kepler non

ricevette più gli ordini religiosi, invece con sua grande sorpresa fu

convocato a Graz in Austria e nominato professore di matematica alla

Scuola Superiore, ma non aveva la stoffa dell'insegnante. A Graz al primo

anno i suoi studenti si contavano sulle dita di una mano, il secondo anno non

ne aveva affatto. Nel 1598 ci fu a Graz un'ondata di repressione provocata

dall'arciduca, il quale voleva ristabilire la fede cattolica nella sua provincia

e, secondo le sue stesse parole, "ridurre tutto il paese in un deserto piuttosto

che avere per sudditi degli eretici". La scuola di Kepler fu chiusa, furono

proibiti tutti quei libri considerati eretici. Chi rifiutava di abbracciare la

religione cattolica veniva multato del 10% (dieci per cento) di tutti i suoi

averi ed esiliato fino alla morte. Kepler scelse l'esilio.

"L'ipocrisia non l'ho mai imparata, sono onesto quando si tratta di fede,

per me non è un gioco".

Fu così che si decise ad accettare l'invito di Tycho Brahe. Brahe, un nobile

danese molto ricco, viveva sfarzosamente ed era stato da poco nominato

matematico alla corte imperiale di Praga. Kepler partì da Graz con la moglie

e la figliastra ed affrontò il lungo e faticoso viaggio. Tycho manteneva uno

stuolo di assistenti, parenti lontani e parassiti di ogni sorta. Kepler mal

tollerava quell'eterna baldoria. Era impaziente di conoscere i dati di Tycho,

ma questi glieli portava con il contagocce. Tycho diceva a Kepler "non ho

dato modo di partecipare ai suoi studi", si limitava durante un banchetto, e

parlando anche di altre cose, a menzionare così il passaggio, oggi i dati

relativi all'apogeo del terzo pianeta, domani quelli di un altro. Kepler era

totalmente inadatto a questi giochi. Disse: "La mia opinione su Tycho è

questa: è un uomo estremamente ricco, ma non sa fare buon uso delle sue

ricchezze. Tycho è in grado di fare le migliori osservazioni astronomiche,

ha tanti collaboratori, gli manca solo l'architetto che metta tutto questo a

profitto". Effettivamente, Tycho era incapace di tradurre le sue osservazioni

in una teoria coerente sul Sistema Solare. Tycho Brahe era il più grande

genio del suo tempo nell'osservazione astronomica e Kepler era il più

grande teorico. Nessuno dei due poteva raggiungere da solo la sintesi che

ora sentivano vicina.

La nascita della scienza moderna, che è la fusione dell'osservazione e della

teoria, tardava a causa della loro reciproca diffidenza; i due non facevano

altro che litigare per poi riconciliarsi. Finché qualche mese dopo, Tycho

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morì per la sua facilità ad eccedere nel mangiare e nel bere. Kepler scrisse

ad un amico:

"L'ultima notte del suo pacato periodo, Tycho non ha fatto che ripetere

continuamente queste parole come se stesse componendo dei versi. 'Fa che

io non sia vissuto invano, fa che io non sia vissuto invano'.". E non è vissuto

invano.

Finalmente, dopo la morte di Tycho, Kepler riuscì ad ottenere i dati delle

osservazioni astronomiche vincendo le resistenze della famiglia.

Osservazioni riguardanti il moto apparente di Marte tra le costellazioni,

ottenute attraverso un periodo di osservazioni di molti anni. I dati ricavati

negli ultimi decenni prima dell'invenzione del telescopio, erano di gran

lunga i più precisi mai ottenuti fino a quel momento. Kepler si mise al

lavoro con appassionata intensità per riuscire a interpretare le osservazioni

di Tycho. Quanti erano, realmente, i movimenti della Terra e di Marte

intorno al Sole per spiegare il moto apparente, così come è visto dalla Terra,

del pianeta Marte? E perché proprio Marte? Perché Tycho Brahe aveva

detto a Kepler che il moto apparente di Marte era il più difficile da

conciliare con un'orbita circolare. Dopo anni e anni di calcoli Kepler riferì di

aver trovato i valori esatti di un'orbita circolare di Marte, che combaciava

con dieci delle osservazioni di Tycho Brahe entro solo 2' (due minuti primi)

d'arco. Ora, sappiamo che ci sono 60 primi in ogni grado di angolo e che ci

sono 90 gradi dalla linea dell'orizzonte allo zenit. Perciò due primi di arco

sono un valore molto piccolo da misurare, specialmente senza un telescopio.

Ma la gioia di Kepler per la sua scoperta, si trasformò presto in un

avvenimento, perché due ulteriori osservazioni di Tycho non collimavano

con la sua orbita per ben 8 primi d'arco. Kepler scrive:

"Se non fossi convinto di poter ignorare questi 8 minuti, avrei corretto la

mia teoria adeguandola. Ma poiché era inconcepibile ignorarli, quegli 8

minuti mi indicarono la strada per una completa rivoluzione

dell'astronomia".

La differenza esistente tra un'orbita circolare e una vera orbita di Marte

poteva essere stabilita solo da misurazioni molto precise e da una coraggiosa

accettazione della realtà. Kepler era molto deluso al pensiero di dover

abbandonare l'idea di un'orbita circolare. Tentò di utilizzare orbite di tipo

ovale, fece una quantità di calcoli, compì alcuni errori di aritmetica. E, mesi

dopo, in preda alla disperazione, tentò per la prima volta la formula di

un'orbita ellittica, che combaciò perfettamente con le osservazioni compiute

da Tycho. In un'orbita ellittica il Sole non è al centro, ma è spostato, si trova

in uno dei fuochi dell'ellisse. Quando un certo pianeta è, nel punto della sua

orbita, più lontano dal Sole, si muove lentamente, avvicinandosi al punto

più vicino aumenta di velocità. Questo movimento spiega perché i pianeti

sembrano sempre precipitare verso il Sole senza mai raggiungerlo. La prima

legge di Kepler sul moto dei pianeti è molto semplice:

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"Le orbite descritte dai pianeti sono ellissi, di cui il Sole occupa uno dei

fuochi".

Muovendosi lungo la sua orbita il pianeta proietta in un dato periodo di

tempo un'area immaginaria. Quando il pianeta è lontano dal Sole quest'area

è lunga e sottile, quando è vicino al Sole l'area è corta e larga. Kepler scoprì

che, nonostante la diversità di forma, queste aree sono perfettamente

equivalenti. Questo dato fornì l'indicazione matematicamente esatta di come

un pianeta cambia la sua velocità in rapporto alla sua distanza dal Sole. Ora,

per la prima volta, gli astronomi erano in grado di prevedere con precisione

la posizione di un pianeta in base a una legge molto semplice ed invariabile.

La seconda legge di Kepler è la seguente:

"La retta ideale che unisce il pianeta al Sole descrive aree uguali in tempi

uguali".

Le prime due leggi di Kepler sul movimento dei pianeti possono sembrare

un pò astratte. D'accordo, i pianeti si muovono lungo un ellisse e

muovendosi descrivono aree uguali in tempi uguali, e allora? Non sono cose

facili da capire come il moto circolare, possiamo essere tentati di

minimizzare, ma queste sono le leggi alle quali obbedisce anche il nostro

pianeta. Noi ci muoviamo in armonia con le leggi della natura e Kepler fu il

primo a scoprirlo. Molti anni dopo, Kepler elaborò la sua terza e ultima

legge sul moto dei pianeti. Una legge per stabilire una relazione tra i

movimenti dei vari pianeti. Kepler scoprì un rapporto matematico semplice

tra la misura dell'orbita di un pianeta e la velocità media a cui esso viaggia

attorno al Sole. Questa scoperta confermò la sua vecchia convinzione, che

doveva esserci nel Sole una forza che guidava i pianeti. Una forza con più

effetto sui pianeti interni e veloci e con meno effetto sui pianeti esterni e

lenti. In seguito, Isaac Newton stabilì che quella era la forza di gravità

rispondendo così alla domanda fondamentale: cos'è che fa muovere i

pianeti?

La terza legge di Kepler dice:

"I quadrati dei tempi di rivoluzione siderale dei pianeti sono proporzionali

ai cubi dei semiassi maggiori delle loro orbite".

Cosa vuol dire questo? Vuol dire che quanto più un pianeta è lontano dal

Sole tanto più lentamente si muove. Kepler fu la prima persona nella storia

della specie umana a capire correttamente e quantitativamente come avviene

il moto dei pianeti e come funziona il Sistema Solare. L'uomo che aveva

scoperto l'armonia del cosmo era stato destinato a vivere in tempi di grande

discordia sulla Terra. Esattamente otto giorni dopo che Kepler aveva

enunciato la sua terza legge si verificò a Praga un incidente che diede inizio

alla rovinosa guerra dei trent'anni. Kepler perse durante questa guerra, la

moglie e il figlio a causa di un'epidemia diffusa dalla soldataglia. Il suo

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protettore fu deposto ed egli stesso fu scomunicato dalla chiesa luterana e

per Kepler fu un'altra volta l'esilio. Il conflitto, sbandierato da tutti e due i

contendenti come una guerra santa, era in realtà la strumentalizzazione della

bigotteria religiosa da parte di chi era avido di conflitti e di potere. Fu questa

guerra a introdurre il saccheggio autorizzato per indurre i soldati a non

disertare. Le popolazioni europee dovevano subire inermi perché i loro

aratri e le loro falci venivano letteralmente forgiati in spade e lance. La

devastazione e la follia imperversavano per il paese, sopraffacendo

soprattutto i deboli. Tra i tanti capri espiatori c'erano donne anziane e sole

che venivano accusate di stregoneria. La madre di Kepler fu portata via in

piena notte in un cesto per biancheria. Kepler dovette lottare

ininterrottamente per 6 anni per salvarle la vita. Nella cittadina dove viveva

Kepler, dal 1615 al 1629, vennero arrestate, torturate e uccise come streghe,

ogni anno, una media di 3 donne e sempre con la stessa accusa. Inoltre, la

madre di Kepler era una donna stizzosa, si lasciava andare a dispute che

indispettivano i notabili locali e prendeva droghe. Il povero Kepler era

convinto di avere egli stesso contribuito, involontariamente, all'arresto di

sua madre. E lo pensava perché poco prima aveva scritto una delle prime

opere di fantascienza, l'aveva intitolata Sognum, che vuol dire sogno. In

questo libro, immaginava un viaggio sulla Luna con degli aeratori spaziali,

che dalla superficie lunare guardavano su per vedere ruotare lentamente

sopra le loro teste il bel pianeta Terra. Uno degli argomenti per l'accusa di

stregoneria era che nel suo libro Kepler si serviva delle arti magiche della

madre per staccarsi dalla Terra. Formulò delle ipotesi sulle montagne, sulle

valli, sui crateri, sul clima e sui possibili abitanti della Luna. Prima di

Kepler l'astronomia aveva pochi legami con la realtà fisica. Con Kepler si

affermò l'idea che a muovere i pianeti, nelle loro orbite, è una forza fisica.

Fu il primo a conciliare una fervida fantasia con dei calcoli precisi, e questo

consentì all'uomo di inoltrarsi nel cosmo. Con Kepler cambiò tutto. Questa

fusione di realtà e sogni aprì la via verso le stelle. Sin da ragazzo, Kepler era

stato affascinato dalla visione dello splendore dell'universo, dall'armonia dei

mondi, allo studio della quale dedicò instancabilmente tutta la sua vita. In

questo mondo Kepler non trovò armonia, le sue tre leggi sul moto dei

pianeti rappresentano un'autentica armonia dei mondi, ma per lui furono

solamente un fatto casuale rispetto alla sua ricerca di un sistema cosmico

basato sui solidi perfetti. Un sistema che, come risultò in seguito, esisteva

solo nella sua mente. L'opera di Kepler ci insegna che le leggi della scienza

riguardano tutto in natura e che valgono tanto sulla Terra che nello spazio.

E, infine, ci ha insegnato che può esserci una rispondenza, un'armonia tra il

nostro modo di vedere il mondo e il modo in cui esso va avanti. Quando

Kepler si accorse che le sue convinzioni, a lungo accarezzate, non si

accordavano con osservazioni e calcoli precisi accettò la realtà. Preferì la

durezza della verità alle sue più care illusioni, e questa è la base della

scienza.

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L'esplorazione spaziale

Immaginiamo di essere dei viaggiatori provenienti dalle stelle e diretti al

Sole. Ci troveremmo circondati da quattro immensi mondi gassosi e

nuvolosi: Nettuno, il pianeta blu con Tritone la sua luna di ghiaccio, Urano

con i suoi anelli scuri, fatti di materia organica, Saturno, il gioiello del

Sistema Solare, all'interno dei suoi anelli concentrici composti da un

miliardo di piccole lune di ghiaccio e, infine, Giove, il pianeta più grande

con le sue nubi multicolori. Oltre, ancora più vicino al Sole, non si trovano

più pianeti giganti, ma corpi minori fatti di roccia e metalli e alcuni avvolti

da un leggero strato d'aria. Uno di essi è la Terra. I viaggi dell'uomo per

l'esplorazione all'esterno del Sistema Solare si svolgono, almeno fino ad

oggi, sotto il controllo di un solo centro in tutta la Terra, il Jet Propulsion

Laboratory della NASA a Pasadena, in California. Fu qui che domenica 8

luglio 1979 iniziarono le operazioni per il passaggio ravvicinato della sonda

Voyager II a Giove e alle sue lune. Il veicolo spaziale era stato istruito per

l'esplorazione del sistema di Giove da una sequenza di istruzioni

radiotrasmesse in precedenza ai suoi computer di bordo. I veicoli spaziali

moderni che partono verso i pianeti, non hanno uomini a bordo, sono dei

robot semi-intelligenti. Gli occhi del Voyager sono due telecamere

progettate di riprendere decine di migliaia di immagini all'esterno del

Sistema Solare. Sono sistemate assieme ad altri strumenti su una apposita

piattaforma che si orienta sui pianeti al loro passaggio. Il cervello del

Voyager è costituito da due computer integrati posti al centro della

navicella. Comunica con la Terra mediante una grande antenna. Il Voyager

porta con sé un messaggio diretto a tutte le civiltà extraterrestri che dovesse

incontrare negli spazi interstellari. I Voyager, siccome viaggiano troppo

lontani dal Sole, non possono basarsi sui suoi effetti, perciò sono forniti di

un piccolo impianto nucleare ben isolato dal resto della navicella. In queste

missioni di tipo pionieristico molte cose possono andare storte, quindi nella

sala di controllo della missione Voyager il personale era un poco nervoso.

Giove è circondato da uno strato di particelle cariche di energia molto

potente, pericolose. Se il Voyager si avvicinasse troppo, le sue

apparecchiature elettroniche si brucerebbero oppure lo scontro con un

masso, anche piccolo tra gli anelli del pianeta, farebbe perdere alla navicella

il controllo del suo assetto e l'antenna non capterebbe più la Terra e i dati

raccolti andrebbero perduti per sempre.

Il Voyager I e il Voyager II furono lanciati nella tarda estate del 1977 a

distanza di un mese l'uno dall'altro. Dopo molti allarmi e incertezze essi

arrivarono con successo a distanza di tempo al sistema di Giove, dove

eseguirono un ottimo lavoro fornendo le prime immagini ravvicinate del

grande pianeta e delle sue quattro lune: Io, la più interna, poi Europa, poi,

allontanandosi da Giove, Ganimede e, infine, Callisto, la più grande e la più

lontana. Quella missione è costata all'umanità pochi spiccioli a testa. Il

passaggio del Voyager nei pressi di Giove accelera il moto della navicella

avvicinandola al pianeta Saturno e la gravità di Saturno la spingerà, a sua

volta, verso Urano e oltrepasserà anche Nettuno, abbandonando il Sistema

Solare diventando un veicolo spaziale interstellare destinato, in futuro, a

vagare per sempre tra le stelle. E se in questo futuro prossimo o un lontano

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futuro, il Voyager dovesse incontrare degli esseri appartenenti a qualche

altra civiltà spaziale ha con sé un messaggio, un disco in oro con le

istruzioni per l'uso. Su questo disco c'è inciso un campionario di immagini,

suoni, saluti della Terra. Il disco porta inciso in inglese un breve saluto che

dice: "Ai creatori di musica di tutti i mondi e di tutti i tempi, questi viaggi di

esplorazioni e di scoperte sono i più recenti di una lunga serie che ha

caratterizzato e contraddistinto la specie umana".

Nel XV e XVI secolo per andare dalla Spagna alle Azzorre si impiegavano

più giorni, oggi con lo stesso tempo si attraversa quel piccolo canale che

divide la Terra dalla Luna. Occorsero alcuni mesi per attraversare l'Oceano

Atlantico per raggiungere quello che viene chiamato il Nuovo Mondo, le tre

Americhe. Oggi con lo stesso tempo si attraversa il Sistema Solare interno e

si raggiungono Marte e Venere. Nel XVII e XVIII secolo per andare

dall'Olanda alla Cina, per esempio, ci volevano un anno o due, lo stesso

tempo che oggi impiega la sonda Voyager per andare dalla Terra a Giove. In

rapporto alle risorse di allora e di adesso, alla società costava più

allora mandare una nave in Estremo Oriente che mandare oggi una nave

spaziale sui pianeti. La passione per l'esplorazione è alla radice dell'essere

umano. Quest'impulso ad andare, scoprire, conoscere, ha trovato il modo di

esprimersi in qualunque cultura. Nel VII secolo a.C. il continente africano fu

circumnavigato dai Fenici su mandato del faraone d'Egitto. Le isole del

Pacifico furono rese abitabili da esperti e coraggiosi navigatori provenienti

dall'Indonesia; grandi flotte di navi salparono dai porti della Cina durante la

dinastia Ming, dirette all'esplorazione dell'India e dell'Africa. Secoli più

tardi tre caravelle al comando di un navigatore italiano (Cristoforo

Colombo) partirono dalla Spagna verso la scoperta delle Americhe.

Successivamente una spedizione portoghese conduceva al termine con

successo il periplo completo del nostro globo. Questi viaggiatori provenienti

da culture diverse furono i primi esploratori planetari, hanno fatto di questo

pianeta un unico punto nelle nostre esplorazioni di altri mondi. Noi

seguiamo le loro orme, i nostri attuali veicoli spaziali sono i precursori,

l'avanguardia nelle future spedizioni umane sui pianeti. L'uomo ha viaggiato

in tutta la sua storia, noi abbiamo ancora molto da imparare dallo studio di

quei grandi esploratori dell'ultimo secolo. Nel XVII secolo i cittadini della

nuova Repubblica olandese intrapresero un'intensa attività di esplorazione.

Il problema chiave della navigazione era quello di determinare la

longitudine, la latitudine era facile da stabilire, perché più si andava a Sud

più le costellazioni del Sud si riuscivano a vedere. Ma la longitudine

richiede un calcolo del tempo molto preciso, a bordo un orologio molto

esatto viene mantenuto sull'ora del luogo di partenza, mentre il sorgere e il

tramontare delle stelle danno l'ora locale e la differenza tra i due tempi dice

quanto segna a Est o a Ovest.

Il progresso tecnologico richiedeva il maggiore ampliamento possibile di

cognizioni e così l'Olanda divenne la prima nazione europea in materia di

pubblicazione e di vendita di libri, di traduzioni di opere straniere e di

pubblicazioni di scritti che allora erano stati censurati. Le avventure in terre

esotiche e l'incontro con nuove culture fecero vacillare alcune certezze,

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divennero una sfida ai regnanti dominanti, dimostrarono che concezioni

accettate per migliaia di anni potevano essere totalmente errate. In

quell'epoca la Repubblica olandese era governata dal suo stesso popolo. Gli

olandesi apprezzavano un certo benessere materiale, ma negli interni delle

loro case i ritratti di una generazione intera di pittori indicavano sobrietà e

discrezione. I naviganti che facevano questi viaggi di esplorazione o di

commercio, una volta tornati facevano conoscere a chi era restato le loro

esperienze vissute. L'Olanda prosperava nella sua libertà di pensiero. In

Italia Galileo aveva annunciato l'esistenza di altri mondi e aveva avanzato

l'ipotesi di vita intelligente al di fuori della Terra, ma fu costretto dalla

chiesa cattolica a rinnegare le sue idee. In Olanda invece, l'astronomo

Christian Huygens che sosteneva tutte e due le teorie fu ricoperto di onori.

In Olanda vennero inventati i microscopi, l'inventore era un amico di

Huygens (intorno al 1590). I primi microscopi nacquero da una

rielaborazione delle lenti di ingrandimento usate dai mercanti di tessuti per

esaminare le stoffe. Christian Huygens e il suo amico inventore del

microscopio sono considerati i progenitori di gran parte della medicina

moderna. Infatti con grande meraviglia l'amico di Huygens scoprì che una

goccia d'acqua racchiudeva un universo, quello dei microbi, che egli

descrisse come "animaletti". I due furono tra i primi ad individuare gli

spermatozoi umani, fino allora mai visti. Huygens aveva dedotto dalle sue

osservazioni al telescopio che Marte era un mondo anch'esso

fondamentalmente abitato. "Che pianeta sprecato" diceva "se Marte fosse

deserto".

Il telescopio e il microscopio consentono all'osservazione dell'uomo di

estendersi al regno del molto grande e del molto piccolo. Dal fatto che la

luce passando attraverso una lente subiva una deviazione, Huygens anticipò

la teoria che la luce fosse un'onda. Costruiva delle lenti che montava,

continuamente, su telescopi sempre più grandi che andava costruendo,

anche se ci mise parecchio prima di capire quale era il loro giusto impiego.

Huygens fu il primo a distinguere delle scanalature sulla superficie di Marte,

fu anche il primo ad avanzare l'ipotesi che Venere era completamente

ricoperto di nubi. Fu il primo a comprendere la struttura degli anelli di

Saturno. Le scoperte da lui fatte con il telescopio basterebbero da sole ad

assicurargli un posto nella storia delle conquiste dell'uomo. Fu Huygens a

scoprire Titano, la luna più grande di Saturno e a quanto sappiamo di tutto il

Sistema Solare. Huygens restò affascinato dalle dimensioni enormi delle

nubi di Giove. Gli astronomi hanno bisogno di orologi molto precisi per

calcolare il moto della sfera celeste e Huygens inventò una quantità di

elementi per aumentare la precisione, da qui il nascere dell'orologio. Per

meglio illustrare l'universo eliocentrico di Copernico costruì degli

apparecchi che riproducessero il movimento del Sistema Solare, da

Mercurio a Saturno. Gli strumenti che costruiva li firmava Christian

Huygens l'inventore. C'è chi dice che in Olanda la teoria copernicana fosse

accettata anche nella vita quotidiana e riconosciuta da tutti gli astronomi,

eccetto "quelli" egli scrisse "che non riuscivano a capire ...". Attraverso

l'oceano dello spazio, le stelle sono altri soli. Una congettura che Huygens

condivideva senza riserve. Egli concluse che se il nostro sistema planetario è

costituito da un sole e da pianeti che gli girano intorno, anche gli altri soli

dovevano avere dei pianeti che gli girassero intorno e che molti di questi

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pianeti potevano essere abitati. Gli olandesi chiamavano le loro navi vascelli

volanti, le navicelle spaziali sono le loro dirette discendenti, sono vascelli

spaziali in viaggio verso qualche stella e che lungo la strada esplorano

qualcuno dei pianeti. Uno dei prodotti principali che arrivavano con quei

velieri partiti per l'esplorazione e per il commercio, erano i racconti, racconti

di terre sconosciute. Essi evocavano il senso del fantastico e stimolavano ad

altre esplorazioni.

I moderni viaggiatori nello spazio tornano anch'essi con dei racconti,

racconti sui vari pianeti del nostro Sistema Solare. Racconti su Giove, che

potrebbe contenere mille pianeti Terra, sul quale non esistono montagne,

valli, vulcani o fiumi, è solo un immenso oceano fatto di nubi di gas. Ma ci

sono altre cose affascinanti riguardo a Giove. Giove è formato soprattutto da

idrogeno ed elio, esattamente come il Sole. Giove sarebbe potuto essere una

stella, se fosse diventata una stella noi oggi vivremmo in un sistema stellare

doppio con due soli. Parecchio al di sotto delle nubi di Giove, il peso degli

strati stagnanti dell'atmosfera che sono in eccesso provocano una pressione

molto superiore a qualunque altra riscontrata sulla Terra. La pressione è così

forte che dagli atomi di idrogeno scaturiscono elementi di idrogeno

metallico. Ma proprio nel nucleo centrale di Giove potrebbe esserci una

massa di roccia di ferro. Con l'invio della sonda Voyager verso Giove, il

pianeta gigante ha cambiato aspetto, si sa di più. Adesso seguono le

impressioni di alcuni scienziati dei JPL del team Voyager.

"Vedere le immagini ravvicinate di un mondo fino ad allora ignoto, ecco

una delle sensazioni più grandi nella vita di uno studioso. Le prime ore del

mattino del 9 luglio 1979 sui monitor televisivi a tempo reale dei JPL

cominciammo a sapere qualcosa di più sulla luna di Giove, Europa...".

Non si può osservare la superficie di un pianeta così diverso dal nostro

senza chiedersi come nacque. Più si impara sugli altri mondi, meglio si

conosce il nostro. I velieri olandesi portavano mercanzie rare e pregiate dai

mondi da loro esplorati. Le nostre sonde spaziali Voyager ci forniscono

informazioni rare e pregiate che vengono elaborate dai computer. Le

informazioni vengono raccolte, catalogate, analizzate e sviluppate. Da esse

ricaviamo mappe di mondi extraterrestri. Come fa un immagine ad arrivare

dell'esterno del Sistema Solare fino a noi? La luce solare che colpisce la

luna Europa viene riflessa nello spazio e una parte di essa investe le

telecamere del Voyager creando così l'immagine, questa immagine viene

trasmessa via radio attraverso un enorme distanza di miliardi di chilometri

ad un radiotelescopio sulla Terra, in Australia diciamo. Il radiotelescopio

comunica via satellite le informazioni ottenute ad una stazione nella

California meridionale, da qui esse vengono ritrasmesse attraverso una serie

di antenne a microonde a un computer del JPL, dove infine vengono

sviluppate. La fotografia è fatta, sostanzialmente, come un cliché, cioè

composta da migliaia di gradazioni che poi insieme formano il disegno. Le

informazioni che arrivano al centro spaziale, una volta sviluppate, vengono

memorizzate su dischi magnetici. Il prodotto finale di tutti questi

collegamenti è una mappa ricca di informazioni. Il Voyager I prese delle

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fotografie buone degli altri tre satelliti galileiani di Giove, ma non di

Europa. Fu deciso di lasciare al Voyager II l'incarico di prendere delle foto

ravvicinate di Europa. A prima vista essa somiglia stranamente alla

superficie di Marte con una rete di canali, che Percival Lowell aveva

immaginato egli stesso sul pianeta Marte. Un incredibile intricata ragnatela

di linee diritte e curve che s'incontrano. Le linee diritte sono dei solchi?

Sono dei rilievi? C'è un rapporto di qualche genere con la presenza

terrestre? In che modo Europa illumina gli altri satelliti del sistema di

Giove? Sono domande difficili, alle quali non siamo ancora in grado di dare

una risposta. Adesso seguono delle spiegazioni di alcuni scienziati del team

Voyager.

"Che ne dite dell'idea di Jim, che siano geysers nelle depressioni?"

"Geysers nelle depressioni? Beh, ci vorrebbe un meccanismo per

generarli".

(Quest'ultimo scienziato è J. Soderblom addetto all'interpretazione delle

immagini).

"...sopra una crosta impenetrabile e sotto del liquido a pressione"

"Sì, ma allora c'è da chiedersi se esistono le condizioni per

un'effervescenza..."

(Quest'ultimo è scienziato delegato al progetto).

"Queste foto sono abbastanza ravvicinate per poter stabilire che non c'è

niente che si espande lateralmente".

"Dov'è l'immagine fortemente ravvicinata".

"Era qui".

"Ah eccola qui".

Dopo le prime settimane da quando abbiamo ricevuto le immagini di Europa

stavamo ancora discutendo.

"Siamo quasi riusciti ad ottenere il massimo dell'ingrandimento per vedere i

crateri".

"A parte le altre ipotesi qui c'è una serie di puntini molto piccoli...Tu credi

che si tratti di fuoriuscita di gas, di soffioni, di solfatare, ..."

"Non lo so. Ma ti mostro una cosa che ho appena scoperto. Guarda, qui."

"Si vede una piccola apertura".

"Esattamente. Per me è soltanto un cratere da impatto".

"Non c'è nessun cratere da impatto".

"Ne abbiamo appena scoperto uno".

L'elaborazione delle immagini effettuata dai computer ha rivelato su Europa

diverse segni che sembrano crateri da impatto, ma i grandi crateri sono stati

cancellati da qualcosa. L'elaborazione dei computers ha svolto un ruolo

molto importante anche in una delle scoperte più sorprendenti. Ha rivelato

delle novità sul conto di un'altra luna accanto ad Europa, che si chiama Io.

Anche dalla Terra si notava lo strano colore di Io. Poi il Voyager I si

avvicinò ad Io, si pensava che ci potessero essere dei vulcani ma non si

poteva essere sicuri. Poi Linda Morabito, del settore navigazione della

missione Voyager, ingrandì con un computer una fotografia di Io per

mettere in evidenza le stelle che si vedevano.

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Linda Morabito: "Quattro giorni dopo che il Voyager I aveva completato

l'avvicinamento ad Io, stavo osservando una strana immagine. Si vedeva

una strana protuberanza anonima che fuoriusciva dalla superficie di Io".

Di che si trattava? Si pensava che si trattasse di un vulcano.

Linda Morabito: "Quindi, arrivammo alla conclusione che quello che

stavamo osservando era il segno di un vulcano, provocato da un eruzione".

Il Voyager aveva scoperto il primo vulcano attivo al di fuori della Terra, poi

scoprimmo che su Io ci sono molti vulcani, esistono almeno 9 fumate attive

a intermittenza e decine di centinaia di vulcani spenti. Le fumate potrebbero

lanciare zolfo ed altre sostanze lontano da Io e questo spiegherebbe le nubi

di zolfo che circondano Giove. Lungo i fianchi dei vulcani scorrono veri

fiumi di zolfo, probabilmente sono essi a dare ad Io quel colore particolare,

forse i vulcani attingono da un enorme mare sotterraneo di zolfo liquido.

Fino ad oggi nei nostri viaggi all'esterno del Sistema Solare, noi uomini

siamo stati sulla Terra e abbiamo inviato dei computer in esplorazione al

posto nostro. Forse un giorno andremo noi. Supponiamo per un momento,

che come quei comandanti olandesi del XVII secolo, anche i computer a

bordo dei Voyager tengano un giornale di bordo. Su quel giornale, una

sintesi di quanto è accaduto sia sul Voyager I che sul Voyager II, si

vedrebbe una cosa del genere.

1° giorno. Dopo molte incertezze riguardo a provviste e strumenti, siamo

decollati bene da Cape Canaveral per il nostro unico viaggio verso pianeti

e stelle.

13° giorno. Abbiamo scattato la prima fotografia della Terra e della Luna

insieme nello spazio, una bella coppia.

160° giorno. Difficoltà nell'apertura del braccio che sostiene la piattaforma

della sonda scientifica. Se non risolviamo il problema non potremo scattare

molte delle fotografie in programma.

207° giorno. Risolto il problema del braccio. Ma ora c'è un'avaria alla

radiotrasmittente principale, se si guasta anche la radio di riserva sulla

Terra non si saprà mai più niente di noi.

215° giorno. Stiamo attraversando l'orbita di Marte ed entriamo nella

fascia dei grandi asteroidi.

570° giorno. Riusciamo ad ottenere molti dettagli di Giove, cosa che

neanche i più potenti telescopi sulla Terra sono mai riusciti a fare.

640° giorno. Ora i disegni formati dalle nubi di Giove sono ben distinguibili

e stupendi. Nessun pittore intrappolato sulla Terra ha mai immaginato un

mondo così strano e affascinante. Le nuvole bianche alte, fredde sono

cristalli di ammoniaca. Non conosciamo la natura delle nubi rosso scuro.

Forse si tratta di macchie di fosforo o di zolfo o di molecole organiche

complesse del tipo di quelle che quattro miliardi di anni fa originarono la

vita sulla Terra. Che cos'è quella Macchia Rossa? È un'immensa colonna

vorticosa di gas che si innalza al di sopra delle nubi, è talmente grande che

potrebbe contenere una mezza dozzina di pianeti come la Terra. Alcuni

pensano che si tratti di un enorme ciclone cominciato un milione di anni fa.

650° giorno. L'incontro, un giorno di meraviglia. La navicella manovra in

modo da permetterci di fotografare Callisto. Immagini della sorprendente

superficie a reticolo di Ganimede. Un passaggio ravvicinato ad Europa.

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Una veduta ad Io con il suo vulcano. Superiamo senza danni le pericolose

fasce di radiazioni e completiamo l'attraversamento nel piano dell'anello di

Giove. Ora la nostra missione prevede l'esplorazione all'esterno del Sistema

Solare.

Fra 10.000 anni il Voyager sarà immerso nell'oceano delle stelle più lontane.

Oltrepassiamo Giove a 750 milioni di chilometri dal Sole, Saturno è a un

miliardo e mezzo, Urano a tre miliardi e Nettuno a quattro miliardi e mezzo

di chilometri dal Sole. Saturno è il primo pianeta ad essere intravisto nel

telescopio da Galileo. Ma solo adesso cominciamo a penetrare nei suoi

misteri più profondi. Saturno è il secondo pianeta per grandezza del Sistema

Solare, come Giove è ricoperto di nubi e compie una rotazione ogni 10 ore,

ha un campo magnetico e una fascia di radiazioni molto deboli. Ha un

sistema di anelli eccezionale e stupendo. Gli anelli sono formati da miliardi

di piccole lune che girano intorno al pianeta con una propria orbita. La

grande zona scura che divide gli anelli si chiama "Divisione di Cassini", dal

nome del collega di Huygens che la scoprì. Appena al di sotto del piano

degli anelli vediamo un cielo tempestato di minuscole lune. Al di sopra

degli anelli le lune si distinguono singolarmente. Sono corpi orbitanti di

ghiaccio, taluni del diametro di un metro. Nelle zone più recenti del sistema

degli anelli, non c'è stato ancora il tempo sufficiente perché gli urti e le

collisioni arrotondassero gli orli di questi frammenti, di queste palle di neve.

Poi incontriamo Titano, enorme luna di Saturno ricoperta di nubi. Fu

scoperta da Christian Huygens ed è la luna più grande del Sistema Solare.

Ha un'atmosfera più densa di quella di Marte e uno spesso strato di nubi

rosse, prodotte probabilmente da molecole organiche complesse, prodotte

dai raggi ultravioletti del Sole e da altre fonti di energia esistenti nell'aria

ricca di metano. Nessun veicolo spaziale terrestre è mai penetrato tra queste

nubi e ha mai potuto vedere da vicino la superficie di questo mondo

affascinante. Potrebbero esserci vulcani, valli di ghiaccio e, è solo un

ipotesi, nascoste forme di vita molto diverse tra loro. Poi, allontanandoci da

Titano, vediamo Saturno, una stupenda visione, che potrà essere ammirata

anche fra secoli dai nostri discendenti.

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Nascita, vita e morte delle stelle

Se volete preparare una torta di mele senza l'occorrente dovete prima

inventare l'universo. Supponiamo che tagli una fetta della torta e adesso

supponiamo di tagliare a metà la fetta ottenuta, ora tagliamo ancora a metà

la fetta ottenuta e così via. Quanto ancora dovremo proseguire a tagliare per

ottenere il singolo atomo. La risposta è: dovremo tagliare ancora circa 90

volte. Nel nostro caso il coltello non è abbastanza affilato e la torta si

sbriciola tutta. In ogni caso, un atomo è troppo piccolo per essere visibile,

però esiste un modo per riuscirci. All'università di Cambridge, in Inghilterra,

la natura dell'atomo fu capita per la prima volta. Fu fatto un sistema per

sparare particelle di atomi addosso ad altri e si osservava come essi rimbalzavano. Un atomo è circondato come da una specie di nube di

elettroni. Gli elettroni sono caricati elettricamente e determinano le proprietà

chimiche dell'atomo. Ma nel profondo dell'interno dell'atomo, nascosto

molto al di sotto della nube esterna di elettroni, c'è il nucleo, composto

principalmente di protoni e di neutroni. Gli atomi sono molto piccoli. Il più

della massa di un atomo è nel nucleo, gli elettroni sono, per fare un

paragone, solo pezzettini in movimento. Gli atomi sono più che altro spazio

vuoto, la materia è composta principalmente dal nulla. Se noi immaginiamo

di tagliare la torta di mele a fondo, oltre il singolo atomo, ci troviamo di

fronte all'infinito del piccolissimo e se guardiamo in alto, al cielo notturno,

ci troviamo di fronte all'infinito dell'immenso. Questi infiniti sono due tra le

più sconvolgenti delle idee umane, essi rappresentano una sequenza senza

fine che continua ad andare non solo molto lontano, ma per sempre. Quando

parliamo di un numero infinito, ci riferiamo ad una misura che è più grande

di qualunque numero, cioè qualsiasi numero voi abbiate in mente l'infinito è

più grande. Sin dal tempo di Democrito, nel V sec. a.C., l'uomo non ha fatto

che interrogarsi sull'esistenza dell'atomo. E negli ultimi 500 anni sono state

portate argomentazioni persuasive, anche se indirette, sulla teoria che tutta

la materia è formata da atomi. Ma solo nella nostra epoca siamo riusciti a

vederli veramente. Noi diamo per scontato che gli atomi esistono. Però ne

esistono molte specie diverse. Sulla Terra ci sono 92 specie di atomi allo

stato naturale distinti chimicamente. Si chiamano elementi chimici. In

pratica, tutto quello che vediamo e conosciamo, tutte le bellezze della

natura, sono costituiti da queste poche specie di atomi, collegati tra loro in

armoniose combinazioni chimiche. Alla temperatura ambiente, molti

elementi chimici sono allo stato solido, alcuni allo stato gassoso e altri allo

stato liquido, come il bromo e il mercurio. Sono sistemati per ordine di

complessità, per esempio, l'idrogeno, il più semplice, è l'elemento numero

uno e l'uranio, il più complesso, è l'elemento numero 92. Alcuni di questi

elementi ci sono molto familiari, per esempio il silicio, l'ossigeno, il

magnesio, l'alluminio, il ferro, elementi che costituiscono la Terra. Ma ci

sono anche l'idrogeno, il carbonio, l'azoto, l'ossigeno, il fosforo, lo zolfo,

elementi che sono essenziali per la vita. Altri elementi ci sono assolutamente

sconosciuti, per esempio l'erbio, il disprosio, ecc., elementi che non capita di

incontrare tutti i giorni. Per grandi linee possiamo dire che gli elementi più

conosciuti sono anche gli elementi più abbondanti; sulla Terra c'è una gran

quantità di ferro. Il fatto che l'atomo sia composto solo da tre tipi di

particelle elementari, protoni, neutroni ed elettroni, è una scoperta

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relativamente recente. Il neutrone fu scoperto solo nel 1932 all'università di

Cambridge, come l'elettrone e il protone. La chimica e la fisica moderna

hanno ridotto la complessità del mondo impercettibile ad una semplicità

sorprendente; 3 entità (elettrone, protone e neutrone) messe insieme

formano essenzialmente tutte le cose. Il neutrone è elettricamente neutro. Il

protone ha una carica elettrica positiva e l'elettrone ha una carica elettrica

negativa e dato che gli atomi sono tutti elettricamente neutri il numero di

protoni che sono nel nucleo deve essere identico a quello degli elettroni che

sono fuori. I protoni e i neutroni insieme mantengono compatto il nucleo.

Ora, la chimica di un atomo, la natura di un elemento chimico dipendono

solo dal numero degli elettroni, che è uguale al numero dei protoni e che si

chiama numero atomico. La chimica è soltanto numero, un'idea che sarebbe

piaciuta molto a Pitagora. Se siete un atomo ed avete soltanto un protone

siete idrogeno, con due protoni siete elio, con tre litio, con quattro berillio,

con cinque boro, con sei carbonio, con sette azoto, con otto ossigeno e così

via fino ad arrivare ai 92 protoni, in tal caso si ha l'uranio. I protoni hanno

una carica elettrica positiva ed essendo dello stesso segno si respingono.

Allora come mai il nucleo si mantiene? Come mai le forze repulsive

elettriche dei protoni non fanno esplodere il nucleo in frammenti? La

risposta è che in natura esiste un'altra forza che non è l'elettricità né la

gravità, è la forza nucleare. Possiamo immaginarla come dei granchi con un

braccio molto corto che entrano in azione quando i protoni e i neutroni si

avvicinano troppo tra di loro. La forza nucleare riesce ad avere la meglio

sulla repulsione elettrica dei protoni. L'atomo dell'elio è formato da due

protoni e da due elettroni ed è molto stabile. Tre nuclei di elio tenuti insieme

dalla forza nucleare formano il carbonio, quattro nuclei di elio formano

l'ossigeno e così via. Ogni volta che aggiungiamo o sottraiamo un protone e

abbastanza neutroni, per tenere insieme il nucleo, noi formiamo un nuovo

elemento chimico. Consideriamo il mercurio. Se proviamo a togliere un

protone e tre neutroni dal mercurio lo trasformiamo in oro; il sogno degli

antichi alchimisti. Al di là dell'elemento numero 92, l'uranio, esistono altri

elementi che sulla Terra non si trovano allo stato naturale, ma che vengono

ottenuti per sintesi dall'uomo e poi si disintegrano molto rapidamente. Uno

di essi, l'elemento 94, è stato chiamato plutonio ed è una delle sostanze più

tossiche che si conoscano. Da dove vengono? Quale è la provenienza degli

elementi chimici naturali? C'è, forse, un'origine separata per ognuno di essi?

Però, tutti gli elementi sono fatti delle stesse particelle semplici, l'universo è

fatto per il 99,9% di idrogeno ed elio, i due elementi più semplici. In realtà,

l'elio è stato individuato sul Sole prima di essere trovato sulla Terra.

Potrebbero gli altri elementi chimici essersi in qualche modo sviluppati

dall'idrogeno e dall'elio? Allo scopo di evitare la repulsione elettrica, i

protoni e i neutroni devono essere molto vicini tra loro in modo che le forze

nucleari entrino in azione. Questo accade solo alle temperature molto alte,

alle quali le particelle si muovono così veloci da non dar tempo alla

repulsione elettrica di agire, temperature di decine di milioni di gradi.

Temperature così alte sono comuni in natura. Dove? All'interno delle stelle.

Gli atomi si formano all'interno delle stelle. Nella maggior parte delle stelle

visibili, i nuclei di idrogeno si ammassano e formano nuclei di elio. Ogni

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volta che si forma un nucleo di elio, viene generato un fotone di luce.

Questo è il motivo per cui le stelle brillano. Le stelle nascono in immense

nubi di gas di polvere, come la nebulosa di Orione, distante da noi 1.500

anni luce, parti della quale sono soggetti a collasso gravitazionale. Gli

scontri tra gli atomi fanno salire la temperatura della nube finché all'interno

di essa l'idrogeno comincia a fondersi in elio e la stella si accende. Le stelle

nascono a gruppi, successivamente esse escono dal nucleo di infanzia per

seguire il loro destino nella Via Lattea. Le stelle giovani, come le Pleiadi,

sono tuttora circondate da gas e da polveri. Ma alla fine, anch'esse andranno

molto lontano dal luogo di nascita. Altrove ci sono stelle che si sono

formate dalla stessa nube dalla quale si è formato il Sole 5 miliardi di anni

fa. Ma noi non sappiamo quali siano queste stelle. Le sorelle del Sole

potrebbero trovarsi, per quello che ne sappiamo, all'altro capo della

Galassia. Il Sole è una stella molto vicina, è una sfera incandescente fatta di

gas, che brilla per il suo calore. La superficie ha una temperatura di 6000

gradi centigradi, all'interno la temperatura è di 20 milioni di gradi. Ai raggi

X riusciamo a vedere una parte del Sole che normalmente non è visibile, la

corona solare. Alla luce normale vediamo alcune zone più fredde e più

scure, che sono le macchie solari. Sono associate a grandi ondate di gas,

enormi nubi di fuoco, sono determinate dal campo magnetico del Sole. Le

zone scure del Sole ai raggi X, sono varchi della corona solare attraverso i

quali spuntano elettroni e protoni che vanno a far parte del vento solare.

Tutta questa potenza in ebollizione è guidata dall'interno del Sole, che

trasforma ogni secondo 900 milioni di tonnellate di idrogeno in elio, è come

se fosse un enorme reattore nucleare a fusione.

Le stelle nascono e muoiono per contrazione. Delle migliaia di stelle che

vedete quando la sera guardate il cielo, ognuna indistintamente vive in un

intervallo compreso tra due contrazioni, la contrazione iniziale di una nube

interstellare fatta di gas come una stella e una contrazione finale della stella

luminosa, sulla via del suo ultimo respiro. L'auto-gravità spinge le stelle a

contrarsi, a meno che non intervengano altre forze. Il Sole è un'immensa

palla di idrogeno irradiante, i gas caldi al suo interno tendono a far gonfiare

il Sole e l'auto-gravità, invece, tende a farlo contrarre. E lo stato attuale del

Sole è il punto di equilibrio tra queste due forze, tra l'auto-gravità e la

fornace nucleare. Durante il lungo periodo compreso tra le due contrazioni

le stelle brillano costantemente. Ma quando il carburante nucleare si

esaurisce, l'interno si raffredda, la pressione non è più sufficiente a sostenere

gli strati esterni e la contrazione originale si ripete. Le stelle muoiono in tre

modi diversi. La loro sorte è predestinata, tutto dipende dalla loro massa

iniziale.

Una stella tipica con una massa come quella del Sole comincerà, ogni

giorno, la sua contrazione finché la sua densità diventerà molto alta, allora la

contrazione verrà fermata dalla reciproca repulsione degli elettroni

superaffollati all'interno della stella.

Una stella con una massa doppia di quella del Sole non si fermerà per la

pressione degli elettroni, ma continuerà a comprimersi e a contrarsi finché

entreranno in gioco delle forze nucleari che fermeranno il processo di

contrazione della stella.

Ma, in una stella con una massa tripla di quella del Sole neanche le forze

nucleari fermano la contrazione, e queste stelle hanno un destino

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sorprendente. Continuano a contrarsi fino a svanire del tutto. Quindi ogni

stella viene caratterizzata dalla quantità di forza che essa oppone all'auto-

gravità. Una stella, che è sostenuta dalla pressione del gas, è una comune

stella di tipo normale come il Sole. Una stella in contrazione, che è

sostenuta dalla forza degli elettroni, si chiama nana bianca, è, per esempio, il

Sole ridotto alla grandezza della Terra. Una stella in contrazione, che è

sostenuta dalle forze nucleari, è chiamata stella di neutroni, è, per esempio,

il Sole ridotto alla grandezza di una città. E una stella di una massa tale che

nella contrazione finale svanisce completamente viene chiamata buco nero,

è, per esempio, il Sole che non ha alcuna dimensione. Ma lungo la via dei

loro destini seppure diversi, tutte le stelle passano attraverso una specie di

presagio di morte. Prima del suo collasso gravitazionale definitivo, la stella

ha come un tremito, nel suo ultimo anelito di vita si tramuta in una gigante

rossa. Fra 5 miliardi di anni o di più, sulla Terra ci sarà un ultimo giorno.

Poi il Sole comincerà lentamente a cambiare e la Terra morirà. Nel Sole c'è

una quantità di idrogeno determinata, quando esso si sarà trasformato quasi

tutto in elio, l'interno del Sole riprenderà la sua contrazione originaria, le

altissime temperature del suo nucleo centrale faranno espandere la

superficie esterna e la Terra diventerà pian piano più calda. Alla fine la vita

si estinguerà, i mari evaporeranno per ebollizione e la nostra atmosfera si

dissolverà nello spazio. Il Sole diventerà una stella gigante rossa che

riempirà il cielo avviluppando e divorando i pianeti Mercurio e Venere e,

molto probabilmente, anche la Terra. Il Sistema Solare interno verrà a

trovarsi all'interno del Sole stesso. Ma forse per quell'epoca i nostri

discendenti si saranno trasferiti su qualche altro mondo. Nella sua agonia il

Sole tenterà a pulsare lentamente, a quel punto il suo nucleo centrale sarà

diventato talmente caldo da trasformare momentaneamente l'elio in

carbonio. La cenere prodotta dalla fusione nucleare di oggi diventerà il

carburante che alimenterà il Sole prossimo alla sua fine, durante lo stato di

gigante rossa. Poi, il Sole disperderà nello spazio grandi quantità della sua

atmosfera esterna. Visto da un altro punto dello spazio, il nostro Sistema

Solare somiglierà ad una bolla di sapone che si espande, nel cui centro sarà

una nana bianca, cioè il nucleo incandescente del Sole ormai in vista,

avendo il Sole esaurito il suo carburante nucleare ed avviandosi a diventare

lentamente una stella morta. La vita di una comune stella è questa: nasce in

una nube di gas, si sviluppa in un sole giallo, invecchia come gigante rossa e

muore come nana bianca. Supponiamo di poter esaminare un campione del

gas freddo e rarefatto proveniente dalle stelle. Vedremo che contiene, in

grande preponderanza, idrogeno, un elemento vecchio quanto l'universo.

Troveremmo anche carbonio, ossigeno e silicio, sono gli atomi che

abbondano di più nel cosmo, a parte l'idrogeno, e si formano più facilmente

nelle stelle. Ma troveremmo delle piccole quantità di elementi rari. Una

stella con una massa superiore a 1,5 volte quella del Sole non può diventare

una nana bianca, essa, invece, porrà fine alla propria vita facendosi

esplodere in una gigantesca esplosione stellare, chiamata supernova. Nella

zona della Galassia dove siamo noi non ci sono state esplosioni di

supernovae, almeno alla rivelazione del telescopio, e il nostro Sole non

diventerà una supernova. La maggior parte dell'evoluzione di una stella

richiede milioni di miliardi di anni, ma il processo di contrazione interna che

fa scattare l'esplosione di una supernova richiede solo pochi secondi.

All'improvviso, la stella diventa più luminosa di tutte le altre stelle della

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galassia messe insieme. I frammenti fuoriusciti dall'esplosione viaggiano a

grandi velocità. Singoli nuclei atomici, spinti ad altissime velocità

dall'esplosione, diventano raggi cosmici. Questo è un altro modo col quale

le stelle restituiscono allo spazio elementi che esse stesse hanno sintetizzato.

L'onda d'urto dei gas dell'esplosione arroventa il gas interstellare dando

l'avvio alla formazione di un'altra generazione di stelle. Anche sotto questo

aspetto le stelle sono come l'Araba Fenice: rinascono dalle proprie ceneri. In

origine gli elementi più pesanti si formavano nelle giganti rosse e

supernovae e venivano proiettati nello spazio dove restavano disponibili per

successive generazioni di stelle e pianeti. Il nostro Sole è probabilmente una

stella della terza generazione. Tutti gli elementi si formarono lontano

migliaia di anni luce e miliardi di anni fa. Il nostro pianeta, la nostra società

e noi stessi siamo costruiti con materia stellare. Facciamo un esperimento.

Andiamo in un tunnel di lava, una caverna scavata nella terra da un fiume di

roccia liquefatta (lava magmatica) e portiamo un contatore Geyger ed

abbiamo un pezzo di uranio allo stato grezzo. Ora, il contatore Geyger è

sensibile alle particelle ad alta carica elettrica, protoni, nuclei di elio, raggi

gamma. Se lo avviciniamo al pezzo di uranio grezzo la quantità dei segnali

indicanti la presenza di queste particelle aumenta moltissimo. Se mettiamo il

pezzo di uranio in un contenitore di piombo, la quantità di segnali

diminuisce notevolmente, ma non cessano del tutto. Qual 'è la fonte di

questi segnali residui? Ebbene, alcuni di essi provengono dalla radioattività

propria delle pareti della caverna, ma non si tratta solo di questa. Alcuni dei

segnali che ci arrivano sono dovuti alle particelle ad alta energia che

penetrano dalla volta della caverna (nel nostro caso), cioè i raggi cosmici.

Ogni secondo essi penetrano dappertutto, ma non fanno danni, però sono

causa di alcune mutazioni e influenzano fortemente la vita sulla Terra. I

raggi cosmici, specialmente i protoni, riescono a penetrare attraverso metri

di roccia, quindi devono avere un'altissima energia e infatti essi viaggiano

quasi alla velocità della luce. I raggi cosmici vengono prodotti duranti le

esplosioni stellari e cominciano a viaggiare nello spazio. Nella galassia ci

sono delle zone dove una stella di neutroni o una gigante rossa sono

prigioniere di un reciproco abbraccio gravitazionale. La nube di materia

della gigante rossa si avviluppa nel disco di materia che circonda il centro

della stella di neutroni.

Tutte le stelle vivono in uno stato di tensione tra la forza che la sostiene e la

gravità, la forza che tende a farla cadere. Se dovesse prevalere la gravità, ne

conseguirebbe una sorta di follia stellare. Sulla Terra l'attrazione

gravitazionale è 1g, dove la g sta per gravità terrestre. Cosa succederebbe se

aumentassimo o diminuissimo questa forza? Con gravità minore le cose

diventano più leggere, vicino a 0g il minimo movimento fa galleggiare e

rotolare tutte le cose nell'aria. Se aumentiamo la gravità, tutto ripiomba sulla

Terra. A gravità di 2 o 3g è il caso di dire che ci si sente inchiodati a terra, si

è pesanti come il piombo. Alla gravità di migliaia di g, gli alberi diventano

orizzontali e a centinaia di migliaia di g le rocce si sgretolano sotto il loro

stesso peso. Fino a questi valori di gravità un raggio di luce non subirebbe

alcun effetto e continuerebbe a irradiarsi in linea retta. Ma a un milione di g

anche un raggio di luce subirebbe la gravità e comincerebbe a ripiegarsi su

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se stesso. Un luogo così, dove la gravità è talmente alta che neanche la luce

può irradiarsi si chiama buco nero, è una stella che tiene prigioniera la sua

stessa luce.

I buchi neri furono concepiti come formulazioni teoriche intorno al 1783

(dallo scienziato francese Pierre Simon de Laplace). Oggi, forse c'è una

probabile candidata per buco nero, si tratta della stella Cygnus I che ha una

compagna invisibile dalla massa notevole. Si è scoperto che la compagna è

una sorgente molto intensa di raggi X ed è stata chiamata Cygnus X-I. Si

pensa che i raggi X siano generati dall'attrito del disco di materia che

circonda e sta cadendo sul buco nero. La materia del disco sparisce

lentamente nel buco nero. I buchi neri di grande massa, frutto della

contrazione di miliardi di soli, potrebbero anche trovarsi al centro di altre

galassie e produrre enormi fasci di radiazioni che si perdono nello spazio.

Ad una certa densità piuttosto alta, la stella brilla ad intermittenza e svanisce

dal nostro universo. Scivola via attraverso un'apertura da essa stessa

prodotta verso la continuità spazio-tempo, un buco nero è il posto dove una

volta c'era una stella. Consideriamo una superficie piana a due dimensioni,

con un reticolato, una specie di carta millimetrata. Immaginiamo di prendere

una massa non molto grande, di farla cadere su questa superficie e di

osservare come la superficie si distorce o fa delle pieghe formando la terza

dimensione fisica. La gravità causa la curvatura dello spazio. Se una sfera si

avvicina ad una distorsione stabile, le gira intorno come il pianeta gira

intorno al suo sole. Secondo questa interpretazione, dovuta ad Einstein, la

gravità produce una piega nel tessuto dello spazio. Lo spazio viene piegato

dalla massa creando un ulteriore dimensione fisica. Maggiore è la massa

locale e maggiore risulta la gravità locale, più rilevante diventa la

distorsione e la piega della curvatura dello spazio. Quindi, in base a questa

analogia un buco nero è una specie di pozzo senza fondo. Cosa accadrebbe a

caderci dentro?

Ammesso che si riuscisse a sopravvivere alle correnti gravitazionali e

all'intenso flusso di radiazioni, si può ammettere solo come ipotesi che,

dopo essere precipitati in un buco nero, si potrebbe riemergere in un'altra

parte dello spazio e del tempo. In questa visione lo spazio sarebbe un

intreccio, un reticolato molto piccolo di tunnel, come quelli scavati dai

vermi dentro una mela, è d'obbligo aggiungere che questa è un ipotesi mai

dimostrata, si tratta soltanto di una speculazione affascinante. Se fosse vera,

allora potrebbero anche esistere dei tunnel a gravità, una sorta di

metropolitana interstellare o intergalattica che ci permetterebbe di andare da

un capo all'altro dello spazio in un tempo molto minore del solito. Noi non

possiamo creare dei buchi neri, la nostra tecnologia è ancora troppo indietro.

Ma, forse un giorno sarà possibile viaggiare per centinaia di anni luce fino a

tuffarci in un buco nero per poi riemergere in uno spazio e tempo diversi.

Forse il cosmo è infestato da buchi neri, ognuno dei quali ci conduce in un

posto, forse esistono altre civiltà con tecnologia enormemente più avanzata

della nostra. Un buco nero è, forse, la porta che si apre su un altro universo

completamente diverso dal nostro. La lenta metamorfosi delle stelle ci

sembra un fenomeno molto distante dall'esperienza umana, eppure noi

siamo legati molto intimamente ai loro cicli vitali. La materia che compone

noi uomini venne a formarsi molto tempo fa, in qualche gigante rossa. "Un

filo d'erba è il frutto della dura giornata delle stelle". La formazione del

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Sistema Solare potrebbe essere stata avviata dall'esplosione di una

supernova. I raggi ultravioletti del Sole penetrarono nell'atmosfera e

generarono i fulmini, quest'energia fu la scintilla che diede origine alla vita.

Le piante raccolgono la luce solare trasformandola in energia chimica. Noi

uomini, come tutti gli altri animali, siamo parassiti delle piante.

L'evoluzione della vita è regolata dalle mutazioni, che sono causate in parte

dalla radioattività naturale e dai raggi cosmici. I nostri antenati adoravano il

Sole e in questo erano tutt'altro che stupidi, è più che naturale adorare il Sole

e le stelle, perché noi siamo i loro figli. Tutto intorno alla Via Lattea c'è un

alone di materia che comprende gli ammassi globulari, ognuno dei quali

contiene fino a un milione di stelle. Al centro degli ammassi globulari e nel

nucleo centrale della galassia potrebbero esserci buchi neri dalla massa

enorme. Sulla Terra noi ammiriamo, e giustamente, il ritorno quotidiano del

nostro unico Sole. Ma da un pianeta orbitante intorno a una stella facente

parte di un ammasso globulare si assisterebbe ad un'alba ben più grandiosa,

non il sorgere di un sole, ma il sorgere di un'intera galassia, un'aurora creata

da 400 miliardi di soli. Il sorgere della Via Lattea. Noi siamo fatti di atomi e

di stelle, la nostra materia e la nostra forma sono determinati dal cosmo, di

cui siamo fatti.

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La nascita e il tipo dell'universo in cui viviamo

C'è un'esperienza comune a tutti gli esseri umani, l'esperienza della nascita.

Il ricordo che noi abbiamo della nostra nascita è nel migliore dei casi

misterioso e vago.

Evoca il mistero di altre origini, per esempio quelle del cosmo.

Che cosa c'era prima del nostro universo?

Esistono confini al cosmo? Secondo la scienza attuale la storia dell'origine

dell'universo comincia con un'esplosione che provocò l'espansione dello

spazio. Circa 15 miliardi di anni fa, tutta la materia e l'energia che oggi

formano l'universo visibile erano concentrati in uno spazio più piccolo della

testa di uno spillo. Il cosmo esplose in una deflagrazione di dimensioni inimmaginabili, il Big Bang. E la materia dell'universo assieme al tessuto

dello spazio stesso cominciarono ad espandersi in tutte le direzioni, così

come fanno oggi. Man mano che il tempo passava, il cosmo si raffreddava

finché alla normale luce visibile lo spazio divenne scuro, com'è attualmente.

Ma a quel punto cominciarono a formarsi piccole sacche di gas che diedero

origine a strutture molto grosse, le galassie, di cui vediamo vari tipi, per

esempio ci sono le galassie ellittiche, spirali, ecc. Studiare le loro origini, la

loro evoluzione ci aiuta ad allargare la nostra comprensione fino ai confini

più remoti dell'universo. Le stelle sono disposte nelle galassie in molti modi

diversi tra loro. Quando, per esempio, la faccia di una galassia a spirale è

rivolta verso di noi possiamo vedere i bracci lunghi con miliardi di stelle.

Quando, in altri casi, la galassia si presenta lateralmente possiamo vedere le

bande di polveri e gas, dove, probabilmente, si stanno formando altre stelle.

Nelle galassie spirali barrate, il fiume di materia stellare passa per il centro

della galassia collegandosi ai bracci a spirale. Le galassie ellittiche possono

essere giganti oppure nane. Ci sono molte galassie dove si verificano

esplosioni, collisioni e dove esistono nubi di gas e di stelle, veri ponti tra le

galassie.

Una galassia è fatta di miliardi di soli tenuti insieme dalla gravità.

L'evoluzione delle galassie è regolata ovunque dalle stesse leggi fisiche. In

alcuni casi i bracci a spirale si formano da soli. In altri casi, l'incontro

gravitazionale ravvicinato tra due galassie provocherà la formazione dei

bracci a spirale. Ma quando una galassia incontra un'altra, attraversandola, è

difficile prevedere quello che ne uscirà fuori. Ma la forma delle galassie può

modificarsi rapidamente. Lo scontro diretto di due galassie può durare

centinaia di milioni di anni. Quando una galassia piccola e densa si scontra

con un'altra molto più grande, può risultare una delle galassie più belle tra

quelle irregolari, una galassia ad anello.A volte le galassie esplodono. Le

quasar, distanti, probabilmente, miliardi di anni luce potrebbero essere un

esplosione colossale di galassie. Ma non si sa precisamente. Le quasar sono

ancora un mistero. Le galassie sono la dimostrazione dell'ordine che è alla

base dell'universo. Alcuni astronomi ritengono che le quasar siano l'effetto

della caduta di milioni di stelle in un immenso buco nero nel nucleo della

galassia. Qualcosa di simile ad un buco nero, qualcosa dotato di grande

massa, di grande densità e molto piccolo. Le stelle della Via Lattea si

muovono con grande irregolarità, il Sole impiega 350 milioni di anni per

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fare un giro intorno al nucleo della Galassia. Le fasce periferiche della

Galassia hanno un moto di rivoluzione più lento di quelle interne. Nelle

zone di maggiore densità si formano le stelle giovani, calde e lucenti, cioè

quelle stelle che compongono i bracci a spirale. Queste stelle calde brillano

solo per dieci milioni di anni, più o meno, e poi esplodono. Ma, appena una

stella che compone la spirale esplode, dai suoi detriti si formano nuove

stelle e la spirale mantiene la sua forma. Il Sole è rientrato e uscito dai

bracci a spirale durante le rivoluzioni che ha compiuto intorno alla Via

Lattea; in questo periodo noi terrestri viviamo sull'orlo di un braccio a

spirale.

La chiave della cosmologia, dello studio di tutto l'universo finisce con il

rivelarsi con un'esperienza di vita quotidiana. Immaginate un oggetto in

movimento, per esempio anche un'onda di luce o un'onda sonora. Quando

l'oggetto ci passa vicini il suono che sentiamo cambia di tono, questo

cambiamento di tonalità si chiama effetto Doppler. Per il guidatore della

locomotiva, se stiamo considerando una locomotiva di treno, la tonalità

risulterà sempre uguale. Le cause di questo effetto saranno più facili da

capire idealizzando le onde sonore. La locomotiva ferma emette onde

sonore a cerchi perfetti come quelli provocati da un sasso in uno stagno.

Facciamo partire il treno. Durante la marcia le onde che si propagano in

avanti si comprimono l'una addosso all'altra, mentre quelle che si propagano

all'indietro si distanziano. Le onde più compresse hanno una frequenza e

una tonalità più alta delle onde distanziate. La stessa cosa vale per le onde di

luce. I colori stanno alla luce esattamente come le tonalità stanno al suono.

Le onde di luce compresse tendono al blu, quelle più distanti tra loro

tendono al rosso. La velocità del treno ci consente di avvertire il

cambiamento del suono, ma non quello della luce. Il treno dovrebbe andare

ad una velocità maggiore. Ne consegue che l'effetto Doppler delle onde

luminose è la chiave del cosmo. La prova di questo fu fornita

incredibilmente da una persona che non era andata oltre la terza media. Tra

il 1910 e il 1920 era il costruttore, sul monte Wilson, del più grande

telescopio del mondo destinato ad osservare il cielo sopra Los Angeles. I

pezzi più grandi del telescopio dovettero essere portati a dorso di mulo in

cima al monte per poi essere montati. C'era lì un giovanotto di nome M.L.

Humason , figlio un po' scapestrato di un banchiere californiano, però era un

ragazzo intelligente. Quando, nel 1917, l'Osservatorio fu completato, egli

fece in modo di restare lassù come guardiano ed elettricista. Una sera, così

si racconta, l'assistente di notte dell'Osservatorio si ammalò e Humason fu

invitato a sostituirlo. Era un giocatore d'azzardo, noto per la sua avidità a

poker e al tavolo dei dadi, ma qui scoprì di avere un talento naturale nel

maneggiare gli strumenti astronomici, divenne così l'esperto del telescopio.

Alla fine degli anni '20 Humason era in grado di effettuare da solo le

osservazioni. Gli venne assegnato a sua volta un assistente. Un telescopio

deve essere in grado di puntare con estrema precisione su una determinata

regione del cielo e di mantenere quell'orientamento. Quello di monte Wilson

è uno strumento che pesa circa 65 tonnellate, ma deve muoversi con una

precisione maggiore del più preciso orologio da polso. Il generatore di

elettricità deve funzionare senza variazioni. La cupola viene aperta alcune

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ore prima delle osservazioni per consentire alla temperatura esterna di

livellarsi con quella interna. Quella sera Humason preparò, come sempre, le

lastre fotografiche. Quelle osservazioni facevano parte di un programma che

Humason, con il suo maestro l'astronomo Edwin Hubble, stavano svolgendo

per calcolare l'effetto Doppler proveniente dalle galassie più lontane allora

conosciute. Ma le galassie più lontane hanno una luce molto debole e quindi

fotografarle, anche con i telescopi più grandi del mondo, richiedeva tempi di

esposizione molto lunghi, per questo le fotografie duravano tutta la notte e

talvolta dovevano essere prolungate alle notti successive. Humason

consegnò all'assistente di notte le coordinate celesti della galassia prescelta.

Durante la notte, lunga e fredda, provvedette alle opportune correzioni del

telescopio, in modo che seguisse con estrema precisione i movimenti della

galassia. La luce della galassia era troppo debole per essere vista in diretta

con il telescopio, però riuscì a impressionare la lastra fotografica ricorrendo

a tempi di esposizione molto lunghi. Per poter puntare il telescopio sulla

galassia, si puntava sulla stella più vicina alla galassia e poi si spostava il

telescopio su una zona di cielo apparentemente vuota, nella quale durante

tutta la notte la luce della galassia non visibile si accumulerà

impressionando la lastra fotografica. Il telescopio concentra la luce della

galassia nello spettrometro, dal quale verrà scomposta nell'arcobaleno di

colori che la costituiscono. Lo spettro verrà poi impresso sulla piccola lastra

di vetro. Il telescopio anche se è grande riesce a inquadrare solo una

minuscola zona di cielo e, poiché la Terra gira, l'immagine della galassia

esce dal campo visivo del telescopio in qualche minuto. Humason dovette

restare sveglio per seguire la galassia con i meccanismi delicati del

telescopio che lo muovevano lentamente nella direzione opposta per

compensare la rotazione della Terra. Si trattava di un lavoro molto difficile,

di routine, noioso, ma, anche se non lo sapevano ancora, Hubble e Humason

stavano meticolosamente costruendo la prova del Big Bang. Quella notte

scoprirono che più distante è una galassia più lo spettro di colori tende al

rosso. E fu per questa tendenza al rosso dovuta all'effetto Doppler che le

galassie più lontane dovevano allontanarsi da noi. Al termine

dell'osservazione Humason estrasse la lastra e facendo molta attenzione la

portò giù per svilupparla. Humason trovò una tendenza al rosso in quasi

tutte le galassie più lontane, fenomeno paragonabile al cambio di tonalità in

una locomotiva che si allontana. E più è distante da noi e più rapidamente si

allontana. Fu una scoperta grandiosa, ciò provava la stessa espansione

dell'universo. Humason e Hubble avevano scoperto il Big Bang. Le galassie

più vicine mostrano un effetto Doppler molto scarso, ma quando Humason

fotografò lo spettro di galassie più lontane trovò che lo spettro era spostato

verso il rosso; e quando prese in esame una galassia lontanissima, distante

quattro miliardi di anni luce, trovò che lo spettro era ancora più spostato

verso il rosso. Le accurate osservazioni di Humason rivelarono l'espansione

dell'universo.

Quando discutono sulla possibile vastità della struttura del cosmo, gli

astronomi, qualche volta, dicono che lo spazio è curvo oppure che l'universo

è limitato e senza confini. Di cosa parleranno mai? Immaginiamo di essere

perfettamente piatti. In questo modo, siamo fatti in larghezza e in lunghezza,

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ma in altezza zero assoluto. In questa situazione, noi abitanti del mondo

piatto, conosciamo la destra e la sinistra, l'avanti e l'indietro, ma non

sappiamo cosa siano l'alto e il basso. Ora, immaginiamo che nel nostro

mondo piatto, volandoci sopra la testa, arrivi una strana creatura

tridimensionale. Questa creatura a tre dimensioni, per esempio una mela,

vede l'essere piatto, per esempio un quadrato, dall'aspetto attraente e

simpatico, lo osserva mentre entra in casa e, in uno slancio di amicizia,

decide di presentarsi. "Buongiorno" dice la creatura tridimensionale, "come

va? Io sono un turista che viene dalla terza dimensione". Il povero quadrato

si guarda intorno, per tutta la casa, ma non vede nessuno e per di più ha

come sentito un "buongiorno" dal suo interno, una voce dal di dentro.

Allora comincia a preoccuparsi un po' del proprio stato mentale. La creatura

tridimensionale non è contenta di essere considerata un'aberrazione

psicologica e quindi decide di scendere per entrare realmente nel mondo

piatto. Un essere tridimensionale nel mondo piatto esiste solo parzialmente,

di lui è visibile solo una sezione piana che lo attraversa, un suo spaccato.

Come? Quando un essere tridimensionale tocca il suolo del mondo piatto di

lui si vede solamente il punto di contatto con il terreno. Via via che la mela

scivola sul piano si vedono apparire continuamente dal nulla delle figure,

allora il quadrato conclude che è diventato matto. Però la mela non appare

molto soddisfatta di questa conclusione e, quindi, con un gesto non molto

amichevole prende contatto con il quadrato dal di sotto e lo solleva senza

tanti complimenti facendolo fluttuare al di sopra del paese piatto. All'inizio,

il quadrato non si rende conto di quello che succede. Ma dopo un po' finisce

con l'accorgersi che sta vedendo l'interno delle case, e quindi il paese piatto,

soltanto che sta vedendo il paese piatto in una prospettiva fino a quel

momento sconosciuta. Ora, il nostro essere piatto ridiscende lentamente

verso il suolo e gli amici gli corrono intorno per parlargli. Dal loro punto di

vista egli è misteriosamente apparso dal nulla, non è arrivato camminando.

E gli chiedono: "Ma insomma, che cosa ti è successo?"

Il povero quadrato risponde: "Sono stato in un'altra misteriosa dimensione

che si chiama sopra."

Allora, gli amici gli danno delle pacche sulle spalle e gli chiedono: "Allora,

dov'è questa terza dimensione? Indicacela."

Ma il povero quadrato non può soddisfare la richiesta.

Il fatto più interessante in tutto questo è l'altra dimensione e nasce lo spazio

a tre dimensioni. Vogliamo parlare della quarta dimensione? Per cominciare

prendiamo in esame un cubo. Possiamo immaginare di formarlo nel modo

seguente: prendiamo un segmento di retta e lo eleviamo perpendicolarmente

per una lunghezza pari a lui e si forma un quadrato. Muoviamo il quadrato

perpendicolarmente per la stessa lunghezza e avremo un cubo. Ora, questo

cubo, come è naturale, forma un'ombra, che è una figura piatta, a due

dimensioni. Ci accorgiamo subito che nell'ombra di un oggetto

tridimensionale la terza dimensione non è raffigurata totalmente nella sua

proiezione a due dimensioni, ma è parte del prezzo che si paga per la perdita

di una dimensione. Adesso, prendiamo il cubo, che è un oggetto della terza

dimensione e trasportiamolo in una quarta dimensione fisica, cioè ad angolo

retto rispetto alle tre dimensioni. Non posso dirvi quale sia la direzione, ma

immaginate che esista una quarta dimensione fisica. In questo caso,

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potremmo generare un iper-cubo a quattro dimensioni, chiamato anche

tesseratto.

Non possiamo vedere il tesseratto perché siamo prigionieri di tre

dimensioni, però possiamo vedere l'ombra in tre dimensioni di un iper-cubo

a quattro dimensioni. L'ombra è formata da due cubi concentrici con tutti i

vertici uniti da linee. C'è da dire che il vero tesseratto a quattro dimensioni

avrebbe tutti i lati di uguale lunghezza e gli angoli tutti retti. Anche se non

possiamo immaginare un mondo a quattro dimensioni, possiamo pensare

che esiste senza difficoltà. Ora, immaginate l'universo esattamente come il

paese piatto, a due sole dimensioni. È assolutamente piatto in qualunque

direzione. E, all'insaputa dei suoi abitanti questo universo bidimensionale è

curvato in una terza dimensione fisica, forse in una sfera. Ma comunque è

un qualcosa totalmente al di fuori della loro conoscenza. Localmente, questo

universo appare piatto, senza dubbio, ma se uno dei suoi abitanti piatti si fa

una bella passeggiata lungo quella che gli sembra una linea retta finirà con

lo scoprire un grande mistero. Supponiamo di fissare un suo punto di

partenza e che a questo punto si muova all'esplorazione del suo universo.

Non torna mai indietro e non incontra mai un limite; egli non sa che il suo

universo apparentemente piatto, in realtà, è curvo. Perché potrebbe essere

curvo? Perché in questo universo c'è talmente tanta materia da curvare lo

spazio chiudendolo su se stesso, ma sono cose che il nostro essere piatto non

sa. Dopo aver camminato a lungo, scoprirà di essere tornato al punto di

partenza; deve esistere una terza dimensione. Il nostro essere piatto non

riesce a concepire un terza dimensione, ma può arrivarci per deduzione.

Adesso, aumentate di una tutte le dimensioni di questa storia e avrete la

situazione simile a quella che molti cosmologi sostengono che possa essere

applicata a noi. Noi siamo esseri tridimensionali e vediamo il nostro

universo come appiattito in tre dimensioni, ma può darsi che sia curvato in

una quarta. Possiamo parlare di una quarta dimensione fisica, ma non

possiamo sperimentarla, nessuno può indicarci la quarta dimensione. Ora,

immaginiamo che questo universo si vada espandendo. Cosa succede?

Diventiamo come un pallone a quattro dimensioni. Gli astronomi, in una

sola galassia, considereranno che tutte le altre galassie si stanno

allontanando dalla sua, più lontane sono le altre galassie e più velocemente

sembrano muoversi. La scoperta di Humason e Hubble consiste proprio in

questo. Sulla superficie di questo universo curvo non esistono né confini, né

centro, l'universo può essere un punto e al tempo stesso essere sconfinato.

La tendenza al rosso delle galassie più lontane indusse alcuni studiosi

contemporanei di Humason a ritenere che noi eravamo al centro

dell'universo in espansione e che il nostro posto nello spazio era in qualche

modo privilegiato. Ma gli osservatori di qualunque galassia vedranno

praticamente la stessa cosa, cioè che tutte le galassie si stanno allontanando

da loro. Se c'è abbastanza materia per chiudere l'universo a causa della

gravità, vuol dire che esso è avvolto su se stesso come una sfera. Se non c'è

abbastanza materia per rinchiudere il cosmo, vuol dire che il nostro universo

ha una forma aperta che si estende per sempre in tutte le direzioni. Questa

dell'universo "a sella" è solo una delle infinite ipotesi sulle specie possibili

degli universi aperti. A differenza degli universi chiusi, come una sfera, gli

universi aperti hanno per sé una quantità infinita di spazio. Infatti se il

nostro universo è realmente finito moriremo all'interno di un buco nero.

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Tuttavia esiste una possibile via di fuga, un ipotetico tunnel attraverso la

quarta dimensione. Possiamo trovare un tunnel del genere?

Sopravviveremmo al viaggio? Potremmo riemergere in un altro spazio e in

un altro tempo, forse in un altro universo.

Ma noi non sappiamo ancora se l'universo è aperto o chiuso, per di più ci

sono alcuni astronomi che dicono che la tendenza al rosso delle galassie

lontane non sia dovuto all'effetto Doppler e che non credono molto alla

teoria dell'universo in espansione, la teoria del Big Bang.

Il moderno mito scientifico sulla creazione è il Big Bang, la grande

esplosione. Anticamente, molte civiltà ritenevano che il mondo fosse

vecchio solo di qualche generazione umana. Quasi nessuno aveva capito che

il cosmo era ancora più vecchio. Gli unici a capire furono gli Indiani. Più di

qualunque altra divinità, essi annotavano e valutavano i cicli della natura, il

sorgere e il tramontare del Sole e delle stelle, le fasi della Luna, il

trascorrere delle stagioni. Nel mese di gennaio si svolge in tutta l'India

meridionale un'antichissima cerimonia, il festeggiamento della generosità

della natura in occasione del raccolto annuale delle messi. Anche gli animali

al lavoro hanno un giorno di festa. Per terra vengono composti disegni a

colori vivaci per propiziarsi l'armonia e la buona sorte del nuovo anno. Però,

non è solo una festa del raccolto, è legata a una tradizione cosmologica

molto più profonda. È una dimostrazione di gioia per il fatto che esistono i

cicli della natura; ma come potrebbero verificarsi questi cicli se non ci

fossero degli dei a volerli? La religione indù è l'unica tra le grandi fedi del

mondo a professare la credenza che il cosmo, nella sua totalità, passi

attraverso un immenso numero di sue morti e di sue rinascite. Se è vero che

l'universo oscilla, che la moderna versione scientifica della cosmologia indù

è valida, allora sorgono interrogativi ancora più strani. Alcuni scienziati si

chiedono, considerando un universo che oscilla, cosa mai può accadere

durante il passaggio dalla contrazione all'espansione. Alcuni pensano che le

leggi della natura a quel punto vengono rimescolate a caso, che il tipo di

fisica e di chimica che abbiamo in questo universo rappresenta solo una

delle infinite varietà delle possibili leggi naturali. È facile constatare che

solo una varietà, molto ristretta, delle leggi della natura va d'accordo con

galassie, stelle, pianeti, vita e intelligenza. Se è vero che le leggi di natura

sono rimescolate così a caso, allora è solo per la più straordinaria delle

coincidenze che questa grossa slot machine cosmica abbia combinato,

stavolta, un universo che sembra fatto per noi. Dunque viviamo in un

universo che si espande per l'eternità oppure in uno dove c'è materia

concatenata di cicli senza fine? C'è un modo di rispondere a questa

domanda, non in modo mistico, ma un modo scientifico, facendo un

accurato calcolo di tutta la materia che c'è nell'universo oppure dirigendo

l'osservazione all'estremo confine del cosmo stesso. I nostri telescopi sono

in grado di captare le quasar più lontane, distanti miliardi di anni luce e che

si espandono assieme allo spazio. I nostri telescopi hanno individuato anche

le radiazioni cosmiche del passato, ai tempi del Big Bang, raffreddatisi e

tendenti al rosso. I radiotelescopi sono dotati di una sensibilità eccezionale,

per esempio captano una quasar molto lontana e quindi molto debole, le cui

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radiazioni captate dai radiotelescopi hanno una potenza di circa un

milionesimo di miliardesimo di watt. La quantità totale di energia ricevuta

da tutti i radiotelescopi del pianeta Terra è inferiore all'energia di un singolo

fiocco di neve che tocchi il terreno. Quando captano le radiazioni cosmiche

del passato, quando puntano le quasar, ecc., i radioastronomi hanno a che

fare con delle quantità di energia quasi vicine allo zero. I nostri

radiotelescopi sono un monumento all'ingegno umano. Essi raccolgono le

deboli onde radio, le mettono a fuoco, le amplificano e poi le trasformano in

immagini di nebulose, di galassie, di quasar. Se avessimo degli occhi che

funzionino alla luce delle onde radio, sarebbero più grandi delle ruote di una

carrozza. Ogni volta che noi usiamo un nuovo tipo di luce per osservare il

cosmo, apriamo una nuova porta alla nostra percezione. È una costante

indagine dell'uomo dentro i grandi interrogativi del cosmo. Un'altra

importante scoperta è stata fatta da alcuni satelliti lanciati in orbita per

studiare il cielo ai raggi X. A quanto pare c'è un'immensa nube di idrogeno

estremamente caldo nello spazio tra alcune galassie. Ora, se questa materia

intergalattica fosse sufficiente a chiudere il cosmo, vivremmo in un cosmo

chiuso e oscillante.

Ma c'è un'altra ipotesi ancora più ardita e affascinante, una delle più ardite

nel campo sia scientifico che religioso. Non è assolutamente dimostrata,

forse non lo sarà mai. Il nostro universo, fino alla più remota galassia,

sarebbe un elettrone racchiuso in un universo di dimensioni tali, che non lo

potremo mai vedere. E questo secondo universo sarebbe solo una particella

semplice di un universo ancora più grande e così via.

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SETI, ricerca di intelligenza

extraterrestre

Nell'immensità del cosmo devono esistere altre civiltà molto più antiche e

progredite della nostra. Non può darsi, quindi, che noi abbiamo ricevuto

qualche visita? Non può darsi che, ogni tanto, nei nostri cieli appaia qualche

astronave extraterrestre? Non c'è nulla di assurdo in questa ipotesi, nessuno

sarebbe più felice di me se arrivasse qualche visita; ma nella realtà, è

successo?

Quello che conta non è ciò che appare plausibile o ciò a cui vogliamo

credere, né quello che possono sostenere un paio di testimoni oculari, ma

solo ciò che è sostenuto da prove inoppugnabili, valutate con rigore ed i

fatti.

La denuncia di fatti eccezionali esige prove eccezionali.

È dal 1947 che si susseguono centinaia di segnalazioni dei cosiddetti UFO,

oggetti volanti non identificati;

è un argomento che, a mio parere, ha a che fare più con la religione e la

superstizione che non con la scienza. Esaminiamo uno dei racconti più noti

su un presunto incontro con esseri extraterrestri. Il 19 settembre 1961, due

americani, marito e moglie, attraversavano in macchina il New Jersey diretti

a casa. Tornavano da una vacanza in Canada e percorrevano una strada

solitaria di notte tardi. (Ripeto, sull'accaduto abbiamo solo la loro versione

dei fatti). Avevano visto, così dichiararono, una strana luce che si muoveva

nel cielo, quello che si definisce, appunto, un oggetto volante non

identificato. Dopo un po', l'effetto di luce dell'UFO cambiò, a un certo punto

sembrò che atterrasse. Si posò al centro della strada, impedendo ai due di

proseguire. Essi dichiararono di aver visto avvicinarsi degli esseri privi di

bocca e dall'aspetto non precisamente umano. A questo punto il racconto

divenne ancora più strano. I due dissero di non ricordare assolutamente nulla

di quello che accadde nelle ore successive. Due anni e due mesi più tardi, i

due dichiararono, sotto ipnosi, che avevano visto atterrare un UFO. Poi erano stati catturati e portati a bordo dell'astronave. Questo è il racconto di

Betty e Barney Hill, praticamente tutti gli scienziati che lo hanno studiato si

dimostrano scettici. Ma gli appassionati di UFO ritengono che il caso dei

coniugi Hill sia un esempio classico di un incontro ravvicinato del terzo

tipo. Perché? Cos'è che rende questo racconto tanto speciale? Sull'astronave,

Betty disse di aver notato un numero scritto con caratteri geroglifici

sconosciuti e una strana vetrina dietro la quale poté vedere un insieme di

punti luminosi uniti da linee; era, così le dissero, una carta delle stelle, che

indicava le rotte per i commerci interstellari. Poi i due furono liberati e

poterono tornarsene a casa. Questo secondo il loro racconto. Quelli che ci

credono trovano il racconto convincente o quantomeno plausibile,

soprattutto a causa della carta stellare. Come mai c'è qualcuno che la prende

sul serio? Perché gli assertori degli UFO hanno una vera carta stellare che

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riguarda quindici stelle, vicine tra loro, compreso il nostro Sole, viste da un

punto ben preciso e favorevole dello spazio. È una carta che comprende

alcune stelle catalogate per la prima volta molti anni dopo che Betty Hill si

era ricordata di quello che aveva visto su quella astronave. Perciò la carta

descritta da lei esigeva la conoscenza di nozioni non ancora disponibili. C'è

indubbiamente una somiglianza tra le due carte, ma questo è dovuto al fatto

che le linee indicanti le rotte di navigazione sono state riportate dalla carta

descritta da Betty Hill su quella vera. Se decidessimo di sostituire con

un'altra serie di linee le linee di Betty, ci accorgeremmo che, da un momento

all'altro, non esisterebbe più alcuna somiglianza tra le due carte. Comunque,

per fare una prova più obiettiva, se togliamo tutte le linee le due carte non si

somigliano più. Però c'è da dire che le stelle sono state scelte apposta in un

lungo elenco e anche il punto di osservazione dallo spazio è stato deciso in

modo che corrispondesse il più possibile a quello descritto da Betty Hill.

Quando si ha la possibilità di scegliere tra un gran numero di stelle viste da

un qualunque punto dello spazio che si voglia, si può sempre trovare un

disegno che assomigli a quello che state cercando, anzi, mi sorprende che

nessuno abbia trovato un gruppo di stelle che assomigliasse di più a quello

di Betty Hill. Lo psichiatra personale degli Hill ha definito il loro racconto

come una specie di sogno, non c'è nessuna prova a sostegno, l'argomento

"carta stellare" non ha valore e tuttavia questo è uno dei casi più attendibili

di incontri ravvicinati con gli UFO. Per quanto ne so, noi potremmo ricevere

visite di civiltà extraterrestri anche una ogni quindici giorni. Ma niente fa da

supporto a questa splendida idea, le ipotesi eccezionali non sono mai

sostenute da prove eccezionali. Esistono foto di UFO scattate anche di

giorno. Alcune ricordano in modo sospetto cappelli o borchie di automobili

lanciate in aria. Le fotografie si possono truccare facilmente. Le più comuni

sono di luci notturne non identificate, spesso si tratta di aerei. Molti oggetti

volanti non identificati risultano essere poi un'altra cosa, come la luce

riflessa di qualche pianeta o il rientro a terra di un satellite artificiale. A

volte sono suggestioni psicologiche, a volte burle. Mai si sono avute prove

fisiche indiscutibili con fotografie dettagliate in primo piano di un astronave

extraterrestre o qualche piccolo congegno sconosciuto qui sulla Terra, mai

niente. Ci sono racconti su queste cose, ma le cose in sè concretamente mai.

Tuttavia la ricerca di civiltà extraterrestri rimane un fatto importante,

malgrado la mancanza di prove sull'esistenza degli UFO. La maggior parte

degli astronomi, ad esempio, considera la vita extraterrestre un argomento

degno della massima attenzione, anche se con cautela. Personalmente trovo

affascinante l'idea di scoprire un segno qualunque, anche una semplice

scritta, capace di fornirci la chiave per capire una civiltà extraterrestre a noi

estranea. È un richiamo che l'uomo ha sentito anche nel passato.

Nel 1801 il governatore di una provincia francese era anche un famoso

fisico, Joseph Fourier. Durante un'ispezione alle scuole della sua provincia

fu lui a scoprire un ragazzo eccezionale di quindici anni, Jean Francois

Champollion. L'intelligenza precoce del ragazzo e la sua predisposizione

alle lingue gli avevano già fruttato l'attenzione ammirata degli studiosi

d'Europa e anche Fourier ne rimase impressionato. La prima cosa che

Champollion ebbe modo di notare in casa di Fourier determinò il corso della

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sua vita. E consentì di svelare i misteri di una civiltà fino ad allora

sconosciuta. Fourier, come molti altri scienziati, aveva preso parte da poco

alla spedizione di Napoleone in Medio Oriente, ove era stato incaricato di

catalogare i monumenti astronomici egiziani. Il ragazzo rimase affascinato

dalla collezione di Fourier, gli antichi oggetti d'arte egiziana. In quel periodo

la Francia era invasa da oggetti di quel genere, trafugati da Napoleone, e che

suscitavano molto interesse tra gli studiosi e tra la gente comune.

L'attenzione del ragazzo fu attirata, in particolare, da un reperto di

geroglifici egiziani. "Cosa significano?", chiese. "Nessuno lo sa" fu la

risposta di Fourier. In quello stesso istante, Champollion decise che egli

sarebbe riuscito a capire quei segni, che nessuno sapeva leggere. Infatti egli

diventò un grande esperto di lingue e si dedicò allo studio dei geroglifici.

Quando Fourier pubblicò una narrazione illustrata della spedizione

napoleonica in Egitto, il giovane Champollion si mise a studiarla vivamente.

Agli occhi degli europei quelle immagini esotiche rivelavano una civiltà

totalmente estranea, un mondo di monumenti torreggianti e di nomi dal

suono magico, Luxor, ecc. Ogni illustrazione era un' enigma che il passato

poneva al presente. Tra le altre c'era un'immagine di un qualcosa chiamato

"stele di Rosetta". L'Egitto divenne la terra dei sogni di Champollion. Ma fu

solo nel 1828, ventisette anni dopo la sua visita decisiva a casa di Fourier,

che riuscì ad approdare per la prima volta in Egitto. Come compagni di

viaggio, Champollion noleggiò al Cairo dei battelli e iniziò una lenta

inversione controcorrente risalendo il Nilo. Il viaggio durò molte settimane

e Champollion annotava ogni particolare con estrema precisione.

Champollion, da grande, era già riuscito a decifrare alcuni geroglifici. Si

trattava di una parola il cui significato era "ventagli sacri". Ora,

Champollion compiva un pellegrinaggio verso lo scenario di quegli antichi

misteri che egli era stato il primo a capire.

Champollion annota:

"La sera del 16 siamo finalmente arrivati a Tebe. Eravamo solo a un'ora di

viaggio dal tempio. Potevamo resistere alla tentazione di proseguire? Lo

chiedo al più indifferente di voi mortali. Abbiamo deciso di cenare e di

ripartire immediatamente. Abbiamo attraversato la zona da soli senza aiuti.

Pensando che i templi fossero in linea retta dal nostro drappello, abbiamo

camminato per un'ora e mezza senza trovare niente. Alla fine abbiamo

incontrato un uomo che ci ha indicato la direzione giusta. E poi ha deciso di

unirsi a noi, per grazia di Dio. Finalmente uno dei templi ci è apparso

davanti. Non tenterò neanche di descrivere le sensazioni che il portico e,

soprattutto, il colonnato hanno suscitato in noi. Siamo rimasti lì due ore in

estasi, correndo da uno all'altro di quegli enormi locali e cercando di

leggere le iscrizioni esterne, alla luce della Luna".

Fu certo in preda ad una grande emozione che Champollion entrò nei posti

più segreti del tempio e posò gli occhi su quelle parole che avevano atteso

pazientemente per mezzo milione di notti qualcuno che le decifrasse. Al

fratello, Champollion scrisse per comunicargli la sua gioia nell'aver

constatato che era vicino a leggere le iscrizioni su quelle pareti. Dopo aver

seguito il corso del Nilo fino alla seconda cascata, disse:

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"Posso affermare con orgoglio che nella nostra lettera sull'alfabeto dei

geroglifici non c'è niente da modificare. Il nostro alfabeto è giusto, si può

applicare con gli stessi risultati positivi, prima di tutto ai commenti egiziani

dell'epoca romana e anche, fatto questo più interessante, alle iscrizioni di

tutti i templi, i palazzi e le tombe dell'epoca faraonica".

Champollion era sopraffatto dalla grandiosità che lo circondava. In Europa

siamo solo dei nani, nessuna nazione, antica o moderna, ha mai concepito

l'arte e l'architettura in uno stile sublime, meraviglioso ed imponente come

quello degli antichi egizi. La costruzione del grande tempio di Kasna,

nell'alto Egitto, continuò ininterrottamente per un periodo di oltre 2000 anni

fino alla dinastia dei Tolomei. Fu in quel posto che Champollion scrisse:

"La magnificenza faraonica mi è apparsa in tutta la sua grandezza. Quello

che ho visto fino ad oggi mi sembra piccolo e misero se paragonato alle

creazioni colossali che mi circondano".

Dovunque in Egitto, Champollion si rese conto che era in grado di leggere

le scritture sui muri e sulle colonne e che la sua decifrazione di qualche anno

prima era esatta. Ma come è arrivato ad essa? Avevano tentato in molti di

decifrare i geroglifici ed avevano fallito. Un gruppo di studiosi riteneva che

si trattasse di immagini in codice, fatte soprattutto di uccelli in particolar

modo. C'erano altri che avevano dedotto dai geroglifici che gli Egiziani

erano dei colonizzatori venuti dalla Cina. C'era anche un tale che sosteneva

di avere capito il significato della stele di Rosetta dopo una semplice

occhiata, disse che la rapidità della sua decifrazione gli aveva consentito di

evitare gli errori sistematici che immancabilmente nascono da una

riflessione troppo prolungata. Come accade, oggi, nella ricerca di

intelligenze extraterrestri le incontrollate congetture di certi dilettanti

finiscono per allontanare molti veri studiosi dal campo delle ricerche. Ma

Champollion non si fece impressionare, non si fece neanche distrarre dalla

teoria dei geroglifici come metafore illustrate. Seguendo le intuizioni di un

brillante fisico inglese, Thomas Young procedette con questo metodo.

L'originale della stele di Rosetta fu scoperto per caso nel 1799 da un soldato

francese che lavorava alle fortificazioni di Rashi, una città a sud-est del

Nilo. La stele faceva parte di un antico tempio che era stato distrutto. Nella

stele si vede chiaramente uno stesso identico testo in tre lingue diverse. In

alto ci sono antichi geroglifici egizi; in mezzo, una scrittura geroglifica detta

demotico e in basso il testo greco. Champollion ovviamente, sapeva leggere

il greco antico, era un ottimo linguista, così scoprì che le iscrizioni su questa

pietra erano state incise per confermare l'incoronazione di Tolomeo V nella

primavera dell'anno 196 a.C. Il testo greco contiene molti riferimenti a

Tolomeo. Più o meno nella stessa posizione, nel testo in geroglifici, si

vedono dei caratteri racchiusi in ovali. E Champollion pensò che se

significavano Tolomeo, allora i simboli geroglifici difficilmente erano

ideogrammi o metafore, ma più probabilmente si trattava di lettere o

quantomeno di sillabe. Inoltre Champollion contò il numero di parole

greche e il numero di geroglifici in quelli che riteneva, testi equivalenti e

scoprì che il numero dei simboli geroglifici era molto maggiore del numero

delle parole greche. Fu un ulteriore conferma che i geroglifici sono

soprattutto lettere e sillabe. Ma a quale geroglifico corrispondeva ciascuna

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lettera? Per fortuna Champollion aveva a disposizione una specie di seconda

stele di Rosetta. Un obelisco trovato negli scavi del tempio di Pira che

recava incisa un iscrizione in geroglifici che corrispondeva a un altro nome

greco, cioè Cleopatra. Mettendo a confronto i due geroglifici recanti l'uno il

nome di Tolomeo e l'altro il nome di Cleopatra si scopre che ci sono alcuni

geroglifici uguali, per esempio un quadrato che significa la lettera "t", il

geroglifico rassomigliante a un leone è la lettera "l", il geroglifico

rassomigliante a un capestro è la lettera "o", il geroglifico rassomigliante a

un'aquila è la lettera "a", e procedendo così Champollion riuscì ad abbinare

ogni lettera a un geroglifico. Da notare che per la lettera "t" ci sono due

simboli diversi, ma anche in inglese, per esempio, la lettera "f" si scrive "f"

o "ph". Champollion scoprì che i geroglifici sono, sostanzialmente, delle

semplici cifre sostitutive. Ma nel testo c'era tanta altra roba. E leggendo tutta

l'iscrizione abbiamo: "Tolomeo che vivrà in eterno molto amato dal dio Ta".

E alla fine del nome Cleopatra c'è un abbreviazione che vuol dire "figlia di

Iside". Ne risulta che gli oppositori di Champollion non avevano torto del

tutto, alcuni dei geroglifici, ad esempio il simbolo "ank" che significa vita,

sono realmente ideogrammi o crittografie. Ma il successo di Champollion

rimane, i geroglifici sono essenzialmente lettere e sillabe. Vista da oggi,

sembra una scoperta facile, ma ci sono volute centinaia di anni affinché

qualcuno ci arrivasse. Per Champollion dovette essere una grande felicità

aprire questo canale di comunicazione, a senso unico, con un'altra civiltà.

Consentire a una cultura, che era rimasta muta per millenni, di parlarci della

sua storia.

Anche noi oggi siamo alla ricerca di messaggi da parte di qualche civiltà

antiche e sconosciute. Qualche civiltà che ci viene tenuta nascosta, non dal

tempo, ma dallo spazio. Oggi siamo alla ricerca di messaggi provenienti

dalle stelle, finora non abbiamo trovato niente, ma siamo appena all'inizio.

Ma questi extraterrestri avranno una biologia diversa dalla nostra e diverse

saranno la cultura e la lingua. Come faremo a capire i loro messaggi? Esiste

una stele di Rosetta cosmica? Io credo di si. Tutte le possibili civiltà

tecnologiche del cosmo, per quanto diverse possano essere, devono avere in

comune almeno una lingua, la lingua che si chiama scienza. Le leggi della

natura sono le stesse dovunque. Tutti gli elementi chimici hanno delle

caratteristiche uniche nel proprio spettro che sono identiche qui sulla Terra

come su qualunque galassia. Gli spettri non ci indicano solo che in tutto

l'universo esistono gli stessi elementi chimici, ma anche le leggi della

meccanica quantistica governano gli atomi, dovunque. Gli esseri nati e

cresciuti su qualunque mondo devono avere in comune le stesse leggi di

natura. Galassie, lontane miliardi di anni luce, si sviluppano in forma a

spirale proprio come la nostra Via Lattea perché le forze gravitazionali che

lavorano sono le stesse. Questo vale anche per i pianeti. Su Giove ci sono

sistemi di tempeste a spirale esattamente come avviene sulla Terra. Gli

esseri intelligenti di qualunque mondo devono, prima o poi, capire le leggi

della natura. Un giorno, forse prossimo, potrebbe arrivare sul nostro piccolo

mondo un messaggio dalle profondità dello spazio, se vorremo essere in

grado di capire dovremo capire prima la scienza.

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Sugli altri pianeti del nostro Sistema Solare sembra ormai accertato che non

esistano civiltà intelligenti e progredite. Infatti, se fossero arretrate rispetto a

noi, anche di poco, diecimila anni diciamo, non potrebbero disporre di

tecnologia avanzata. E se fossero, anche di poco, avanti a noi che stiamo già

esplorando il Sistema Solare, sarebbero già venute sulla Terra. Per prendere

contatto con altre civiltà, la nostra tecnologia deve farsi sentire non

solamente attraverso distanze interplanetarie, ma attraverso distanze

interstellari. L'ideale sarebbe un metodo poco costoso, in modo da inviare e

ricevere a basso costo una grande quantità di informazioni. Dovrebbe essere

rapido per rendere possibile un dialogo interstellare, dovrebbe essere

semplice in modo da poter essere capito da qualunque civiltà tecnica a

qualunque grado di sviluppo. Un metodo simile esiste e si chiama

radioastronomia. Il più grande radiotelescopio della Terra si trova ad

Arecibo, è situato in una valle isolata dell'isola di Portorico. Invia e riceve

segnali radio, è talmente grande e potente che potrebbe comunicare con un

radiotelescopio uguale distante fino a 15.000 anni luce, cioè metà della

distanza tra di noi e il centro della Via Lattea. L'osservatorio di Arecibo è

stato impiegato, sia pure saltuariamente, per la ricerca nello spazio di

segnali da altri civiltà e, solo una volta, per inviare un messaggio a un

ammasso stellare molto lontano, M13. Ma ci sarà poi qualcuno nello spazio

col quale parlare? Con quattrocento miliardi di soli soltanto nella Via Lattea,

è mai possibile che il nostro Sole sia l'unico ad avere un pianeta abitato?

Molti sorgenti radio del cosmo non hanno niente a che fare con la vita

intelligente. Perciò, come faremo a sapere che quello che riceviamo è un

messaggio? La civiltà che lo trasmettesse potrebbe renderci il problema

molto facile, se volesse. Immaginiamo di essere nel pieno di una ricerca

sistematica e di radio-osservazioni di tipo convenzionale e supponiamo che

ogni giorno captiamo un segnale molto forte che va aumentando. Non un

normale sibilo di fondo, ma una serie metodica di impulsi ben precisi. Per

esempio 1, 2, 3, 5, 7, 11, 13 un segnale composto di numeri primi, divisibili

solo per uno e per se stessi. Non esistono fenomeni naturali astrofisici che

generano numeri primi, quindi dovremo concludere che qualcuno,

appassionato di matematica elementare, ci stia dando il buongiorno. Sarebbe

solo il primo espediente per attirare la nostra attenzione, il messaggio vero

sarà più misterioso e più complicato. Potremmo essere costretti a lavorare

parecchio per decifrarlo. Ma anche il segnale pilota da solo avrebbe già un

grande significato. Vorrebbe dire che qualcuno ha imparato che

l'autodistruzione non è inevitabile e anche noi terrestri potremmo avere un

futuro. Pensate al momento storico della ricezione sui grandi radiotelescopi

della Terra di una civiltà extraterrestre molto più progredita di noi. Forse, ci

renderebbe partecipe del sapere di milioni di mondi abitati. La ricezione di

un messaggio interstellare costituirebbe uno degli avvenimenti più

importanti nella storia dell'umanità e segnerebbe l'inizio della

sprovincializzazione del nostro pianeta. Forse una seria e sistematica radio-

ricerca di civiltà extraterrestri comincerà presto. Alcune fasi preliminari

sono già avviate sia negli Stati Uniti che nell'Unione Sovietica. Il costo è

relativamente modesto, un programma decennale di ricerca costerebbe una

cifra inferiore alle somme di bilancio per l'armamento di una piccola

nazione in un solo anno. La nostra tecnologia è pienamente all'altezza di

questa sfida grandiosa. Ma nessuna nazione sulla Terra ha mai approvato un

programma di ricerche sistematiche. Ma o che le civiltà galattiche

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progredite siano poche o che siano milioni, non avrebbero già dovuto

intraprendere, almeno alcune, il viaggio verso la Terra? Da un lato, abbiamo

visto che anche se una piccola frazione delle civiltà tecnologiche avesse

imparato a convivere col proprio potenziale capace di autodistruzione, nella

galassia dovrebbe esistere un numero enorme di queste civiltà. Da un altro

lato, malgrado le testimonianze sugli UFO e su antichi astronauti, non

esistono prove valide che la Terra sia stata visitata né ora e né in passato.

Ma in questo non c'è una contraddizione? Se la civiltà più vicina a noi è,

diciamo, a duecento anni luce, occorrerebbero duecento anni per venire da lì

a qui alla velocità della luce. Ma anche viaggiando a una velocità mille volte

inferiore, questi esseri di una civiltà vicina, sarebbero potuti venire durante

tutta la permanenza dell'uomo sulla Terra. Allora come mai non sono qui?

Le risposte possibili sono tante e una è che, forse, noi siamo i primi. Deve

pure esserci nella storia della galassia una civiltà tecnologica che emerge per

prima oppure, può darsi, che tutte le civiltà tecnologiche si siano

autodistrutte. Ma questo appare molto improbabile o può darsi che i

problemi dei voli interstellari siano tali che noi non riusciamo a capirli.

Oppure, può darsi che loro siano qui, ma si tengono nascosti per qualche

motivo etico di non interferenza con un'altra civiltà allo stato nascente. Ma

c'è anche un'altra spiegazione che è compatibile con tutte le cose che

sappiamo e cioè che il cosmo è veramente immenso. Ammesso che ci sia

una civiltà interstellare distante duecento anni luce in grado di esplorare lo

spazio, perché dovrebbe venire da noi? Non avrebbero motivo di pensare

che la Terra è particolarmente interessante, non esistono segni di tecnologie,

neanche le trasmissioni radio che abbiano avuto il tempo di viaggiare per

duecento anni luce. Dal loro punto di vista, tutti i sistemi planetari vicini

possono presentare lo stesso interesse per un'esplorazione. Ma anche le

civiltà più vicine a noi potrebbero impiegare milioni di anni vagando tra le

stelle senza mai inciampare nel nostro sistema solare. Invece di conoscere

civiltà assai progredite, conoscerebbero molti mondi alcuni abitati e altri

deserti. Forse, si comunicherebbero le scoperte creando un immenso

deposito della conoscenza di innumerevoli mondi. Potrebbero redigere

un'enciclopedia galattica. Noi abbiamo sempre osservato le stelle e ci siamo

sempre chiesti se esistono altri esseri che pensano e si pongono degli

interrogativi. La ricerca di intelligenze extraterrestri è, nel suo significato

più profondo, la ricerca di quello che siamo noi stessi

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I viaggi interstellari

Aristarco si era trastullato con l'idea, molto audace, che le stelle fossero dei

soli molto distanti, quindi se una stella fosse stata vicina come il Sole

sarebbe dovuta apparire anche grande e lucente come il Sole. Infatti tutti

sappiamo che un oggetto più è lontano più ci appare piccolo. Questa

inversione di proporzioni tra grandezza apparente e distanza è la base della

prospettiva in arte e in fotografia. Quindi ne consegue che più siamo lontano

dal Sole e più esso ci appare piccolo e debole. Allora quanto dovrebbe

essere lontano il Sole per apparirci piccolo e debole come una stella, o

viceversa quanto dovrebbe essere piccolo, lì dove sta, per assumere l'aspetto

di una stella? Il primo esperimento per rispondere a questa domanda fu

svolto nel 1600 dall'olandese Christian Huygens. Huygens praticò una serie

di forellini in un disco di ottone e lo osservò contro il Sole. Poi, cercò quale

dei forellini avesse la stessa lucentezza della stella Sirio, che egli aveva

osservato la sera precedente. Stabilì che il forellino che corrispondeva era

uno solo equivalente a 28 millesimi della grandezza apparente del Sole.

Quindi Sirio, disse Huygens, deve essere 28.000 volte più lontana del Sole

dalla Terra, il che equivale a circa mezzo anno luce. Non è facile

ricordarsi la lucentezza di una stella dopo ore che l'avete osservata, ma

Huygens se la ricordò molto bene. Infatti, se avesse saputo che Sirio è

intrinsecamente più lucente del Sole, col suo sistema avrebbe avuto la

risposta giusta. La distanza esatta di Sirio dalla Terra è di 8,8 anni luce. Nel

periodo tra Aristarco e Huygens l'uomo aveva già trovato la risposta alla

domanda che mi aveva tanto affascinato quando ero ragazzo a Brooklyn, la

domanda: cosa sono le stelle? La risposta è che le stelle sono dei soli molto

potenti, distanti anni luce, immersi nello spazio interstellare. E intorno a

quei soli ci saranno dei pianeti? E su quei pianeti, ci saranno degli esseri che

si pongono le nostre stesse domande? Mah. Consideriamo una stella e

accanto ad essa un pianeta molto difficile a vedersi a causa della forte

luminosità (della stella). Normalmente sarebbe molto difficile riuscire a

vedere il pianeta perché la forte luce della stella lo fa scomparire. Però se

riusciamo a mettere un corpo opaco tra noi e la stella, in modo da creare un

eclisse artificiale, allora il pianeta diventa visibile. Questo è il sistema per

vedere i pianeti che sono molto vicini a una stella. È un metodo che verrà

applicato alle sonde spaziali che, dotate di un disco, esploreranno il cielo per

consentire a un telescopio di vedere se ci sono pianeti. Questo è uno dei

metodi. Si prevede che, fra qualche anno, ci saranno delle sonde spaziali in

grado di compiere missioni del genere. C'è anche un altro metodo che è già

stato sperimentato dalla Terra. Immaginiamo che ci sia una stella vicino a

noi, visibile per la sua luminosità, accanto essa ha un pianeta, la cui luce

riflessa è così debole che non si riesce a vedere. E immaginiamo che il

pianeta e la sua stella si girino intorno a vicenda. Il metodo consiste nel

vedere se il moto della stella è perturbato, infatti se è irregolare, allora

significa che c'è un pianeta. Ecco, tutti e due i metodi vengono usati. Le

stelle più vicine, quelle che si vedono anche a occhio nudo, sono quelle che

vengono chiamate i "vicini del Sole", è il termine usato dagli astronomi. Si

tratta di una zona molto limitata della Via Lattea. La Via Lattea è quella

striscia luminosa che si vede attraverso il cielo nelle notti serene. Si tratta di

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cento miliardi di stelle tutte visibili insieme, lateralmente. Se potessimo

osservare la Via Lattea dall'alto, dove sarebbero il Sole e le stelle più vicine

a noi? Al centro, dove sembrano esserci i corpi più importanti o quantomeno

più luminosi? No. Noi ci troviamo più o meno nella periferia della Galassia,

non siamo in un posto importante. Il fatto che noi abitiamo nella periferia

della Galassia fu scoperto verso la fine della prima guerra mondiale da un

certo Harlow Shapley, mentre stabiliva le coordinate di certi ammassi di

stelle. Ognuno degli ammassi stellari è composto da diecimila stelle circa. Si

chiamano ammassi globulari e, come si può vedere, sono disposti a cerchio

intorno al nucleo centrale della Galassia. Un tempo si pensava che al centro

della Galassia ci fosse il Sole, attribuendo alla nostra posizione un posto

importante. Ma noi viviamo nella periferia come gli ammassi globulari. In

seguito, si scoprì che questa non è la sola galassia esistente. Noi facciamo

parte di questa Galassia, ma ci sono tante altre galassie. Ci sono molti tipi di

galassie diversi tra loro. Esistono cento miliardi di altre galassie, ognuna

delle quali è formata da qualcosa come cento miliardi di stelle. Quindi,

pensate a quante stelle e pianeti e forme di vita possono esserci in questo

universo meraviglioso e immenso.

L'uomo da quando esiste ha sempre cercato di scoprire che posto occupa

nell'universo: dove siamo? Chi siamo? Abbiamo scoperto di vivere su un

pianeta insignificante, attorno a un sole sperduto in una sperduta galassia in

un angolino dell'universo. Ma possiamo dare noi un significato al nostro

mondo, col coraggio dei nostri interrogativi e con la profondità delle

risposte che diamo ad essi. L'esplorazione fa parte della nostra natura,

iniziammo da nomadi e siamo tuttora dei nomadi. Stiamo vagando

nell'immenso mare dello spazio e del tempo. In questo mare gli eventi che

plasmano il futuro danno vita a sé stessi. Trasportati dal nostro pianeta, noi

giriamo intorno al Sole. Da quando esiste, la Terra ha compiuto più di

quattro miliardi di giri intorno alla sua stella, a sua volta il Sole gira attorno

al nucleo della Via Lattea, la nostra Galassia. Da sempre noi siamo

viaggiatori nello spazio e nel tempo. Ma intrappolati come siamo sulla

Terra, possiamo dire ben poco su dove siamo diretti nel tempo e nello

spazio e a che velocità. Una manciata di sabbia può contenere 10.000

granelli, più del numero totale delle stelle che riusciamo a vedere a occhio

nudo in una notte serena, ma il numero totale delle stelle che riusciamo a

vedere non è che una minima frazione del numero di stelle esistenti; quello

che vediamo di notte non è che un'idea molto pallida di esso, che ci viene

data dalle stelle più vicine e dalle stelle più lontane più brillanti, oltre le

quali il nostro occhio non va. Ma il cosmo è ricco oltre ogni misura

concepibile dall'uomo. Il numero totale di stelle nell'universo è superiore a

quello di tutti i granelli di sabbia di tutte le spiagge della Terra messe

insieme. Nel passato prima di scoprire che le stelle sono dei soli molto

lontani, ci sembrava che esse formassero delle figure. La costellazione che

oggi chiamiamo Orsa Maggiore ha avuto molti altri nomi. Ogni cultura

antica e moderna ha posto tra le stelle i suoi feticci e i suoi problemi, dal

Burocrate Celeste dei cinesi al Carro dei tedeschi. Ma le popolazioni molto

antiche vedevano costellazioni diverse dalle attuali, perché le stelle sono in

continuo movimento. Se mettiamo in un computer le posizioni e i

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movimenti nello spazio delle stelle più vicine possiamo risalire nel tempo

per vedere quali figure si formano. Ogni costellazione è come un singolo

fotogramma di un film cosmico, ma data la lentezza del movimento delle

stelle relativamente alla nostra breve vita, non possiamo accorgerci di

questo movimento. Un milione di anni fa l'Orsa Maggiore non esisteva. I

nostri antenati quando guardavano le stelle dell'emisfero Nord, vedevano

altre figure su nel cielo. Possiamo, anche considerare una costellazione, per

esempio quella del Leone, e proiettarla nel futuro per vedere quale figura

sarà formata dalle sue stelle. Fra un milione di anni quella del Leone

potrebbe essere ribattezzata la costellazione del Radiotelescopio, anche se

ho il sospetto che i radiotelescopi saranno superati. Fra alcuni milioni di

anni, le immagini saranno molto diverse. Nella costellazione del cacciatore

Orione le cose cambiano non solo perché le stelle si spostano, ma anche

perché subiscono una loro evoluzione. Molte delle stelle di Orione sono

calde, giovani e di vita breve. Nascono, vivono e muoiono nel breve periodo

di qualche milione di anni. Se proiettiamo Orione nel futuro, vediamo

decine di stelle nascere e morire in modo esplosivo, lampeggiando. Se ci

inoltriamo nello spazio vediamo che, man mano, gli schemi formati dalle

stelle cambiano. Le costellazioni a due dimensioni sono solo l'aspetto

apparente di stelle distribuite su tre dimensioni. Un viaggiatore nello spazio

potrebbe realmente vedere le costellazioni cambiare forma? Per vederle,

dovrebbe viaggiare con una distanza confrontabile con quella per osservare

dalla costellazione. Gli abitanti dei pianeti che girano intorno alle altre stelle

vedrebbero delle costellazioni diverse dalle nostre perché il loro punto di

osservazione è diverso dal nostro. Vicino alla costellazione di Perseo c'è

quella di Andromeda. Andromeda, nella mitologia greca, era una vergine

che fu salvata da Perseo da un mostro marino. Consideriamo la stella

beta Andromedae, la seconda della costellazione per lucentezza, a 75 anni

luce dalla Terra. La luce che ci arriva ora dalla stella impiega 75 anni reali

per attraversare lo spazio interstellare e arrivare alla Terra. Nel caso

improbabile che beta Andromedae sia esplosa una settimana fa

estinguendosi, noi non sapremmo niente per altri 75 anni. Come si vede, lo

spazio e il tempo sono strettamente intrecciati. Non possiamo guardare fuori

nello spazio senza guardare indietro nel tempo. La luce va ad una velocità

altissima, ma lo spazio è incommensurabile e tra le stelle ci sono distanze

enormi. In realtà le distanze di cui abbiamo parlato finora sono molto

piccole in relazione ai normali standard astronomici. Infatti, la distanza dalla

Terra al centro della Galassia della Via Lattea è di 30.000 anni luce. Dalla

nostra Galassia alla più vicina galassia a spirale, come è la nostra, che si

chiama M31 e che si trova dietro la costellazione di Andromeda, è di due

milioni di anni luce. Quando la luce che vediamo oggi di M31 partì per il

suo viaggio verso la Terra, gli esseri umani non esistevano. In astronomia ci

sono distanze molto più grandi. La distanza dalla Terra alle più lontane delle

quasar è di 8 o 10 miliardi di anni luce. I più veloci veicoli spaziali mai

lanciati dalla specie umana, sono le sonde automatiche Voyager. La loro

velocità è talmente alta che è solo 10.000 volte più lenta della velocità della

luce. Esse impiegherebbero 40.000 anni reali per arrivare fino alla stella più

vicina a noi.

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Ma esiste un modo che ci consente di arrivare in un tempo più breve alle

stelle? Potremmo mai avvicinarci alla velocità della luce? Potremmo anche

superarla? In realtà c'è un qualcosa di molto strano nella velocità della luce,

un qualcosa che ci fornisce la chiave per capire il tempo e lo spazio. La

storia di come fu scoperta questa chiave ci porta in Italia e precisamente in

Toscana. Se avessimo percorso le strade toscane nell'estate del 1895,

avremmo potuto incontrare uno studente liceale tedesco di sedici anni che

aveva lasciato la scuola. Il suo professore gli aveva detto che non avrebbe

mai concluso niente, che la sua condotta era un danno per la disciplina della

classe e che, perciò, doveva andarsene. Così il ragazzo venne in Toscana

dove passava il tempo per le strade e lasciava libera la mente di indagare

nelle materie più disparate. Un giorno cominciò a riflettere sulla luce e sulla

velocità a cui viaggia. Normalmente noi calcoliamo la velocità di oggetti in

movimento rapportandolo a qualche altra cosa. Per esempio, io mi muovo a

10 chilometri all'ora relativamente al suolo. Ma il suolo non è fermo, la

Terra gira su sé stessa a più di 1.600 chilometri all'ora e inoltre si muove su

di un'orbita intorno al Sole e il Sole a sua volta si muove tra le stelle che

viaggiano anch'esse e così via. Era difficile per il ragazzo immaginare un

qualche riferimento assoluto per calcolare tutti questi moti relativi. Egli

sapeva che le onde sonore sono vibrazioni dell'aria e che la loro velocità si

può calcolare in rapporto all'aria stessa. Ma quando la luce viaggia negli

spazi, dove c'è assenza d'aria, le onde di luce si muovono in rapporto a

qualcos'altro? E, se è così, egli si disse, in rapporto a cosa si muovono? Quel

ragazzo era Albert Einstein e le sue elucubrazioni cambiarono il mondo. Era

rimasto affascinato dal libro popolare di scienze naturali di Berstein,

pubblicato nel 1869. Il libro, proprio alla prima pagina, descrive l'incredibile

velocità dell'elettricità attraverso i fili e della luce attraverso lo spazio. E fu

proprio in Toscana che Einstein si chiese, forse per la prima volta, come

sarebbe il mondo visto viaggiando alla velocità della luce. Se uno viaggiasse

su un'onda di luce non se ne renderebbe conto assolutamente. Alla velocità

della luce accadono dei fatti molto strani. Più Einstein rifletteva su questi

problemi, più complicati essi diventavano. L'ipotesi di viaggiare alla

velocità della luce creava un paradosso dopo l'altro. Certe teorie erano state

accettate fino allora come assolute, senza un sufficiente approfondimento.

Una di queste teorie riguardava la luce proveniente da un oggetto in

movimento. Le immagini, grazie alle quali vediamo il mondo, sono fatte di

luce e sono trasportate alla velocità della luce, 300.000 chilometri al

secondo. Si potrebbe quindi pensare che la mia immagine potrebbe

precedermi alla velocità della luce più la velocità della bicicletta

(supponendo che vada in bicicletta). Se io mi muovo verso di voi su una

bicicletta più velocemente di un calesse trainato da un cavallo, la mia

immagine dovrebbe raggiungervi con un anticipo pari alla differenza delle

due velocità, cioè io dovrei arrivare prima. Ma nella realtà voi non noterete

alcun scarto di tempo. Se, per esempio, stessimo per scontrarci, voi vedreste

accadere tutto nello stesso momento. Ma cosa vedreste se fosse giusto

sommare le velocità? Poiché io vengo verso di voi, voi sommereste la mia

velocità a quella della luce, quindi, la mia immagine dovrebbe raggiungervi

prima dell'immagine del cavallo e del calesse. Supponiamo che io venga

verso di voi a velocità normale, a un certo punto io mi accorgerei che sto per

scontrarmi e reagirei di conseguenza. Ma voi mi vedreste sbandare senza

alcuna causa apparente. Il calesse, invece, non viene verso di voi, quindi la

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sua immagine vi arriva solo alla velocità della luce. È mai possibile che a

me sembra di aver evitato uno scontro, mentre per voi non esistevano

neanche le condizioni? Neanche gli scienziati nei loro accurati esperimenti

di laboratorio hanno mai osservato un fenomeno del genere. Se vogliamo

capire il mondo, se vogliamo evitare questi paradossi della logica quando

viaggiamo alle alte velocità, allora dobbiamo obbedire ad alcune regole.

Einstein chiamò queste regole "Teoria della Relatività Speciale". La luce

proveniente da oggetti in movimento viaggia sempre alla stessa velocità, sia

che l'oggetto sia fermo o in movimento. Non aggiungerai la tua velocità alla

velocità della luce. Inoltre nessuno oggetto può andare alla stessa velocità o

superiore della luce. In fisica, nessuna legge impedisce di avvicinarsi anche

molto alla velocità della luce, fino al 99,9 per cento di essa va tutto bene, ma

per quanto uno possa tentare o fare non riuscirà mai a scavalcare questo

valore. Perché il mondo abbia una coerenza logica deve per forza esserci un

limite alla velocità cosmica. Perché la velocità della luce non si può

superare come quella del suono? La risposta non è solo che la luce va a una

velocità superiore un milione di volte a quella del suono. Einstein scoprì il

suo schema assoluto per il mondo. La luce si muove a quella velocità

indipendentemente dalla velocità della sua fonte, la velocità della luce è

costante relativamente a tutto il resto. Niente può mai raggiungere la luce.

La Toscana non è solo il luogo dove Einstein passò molto tempo a riflettere,

ma è la patria anche di un altro genio che visse 400 anni fa: Leonardo da

Vinci. Einstein aveva un gran rispetto di Leonardo. Oltre alle sue

straordinarie e molteplici capacità in architettura, pittura, scultura, storia

naturale, anatomia, geologia, ingegneria civile e militare, Leonardo aveva

una passione, voleva costruire una macchina che potesse volare. Disegnò

vari schizzi di una macchina del genere e ne fece dei modelli in miniatura e

ne costruì dei prototipi a grandezza naturale. Ma, nessuno di essi funzionò.

E la ragione principale è che a quei tempi non esisteva la tecnologia adatta.

Leonardo rimase molto deluso per l'impossibilità di realizzare i suoi

progetti. Ma questo avvenne non per colpa sua, lui era troppo in anticipo

rispetto al suo secolo. Qualcosa di simile accadde nel 1939, quando un

gruppo di tecnici, autodefinitosi Società Interplanetaria Britannica decise di

progettare una nave spaziale per trasportare le persone sulla Luna. Non

aveva assolutamente niente in comune col progetto che, alcuni anni dopo,

doveva effettivamente portare l'astronave Apollo sulla Luna. Ma

quell'iniziativa ebbe, comunque, il merito di suggerire che arrivare sulla

Luna era prima o poi tecnicamente possibile. Oggi noi abbiamo alcuni

progetti preliminari di navi spaziali che dovranno portare l'uomo fino alle

stelle. Verranno montate nello spazio in un'orbita terrestre e da lì esse

partiranno verso i loro grandi viaggi interstellari. Uno di questi progetti si

chiama Orione. Orione utilizza armi nucleari, cioè l'esplosione di bombe

all'idrogeno contro una lastra inerte. Ogni esplosione deve provocare una

spinta enorme. Il progetto Orione appare di estrema praticità e negli Stati

Uniti era in fase di studio avanzato finché non venne firmato il trattato

internazionale che vieta ogni forma di esplosione nucleare nello spazio.

Personalmente, considero l'astronave Orione come il miglior modo per usar

le armi nucleari. Il progetto Dedalus è un'iniziativa della Società

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Interplanetaria Britannica. Esso presume l'impiego di un reattore nucleare a

fusione, che è molto più sicuro ed efficiente degli impianti a fissione

nucleare oggi esistenti. Non abbiamo ancora reattori a fusione, ma in un

futuro molto prossimo li avremo. Le astronavi Orione e Dedalo potrebbero

viaggiare al 10 per cento della velocità della luce. Quindi, un viaggio fino ad

Alpha Centauri, distante 4 anni luce, durerebbe 45 anni, meno della vita

umana. Queste astronavi non viaggerebbero abbastanza vicino alla velocità

della luce, per dar importanza al fenomeno della dilatazione del tempo

previsto dalla Teoria della Relatività Speciale. È improbabile che astronavi

del genere possano essere costruite per la metà del prossimo secolo, tuttavia

potremmo costruire delle astronavi del tipo Orione anche ora. Per i viaggi

oltre le stelle più vicine, dovremmo potenziarle e forse potrebbero diventare

le astronavi di molte generazioni, considerato che quelli che arriverebbero

alle stelle più lontane sarebbero i pronipoti di quelli partiti dalla Terra alcuni

secoli prima. Oppure bisognerebbe scoprire un sistema di ibernazione

umana assolutamente sicuro, in modo da ibernare i viaggiatori spaziali per

poi chiamarli alla vita una volta che fossero arrivati a destinazione secoli

dopo. Ma i viaggi interstellari ad alta velocità, prossimi alla velocità della

luce, sono molto più difficili. Non è un obiettivo raggiungibile in un

centinaio di anni, ma forse in un migliaio, magari 10.000. Tuttavia anch'essi

sono possibili. È stato progettato una specie di stato-reattore interstellare che

raccoglie gli atomi di idrogeno diffusi nello spazio interstellare. Li

convoglia accelerandoli e li espelle dal retro. Ma nello spazio profondo c'è

un solo atomo per ogni 10 centimetri cubici di spazio e lo stato-reattore per

poter funzionare deve avere un imbuto frontale largo centinaia di chilometri.

Quando l'astronave raggiunge velocità relativistiche, gli atomi di idrogeno si

mettono in movimento a una velocità vicino a quella della luce rispetto

all'astronave stessa. E se non sono state prese le opportune precauzioni, i

viaggiatori verranno arrostiti da questi raggi cosmici prodotti. È stata

proposta una soluzione, l'impiego di un laser per strappare gli elettroni dagli

atomi e caricarli elettricamente, quando sono ancora a una certa distanza e

poi, servendosi di un campo magnetico di grandissima potenza, deviare

questi atomi carichi nell'imbuto frontale allontanandoli dal corpo

dell'astronave. Si tratta di un'ingegneria di dimensioni che non hanno

precedenti sulla Terra. Stiamo parlando di motori grandi come tutto il

mondo.

Supponiamo che l'astronave sia progettata per accelerazioni di 1g, quindi

non subiremo alcun disturbo. Ci avviciniamo sempre di più alla velocità

della luce fino a metà del nostro percorso. Arrivata qui, l'astronave fa un

dietro front e continua accelerando di 1g fino a destinazione. Per la maggior

parte del percorso, viaggeremo molto vicino alla velocità della luce e il

tempo rallenterebbe enormemente. Ma di quanto? La stella di Barnard, per

esempio, potrebbe essere raggiunta in 8 anni tempo di bordo. Il centro della

Galassia della Via Lattea può essere raggiunto in 21 anni, la galassia di

Andromeda in 28 anni circa. È ovvio che le persone rimaste sulla Terra

vedrebbero le cose ben diverse. Dopo i 21 anni per arrivare al centro della

Galassia, sulla Terra ci sarebbero solo i discendenti delle persone che

abbiamo lasciato alla partenza. In linea di principio, un tale viaggio

aumentando la velocità verso quella della luce, potrebbe consentirci di

circumnavigare l'universo in soli 56 anni, tempo di bordo. Ci inoltreremo

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per decine di miliardi di anni nel futuro più remoto, mentre la Terra sarebbe

già cenere e il Sole spento. I voli spaziali relativistici rendono l'universo

accessibile alle civiltà avanzate e progredite, ma soltanto per coloro che

viaggeranno non per quelli che restano a casa. Questi progetti sono, molto

probabilmente, più lontani delle vere astronavi interstellari del futuro di

quanto i grandi modelli di Leonardo lo fossero dagli aerei supersonici del

presente. Ma se noi riusciremo a non distruggerci, io sono convinto che un

giorno potremo arrivare alle stelle. I viaggi nello spazio e quelli nel tempo

sono collegati tra loro, viaggiare velocemente nello spazio equivale a

viaggiare nel futuro. Noi viaggiamo nel futuro continuamente, anche se

lentamente. E che dire del passato? Potremo viaggiare nel nostro ieri? Molti

fisici sostengono che è fondamentalmente impossibile, che non esiste alcun

modo di costruire un congegno capace di trasportarci all'indietro nel tempo.

Qualcuno dice che se anche inventassimo un congegno del genere, non

trarremmo comunque dei vantaggi perché non potremo modificare il

passato. Per esempio, supponiamo che voi viaggiate nel passato e che in

qualche modo riuscite ad impedire che i vostri genitori si conoscano. In

questo caso, voi, probabilmente, non sareste potuti nascere, il che è in

evidente contraddizione visto che ora siete lì. Altri ancora pensano che le

due vicende di vita alternativa possano coesistere, che siano due trame

parallele che si intrecciano nel tempo, che possono cioè esistere fianco a

fianco, sia la storia nella quale voi non siete mai nati sia la storia di cui siete

protagonisti. Forse il tempo stesso ammette dimensioni potenziali,

nonostante il fatto che noi siamo condannati a sperimentare solo una di

queste dimensioni. Ora supponiamo di poter tornare indietro nel passato e

cambiamo veramente con un intervento, per esempio, di convincere la

regina Isabella a non finanziare l'impresa di Cristoforo Colombo. Quindi

mettereste in moto una sequenza di avvenimenti storici differenti, che tutte

le persone che avete lasciato nella nostra epoca non avrebbero mai modo di

conoscerci. Se fosse davvero possibile viaggiare indietro nel tempo, ogni

sequenza immaginabile di avvenimenti o di storia alternativa potrebbe

esistere nella realtà. Se disponessimo della macchina del tempo di

H.G.Wells, forse, potremmo capire il vero meccanismo della storia. Se un

personaggio della storia come Paolo l'apostolo o Pietro il Grande o Pitagora

non fosse mai esistito, quanto sarebbe diverso in realtà l'uomo? Cosa

sarebbe accaduto se il metodo scientifico e sperimentale avesse avuto una

spinta rigorosa nei primi anni della rivoluzione industriale o se l'importanza

di questo nuovo indirizzo di pensiero, il metodo scientifico, fosse stato

universalmente accettato? Io credo che avremmo guadagnato 10 o 20 secoli.

Forse, le invenzioni di Leonardo da Vinci sarebbero state fatte con un

migliaio di anni in anticipo e le scoperte di Albert Einstein 500 anni fa.

Forse. Non sarebbero state, certo, le stesse persone a portare questo

contributo alla scienza, perché esse sono vissute nella nostra fetta di tempo.

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Le catastrofi cosmiche

La Terra è un luogo piacevole e relativamente tranquillo. Le cose cambiano,

ma lentamente. Può capitare di condurre un'intera esistenza a dir poco

catastrofica, ma alla fine, in alcuni casi, ci sentiamo ugualmente soddisfatti e

tranquilli. Ma nella storia del Sistema Solare e anche nella storia dell'uomo,

ci sono tracce inequivocabili di catastrofi e disastri di portata spaventosa.

Infatti sulla Terra ci sono state diverse catastrofi naturali nel passato, alcune

delle quali ricoperte da un alone di leggenda. Infatti molti anni fa, in Siberia

centrale, nacque la leggenda di un immenso globo di fuoco che aveva

solcato il cielo e aveva fatto tremare la terra. La gente raccontava di una

tempesta di vento infuocato che aveva ucciso molte persone. Il fatto si era

verificato un mattino d'estate del 1908. Verso la fine degli anni venti, uno

scienziato sovietico di nome Kulic organizzò una spedizione per tentare di

risolvere il mistero. Egli costruì una barca adatta per entrare in quel

territorio inesplorato, coperto di neve d'inverno e trasformato in palude

d'estate. Testimoni oculari confermarono il racconto del globo di fuoco più

grande del Sole che aveva solcato tutto il cielo. Kulic arrivò alla conclusione

che un meteorite gigantesco doveva essere caduto sulla Terra e si aspettava,

quindi, di trovare un enorme cratere e frammenti di meteorite sparsi,

provenienti da qualche asteroide lontano. Kulic non trovò nessuna traccia né

di meteorite e né di un cratere dovuto all'impatto sulla Terra. Era un fatto

inspiegabile. A Tunguska si è verificata questa grande esplosione, la grande

onda d'urto spazzò via gli alberi e si incendiò l'intera foresta e tuttavia non

c'è nessun cratere nel luogo. Ci voleva una spiegazione che conciliava tutti i

fatti. Nel 1908 un frammento di una cometa è caduto a Tunguska. Nessuno

vide avvicinarsi quel puntino luminoso (il frammento di cometa) confuso

nella luce solare del mattino. Erano secoli che andava e veniva all'interno

del nostro Sistema Solare, vagante nello spazio interplanetario. Ma quel

giorno, per un caso, trovò il nostro pianeta sul suo percorso. In base

all'epoca e alla traiettoria di provenienza il corpo che cadde sulla Terra fu

probabilmente il frammento di una cometa chiamata Encke, che viaggiava

oltre i centomila chilometri all'ora. Una montagna di ghiaccio grande come

un campo di football e per peso milioni di tonnellate. Un'esplosione simile

era paragonabile all'esplosione di un ordigno nucleare. Gli effetti della

caduta sulla Terra di un meteorite del genere sono paragonabili

all'esplosione di una bomba nucleare da 15 megatoni (15.000.000 di

tonnellate di tritolo). C'è una sola differenza, il metorite non produce

radiazioni; quindi, c'è anche da chiedersi come un fenomeno, sia pure raro e

naturale come la caduta di una cometa sulla Terra, potrebbe dare il via ad

una guerra atomica. Sarebbe una vicenda ben strana; una piccola cometa

cade sulla Terra, come altre milioni di volte nella storia del nostro pianeta e

la risposta della nostra civiltà è una pronta e immediata autodistruzione.

Sarà un ipotesi poco probabile, ma, forse, una migliore conoscenza delle

comete, delle collisioni fra pianeti e delle catastrofi planetarie potrebbe

ridurre i rischi. Ora, una cometa, almeno a quanto ne sappiamo finora, è

fatta soprattutto di ghiaccio, di ammoniaca, ecc. Quindi, entrando

nell'atmosfera terrestre, un modesto frammento di cometa può trasformarsi

in un grande globo di fuoco, che genera una potente onda d'urto e che

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incendia intere foreste e provoca un boato enorme. Non è affatto detto che

formi un cratere; come mai? Perché i ghiacci che formano la cometa si

scioglieranno all'impatto e sul terreno resteranno solo minuscoli frammenti

della cometa, difficilmente riconoscibili. Noi uomini quando pensiamo al

cielo, amiamo pensarlo sereno e immutabile. Ma improvvisamente appaiono

delle comete che restano, minacciosamente, sospese nello spazio per notti e

notti. Quindi nacque nell'uomo l'idea che le comete apparissero per qualche

ragione; e la ragione stessa fu che esse dovevano annunciare delle catastrofi,

che dovevano preannunciare la morte di principi e la caduta di regni, ecc.

Nel 1073 per esempio, i Normanni assistettero all'apparizione della cometa

di Halley. E siccome una cometa doveva predire, per forza, la caduta di

qualche regno, pensarono bene di invadere l'Inghilterra. L'invasione venne

raffigurata su un giornale del tempo; poi, all'inizio del XIII secolo Johnson,

uno dei precursori della pittura realistica moderna, assistette ad un'altra

apparizione della cometa di Halley e la raffigurò in un'attività che stava

dipingendo. Nell'anno 1577 apparve un'altra grande cometa e questa volta

avvistata anche in Messico. L'imperatore azteco Montezuma licenziò

immediatamente i suoi astrologi perché non avevano previsto la cometa.

Montezuma era convinto che la cometa annunciasse un'orribile catastrofe. In

tutti i casi, i pregiudizi superstiziosi sulle comete ci portano a cogliere una

profezia favorevole. Nel 1705 Edmund Halley stabilì che la grande cometa,

che appariva in modo così spettacolare nei nostri cieli ogni 76 anni, era già

apparsa in precedenza e cominciò a studiarla in modo scientifico. Questa

cometa fu chiamata "cometa di Halley". A questo punto le comete

cominciarono a perdere qualcosa del loro fardello di superstizione, ma la

paura della gente continuò a sussistere. Nel 1910 la cometa di Halley

riapparve nei nostri cieli, ma questa volta gli astronomi usando un nuovo

strumento, lo spettroscopio, scoprirono del gas cianogeno nella coda della

cometa. Il gas cianogeno è tossico e la Terra sarebbe passata in mezzo a

questa scia contaminata. Il fatto che la scia fosse molto sottile non servì a

tranquillizzare nessuno. Per esempio, diamo un'occhiata ai titoli del "Los

Angeles Examiner" del giorno 9 maggio 1910: "... tutta l'umanità farà un

ballo gratis nel gas tossico. Sono previste grandi baldorie."

Ecco dei titoli del "San Francisco Chronical" del 16 maggio: "Arriva la

cometa e i mariti si ravvedono." "...New York in cometa-party".

Immaginate che cosa incredibile, nel 1910 c'erano i "cometa-party", non

tanto per celebrare la fine del mondo quanto per godersi la vita prima che

arrivasse. I commercianti inventarono delle pillole anti-cometa. C'era anche,

chi vendeva delle maschere speciali per proteggersi dal gas cianogeno. La

paura collettiva della cometa non finì nel 1910.

Lo stupore dell'uomo per le comete risale a molto prima del 1076, ma la

nostra generazione ha cominciato ora a capire di che si tratta. Le comete

nascono da un luogo oltre i pianeti, a metà strada dalla stella più vicina. Di

tanto in tanto, una cometa entra nel nostro Sistema Solare attirata dalla

gravità del Sole e siccome è fatta. principalmente di gas comincia ad

evaporare man mano che si avvicina al Sole. Il vapore spinto all'indietro dal

vento solare forma la coda della cometa. Poi, la cometa torna nello spazio

esterno. La sua orbita è talmente vasta che per milioni di anni non tornerà.

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Queste sono le comete a lungo periodo. Ogni tanto una cometa a lungo

periodo viene catturata all'interno del nostro Sistema Solare e diventa una

cometa a corto periodo. Accade che questa passi vicino a un pianeta gigante,

per esempio Saturno. Il pianeta esercita sulla cometa una forza

gravitazionale che riduce la sua orbita. Le comete che subiscono questa

sorte diventano famose, perché sono destinate a riapparire ad intervalli

diversi. Un secondo incontro con Saturno riduce ulteriormente il periodo

orbitale della cometa da secoli a decenni. Supponiamo ancora che la cometa

abbia un terzo incontro, questa volta con Giove e riduce ancora il periodo

orbitale della cometa. Da questo momento la cometa si avvicinerà al Sole

con intervalli di pochi anni e ne spunterà la coda. Dato che il pulviscolo e i

gas della coda si perdono per sempre nello spazio, la cometa subirà una

lenta erosione. Cominciano a staccarsi dei frammenti, che talvolta cadono

sulla Terra. In qualche migliaio di anni, tutta la cometa a corto periodo che

non cadrà su qualche pianeta, si estinguerà quasi del tutto per evaporazione.

Perderà frammenti che diventeranno meteoriti e infine, il nucleo che,

probabilmente si trasformerà in un asteroide. Ora, prima o poi, le comete

con queste traiettorie lunghe ed ellittiche intorno al Sole devono scontrarsi

coi pianeti. La Terra e la Luna devono essere state bombardate da comete ed

asteroidi. Nello spazio interplanetario ci sono molti più corpi piccoli che

grandi, al che si verificano sulla superficie di un dato pianeta molte più

cadute di piccoli corpi che di grandi corpi. Quindi un caso come quello di

Tunguska avviene sulla Terra diciamo ogni 1000 anni, mentre lo scontro

con una cometa di diametro come quello della Halley, per fare un esempio,

può avvenire ogni miliardo di anni.

C'è la prova che in passato dei corpi siano caduti sulla Terra? Quando una

cometa o un grande asteroide di roccia colpiscono un pianeta formano un

cratere. Ma, dove l'atmosfera è rarefatta e dove c'è l'assenza, quasi, di acqua

gli antichi crateri si conservano; è il caso della Luna, di Mercurio e di Marte.

Tutti si radunano attorno al Sole, loro fonte di calore e luce. Hanno tutti

un'età di circa quattro miliardi e mezzo di anni e tutti recano le tracce di

antichissime cadute di corpi, di collisioni spaventose. Se noi ci spostiamo

oltre i pianeti del sistema al di là di Marte, ci accorgiamo di entrare in

un'altra dimensione del Sistema Solare; siamo nel regno di Giove e degli

altri pianeti giganti. Questi immensi mondi sono composti di gas di

idrogeno ed elio ed altre sostanze. Se osserviamo la superficie di Giove, noi

non vediamo una superficie solida ma solo occasionali masse di atmosfera.

Sono pianeti giganti, infatti nell'enorme volume di Giove la Terra entrerebbe

almeno un migliaio di volte. Se una cometa o un asteroide cadessero

accidentalmente sulla superficie di Giove, è molto improbabile che

formerebbero un cratere, ma solo un buco momentaneo nelle nubi; ma tutto

qui. Ciò nonostante, noi sappiamo che il Sistema Solare esterno è stato

soggetto per molti miliardi di anni della sua storia a collisioni. Callisto ad

esempio, uno dei satelliti di Giove, è tappezzato di crateri. Sulla nostra

Luna, la maggior parte di crateri furono provocati miliardi di anni fa. La

storia conosciuta ce ne dà qualche testimonianza? C'è una probabilità

positiva contro mille negative. Eppure, una possibile testimonianza oculare

di un avvenimento del genere c'è. Era la domenica che precede la festa di

S.Giovanni Battista nell'estate del 1178. I monaci della cattedrale di

Canterbury a Londra avevano terminato da poco le preghiere serali e

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proseguivano a ritirarsi per la notte. Fratello Gervaso si avviava leggendo

verso la sua cella, mentre altri monaci si godevano la dolce festa serale di

giugno. Nel mezzo di questa loro ricreazione, il fato volle renderli testimoni

di un fenomeno sorprendente, una violenta esplosione sulla Luna. C'era il

tempo in cui il cielo veniva considerato immutabile e la Luna, le stelle e i

pianeti erano ritenuti puri. Da essi ci si aspettava un comportamento privo di

contraddizioni, proprio come quello dei monaci in un monastero. Era lecito

discutere sul fenomeno appena visto? Né il tempo e né la cultura sono forze

che piegano gli uomini ad un dato conformismo, ma in ogni luogo ed epoca

ci sono anche coloro che privilegiano la verità e che registrano fedelmente i

fatti. Si tratterà di un prodigio portatore di disgrazie? Sarà il caso di

informare lo storico del monastero? Sarà stata un apparizione del maligno?

Lo storico di Canterbury, fratello Gervaso, considerato oggi un cronista

molto attendibile negli avvenimenti politico e culturali del suo tempo. Ecco

il suo resoconto della testimonianza oculare:

"La Luna crescente splendeva e, come è normale in questa fase, aveva la

gobba a ponente. Improvvisamente, la parte superiore si staccò in due e dal

centro della frattura scaturì una fiammata immensa, lanciando tutt'intorno

a notevole distanza vampate di materia infuocata. Dopo questo fenomeno,

lo spicchio assunse un colore nerastro da un capo all'altro per tutta la sua

lunghezza."

Gervaso raccolse i racconti di tutti i testimoni oculari, nessuno escluso, e se

li annotò. Questa lettera di Gervaso consentì agli astronomi, otto secoli

dopo, di tentare una ricostruzione del fenomeno. Può darsi che duecento

anni prima che ciò descrivesse i racconti di Canterbury, cinque monaci

abbiano assistito ad un avvenimento ancora più straordinario di quello

descritto nei racconti. Se un corpo oscuro vagante nello spazio colpisse la

Luna, questa subirebbe un forte sussulto con conseguenti vibrazioni,

lentamente le vibrazioni cesserebbero, ma ottocento anni non sarebbero

certo sufficienti. Per esempio, sta tremando ancora oggi per la collisione di

allora? Gli astronauti delle missioni Apollo hanno piazzato sulla Luna

alcune serie di specchi focali. Specchi di altro tipo, ideati da scienziati

francesi, sono stati messi in opera dalle sonde sovietiche Lunakhod. Con

questo sistema si può misurare il tempo che impiega un raggio laser,

proiettato dalla Terra, a raggiungere la Luna e tornare indietro.

All'Osservatorio Mc Donald, dell'Università del Texas, stanno approntando

un raggio laser che verrà diretto sugli specchi che sono sulla Luna a una

distanza di 380.000 chilometri. Moltiplicando il tempo impiegato a

compiere il percorso per la velocità della luce si ottiene la distanza dalla

Terra del punto colpito sulla Luna con una approssimazione che va dai 7 ai

10 centimetri. Eseguendo queste misurazioni per alcuni anni, si può stabilire

anche la minima oscillazione nel moto lunare. Le possibilità di errore sono

una su un milione. Il risultato è che, effettivamente, la Luna ha una leggera

oscillazione, come se fosse stata colpita meno di mille anni fa da un

asteroide. Quindi, nell'era dei voli spaziali, la tecnica potrebbe avere

confermato fisicamente il resoconto lasciato nel XII secolo da un monaco di

Canterbury. Se ottocento anni fa, un grande asteroide colpì la Luna, oggi il

cratere dovrebbe essere ancora evidente, circondato da formazioni radiali

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luminose e dovrebbe, tuttora, sollevare polvere a causa della collisione.

Sulla Luna le formazioni radiali vengono erose in miliardi di anni non in

centinaia e un cratere a raggera luminosa, relativamente recente c'è

veramente e si chiama Giordano Bruno. Si trova esattamente nella regione

lunare dove, nel 1178 fu registrata l'esplosione di cui si è detto.

Tutta l'evoluzione della Luna è una storia di catastrofi. Quattro miliardi e

mezzo di anni fa, essa iniziò a formarsi dall'aggregazione di corpi

interplanetari e su tutta la sua superficie si andavano creando dei crateri.

L'energia che si liberava favorì la fusione della crosta. Quando la maggior

parte dei detriti interplanetari ebbe finito di agglomerarsi, la superficie della

Luna si raffreddò. Ma circa tre miliardi e novecento milioni di anni fa, la

Luna fu colpita da un grande asteroide. L'impatto provocò un'onda d'urto

che tolse nuovamente una parte della superficie, il terreno che ne risultò

diede origine ad uno dei mari asciutti della Luna. Collisioni più recenti

hanno provocato crateri a formazione radiale minore, che sono stati chiamati

Eratostene e Copernico. I lineamenti della Luna così familiari sono la

testimonianza di antiche collisioni.

La maggior parte degli asteroidi originari sparirono nell'accorparsi per

formare la Luna e i pianeti, molti orbitano ancora attorno al Sole nella

cosiddetta fascia degli asteroidi. Altri, quasi frantumati dalle correnti

gravitazionali e da collisioni con altri asteroidi, sono stati catturati da

pianeti, come nel caso di Phobos, uno dei satelliti di Marte, o di Amaltea,

satellite di Giove. Subito dopo la fascia degli asteroidi ci sono gli anelli di

Saturno, formati da milioni di piccole lune orbitanti. Può anche darsi che gli

anelli di Saturno siano una luna, la cui formazione fu impedita

dall'attrazione del pianeta stessa, potrebbero anche essere i resti di una luna

che vagava troppo vicina a Saturno e fu frantumata dalla sua forza di

attrazione. In ogni caso è un fenomeno affascinante. Anche Giove ha un

sistema di anelli scoperto da poco e che dalla Terra non si vede. Esiste una

teoria secondo la quale, recentemente, ci sarebbero state delle grandi

collisioni nel Sistema Solare. La teoria fu avanzata da uno psichiatra di

nome Manuel Valikoski nel 1950. Egli sostiene che un corpo, una massa

planetaria, da lui chiamata cometa, si sarebbe, in qualche modo, creata nel

sistema di Giove; ma non ci dice esattamente come si sia creata. In ogni

caso, comunque sia nata, egli ipotizza che 3500 anni fa si siano registrati,

ripetutamente, incontri ravvicinati con Marte e col sistema Terra-Luna. Il

tutto concilierebbe con spettacolari conseguenze bibliche, come l'apertura

del Mar Rosso, che permise a Mosè e agli ebrei di fuggire all'esercito del

faraone che li inseguiva, o come l'arresto della rotazione della Terra, quando

Giosuè ordinò al Sole di fermarsi durante la battaglia di Sabalom. Nello

stesso periodo Valikoski immaginò vaste eruzioni e inondazioni vulcaniche

su tutta la Terra. Dopo ha ipotizzato che questa cometa sia entrata in

un'orbita stabile e quasi perfettamente circolare, interessando il pianeta

Venere. Ebbene, queste idee sono, quasi sicuramente, sbagliate. Nessuno

contesta che nel sistema planetario esistano delle collisioni, abbiamo visto

delle prove, dei frammenti causati da collisioni attraverso tutto il Sistema

Solare, il problema è un altro. Se riproduciamo in scala ridotta il Sistema

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Solare, è impossibile avere allo stesso tempo la grandezza dei pianeti e la

grandezza delle loro orbite sulla stessa scala, i pianeti sarebbero troppo

piccoli e non si vedrebbero. Se i pianeti fossero in scala con le orbite

sarebbero come granelli di polvere e allora sarebbe più facile capire che una

cometa che entrasse nel Sistema Solare interno, avrebbe ben poche

probabilità di collisione con un pianeta durante poche migliaia di anni.

Anche se la cometa entrasse nel Sistema Solare non potrebbe in alcun modo

fermare la rotazione della Terra. Inoltre non ci sono tracce geologiche di

eruzione vulcanica avvenuta 3500 anni fa e oltretutto gli astronomi

babilonesi osservarono Venere nella sua attuale orbita stabile, molto prima

che Valikoski avanzasse la sua teoria. Ci sono molte ipotesi nella scienza

che si svelano sbagliate, il che è perfettamente normale perché è la strada

per arrivare a quelle giuste.

A lunga distanza, Venere ha un aspetto tranquillo. Le sue nubi sono la sede

di un grande oceano di aria dello spessore di circa 100 chilometri e

composto prevalentemente di anidride carbonica. Si è scoperto che le nubi

non sono formate di acqua, ma da una soluzione concentrata di acido

solforico. Le nubi hanno un colore giallastro per via dello zolfo. Man mano

che si scende nelle nubi, aumenta la quantità di solfuro di zolfo, un gas

molto tossico. La pressione è così forte che le prime sonde Venera sono

state schiacciate come barattoli dal peso dell'atmosfera. Al di sotto delle

nubi, in un'aria densa e chiara, c'è una luce come sulla Terra in un giorno di

cielo coperto, ma l'atmosfera è così spessa che il terreno sottostante appare

tremante come se fosse visto attraverso l'acqua. Qui sotto la pressione

atmosferica è 90 volte superiore a quella sulla Terra. La temperatura è di

300 gradi centigradi. È un mondo caratterizzato da un calore terribile, da

una pressione che schiaccia, da gas sulfurei e da un desolato paesaggio

rossastro. Lungi dall'essere quel paradiso che in passato si pensava, Venere

è il pianeta del nostro Sistema Solare che più somiglia all'inferno. Venera 9

è stato il primo veicolo spaziale nella storia dell'umanità a inviarci delle

fotografie di Venere. Ha scoperto delle rocce erose in modo strano,

probabilmente dai gas corrosivi o forse perché la temperatura è talmente alta

che le ha parzialmente fuse facendole fluire liberamente. Le sonde spaziali

della serie Venera, con i loro circuiti elettronici bruciati da tempo, si stanno

lentamente corrodendo sulla superficie del pianeta. Sono i primi veicoli

spaziali che, inviati dalla Terra, sono rimasti su un altro pianeta. È soggetto

all'effetto serra. La sua spessa atmosfera lascia passare i raggi visibili del

Sole, ma non lascia uscire i raggi infrarossi irradiati dalla superficie del

pianeta, cosicché la temperatura del pianeta aumenta finché la luce

infrarossa riesce a farsi strada verso lo spazio. In una fornace del genere è

molto improbabile che esistano forme di vita, sia pure di creature

diversissime da noi. L'inferno di Venere è in molto contrasto con l'ambiente

relativamente paradisiaco del suo vicino, il nostro piccolo pianeta Terra. Qui

l'atmosfera è 90 volte più rarefatta, l'anidride carbonica e il vapor acqueo

creano un effetto serra molto modesto che riscalda il suolo al di sopra del

punto di congelamento dell'acqua. La Terra ai nostri occhi è il posto più

bello che conosciamo, ma questa bellezza è soggetta a cambiamenti, a volte

cambiamenti lenti e quasi impercettibili, a volte cambiamenti improvvisi e

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violenti. Nel cosmo non si può sfuggire ai cambiamenti. La sfinge, dalla

testa umana e dal corpo di leone, si è costruita più di 4.500 anni fa. La sua

faccia, un tempo, era espressiva, vispa e perfetta; ma ora la faccia è rovinata,

deturpata dalle tempeste di sabbia di millenni, dalle piogge. A New York

city c'è un obelisco chiamato l'ago di Cleopatra, venuto dall'Egitto. In poco

più di un secolo di permanenza nel Central Park di New York le scritte

scolpite sull'obelisco sono state cancellate quasi completamente e non dalla

sabbia o dall'acqua, bensì dallo smog e dall'inquinamento industriale. Sulla

Terra l'erosione può distruggere catene di montagne nel giro di milioni di

anni, i piccoli crateri provocati dai meteoriti nel giro di un centinaio di

migliaia di anni, le opere costruite dall'uomo nel giro di migliaia o decine di

migliaia di anni. A questi processi lenti si aggiungono le catastrofi, rare.

Tutti questi processi lenti possono, con il passare del tempo, rimodellare

completamente il paesaggio. Ma, anche le catastrofi possono essere causate

dall'uomo. L'indiscriminata distruzione della vegetazione può alterare le

caratteristiche climatiche di un'intera regione. La Terra ha bisogno di

meccanismi per neutralizzare le sostanze tossiche nel suo sistema, ma questi

meccanismi possono funzionare fino a un certo tempo, oltre il quale essi si

arrestano. E allora il disastro diventa irreversibile. La nostra generazione

deve scegliere a cosa mirare veramente, o ai profitti immediati o alla

possibilità futura di continuare a vivere su questa nostra casa planetaria. Il

nostro non è un mondo che possiamo perdere, non siamo ancora abbastanza

bravi da progettarci un altro pianeta. Se da un altro mondo arrivasse un

visitatore cosa ne penserebbe del nostro modo di gestire il nostro pianeta

Terra?

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Marte, il pianeta rosso

Un marziano. Perché si fanno tante ipotesi e ci si arrovella la fantasia

proprio su un marziano? Il fatto è che Marte, a prima vista, è molto simile

alla Terra ed essendo il pianeta più vicino a noi possiamo vederne la

superficie. Marte ha le calotte polari ghiacciate, nubi in movimento,

mutamenti di stagione e perfino il giorno di 24 ore, è facile la tentazione di

pensare che sia abitato. Ma i nostri pensieri più illusori su Marte si sono

dimostrati errati e così alcuni sono passati all'estremo opposto concludendo

che Marte sia privo del tutto di interesse. Ma la realtà è che Marte è un

pianeta stupefacente e le prospettive che ci fa intravedere sono più

avvincenti dell'apprensione che ha provocato in noi nel passato. La visione più impressionante di Marte l'ha data H.G. Wells nel 1897 nel

suo libro "La guerra dei mondi".

Descrisse:

"Nessuno, alla fine del XIX secolo, avrebbe creduto che il nostro mondo

fosse osservato con attenzione e da vicino da intelligenze superiore a quella

dell'uomo e, tuttavia, altrettanto mortali. Mentre l'umanità era impegnata

nelle sue svariate occupazioni, c'era chi la osservava e la studiava con la

stessa attenzione con cui un nostro scienziato al microscopio studia le

creature che brulicano e si moltiplicano in una goccia d'acqua. Con fede e

compiacimento gli uomini andavano e venivano per tutto il globo immersi

nei loro piccoli problemi e veramente certi del loro dominio sulla materia.

Nessuno pensava agli altri mondi nello spazio, più antichi del nostro, come

fonte di pericolo per l'umanità, alcuni prendevano in considerazione solo

per rifiutare l'idea che la vita su di essi fosse impossibile o improbabile."

È curioso ripensare a certi modi di pensare di quei tempi ormai finiti, al

massimo i terrestri vi riuscivano a immaginare che su Marte ci fossero altri

uomini non inferiori a loro e pronti a dare il benvenuto a qualunque

spedizione arrivata lì. Il romanzo di Wells fece presa con la fantasia

popolare, in quella tarda epoca vittoriana. Era il tempo in cui l'automobile

era una novità e il ritmo della vita veniva stabilito, in larga parte, dalla

velocità del cavallo. E Wells diede sfogo alla sua fantasia interplanetaria con

navi spaziali, pistole a raggi mortali, ecc. Era una visione originale e

certamente inquietante. I marziani di Wells non erano solo variazioni in tono

minore del tema umano, ma piuttosto il prodotto evolutivo di un ambiente

completamente estraneo al nostro. Quarant'anni dopo questo racconto

fantastico riuscì ancora a terrorizzare milioni di persone in un'America che

temeva l'imminente seconda guerra mondiale, quando fu trasmesso in una

edizione radiofonica da Orson Wells.

Qualche anno prima della pubblicazione della "Guerra dei Mondi" un ricco

signore di Boston di nome Percival Lowell aveva costruito una visione

totalmente diversa dei marziani. I marziani di Wells erano stati, per l'autore,

un mezzo per analizzare la società a lui contemporanea attraverso occhi

extraterrestri. Ma i marziani di Percival Lowell erano, secondo lui,

assolutamente realistici. Lowell si era occupato di astronomia quando era

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giovane, poi frequentò l'Università di Harvard, ebbe un incarico

semiufficiale di carattere diplomatico in Corea e, per il resto, si impegnò nei

soliti compiti comuni ai benestanti del suo tempo. Ma la grande passione

della sua vita era il pianeta Marte. Lowell fu letteralmente entusiasmato

dall'annuncio dato nel 1877 dall'astronomo italiano Giovanni Schiapparelli

sull'esistenza di canali sulla superficie di Marte. Durante un passaggio

ravvicinato di Marte alla Terra, Schiapparelli aveva osservato una rete assai

intricata di linee singole e doppie che si intrecciavano sulle zone brillanti del

pianeta. Ora, i canali possono essere sia artificiali (canal) che naturali

(channel), ma poiché questa parola fu tradotta in inglese con il termine

"canal", diede alla parola stessa un significato diverso, implicante

l'intervento di un'intelligenza. Nel 1892, poiché la vista gli andava calando,

Schiapparelli annotò che doveva abbandonare le osservazioni di Marte.

Allora Lowell decise di continuare lui il lavoro. Cercò un punto di

osservazione ottimale, non disturbato dalle nuvole o dalle luci di una città e

caratterizzato da un buon seeing. "Seeing" è il termine che usano gli

astronomi per indicare un'atmosfera stabile, attraverso la quale il tremolio di

un'immagine vista al telescopio è ridotta a poco. Lowell costruì il suo

Osservatorio molto lontano da casa sua, sulla Mars Hill, Collina di Marte, a

Flagstaff, nell'Arizona. Lowell disegnò alcuni schizzi dei tratti superficiali

di Marte e, in particolare, dei canali che lo appassionavano moltissimo. Le

osservazioni di questo genere non sono facili, comportano lunghe ore al

telescopio nel freddo pungente del primo mattino. Il più delle volte il seeing

è pessimo e quando è così, l'immagine di Marte appare confusa, distorta. Ma

ogni tanto l'immagine è netta, è allora che bisogna guardare con attenzione e

schizzare sulla carta. Lowell era convinto che quella che vedeva era un

enorme rete a forma di globo formata da grandi canali di irrigazione che

portavano le acque prodotte dallo scioglimento delle calotte polari agli

assetati abitanti delle città equatoriali. Quindi pensava che il pianeta fosse

abitato da una razza più antica e più saggia della nostra e, forse, anche molto

diversa. Era convinto che il mutare delle stagioni nelle zone scure fosse

dovuto alla crescita e all'appassire della vegetazione; insomma, era convinto

che Marte fosse uguale alla Terra. I marziani di Lowell erano una razza in

estinzione, le loro città, un tempo grandiose, erano ridotte a rovine. Lowell

pensava che il clima di Marte stesse cambiando e la sua acqua, così

preziosa, si stesse dispargendo nello spazio e il pianeta si stesse

trasformando in un deserto. Egli quindi pensò che i canali erano l'ultimo

disperato espediente per conservare le poche acque rimaste. Ma le loro

tecniche, anche se molto più avanzate delle nostre, erano inadeguate ad

arrestare la catastrofe planetaria. La più seria confutazione contemporanea

alle teorie di Lowell giunse da una fonte inaspettata, il biologo Alfred

Russell Wallace, scopritore insieme a Darwin dell'evoluzione per selezione

naturale. Wallace invocò con ragione che su Marte l'aria era troppo fredda e

rarefatta per consentire la presenza di acqua.

Scrisse: "E solo una razza di esseri folli avrebbe costruito dei canali in

condizioni simili."

I marziani di Lowell erano benevoli ed ottimisti, molto diversi da quelli

malvagi e minacciosi descritti da H.G.Wells e da Orson Wells nella "Guerra

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dei Mondi". Se su Marte esistesse veramente una rete di canali indicata da

Lowell, la conclusione che su quel pianeta c'è vita intelligente potrebbe

diventare inconfutabile. Ma su Marte non esiste una rete di canali, le nostre

sonde spaziali automatiche hanno studiato Marte in modo mille volte più

dettagliato delle osservazioni fatte da Lowell col suo telescopio. La

domanda non era se i canali di Marte fossero il prodotto di una intelligenza.

L'unica domanda era: da quale parte del telescopio si trovasse

l'intelligenza.

Di fronte a delle forti emozioni, siamo inclini a ingannare noi stessi.

Eppure, anche senza i canali, l'esplorazione di Marte evoca in noi un grande

interesse. Si vedono sulla sua superficie molti crateri, provocati da

collisioni, valli, vari strati geologici, complessi di nubi, ma niente canali.

Molti ipotizzano la presenza di acqua, valli percorse anticamente da fiumi si

aprono la strada fra i crateri. C'è una valle lunga mille chilometri e un'età di

un miliardo di anni. C'è da chiedersi se la vita sia mai potuta nascere nelle

acque di questi grandi fiumi. Su Marte ci deve essere stata un'epoca in cui la

vita sia esistita. Altrettanto antica è la Valle del Mariner, se si trovasse sulla

Terra andrebbe da New York a Los Angeles. Frane e smottamenti cadono

nel fondo valle, qui i venti sollevano le particelle creando immense nubi di

sabbia, ovunque su Marte ci sono forti venti. Spesso i crateri presentano

lunghe strisce di materiale chiaro o scuro create dai venti. I venti devono

essere molto forti, rasentano talvolta la metà della velocità del suono. Altre

figure curiose sono le piramidi, forse si tratta solo di montagne create dalla

forza dei venti, ma potrebbe anche trattarsi di qualcos'altro. Il vulcano più

grande, finora conosciuto, del Sistema Solare è il monte Olimpo. La

superficie di Marte ha la stessa grandezza di tutta la terraferma del nostro

pianeta, quindi l'esplorazione di questo pianeta richiederà molto tempo.

L'unico canale di Lowell che ha in qualche modo riscontro reale è la Valle

del Mariner, è lunga 5.000 chilometri. Comunque, abbiamo inviato sul

pianeta delle nostre sonde automatiche, Viking I e Viking II. Il problema era

dove farle scendere. Sapevamo che i vulcani della regione di Tarsis erano

troppo alti e che l'atmosfera troppo rarefatta avrebbe reso inutile l'azione dei

paracadute. La grande Valle del Mariner era troppo accidentata, le calotte

polari erano troppo fredde perché l'impianto a energia nucleare si

mantenesse abbastanza caldo. Insomma, i posti più indicati erano o troppo

alti o troppo morbidi o troppo accidentati. La nostra preoccupazione era la

sicurezza del luogo di atterraggio. Alla fine furono scelti due posti, uno

chiamato Utopia per il Viking II, e l'altro, distante dal primo 8.000

chilometri non lontano dalla confluenza di quattro grandi canali per il

Viking I, chiamato Crise. Così, il 20 giugno 1976, Viking I si posò nella

pianura di Crise. Dopo un letargo di un anno, il tempo del suo viaggio

interplanetario, il Viking I si posò su un altro mondo, Marte. La prima cosa

che fece chiamò casa per avvertire che era arrivato bene. Poi cominciò a

darsi da fare. Sondò i venti di Marte, l'aria, il terreno e, infine, diede

un'occhiata all'ambiente nuovo e sconosciuto. Il primo compito fotografico

di Viking I era di riprendere il proprio piede, nel caso che fosse stato

investito dalle sabbie mobili volevamo delle informazioni. Il Viking inviò la

sua fotografia in una successione di linee verticali. Il paesaggio ripreso dalle

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telecamere presenti sul Viking rivelavano un paesaggio non estraneo

desolato di pietre, cose familiari anche qui sulla Terra. Scoprimmo che su

Marte l'aria ha una densità inferiore all'uno per cento rispetto alla nostra ed è

composta, prevalentemente, di anidride carbonica. Ci sono anche piccole

quantità di azoto, argon, acqua e ossigeno, inoltre l'ozono è quasi assente

cosicché la superficie non è protetta dai raggi ultravioletti del Sole, come

sulla Terra. Di notte, la temperatura arriva ai 100 gradi sotto lo zero,

nell'inverno la superficie è ricoperta da un sottile strato di ghiaccio. Le

scoperte del Viking hanno rivoluzionato le nostre nozioni su questo mondo.

Studiavamo con attenzione ogni fotografia che la sonda ci inviava, ma non

c'era nessuna traccia dei canali e nessuna forma di vita. Per la maggior parte

della sua storia, la nostra Terra è stata popolata da microbi e non da esseri

abbastanza grandi da essere visti. È probabile che per Marte accada la stessa

cosa. Le sonde Viking sono delle macchine progettate e attrezzate in modo

superbo. In tutti e due i punti di atterraggio delle sonde, Crise e Utopia,

abbiamo cominciato a scavare le sabbie di Marte. Il braccio automatico delle

sonde preleva del terreno e lo setaccia depositandolo in vari recipienti. Poi, i

campioni vengono sottoposti a cinque analisi, due sulla composizione

chimica del terreno e tre per la ricerca di forme di vita. Gli esperimenti

biologici dei Viking rappresentano il primo tentativo pionieristico alla

ricerca della vita su un altro pianeta. I risultati sono allettanti, inquietanti,

provocatori, stimolanti. Due dei tre esperimenti di microbiologia dei Viking

sembrano avere approdato a risultati positivi. Nel primo accade che

mischiando campioni del terreno di Marte con un miscuglio di rancio

terrestre, qualcosa che è nel terreno scompone le sostanze del miscuglio,

come se nel terreno di Marte ci fossero piccoli microbi, i quali

metabolizzano il miscuglio terrestre. Nel secondo quando alcuni gas terrestri

vengono mescolati con il terreno di Marte, sembra che intervenga un

qualcosa che combina chimicamente il gas con il terreno, come se

esistessero dei microbi marziani capaci di sintetizzare la terra organica dai

gas dell'atmosfera. Ma la situazione è complessa, Marte non è la Terra.

Come l'esperienza di Percival Lowell ci ha insegnato, siamo soggetti a

commettere errori. Può essere che i raggi ultravioletti del Sole colpiscano la

superficie di Marte e provochino una reazione chimica che dissipa i cibi.

Può essere che nel suolo marziano esista qualche catalizzatore che riesce a

combinare i gas atmosferici col suolo stesso trasformandoli in molecole

organiche. Le sabbie rosse di Marte sono state prelevate sette volte nei due

punti di atterraggio, distanti tra di loro come Boston e Baghdad. Questo

faceva pensare che le analisi potevano essere valide per tutto il pianeta. Ma

si tratta di vita o solo di processo chimico del suolo?

Studi recenti hanno fatto pensare che una specie di creta presente su Marte

funzioni da catalizzatore per accelerare, in assenza di vita, delle reazioni

chimiche che sovvengono tra le manifestazioni della vita. Può darsi che

nella storia primordiale della Terra, prima della vita, ci fossero dei piccoli

cicli chimici, che avvengono nel suolo. Qualcosa come la fotosintesi e la

respirazione che si sarebbero poi incorporate nella biologia una volta

comparsa la vita. Su tutta la Terra, la vita è fatta della stessa mescolanza di

atomi, in qualche altro pianeta può darsi che eventuali esseri viventi siano

molto diversi da noi. Ma io penso che le eventuali forme di vita siano

costituite per lo più dagli stessi atomi preponderanti qui da noi e, forse, dalle

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stesse grandi molecole. Talvolta si sente parlare di possibili forme di vita

nelle quali il silicio sostituisce il carbonio o l'ammoniaca liquida sostituisce

l'acqua. Ma con la temperatura che c'è su Marte non appare possibile

l'esistenza di molecole a base di silicio, capaci di portare il codice genetico.

Inoltre l'ammoniaca è allo stato liquido solo sotto forti pressioni e a basse

temperature. Ma c'è un altro modo per ricercare la vita su Marte. Una delle

cose che il Viking non può fare è quella di muoversi. Quello che ci

servirebbe è un veicolo di tipo fuoristrada attrezzato per esperimenti di

biologia e di chimica organica, capace di scegliere un posto sicuro, ma

insignificante e poi raggiungere posti interessanti. Questo veicolo

fuoristrada è stato progettato dall'Istituto Politecnico Lessinger ed ha una

lunga lista di cose stupide che non deve fare. Il fuoristrada marziano non ha

il tempo di chiedere se può affrontare una scarpata troppo ripida, le onde

radio viaggiano alla velocità della luce e impiegano circa 20 minuti per

raggiungere la Terra e tornare, in attesa della risposta il veicolo avrebbe

avuto il tempo di cadere in fondo a un burrone. Insomma, deve essere un

fuoristrada intelligente e attrezzatissimo, che potrebbe fornirci tante scoperte

nuove. Solo 80 anni fa tutto quello che riuscivamo a fare era di vedere la

piccola immagine tremolante di Marte brillare attraverso un telescopio in

Arizona. Ora i nostri strumenti si sono realmente posati sul pianeta. I Viking

sono eredità di H. Durrell, Percival Lowell, Robert Goddard. La scienza è

un'attività basata sulla collaborazione e abbraccia tutte le generazioni.

Quando essa ci consente di intravedere il lontano confine di qualche nuovo

orizzonte, ci ricordiamo di quelli che hanno aperto la strada e lavoriamo

anche in loro nome. Su ogni Viking c'è un puntino microscopico sul quale

sono scritti i nomi di quelle persone, uomini e donne, alle quali va il merito

degli splendidi successi delle sonde. Uno di questi nomi appartiene ad un

amico, un microbiologo che si chiama Walter Fischner, che è stato il primo

ad ideare uno strumento per l'osservazione dei microbi in un altro mondo. I

suoi amici l'hanno chiamata la "trappola di Walter", conteneva un liquido

nutritivo che andava poi mescolato con un po' del terreno di Marte, così se i

microbi avessero gradito il miscuglio si sarebbero sviluppati in quel liquido

intorbidendolo. La trappola di Walter fu scelta per andare su Marte coi

Viking, ma la NASA, a causa di tagli al bilancio, fu costretta a rinunciare

allo strumento per motivi di economicità. Per Fischner fu un colpo terribile,

perché aveva lavorato su quel progetto per 12 anni, altri si sarebbero dimessi

dal progetto, ma Fischner amava il suo lavoro. Decise così, di studiare varie

zone della Terra che hanno caratteristiche più simili a Marte, le aride valli

dell'Antartide, per lungo tempo ritenute prive di forme di vita. Fischner era

convinto che se fosse riuscito a scoprire la presenza di microbi in queste

aride distese polari, l'ipotesi della vita su Marte si sarebbe rafforzata. Alla

fine del novembre del 1973, Fischner andò in una valle remota tra i monti

Artat, nell'Antartico. Preparò una serie di contenitori biologici nella versione

semplificata degli esperimenti microbiologici effettuati dai Viking. Il due di

dicembre partì dal campo base per andare a prendere alcuni contenitori e

non fece più ritorno. Si era inoltrato in una certa zona, probabilmente

scivolò sul ghiaccio precipitando per più di cento metri. Forse, qualcosa

aveva attirato la sua attenzione. L'ultima annotazione del suo quaderno è

stata:

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"Ritirata la stazione n.2.0.2, ore 22.30; temperatura al suolo -10 gradi;

temperatura dell'aria -16 gradi."

In seguito alcuni di quei campioni furono recuperati e due colleghi di

Fischner scoprirono che in quella valle dell'Antartico la vita effettivamente

esiste, una vita molto più tenace di quanto potessimo immaginare. Questo

fatto potrebbe rivelarsi molto importante per la futura esplorazione di Marte.

Arriverà un giorno in cui Marte sarà esplorato completamente. Se c'è

effettivamente vita una cosa non dovremo fare di sicuro: disturbarla, perché

in quel caso Marte apparterrebbe ai marziani anche se fossero solo microbi.

Ma supponiamo invece che vita non ce ne sia. Saremmo in qualche modo

capaci di viverci, di rendere Marte abitabile come la Terra? Ma ci sono dei

problemi non semplici da risolvere. C'è troppo poco ossigeno, manca del

tutto l'acqua. Ma potremmo ovviare a questi inconvenienti se riuscissimo a

produrre più aria. Con una maggiore pressione atmosferica si potrebbe avere

dell'acqua, con più ossigeno renderemo l'atmosfera respirabile e si

formerebbe dell'ozono che proteggerebbe la superficie dall'effetto dei raggi

ultravioletti. Le prove di una passata presenza dell'acqua fa pensare che un

tempo Marte avesse un'atmosfera più densa e questa non può essersi

dispersa nello spazio, da qualche parte deve trovarsi. Sicuramente ce n'è

sotto la superficie ghiacciata e in quantità maggiori nelle calotte polari. Per

fare evaporare le calotte polari dovremmo riscaldarle, preferibilmente

coprendole con qualcosa di scuro per assorbire più luce solare. Questo

qualcosa dovrebbe costare anche poco e capace di riprodursi, ebbene questo

qualcosa esiste e si chiama pianta. Dovremmo creare delle piante scure

capaci di sopravvivere nell'ambiente di Marte. Queste piante potrebbero

essere seminate nelle vastissime calotte polari di Marte e darebbero inizio al

processo di trasformazione di Marte. Poi, potremmo decidere di trasportare

l'acqua ottenuta dallo scioglimento delle calotte polari in regioni equatoriali

più calde costruendo dei canali. Gli uomini potranno rendere abitabile

Marte: i marziani saremo noi.

FINE

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Carl Edward Sagan (1934-1996)

Testimonianze:

Bruno Moretti Turri ricorda l'amico Carl Sagan - Mirror UAI

Claudio Maccone ricorda Carl Sagan - Mirror UAI

Articoli in italiano:

Riflessioni su un granello di polvere di Carl Sagan - Mirror CFI - Mirror UAI

Aforismi & citazioni di Carl Sagan

Le equazioni di Maxwell di Carl Sagan

Cos'è lo scetticismo di Carl Sagan

COSMOS in italiano di Carl Sagan

Mr. X di Carl Sagan

Un messaggio per chi? di Carl Sagan

Carl Sagan - biografia essenziale di Pasqua Gandolfi, Astrocultura UAI

Dove va il Pioneer 10 con il suo messaggio? di Pasqua Gandolfi, Astrocultura UAI

Contact recensione di Astrocultura UAI

Articoli in inglese:

Introducing The Planetary Society by Carl Sagan

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Remembering Carl Sagan by Charlene M. Anderson

Where would we be with Carl? by Ann Druyan

*Opere in inglese

Planets (LIFE Science Library), Sagan, Carl, Jonathon Norton Leonard and editors of Life,

Time, Inc., 1966

Intelligent Life in the Universe, coautore I.S. Shklovskii, Random House, 1966

UFO's: A Scientific Debate, coautore Thornton Page, Cornell University Press, 1972

Communication with Extraterrestrial Intelligence. MIT Press, 1973

Mars and the Mind of Man, Sagan, Carl, et al., Harper & Row, 1973

Cosmic Connection: An Extraterrestrial Perspective, coautore Jerome Agel, Anchor Press,

1973

Other Worlds. Bantam Books, 1975

Murmurs of Earth: The Voyager Interstellar Record, Sagan, Carl, et al., Random House

The Dragons of Eden: Speculations on the Evolution of Human Intelligence. Ballantine

Books, 1978

Broca's Brain: Reflections on the Romance of Science. Ballantine Books, 1979

Cosmos. Random House, 1980. Random House New Edition, May 7, 2002

The Cold and the Dark: The World after Nuclear War, Sagan, Carl et al., Sidgwick &

Jackson, 1985

Comet, coautore Ann Druyan, Ballantine Books, 1985

Contact. Simon and Schuster, 1985; Reissued August 1997 by Doubleday

A Path Where No Man Thought: Nuclear Winter and the End of the Arms Race, coautore

Richard Turco, Random House, 1990

Shadows of Forgotten Ancestors: A Search for Who We Are, coautore Ann Druyan,

Ballantine Books, October 1993

Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space. Random House, November 1994

The Demon-Haunted World: Science as a Candle in the Dark. Ballantine Books, March

1996

Billions and Billions: Thoughts on Life and Death at the Brink of the Millennium, coautore

Ann Druyan, Ballantine Books, June 1997

The Varieties of Scientific Experience: A Personal View of the Search for God, Carl Sagan

(scrittore) & Ann Druyan (editore), 1985 Gifford lectures, Penguin Books HC, November

2006

Opere tradotte in italiano

Saggi

Contatto Cosmico, Rizzoli, 1975 - ISBN 88-17-16572-7.

I draghi dell'Eden: considerazioni sull'evoluzione dell'intelligenza umana, Valentino

Bompiani & Co, 1979.

Il romanzo della scienza. Il cervello di Paul Broca e altre storie, Mondadori, 1982.

Cosmo, Mondadori, 1980.

Il Mondo infestato dai demoni - La scienza e il nuovo oscurantismo, Baldini & Castoldi,

1997.

Miliardi e miliardi, Baldini & Castoldi, 1988 - ISBN 88-8089-510-9.